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Si veda il necrologio fatto dai suoi sodali nazional-irredentisti:
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E’ stata definita in mille modi. Ne hanno fatto un idolo. L’hanno confusa con il simbolo dell’Italia ‘mutilata’ dal trattato di pace di Parigi. E’ ancora oggi richiamata in molti siti web di ispirazione neofascista e neonazista. E’ “la maestrina d’italiano”, il “coraggio” personificato, il “fiore nato da un pantano”, il simbolo della destra per il sociale e di tutti i veri fascisti vecchi e nuovi che non vogliono morire.

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Ma a leggere i documenti della storia che, grazie a Dio, ci indicano le strade della verità e dei fatti umani , il giudizio che ne possiamo trarre è che  Maria Pasquinelli fu tutt’altra cosa che un’eroina. Coperta da apparati che resistevano e si riorganizzavano nel nome della lotta cosiddetta antibolscevica, fu in realtà una donna che  si prestò semplicemente a realizzare una missione omicida che le consentirono di fare.

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Ed ecco i fatti.

“La mattina del 10 febbraio 1947, verso le ore 9.00, mi trovavo a cinquanta metri dal quartier generale britannico, in un punto da cui potevo osservare il cambio della guardia. Alle ore 9.30 vidi arrivare l’automobile del Comandante e, immediatamente, mi avviai verso l’edificio. La pistola era nascosta all’interno di una delle maniche del mio cappotto. Nell’avvicinarmi, notai che il generale stava parlando con i soldati schierati. Gli sparai tre colpi alla schiena, a bruciapelo. Ferito, iniziò a barcollare, mentre i quattro militi si dileguavano all’interno della caserma. Pochi secondi dopo, vidi arrivare un soldato britannico con il fucile puntato verso di me. Si avvicinò, ma sembrava incerto se sparare o meno. Lasciai cadere la pistola a terra e aspettai di essere arrestata.”

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Maria Pasquinelli – fiorentina, classe 1913, di professione insegnante – così rievoca uno degli episodi più sensazionali del dopoguerra sul confine orientale: l’uccisione del generale britannico Robert W. De Winton, comandante della Tredicesima Brigata di Fanteria a Pola, all’epoca sotto il controllo del Governo militare alleato (Gma). La deposizione avviene a Trieste  dinanzi agli agenti del Secret intelligence bureau (Sib).

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Il fatto, che avrebbe dovuto passare agli annali dei crimini politici commessi in quel tempo, diventa al contrario l’occasione per fare dell’omicida l’eroina dell’“italianità tradita”. Un controverso simbolo nazionalista per le migliaia di famiglie istriane e dalmate che proprio in quelle settimane prendono la via dell’esilio volontario.

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Due mesi dopo, la Pasquinelli, è condannata a morte da una Corte militare alleata, a Trieste. In maggio, però, la pena è commutata in ergastolo per decisione del generale John H. Lee, comandante delle Forze alleate nel Mediterraneo. Dopo aver trascorso diciassette anni nelle carceri di Venezia, Perugia e Firenze, torna in libertà nel settembre 1964.

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Per oltre mezzo secolo si è pensato al gesto disperato di una giovane andata fuori di testa a causa della guerra. Altri, più ottimisticamente, hanno fatto propria la giustificazione dell’assassina: il gesto era il risultato del trattamento umiliante riservato al nostro Paese da Stati Uniti, Gran Bretagna e Urss. Il Trattato di Pace di Parigi, firmato proprio il 10 febbraio 1947, dopo che l’Italia aveva perduto disastrosamente la guerra, obbligava infatti l’Italia a rinunciare all’Istria e a Fiume, fomentando i movimenti nazionalistici all’insegna dell’Italia “mutilata”.  E passeranno molti anni prima che la “questione” di Trieste e della “Zona B” trovi una soluzione definitiva.

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Sembrava una storia consegnata per sempre alla memoria un po’ sbiadita di quegli anni in bianco e nero. Ma ora nuovi particolari emergono dagli scaffali del Public Record Office di Kew Gardens, gli Archivi Nazionali britannici. Decine di documenti del War Office, ritrovati nell’agosto 2009, ci dicono che sarebbe stato possibile evitare quel clamoroso omicidio. Come dimostrano i telegrammi, le lettere e i rapporti redatti dalle autorità militari angloamericane nelle ore e nei giorni immediatamente successivi all’attentato, carte secret e top secret custodite nel fascicolo War Office 204/12896 (“Shooting of Brigadier De Winton”).

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Ma procediamo con ordine e vediamo di seguire ciò che i documenti ci raccontano.

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E’ trascorsa una settimana dall’attentato di Pola. Il 17 febbraio 1947 – in un salone del castello di Miramare, a pochi chilometri da Trieste – si insedia una Commissione militare d’inchiesta composta dal tenente colonnello Gaisford e dai maggiori Mitchell e Stephenson. Il testimone chiave è il sergente H. Ross, agente del Field security servicebritannico (Fss), di stanza a Pola: “Il 25 ottobre 1946, ricevetti un telegramma che mi allertava dell’imminente arrivo di Maria Pasquinelli a Pola e della sua intenzione di assassinare il Comandante militare alleato”.

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Il testo del dispaccio non lascia dubbi sulle intenzioni della donna: “General staff intelligence (Gsi) / 208. Segreto. Informazione ricevuta dall’unità ‘Z’ dello Special counter intelligence (Sci) di Milano. Una fonte solitamente attendibile afferma che Pasquinelli Maria (lo ripetiamo: Pasquinelli Maria, un metro e 75 centimetri di altezza, robusta, sui 30 anni, capelli castani, scuri e riccioluti, occhi scuri, naso schiacciato, portamento maschile, fisicamente forte) potrebbe attentare alla vita del Comandante militare alleato dell’area di Pola, in segno di protesta per le decisioni di Parigi. Si presume che il Soggetto lascerà Milano per Pola tra pochi giorni e che farà sosta a Venezia per andare a trovare il fratello, un tenente al momento convalescente all’ospedale militare della città. A Pola, l’indirizzo fornito è l’hotel Miramare”.

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Il sergente aggiunge altri dettagli: “Contattai immediatamente il mio superiore a Trieste – il capitano Middleton, comandante del XXI Port Security Section (Pss) – e chiesi istruzioni. Egli mi rispose che le avrebbe ottenute dal Gsi. Ventiquattro ore più tardi, mi telefonò per fornirmi le seguenti direttive: a) per nessun motivo la donna doveva essere arrestata o interrogata. Inoltre, non si doveva agire in modo da destare i suoi sospetti; b) il Gma e la Polizia della Venezia Giulia dovevano essere allertate sulle sue intenzioni; c) dovevo chiedere alla Polizia della Venezia Giulia che mi informassero dell’arrivo della donna e fare in modo che fosse posta sotto osservazione. […] Mi recai quindi all’hotel Miramare e appurai che la Pasquinelli era partita il 20 ottobre. […] Il 3 dicembre 1946, la polizia della Venezia Giulia e il gerente dell’hotel Miramare ci avvertirono del suo arrivo. La sera stessa, verso le 20.00, la donna si presentò nel mio ufficio. Ne controllai la carta d’identità e le domandai il motivo della sua visita a Pola. Mi rispose che era una professoressa di scuola e che si interessava di cultura istriana. Attenendomi alle istruzioni ricevute, non la interrogai. La mattina dopo, il 4 dicembre, telefonai al capitano Middleton, a Trieste, per avvertirlo che la donna era tornata a Pola. […] Il capitano mi disse di allertare la Ventiquattresima Brigata e il Gma e di chiedere alla Polizia della Venezia Giulia di tenerla d’occhio”.

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Ross informa anche il tenente colonnello Orpwood – il Commissario britannico dell’area polesana – e Benvenuti, un funzionario italiano della Criminal investigation division (Cid).

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“L’Fss non ricevette ulteriori istruzioni o informazioni sulla donna fino al giorno dell’omicidio – precisa il sergente – . L’11 febbraio mi recai all’hotel Miramare per controllare il registro delle presenze. Constatai che la donna era partita da Pola il 6 dicembre 1946 e che era ritornata in città l’11 gennaio 1947. Poi, il 5 febbraio, era nuovamente partita per fare ritorno in città l’8 febbraio.”

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Il secondo testimone ad essere ascoltato è il tenente Garvin: “In data 16 dicembre 1946, assunsi il comando del XXI Pss, a Trieste. Il capitano Middleton mi aggiornò sulle questioni più importanti ma non menzionò mai il caso della Pasquinelli. Il giorno dell’omicidio, tuttavia, rinvenni le informative [dell’ottobre 1946, ndr] nei nostri archivi.”

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Davanti ai giudici sfilano poi il tenente Feldman, il maggiore Robin, il maggiore Portham.

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Arriva il turno del sergente Reeves: “Sono l’ufficiale di collegamento tra il XXI Pss e la Polizia della Venezia Giulia, al Molo Pescheria di Trieste. Il 25 ottobre 1946, il capitano Middleton mi ordinò di trasmettere alla Polizia della Venezia Giulia il nome completo e la descrizione fisica di Maria Pasquinelli, in modo che la Polizia potesse avvertirci quando la donna fosse partita per Pola. Così ho fatto, ma non ho mai ricevuto alcun rapporto in proposito.”

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Il brigadiere Erskine, infine, racconta di aver incontrato il generale De Winton alla fine di gennaio del 1947, a Trieste, ma di non avergli parlato delle segnalazioni riguardanti la Pasquinelli. Con candore, ammette che la questione “gli era sfuggita di mente”.

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Nel tardo pomeriggio del 18 febbraio 1947, la Commissione giunge alle seguenti, sconcertanti conclusioni: “L’omicidio è stato reso possibile da precisi ordini che sarebbero giunti dal Quartier generale alleato. Secondo questi ordini, la donna non doveva essere arrestata, perquisita o interrogata. Al momento, questa Commissione ritiene impossibile stabilire chi abbia emanato queste direttive. Sembra che il capitano Middleton (che ora è stato collocato in congedo) abbia ottenuto tali istruzioni dal Gsi/Quartier generale alleato. Dalle indagini condotte presso il Gsi, sembrerebbe che l’ufficiale che ha trasmesso le direttive al capitano Middleton è stato anch’egli congedato.”

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Il 19 febbraio, il generale britannico Loewen, Comandante della Prima Divisione Armata di Trieste, commenta con durezza le deliberazioni della Commissione: “L’inchiesta non è stata in grado di spiegare per quale motivo – e per ordine di chi – a Maria Pasquinelli fu consentito di muoversi liberamente nell’area di Pola.”

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Le indagini del Comando alleato proseguono in gran segreto, tra imbarazzi, sospetti e reticenze. Sembra sia stata la sede milanese dello Sci/Z ad allertare il Gsi del Comando alleato sui propositi omicidi della Pasquinelli. La fonte è definita “solitamente attendibile”. Ecco perché, il 14 febbraio 1947, un cablogramma del Quartier generale angloamericano chiede “con urgenza” di essere messo al corrente sull’identità di questo confidente e su “ulteriori dettagli” contenuti nei rapporti dello Sci/Z dell’ottobre 1946.

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La risposta arriva il giorno dopo: “La source è Zolyomy Andrea, alias ‘Bandi’, ex agente dell’Ufficio Quarto [dei servizi segreti nazisti, ndr] di Milano, arrestato nel maggio 1945.[…] E’ attualmente detenuto presso il carcere militare di Milano, in attesa di essere processato dalla Corte di Assise Straordinaria della città. Nel rapporto Sci/Z, Maria Pasquinelli è citata una sola volta per i suoi collegamenti con la Decima Flottiglia Mas e con le attività anti-slave nella Venezia Giulia.” Zolyomy, un gitano ungherese, diventerà anni dopo una figura molto nota nel panorama sportivo italiano: allenerà la nazionale di pallanuoto alle olimpiadi di Melbourne (1956) e di Roma (1960).

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Il 16 febbraio 1947, lo Sci/Z invia al Comando alleato copia di un altro cablogramma, datato 24 ottobre 1946. I dettagli non potrebbero essere più agghiaccianti: “Si ritiene che Maria Pasquinelli abbia studiato gli spostamenti quotidiani [del generale De Winton, ndr] e che abbia deciso di sparargli mentre questi è intento a passare in rassegna le truppe. […] La donna è la nipote dell’ex ministro della Guerra della Rsi, Soddu, ed è dipinta come fanatica e determinata.”

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Qualche giorno dopo, un nuovo colpo di scena: con un telegramma top secret inviato a vari uffici, il Gsi rivela di aver appreso che la source non è Zolyomy e – cosa ben più grave – che “lo Sci/Z non intende rivelare l’identità del vero confidente. La questione è al vaglio del Quartier generale delle Forze alleate”.

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Insomma, se la fonte di informazione non è il fascista ungherese, da dove arrivano le informazioni top secret? Il governo britannico continua a non vederci chiaro. Soprattutto è fuori di sé per l’apparente facilità con cui la donna ha potuto assassinare De Winton. Il 30 maggio 1947 Londra torna all’attacco. Un telegramma top secret, inviato al Comando delle Forze alleate in Italia, riferisce che “il Foreign Office desidera sapere se, in effetti, siano state le fonti ufficiali italiane a informare lo Sci/Z; oppure se, al contrario, sia stato lo Sci/Z ad utilizzare confidenti non collegati al Servizio informazioni militare (Sim) o a qualche altra organizzazione ufficiale italiana”.

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Fin qui, i documenti ritrovati a Kew Gardens nell’agosto scorso.

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A più di sessant’anni da quegli avvenimenti, non sappiamo ancora se Maria Pasquinelli fosse soltanto una scheggia impazzita in azione tra Milano, Trieste e l’Istria nel caos del dopoguerra.

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Di certo, però, sappiamo che è proprio l’unità “Z” dello Special counter intelligence a coordinare le operazioni più oscure contro la “minaccia bolscevica” rappresentata dal Pci di Togliatti. Lo Sci/Z è al comando di un ambizioso capitano non ancora trentenne, James Angleton. Arriva in Italia alla fine del 1944 come responsabile dell’X-2, il controspionaggio dell’Office of strategic services (Oss), i servizi segreti Usa attivi su tutti i fronti durante il conflitto mondiale. Ora, nel 1946, una nuova sigla spionistica ha preso il posto dell’Oss – lo Strategic services unit (Ssu) – che ben presto cederà il posto alla Central intelligence agency, la Cia.

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Sotto la guida occulta di Angleton, prende corpo una vasta rete terroristica composta da una miriade di formazioni paramilitari anticomuniste. Per gli americani, la situazione si sta facendo difficile. Il 2 giugno 1946, il Pci e i socialisti di Nenni ottengono la maggioranza relativa all’Assemblea Costituente, superando la Dc di De Gasperi. La Repubblica prevale sulla Monarchia con un vantaggio di due milioni di voti. E da Washington gli analisti più attenti prevedono la vittoria certa del blocco socialcomunista alle politiche del 1947.

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Nel 1946, gli squadroni della morte più pericolosi sono la Divisione Osoppo, le Squadre d’azione Mussolini (Sam) e l’Esercito clandestino anticomunista (Eca). Vi aderiscono gli ex partigiani “bianchi” e monarchici della Osoppo, nella Venezia Giulia, e dell’Organizzazione Franchi di Edgardo Sogno. E, soprattutto, gli ex militi salotini della Decima Mas del principe Junio Valerio Borghese e delle Brigate Nere di Alessandro Pavolini. Ma in tutto il Paese sono attive decine di  formazioni armate che prendono i nomi di Fedelissima, Gruppi Azione Mussolini, Vendetta Mussolini, Audaci, Federati Neri, Partito insurrezionale fascista, Lupo, Leonessa, Sagittario, Etna, Onore e Combattimento. Nel maggio 1945, a Milano, è il capitano Angleton in persona a salvare la pelle a Borghese e a trasferirlo in gran segreto a Roma. Le sue competenze, scrive qualche tempo dopo, saranno molto utili “nell’ambito delle operazioni di lungo periodo” in Italia. In ottobre, il Comando alleato firma un atto segreto con cui garantisce la “totale immunità” agli uomini della Decima di stanza nella base navale dell’isola di Sant’Andrea, a Venezia. Nella primavera del 1946, anche Pino Romualdi – l’ex vicesegretario del Partito fascista repubblicano (Pfr) nella Rsi – finisce nell’orbita di Angleton: gira per Roma sotto falsa identità, contatta centinaia di suoi ex commilitoni e scrive un pamphlet intitolato “Il Fronte italiano antibolscevico”. Alla fine dell’anno fonda i Fasci d’azione rivoluzionaria (Far), che in breve inizieranno una lotta terroristica senza quartiere contro il Pci e le Camere del Lavoro.

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Nel 1947 – secondo vari rapporti del Servizio informazioni e sicurezza (Sis), lo spionaggio italiano – sarà il “Nuovo Comando Generale” (composto da Far, Eca e Sam) a coordinare la strategia terroristica della banda di Salvatore Giuliano in Sicilia, in vista della strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947). Due mesi dopo, un arsenale dei Far sarà scoperto in uno stabile di via Romagna, a Roma, a poche decine di metri dalla sede dei servizi Usa.

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Trieste e la Venezia Giulia sono una presenza costante nelle migliaia di rapporti desecretati negli ultimi anni a Londra e a Washington.

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All’inizio del 1946, è il capitano statunitense Huppert (di origini triestine) a entrare in contatto con un altro triestino, il colonnello Nino Buttazzoni, per proporgli di lavorare per l’intelligence di Angleton con il nome di copertura di “Ingegner Cattarini”. Huppert è il responsabile del Cid a Trieste, mentre Buttazzoni è stato uno dei principali collaboratori del principe Borghese nella Rsi, al comando dei Nuotatori-Paracadutisti (Np) della Decima Mas. Al momento del suo incontro con lo spionaggio americano, a Roma, vive in clandestinità in un appartamento di via Panisperna. E’ infatti ricercato dalla Commissione delle Nazioni Unite per i Crimini di Guerra per le rappresaglie compiute dai suoi uomini nella zona di Asiago, nel Veneto, nella primavera del 1944. “Sono momenti in cui, per molti, Repubblica significa Comunismo – scrive Buttazzoni nel volume “Solo per la bandiera” (Mursia), pubblicato nel 2002 -  e la nostra scelta non ha incertezze. Abbiamo a disposizione armi e depositi al completo. Faccio contattare alcuni Np del Sud.” All’“Ingegner Cattarini”, Angleton affianca il comandante Calosi, responsabile dell’intelligence navale italiana, e la signora Vacirca (nome in codice: “Miss Quinn”) dei servizi segreti statunitensi. In breve, il colonnello diventerà il referente numero uno dell’Eca.

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I dispacci delle spie di Sua Maestà sono sempre più allarmati. E’ dal ’43 che l’intelligence britannica è in ansia per la situazione al confine orientale italiano. Le atrocità nazifasciste in Jugoslavia, la guerra partigiana dell’Esercito di liberazione e le esecuzioni di massa perpetrate per ordine del maresciallo Tito a Trieste e nella Venezia Giulia nel maggio-giugno del 1945, hanno creato un clima impossibile da gestire. Londra guarda con preoccupazione crescente ai dirty tricks, ai giochi proibiti che alcuni settori militari e dell’intelligence degli Stati Uniti stanno mettendo a punto in quell’estate del 1946. E il controspionaggio britannico decide di passare all’azione. In settembre, a Trieste, arresta un neofascista di origini siciliane, Mario Cocchiara.

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Dal rapporto dell’interrogatorio – desecretato nel 2005 -  apprendiamo che il terrorista “sta organizzando un gruppo paramilitare di destra sotto gli auspici del Sim. Si reputa che abbia già radunato 500 elementi e che sia in rapporti diretti con alcuni membri del governo italiano e con alti ufficiali del Sim, ai quali invia le sue relazioni. […] E’ in contatto con elementi neofascisti e di destra a Milano, Roma e altrove, e con i gruppi delle Sam in Lombardia e a Milano. […] Cocchiara afferma di aver incontrato, il 19 agosto 1946, i gruppi della resistenza nazista che operano nelle Alpi bavaresi. Sembra che queste formazioni utilizzino come emissari ex soldati dell’esercito tedesco rimasti in Italia (muniti di documenti di identità civili), nella zona di Merano. Per ottenere fondi, i gruppi nazisti hanno allestito un ampio traffico di cocaina verso l’Italia. Qui, i loro emissari vendono cocaina di tipo ‘Merck’ (genuina) a buon prezzo, ossia a 800.000 lire al chilogrammo. Il prezzo è mantenuto basso per incrementare le transazioni. In Italia, le organizzazioni neofasciste traggono profitto dall’acquisto di cocaina, garantendo così i finanziamenti alle loro attività. […] Anche le entrate economiche dell’organizzazione di Cocchiara potrebbero, in parte, dipendere dal traffico di cocaina”.

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Dal documento spunta anche il nome di Huppert: “In agosto, Cocchiara ha ricevuto dall’ufficio del capitano Huppert [il Cid, ndr] un’offerta di collaborazione con l’intelligence statunitense, da attuarsi dopo che tale ufficio lascerà il territorio. […] Il documento con la proposta era diviso in tre parti: quella militare (che prevedeva una serie di attività anche in territorio jugoslavo) sarebbe stata affidata al tenente Giacchelli (lavora per Huppert); quella politica a Cocchiara, mentre il settore economico doveva essere curato dal direttore di una banca di Trieste (non se ne conosce il nome). […]. I capi delle tre sezioni avrebbero avuto il compito di scegliere gli agenti e i confidenti, i cui nomi sarebbero poi stati sottoposti al vaglio dell’ufficio del capitano Huppert.”

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Due mesi dopo, Londra riferisce che “a Trieste, è sorto un nucleo formato da aderenti al Partito fascista democratico (Pfd) e alle Sam. Le attività del gruppo sono coordinate dalla Croce rossa italiana (Cri) tramite un certo Eugenio Cecchini, ex operatore cinematografico della Decima Mas. Cecchini manterrebbe stretti rapporti con le formazioni neofasciste di Milano, dalle quali riceverebbe ordini. Possiede una moto Guzzi con la quale si reca di frequente a Brescia e a Milano”.

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Le rivelazioni di Cocchiara confermano le informative dello spionaggio italiano. Nel maggio 1946, il Sis scrive che “la maggior parte delle Sam ed altre formazioni attivistiche e terroristiche neo-fasciste si sono spostate nella Venezia Giulia, in quanto corre voce che i fascisti e i monarchici intenderebbero determinare un incidente provocatorio al confine orientale, tale da poter polarizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla Venezia Giulia. […] Le divisioni Osoppo e Gorizia, paramilitari, ed il nucleo universitario di Trieste, già segnalati, sono quasi esclusivamente costituiti da ex fascisti ed operano in accordo con le autorità militari”.

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Ma è dell’8 ottobre 1946 il documento britannico più sensibile, reso pubblico nel 2005: “Corre voce che a Roma sia attivo un centro neofascista al quale, secondo alcuni rapporti, aderiscono degli ufficiali americani. Tra i nomi menzionati vi è quello del capitano Philip J. Corso (intelligence statunitense nella Capitale).” Il rapporto precisa che il gruppo romano è composto dal colonnello Agrifoglio, ex capo del Sim; Augusto Turati, ex segretario del Partito nazionale fascista (Pnf); Angelo Corsi, sottosegretario agli Interni nel secondo governo De Gasperi; Leone Santoro, responsabile dell’Ufficio politico del ministero dell’Interno; Luigi Ferrari, capo della Polizia. Il Foreign Office conclude allertando che “numerosi ufficiali americani di origine italiana (tra costoro, il capitano Corso sopra menzionato) sono attivamente legati a questo centro”.

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Nelle stesse settimane, secondo lo spionaggio italiano, Turati circola indossando un’uniforme dell’esercito Usa, gode “della stima e del rispetto” degli americani ed è ospite di un monsignore in via Giacomo Venezian, a Roma, nel “palazzo vaticano della Sacra Congregazione Concistoriale dei Riti”.

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La strategia golpista dello Sci/Z funziona ormai a pieno ritmo. Il capitano Corso – del Counter intelligence corps (Cic), il controspionaggio militare statunitense – è uno stretto collaboratore di Angleton, assieme a Raymond Rocca, Charles Siragusa, George Zappalà e a molte altre spie americane di origine italiana. Un’azione di forza contro il Pci sembra imminente. Vari episodi lo preannunciano.

