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Jovanka Broz inumata al canto di "Bella ciao"

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3) NOTIZIE / NOVOSTI
4) ПАРТИЗАНКА, ХРАБРА ЈОВАНКА (SUBNOR)


=== 1: LINKS / LINKOVI ===

Jovanka Budisavljevic Broz è stata inumata ieri, 26 ottobre 2013, a Belgrado. Al canto di "Bella ciao" l'hanno salutata migliaia di cittadini, all'interno del complesso della "Casa dei Fiori", sul retro del Museo di Storia della Jugoslavia, dove riposa anche Josip Broz Tito. Almeno 70 i pullman giunti dalle altre repubbliche jugoslave. Erano presenti i rappresentanti delle associazioni partigiane, dei partiti comunisti ed operai, ed i compagni combattenti con Jovanka nella Sesta Divisione partigiana della Lika...

Sahranjena Jovanka Broz

Novosti online | 26. oktobar 2013. 09:51 > 13:42 | Komentara: 86
Jovanka Broz sahranjena je u Kući cveća, pored Titovog groba, uz melodiju "O bela ćao", a na ploči od belog venčačkog mermera je, zlatnim slovima, identičnim onim na Titovoj ploči, ispisano "Jovanka Broz 1924-2013"...
Najmanje 70 autobusa dolazi iz bivših republika ... Na platou ispred Kuće cveća, mnogi od 10.000 okupljenih građana koji su došli da isprate Jovanku, plaču. Nose slike maršala Tita i zastave...


I partizani na sahrani Jovanke Broz

B. RADIVOJEVIĆ - V. CRNJANSKI SPASOJEVIĆ | 23. oktobar 2013. 21:21 | Komentara: 25
Organizacioni odbor precizirao detalje sahrane Jovanke Broz: Ispred Kuće cveća u počasnom stroju biće gardisti, a uz nadgrobnu ploču nekadašnji partizani. Najavile se delegacije iz Slovenije, BiH, Hrvatske, Crne Gore


VIDEO I SLIKE / FOTO E VIDEO DELLA CERIMONIA DI INUMAZIONE: 

VIDEO: IN MEMORIAM - JOVANKA BROZ

UN SCARICA DI ODIO FASCISTA CONTRO LA PARTIGIANA JOVANKA, SUL SITO INTERNET DEGLI IRREDENTISTI ITALIANI:


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Di seguito il testo del telegramma inviato a nome del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS dal nostro presidente I. Pavičevac:

Duboko suosjecanje i poslednji pozdrav drugarici Jovanki Broz. Neka joj je vjecna slava!
CNJ - Jugocoord, Rim

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Izjave povodom smrti Jovanke Broz:

SUBNOR

SRP

Pokret Socijalista

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POSVETA DRUGARICI JOVANKI BROZ


Povodom smrti Jovanke Broz Koordinacioni Odbor komunističkih i radničkih partija država s prostora bivše Jugoslavije, izražava duboka suosjećanja s njenom rodbinom i brojnim poštovaocima njenog lika i djela sa ovih prostora i širom svijeta.

Gotovo da nije moguće zamisliti Titov lik i pojavu u brojnim prilikama u kojima smo ga susretali i gledali bez njenog dostojanstvenoga osmjeha i prisustva iz kojeg se iščitavala istovjetnost s Titom i njeno nastojanje da s Titom kao državnikom i oko njega bude sve u najboljem ozračju. No, drugarica Jovanka nije bila samo odana supruga Josipa Broza, već prije svega mlada SKOJ-evka, antifašistički borac za oslobođenje i bolji život svoga i svih južnoslavenskih naroda, s ratnim činovima i priznanjima u čemu je ostala dosljedna do zadnjega časa svoga života. S njom nas najdublje povezuje ljubav prema Titu i svemu onome što su zajedno simbolizirali, a to je konvencionalnim jezikom rečeno – NOB, revolucija i poslijeratna socijalistička izgradnja, a prozaički – naša sretna djetinjstva, roditeljstva, stvaralaštvo u slobodi, sveopćoj sigurnosti i napretku, a što je, na našu veliku žalost, sve prekinuto secesijom 90-ih godina prošlog stoljeća. Jovanki Broz izražavamo veliku zahvalnost za sva njena dobra i plemenita djela koja je učinila tokom svog revolucionarnog života i žal  što njena životna  pregnuća pred kraj života nisu bila uzvraćena.

  

Neka joj je vječna slava i hvala.

 

Koordinacioni Odbor komunističkih i radničkih partija.

-         Socijalistička radnička partija Hrvatske  SRP

-         Komunisti Srbije  KS

-         Savez komunista Bosne i Hercegovine  SK BiH

-         Komunistička partija Makedonije KPM

-         Jugoslavenska komunistička partija Crne Gore  JKP CG

-         Kulturno društvo komunist Slovenija  KDK



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da www.glassrbije.org

Beograd: Sahranjena Jovanka Broz

Sub, 26/10/2013 

Uz vojne počasti i plotun jedinice Garde Vojske Srbije u Beogradu je sahranjena Jovanka Broz, udovica predsednika SFRJ Josipa Broza Tita, potpukovnik JNA i nosilac Partizanske spomenice 1941. Jovanka Broz je sahranjena u Kući cveća, pored Titovog groba, a na ploči od belog mermera, zlatnim slovima, identičnim onim na Titovoj ploči, ispisano je "Jovanka Broz 1924-2013". Uz predstavnike državnog vrha, sahrani su prisustvovali članovi diplomatskog kora i stranih delegacija, a pored premijera Ivice Dačića, od Jovanke Broz oprostili su se u ime porodice njen sestrić Goran Aleksić i predsednik SUBNOR-a Miodrag Zečević. Jovanka Broz je preminula u nedelju 20. oktobra u Beogradu, u 89. godini.

(Izvor: Međunarodni radio Srbija)

Belgrado: funerali di Jovanka Broz

26. 10. 2013. 
Con gli onori militari e la pattuglia dell’Unità di guardia dell’Esercito serbo, a Belgrado ci sono stati i funerali di Jovanka Broz, vedova del presidente della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, tenente colonnello dell’Armata nazionale jugoslava e portatrice della Medaglia partigiana del 1941. Jovanka Broz è stata sepolta nella Casa dei fiori accanto a Tito, e sulla lapide di marmo bianco è stato inciso con le lettere d’orate identiche a quelle della lapide di Tito, “Jovanka Broz 1924-2013”. Oltre i rappresentanti del vertice statale, ai funerali erano presenti i membri del coro diplomatico e delle delegazioni straniere, e oltre al primo ministro Ivica Dacic, in nome della famiglia a Jovanka hanno dato l’ultimo saluto suo nipote Goran Aleksic e il presidente del SUBNOR Miodrag Zevecic.

Jovanka Broz è morta domenica 20 ottobre a Belgrado all’età di 89 anni.


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Jovanka sarà sepolta nel mausoleo di Tito 