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Una nota del Sis informa che il “Comando generale del movimento fascista” – costituito da Carlo Scorza, ex segretario del Pnf, e da Augusto Turati – intende far scoppiare “qualcosa di grosso” a gennaio o a febbraio del 1947. Nasce l’Unione patriottica anticomunista (Upa), costituita in prevalenza da militari dell’Arma. Il Fronte internazionale antibolscevico (Fia) e i Far di Romualdi iniziano un’attività terroristica su vasta scala. Infine, secondo un lungo rapporto del Sis, Salvatore Giuliano si mette “a completa disposizione delle Formazioni Nere”, che pianificano di affidargli la liberazione del principe Borghese, detenuto nel penitenziario militare dell’isola di Procida. Lo spionaggio italiano riferisce che il capobanda siciliano si sposta da Nord a Sud per coordinare le attività delle Sam insieme al suo luogotenente, il killer Salvatore Ferreri, alias “lo Scugnizzo di Palermo”. Stando ai rapporti del Sim, Giuliano è in contatto con i reparti speciali della Decima Mas dall’estate del 1944, quando alcuni commandos del principe Borghese raggiungono segretamente Partinico e Montelepre, in provincia di Palermo, per finanziare, armare e addestrare alla guerriglia gli uomini della sua banda. Si fanno i nomi di Rodolfo Ceccacci, Pasquale Sidari, Giovanni Tarroni, Dante Magistrelli e dei fratelli Giovanni e Giuseppe Console, tutti in missione nell’Italia liberata su ordini del colonnello Buttazzoni. E’ la “guerra segreta oltre le linee”, messa in campo dai servizi segreti nazifascisti all’indomani dello sbarco alleato in Sicilia del luglio 1943.

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Ma i piani dell’intelligence di Angleton e delle bande armate anticomuniste si sviluppano lungo tutto il 1947.

Nel luglio 1947, il Sis registra gli anomali comportamenti di Selene Corbellini, ex membro della banda Koch ed ex agente dei servizi di Salò, responsabile delle Sam tra Roma e Torino. La Corbellini è segnalata in contatto con la banda di Salvatore Giuliano, a Palermo. Ma è anche definita “elemento pericoloso” per la propaganda diffusa tra gli “esuli giuliani” della Capitale: “E’ stato riferito che elementi non ancora individuati lavorerebbero intensamente in questi giorni nei confronti di elementi giuliani, che sono abitudinari del dormitorio istituito presso i profughi e i reduci della stazione Termini, in Roma, allo scopo di organizzare gruppi di uomini destinati ad azioni di piazza in Roma e nella Venezia Giulia, all’evidente scopo di aggravare con atti inconsulti (si parla anche con insistenza di un attentato contro Tito) la situazione nazionale ed internazionale. L’iniziativa partirebbe dalle Sam, già rappresentate a Roma dalla nota ricercata Selene Corbellini.  Circolerebbe fra i predetti abbondante denaro (si parla di veri e propri ingaggi a lire 10.000).” Un’altra informativa italiana scrive che “per ordine del Fronte anticomunista, profughi giuliani ex fascisti vengono fatti partire isolatamente alla volta di Trieste, Fiume, Pola e Gorizia, col compito di creare localmente cellule di propaganda e di azione anti-russa e anti-Tito”.

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Nel biennio 1946-1947, vari rapporti dell’intelligence alleata parlano di “elementi del separatismo siciliano” nella Venezia Giulia e a Trieste. Presenze decisamente sospette, vista la lontananza geografica con la grande isola mediterranea. Nel giugno 1946, il controspionaggio del Sim segnala la presenza nel capoluogo giuliano di “due militanti dell’Esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia (Evis), provenienti da Catania: Tullio di Mauro, nato a Trieste nel 1923, ed Enzo Finocchiaro, nato a Catania nel 1925”. I due sono in possesso di speciali documenti di identità che certificano la loro appartenenza all’Evis, firmati da un certo “colonnello Spina”.

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Al “sergente maggiore Spina” della Cri, a Trieste, accenna il lungo documento britannico su Cocchiara del settembre 1946, già visto. Il neofascista è dato in contatto permanente con il sergente maggiore, definito un “confidente” del Sim nel capoluogo giuliano, alle dipendenze del capitano Huppert. In specie, il rapporto comunica che Spina “organizza le squadre d’azione italiane”.

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Nell’estate del 1947, Londra scrive di uno Spina “comandante del Terzo corpo volontari della libertà (3Cvl) nella Venezia Giulia”. L’organizzazione è composta dalla Divisione Osoppo, dalla Divisione Julia e dal Gruppo Aspro. Il 24 luglio 1947 il Foreign Office allerta: “Spina si è incontrato con il colonnello Zitelli (Sim)”, che ha promesso di inviare “armi, munizioni e finanziamenti al 3Cvl. […] Zitelli si è poi detto d’accordo nel fare tutto il possibile per coordinare gli analoghi gruppi operanti nell’Italia meridionale con quelli attivi nel settentrione”. Si fa il nome dell’Unione monarchica italiana (Umi), un partito che, secondo lo spionaggio italiano, finanzia le attività terroristiche della banda Giuliano, dell’Evis e di altre  formazioni separatiste in Sicilia, Calabria e Basilicata tra il 1945 e il 1947. Il collegamento tra Salvatore Giuliano e l’Umi, a Roma, viene garantito dal neofascista catanese Franco Garase, alias “lo zoppo”, da Caterina Bianca, ex agente dei servizi segreti della Rsi, e da Silvestro Cannamela, ex milite dei commandos della Decima Mas al Sud.

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All’indomani della strage di Portella della Ginestra, altra circostanza anomala è la presenza in Sicilia di alcuni “continentali”. Fermati e identificati dai carabinieri sulle montagne di Montelepre, vengono rispediti a casa in fretta e furia: “Un gruppo di settentrionali composto da Giancarlo Celestini, 20 anni da Milano, Enzo Forniz, 18 anni da Pordenone e Bruno Trucco, un ragazzo di Genova, ebbero a entrare nella banda di Salvatore Giuliano. A quale appello avevano risposto? Tra il 10 luglio e il 14 agosto 1947, furono poi fermati sulle montagne di Montelepre undici misteriosi individui nativi di Cava dei Tirreni (Francesco Lambiase e Vincenzo di Donato); Sicaminò, in provincia di Messina (Francesco Minuti); Taranto (Cosimo Vozza, Pietro Capozza, Cataldo Sorrentino, Santo Balestra); Cagliari (Carlo De Santis); Vicenza (Gaetano Dalconte e Edoardo Affollati); Ragusa (Giuseppe Ferma).” (Cfr. “Portella della Ginestra. Microstoria di una strage di Stato”, FrancoAngeli, 1997).

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Che cosa ci facciano in una formazione paramilitare della Sicilia occidentale cinque giovani provenienti da Milano, Vicenza, Pordenone e Genova, rimane un gran bel mistero. O, almeno, tale è stato fino all’apertura integrale degli archivi del War Office britannico e dell’Oss statunitense, dopo il 2000.

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L’Evis è una formazione terroristica attiva dal 1944, definita “neofascista” dai dispacci dell’intelligence Usa in Sicilia. Nel settembre 1945 ne assume il comando il “colonnello” Salvatore Giuliano, con una solenne investitura sulle montagne di Sàgana, nei pressi di Montelepre, alla presenza dei massimi dirigenti del Movimento per l’indipendenza della Sicilia (Mis). Ma, come dimostrano decine di rapporti dell’intelligence alleata resi pubblici negli ultimi anni, l’Evis ha le sue origini nei servizi segreti della Rsi e nei commandos della Decima Mas. E’ un fronte della più generale guerra che i neofascisti hanno dichiarato al governo di Badoglio e Bonomi dopo l’8 settembre. Nell’aprile 1945, poche settimane prima della disfatta nazifascista nell’Italia settentrionale, 120 militi della brigata “Raffaele Manganiello”, di stanza a Montorfano (Como), raggiungono la Sicilia per continuare la “resistenza fascista” al Sud. Fanno parte del battaglione “Vega”, un corpo di èlite di 350 uomini voluto dal principe Borghese nell’estate del 1944 e addestrato dal tenente di vascello Mario Rossi. Gli uomini del “Vega” provengono in gran parte dalle fila degli Np del colonnello Buttazzoni. Negli elenchi stilati dal colonnello Hill-Dillon del controspionaggio statunitense nell’aprile  1945, compaiono i nomi del “tenente Giuliano” e di altri futuri componenti della cosiddetta “banda” del monteleprino, come il parà Giuseppe Sapienza. A Como, gli uomini della “Manganiello” sono guidati da Fortunato Polvani, ex federale di Firenze e stretto collaboratore di Romualdi nella Rsi. Nell’autunno del 1945, da Palermo (dove rimarrà fino alla primavera del 1947), entra in contatto con il capitano Angleton e assume il coordinamento delle squadre armate  neofasciste per tutta l’Italia, a cominciare dalle Sam.

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Il 12 giugno 1946, in Sicilia arriva anche l’ex partigiano bianco Giuseppe Caccini,  il “Comandante Tempesta” della brigata Carnia (Osoppo), con l’obiettivo di stabilire contatti permanenti con l’Umi a Palermo. Ma qui, dopo pochi giorni, viene arrestato dalla Polizia nei pressi della stazione ferroviaria.

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Dal suo interrogatorio, conservato negli archivi del Sis,  apprendiamo che “dopo l’8 settembre 1943, in contrapposizione dell’influenza panslava nel Friuli e nella Carnia, formai la brigata Osoppo, brigata a carattere nazionalista-monarchico. Fino al 1° maggio 1945 rimasi a capo della brigata Carnia. Fino all’ottobre 1945, rimasi in montagna assieme alla mia brigata per avere dopo il 1° maggio combattuto contro le forze jugoslave che volevano invadere il territorio del Friuli, e precisamente oltrepassare il Tagliamento e la Fella e occupare anche la zona carnica. Di ciò ne può dare conferma la missione inglese che dirigeva in quella località i movimenti militari e politici delle brigate osovane (il capitano Patt e il maggiore Rudolph del Field security service)”.

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In un documento successivo (“Movimento e costituzione bande armate”, 26 giugno 1946), leggiamo un’altra dichiarazione di “Tempesta” riportata dagli agenti italiani: “Poiché la situazione si delineava grave e constatando che elementi contrari alla Monarchia avrebbero reagito, qualora l’esito del referendum [del 2 giugno 1946, ndr] fosse stato a questa favorevole, decise di condurre a Roma [da Udine, ndr] gli uomini della sua ex brigata per difendere eventualmente gli interessi del popolo e la legalità delle elezioni. Ritornò pertanto a Roma nei primi dello scorso mese di maggio, alloggiando in casa di vari amici, che non ha voluto indicare. Entro il 10 dello stesso mese di maggio arrivarono nella capitale, alla spicciolata, i suoi uomini in  numero di 221, i quali nelle rispettive valigie tenevano nascosta la divisa militare degli alpini. Alcuni di essi, giunti con un autocarro del regio esercito, portarono a Roma 4 fucili mitragliatori, uno marca Brem e gli altri 3 tipo n. 37 di fabbricazione italiana, molti mitra steen, mitra parabellum, pistole automatiche e bombe a mano. […] Fra i 221 uomini, formanti due compagnie, si trovavano due sottotenenti, dei quali egli non ha voluto fornire il nome. Il Caccini ha dichiarato di essere il comandante militare con lo pseudonimo di ‘Tempesta’. Il giorno 5 del corrente mese, poiché il risultato del referendum era stato favorevole alla Repubblica, egli e i suoi uomini decisero di sciogliersi, e con lo stesso camion, che nel frattempo era ritornato dal Friuli per portare i viveri, rispedivano armi e divise al luogo di provenienza, mentre il grosso degli uomini faceva ritorno in montagna con mezzi propri. Soltanto una ventina di essi si trattenevano nei dintorni di Roma per procurarsi una occupazione. Risultato vano tale tentativo, il Caccini decideva di venire in Sicilia nella persuasione di trovarsi in ambiente più favorevole alla sua fede, per cercare impiego ed anche, secondo la sua asserzione, per sfuggire alla persecuzione di agenti titini che lo ricercavano.”

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Nel giugno 1946, tra i venti partigiani armati che rimangono con “Tempesta” a Roma, troviamo un certo De Santis, alias “Marco”. Un certo Carlo De Santis – lo abbiamo visto – verrà fermato dai carabinieri un anno dopo, sulle montagne che circondano Montelepre.

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Il racconto di Caccini coincide in parte con quello di Buttazzoni, nel già citato volume “Solo per la bandiera”: “E’ in questo periodo [agli inizi del 1946, ndr] che nasce l’Esercito clandestino anticomunista – racconta il colonnello degli Np – . Possiamo contare su un nucleo ristretto di gente decisa e bene addestrata. Un esponente militare vuole valutare visivamente la consistenza di questo gruppo. Al Pincio facciamo una prova. Viene mandato un osservatore che non conosco. Io sono seduto su una panchina e davanti a me faccio sfilare tutti gli aderenti con un segno di riconoscimento. Alla fine sono 212.”

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Al giorno d’oggi, qualche verità potrebbe arrivare anche da saggi e testimonianze di recente pubblicazione, come il volume “La giustizia secondo Maria” (Del Bianco editore), una lunga intervista realizzata dalla scrittrice triestina Rosanna Giuricin nel 2008. “Nel libro, Maria Pasquinelli parla poco e continua a mantenere il segreto su alcune questioni non di poco conto – osserva Pietro Spirito su ‘Il Piccolo’ del 14 settembre 2008 – . Come la circostanza secondo la quale l’attentato non fu un’iniziativa squisitamente personale, ma ci fossero dietro uno o più complici. Sull’argomento c’è solo una velata ammissione, per altro riportata da terzi: ‘Non era Maria che avrebbe dovuto sparare – scrive Giuricin -, il compito era stato assegnato a Giuliano. Chi poi fosse Giuliano non si sa, la trattazione si ferma all’ipotesi secondo la quale, all’ultimo momento, ‘Giuliano’, preso dagli scrupoli, avesse passato la pistola alla Pasquinelli’ (che per altro, nel libro, continua a ripetere di averla trovata per strada, per puro caso, a Milano).”

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Il governo De Gasperi partecipa attivamente alla strategia anticomunista sul confine orientale, in totale sintonia con l’intelligence Us

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Giacomo Scotti

MONTENEGRO AMARO
L’odissea dei soldati italiani tra le Bocche di Cattaro e l’Erzegovina dal luglio 1941 all’ottobre 1943.

Prefazione di Davide Conti

Con numerose illustrazioni

Collana Blu
ISBN 978-88-96487-25-9
pp. 420 € 26,00
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PREZZO SPEDIZIONE COMPRESA

Il Montenegro fu regione ribelle, zona di opposizione e resistenza all'aggressione del fascismo italiano e dell’esercito tedesco, coadiuvati dai collaborazionisti cetnici e ustascia. Le divisioni italiane – la “Taurinense” alpina e la “Venezia” di fanteria, oltre a sparsi reparti dell’“Emilia”– ebbero alcune migliaia di caduti e quasi pari furono le perdite dei partigiani jugoslavi, mentre le vittime nella popolazione, compresi vecchi, donne e bambini – morti negli incendi dei villaggi, fucilati nei rastrellamenti e deportati nei campi di concentramento in Albania e Italia – furono circa quarantamila.
Il libro, documentatissimo, è una rappresentazione viva e puntuale della guerra combattuta dalle divisioni partigiane jugoslave contro tedeschi e italiani, e restituisce le due facce della presenza armata italiana in Montenegro e dintorni: la faccia (e il ruolo) dell’invasore a partire dal 1941, e la faccia liberatrice delle migliaia di militari italiani passati a combattere con i partigiani jugoslavi dopo l'8 settembre 1943. 
La ricostruzione di scenari complessi consente di guardare da prospettive non strumentali, come quelle configuratesi nell'ultimo decennio con l'uso politico della vicenda delle foibe, né retorico-celebrative, proprie della narrazione della «epopea resistenziale», fatti ed eventi che hanno segnato i rapporti bilaterali tra Italia e Jugoslavia nell'era post-bellica della Guerra Fredda e poi in quella post-'89 dopo la caduta del muro di Berlino ed il dissolvimento della Jugoslavia.


Giacomo Scotti (Saviano 1928). Scrittore, giornalista e letterato, ha trascorso  gran parte della vita in Croazia, a Fiume-Rijeka, viaggiando da un capo all'altro dell'ex Jugoslavia per circa 60 anni come giornalista. Dal 1982 si muove fra l’Italia e Balcani. Scrittore bilingue (italiano e croato), ha all'attivo circa cinquanta opere. Ha pubblicato ricerche riguardanti la lotta antifascista e di liberazione jugoslava, tra cui, con Mursia: Ventimila caduti 1970, Il battaglione degli straccioni1974, I disertori 1980, Juris, juris, all'attacco! 1986, Le aquile delleMontagne nere (con L.Viazzi) 1987, L'inutile vittoria (con L.Viazzi) 1989. E ancora: Kragujevac, la citta' fucilata 1967, Ustascia tra il fascio e la svastica 1976, Rossa una stella (con L.Giuricin) 1971), Goli Otok, ritono all'Isola Calva 1991, Il partigiano del cielo 2004, Tre storie partigiane 2006, Il bosco dopo il mare 2009. Con Odradek ha pubblicato “BONO TALIANO”. Militari italiani in Jugoslavia dal 1941 al 1943: da occupatori a disertori ( http://www.odradek.it/Schedelibri/bonotalianob.html ) e, a sua cura, A te mia Dolores ( http://www.odradek.it/Schedelibri/Bozovic.html ) di Saša Božovic'.



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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
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(english / italiano.

français: Le juge Theodor Meron absout les chefs militaires de crimes contre l’humanité
 
english: Judge Theodor Meron absolves military leaders of crimes against humanity
 
deutsch: Richter Theodor Meron entbindet Militärführer der Verbrechen gegen die Menschlichkeit
 
español: El juez Theodor Meron absuelve a jefes militares acusados de crímenes contra la humanidad

Sullo stesso argomento: Il TPIJ dell'Aia assolve spie e servi della NATO (srpskohrvatski / francais / italiano)
Sul carattere illegittimo, servile e fazioso del "Tribunale ad hoc" si veda anche la documentazione raccolta al nostro sito: 

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Il giudice Theodor Meron assolve i capi militari per crimini contro l’umanità

RETE VOLTAIRE  | 26 GIUGNO 2013

In Ruanda, la Commissione nazionale per la lotta contro il genocidio, e in Slovenia, l’Istituto di Studi Internazionali per il Medio-Oriente e i Balcani (IFIMES), chiedono la rimozione del giudice Theodor Meron, presidente del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e presidente della Corte d’appello del Tribunale penale internazionale per il Ruanda.
Sotto la sua guida, i tribunali internazionali hanno profondamente cambiato la loro giurisprudenza. Hanno smesso di condannare i capi militari per i crimini commessi dai loro subordinati e che non avevano punito.
I tribunali ora ritengono che l’autorità di vigilanza non può essere condannata che quando venga stabilita l’"intenzione diretta" nel commettere questi crimini. Per il dissenziente giudice danese, Frederik Harhoff, che ha inviato una e-mail ai colleghi il 6 giugno (vedi sotto), questo cambiamento è dovuto all’influenza delle forze armate statunitensi e israeliane preoccupate di dover rendere conto, un giorno, delle loro responsabilità.
Il giudice Theodor Meron, 83 anni, è stato successivamente polacco, israeliano e statunitense. È stato consigliere giuridico del governo israeliano e ambasciatore israeliano in Canada e alle Nazioni Unite. Ha acquisito la cittadinanza degli Stati Uniti diventando presidente dell’associazione giuridica internazionale.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

ICTY Judge FREDERIK HARHOFFs
EMAIL to 56 CONTACTS, JUNE 6, 2013
Dear friends,
Some of you may by now have read the two articles I sent round, and I thought it only proper to add a few personal comments to what you have read. The articles are good because they focus on measures that cause deep concern both for me and among colleagues here in the corridors of the court .
In brief : Right up until autumn 2012, it has been a more or less set practice at the court that military commanders were held responsible for war crimes that their subordinates committed during the war in the former Yugoslavia from 1992- 95, when the Daytona Agreement brought an end to the war in December 1995.
The responsibility then was either normal criminal responsibility as either (1) contributing to or (2) responsibility for the top officers with command responsibilities in a military system of command authority where these failed to prevent the crime or punish the subordinates.There is nothing new in this. We had also developed an extended criminal responsibility for people (ministers, politicians, military leaders, officers and others), who had supported an overall goal to eradicate ethnic groups from certain areas through criminal violence, and which in one way or a nother contributed to the achievement of such a goal ; it is this responsibility that goes by the name of "joint criminal enterprise".
But then the court’s Appeals Chamber suddenly back-tracked last autumn with the three Croatian generals and ministers in the Gotovina case. They were acquitted f or the Croatian army’s war crimes while driving out Serbian forces and the Serbian people from major areas in Croatia - the so-called Krajina area in August 1995 (home to generations of Serbians).
Shortly after , the Appeals Chamber struck ag ain with the acquittal of the Serbian Commander Chief of Staff, General Perisic, when the Chamber decided that even though his military and logistical support from Serbia in the Bosnian-Serbian forces in Bosnia had contributed to the forces’ crimes against Bosnian Muslims and the Bosnian Croatians in Bosnia, Perisic had “not intended ” for his forces to be used to commit crimes.He provided the support, but was unaware, according to the Appeals Chamber, that the support would be and was used to commit crimes in Bosnia.This despite the media’s daily coverage of the Bosnian-Serbian forces’ macabre crimes against Muslims (and to a less extent Croatians) in Bosnia.
It is however very hard to believe that Perisic didn’t know what the plan was in Bosnia, and what his support was actually used for.
And now follows the judgement last week that acquitted the head of the Serbian secret service, General Jovica Stanisic and his henchman Franko Simatovic, for their assistance in the Bosnian-Serbian forces ’ notorious crimes in Bosnia against the Bosnian Muslims and Croatians, and with the same reason used for Perisic , that those in question were "unaware" that their efforts would be used to commit crimes.
What can we learn from this ? You would think that the military establishment in leading states (such as USA and Israel) felt that the courts in practice were getting too close to the military commanders’ responsibilities. One hoped that the commanders would not be held responsible unless they had actively encouraged their subordinate forces to commit crimes. In other words : The court was heading too far in the direction of commanding officers being held responsible for every crime their subordinates committed. Thus their intention to commit crime had to be specifically proven.
But that is exactly what the commanders get paid for:They MUST ensure that in their area of responsibility no crimes are committed, and if they are they must do what they can to prosecute the guilty parties. And no one who supports the idea of ethnic eradication can deny the responsibility of, in one way or a nother, contributing to the achievement of such a goal .
However, this is no longer the case. Now apparently the commanders must have had a d irect intention to commit crimes – and not just knowledge or suspicion that the crimes were or would be committed. Well, that begs the question of how this military logic pressures the international criminal justice system ? Have any American or Israeli officials ever exerted pressure on the American presiding judge (the presiding judge for the court that is) to ensure a change of direction ?
We will probably never know. But reports of the same American presiding judge’s tenacious pressure on his colleagues in the Gotovina-Perisic case makes you think he was determined to achieve an acquittal - and especially that he was lucky enough to convince the elderly Turkish judge to change his mind at the last minute. Both judgements then became majority judgements 3-2.
And so what of the latest judgement in the Stanisic-Simatovic case ? Here it was not t he Appeals Chamber that passed the judgement, but a department in a premium authority with the Dutch judge Orie as presiding judge supported by the Zimbabwean judge , but with dissent from the female French judge...? Was Orie under pressure from the American presiding judge ? It appears so ! Rumour from the corridors has it that the presiding judge demanded that the judgement against the two defendants absolutely had to be delivered last Thurs day – without the three judges in the premium authority having had time to discuss t he defence properly – so that the presiding judge’s promise to the FN’s security service could be met. The French judge only had 4 days to write the dissent, which was not even discussed between the three judges in the department. A rush job. I would not have believed it of Orie.
The result is now that not only has the court taken a significant step back from the lesson that commanding military leaders have to take responsibility for their subordinates’ crimes (unless it can be proven that they knew nothing about it) – but a lso that the theory of responsibility under the specific “joint criminal enterprise" has now been reduced from contribution to crimes (in some way or another) to demanding a direct intention to commit crime (and so not just acceptance of the crimes being committed). Most of the cases will lead to commanding officers walking free from here on. So the American (and Israeli) military leaders can breathe a sigh of relief.
You may think this is just splitting hairs. But I am sitting here with a very uncomfortable feeling that the court has changed the direction of pressure from “the military establishments” in certain dominant countries.
In all the courts I have worked in here, I have always presumed that it was right to convict leaders for the crimes committed with their knowledge within a framework of a common goal. It all boils down to t he difference between knowing on the one hand that the crimes actually were committed or that they were going to be committed, and on the other hand planning to commit them .
That’s the bottom line !
How do we now explain to the 10 00s of victims that the court is no longer able to convict the participants of the joint criminal enterprise, unless the judges can justify that the participants in their common goal actively and with direct intent contributed to the crimes ? Until now, we have convicted these participants who in one way or another had showed that they agreed with the common goal (= to eradicate the non-Serbian population from areas the Serbians had deemed “clean” ) as well as, in one way or another, had contributed to achieving the common goal – without having to specifically prove that they had a direct intention to commit every single crime to achieve it. It is almost impossible to prove...
And I always thought that was right. I have delivered my judgements in trust that those at the top could see that the plan to “eradicatethe others” from “own” areas contradicted the basic order of life, a challenge of right or wrong, and not least in a world where internationalisation and globalisation rejects any notion of someone’s "natural right" to live incertain areas without the presence of others. Seventy years ago we called it Lebensraum.
However, apparently this is no longer the case. The latest judgements here have brought me before a deep professional and moral dilemma, not previously faced. The worst of it is the suspicion that some of my colleagues have been be hind a short-sighted political pressure that completely changes the premises of my work in my service to wisdom and the law.
Kind regards
Frederik