di Stefano Giantin
su www.ilpiccolo.it 22 ottobre 2013

Il dado è tratto, il suo ultimo desiderio doveva assolutamente essere soddisfatto. La vedova di Tito, Jovanka Broz, sarà sepolta vicino al Maresciallo. Così ha stabilito ieri il governo serbo, che ha specificato che la salma dell’anziana ex compagna del leader jugoslavo, morta domenica a Belgrado, sarà inumata «nella Casa dei Fiori, parte del complesso del Museo della storia della Jugoslavia», dove da trenta e più anni riposano le spoglie di Tito.
I dettagli della cerimonia e la logistica sono stati delegati a un comitato organizzativo, istituito ad hoc dall’esecutivo serbo e guidato dal ministro Rasim Ljajic, assieme al primo ministro, Ivica Dacic, uno dei politici più vicini alla defunta. Comitato, riunitosi ieri pomeriggio, che ha deciso che i funerali di Jovanka – a cui saranno tributati gli onori militari, poiché Jovanka si fregiava del grado di maggiore grazie al coraggio dimostrato da partigiana durante la guerra di Liberazione – si terranno sabato prossimo, a mezzogiorno.
Il corpo di Jovanka dovrebbe essere tumulato in una delle grandi stanze accanto alla tomba di marmo che custodisce i resti di Tito, magari quella dove oggi sono esposti i “testimoni” più belli delle Staffette della gioventù dedicate a Tito. Impossibile, per motivi tecnici, legali e non solo, sistemare Jovanka nello stesso mausoleo edificato a uso esclusivo del leader jugoslavo, protetto da una lapide pesante quasi dieci tonnellate, visitato in 30 anni da 17 milioni di persone. In ogni caso, il desiderio di Jovanka e dei familiari a lei più vicini è stato appagato.
Familiari che, tuttavia, anche nel momento del lutto si sono dimostrati almeno in apparenza piuttosto divisi, come già accaduto nel caso ancora aperto e scottante dell’eredità di Tito. Nada Budisavljevic, provata dalla morte della sorella più anziana, ha respinto ogni tentativo di approccio da parte della stampa. Più loquace invece un altro dei nipoti di Tito, Joška Broz, fondatore del minuscolo Partito comunista serbo, super jugonostalgico, che ha affermato ieri al “Telegraf” di Belgrado che, malgrado tutto, Jovanka «è stata fino alla fine la moglie legittima» di Tito e per questo «ha diritto a essere sepolta vicino a lui».
Molto critica, invece, un’altra nipote del Maresciallo, Saša Broz, che via Facebook ha esordito spiegando per prima cosa che Tito dovrebbe essere in una tomba «a Zagabria», città che amava tanto. «Era un cittadino del mondo», l’imbeccata polemica, «ma prima di tutto era un croato». E Jovanka? Dopo la separazione «mio nonno non la menzionava mai», fate voi.
Riferimenti a go-go sui giornali serbi invece alla figura di Jovanka. Perché trent’anni d’isolamento? Chi aveva paura di lei? Impossibile rispondere, illustra l’analista Zoran Dragišic. Certo «è che era molto vicina a Tito», tutto fa pensare «che fosse un grande amore, il loro». E che Jovanka, da first lady e «alto ufficiale dell’esercito, conoscesse molte cose segrete sulla guerra», la Seconda mondiale, e sui processi interni alla Jugoslavia titina. «Aveva le chance per fare male a persone molto importanti», Dragišic suggerisce una spiegazione realistica alla sua caduta nel fango.
Certamente, conclude l’analista, «cosa accadde fra lei e Tito nessuno potrà mai veramente saperlo». Cosa accadde fra i due sembra però non interessare ai nostalgici che arriveranno a Belgrado sabato, difficile ancora prevedere in quanti. «Ci saremo, è tutto organizzato», promette al telefono da Bihac, in Bosnia, Hakija Abdic, presidente della Lega degli Antifascisti dell’Europa sudorientale. Ci saranno perché, assicura Abdic, i funerali della «moglie del Maresciallo» e soprattutto «di una coraggiosa partigiana», ultimo simbolo della Jugoslavia, devono essere celebrati come si deve.


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ПАРТИЗАНКА, ХРАБРА ЈОВАНКА


Београд, 26. октобар 2013. Дедиње, Кућа цвећа, тик из Музеј историје Југославије. И много, много народа. Опроштај од партизанке, храбре Јованке Будисављевић Броз. Супруге, верног сапутника председника оне чувене и поштоване земље и маршала Тита.

На сахрани су говорили председник Владе Србије Ивица Дачић, председник СУБНОР-а Србије проф.др Миодраг Зечевић и Горан Алексић у име породице.

Сахрани су присуствовали и многобројни борци, ратни другови из Шесте личке, припадници Пратећег батаљона, представници организација из многих крајева Србије а и и бивших република.

Дошли су да се поклоне и амбасадори Русије, Белорусије и више афричких држава из негдашњег корпуса несврстаних.

На опроштају од Јованке Броз били су и потпредседник Владе Расим Љајић, министри Славица Ђукић Дејановић и Александар Антић, генерални секратар Владе Вељко Одаловић, као и представници Војске и многе истакнуте личности из јавног, друштвеног, политичког и културног живота наше државе.

Сахрани је присуствовала и супруга Председника Републике Србије, Драгица Николић.

ГРЕХ  ПРЕМА  ИСТОРИЈИ  И  АНТИФАШИЗМУ

Опраштајући се од Јованке Броз, председник Владе Ивица Дачић је рекао:

”Прилика је да признамо себи да смо починили грех и према Јованки Броз и према сопственој историји, историји у којој нације и народи граде свој идентитет. Јованка Броз била је и наша прва дама, понос и представник државе. Заборављајући Јованку, заборавили смо нас.

Однос који смо имали према њој, на жалост, имамо према свему што радимо, а то је до оног тренуткакад се нека епоха заврши брже боље све, и лоше и добро, препуштамо забораву. Често смо се понашали као да се никад није догодило. Србија се односила према Јованки као да није била жена која је упознала светске политичаре и свуда дочекивана са достојанством.

Јованка Броз је била поносни представник наше државе и постала жргтва политичког обрачуна и борбе око Тита.

Неправда је почела да се исправља пред крај њеног живота, а кад сам јој, пре неку годину, уручио пасош и личну карту, рекла је да неће нигде да путује.

Опроштај од Јованке је још један опроштај од Титове епохе и прилика и да се подсетимо наше антифашистичке борбе – тог највећег изгубљеног блага.

Тога се данас неки одричу, опреоштају не присуствује ни један представник владе држава насталих на тлу бивше Југославије.

Ово је одлазак последње иконе бивше Југославије. Почивај у миру поред човека коме си посветила живот и од којег си силом и неправдом била раздвојена” – рекао је председник Владе Србије Ивица Дачић.

ВЕЧНО  ЋЕМО  БРАНИТИ  ИДЕЈЕ  И  ДЕЛО  НАШЕ  МЛАДОСТИ

Други говорник на сахрани био је председник Републичког одбора СУБНОР-а Србије, проф.др Миодраг Зечевић:

”Другарице Јованка Будисављевић Броз! Рат си почела и завршила у легендарној Шестој личкој. Била си храбар ратник. Међу најхрабријима. Два ордена за храброст, што је ретко и за хероје. Била си борац војске и покрета који је победио фашистичког окупатора и  југословенску издају.  У 16. години, 1941. године постала си партизанка. Два пута те куршуми непријатеља нису мимоишли.

После рата си уз Тита који је обележио антифашистичку борбу против фашизма и политички цео XX век. У вашој вези има симболике из песме личке ратне бригаде „Шеста личка, спасила Маршала“ – песме која је постала  култна  не само личких већ југословенских партизана.

У целом периоду била си наша другарица Јованка, и ми твоји. СУБНОР ти је доделио признања која је имао и пажњу која је била несебична. Твој живот поред историјске громаде, без обзира на спољне ефекте, није био ни мало лак и једноставан. Такву личност  могао је да прати само човек  посебног кова, искован у револуцији.

Кад си остала сама, живот ти тек није био лагодан. Једно мало одужење дуга државе је сахрана поред вољеног човека, коме си поклонила младост и посветила живот.

Почивај у миру. Била си и бићеш део нас. Кад не буде више наших ратних другова остаје за будућа времена СУБНОР који ће носити, чувати и бранити вечне идеје и дело наше младости.

Хвала ти, другарице Јованка Броз. за учињено и опрости све и свима” – рекао је у опроштајном говору проф.др Миодраг Зечевић, председник СУБНОР-а Србије.