Patria Indipendente (mensile dell'ANPI), aprile 2013, p.40

Intere divisioni del “Regio Esercito” passarono ai partigiani

Migliaia i soldati italiani morti per la libertà della Jugoslavia

La scelta nell’ottobre del 1943. La decisione del Generale Oxilia e dei suoi 12 mila soldati. Anche la divisione “Taurinense” decise di battersi contro i nazisti. Via via la scelta giusta di tanti altri. I partigiani della “Garibaldi”. La bandiera italiana a Belgrado liberata

di Giacomo Scotti

Ufficialmente, la data di nascita del nuovo Esercito Italiano, quello cioè risorto dopo la caduta del fascismo, si fa risalire all’8 dicembre 1943, giorno in cui il Primo Raggruppamento Motorizzato, con circa 6.000 uomini, venne impiegato al fianco della 36a Divisione americana nell’azione per la conquista di Monte Lungo a sud di Cassino. Cinque mesi dopo, il 18 aprile 1944, quel Raggruppamento si trasformava nel Corpo Italiano di Liberazione che raggiungeva nel periodo del suo massimo potenziamento una forza complessiva di circa 24.000 uomini. Secondo me, la vera data di nascita del nuovo esercito italiano inteso come esercito democratico, antifascista e parte integrante della coalizione antihitleriana nella seconda guerra mondiale dovrebbe essere anticipata al 9 ottobre 1943, giorno in cui il generale Giovanni Battista Oxilia, comandante della Divisione di fanteria da montagna “Venezia”, firmò a Berane, in Montenegro, un documento con il quale dichiarava che la Divisione “Venezia”, forte di 12.000 uomini, “al completo, con tutte le armi, equipaggiamenti, vettovagliamenti e magazzini di cui dispone” restava nel territorio jugoslavo per combattere contro i tedeschi al fianco dei partigiani, coordinando le azioni militari con il comando del II Korpus dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia (EPLJ), i cui uomini entrarono a Barane il mattino del 10 ottobre.
Quasi contemporaneamente, nel settore di Nikšić, sempre in Montenegro, l’esempio della “Venezia” venne seguito dalla Divisione alpina “Taurinense” al comando del generale Giovanni Vivalda. Questa Divisione, nel frattempo, era stata più che dimezzata in una serie di combattimenti contro i tedeschi, contro i filofascisti cetnici e contro gli stessi partigiani, nell’inutile tentativo di raggiungere la costa per l’imbarco, ma al tempo stesso nel generoso sforzo di portare aiuto alla Divisione “Marche” in Erzegovina e alla Divisione “Emilia” nelle Bocche di Cattaro.
Gli uomini della “Marche” furono quasi completamente catturati dai tedeschi; gli uomini dell’«Emilia» riuscirono in parte a raggiungere l’Italia. I superstiti della “Taurinense” – che erano stati attaccati perfino da reparti della Divisione “Ferrara” passata ai tedeschi – divennero tuttavia la punta di diamante della nuova unità di combattimento affiancatasi all’esercito di Tito.
Il 12 ottobre, quasi a inaugurare il nuovo capitolo della storia dell’esercito italiano, due aerei Macchi 205 partiti dalle Puglie raggiunsero il cielo di Berane, lanciarono il cifrario e stabilirono un collegamento radio regolare fra le due Divisioni e il Comando Italiano insediato a Brindisi. Questo nuovo esercito regolare italiano affiancatosi ai partigiani jugoslavi contava circa 14.000 uomini. Alcune altre migliaia di soldati italiani, tuttavia, inseriti direttamente in varie Brigate jugoslave, già combattevano da un mese contro i tedeschi nel vasto scacchiere del Montenegro, delle Bocche di Cattaro e del Sangiaccato, avendo compiuto autonomamente e con notevole anticipo sulle decisioni dei generali Oxilia e Vivalda, la scelta della lotta partigiana. Mi riferisco, in particolare, al Battaglione “Italia” comandato dal capitano Mario Riva della “Venezia” e alla Brigata di artiglieria alpina “Aosta”, comandata dal maggiore Carlo Ravnich, il quale diventerà poi comandante della Divisione partigiana “Garibaldi” sorta nel dicembre dalla fusione delle Divisioni “Venezia” e “Taurinense” e dalla loro ristrutturazione secondo le norme dell’esercito partigiano jugoslavo.
Erano stati proprio gli uomini di una batteria del Gruppo “Aosta”, la sesta batteria del tenente Francesco Perello, a impegnare i tedeschi nel primo scontro in terra jugoslava, alle ore 8 del mattino del 9 settembre. Una colonna autocarrata tedesca, avvistata all’inizio della piana di Nikšić mentre scendeva da Šavnik, venne fermata e costretta a ripiegare a colpi di cannone. Il maggiore Ravnich premiò i suoi uomini con un bigliettone da 500 lire e una lettera di encomio: “Bravi artiglieri!”. Sarebbe qui lungo raccontare la storia della Divisione partigiana italiana “Garibaldi”, le aspre battaglie sostenute dalle sue Brigate sulle aspre montagne del Montenegro e nei boschi della Bosnia, nei comprensori dei fiumi Piva, Tara, Drina, Lim, da Pljevlja ad Andrijevica, da Kolašin a Gacko, fino a Dubrovnik dove per i suoi uomini la guerra terminò l’8 marzo 1945. Nel mio volume “Ventimila Caduti” ho dedicato a questa Divisione circa 300 pagine e non sono riuscito che a dare una sintesi della sua dura e gloriosa odissea. L’epilogo è questo: su 19.000 soldati e ufficiali, rientrarono alle loro case soltanto 12.567 uomini. In combattimento ne caddero 3.272, altri 3.072 furono dati per dispersi, 128 morirono nella prigionia tedesca. Totale delle perdite, 6.472 uomini, un terzo degli effettivi.

***

Nei giorni in cui i superstiti della Divisione “Garibaldi” s’imbarcavano a Dubrovnik diretti a Bari, nel marzo 1945, un’altra Divisione partigiana italiana, l’«Italia», inserita nel Primo Corpo d’armata, sotto il comando del generale Koča Popović, combatteva strenuamente sul fronte del Danubio, nella pianura dello Srem, avanzando verso Zagabria. La Divisione “Italia”, sia detto subito, fu l’espressione del più genuino volontarismo dei soldati antifascisti italiani sorpresi dall’armistizio in terra jugoslava. La sua genesi ci riporta a due Battaglioni; il “Garibaldi” costituitosi ufficialmente a Spalato l’11 settembre 1943 con circa 400 uomini in maggioranza carabinieri e fanti, ed il “Matteotti” inquadratosi con 250 uomini a Livno, in Bosnia, all’inizio di ottobre.
Quasi tutti venivano dalla Divisione “Bergamo” i cui uomini avevano difeso strenuamente, insieme ai partigiani, i passi montani attraverso cui, dopo circa un mese di strenui combattimenti, i tedeschi riuscirono a penetrare nel capoluogo della Dalmazia. Sia il “Garibaldi” che il “Matteotti” furono inseriti nella Prima Divisione proletaria, la più agguerrita formazione dell’esercito di Tito. Questi Battaglioni presero parte alle più epiche battaglie della guerra di liberazione jugoslava dalla Dalmazia alla Bosnia, dal Sangiaccato alla Serbia, fino alla liberazione di Belgrado avvenuta il 20 ottobre 1944.
Nella capitale jugoslava, dove gli italiani gareggiarono in eroismo con le migliori unità di Tito e con i reparti corazzati sovietici del maresciallo Tolbuhin, furono essi a innalzare la prima bandiera dell’Italia democratica sull’edificio dell’Ambasciata italiana e fu il commissario politico dell’«Italia», Innocente Cozzolino, a svolgere provvisoriamente le funzioni di console italiano nella nuova Jugoslavia. Il Maresciallo Tito volle che i due Battaglioni italiani sfilassero in prima fila nella rivista che gli passò ai reparti liberatori.
Sempre a Belgrado, in seguito alla liberazione di alcune migliaia di soldati italiani che avevano sofferto la prigionia tedesca, nacquero altri due Battaglioni, “Fratelli Bandiera” e “Goffredo Mameli”. Nacque così la Brigata “Italia”, divenuta poi Divisione con l’afflusso continuo di nuovi volontari, che sbucavano da ogni parte lungo il cammino di guerra. L’8 maggio 1945 i combattenti dell’«Italia», dopo altri duri combattimenti sostenuti a Tovarnik, a Pleternica, sul monte Slijem, entravano vittoriosi a Zagabria. Erano circa 5.000 uomini ormai, strutturati su 12 Battaglioni, al comando di Giuseppe Maras, ex sottotenente dei bersaglieri; commissario politico Carlo Cutolo, ex tenente di fanteria; vice comandante e capo di stato maggiore il tenente Aldo Parmeggiani; vice commissario Attilio Mario Ceccarelli, ex soldato semplice; capo dei servizi stampa, cultura e propaganda Innocente Cozzolino, ex sottotenente; commissario di collegamento l’ex sergente Mario Gatani Tindari, siciliano, il quale era passato ai partigiani fin dal 1942.
Nel cimitero di Zagabria, dove riposano le ossa degli ultimi caduti della Divisione “Italia”, sorge un monumento sul quale si leggono queste parole: «Compagno, quando vedrai mia madre dille di non piangere. Non sono solo. – Giace al mio fianco un compagno jugoslavo. Che nessuno ardisca gettare fango sul sangue sparso nella lotta comune. Trovammo qui fede madre pane fucile. I morti lo sanno. I vivi non lo dimenticheranno. Fiumi di sangue divisero due popoli. Li unisce oggi il sacrificio dei compagni migliori».

***

Le Divisioni “Garibaldi” e “Italia” non furono gli unici reparti italiani che combatterono nelle file dell’esercito popolare di liberazione della Jugoslavia. Minori reparti italiani, della forza di Battaglioni e compagnie, fecero parte di numerose Brigate e Divisioni jugoslave; altri combattenti italiani, si aggregarono individualmente alle unità partigiane. Sta il fatto, evidenziato anche da uno scritto del generale Kosta Nadj, che «dopo la capitolazione italiana, ma in parte già prima, oltre quarantamila soldati dell’esercito italiano di occupazione passarono nelle file dell’Armata di liberazione di Tito». Le fonti ufficiali jugoslave affermano che nell’EPLJ militarono ben 50 formazioni di italiani della forza di compagnie, Battaglioni, Brigate e Divisioni.
Gli italiani per il loro numero, superarono la metà degli effettivi totali di tutte le formazioni volontarie composte da non jugoslavi. Il contributo è evidenziato anche dal fatto che ben ventimila sacrificarono la vita in terra jugoslava, praticamente la metà di tutti i combattenti. La cifra era stata evidenziata dallo stesso Tito in un messaggio agli ex combattenti italiani dell’aprile 1969. Di alcune di queste formazioni, i cosiddetti “reparti dispersi”, ho scritto nel libro “Il Battaglione degli straccioni”. Ricorderò qui, rapidamente, il Battaglione “Mameli” sorto nel retroterra di Zara nella seconda metà di settembre del 1943, e distintosi nelle file del Distaccamento “PIavi Jadran”; il “V Battaglione Italiano” della II Brigata Banjiska; il Battaglione “Ercole Ercoli” che militò nella III Brigata dalmata e poi nella IV Brigata di Spalato; varie compagnie italiane inserite nella V e nella IV Brigata Krajska della Bosnia; una compagnia “Garibaldi” che divenne il nucleo della I Brigata macedone kosovana nel Kosovo e in Macedonia; un gruppo di artiglieria composto di oltre 300 uomini nella XIII divisione croata del Gorski Kotar. E si potrebbe continuare. Ecco, fra tanti altri dati citabili quelli inerenti la composizione nazionale delle unità dell’XI Corpo d’armata della Croazia nel dicembre 1944: su 11.000 combattenti, 482 sono italiani; oppure le statistiche dell’VIII Corpo d’Armata, sempre in Croazia, alla data del 28 gennaio 1945: vi militavano 1.685 combattenti italiani (di cui 76 ufficiali), suddivisi in sei Divisioni, nelle Brigate carristi e di artiglieria.
Alcuni reparti ebbero una storia breve e drammatica, come il Battaglione “Garibaldi” formato da 800 soldati del I Battaglione di Guardie di Frontiera nel Gorski Kotar e inquadratosi il 12 settembre 1943 nel Distaccamento Fiume-Sušak. Questi uomini sostennero l’urto principale della grande offensiva tedesca sferrata in ottobre sulle posizioni partigiane che dominavano il Golfo del Quarnero e più della meta caddero in combattimento. I superstiti raggiunsero in parte l’Italia, dove continuarono a combattere nelle file della Resistenza, e in parte la Slovenia dove si inserirono nei Battaglioni e Brigate di quella regione.

***

A questi combattenti partigiani italiani venuti dalle file di un esercito che per circa trenta mesi, dall’aprile 1941, avevano sostenuto il disonorevole compito di occupatori, vanno aggiunti i volontari civili nelle terre dell’Istria e del Quarnero. In quelle terre, dominate per oltre cento anni dall’Austria e poi cedute all’Italia, dopo la prima guerra mondiale, la maggioranza della popolazione slava aveva visto negli italiani non il nemico ma il fratello nella sventura. Il vero nemico era il fascismo che aveva perseguitato per venti anni gli antifascisti sia slavi che italiani. Gli antifascisti italiani, anzi, erano sempre stati in testa nella lotta contro gli sfruttatori e gli oppressori, pagando con la galera e le persecuzioni.
Già in precedenza, fin dall’agosto del 1942, numerosi italiani combattevano nelle file della Prima Compagnia partigiana dell’Istria, ed oltre 300 avevano varcato il vecchio confine per raggiungere i partigiani in Slovenia e in Croazia. Nel settembre 1943, l’Istria poté formare reparti partigiani con 12.000 combattenti, italiani e croati. Migliaia di operai, pescatori, contadini, studenti e intellettuali di Pola, Rovigno, Parenzo, Fiume e di altre località costituirono speciali reparti della minoranza italiana nelle Brigate e Divisioni slave della stessa regione. Il reparto più famoso di quelle terre fu e resta il Battaglione “Pino Budicin” nelle cui file passarono oltre 2.000 combattenti e che ha dato due riconosciutissimi eroi. Del suo cammino di lotta, e della lotta condotta dagli altri italiani dell’Istria nelle formazioni armate di Tito si parla diffusamente nel libro “Rossa una stella”.

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Un altro aspetto del contributo italiano alla guerra popolare di liberazione della Jugoslavia è costituito dalla presenza di grosse unità partigiane italiane, della forza di Battaglioni, Brigate e alla fine di un’intera divisione, nel territorio della Slovenia. Solo parzialmente quei reparti furono formati da ex militari dello sciolto esercito di occupazione. La maggior parte degli effettivi era di civili: migliaia di volontari affluiti dalle terre d’oltre Isonzo, soprattutto dai territori di Trieste e del Friuli.
Non a caso il primo reparto della Resistenza armata in Italia, il Distaccamento “Garibaldi” costituitosi nel Friuli nel marzo del 1943, parecchi mesi prima della caduta del fascismo e dell’armistizio, dunque, nacque dall’unione di uomini che avevano militato nell’esercito partigiano sloveno o che furono calamitati sulle montagne in quel periodo dagli appelli dell’esercito di Tito che già operava nella Venezia Giulia dal 1942, cacciando i fascisti dalla Selva di Tarnova, un vasto altipiano ad est e a nord-est di Gorizia, costituendovi una propria “Zona libera”. Allorquando i tedeschi, nel settembre-ottobre del 1943, investirono con le loro truppe di rincalzo le terre della Venezia Giulia per dilagare a Gorizia, a Trieste e verso l’Istria, furono i partigiani sloveni ad accogliere nelle loro file i combattenti partigiani italiani della “Brigata Proletaria” e della “Brigata Trieste” che si erano sbandate dopo aver sostenuto per alcune settimane l’urto tremendo delle Divisioni hitleriane. Nacquero allora, e in seguito, in territorio sloveno, i Battaglioni “Triestino d’Assalto”, “Giovanni Zol”, “Alma Vivoda”, “Mazzini” e altri, poi via via le Brigate “Garibaldi-Trieste”, “Fratelli Fontanot” e nell’estate del 1944 la gloriosa divisione “Garibaldi-Natisone” che militò nei ranghi del IX Corpo d’armata sloveno fino alla liberazione della Slovenia e dell’intera Venezia Giulia. Oltre che a entrare vittoriosi a Gorizia ed a Trieste con i reparti jugoslavi, i partigiani italiani presero parte anche alla liberazione di Lubiana, il 9 maggio 1945. Il contributo di sangue dato dagli italiani fu altissimo anche in Slovenia: soltanto nelle operazioni dell’aprile 1945 caddero un migliaio di combattenti.

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Nel glorioso capitolo del volontarismo italiano in Jugoslavia, che venne a ricomporre nella seconda guerra mondiale il filo della tradizione garibaldina – per tutto l’Ottocento e gli inizi del nostro secolo, centinaia di volontari italiani si erano infatti recati in Balcania, dal Montenegro alla Macedonia, dalla Bosnia alla Serbia, a combattere al fianco di quei popoli nelle loro lotte insurrezionali contro il giogo ottomano – una pagina particolarmente luminosa fu scritta da quei combattenti che varcarono spontaneamente l’Adriatico per unirsi ai partigiani jugoslavi. Giunsero soprattutto nel periodo marzo 1944-aprile 1945 dalle regioni meridionali della penisola, arruolandosi nelle cosiddette “Brigate d’Oltremare” che andavano formandosi nelle Pugile con l’adesione di ex prigionieri e detenuti politici, deportati dalla Dalmazia, dal Montenegro e dalla Venezia Giulia. Insieme a circa 30 mila jugoslavi, si arruolarono alcune migliaia di italiani. Ci fu un Battaglione, l’«Antonio Gramsci», forte di 800 uomini, composto esclusivamente da giovani volontari italiani, in parte ex militari e in parte civili: siciliani, pugliesi, calabresi e di altre regioni del Mezzogiorno che preferirono raggiungere la Jugoslavia piuttosto che attendere le lungaggini burocratiche opposte dagli Alleati e dallo stesso Governo Badoglio alla loro volontà di combattere subito e con durezza contro i tedeschi. Di quel Battaglione, 300 uomini non tornarono.

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Nelle formazioni di Tito militarono antifascisti d’ogni regione d’Italia, umili contadini e professori universitari, medici e cappellani, antifascisti di vecchia data ed ex fascisti ravveduti e tante donne. Nelle mie ricerche ho incontrato addirittura due fanfare militari, composte in prevalenza da italiani, nella 50a Divisione partigiana serba e nella II Brigata d’assalto dalmata. Ho rintracciato italiani che fecero parte dei più delicati corpi dell’EPLJ: i reparti dell’antiterrorismo che davano la caccia alle spie e sabotatori ed ai collaborazionisti; i reparti commandos della Marina partigiana che operavano fra le isole dell’arcipelago dalmato nei compiti più rischiosi e perfino nell’aviazione. Basti per tutti il caso del tenente pilota Luigi Rugi, l’unico italiano partigiano del cielo nella seconda guerra mondiale. Fuggito nel settembre 1943 dall’aeroporto di Gorizia a bordo di un aereo-scuola che era stato catturato dai tedeschi, fece un atterraggio di fortuna in Slovenia, di lì passò in Croazia e poi in Bosnia. A Livno, dove per ordine di Tito si costituì la Prima squadriglia aerea partigiana, Rugi ne fu uno dei fondatori. Quella squadriglia ebbe 7 Caduti fino alla fine della guerra; l’ultimo a sacrificare la vita fu proprio l’italiano. Cadde il 30 aprile 1945, nel giorno del suo ventiquattresimo compleanno, a pochi giorni dalla liberazione. Qualche mese prima, sull’isola di Vis, era stato insignito personalmente da Tito dell’Ordine al Valore.


[ LE FOTO:
La Brigata italiana “Fontanot” appena formata in Slovenia si dirige verso le postazioni
Il Battaglione “Garibaldi” in marcia da Valjevo verso Lajkovac nel 1944
Un reparto della Divisione “Italia” in Jugoslavia
Inverno 1944-45: la Divisione “Italia-Matteotti” in un momento di sosta
Il generale Dapcevic e i combattenti della Divisione “Garibaldi-Berane” nel dicembre 1943
Il Battaglione “Garibaldi” della Brigata “Italia” durante i combattimenti per le strade di Belgrado nell’ottobre del 1944



(francais / italiano)

Appunti sull'annessione della Croazia alla UE

1) Croazia, da UE “benvenuto” poco convinto (tmnews.it) / Croazia: UE in dirittura d’arrivo, tra crisi e indifferenza (ANSA)
2) La Croazia europea a rischio sanzioni. Appena entrata subito bocciata (Il Piccolo)
3) Istria, turisti russi “in fuga” dai visti (Il Piccolo)
4) Croatie : sur les chantiers navals de Split, on licencie tout le monde !
5) Allargamento UE, Lubiana punta a fermare i lavoratori croati (Il Piccolo) / Slovenia chiude mercato lavoro per 2 anni  (ANSA)

LINKS:

Botta e risposta sulla Croazia nella U.E. (gennaio-febbraio 2012)
Il presidente del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, Ivan Pavičevac, è ritornato all'inizio del 2012 sulla questione della adesione della Croazia alla Unione Europea con una lettera di protesta inviata a titolo personale a Bruxelles. Un simile intervento lo aveva tentato già un paio di anni prima, ricevendo come risposta un evasivo "La Croazia non è ancora formalmente candidata all'adesione...". Ecco, dopo due anni la Croazia è formalmente candidata, ed il 1/7/2013 se ne celebra infine la adesione, benché la sanguinosa storia recente della sua "indipendenza" sia nota a tutti, ed ai funzionari UE meglio che agli altri.