ИСПУЊЕНА  ПОСЛЕДЊА  ЖЕЉА

Јованка Броз имала је последњу жељу – да буде сахрањена у Кући цвећа, крај свог супруга, председника Тита.

Сестрић Јованке, дипломата Горан Алексић, потврдио је на испраћају да је Влада Србије испунила ту једноставну људску молбу.

”Почиваће поред свог животног сапутника кога је неизмерно волела, коме је била одана до краја. Њен живот био је несвакидашња прича, од ратних вихора, преко општег благостања обележеног и вером и надом у још боље сутра, до необјашњиве одбачености. Била је усамљена, 36 година је гордо, поносно, и пркосно, посвећена чувању части, угледа, идеала једног времена, једне велике земље и једног човека”.

Јованка Броз је сахрањена у кругу породице и у присуству чланова Владе Србије и СУБНОР-а. Уз почасни плотун и звуке војничке трубе, после скидања државне тробојке са ковчега.

Поред вечне куће Јованке Броз Будисављевић, тик уз гробницу председника СФРЈ маршала Јосипа Броза Тита, у невеликој згради подно негдашње резиденције у Ужичкој улици на Дедињу, у Београду, више часова текле су колоне људи у жељи да одају последњу пошту и искажу поштовање храброј жени- партизанки.

За испраћај је, иначе, било акредитовано и око 300 медијских екипа из 35 домаћих и 40 редакција из иностранства.





(english / francais / italiano)

Kosovo: una "guerra giusta" per uno Stato-mafia

1) FLASHBACK: IL NOSTRO UOMO, UN GUERRIERO DI DIO. Un informatore dei servizi segreti tedeschi era tra quelli che hanno tirato i fili del pogrom antiserbo in Kosovo nel 2004
2) Dichiarazione Di Costituzione Dell’ ASSEMBLEA PROVVISORIA DELLA PROVINCIA DEL KOSOVO METOHIJA
3) NEWS: Verso le "elezioni di novembre"... continuano gli attacchi terroristici sul territorio
4) Kosovo: U.S., NATO, Ex-KLA Troops Drill For Anti-Serb “Crowd Control”
5) Niente Miss Universo per la più bella del Kosovo. La Russia non riconosce il suo Paese
6) PIERRE PÉAN: KOSOVO : UNE GUERRE JUSTE POUR UN ETAT MAFIEUX


=== 1: FLASHBACK ===

[Der originaler Text:

Unser Mann, der Gotteskrieger

Ein BND-Informant gehörte zu den Rädelsführern der antiserbischen Pogrome im Kosovo.

Von Jürgen Elsässer - FreiTag, 26.11.2004

kann man an folgender URL lesen:

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4067 ]


FreiTag, 26.11.2004

Il nostro uomo, un guerriero di Dio

Un informatore del BND era tra quelli che hanno tirato i fili del pogrom antiserbo in Kosovo


di Juergen Elsaesser
FreiTag, 26.11.2004

Il 17 e 18 marzo del 2004 si è verificato in Kosovo un pogrom in piena regola contro i serbi ed altri non-albanesi, la peggiore esplosione di violenza avvenuta dalla fine della guerra nell'estate del 1999. Ci sono state 19 persone uccise (in un primo momento si parlava perfino di 31 vittime) e circa 1000 feriti, oltre a 30 monasteri/chiese ortodosse e 500 case serbe demolite, e 4500 non-albanesi cacciati via.

La scorsa settimana sul notiziario ZDF-Heute [della seconda rete televisiva tedesca, ndT] un agente al soldo dei servizi segreti tedeschi (BND) ha ammesso di essere stato tra i principali artefici dell’”incendio” di marzo [2004]. Si tratta di Samedin Xhezairi che nell’esercito clandestino albanese UCK operava con il nome di battaglia “comandante Hodza”. L’uomo ha combattuto nel 1999 nella 171.brigata dell’ UCK contro i serbi. Dopo che questa guerra del 1999 con l’aiuto della NATO è stata vinta, Xhezairi ha passato la frontiera ed ha preso parte nella primavera del 2001 alla 112. brigata nell’insurrezione dell’UCK in Macedonia. Lì ha comandato un’unità composta da altri stranieri, guerrieri di Dio, nella regione di Tetovo. Quando nel giugno 2001 quest’unità è stata accerchiata dall’esercito macedone vicino ad Aracinovo, l'esercito degli USA l'ha sciolta. Con Xhezairi e i suoi mudjaheddin si sono salvati altri 17 consiglieri militari statunitensi.