Elementi sul neo-ustascismo e sulla vera natura della "Guerra Patriottica" in Croazia 

La cancellazione della Repubblica Serba di Krajina: crimini di guerra e desaparecidos 

Intervista al prof. Aldo Bernardini sul carattere del nuovo Stato indipendente croato dal punto di vista del Diritto Internazionale

A Maastricht il ricatto tedesco: se volete l'Unione Europea dovete uccidere l'unità jugoslava 

e dalla newsletter JUGOINFO:

Pulizia etnica in Croazia

Croazia, si stringe il cappio UE-FMI al collo dei lavoratori 

Croatia: EU accession and social massacre 

Referendum u Hrvatskoj 

e inoltre:

Croazia, il nuovo membro "euro-indifferente"
di Francesco Martino - OBC 24 giugno 2013

Croazia nell'UE, ma a pezzi
di Matteo Tacconi - OBC 27 giugno 2013


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Croazia, da UE “benvenuto” poco convinto

www.tmnews.it 24 maggio 2013 - Da una settimana un enorme cartellone sulla sede di rappresentanza della commissione europea dà il “benvenuto alla Croazia” che il primo luglio diventa ufficialmente il 28esimo membro dell'Unione. Ma Zagabria si unisce al club europeo in una fase di difficoltà economiche sedimentate e di scarso interesse, a dir poco, per la causa del continente unito. Un rapporto pubblicato da Bruxelles lo scorso 29 maggio mette in guardia a chiare lettere: l'esecutivo comunitario potrebbe avviare in tempi brevi una procedura per deficit eccessivo contro la Croazia, per sforamento del tetto sul deficit di bilancio.
Il debito croato rappresenta al momento il 54% del Pil, ma, secondo la Commissione, supererà ampiamente la soglia del 60% nel 2014, oltre i limiti fissati dall'Ue. Zagabria prevede per quest'anno una crescita economica dello 0,7% e del 2,4% l'anno prossimo, mentre la Commissione mette in conto un arretramento del Pil croato dell'1,0% nel 2013 e una debole ripresa l'anno prossimo, a +0,2%. Il deficit di bilancio dovrebbe arrivare quest'anno al 4,7% del Pil e rischia di salire nel 2014 al 5,6%, ben al di sopra del tetto del 3% previsto dall'Ue.
Quanto alla disoccupazione, è arrivata oltre il 20% e solo venerdì scorso la Slovenia si è affrettata a votare l'estensione delle restrizioni all'accesso del suo mercato del lavoro per i cittadini croati, che saranno considerati de facto extra-comunitari per almeno altri due anni.

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Croazia: UE in dirittura d’arrivo, tra crisi e indifferenza 

Franko Dota
www.ansa.it 4 giugno 2013

A meno di quattro settimane dall’ingresso nell’Unione europea, il primo luglio prossimo, la Croazia sembra oggi un Paese quasi indifferente verso questa importante tappa storica, considerata in passato come il culmine del processo di indipendenza e di democratizzazione, iniziati ventidue anni fa. Il governo di centro-sinistra, in carica dal novembre del 2011, ha subito un rovescio alle amministrative di domenica scorsa, perdendo la guida della capitale Zagabria dopo 13 anni di amministrazione socialdemocratica, seppur vincendo nelle altre maggiori città. I forti tagli alla spesa pubblica, inclusa la riduzione degli stipendi degli statali, e la mancata promessa di attirare nuovi investimenti esteri e avviare alcuni grandi progetti infrastrutturali pubblici, sono alla base del calo di consensi del governo.

Ma un più largo scontento sociale, che questa settimana potrebbe sfociare in una prima grande ondata di scioperi nel settore pubblico, è dovuto alla profonda crisi economica e alla disoccupazione che ormai da un anno è costantemente sopra il 20 per cento della forza lavoro (a circa il 40 per cento quella giovanile). L’economia è in recessione per il quinto anno consecutivo, nonostante la politica di austerità il debito estero continua a crescere e la produzione industriale a calare. Il turismo, che rappresenta quasi il 20 per cento del Pil del Paese, rimane l’unico settore a non risentire della crisi. Ma le notizie negative che continuano ad arrivare dell’eurozona e i problemi interne alla Ue non contribuiscono a smorzare l’atmosfera di apatia. Dalla prima fase dopo l’adesione non ci si attende molto.

Paesi come Germania e Austria hanno già annunciato che useranno il diritto di limitare l’ingresso dei croati al loro mercato del lavoro. Per quanto i prodotti croati avranno accesso al mercato unico, molti temono che l’ingresso nell’Ue potrebbe tramutarsi in un altro colpo all’industria croata, soprattutto quella agroalimentare, dato che i prodotti europei avranno il libero accesso ai supermercati in Croazia. Inoltre, dal primo luglio il Paese è costretto a uscire dalla Cefta, l’associazione di libero scambio tra i Paesi dei Balcani non-membri dell’Ue, zona in cui la Croazia tradizionalmente, sin dal periodo jugoslavo, realizza una enorme fetta del suo interscambio commerciale, sempre con un avanzo a suo beneficio. D’altro canto, come importane stimolo allo sviluppo del Paese, viene indicato che nell’ambito del quadro finanziario pluriennale UE 2014-2020, Zagabria potrà contare su 11.7 miliardi di euro, e già nella seconda metà del 2013 avrà a disposizione circa 665 milioni di euro, di cui 450 milioni di fondi strutturali e di coesione.

A prescindere dal quadro economico, l’adesione alla Ue ha comunque per la Croazia un fortissimo valore simbolico, e rappresenta la conclusione di un lungo processo di transizione dall’esperienza jugoslava e socialista, conclusasi con la sanguinosa guerra per l’indipendenza negli anni Novanta, verso l’appartenenza alla famiglia delle nazioni europee. I negoziati di adesione sono stati lunghi e più severi di quelli degli altri Paesi dell’est europeo. Nella prima fase l’ostacolo maggiore era costituito dalla non soddisfacente cooperazione con il Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia (Tpi), mentre negli ultimi anni Bruxelles ha insistito sulla democratizzazione del quadro legislativo e delle istituzioni, come anche sulla lotta al crimine organizzato e alla corruzione.

L’esempio più visibile degli sforzi fatti da Zagabria sono i tre processi per corruzione contro l’ex primo ministro Ivo Sanader, e una sua condanna in primo grado a dieci anni di carcere. Ma per ironia della sorte, proprio Sanader sarà ricordato nei libri di storia come il leader politico croato che, governando dal 2004 al 2009, ha avviato una serie di riforme che hanno portato la Croazia nella Ue. Il 30 giugno è in programma a Zagabria e in altre città croate una grande festa per l’adesione, e sono attesi i massimi dirigenti delle istituzioni europee, leader di una ventina di Paesi dell’Ue, incluso il presidente Giorgio Napolitano e il presidente del consiglio Enrico Letta, come anche i dirigenti dei Paesi vicini, come la Serbia e la Bosnia. Con l’ingresso della Croazia, secondo Paese della ex Jugoslavia a entrare nell’Unione dopo la Slovenia, per l’Ue non cambierà molto, dato che il Paese rappresenterà lo 0,85 per cento dell’intera popolazione, l’1,33 per cento del territorio e lo 0,53 per cento del Pil. A livello simbolico invece l’adesione dei croati rappresenta la conclusione della prima fase della stabilizzazione e integrazione dei Balcani, dopo le guerre degli anni Novanta, e una piccola spinta alla fiducia nell’Europa unita nella presente situazione di crisi.


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La Croazia europea a rischio sanzioni 

di Stefano Giantin
su Il Piccolo del 5 giugno 2013

Croazia, appena entrata nell’Ue e subito “bocciata” da Bruxelles. Potrebbe essere questo il destino di Zagabria, il prossimo primo luglio. Un destino, ha rivelato ieri l’agenzia di stampa Reuters, provocato dalle pessime condizioni di salute del prossimo 28esimo membro dell’Unione. Unione che, ha specificato Reuters, potrebbe – quasi contemporaneamente all’adesione di Zagabria – aprire «misure disciplinari» contro la Croazia a causa del deficit e del debito pubblico in crescita costante.

La previsione è corroborata dai contenuti di un documento di lavoro della Commissione europea, pubblicato a fine maggio, che mette a nudo i punti deboli dell’economia croata. Economia che «continua a dibattersi in una recessione» che proseguirà almeno fino al 2014 e che dura ormai da cinque anni.

Da quel 2009, annus horribilis della crisi, «amplificata» in Croazia dalle «debolezze strutturali» del sistema economico. Ma il problema maggiore per Zagabria è il deficit. «Le autorità si sono impegnate a ridurlo a meno del 3% del Pil entro il 2016», segnala l’analisi della Commissione, ma per ora risultati positivi non si vedono. Le previsioni di primavera di Bruxelles sull’economia croata evidenziano un disavanzo nel 2013 al 4,7% del Pil, che salirà al 5,6% nel 2014. Male anche il debito pubblico croato, quasi raddoppiato dal 2008, che l’Ue prevede «supererà il limite del 60% del Pil nel 2014», a causa del deficit crescente. Da qui le previsioni di Reuters, che suggerisce di leggere tra le righe il rapporto della Commissione.

E leggendo tra le righe si comprende che Zagabria potrebbe – come accadde ad esempio all’Ungheria nel 2004 – entrare nell’Ue e al contempo venire iscritta tra i Paesi sotto osservazione a causa del deficit superiore ai parametri europei, ossia «il 3% di rapporto deficit/Pil e il 60% di rapporto debito pubblico/Pil». Nel caso in cui uno Stato membro sfori la soglia prevista per il disavanzo, dall’Unione scatta la procedura per disavanzo eccessivo», ricorda la Commissione. Una procedura che comprende «diverse fasi, giungendo fino a eventuali sanzioni». Un modo per fare pressioni sui Paesi membri Ue affinché adottino «misure correttive».

E potrebbe essere questo il di verdetto per Zagabria.

Difficile infatti che in poche settimana la Croazia riesca a tornare a essere virtuosa, evitando l’onta della procedura d’infrazione. E per Zagabria si prospettano anche anni di scelte lacrime e sangue, come suggerito dalla Commissione. Zagabria che dovrà aumentare le tasse, si legge nel rapporto, «combattere evasioni e frodi fiscali», abbandonare ogni velleità di sostegno alle grandi imprese pubbliche, «altamente indebitate e a rischio per le finanze statali», leggi nuove privatizzazioni, migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione e agire contro «la rigidità del mercato del lavoro».


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Istria, turisti russi “in fuga” dai visti

di Andrea Marsanich
su Il Piccolo del 14 giugno 2013

I primi cinque mesi dell’anno hanno regalato grosse soddisfazioni in Croazia quanto a risultati turistici, ma è giugno a preoccupare gli operatori del settore. L’estate tarda ancora ad arrivare, i Paesi dell’Europa Centrale sono colpiti da gravi alluvioni e a peggiorare il quadro è la situazione sorta dallo scorso primo aprile, quando Zagabria ha dovuto uniformarsi all’Unione europea, introducendo il regime di visti per i cittadini russi ed ucraini.

Tutto ciò sta erodendo i dati positivi registrati nel periodo da gennaio a maggio, con la Croazia, dove oltre il 90% degli arrivi di villeggianti riguarda le regioni adriatiche, che è stata visitata da 1 milione e 900mila vacanzieri, che hanno fatto totalizzare agli operatori 6 milioni e 700mila pernottamenti. Rispetto all’identico periodo di un anno fa, l’incremento è molto consistente, rispettivamente del 9 e dell’11 per cento. Tenendo conto di quanto avviene nella stragrande maggioranza dei Paesi mediterranei la Croazia può – o potrebbe – dirsi nella tradizionale “botte di ferro”. In realtà non è tuttavia così, perché il mese corrente sta continuando a sfornare giornate di tempo instabile, con poco sole, tante nuvole e temperature del mare che oscillano ancora tra i 19 e i 20 gradi.

Fa eccezione Pola, dove giorni fa la temperatura marina ha toccato i 23 gradi, di sicuro più gradita ai bagnanti. La nuvolosità variabile ha inciso negativamente soprattutto sui viaggi last minute, con gli interessati che preferiscono restare a casa invece di trascorrere le vacanze con l’ombrello aperto o tappati nelle strutture ricettive. «Le alluvioni all’estero - sostengono i lavoratori turistici croati - hanno avuto un contraccolpo negativo per l’industria turistica, con i potenziali vacanzieri che preferiscono non mettersi in viaggio». Non almeno fino a quando la situazione non si sarà normalizzata e il pericolo superato. A peggiorare il tutto sono i visti per l’ingresso in Croazia per i cittadini russi e ucraini. Il ministro del Turismo, l’istriano Darko Lorencin, ha visitato a tale scopo la Russia, proponendo una soluzione che è piaciuta alle autorità di Mosca. In 18 città della Russia con almeno un milione di abitanti, sono stati aperti uffici per i visti, che contribuiscono a snellire il rilascio degli stessi. Dal primo aprile l’ambasciata croata a Mosca ha rilasciato poco più di 13mila visti, mentre quotidianamente riceve da 1.000 a 1.500 richieste. L’anno scorso a soggiornare in Croazia sono stati circa 200mila villeggianti russi, l’8% in più rispetto all’anno precedente.

È dunque sempre più consistente la quota del mercato turistico croato formata dai vacanzieri della Russia. Stando agli addetti ai lavori, i visti costringeranno non pochi russi a rinunciare alla trasferta croata e a dirigersi verso i lidi del Montenegro, Paese che non prevede invece questo tipo di permesso.


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Croatie : sur les chantiers navals de Split, on licencie tout le monde !


index.hr - 31 mai 2013

Plus de 3 000 salariés des chantiers navals de Split vont être licenciés. Le fleuron industriel croate, bradé en début d’année pour une bouchée de pain, doit être « restructuré ». Le repreneur, DIV, promet de réembaucher 1 500 à 2 000 personnes - ceux qui satisferont à un ensemble assez flou de critères. Syndicalistes s’abstenir.

Par Me. M. - Traduit par Persa Aligrudić

L’entreprise DIV, qui a racheté à l’Etat en mars dernier la quasi-totalité des actions de l’entreprise pour une bouchée de pain, annonce qu’elle emploiera au départ environ 1 500 personnes en CDI et 500 autres en CDD. A terme, entre 2 000 et 2 500 personnes seront employées dans la nouvelle structure. Les patrons de DIV s’engagent à puiser dans le vivier des employés licenciés lors des futures embauches.

« Plus de 3 000 employés de Brodosplit percevront une prime de licenciement au montant de 4 000 kunas (530 euros) par année de carrière pour les 20 premières années et 1 500 kunas (200 euros) par année au delà de 20 ans passés chez Brodosplit », a annoncé la direction. Le programme a été approuvé par l’Agence croate pour l’emploi dans le cadre de la restructuration de Brodosplit.

« La Direction a dû procéder immédiatement au licenciement d’un certain nombre de salariés. Ces mesures étaient indispensables dans le cadre du processus de restructuration, ainsi que pour la mise en place d’une structure adaptée aux véritables besoins de Brodosplit. C’est la conséquence de la gestion irresponsable conduite par le passé, de la mauvaise politique commerciale, des mesures de restructuration qui n’ont pas été prises au moment voulu et l’accumulation des pertes durant plusieurs années, qui ont mené la compagnie au bord de la faillite », précise le communiqué officiel de la Direction.

Le programme de sélection des employés est actuellement en cours et de nouveaux contrats de travail seront proposés. On espère que tout sera prêt dans le courant du mois de juin, au plus tard en juillet. « La réembauche dépendra en grande partie du choix des collaborateurs, des résultats des examens d’embauche et des décisions des futurs cadres », annonce la direction, en ajoutant que les travailleurs auxquels un nouveau contrat de travail ne sera pas proposé pourront bénéficier de consultations pour les aider à trouver un nouvel emploi.


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Allargamento UE, Lubiana punta a fermare i lavoratori croati

s.g. su Il Piccolo del 31 maggio 2013

Cari amici croati, bravi e benvenuti nell’Ue. Sì, benvenuti. Non fatevi però neppure venire in mente – almeno per un paio d’anni – di fare le valigie, attraversare il confine a Bregana, a Pasjak o a Rupa per venire liberamente a lavorare in Slovenia. Sarà questo, salvo sorprese, l’augurio-ordine che la Slovenia rivolgerà il primo luglio ai croati appena diventati cittadini Ue a tutti gli effetti. Cittadini che potrebbero non poter accedere liberamente al mercato del lavoro di Lubiana, senza richiedere un apposito permesso.

La Slovenia sta infatti alacremente lavorando a una legge che renda efficace il “regime transitorio” previsto dal trattato di adesione di Zagabria nell’Ue, che prevede la possibilità di introdurre restrizioni all’accesso al mercato del lavoro sloveno per i croati. «La misura temporanea» dovrebbe «entrare in vigore» proprio dal 1° luglio e rimanere valida «fino al 30 giugno 2015», secondo la bozza di legge preparata dal ministero del Lavoro di Lubiana.

Questa legge, se adottata dal governo e approvata dal Parlamento, obbligherà per due anni la Slovenia «a trattare i cittadini croati», nell’accesso all’impiego in Slovenia, «come cittadini di Stati non membri» dell’Unione, spiega l’agenzia di stampa “Sta”. Un modo per arginare un’assai improbabile “invasione” di croati, affamati di lavoro e diretti in Slovenia. E per «proteggere un mercato del lavoro», quello di Lubiana, le cui condizioni «potrebbero deteriorarsi» ulteriormente. Come potrebbe deteriorarsi anche il fronte della spesa pubblica, da rimettere sotto controllo anche con tagli alle pensioni, ha annunciato ieri il ministro delle Finanze sloveno, Uros Cufer.

Ma non tutti sembrano convinti che sbarrare le porte del mercato del lavoro sloveno sia una buona idea. Prima di muoversi bisogna capire se la mossa «non faccia più male che bene», ha detto nei giorni scorsi il ministro degli Esteri sloveno, Karl Erjavec, che ha specificato che per ora solo i Paesi Bassi hanno ufficialmente imposto restrizioni simili nei confronti di Zagabria. Le orme di Amsterdam saranno presto ufficialmente calcate però anche da Berlino, Londra, Vienna, e forse appunto Lubiana, dove nel consiglio dei ministri della settimana prossima la legge di “blocco” dovrebbe essere adottata e poi passata all’esame del Parlamento per una rapida approvazione.

Altri stati membri non vedono invece alcun pericolo nell’aprire le frontiere ai cittadini di Zagabria in cerca d’impiego. Ultimo in ordine cronologico, l’Irlanda, che ha assicurato che non sceglierà la via del “regime transitorio” dato che vari studi segnalano «la bassa propensione» dei croati «a emigrare» in cerca di lavoro. Dublino è così entrata nel club dei membri Ue meno preoccupati per “un’invasione” da Zagabria. Un club ristretto, formato per ora da Cechia, Slovacchia, Danimarca, Finlandia, Estonia e Lituania.

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Croazia in UE, Slovenia chiude mercato lavoro per 2 anni 

www.ansa.it 7 giugno 2013 - La Slovenia limiterà l’accesso al suo mercato del lavoro per un periodo transitorio di due anni ai cittadini della Croazia, che il primo luglio entrerà in pieno nell’Unione europea. Lo ha annunciato il ministro del Lavoro sloveno Anja Kopac, precisando che il governo ha inviato al parlamento il relativo ddl, che dovrebbe essere approvato prima dell’ingresso di Zagabria nella Ue. La moratoria è prevista dal Trattato di adesione della Croazia come opzione per tutti i Paesi dell’Ue. La decisione slovena comporta che i croati, sebbene cittadini europei, per lavorare regolarmente in Slovenia dovranno ottenere un permesso di lavoro identico a quello previsto per i cittadini di Paesi non comunitari.

Il ministro ha spiegato che il governo ha deciso di attivare il diritto alla moratoria “per l’alto tasso di disoccupazione in Slovenia, dettato dalla difficile situazione economica”. “I senza lavoro sono molti anche nella vicina Croazia, e solo nelle regioni limitrofe alla Slovenia ce ne sono circa 100 mila”, ha aggiunto Kopac, spiegando che si tratta di “una decisione razionale che mira a dare la priorità ai disoccupati sloveni, e non è in nessun modo diretta contro la Croazia”. Il tasso di disoccupazione in Slovenia ha raggiunto il 13 per cento, mentre in Croazia i senza lavoro sono 330 mila, pari al 20 per cento della forza lavoro.

Zagabria, in base al principio di reciprocità, ha diritto a introdurre la stessa limitazione per i cittadini sloveni. I Paesi membri dell’Ue possono chiudere il proprio mercato del lavoro ai croati per un periodo transitorio fino a un massimo di sette anni. Secondo al stampa di Zagabria, simili limitazioni per i croati varranno anche nel Regno Unito, in Austria e in Germania, in quest’ultimo Paese con l’eccezione dei professionisti con laurea e i lavoratori stagionali. La Francia starebbe ancora valutando se introdurre o meno la moratoria, mentre non ci saranno limitazioni per i croati in Danimarca, Finlandia, Estonia e Lituania.

Nei giorni scorsi il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha inviato una lettera al presidente del Consiglio, Enrico Letta, invitandolo a esaminare la questione dell’ingresso della Croazia nell’Unione Europea, preoccupato delle conseguenze che questo potrà avere sul piano del mercato del lavoro, in particolare in Veneto.





SINDACATI DI REGIME

Croazia, celebrazione sindacati italiani croati e sloveni 

ANSA 21 giugno 2013 - I sindacati italiani, croati e sloveni, riuniti nei due Consigli Sindacali Interregionali (C.S.IR.) Friuli Venezia Giulia/Veneto/Croazia Sudoccidentale e Friuli Venezia Giulia/Slovenia Nord Est si troveranno giovedì 27 giugno 2013 in un doppio appuntamento sui confini italo-sloveno di Rabuiese e sloveno-croato di Castelvenere, per celebrare l'ingresso della Croazia nell'Unione europea.
La giornata prevede momenti celebrativi e conferenze stampa, saranno sottolineate le ragioni della storica importanza dell'ingresso della Croazia nell'Unione europea.




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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
http://www.facebook.com/cnj.onlus/

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19 Giugno 2013
di Pascual Serrano | da www.rebelion.org
traduzione a cura di Marx21.it

I paesi dell'Unione Europea, non dimentichiamo premiata con il Nobel della Pace, non hanno sostenuto il 13 giugno al Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU, a Ginevra, la risoluzione sulla promozione del diritto alla pace, patrocinata da sedici paesi membri del Consiglio.

In totale, la proposta è stata appoggiata da trenta paesi, la maggioranza del Terzo Mondo, mentre le nazioni europee, insieme a Stati Uniti, Giappone e India si sono astenute (8) o hanno votato contro (9). Tra gli europei astenuti Polonia e Italia, oltre alla Svizzera che non appartiene all'UE. La Spagna, insieme a Germania, Repubblica Ceca e Austria, ha votato No.

La risoluzione è un'iniziativa di Cuba, in seguito assunta dalla Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC), che, per raccogliere il maggior consenso possibile, si limita a chiedere che si collabori con il gruppo di lavoro e un comitato consultivo già esistente perché, mediante la consultazione con gli Stati membri, la società civile, il mondo accademico e tutti gli altri operatori di rilievo, si prepari un progetto di Dichiarazione sul Diritto dei popoli alla pace.

Il citato Comitato Consultivo ha presentato lo scorso anno un progetto di dichiarazione che raccoglie la maggior parte dei suggerimenti ricevuti da esperti, governi e società civile. Questo comitato ha suggerito di cambiare la formulazione originale “Diritto dei popoli alla pace” con la più breve “Diritto alla pace”, considerandola più opportuno in quanto permette di includere tanto la dimensione individuale quanto quella collettiva di tale diritto. Ad opinione di Micol Savia, rappresentante nel Consiglio dei Diritti Umani dell'Associazione Internazionale dei Giuristi (link), “il progetto supera la tendenza restrittiva a considerare la pace principalmente come un diritto collettivo e a metterla in relazione esclusivamente con temi come guerra e disarmo. Il diritto alla pace è un diritto inerente a tutti gli esseri umani senza alcuna distinzione o discriminazione” (art. 1). E la pace non è solo assenza di violenza: 'ogni persona ha diritto a vivere senza paura e senza miseria' e 'vivere senza miseria implica il godimento del diritto allo sviluppo sostenibile e ai diritti economici, sociali e culturali' (art. 2)”.

Secondo Savia, “la Dichiarazione si occupa di varie questioni relative alla pace e alla sicurezza internazionale (disarmo, educazione e realizzazione della pace, diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare, imprese militari e di sicurezza privata, resistenza e opposizione all'oppressione, conservazione della pace, ecc.). Ma, riconoscendo che 'la disuguaglianza, l'esclusione e la povertà generano violenza strutturale che è incompatibile con la pace e devono essere eliminate', il testo include anche standard di pace in ambiti come sviluppo, ambiente, rifugiati e migranti, ecc”.

Quando nel giugno del 2012 il Comitato Consultivo presentò il progetto al Consiglio dei Diritti Umani, la grande maggioranza degli Stati e la società civile reagirono con entusiasmo. L'UE si limitò a prendere nota, ribadendo la sua posizione di non includere il diritto alla pace nel diritto internazionale.

Il progetto votato lo scorso 13 giugno conta sull'appoggio di numerose organizzazioni della società civile, capeggiate dalla Fondazione Pace senza Frontiere (link) copresieduta dal cantante spagnolo Miguel Bosé e dal colombiano Juanes. Lo stesso Bosé ha partecipato a una manifestazione pubblica organizzata dai paesi latinoamericani nel Consiglio. In una conferenza stampa a Ginevra ha affermato di non capire perché esistano nazioni che resistono al fatto che la pace venga codificata come un diritto umano, quando rappresenta insieme alla sicurezza la garanzia fondamentale per lo sviluppo, uno dei quattro fondamenti del lavoro delle Nazioni Unite (link).

A parere della Missione Permanente di Cuba a Ginevra (link), “in un mondo in cui determinate potenze promuovono guerre e interventi in varie regioni, risulta imprescindibile la codificazione del diritto alla pace, che costituisce la condizione fondamentale per la fruizione di tutti i diritti umani, in particolare il diritto alla vita. In virtù della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, ogni persona ha diritto ad un ordine in cui tutti i diritti possano essere pienamente realizzabili. La pace, senza alcun dubbio, è una componente essenziale di questo ordine”.

Ci si attende che il gruppo di lavoro, presieduto dal Costa Rica, concluda i suoi lavori nel 2014 affinché il progetto di dichiarazione possa essere approvato nel Consiglio dei Diritti Umani e, in seguito, dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite

Fonte: www.publico.es



(srpskohrvatski / francais / italiano)

Il TPIJ dell'Aia assolve spie e servi della NATO

A seguito della recente assoluzione della famigerata coppia Stanisic-Simatovic, che hanno reso in passato i loro servigi al "Tribunale ad hoc" testimoniando contro Milosevic, si apre la polemica sugli agenti segreti al servizio dell'Occidente che ricevono trattamenti di favore da parte del "Tribunale". Il giudice danese Harhoff ha accusato il presidente  Meron di avere "effettuato pressioni sui suoi colleghi". Harhoff sospetta che gli ordini a Meron siano arrivati dall'establishment militare americano e israeliano.
Sul carattere illegittimo, servile e fazioso del "Tribunale ad hoc" si veda anche la documentazione raccolta al nostro sito: https://www.cnj.it/MILOS/testi.htm


1) Giudice Harhoff accusa: “assoluzioni su pressioni Usa-Israele” / 
Haški sudac Harhoff: Natjerali su nas da oslobodimo ratne zločince Gotovinu i Markača! / 
Acquittements en série au TPIY : une justice sous influence ?

2) FLASKBACK - TPI : Comment la France a défendu ses « amis » inculpés par la justice internationale
Les cas Gotovina, Perišić, Stanišić, Simatović, Legija... (2011)

3) ЧАСНИ ВИТЕЗ ИЛИ ПРОВОКАТОР? (Скандал у Међународном трибуналу за бившу Југославију)
Александар МЕЗЈАЈЕВ - srb.fondsk.ru

4) Amerikanci minimalno špijuniraju srpski internet, hrvatski i kosovski češće
(i casi di Stanisic, Perisic, e degli altri al servizio degli USA)


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TPI ex Jugoslavia: per giudice “assoluzioni su pressioni Usa-Israele”

www.ansa.it - 13 giugno 2013

Attraverso una lettera confidenziale inviata a una cinquantina di colleghi, pubblicata a stralci dal quotidiano di Copenhagen BT, un giudice danese in servizio al Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, Frederik Harhoff, ha duramente criticato la Corte dell’Aja in relazione a recenti controverse sentenze d’assoluzione, in primis quelle del generale croato Ante Gotovina e del serbo Momcilo Perisic, dovute alle pressioni di Usa e Israele, in vista di futuri processi in cui sono coinvolti esponenti dei due Paesi.

BT riporta passaggi in cui il giudice sostiene che ‘‘alcuni verdetti’’ del Tpi hanno provocato in lui ‘‘profondi dilemmi morali e professionali, mai sperimentati prima’’. ‘‘Il peggiore’’, continua la missiva ‘‘riguarda il sospetto che alcuni miei colleghi’’ ‘‘siano stati esposti a pressioni politiche perché indirizzassero verso l’assoluzione alcuni processi-chiave come quello di appello contro Gotovina e quello contro il generale serbo Perisic’’. Pressioni, scrive Harhoff, operate dall’ “establishment militare di alcune potenze straniere, Usa e Israele in testa’’. Nella missiva, riporta il tabloid danese, Harhoff specifica inoltre che ‘‘l’opinione pubblica non saprà mai dei sospetti circolanti al Tpi sulle presunte sollecitazioni per la liberazione dei due ex alti ufficiali esercitate da parte del giudice americano Theodor Meron, presidente del Tpi. Meron che, nel caso di Gotovina, avrebbe saputo ‘‘persuadere all’ultimo minuto l’anziano giudice turco (Mehmet Guney, nda) a cambiare opinione’’ sulla colpevolezza di Gotovina, sovvertendo così la sentenza.

Sentenze, quelle di assoluzione nei confronti di Gotovina e Perisic, che avrebbero così creato un ‘‘precedente’’ importante nel caso di futuri processi internazionali contro alti leader militari ‘‘americani (e israeliani) che potranno tirare un sospiro di sollievo’’. Harhoff, infine, ha criticato anche le ‘‘presunte pressioni di Meron sul giudice Alphons Orie in relazione alla recente sentenza di assoluzione’’ che ha rimesso in libertà due alti papaveri dei servizi di sicurezza serbi, Jovica Stanisic e Franko Simatovic, sospettati di aver coordinato e coadiuvato l’azione dei paramilitari di Belgrado in Croazia e in Bosnia. Per Harhoff, il mutamento di rotta del Tpi sarebbe avvenuto nel 2012 ‘‘stravolgendo la consuetudine di considerare i comandanti militari in servizio al tempo della guerra nell’ex Jugoslavia responsabili dei crimini di guerra compiuti dai loro sottoposti’’.

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http://www.index.hr/vijesti/clanak/haski-sudac-harhoff-natjerali-su-nas-da-oslobodimo-ratne-zlocince/683169.aspx

Haški sudac Harhoff: Natjerali su nas da oslobodimo ratne zločince Gotovinu i Markača!

Piše: P.V.
četvrtak, 13.6.2013.

KLJUČNI PODACI
• Haški sudac Harhoff tvrdi da je predsjednik suda Meron vršio pritisak
• Harhoff tvrdi da su suci bili prisiljeni oslobađati ratne zločince

HAŠKI sud ne dijeli pravdu, već provodi političke odluke, napisao je Frederik Harhoff, jedan od sudaca na međunarodnom tribunalu u Haagu, u pismu svojim kolegama. Sadržaj pisma objavio je danski dnevni list BT. 
U pismu se Harhoff posebno osvrnuo na nedavne oslobađajuće presude Anti Gotovini, Mladenu Markaču, Momčilu Perišiću, Franku Simatoviću i Jovici Stanišiću. "To je protivno svakoj vrsti pravde", napisao je Harhoff referirajući se na oslobađajuću presudu hrvatskim generalima Gotovini i Markaču. 

"Amerikanac Meron vršio pritisak na suce da oslobode Gotovinu"

"Američki predsjednik Haškog suda Theodor Meron vršio je pritisak na svoje kolege u slučajevima Gotovine i Perišića. Bilo mu je jako stalo da dođe do oslobađajuće presude i imao je sreće kada je u zadnji čas uspio nagovoriti ostarjelog turskog suca da promjeni mišljenje", piše Harhoff. 
"Ostarjeli turski sudac" na kojeg se Danac poziva je Mehmet Guney, 77-godišnjak koji je glasao da se Gotovinu i Markača oslobodi. Podsjećamo, do oslobađajuće presude hrvatskim generalima došlo se preglasavanjem; troje sudaca bilo je za (Meron, Guney i Patrick Robinson), a dvoje protiv (Fausto Pocar i Carmel Agius). 
"Recentne presude izazvale su kod mene duboku profesionalnu i moralnu dilemu, koju nisam do sada iskusio. Najgora od svega je sumnja da su neki moji kolege izloženi političkom pritisku. To sasvim mijenja premisu moga posla, koji bi trebao služiti principima razuma i pravde", piše Harhoff. 

Pritisak iz SAD-a i Izraela?

U svom dramatičnom pismu danski sudac ističe da su haški suci prisiljeni svjesno puštati ratne zločince na slobodu. Kao izvor takvih pritisaka Harhoff je istaknuo predsjednika suca, Amerikanca Merona, koji je bio šef sudskog vijeća koje je oslobodilo Gotovinu i Markača. 
"Čini se da se vojni establišment u moćnim državama poput SAD-a i Izraela prestrašio da se Haški sud previše približava najviše rangiranim vojnim dužnosnicima. Jesu li izraelski ili američki dužnosnici izvršili pritisak na američkog predsjednika Haškog suda da promjeni tijek sudskih postupaka?", pita se Harhoff u svom pismu.

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http://balkans.courriers.info/article22728.html


Sense Agency
Mise en ligne : lundi 17 juin 2013

Acquittements en série au TPIY : une justice sous influence ?


Traduit par Stéphane Surprenant


Le Tribunal pénal international, machine à acquitter ? Oui, et pas sans raison. Les USA et Israël auraient fait pression sur le TPIY, craignant que l’extension du principe de responsabilité de commandement ne crée un précédent universel... C’est ce qu’écrit le juge danois Frederik Harhoff, qui met nommément en cause le président du Tribunal, Theodor Meron.


Le juge Frederik Harhoff s’étonne des changements intervenus dans le fonctionnement et la jurisprudence du Tribunal, craignant qu’ils ne soient le résultat de pressions exercés par les milieux militaires de pays très influents, à savoir les États Unis et Israël.

Les « instances militaires » de ces pays auraient estimé que la jurisprudence créée par le TPIYl dans l’application du principe de la responsabilité du commandement allait trop loin, et que cela pouvait mettre en péril leurs propres militaires dans de tout autres régions que dans les Balkans, explique le juge Harhoff.

Le juge évoque ces soupçons dans une lettre privée envoyée à 56 de ses collègues et amis. Cette lettre est parvenue dans les bureaux du quotidien de Copenhague BT. Le journal a publié la lettre dans sa totalité à la une, estimant que les questions abordées dans la lettre étaient « sans aucun doute d’intérêt public ».

Les récents jugements ayant mené à l’acquittement des généraux Gotovina, Markač et Perišić, ainsi que des deux anciens chefs de la police secrète serbe Stanišić et Simatović, « ont provoqué un profond dilemme professionnel et moral » chez le juge Harhoff, d’une ampleur à laquelle il n’avait jamais été confronté auparavant. Le pire, affirme le juge Harhoff dans sa lettre, ce sont les « soupçons qui planent sur certains de mes collègues, qui auraient cédé à des pressions politiques à courte vue. Cela transforme complètement les postulats qui fondent mon travail au service des principes de justice et de raison ».

Dans sa lettre, le juge Harhoff pense que personne « ne saura probablement jamais » si ses soupçons sont vrais. Il craint que le Président américain du Tribunal n’ait exercé une forte influence sur Mehmet Guney, le « juge turc vieillissant », pour qu’il change d’idée à la dernière minute et se joigne à la petite minorité qui estimait que l’acquittement des généraux Gotovina et Markac était justifié.

Frederik Harhoff assure que, d’après ses conversations avec des collègues dans les « couloirs du Tribunal », il avait appris que le président Meron avait exercé des pressions sur le juge Orie afin qu’il rende son jugement contre les policiers Stanišić et Simatović avant la fin du mois de mai 2013 et le discours de Theodor Meron au Conseil de sécurité de l’ONU. Aussi, la Cour n’aurait pas eu le temps nécessaire pour examiner en détails la preuve de la culpabilité des accusés. Comme le raconte le juge Harhoff, le juge Picard, dont l’avis a été battu par la majorité des voix à la Cour, n’avait eu que quatre jours pour élaborer une opinion dissidente et expliquer pourquoi l’accusé aurait plutôt dû être jugé coupable et condamné.

Il reste à voir si la lettre du juge Harhoff ébranlera le Tribunal et si oui, de quelle manière. Des collègues appuieront-ils ses dires ? Plusieurs juges ont déjà exprimé des inquiétudes sur la nouvelle façon de faire du Tribunal, mais seulement dans les « couloirs » du TPIY...


=== 2 - FLASHBACK ===


Mediapart / Le Courrier des Balkans

TPI : Comment la France a défendu ses « amis » inculpés par la justice internationale


Une enquête de Jean-Arnault Dérens et Laurent Geslin

Mise en ligne : mardi 19 avril 2011
Les carnets du général Rondot, l’ancien coordinateur des services de renseignements, révèlent comment la France essaya de protéger Ante Gotovina, ancien légionnaire et ancien braqueur, devenu général croate. Ces carnets montrent aussi comment Paris accorda sa protection à d’autres acteurs des « sales guerres » yougoslaves, au nom des « services » qu’ils auraient rendu. Parmi ces « amis de la France », on retrouve Momčilo Perišić, Jovica Stanišić et même Milorad Ulemek « Legija »...


Avant même que le général serbe Momčilo Perišić ne soit inculpé, les autorités françaises se préoccupaient d’organiser sa défense devant le Tribunal de La Haye ! L’homme aurait en effet joué un rôle crucial dans l’affaire de la libération des pilotes français pris en otage en Bosnie en 1995.

Dans les notes du général Rondot, un autre inculpé du TPIY est cité à plusieurs reprises : le général Momčilo Perišić. Lorsque la guerre éclata, en 1991, ce Serbe dirigeait l’École d’artillerie de l’Armée populaire yougoslave à Zadar, en Croatie. En janvier 1992, il fut nommé commandant du 13e régiment de Bileća de l’Armée de la Republika Srpska de Bosnie-Herzégovine, basé à Mostar. Surnommé par la presse nationaliste serbe le « chevalier de Mostar », il participa activement au siège de la capitale de l’Herzégovine, ce qui lui valut d’être inculpé par le TPIY de crimes contre l’humanité et violations des lois et coutumes de la guerre. Entre temps, le général était revenu en Serbie, où il a poursuivi sa carrière militaire, comme commandant du IIIe Corps d’armée de Niš, puis chef d’État-major. A ce titre, c’est l’officier serbe le plus gradé à avoir été inculpé par la justice international.

Cette affaire des pilotes se trouve en effet au cœur des « relations troubles » établies par la France avec plusieurs inculpés de haut rang du TPIY. Le 30 août 1995, alors que le siège de Sarajevo touche à sa fin et que les forces croates et bosniaques ont déjà reconquis de larges secteurs du territoire bosnien occupé par les forces serbes, le Mirage 2000 du capitaine Frédéric Chiffot et du lieutenant José Souvignet est abattu au-dessus de la Bosnie. Les deux militaires parviennent à s’extraire de l’appareil et sont détenus durant quatorze semaines par les forces serbes. Les négociations qui permirent leur libération furent menées par Jean-Charles Marchiani, qui a rencontré Slobodan Milošević et Radovan Karadžić, faisant des promesses au contenu toujours inconnu en échange de la libération des deux hommes.Le 23 février 2005, « l’affaire Perišić » va beaucoup occuper le général Rondot. A 20 heures, il reçoit un coup de téléphone de Philippe Marland, l’avertissant de l’inculpation du général. Ou plus exactement de l’inculpation imminente. En effet, l’acte d’accusation initial n’a été établi que le lendemain, le 24 février, et rendu public seulement le 7 mars. Philippe Marland est néanmoins informé de l’imminence de cet acte d’accusation. Philippe Rondot note que le directeur de cabinet a reçu Samuel Pisar, qui lui a certainement communiqué ces précieuses informations. Survivant du Ghetto de Varsovie, avocat franco-américain, Samuel Pisar joue fréquemment ce rôle « d’intermédiaire » entre La Haye et les autorités françaises. En tout cas, les conclusions que tire Rondot sont énergiques : il « faut assurer la défense, devant le TPIY, du Gal Perišić. Et il évoque « un dossier laissé avec des témoignages de satisfaction de la DGSE au Gal Perišić », renvoyant à « Casques bleus otages en Bosnie. Affaire des pilotes ».


Jovica Stanišić, un agent multi-carte ?

Jovica Stanišić a intégré les services secrets yougoslaves dès la fin de ses études. Il aurait fait ses premières armes en jouant un rôle actif dans le piège tendu au fameux terroriste Ilich Ramírez Sánchez, alias Carlos, arrêté dans l’hôtel Métropol de Belgrade en 1975, mais presque aussitôt relâché par les autorités yougoslaves. Il joua ensuite un rôle essentiel dans la prise de pouvoir de Slobodan Milošević, facilitant, tout au long des années 1980, sa montée en puissance au sein des structures de la Ligue des communistes de Serbie.Dès le 27 juin 2003, une réunion chez Philippe Marland permet de faire le point sur les dossiers concernant les criminels de guerre, et le général Rondot note le « souci du DIRCAB » : « affaire des pilotes->rôle de JC.Marchiani ? ». Le 24 février 2005, le général Rondot s’inquiète également du sort du général Jovica Stanišić, ancien chef de la Sécurité d’État serbe (DB), un homme clé du système Milošević, inculpé par le TPIY et arrêté par les autorités serbes le 13 mars 2003. Il note que Philippe Marland lui remet « le dossier du Gal Stanišić (mis en accusation devant le TPIY) transmis par Samuel Pisar pour témoignage de services rendus->demander des éléments d’appréciation à la DGSE ». L’informateur, Samuel Pisar, est le même que dans le cas du général Perišić.

Par la suite, dans les années 1990, les agents de Stanišić jouèrent un rôle essentiel pour diviser l’opposition démocratique. En somme, quand Milošević guerroyait en Croatie et en Bosnie, Stanišić avait la haute main sur les affaires « intérieures », en pilier essentiel à la stabilité du régime. Avec son complice Franko Simatović, dit « Frenki », il s’occupa aussi de la fourniture en armes des nationalistes serbes de Croatie et de Serbie. C’est également lui qui assurait le lien avec les réseaux criminels qui contribuèrent directement au financement du régime, notamment le « clan de Zemun », acteur majeur du trafic de l’héroïne à l’échelle européenne.

L’étoile de Stanišić aurait commencé à faiblir à Belgrade dès 1995, après la conclusion des accords de Dayton. L’homme clé de la Sécurité d’État était notamment en butte à l’hostilité ouverte de Mira Marković, l’influente épouse du dictateur. Il aurait néanmoins contribué à des négociations secrètes, en 1998, entre le régime de Milošević et les Albanais du Kosovo.

La chute du maître de Belgrade, en octobre 2000, ne remit pas directement en cause sa position. L’homme connaissait trop de dossiers pour que les nouveaux dirigeants démocratiques serbes puissent le mettre sur la touche. Avant même la révolution, il aurait d’ailleurs commencé à pactiser secrètement avec Zoran Djindjić, le chef du Parti démocratique. Ce dernier aimait à dire que Jovica Stanišić « avait des amis au paradis et en enfer » .

Après son arrestation, en 2003, Jovica Stanišić a assuré qu’il aurait collaboré avec la CIA américaine, tout au long de ses années passées à la tête de la DB. Il n’a jamais publiquement évoqué les liens qu’il aurait pu entretenir avec les services français, mais notre pays a sûrement, lui aussi, « des amis au paradis et en enfer ».

Au nom des « services rendus » par plusieurs figures du régime Milošević, la France se trouve donc être « moralement débitrice » de plusieurs inculpés du TPIY. Les plus hautes sphères de l’État se préparent donc à organiser leur défense. On est bien loin de la « coopération pleine et entière avec la justice internationale », que la France officielle réclame de la part des États des Balkans...


Les anciens de la Légion

Tout au long de l’année 2003, le général Rondot fait état de demandes de renseignements émanant de Belgrade. Le 17 octobre, il précise que « MAM va en parler au MI » (ministre de l’Intérieur, à savoir Nicolas Sarkozy), ajoutant « traiter ce dossier avec la DST ». Le 30 octobre, l’affaire prend de l’ampleur : le ministre de l’Intérieur « n’était pas au courant de la demande serbe », alors que le Président aurait été informé. Rondot précise : « Ph.Marland en parlera à M.Guéant », alors directeur de cabinet de Nicolas Sarkozy. On ignore toujours quelles informations la France pouvait communiquer à la Serbie sur Milorad Ulemek, dit Legija. Beaucoup d’autres anciens Légionnaires ont également été impliqués dans les conflits yougoslaves. L’un des plus célèbres d’entre eux, Milorad Ulemek, justement surnommé « Legija », fut le commanditaire du meurtre du Premier ministre démocrate Zoran Djindjić, abattu à Belgrade le 12 mars 2003. Ulemek s’est engagé dans la Légion le 10 avril 1986, à l’âge de 18 ans. Il a servi au Tchad, à Beyrouth et en Irak durant la première guerre du Golfe, mais n’aurait pas effectué le temps de service lui permettant de prétendre à la nationalité française. Il revient également au pays au début des guerres yougoslaves, mais naturellement côté serbe. Il prit en 1996 la tête des « Bérets rouges », les Unités spéciales de la police serbe, qui se rallièrent à l’opposition démocratique en octobre 2000, au moment de la chute de Milošević, avant d’entrer en conflit avec le gouvernement de Zoran Djindjić.



=== 3 ===

http://www.beoforum.rs/forum-prenosi-beogradski-forum-za-svet-ravnopravnih/493-casni-vitez-ili-provokator.html

http://srb.fondsk.ru/news/2013/06/19/chasni-vitez-ili-provokator-skandal-u-medzhunarodnom-tribunalu-za-bivshu-iugoslaviiu.html



ЕЛЕКТРОНСКО ИЗДАЊЕ

19.06.2013 | 08:56

Александар МЕЗЈАЈЕВ
srb.fondsk.ru

ЧАСНИ ВИТЕЗ ИЛИ ПРОВОКАТОР? (Скандал у Међународном трибуналу за бившу Југославију)


У Међународном трибуналу за бившу Југославију је 13.јуна дошло до још једног скандала, али овога пута – уз учешће судије.[1] Званична прича је следећа. Судија Фредерик Хархоф[2] из Данске написао је мејл, у коме је својим пријатељима испричао тужну причу. Тужна  прича је у томе, да председник МТБЈ Т.Мерон врши врло јак притисак на рад судија Трибунала како би их натерао да донесу одлуку о невиности више лица. Ради се о невиности Готовине и Маркача, генерала М.Перишића, као и Ј.Станишића и Ф.Симатовића. Судија Ф.Хархоф сматра да тај притисак амерички судија врши како би  променио постојећу праксу МТБЈ јер је постојећа,  како он сматра, постала превише опасна за америчка и израелска војна лица. Судија не објашњава у чему је та опасност, али  његова идеја може да се схвати: пресуде МТБЈ се последњих година разматрају као   преседани. Зато оне у будућим могућим процесима против војних лица наведених земаља могу да се користе као правне норме.

Судија Хархов је растужен толико да је писмо завршио следећим речима: „Последње пресуде су ме довеле у дубоку професионалну и моралну  дилему коју никада до тог тренутка нисам осећао.“[3]

Треба да се призна да је наведено писмо овог судије МТБЈ стварно већ само по себи скандалозно. Али у том скандалу има и много вештачког и неприродног, што тера да се размисли о стварним разлозима и циљевима које је оно требало да постигне.