Xhezairi – come mostrano i documenti della NATO resi pubblici dalla ZDF - attualmente è coordinatore di una rete segreta composta da appartenenti del formalmente sciolto UCK che oggi operano nel Corpo di Protezione del Kosovo e nella Polizia kosovara, dunque nelle organizzazioni riconosciute dalla amministrazione ONU (UNMIK) e dalle truppe d’occupazione dirette dalla NATO (KFOR). Mediante questa rete è stato sobillato il pogrom di marzo. Xhezairi stesso ha dato ordini ai terroristi a Prizren e Urosevac. Ma la NATO sospetta allo stesso tempo che egli abbia buoni contatti con AlQaida e con Hezbollah.

Anche se le forze mercenarie di Pullach [sede del BND, ndT] avrebbero agito nella sommossa antiserba senza consultarsi con i loro mandanti, rimane però un'altra accusa, confermata da tre testimoni. Il BND avrebbe sorvegliato le conversazioni telefoniche dell’uomo e perciò prima del pogrom era a conoscenza del progetto. Perchè da Pullach non hanno informato le truppe di protezione della KFOR in Kosovo o almeno il contingente delle forze armate tedesche stanziato lì?

Forse perchè al governo federale tedesco sta bene se i serbi vengono cacciati via e il nodo kosovaro si può così finalmente sciogliere, senza proteste da parte di minoranze noiose, alla vecchia maniera tedesca – “la Serbia deve morire“ [nell'originale:“Serbien muß sterbien” - lo slogan in rima forzata che indicava l’intenzione delle forze occupanti austriache e tedesche nei confronti della Serbia nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale, ndT]. Il ministro della difesa Peter Struck si è già più volte espresso per una “soluzione della questione dello status”, come se lo status della Provincia [di Kosovo e Metohija] nella Risoluzione ONU 1244 non fosse già del tutto chiarito – lì è attestata palesemente la sua appartenenza alla Serbia-Montenegro secondo il diritto internazionale. L’amico di partito di Struck, il presidente del SPD Franz Müntefering, a fine agosto 2004 ha preso posizione molto esplicitamente “che il Kosovo è in grado di essere uno Stato indipendente”. Anche la attivista per la politica estera della SPD Uta Zapf si è subito entusiasmata sulla questione dell’”indipendenza kosovara”: “Un tale Stato sovrano sarà poi incorporato nelle strutture europee”. La più insolente proposta è venuta dalla FDP che ha caldeggiato l’annessione del Kosovo alla UE. Il territorio dovrebbe essere ceduto all’”Europa” come “amministrazione fiduciaria”, è scritto nella proposta che il deputato FDP Rainer Stinner ha lanciato nell’aprile 2004. “La sovranità del Kosovo passerebbe poi all'Europa”. Stinner ha detto alla redazione del portale internet german-foreign-policy.com che dopo l’annessione “un capo europeo si occuperà della politica estera e di difesa” del Kosovo. Questo lavoro potrebbe forse farlo l’eterno traffichino Guido Westerwelle. O forse si dovrebbe lasciare la piccola repubblichetta musulmana sotto la protezione della nuova nazione membro dell’UE, la Turchia? Le proposte sono tante. Il fatto però è che i serbi danno ancora fastidio. Ma per questo abbiamo gente come Xhezairi.