Прво, сама чињеница слања наведеног писма је врло зачуђујућа. Тешко је и помислити да судија Хархоф није схватао да,  слањем својим пријатељима информације о противправним поступцима председника Трибунала,  он крши унутрашње корпоративне прописе. Моралан човек би започео борбу са самим Мероном, а не би кришом причао лицима са стране о томе шта се дешава. Тешко је поверовати и да је судија Хархоф толико наиван  да је био сасвим сигуран да једно такво писмо неће доспети у руке јавности. Уосталом, то је тим интересантније, што је већ постојао један скандал који је имао везе са саопштењима у светским медијима о томе колико су приватне информације обичних људи на интернету доступне тајним службама.[4] Пажња  треба да се поклони и томе, да је писмо Хархофа усмерено не само против председника Мерона већ и против других судија МТБЈ који нису могли или нису хтели да се супротставе његовом притиску (Турчина М.Гунеја, Холанђанина А. Орија и низа других). Најзад, неопходно је и да се схвати да је, у ствари, писмо Хархофа усмерено не толико против појединца, колико против држава. Јер Хархоф директно пише да циљ Мероновог притиска представља покушај да се заштите војна лица САД и Израела.[5]

Ако се то све зна, тешко је поверовати  да писмо судије  Хархофа представља његову омашку. Све говори да је оно написано управо како би било растурено. Осим  тога – „растурено“ лично писмо  представља идеалан начин да не може  да се сматра ни за какав доказ... Па какви су то, у конкретном случају, стварни циљеви организовања скандала? Нама се чини да се највероватније ради о руковођењу Међународним трибуналом за бившу Југославију. У Трибуналу и изван њега постоје снаге које не желе да дозволе да Т.Мерон буде реизабран за још један  период, обзиром да  су избори предвиђени за крај ове године. У вези са тим треба обратити пажњу на чињеницу да је Т.Мерон већ биран за председника МТБЈ други пут. Та чињеница је сама по себи необична. Јер МТБЈ има 18 судија, и сви они имају право да претендују за место председника.[6] Међутим, поново бирају Мерона који је већ био председник у периоду 2003. – 2005.година. Зашто? Зар међу тих 18 судија нема ни једног достојнијег од Мерона, те њега морају  да „нам  га врате  опет, да управља нама, неразумнима“?

Ако се поглед како је вршен избор руководиоца МТБЈ, може се запазити јасно смењивање представника Европе и Америке. Место председника МТБЈ су заузимали представници следећих земаља, по овом реду: Италија, САД, Француска, САД, Италија, Јамајка, САД. И сада су опет  нови избори на којима Мерон жели да остане на свом досадашњем месту. Јасно је да се то не свиђа свим државама, посебно оним, ко би требало да се у складу са ротацијом Европа - САД нађу на том месту,   установљеном  двадесетгодишњим  постојањем.[7] Не може, а да се не примети да се  поновни избор Мерона на место председника МТБЈ поклапа са његовим постављењем и на место председника Међународног механизма за преостале предмете  међународних кривичних трибунала (МОМУТ).[8] При том ћемо подвући  – Мерона нису изабрали, већ баш поставили, и то постављење је извршио лично генерални секретар УН Бан Ки Мун. Зато не можемо, а да не закључимо да је некоме врло важно да и МТБЈ, и МОМУТ  води управо судија Мерон.

Постоји још једна чињеница која говори у корист тога да писмо судије Ф.Хархофа представља само добро организован повод за скандал. То је   аргументација писма. Хархоф тврди да је као разлог за притисак на друге  судије Мерон изабрао концепцију „директне намере  за чињење злочина“. Међутим, та концепција представља основни принцип кривичног права и ту нема ничег новог. Сумњиво ј друго: Хархоф је помешао   три потпуно различите ствари, као да је једна: предмет Готовина и други, предмет Перишић и предмет Станишић – Симатовић. Како он тврди – разлог оправдања у сва три поступка је то, да је трибунал увео сасвим нову концепцију „директне намере“ (specific direction). А то нема везе!

Прво, концепција „директне намере“ у МТБЈ је почела да се користи још у поступку против Тадића, када Мерон још није био у Трибуналу. После тога је коришћена у пресудама по предметима Купрешкића, Васиљевића, Благојевића  и Јокића. Коришћена је и у Међунродном трибуналу за Руанду и у Специјалном суду за Сијера Леоне. И – најинтересантније – коришћена је и у пресуди по предмету М.Станишића и Жупљанина, односно – користио је лично Хархоф![9] Значи, треба да се утврди у чему су се састојали радикални разлози за ослобађајуће пресуде оптуженим. Они су очигледни. Разлог за ослобођење Перишића су биле његове везе са америчком обавештајном службом. А разлог за ослобођење Готовине је потреба да се хрватске власти оправдају за  масовне злочине против Срба уопште и Републике Српска Крајина конкретно. Да се то није десило – то би стварно представљало противуречност са већ формираном праксом МТБЈ! А последице би биле озбиљније.

Што се тиче брзог завршетка предмета Станишић – Симатовић – и за то постоји образложење. За МТБЈ је од изузетне важности да продужи свој живот што је могуће више, и због тога је неопходно да се обезбеди подношење приговора у вези са овим предметом до 1.07 2013. У том случају ће  апелациони суд МТБЈ наставити да постоји,   радиће  још неколико година, и то  истовремено са МОМУТ-ом који,  ко бајаги, треба да заврши незавршене послове МТБЈ. У ствари, МТБЈ (макар и у облику „само“ његовог Апелационог суда) ће постојати паралелно са МОМУТ-ом. Ето како се вешто изврдава идеја  о „скорашњем престанку рада МТБЈ“!

Осим тога, брзи вердикт у предмету Станишић – Симатовић је био врло згодан за Т.Мерона пред његово извештавање Савету безбедности УН. И – треба да се призна – он је успео: успело му је да обмане руску дипломатију која га је похвалила због ослобађајуће пресуде. Сада ће тај предмет да се разматра у Апелационом суду (на чијем је челу – опет – овај исти Т.Мерон) и после свих похвала које је добио вердикт слободно може да се у потпуности преиспита.

Све у свему- писмо судије Хархофа изгледа очигледно намештено и неискрено. Сама лексика писма и организација текста показују да писмо није писано за стручна лица, већ за јавност (тако, на пример, у писму се објашњавају ствари које сви стручњаци добро знају, али за широке масе је потребно посебно објашњење). Не можемо а да не скренемо пажњу и на цинизам писма: политички притисак у МТБЈ је познат још откако он постоји, а Хархоф свој текст гради тако, да се понашање Мерона представи као нешто врло необично и као да се тек сада први пут десило. А ништа није тако. Можемо да се присетимо како је тадашњи председник МТБЈ А.Касезе, и он кршећи Статут, протерао концепцију „заједничких злочиначких дејстава“. И Хархоф је свим оним,  што се до сада дешавало у Трибуналу,  био потпуно задовољан: и потпуним ослобођењем НАТО-а због бомбардовања Југославије, и потпуним ослобођењем од одговорности Харадинаја и његових саучесника, потпуним оправдањем Делића и Халиловића, потпуним ослобођењем лица која су организовала убиства најмање три окривљена у затвору МТБЈ и суђењем по очигледно лажним оптужницама. Ништа од тога за Хархофа није представљало ни професионалну, ни моралну дилему!

Тако да у искреност Хархофа може да поверује само стварно наиван човек. Политички притисак у МТБЈ је уобичајена ствар и уопште није нова. Једино што бисмо хтели да сазнамо какве је то тачно начине притиска користио Мерон како би судије МТБЈ натерао да гласају онако, како му је требало. И не само да гласају, већ да то образложе на више стотина страница. Стварно, хајде да размислимо: чиме је то било могуће натерати „уважене и искусне судије“  да они, обзиром да су сигурни у кривицу оптуженика, одлучeда оптужене ослободе кривице и да их отпусте директно из суднице?..



[1]
 Раније су скандале правили главни тужиоци (К.дел Понте) и секретари за штампу (Флоранс Хартман), које су написале раскринкавајуће књиге, као и творац Викиликса Џ.Асанж објављивањем шифрованих порука амбасаде САД  које су се тицале рада Хашког трибунала.

[2] Ф.Хархоф је у овом  тренутку судија на процесу против В.Шешеља. Пре тога је био један од судија у већима на процесима М.Станишићу и С.Жупљанину.

[3]The latest judgements here have brought me before a deep professional and moral dilemma, not previously faced. Потпуни текст писма судије Хархофа: http://www.bt.dk/sites/default/files-dk/node-files /511 /6/ 6511917 -letter -english.pdf

[4] Погл. например: http://www.ft.com/cms/s/0/87532b6a-d085-11e2-a050-00144feab7de.html#axzz2WHoMJvBp.

[5] Спомињање Израела има везе са чињеницом да је Т.Мерон постао амерички држављанин тек 1978 г, пошто је у САД емигрирао из Израела. До тада је он радио у израелском МИП-у. Мада му то, уосталом, уопште није представљало сметњу да после „емиграције“ почне да ради у стејт департменту САД.

[6] Осим тога, у саставу МТБЈ  су судије ad litem, које поседују мањи број права и не могу да се нађу у руководству МТБЈ. Судија Хархоф је један од њих.

[7] Детаљније о борби између англосаксонских и европских кланова у МТБЈ – погл. Књигу К.дел Понте „Лов. Ја и ратни злочинци“.

[8] International Residual Mechanism for Criminal Tribunals – нови међународни кривични трибунал  који, као, треба да заврши разматрање свих предмета који остану незавршени после завршетка рада МТБЈ и МТР.

[9] Погл. Решење по предмету „Тужилац против М.Станишића и С.Жупљанина: http://www.icty.org/x/cases/zupljanin_stanisicm/tjug/en/130327-1.pdf.



=== 4 ===

La NSA americana spia la Serbia meno delle altre repubbliche ex-JU... L'articolo conclude menzionando le collaborazioni di Stanisic e Perisic con i servizi USA, oltre che i molti ancora sconosciuti che rivelavano i segreti di stato agli USA, spiegando dunque il poco interesse USA per la Serbia con "ne čudi me što Srbija nije interesantna, oni o nama već sve znaju" (a cura di A.D. per CNJ-onlus)

http://www.seebiz.eu/amerikanci-minimalno-spijuniraju-srpski-internet-hrvatski-i-kosovski-cesce/ar-65737/

ŠPIJUNAŽA 

Amerikanci minimalno špijuniraju srpski internet, hrvatski i kosovski češće

Autor/izvor: SEEbiz / Blic 
Datum objave: 10.06.2013. - 08:38:00 
Zadnja izmjena: 10.06.2013. - 11:07:02 

NEW YORK - Američka Nacionalna agencija za bezbednost presrela je samo u toku marta oko 97 biliona digitalnih podataka. U Srbiji minimalno prikuplja informacije.
Srbija je jedina zemlja na planeti koja je na mapi NSA obeležena crnom bojom, što znači da je najmanje špijunirana i s minimalnim brojem presretanih i snimljenih informacija.
Britanski Guardian došao je u posed mape o nadzoru agencije NSA u zemljama sveta u kojima prikuplja informacije o svim vrstama komunikacija koje se dostavljaju ostalim obaveštajnim agencijama, od elektronske pošte do telefonskih poziva, što uključuje i razmenu poruka na društvenim mrežama Facebook, Twitter i drugima. Obaveštajne agencije tako dobijaju telefonske brojeve, dužinu trajanja poziva, jedinstveni serijski broj mobilnog telefona i potencijalnu lokaciju učesnika u razgovoru. Na taj način, bezbednosne službe povezuju potencijalno opasne osobe i nadziru s kim, koliko i odakle razgovaraju ili se dopisuju.
Američka agencija je Srbiju, jedinu na mapi sveta, označila crnom bojom. Istovremeno, Bosna i Hercegovina, Crna Gora, Hrvatska označene su zelenom, što znači veći stepen špijunaže od NSA, dok je Kosovo izdvojeno iz Srbije i obeleženo narandžastom bojom, što je u rangu sa Indijom, Kinom i Egiptom, iz kojih je NAS presrela ubedljivo najviše podataka. Prema rečima Dragana Jovanovića, zamenika šefa Odeljenja za visokotehnološki kriminal SBPOK-a, označavanje Srbije kao „neinteresantne zemlje" može da znači samo dve stvari.
"Prvo i osnovno je da Amerikanci o Srbiji znaju dovoljno toga, pa im nije neophodno naknadno praćenje i špijuniranje. S druge strane, ovo presretanje informacija tiče se pitanja nacionalne bezbednosti SAD, pa je moguće da su Amerikanci snimali Srbiju, videli da od nas nema potencijalne opasnosti i obustavili dalji nadzor ", ističe Jovanović.
Kriminolog Igor Pešić kaže da je Srbija poznata kao zemlja-saradnik američkih službi i da nema potrebe za elektronskim nadzorom.
"Poznati su slučajevi izuzetno bitnih državnih funkcionera poput Jovice Stanišića i njegovih sastanaka sa američkim agentima, ili Momčila Perišića, koji je zbog saradnje sa CIA uhapšen na Ibarskoj magistrali. I dalje nisu otkriveni ljudi koji su od raspada Jugoslavije konstantno odavali državne tajne Amerikancima. Zbog toga, ne čudi me što Srbija nije interesantna, oni o nama već sve znaju", kaže Pešić.




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(intervista a Vladimir Kapuralin, presidente del Partito Socialista Operaio di Croazia, pubblicata sulla rivista settimanale del quotidiano Glas Istre lo scorso 15 giugno 2013)

Interview je objavljen u revijalnom broju Glasa Istre u subotu 15. juna 2013.

http://www.srp.hr/intervju-s-predsjednikom-srp-a-vladimirom-kapuralinom-nema-amnestije-za-radnicku-klasu-zbog-napustanja-klasne-borbe/

Intervju s predsjednikom SRP-a, Vladimirom Kapuralinom: „Nema amnestije za radničku klasu zbog napuštanja klasne borbe“



Razgovarao Bojan ŽIŽOVIĆ

Snimio Danilo MEMEDOVIĆ

 

U posljednjoj kampanji za lokalne izbore potrošili su nula kuna. I ponosni su na svoju skromnost. Stranka SRP osnovana je 1997., a njezin predsjednik je od konca prošle godine Vladimir Kapuralin iz Pule. Jedni su to od rijetkih preostalih istinskih ljevičara. O tome što se događa s ljevicom kod nas i u Europi razgovarali smo s Kapuralinom.

 

Ljevičarske stranke kod nas nisu ni blizu prelaska izbornog praga na parlamentarnim izborima, dok se na lokalnima gotovo i ne pojavljuju. Što se to događa s ljevicom u Hrvatskoj? Postoji li ikakva perspektiva za takve stranke?

Ne znam koliko ljevičarskih stranaka vidite u Hrvatskoj. Pritom smatram neophodnim naglasiti da je pojam pod kojim se kod nas kolokvijalno percipira ljevica vrlo rastezljiv. Prvenstveno se tu misli na oportunističku socijaldemokraciju, ali i puno šire. Prema našoj definiciji, pod autentičnom ljevicom podrazumijevamo samo one političke subjekte koji u svom programu i političkom djelovanja zastupaju interese rada, a ne kapitala. To znači da se zauzimaju za socijalističko društveno uređenje, što podrazumijeva društveno vlasništvo nad sredstvima za proizvodnju i raspolaganje viškom vrijednosti onih koji ga stvaraju. Prema toj definiciji u Hrvatskoj u ovom trenutku nema druge stranke osim SRP-a koji ispunjava te kriterije, ako izuzmemo Socijalističku partiju koja je nastala izdvajanjem jedne manje grupacije iz SRP-a 2006. godine. Od te frakcije, koliko je meni poznato, ostala je samo organizacija u Splitu.

 

Igramo utakmicu na protivničkom terenu

Zaključak je da je SRP u ovom trenutku na političkoj sceni kapitalističke Hrvatske remetilački faktor, koji igra utakmicu na protivničkom terenu, prema pravilima igre koje je odredila protivnička strana, i uspjeli smo se održati na tom skliskom terenu usprkos svim potiskivanjima. Suština nije u tome postoji li perspektiva za stranku autentične ljevice u Hrvatskoj, već postoji li perspektiva za oslobođenje rada, da radni čovjek postane gospodar uvjeta i rezultata svoga rada. Za postizanje tog cilja neophodan je potrebni minimum društvene svijesti, zrelosti i samopouzdanja radnika, koji od secesije ‘90-ih pa do danas još nije postignut. U takvim okolnostima iluzorno je očekivati da će netko radnicima donijeti emancipaciju na pladnju. Građanske stranke neće jer se to kosi s njihovim klasnim interesima, a mi to nismo u mogućnosti bez podrške tih istih radnika.

 

Stranke desnice, s druge strane, imaju stabilnu potporu kod hrvatskih birača. U čemu je njihova prednost pred vama?

Jačanje desnice, pa i one fašističke, u kriznim razdobljima nije nepoznata pojava, a Hrvatska je u dubokoj krizi, kao uostalom i većina evropskih zemalja. Osim toga, desnica je po svojoj prirodi agresivna, uživa podršku klera, pogoduje joj niža obrazovna razina društva i niži stupanj informiranosti, ima slobodan pristup medijima i njihovu pažnju, a raspolaže i s dovoljnim financijskim sredstvima za realizaciju svojih planova. Primjera radi, SRP je u Puli u kampanji na nedavnim izborima za Gradsko vijeće Pule potrošio nula kuna.

 

Smatrate li da je ljevica kod nas negativno obilježena teretom iz bivšeg sistema?

Ne znam na koji teret mislite. Većina građana Hrvatske dva desetljeća preživljava na tekovinama ostvarenim u samoupravnom razdoblju, a neki još i danas. A i sam oportunistički SDP, koji se odrekao svih političkih, idejnih i ideoloških veza sa svojom prošlošću iz bivšeg sistema od koje bježi k’o vrag od tamjana, nije se odrekao materijalnog naslijeđa koje mu ne pripada. Ali da je situacija dovedena do apsurda, to stoji. S jedne strane prisutno je većinsko raspoloženje građana da su prije živjeli bolje i da su imali zadovoljavajuća socijalna, zdravstvena, obrazovna i ostala prava iz radnog odnosa, a s druge strane plasira se stigma da se nije radilo i da se tako dalje nije moglo. Na pitanje kako se nije radilo ako su i danas, mada u tragovima, još prisutni ostaci tada ostvarenog, a postoje i realizirani investicijski projekti na inozemnim gradilištima koji su dobiveni na međunarodnim natječajima, umotvorci nemaju odgovora. Na upit zašto se tako dalje nije moglo, odgovaraju da smo bili prezaduženi. Pred raspad Jugoslavije iznos vanjskog duga bio je 800 dolara per capita. Današnji vanjski dug je davno prešao 10.000 eura per capita. Uzimanjem u obzir valutne promjene u razdoblju od dva desetljeća, razlika je evidentna. Tada nijedan industrijski objekt nije bio prodan stranim vlasnicima, nijedan segment komunikacijske infrastrukture, financijskog potencijala, turistički objekt, nijedan pedalj zemlje, nezaposlenost je bila osjetno manja, postojalo je tržište i industrija je radila punom parom. Slijedom logike to naslijeđe bi trebalo biti teret za desne retrogradne političke subjekte, a za vrijednosti autentične ljevice bi trebalo biti poticajno.

 

Koji je razlog da desnica nije ispaštala zbog svega što se dogodilo ‘90-ih – pljačke u privatizaciji, osiromašenja građana, bogaćenja pojedinaca…?

Jer desnica nema kome podnositi račune, ona stanuje u svojoj kući. Pa sve što se tada i danas događa je njenih ruku djelo. Jedan njen dio je nakon poraza u Drugom svjetskom ratu preživio hibernaciju u inozemstvu, a drugi se prilagodio novonastaloj situaciji u zemlji. Nakon tektonskih geopolitičkih poremećaja ‘90-ih te su snage ocijenile da je nastupilo njihovo vrijeme za revanš, i to su iskoristili na za njih najbolji način. Kako su politički i ekonomski ciljevi nerazdvojivi, da bi postigli zacrtane ciljeve i interese trebalo je ukinuti socijalističko društveno uređenje i samoupravljanje te uvesti kapitalističko. Za postizanje cilja trebalo je prethodno demontirati zajedničku državu, što nije bilo moguće bez oružanog sukoba. I kao što je Đorđe Balašević prije nekoliko godina na koncertu u Sarajevu metaforički okarakterizirao događaje rekavši: “Najprije se pojave popovi, pa topovi, pa lopovi”. Tako su se nekako događaji i odvijali. Što se tiče ispaštanja desnice zbog pljačke društvenog dobra, osiromašenja građana koje ste spomenuli, ali i zločina prema ljudima i stvarima, ono će biti moguće isključivo nakon promjene društvenopolitičkog uređenja i uvjeren sam da će biti puno manjeg intenziteta od ispaštanja nedužnih nakon secesije ‘90-ih do danas.

 

U Kumrovcu se na obilježavanju rođendana Josipa Broza Tita okupi mnoštvo štovatelja njegovog lika i djela? Jesu li to zapravo i jedini glasači koje okuplja ljevica?

Nismo pravili nikakve ankete, ali pouzdano znamo da oni nisu naši jedini glasači, oni nisu niti naši reprezentativni glasači, jer da jesu, davno bismo prešli izborni prag u mnogim sredinama. Ali ne samo oni, već to nisu niti pripadnici nekadašnjih boračkih a današnjih udruga antifašista. I za to ne postoji racionalno objašnjenje, to je još jedan hrvatski politički paradoks i specifikum, jer su boračke i antifašističke organizacije Italije, Grčke, Rusije, Ukrajine, Bjelorusije, Češke vjerni glasački resursi njihovih komunističkih partija.

 

Što je s radničkom klasom koja bi trebala, u svojoj vječitoj potlačenosti, biti taj stup ljevičarskog promišljanja? Kako je ušutkana?

Pojavu je vrlo plastično prikazao Michael Moore u jednom od svojih dokumentarnih filmova. Kada je upitao jednog građanina kako sistem uspijeva držati ljude u pokornosti i poslušnosti, dobio je odgovor: “Ništa jednostavnije, potrebno je prvo ljude zastrašiti i zatim iz njih izbiti osjećaj da mogu išta promijeniti”. To je univerzalni recept koji funkcionira i u Hrvatskoj. Na takvo ponašanje utječe i čitav niz objektivnih okolnosti. Sve veći udio servisnog rada u odnosu na onaj proizvodni nepovoljno utječe na nivo revolucionarne svijesti zaposlenih. Rast nezaposlenosti, pad broja radnih mjesta, sve veći udio zapošljavanja na odreeno radno vrijeme, obnavljanje radnih ugovora na vrlo kratke intervale, stečajni postupci, višemjesečne neisplate plaća… sve to uzrokuje trajnu nesigurnost radnika i dovodi do neprestanog smanjenja broja organiziranih radnika. Društvene mreže i često vrlo masovne akcije očajnih radnika i nezadovoljnih građana nisu dovoljna zamjena za nedostatak svijesti i radničke solidarnosti, koji su danas na puno nižoj razini od one prije jednog stoljeća. Objektivne okolnosti, međutim, ne mogu amnestirati radničku klasu zbog njenog napuštanje klasne borbe za vlastite interese prihvaćanjem mrvica s trpeze svojih izrabljivača.

 

Kakav je položaj ljevice u Europi? Jesu li Vaše europske kolege optimistične u pogledu eventualnog jačanja ljevice na Starom kontinentu u skoroj budućnosti?

Snaga autentične evropske ljevice je u permanentnom opadanju od pojave tzv. eurokomunizma, koji su inicirale krajem 60-ih i početkom 70-ih godina prošlog stoljeća komunističke partije Italije, Španjolske i Francuske, do tada najjače komunističke partije Zapada. Taj proces tada još nije direktno ugrozio tzv. welfare state ili državu blagostanja. To će se dogoditi tek nakon ‘90-ih urušavanjem socijalizma u istočnoj Evropi i samoupravljanja u Jugoslaviji, čime su nestale mnoge energije iz kojih je snagu crpio radnički i sindikalni pokret evropskog zapada. Nakon pada Berlinskog zida svjedočimo drugom političkom paradoksu, ovog puta na evropskom nivou: nestankom socijalizma  koji je do tada na Zapadu stigmatiziran i optuživan za sve dotadašnje nedaće, za nizak životni standard i nedostatak ljudskih prava – rapidno se počeo smanjivati životni standard građana na Zapadu, ali i njihova stečena socijalna, pa i građanska prava. Taj proces se produbljuje, ali i potiče autentičnu ljevicu na nove aktivnosti. Suočeni s alternativom koju je još prije jednog stoljeća definirala Rosa Luxemburg, da je budućnost svijeta socijalizam ili barbarstvo, razumljivo je da moramo razvijati optimizam.

 

Kakve akcije danas provode ljevičarske organizacije protiv sadašnjeg načina društvenog upravljanja?

Za razliku od oportunističke socijaldemokracije, koja je najvjerniji i najpouzdaniji partner neoliberalnog kapitalizma u borbi protiv radničkih prava, od Evropske ljevice, do grčke Syrize, nadu pobuđuje praksa nekih komunističkih i radničkih partija, koje postižu dobru suradnju s klasno orijentiranim sindikatima u svojim zemljama. Na tom je području izuzmemo li Rusiju, Ukrajinu i Bjelorusiju, najbolje rezultate postigla Komunistička partija Grčke, KKE. Njihove organizacijske veze s nacionalnom sindikalnom organizacijom P.A.M.E. funkcioniraju na sljedeći način: KKE ustupa mjesto na svojim izbornim listama članovima sindikata, sindikati u tvornicama agitiraju za izborne liste KKE, sindikalisti, odnosno radnici na taj način ulaze u tijela lokalne uprave i u parlament, a KKE jača veze s radništvom i ostvaruje bolje rezultate. Evo, u trenutku dok razgovaramo KKE je povukla briljantan politički potez, ustupivši svoj TV kanal za emitiranje programa nacionalne televizije koji je vlada ukinula zbog štednje.

 

Podržavate li prosvjede u Turskoj? Je li represija koju pokazuje tamošnji državni aparat slična kao kod nas, s tom razlikom što ljudi ovdje ne izlaze na ulice?

Demonstracije u Turskoj podržavamo u onoj mjeri u kojoj podržavamo sve antikapitalističke akcije i u okvirima u kojima ih podržavaju naši drugovi iz Komunističke partije Turske (TKP) i Radničke partije Turske (IP). Postupanje policije u obrani poretka u pravilu nikad nije nježno, u što sam se i osobno uvjerio u sindikalnim demonstracijama u Zagrebu 1998., a imam i međunarodnog iskustva s postupanjem policijskog stroja. Tu bih istaknuo učešće u velikim anti-NATO demonstracijama na rijeci Rajni za vrijeme održavanja NATO-summita u Strasbourgu 2009., na poziv Svjetskog mirovnog vijeća, WPC-a. Ali informacije koje stižu iz Turske svjedoče o brutalnosti policije koja po intenzitetu i širini nadilazi nivo na koji smo navikli u Evropi. Demonstracije u Turskoj su nam interesantne po još jednoj osnovi. Mišljenja smo da one ometaju logističku podršku iz Turske pobunjenicima i stranim plaćenicima koji se bore protiv regularne sirijske vojske, što je kompatibilno s recentnim uspjesima regularne vojske.

 

U obrani demokracije ne biraju se sredstva, ali kada netko drugi želi obraniti svoj sistem, onda je to režim. Je li takav pristup pošten?

Naravno da nije, a posljedično nije ni ispravan. Među ostalima, i vaš list je 27. svibnja objavio Hininu informaciju o novinarki sirijske TV stanice koju su iz zasjede ubili teroristi. U nastavku Hina objašnjava čitateljima da u frazeologiji režima terorist označava ustanika. Izjavu u kojoj polemiziram s takvim pristupom poslao sam Hini, svim dnevnim novinama u Hrvatskoj i nekolicini e-medija. Koliko znam, objavio je samo portal Advance.hr.

 

Zapadna propaganda piše o zvjerstvima u siromašnim komunističkim zemljama, poput kanibalizma, recimo u Sjevernoj Koreji i nekad u Kini. Svojevremeno se vjerojatno isto pričalo i za Jugoslaviju. Zašto kapitalističke zemlje udaraju na tako, rekli bismo, proziran način i kako to da građani uspijevaju progutati takvo što?

Propaganda jako dobro prati i poznaje filozofiju masa, prilagođena je mentalnom sklopu te dosezima onih kojima je namijenjena. I zato se špekulacijama o kanibalizmu u Koreji nemam razloga baviti. Ali svjedoci smo nedavnog kanibalističkog rituala jednog terorista koji je izvadio srce sirijskom vojniku i pojeo ga pred kamerama. Takve teroriste podržavaju vlade u Evropi i kukavna hrvatska podanička Vlada.

 

Jeste li u posljednje vrijeme putovali u neku od preostalih komunističkih država u svijetu? Kako se tamo živi?

Nisam putovao u te zemlje pa se moja saznanja o njima sastoje od informacija dobivenih na međunarodnim skupovima. O načinu života na Kubi i Venezueli moglo se iz prve ruke čuti iz nadahnutog govora Aleide Guevara, kćerke legendarnog revolucionara Ernesta Che Guevare, na Subversive festivalu u Zagrebu. Govorila je kako živi kubanski narod u uvjetima brutalnog, nepravednog i ničim izazvanog embarga SAD-a već gotovo 60 godina. No, svaki Kubanac vjerojatno nema pet pari cipela, ali ima jedan par i prema tvrdnjama upućenih najbolje zdravstveno osiguranje na svijetu. Prosječni Kubanac nema ni pet pari hlača, ali ima jedan od najboljih obrazovnih sistema na svijetu.

 

Čini mi se da su jedino Južnoamerikanci istinski ljevičari, po rođenju, odgoju, načinu života, dok su, recimo, kod nas salonski. I Vas sam znao čuti kako s istomišljenicima čitate referate koji zanimaju samo uzak krug ljudi. Ne želim Vas uvrijediti, ali po meni je to salonsko ljevičarstvo.

U formiranju ličnosti bitne komponente čine genetika i odgoj, ali revolucionarnost određuju povijesni i socijalni uvjeti u kojima ljudi žive, a ti uvjeti su u ovom trenutku za ljevicu najpovoljniji u Južnoj Americi. Što se, pak, tiče definicije ili pripadnosti salonskoj ljevici, ta je kvalifikacija ipak rezervirana za oportunističku socijaldemokraciju i ne odnosi se na politički subjekt koji u svom programu i djelovanju zastupa maksimalističke zahtjeve, promjenu društvenog sistema sa zadiranjem u vlasničku strukturu, a to je SRP. Na pitanje, pak, koje se odnosi na mene ne mogu odgovoriti, bilo bi subjektivno; o meni ocjenu moraju dati oni koji poznaju moje djelovanje, pa i vi novinari. Ono što mogu reći je da imam, zajedno s drugovima iz stranke, u nogama dosta utakmica na otvorenom prostoru.

  

Glas Istre 15. 06. 2013.





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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
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(srpskohrvatski / italiano)

22.mo Seminario Comunista Internazionale a Bruxelles

31/05 - 02/06/2013

1) Lista partecipanti, Conclusioni generali e lista firmatari
2) NKPJ na Međunarodnom Komunističkom Seminaru u Briselu


=== 1 ===

http://www.resistenze.org/sito/te/pe/mc/pemcdf14-013004.htm
www.resistenze.org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 14-06-13 - n. 458

ICS 2013 - 22° Seminario Comunista Internazionale

Bruxelles, 31/05 - 02/06/2013
www.icseminar.org - info@...

Gli attacchi ai diritti democratici e alle libertà nella crisi capitalista mondiale. Strategie e azioni di risposta.

Lista dei partecipanti

ICS 2013 | icseminar.org

1. Afghanistan, People's Party of Afghanistan
2. Algeria, Parti Algérien pour la Démocratie et le Socialisme (PADS)
3. Azerbaijan, Communist Party of Azerbaijan
4. Belarus, Belarussian Communist Workers' Party
5. Belgium, Workers' Party of Belgium (PTB)
6. Bénin, Parti Communiste du Bénin
7. Brazil, Communist Party of Brazil (PCdoB)
8. Brazil, Partido Patria Livre (PPL)
9. Bulgaria, Party of Bulgarian Communists
10. Colombia, Colombian Communist Party
11. Cuba, Communist Party of Cuba
12. Cyprus, Progressive Party of the Working People (AKEL)
13. Denmark, Communist Party of Denmark
14. Denmark, Danish Communist Party
15. France, Union des Révolutionnaires Communistes de France (URCF)
16. France, Pôle de Renaissance Communiste en France (PRCF)
17. Germany, German Communist Party (DKP)
18. Greece, Communist Party of Greece (KKE)
19. Hungary, Hungarian Workers' Party
20. Iran, Tudeh Party of Iran
21. Ireland, Workers' Party of Ireland
22. Laos, Lao People's Revolutionary Party
23. Latvia, Socialist Party of Latvia
24. Lebanon, Lebanese Communist Party
25. Lithuania, Socialist People's Front
26. Luxembourg, Communist Party of Luxembourg (KPL)
27. Malta, Communist Party of Malta
28. Mexico, Partido Popular Socialista de México
29. Netherlands, New Communist Pary of Netherlands (NCPN)
30. Palestine, Popular Front for the Liberation of Palestine (PFLP)
31. Palestine, Palestinian Communist Party
32. Philippines, Communist Party of the Philippines
33. Portugal, Portuguese Communist Party
34. Russia, Communist Party of the Russian Federation (CPRF)
35. Russia, Communist Party of the Soviet Union
36. Russia, Russian Communist Workers' Party - CPSU
37. Serbia, New Communist Party of Yugoslavia
38. South Sudan, Communist Party of South Sudan
39. Spain, Communist Party of Spain
40. Spain, Spanish Communist Workers' Party (PCOE)
41. Spain, Communist Party of the Peoples of Spain (PCPE)
42. Sri Lanka, People's Liberation Front - JVP
43. Sweden, Communist Party (KP)
44. Switzerland, Parti Suisse du Travail
45. Tunisia, Parti des Patriotes et Démocrates Uni
46. Turkey, Communist Party of Turkey (TKP)
47. Turkey, Labour Party (EMEP)
48. Ukraine, Union of Communists
49. United Kingdom, Communist Party of Great-Britain - Marxist-Leninist
50. USA, Freedom Road Socialist Organization (FRSO)
51. Venezuela, Communist Party of Venezuela (PCV)
52. Vietnam, Communist Party of Viet Nam

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http://www.resistenze.org/sito/te/pe/mc/pemcdf18-013013.htm

www.resistenze.org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 18-06-13 - n. 458

ICS 2013 - 22° Seminario Comunista Internazionale

Bruxelles, 31/05 - 02/06/2013
www.icseminar.org - info@...

Gli attacchi ai diritti democratici e alle libertà nella crisi capitalista mondiale. Strategie e azioni di risposta.

Conclusioni generali

ICS 2013 | icseminar.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

A. L'importanza della lotta per i diritti democratici e le libertà
  
1. Marx, Engels e Lenin consideravano la "democrazia" sulla base dei criteri di classe, distinguendo tra una democrazia borghese e una democrazia della classe operaia. Consideravano la lotta per i diritti democratici e le libertà necessaria affinché le contraddizioni degli interessi tra la classe operaia e la borghesia apparissero chiaramente, per creare condizioni più favorevoli al completo sviluppo della lotta politica della classe operaia. I comunisti si pongono alla testa delle lotte per i diritti democratici.

2. Le aspirazioni democratiche dei lavoratori non possono realizzarsi pienamente e in modo durevole sotto il capitalismo, dove solo la borghesia esercita il potere. I progressi democratici strappati alla borghesia sono limitati e insufficienti e possono essere ridotti e revocati in qualsiasi momento, soprattutto nei periodi di crisi del sistema capitalistico.

3. E' per questa ragione che i comunisti inquadrano la loro azione per i diritti democratici in una più lunga prospettiva di lotta strategica contro il capitalismo e per il socialismo, unica via che conduce ad un'autentica democrazia per le masse popolari, in quanto detentrici del potere. Questo potere rende "... effettiva per le classi lavoratrici, cioè per la stragrande maggioranza della popolazione, la possibilità di esercitare i diritti e le libertà democratiche, possibilità che non è mai esistita, nemmeno approssimativamente, nelle repubbliche borghesi migliori e più democratiche." (1).

B. Il carattere ed il ruolo dello Stato borghese

4. Lo Stato si trasformò in una necessità ad un certo momento dello sviluppo economico, quando la società si divise in classi, in sfruttatori e sfruttati.

5. Lo Stato non costituisce un organo neutro intorno alla società, bensì un organo del dominio di classe, per l'oppressione di una classe da parte di un'altra. La funzione essenziale dello Stato borghese è di obbligare le classi oppresse a rispettare la proprietà privata e il dominio di classe, di evitare i conflitti di classe acuti e, se necessario, di reprimerli in maniera violenta, per evitare che superino il quadro della sua legalità e possano abbattere lo stato borghese. A questo proposito, lo Stato dispone dei servizi di polizia, ufficiali e segreti, di un apparato giudiziario e delle forze armate. Lo Stato ha anche un suo corpo di alti funzionari che nei gabinetti, nelle amministrazioni, gestiscono la "continuità" dello Stato, indipendentemente dai cambiamenti della maggioranza politica.

6. L'oppressione è una necessità concomitante allo sfruttamento di classe. L'intensificazione della repressione e l'escalation degli attacchi ai diritti democratici e sindacali e alle libertà da parte della classe borghese nell'intero mondo capitalista, è l'altra faccia dell'intensificazione dello sfruttamento, della concentrazione e centralizzazione del capitale. Quindi è nella natura stessa della borghesia al potere attaccare i diritti democratici e le libertà della classe lavoratrice e del popolo pur di preservare il sistema di sfruttamento.

7. Il regime di dominio di classe non utilizza solamente la repressione ma anche l'ideologia: la classe che dispone di mezzi di produzione materiali dispone contemporaneamente dei mezzi di produzione culturali. Le idee dominanti in ogni società ed in ogni epoca sono le idee della classe dominante. I grandi media, l'educazione ed altri mezzi e forme di cultura e di educazione, tanto pubblici che privati, sono strumenti nelle mani della classe dominante per mantenere le sue posizioni a discapito della massa dei lavoratori. La borghesia cerca anche di imporre la sua ideologia attraverso il controllo su certe Ong, sindacati ed altre associazioni.

8. Infine, lo Stato borghese gioca un considerevole ruolo internazionale: conquista per i suoi capitalisti nuovi mercati o difende quelli esistenti, se necessario, con le armi. A questo scopo, utilizza la gestione delle relazioni internazionali, delle ambasciate, dei servizi di esportazione e, soprattutto, di un esercito offensivo, legato ad alleanze internazionali imperialiste (come la Nato).

9. Rispetto allo Stato feudale, lo Stato borghese costituisce un progresso considerevole. Lo Stato, nel sistema capitalista, può assumere varie forme. Ma finanche nella sua forma più sviluppata, la repubblica democratica, rimane all'interno della stretta cornice dello sfruttamento capitalista. Il vero potere risiede nel dominio dei capitalisti sul lavoro salariato. Molto presto, dopo la caduta degli ancien régime, la borghesia restrinse l'esercizio della democrazia ed escluse le classi inferiori. I diritti dell'immensa maggioranza sono così limitati, monchi, addirittura palesemente assenti. Lo Stato borghese utilizza anche leggi d'eccezione che possono essere adoperate per annullare i diritti democratici in caso di "necessità".

10. Sotto la repubblica democratica, il potere è esercitato in maniera indiretta dalla borghesia. Lenin scrisse: "Nella repubblica democratica - continua Engels - "la ricchezza esercita il suo potere indirettamente, ma in maniera tanto più sicura", in primo luogo con la "corruzione diretta dei funzionari", in secondo luogo con "l'alleanza tra governo e Borsa" [...] La repubblica democratica è il migliore involucro politico possibile per il capitalismo;  per questo il capitale, dopo essersi impadronito (...) di questo involucro - che è il migliore - fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento, né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell'ambito della repubblica democratica borghese può scuoterlo." (2).
Le decisioni prese dai governi borghesi sono allineate alle priorità delle grandi imprese, banche, fondi speculativi e istituzioni imperialiste come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, la Banca centrale europea ed altre.

C. Un rapido sguardo storico

11. Nel XIX secolo, il mondo operaio si confrontò con la contraddizione tra la proclamazione dei diritti umani e la loro mancata applicazione pratica. Il movimento operaio riprese per suo conto la lotta per la democrazia, col passaggio dal suffragio censitario a quello universale, con il diritto ad organizzarsi in sindacati ed in partiti operai…

12. L'apparizione del movimento operaio e del suffragio universale spinse la borghesia a spostare il vero potere sull'esecutivo. Il parlamento si muta così sempre di più in una macchina per votare, ratificando le decisioni antipopolari già prese in un altro luogo.

13. Mentre la repubblica democratica è la forma di Stato privilegiata dalla borghesia in ascesa, lo Stato nell'imperialismo tende ad assumere tratti sempre più autoritari. Lenin scrisse: "[...] «il capitale finanziario aspira alla supremazia e non alla libertà». La reazione politica su tutta la linea è propria dell'imperialismo." (3).
Lo Stato tende a limitare in maniera crescente i diritti dei lavoratori, attaccando i diritti sindacali e i partiti comunisti. Esso aumenta il suo carattere autoritario, repressivo e militare. Diffonde un'ideologia sciovinista, religiosa fondamentalista, razzista e diffonde il corporativismo.

14. I paesi socialisti, dall'Ottobre 1917, fecero nascere o amplificarono i diritti e le libertà democratiche, generalmente in condizioni economiche difficili. Una delle innovazioni imprescindibili del socialismo, basato sui nuovi rapporti di produzione, è di avere esteso il concetto dei diritti fondamentali delle libertà individuali ai diritti sociali fondamentali, come il diritto al lavoro, all'abitazione, alla previdenza sociale, alla gratuità dell'educazione e di avere trasformato i principi della pace e della giustizia sociale in diritti universali dell'uomo. In particolare, le realizzazioni storiche del socialismo sul piano dei diritti della donna non hanno finora trovato uguali.

15. Nei paesi capitalisti, la classe operaia ha rivendicato l'applicazione dei suoi diritti fondamentali collettivi che sono contraddittori rispetto la natura stessa del capitalismo. Obbligati e forzati, sotto l'influenza della Rivoluzione d'Ottobre e della vittoria dell'Unione sovietica nella Seconda guerra mondiale, per paura del "pericolo comunista" e grazie alla persistente lotta della classe operaia, la borghesia dell'Europa occidentale dovette concedere la proclamazione di alcuni diritti sociali ed economici e la loro parziale realizzazione: il sistema della previdenza sociale, il riconoscimento dei diritti sindacali, la riduzione dell'orario di lavoro, le migliori condizioni di lavoro, i giorni di vacanza pagati, una certa democratizzazione dell'educazione e della cultura, ecc.

16. Sotto l'influenza dei paesi socialisti e delle lotte anticoloniali a livello internazionale, i diritti individuali, (civili e politici) e i diritti collettivi (sociali, economici e culturali) sono arricchiti dai diritti dei popoli (all'autodeterminazione, alla sovranità, alla pace, allo sviluppo, alla protezione ambientale, ecc.)

17. Sin dall'inizio, la borghesia ha fatto di tutto per limitare la portata delle concessioni fatte. In periodi di crisi acuta, potenzialmente minacciato dal movimento operaio, lo Stato borghese può rovesciare la repubblica democratica (o la monarchia costituzionale) verso il fascismo, che è la dittatura aperta, la forma di dominazione della frazione più aggressiva e reazionaria del capitale monopolistico. Ma la borghesia usa forme intermediarie di dominio, nelle quali gli aspetti formali della democrazia si accompagnano alle politiche e metodi fascisti.

18. Dal 1973, il capitalismo mondiale è in crisi di sovrapproduzione e di sovraccumulazione di capitale. A livello economico, a partire dagli anni '80 la borghesia mondiale lancia un'offensiva in tutti i campi, sottomettendo ancora di più i lavoratori ed i popoli alla dittatura dei monopoli, con l'aiuto del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale, dell'Organizzazione mondiale del commercio e di altri strumenti imperialisti come l'Unione europea. L'obiettivo strategico è di aumentare la quota di profitto (con manodopera più a buon mercato, ristrutturazioni, privatizzazioni, ecc.) e contrastare la tendenza alla diminuzione del saggio di profitto medio, adattandosi contemporaneamente alle condizioni attuali di intensificata internazionalizzazione dell'economia capitalista e del mercato del lavoro. A livello politico, quest'offensiva si accompagna a più forti violazioni dei diritti democratici. Sono i lavoratori e i paesi sottosviluppati a soffrire maggiormente di queste condizioni di depressione e oppressione globale.

19. Durante lunghi anni, l'Unione sovietica e l'insieme dei paesi socialisti furono le uniche forze a fare da contrappeso all'onnipotenza del capitalismo e dell'imperialismo. La caduta del socialismo in Unione sovietica e negli altri paesi socialisti dell'Europa orientale, rappresenta un arretramento qualitativo nella correlazione di forze a livello mondiale. Dagli anni '90, la borghesia mondiale ha campo libero per consolidare la sua politica ed estendere gli attacchi, in casa e all'estero.

20. Lo Stato capitalista si prepara a disdire i diritti economici e sociali acquisiti dai lavoratori. I governi abbandonano innumerevoli regolamentazioni e legislazioni che garantiscono condizioni di lavoro corrette o che proteggono i lavoratori in caso di malattia e licenziamento. I diritti alla previdenza sociale (disoccupazione, pensione, malattia) sono minacciati, limitati o aboliti.

21. La borghesia si prepara costantemente ad affrontare rivolte popolari che potrebbero mettere in questione il suo potere sulla società. Gli apparati legislativi e materiali di repressione si sono considerevolmente estesi. Il combattimento contro il nemico esterno si confonde con la lotta contro quello "interno", le guerre all'esterno servono ad attaccare i diritti democratici all'interno. Dopo l'11 settembre, questa dinamica si è rafforzata in maniera significativa con la guerra "al terrore".

22. La "democrazia" borghese mostra il suo vero volto antidemocratico nella politica di dominio mondiale applicata dall'imperialismo statunitense e dalle altre potenze imperialiste con la militarizzazione, gli interventi, le guerre e l'appoggio alle dittature. Stati uniti, Unione europea e Nato, applicano il terrorismo di Stato nel mondo e lanciano guerre di aggressione, anche calpestando quella legalità internazionale che loro stessi invocano, spesso e cinicamente con il pretesto di "proteggere i diritti umani" o "promuovere la democrazia", come in Afghanistan, Iraq, Libia e Siria.

D. Gli attuali attacchi contro i diritti democratici e le libertà.
  
23. Con la nuova fase della crisi economica del capitalismo mondiale, dal 2008 si intensificano nuovamente gli attacchi ai diritti democratici. Si tratta di un attacco generale contro la classe operaia, con l'obiettivo essenziale di rafforzare la competitività del capitale in ogni paese a spese dei lavoratori. Per ottenere ciò, il capitale monopolistico cerca di ridurre il costo del lavoro ed estrarre maggiore plusvalore dai lavoratori, aumentando il trasferimento della ricchezza dalla classe operaia alla borghesia. Sul posto di lavoro, ogni capitalista impone una vera dittatura, le sue regole e le sue leggi ai lavoratori.

24. Il primo diritto ad essere minacciato, limitato o completamente annullato, è il diritto al lavoro. Il tasso di disoccupazione, che soprattutto tra i giovani ha livelli molto elevati, mette in pericolo il tenore di vita e la dignità di milioni di lavoratori e delle loro famiglie come delle generazioni future.

25. Le conquiste ottenute dalla classe operaia nei rapporti di lavoro vengono smantellate. Il capitale ricorre ai licenziamenti di massa, ai ribassi salariali. In tutto il mondo capitalista, si amplificano gli attacchi al diritto di sciopero e ai sindacati, la liquidazione dei contratti di lavoro collettivi, la degradazione delle condizioni lavorative, la repressione delle lotte operaie e delle manifestazioni, la precettazione dei lavoratori in caso di sciopero, la cacciata delle famiglie dai loro alloggi, ecc. In vari paesi, militanti sindacali, comunisti, difensori dei diritti umani e altri attivisti sono assassinati, rapiti, molestati o minacciati. Per lasciare posto alle multinazionali e ai grandi proprietari terrieri, milioni di contadini sono espulsi violentemente. Le forze della repressione responsabili di queste violazioni e crimini generalmente rimangono nell'impunità.

26. Lo Stato capitalista cerca anche di "disciplinare" e controllare la popolazione, ancora più in tempi di crisi. Azioni di protesta e di solidarietà nell'ambito di diversi temi (per esempio giustizia sociale, democrazia, pace, ecologia, uguaglianza di diritti) sono minacciati, proibiti, criminalizzati, soffocati o soggetti a multe esorbitanti. C'è un controllo generale sulla popolazione. Il controllo generalizzato sulla popolazione è un elemento essenziale, la libertà personale - vita privata e dati personali - non è oramai più rispettata. Si disciplinano i lavoratori tramite l'attivazione dei disoccupati (con misure obbligatorie, forzandoli ad accettare qualunque impiego, sotto la minaccia di sanzioni e di espulsione) e dei pensionati (con misure che obbligano a lavorare più tempo) e con leggi che facilitano il licenziamento. Ma c'è anche una volontà di "condannare" le vittime per la condizione in cui si trovano, di "punire" i poveri, che sono accusati di essere i responsabili e non le vittime. Lo Stato incita i "comportamenti antisociali", le "inciviltà" per disciplinare la popolazione, i giovani in particolare. L'offensiva del capitale è ideologica in tutti i campi.

27. Lo Stato capitalista diminuisce ancora di più i diritti dei rifugiati e dei sans papiers, già minimi, e intensifica la repressione contro di loro, per mezzo di leggi repressive, la loro esclusione dai servizi sociali e l'espulsione del paese. Sono tuttavia lo sfruttamento crudele delle multinazionali e gli interventi imperialisti di Nato, Stati Uniti e Unione europea all'origine delle ondate di rifugiati in Europa, Medio oriente e Africa. Sono questi stessi Stati imperialisti a massacrare i popoli, a spingerli alla miseria e all'esilio, moltiplicando i campi di concentramento per rifugiati e sans papiers.

28. C'è una stretta relazione tra la crisi capitalista e l'aumento della resistenza popolare, da una parte, e l'incremento dell'ideologia e delle forze reazionarie, dall'altra. La borghesia sviluppa, utilizza e promuove le correnti scioviniste, fondamentaliste religiose, comunaliste, etniciste, razziste e fasciste per deviare l'attenzione delle masse dall'origine della crisi, per dividere i lavoratori ed evitare che prendano la via della resistenza e della rivoluzione.

29. Si sviluppano anche i meccanismi di provocazione lanciati dagli apparati di Stato per screditare il movimento operaio e giustificare la repressione. L'ascesa di partiti di estrema destra fa parte di questa operazione. In varie occasioni i loro membri sono utilizzati per spezzare gli scioperi, seminare il terrore tra gli immigrati, ecc. Questa violenza ha anche l'obiettivo di spaventare i lavoratori per fargli abbandonare la lotta.

30. L'anticomunismo è utilizzato per calunniare ogni riferimento alle alternative proposte dal partito comunista e dalla prospettiva socialista. La borghesia internazionale associa e perfino paragona il comunismo, i movimenti rivoluzionari ed i sindacati militanti col terrorismo, al fine di reprimerli. La falsa teoria degli "opposti estremismi" è utilizzata per battere il movimento operaio ed i comunisti. In numerosi paesi dell'Europa orientale, le campagne anticomuniste sono servite e servono per imporre misure antidemocratiche e repressive, per proibire ed escludere i partiti comunisti ed i loro simboli.

31. L'imperialismo diventa sempre più aggressivo per ottenere manodopera a buon mercato, per controllare le risorse naturali, le vie commerciali ed il mercato mondiale. La Nato e particolarmente l'esercito statunitense, hanno come funzione principale il garantire la riproduzione capitalistica nel pianeta. I militari statunitensi sono presenti in 130 paesi. L'imperialismo ha buttato a mare il corpus del diritto internazionale uscito dalla Seconda guerra mondiale. I paesi che si oppongono al dominio imperialista sono oggetto di minacce, di sanzioni e di blocchi economici da parte delle grandi potenze imperialiste. Esse utilizzano tutta la gamma di ingerenze, azioni terroristiche realizzate dai gruppi che loro stesse creano, addestrano, finanziano ed armano, guerre di bassa intensità e per procura, interventi diretti, bombardamenti e guerre aperte. Dove possono, insediano regimi fantoccio, completamente sottomessi ai loro interessi economici e geostrategici. In alcuni paesi spingono il separatismo ad unico interesse dell'imperialismo.

32. Gli stessi diritti e libertà considerate fondamentali nella legge borghese sono soppressi con il pretesto della lotta contro il terrorismo. Negli Stati uniti, l'amministrazione Bush ha legittimato la tortura e il presidente Obama si è arrogato il diritto di ammazzare in giro per il mondo senza alcuna forma di processo, decidendo in gran segreto ogni settimana le esecuzioni extragiudiziali praticate per mezzo di droni in paesi come Afghanistan, Pakistan, Yemen e Somalia.

E. Le azioni e le strategie di risposta

33. Con l'intensificazione della crisi del capitalismo, molte sono nel mondo le manifestazioni, mobilitazioni, scioperi e sollevazioni, tumulti sociali, tumulti politici e altre forme di resistenza con cui i lavoratori e i popoli rifiutano di pagare per la crisi del capitalismo. I comunisti guardano con ottimismo allo sviluppo delle lotte dei lavoratori e dei popoli per i loro diritti. Stanno rendendo le condizioni più favorevoli alla rinascita e rafforzamento del movimento della classe operaia contro il capitalismo e per il socialismo. Analizzando correttamente il programma politico ed il carattere di classe di questi movimenti e lotte, i comunisti intervengono in maniera attiva affinché si allontanino dall'influenza borghese e per volgerli verso una prospettiva di classe e socialista.

34. Il movimento operaio lotta in prima linea per la conquista, l'affermazione o la restaurazione dei diritti e delle libertà democratiche. I lavoratori esigono misure per migliorare le loro necessità immediate d'impiego, di un salario degno, di migliori condizioni di lavoro e di vita e di servizi sociali.

35. I comunisti appoggiano il movimento operaio nelle sue rivendicazioni immediate per diritti e libertà democratiche, nella cornice necessaria di lotta contro il capitalismo e l'imperialismo, maggiori ostacoli alla loro completa e duratura realizzazione, e nella prospettiva del socialismo, l'unica garanzia per una vera democrazia popolare.

36. Nella misura in cui ha radici profonde nelle grandi masse, il partito comunista è capace di guadagnare l'adesione dei lavoratori e di rafforzarsi, cosa che aumenta la sua capacità di dirigere le lotte popolari per i diritti democratici. Questa grande base di massa costituisce contemporaneamente la prima linea di difesa e la migliore protezione contro ogni attacco anticomunista e contro ogni attentato all'esistenza e al funzionamento del partito comunista.

37. I comunisti stimolano e tentano di dirigere un lavoro di fronte su differenti terreni, inclusivo nell'area dei diritti democratici e delle libertà. Operano per riunire le forze popolari in alleanze che raggruppino i lavoratori e gli altri strati sociali della popolazione toccati dalla crisi sistemica del capitalismo. Agiscono in primo luogo con e dentro i sindacati e le altre organizzazioni popolari di massa. In secondo luogo, possono associarsi a certe organizzazioni e iniziative di altri strati della popolazione che sono sensibili e si mobilitano per i diritti democratici.

38. I comunisti, i lavoratori ed i popoli sviluppano l'internazionalismo e la solidarietà contro ogni tendenza sciovinista, fondamentalista religiosa, etnicista, comunalista, razzista e fascista.

39. Sviluppano la lotta contro gli interventi, le guerre e la militarizzazione imperialista in tutte le sue forme.

40. Nei paesi sotto la dominazione imperialista, dove la questione dell'indipendenza politica, della sovranità nazionale e dei diritti democratici elementari sono ancora all'ordine del giorno, i comunisti si uniscono e dirigono il popolo, legando la sua lotta per la liberazione nazionale e la democrazia alla lotta per il socialismo.

F. I diritti democratici e le libertà sotto il socialismo

41. I diritti democratici e le libertà non possono essere maggiormente e pienamente sviluppati da e per i lavoratori ed i popoli che nel quadro della completa liberazione sociale, nel quadro della società socialista, basata sulla proprietà collettiva dei grandi mezzi di produzione e sulla pianificazione dell'economia.

42. Non c'è continuità tra la democrazia capitalista e la democrazia socialista. La classe operaia deve sviluppare la propria democrazia, il dominio dalla classe operaia, il governo diretto dal popolo. Il compito principale e la cosa importante della democrazia socialista è la costruzione, l'istituzione e lo sviluppo dei nuovi rapporti di produzione. La classe operaia deve creare e dirigere uno Stato che realizzi e difenda fino alla fine i suoi diritti e libertà fondamentali e che impregni la società con i nuovi valori socialisti.

43. La partecipazione delle masse è alimentata dalla fioritura della democrazia, soprattutto attraverso gli organi del potere popolare e in secondo luogo attraverso le organizzazioni di massa come i sindacati, le organizzazioni della gioventù e delle donne. Questo significa che i lavoratori, come padroni dello Stato e della società, decidono delle cose essenziali dell'organizzazione della società a tutti i livelli: posto di lavoro, quartiere, provincia, paese. Partecipano alla pianificazione dell'economia, alla soluzione delle contraddizioni e delle illegalità sociali, al controllo e all'amministrazione delle unità di produzione, ai servizi sociali ed amministrativi, a tutti gli organi di potere, all'organizzazione dell'educazione, del sapere e della tecnica. Discutono sulle grandi questioni della società: la creazione o la modificazione della costituzione, le scelte di bilancio, l'organizzazione della sanità, dell'educazione, della tutela ambientale, le questioni etiche…

44. In una visione socialista, i diritti individuali, collettivi e dei popoli non possono essere visti separatamente: sono indivisibili. Solo il socialismo può gettare le basi per realizzare l'insieme di questi diritti.

45. I diritti democratici e le libertà sotto il socialismo, sono, tra gli altri:
- Il diritto alla partecipazione democratica nella gestione dello Stato e dell'economia a tutti i livelli (dal locale al nazionale, dall'impresa alla pianificazione nazionale);
- Il diritto alla vita; la proibizione della schiavitù, della tortura e della minaccia all'integrità fisica;
- I diritti al lavoro, all'educazione, alla casa e alla salute; il diritto al riposo e al tempo libero; il diritto allo sport; il diritto alla cultura;
- I diritti alla libertà d'espressione, di stampa, di riunione e associazione, di pensiero e di coscienza, nel quadro della legalità socialista;
- L'uguaglianza dei diritti civili, politici, sociali, economici e culturali per tutta la popolazione, indipendentemente dalla nazionalità, sesso, colore della pelle, convinzione religiosa o filosofica, ecc.;
- Il diritto alla pace;
- Il diritto a lottare per la transizione al comunismo e costruire una società senza sfruttamento dell'uomo all'uomo, con l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, della contraddizione tra città e campagna, e tra il lavoro manuale e intellettuale.

46. Lo Stato socialista è necessario anche per evitare che la borghesia - la borghesia di casa, in connivenza con la borghesia internazionale - riprenda il potere e smantelli i diritti fondamentali ristabilendo il capitalismo.

47. La democrazia della società socialista è legata alla democrazia all'interno del partito comunista. Il partito deve applicare correttamente il centralismo democratico, conservare e diffondere uno stile di lavoro duro e di vita semplice, al servizio del popolo, avere una linea ed uno spirito rivoluzionario. Deve concentrarsi sullo sviluppo della democrazia socialista, costruendo un sistema di giustizia socialista ed aiutare le organizzazioni di massa a giocare il loro specifico ruolo.

Note:

1) Lenin, Tesi e rapporto sulla democrazia borghese e sulla dittatura del proletariato presentate al primo Congresso dell'Internazionale comunista, 1919, Opere complete, vol. 28, pag 468
2) Lenin, Stato e rivoluzione, capitolo 1.
3) Lenin, L'imperialismo e la scissione del socialismo (1916) - www.resistenze.org/sito/ma/di/cl/mdcl6f09.htm



Lista dei firmatari al 17 giugno 2013

ICS 2013 | icseminar.org

1. Afghanistan, People's Party of Afghanistan
2. Algeria, Parti Algérien pour la Démocratie et le Socialisme (PADS)
3. Azerbaijan, Communist Party of Azerbaijan
4. Belarus, Belarussian Communist Workers' Party
5. Belgium, Workers' Party of Belgium (PTB)
6. Bénin, Parti Communiste du Bénin
7. Brazil, Communist Party of Brazil (PCdoB)
8. Brazil, Partido Patria Livre (PPL)
9. Bulgaria, Party of Bulgarian Communists
10. Denmark, Communist Party of Denmark
11. France, Union des Révolutionnaires Communistes de France (URCF)
12. France, Pôle de Renaissance Communiste en France (PRCF)
13. Germany, German Communist Party (DKP)
14. Greece, Communist Party of Greece (KKE)
15. Hungary, Hungarian Workers' Party
16. Iran, Tudeh Party of Iran
17. Ireland, Workers' Party of Ireland
18. Latvia, Socialist Party of Latvia
19. Lebanon, Lebanese Communist Party
20. Lithuania, Socialist People's Front
21. Luxembourg, Communist Party of Luxembourg (KPL)
22. Mexico, Partido Popular Socialista de México
23. Palestine, Palestinian Communist Party
24. Philippines, Communist Party of the Philippines
25. Russia, Communist Party of the Russian Federation (CPRF)
26. Russia, Russian Communist Workers' Party - CPSU
27. Russia, Communist Party of the Soviet Union
28. Serbia, New Communist Party of Yugoslavia
29. South Sudan, Communist Party of South Sudan
30. Spain, Communist Party of Spain (PCE)
31. Spain, Spanish Communist Workers' Party (PCOE)
32. Sri Lanka, People's Liberation Front - JVP
33. Switzerland, Parti Suisse du Travail
34. Turkey, Communist Party of Turkey (TKP)
35. Ukraine, Union of Communists
36. United Kingdom, Communist Party of Great-Britain - Marxist-Leninist
37. Venezuela, Communist Party of Venezuela (PCV)
38. Vietnam, Communist Party of Viet Nam


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NKPJ NA MEĐUNARODNOM KOMUNISTIČKOM SEMINARU U BRISELU


Sekretar za međunarodne odnose Nove komunističke partije Jugoslavije (NKPJ) drug Marijan Kubik učestvovao je 1. i 2. juna na 22 Međunarodnom komunističkom seminaru (ICS) u Briselu koji se od 1992. godine održava u organizaciji Partije Rada Belgije (PTB).



ICS je nastao nakon razbijanja SSSR-a i istočnoevropskih socijalističkih zemalja kao jedan od prvih pokušaja reorganizovanja komunističkih i radničkih partija, odnosno njihovog organizacionog i idejnog jedinstva. ICS je bio prvi organizovani odgovor na krupne geo-političke lomove nastale posle rušenja Berlinskog zida i pokušaj prevazilaženja nastale krize u komunističkom pokretu. Skupovi ICS organizovani u periodu od 1992. do 1995. godine bili su usesređeni na analizu uzroka restauracije kapitalizma u SSSR-u i Istočnoj Evropi i izvlačenje pouka za budućnost. ICS je posebnu podršku dao Saveznoj Republici Jugoslaviji 1999. godine u vreme NATO agresije kada je u jeku imperijalističkog bombardovanja, delegaciju NKPJ na tom seminaru u Briselu predvodio pokojni generalni sekretar Partije, drug, Branko Kitanović.

Ovogodišnjem 22-gom Međunarodnom komunističkom seminaru prisustvovalo je oko 60 delegacija komunističkih i radničkih partija iz celog sveta. Između ostalih na seminaru su bili i predstavnici komunističkih partija socijalističkih država, Kube, Vijetnama i Laosa koji su istakli da i pored svetske ekonomske krize koja pogađa svet socijalistička izgradnja u tim zemljama obezbeđuje stabilan kontinuirani ekonomski rast i socijalni prosperitet.

Na ovogodišnjem seminaru bilo je reči o borbi koju radnička klasa vodi kako bi sačuvala svoje pravo na rad, socijalnu sigurnost i dostojanstven život a na koju vladajuća buržoazija širom sveta odgovora brutalnom represijom jasno pokazujući da ne mari za prava radničke klase. Na seminaru je zaključeno da je svetsku krizu izazvao kapitalizam i njegovi predvodnici, te da oni moraju da plaćaju danak takve politike a ne radnička klasa.

Na ICS su usvojene četiri rezolucije, a posebnu solidarnost data je narodu Turske koji se nalazi pod surovom represijom pro-imperijalističkog buržoaskog režima. U svom nastupu pred učesnicima seminara drug Marijan Kubik je predstavio stavove NKPJ o svim ključnim pitanjima kako u zemlji tako i inostranstvu sa posebnim akcentom na okupaciju Kosova i Metohije od strane zapadnih imperijalista i njihovih albanskih separatističkih marioneta u Prištini. Učesnici ICS upoznati sa servilnim izdajničkim stavom pro-imperijalističke Vlade Srbije koja zarad ulaska Srbije u tamnicu naroda Evropsku uniju prihvata sve ultimatume zapadnog imperijalizma u cilju priznavanja “nezavisnosti” Kosova. Predstavnik NKPJ drug Kubik imao je prijateljske razgovore sa svim delegacijama koje su učestvovale na ICS. Poslednjeg dana drug Kubik je ima iscrpne razgovore sa predstvanicima domaćina, Radničke partije Belgije. U tim razgovorima istaknuta je obostrana želja za jačanjem saradnje, razmenom informacija i iskustva. Domaćini su druga Kubika informisali da Radnička partija Belgije poslednjih pet godina beleži rast popularnosti. Članstvo PTB je u značajnom porastu što se odrazilo na sveukupne anktivnosti te partije. Na prošlogodišnjim lokalnim izborima Radnička partija Belgije ukupno je osvojila 31 mandat na raznim nivoima a čelnici te partije očekuju da bi na sledećim izborima mogli da po prvi put izbore mandate u belgijskom parlamentu.






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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
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Invita i tuoi amici e Tiscali ti premia! Il consiglio di un amico vale più di uno spot in TV. Per ogni nuovo abbonato 30 € di premio per te e per lui! Un amico al mese e parli e navighi sempre gratis: http://freelosophy.tiscali.it/




Scarica il volantino di presentazione dell'iniziativa (PDF 1,1Mb): https://www.cnj.it/INIZIATIVE/namoreconamore/NaMoreConAmore.pdf


Segnalazione iniziativa


nA More Con AMore


19 giugno 2013



NA MORE CON AMORE vuol dire “al mare con amore” ed infatti è estate, finalmente! E’ anche tempo di mare, di sole e di vacanze per molti.

E noi ne abbiamo pensata un’altra… Un’altra iniziativa, con questo nome, che ci piacerebbe realizzare ancora con i nostri vicini Serbi, in particolare con bambini provenienti dalla regione jugoslava del Kosovo.

Le associazioni di volontariato “Non bombe ma solo caramelle Onlus” e “CNJ- Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – Onlus” ci aiuteranno in tutto ciò, insieme ad altri, amici e conoscenti preziosi e sensibili a queste iniziative ed al loro significato più ampio.

Stiamo organizzando una settimana di ospitalità estiva (fine agosto - prima settimana di settembre), per un piccolo gruppo di 7 studenti Serbi, di età compresa tra gli 11 e i 12 anni, più un’ accompagnatrice.

I ragazzi frequentano la Scuola Primaria "Sveti Sava", una piccola realtà che conta in tutto 29 studenti dal primo all’ultimo grado. Provengono da famiglie serbe residenti nel villaggio di Jasenovik, nella municipalità di Novo Brdo nell’area del Kosovo orientale. Il villaggio conta non più di 150 abitanti che vivono spesso ai limiti della povertà, della sussistenza, della frugalità. E soprattutto scontano il disagio di un certo isolamento territoriale, istituzionale e sociale, specialmente nell’ultimo periodo, a seguito delle difficoltà dei rapporti tra il governo di Belgrado e Pristina e nella riorganizzazione amministrativa del territorio, processi seguiti e pesantemente influenzati dalla Comunità Europea.

Il soggiorno dei ragazzi è previsto nella località di mare Santa Severa (RM), dove verrà messa a disposizione gratuitamente una struttura privata, abitazione adeguata per ospitare il gruppo. Parteciperanno all’iniziativa ragazzi ritenuti anche bravi studenti, che non presentano gravi problemi di salute in termini di idoneità a sostenere il viaggio previsto ed il programma di attività, che riguarderà un soggiorno balneare e una parte di visita culturale del territorio locale e magari anche una gita su Roma, che dista circa 60 km.

Accompagnatrice del gruppo sarà l’insegnante Valentina Ristic, che abbiamo conosciuto in passato e già ospite in Italia con altri ragazzi.

L’iniziativa, finalizzata in parte alla ricreazione dei ragazzi e in parte allo scambio culturale, auspica come sempre la creazione di relazioni tra comunità italiane e serbe, la reciproca conoscenza, a beneficio e come occasione di crescita psico-fisica soprattutto per i minori coinvolti, sperando ciò possa in qualche modo contribuire alla serenità dei ragazzi e servire da stimolo per la loro vita assai dura nella realtà attuale da cui provengono.


Il costo massimo previsto per l’iniziativa è di circa 2.000 euro. Dipenderà soprattutto dalle spese di viaggio, ancora in fase organizzativa. Partiamo con un minimo di disponibilità economica pari a 670 euro.

Con l’aiuto e la partecipazione di volontari, potremo assicurare anche il vitto per il periodo a costi contenutissimi.

Abbiamo però bisogno di raccogliere ulteriori fondi e quindi, per chi può e vuole, è possibile sottoscrivere l’iniziativa utilizzando le seguenti coordinate:

CONTO BANCOPOSTA n. 88411681 intestato a JUGOCOORD ONLUS, Roma
(IBAN:  IT 40 U 07601 03200 000088411681)
causale: na more con amore




Per qualsiasi informazione in più o chiarimenti sulle modalità di sottoscrizione:

Samantha Mengarelli, e-mail:  s a m a n t h a . m e n g a r e l l i @ g m a i l . c o m - cell. 3 2 8 6 5 4 0 1 0 6


Vi aggiorneremo sul programma e sugli sviluppi dell’iniziativa.

Grazie per l’attenzione e un caro saluto


Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus


Non Bombe ma Solo Caramelle - onlus





(sul 440.mo anniversario del sacrificio di Matija Gubec, ribelle ed eroe popolare)


Povodom 440. godišnjice (1573.-2013.) Seljačke bune Matije Gupca


GUBEC MATIJA  – vođa seljačke bune u Hrvatskoj 1573. godine, za oslobođenje seljaka od hrvatskih i mađarskih feudalnih gospodara; pobijeđen i uhvaćen, strašno mučen od zagrebačkog feudalog suda i najzad ubijen u Zagrebu 15. veljače 1573. godine.; po većini izvora i podataka povjesničara, na glavu mu je stavljena užarena željezna kruna.

Seljačka buna 1573. u Hrvatskoj izbila je kao rezultat ekonomskog-društvenog položaja seljaka u feudalizmu sa svim oblicima njegovog ekonomskog i političkog ugnjetavanja, što je bilo pojačano vanjskim momentima.

Ona je bila izraz pobune kmetova protiv nepodnošljivih uvjeta života; centar bune bila je Donja Stubica; vođa je bio Matija Gubec, stubički kmet, a pored njega Ivan Pasanac i Ivan Mogaić; njih trojica činila su neku vrstu političkog rukovodstva bune, operacijski plan bio je povjeren Iliji Gregoriću, uz koga je bio izvjestan broj seljačkih kapetana. Pobuna je izbila na imanju feudalca Tahija zahvativši Hrvatsko zagorje i jedan dio Slovenije, gdje se kao vođa slovenskih pobunjenika ističe bravar Pavao Šterc; pobunjenika je bilo oko 20 000. Buna je trajala 12 dana. Ona je uzdrmala feudalizam u Hrvatskoj i utjecala na niz seljačkih buna u toku idućih stoljeća, doprinijevši konačnom ukidanju kmetstva 1848.g. Parola „za stara prava“ pod kojom su se vodile seljačke bune, bila je borba za napredak i više forme društvenog života.

Vlasti u Hrvatskoj ignoriraju Seljačku bunu Matije Gupca i već 1990. g. skinuli su veliku sliku Seljačke bune, koja se nalazila na zidu u predvorju Hrvatskog sabora. Povodom ove 440. godišnjice nije bilo u medijima nikakve vijesti o Seljačkoj buni i Matiji Gupcu. U riječkom Novom listu nisu htjeli tiskati ovaj članak.  O seljačkoj buni i Matiji  Gupcu postoji pjesma koju se nekada pjevalo, a koju narod nije zaboravio :

Matija  Gubec

Nema junaka, nema seljaka

Kao što je bio Gubec  Matija.

Njegovom grobu nigdje traga nema,

Ali duh mu žari srca seljačka.

Davno je tome što si se dig’o

Da skršiš borbom silnika vlast.

Kukom i motikom započeta borba,

Dokončat se mora sada je čas!

I ta tvoja crvena užarena kruna

Daje nam snagu za posljednji boj.

Ustajte braćo sela i grada,

Za slobodu cijelog radnog naroda!

Učiteljica Olga Bogner, SRP-Rijeka




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