[trad. di M. Jovanovic Pisani, rev. di A.M. per CNJ-onlus]



=== 2 ===

(The following text, in english: 
THE DECLARATION ON ESTABLISHMENT OF THЕ PROVISIONAL ASSEMBLY OF AUTONOMY PROVINCE OF KOSOVO AND METOHIJA
ZVECAN - 04. July 2013.



Dichiarazione Di Costituzione Dell’ Assemblea Provvisoria Della Provincia Del Kosovo Metohija

Scritto da Beoforum

Zvecan, Kosmet , 04 Luglio 2013

 

Noi, cittadini liberi e responsabili della Repubblica di Serbia,

Rappresentanti liberamente e legittimamente eletti dalla popolazione del Kosovo e Metohija, nell rispetto della Costituzione e delle leggi della Repubblica di Serbia – in qualità di membri delle assemblee municipali nella provincia autonoma del Kosovo e Metohija, che è parte della Repubblica unica e indivisibile di Serbia,

Riconoscendo il bisogno urgente e necessario, in maniera organizzata, di proteggere le nostre vite e famiglie, le nostre case e proprietà, gli altri diritti umani e le libertà fondamentali, la dignità di cittadini, l'identità e l'integrità, la cultura e la religione, il patrimonio culturale e storico, ecc ,

Rispettando la Costituzione e le leggi della Repubblica di Serbia e respingendo tutti gli atti illegali secessionisti,

Facendo riferimento alla Carta delle Nazioni Unite, dell'Atto finale di Helsinki e alla risoluzione ONU 1244 (1999),

Rifiutando la separazione proclamata dal movimento secessionista albanese, della Provincia Autonoma del Kosovo e Metohija dalla nostra Repubblica di Serbia, contro la nostra volontà democraticamente espressa, così come contro la Costituzione, in modo illegale e priva di significato,

Seguendo la volontà inequivocabile della popolazione dei comuni Kosovska Mitrovica, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic, liberamente espresso con il referendum che si è tenuto il 15 febbraio 2012, di non-accettazione delle istituzioni della cosiddetta Repubblica del Kosovo,

 

Ricordando che la Costituzione della Repubblica di Serbia indica esplicitamente che la Provincia Autonoma del Kosovo e Metohija è parte integrante del territorio della Repubblica di Serbia, che ha una posizione di sostanziale autonomia all'interno dello stato sovrano della Serbia e da questa posizione il Kosovo e Metohija, segue la responsabilità costituzionale di tutti gli organi dello Stato per rappresentare e tutelare gli interessi statali della Serbia in Kosovo e Metohija, nelle sue relazioni politiche interne ed estere, come pure che la sovranità viene dalla popolazione e nessuno organo di stato, di gruppo o individuale può stabilire la sovranità della popolazione, o stabilirne il governo, trasgredendo la volontà liberamente espressa della popolazione,

Riguardo questo,

Rifacendosi alla Dichiarazione dell'Assemblea Nazionale del popolo serbo, tenutasi il 22 Aprile 2013, a Kosovska Mitrovica, che ha  respinto il '" Primo accordo principale che regola la normalizzazione delle  relazioni", che a Bruxelles il 19 aprile 2013, firmato dal Primo Ministro della Repubblica di Serbia, Ivica Dacic e dal "presidente del governo del Kosovo", Hashim Thaqi, in contrasto con la volontà del popolo serbo e della popolazione della Provincia Autonoma del Kosovo e Metohija, ed al rispetto della Costituzione e delle leggi della Repubblica di Serbia, in quanto è contro la Costituzione e contro le leggi della Repubblica di Serbia. I cittadini che sono fedeli alla Repubblica di Serbia, i comuni con maggioranza serba e tutte le altre istituzioni della Repubblica di Serbia in Kosovo e Metohija vengono abbandonate e spinte nel "sistema costituzionale e legale" non riconosciuto e illegalmente proclamato dalla cosiddetta Repubblica del Kosovo,

degli  albanesi dal Kosovo e Metohija,

Resistendo a enormi pressioni e ogni tipo di ingiustizia,alla violenza legale e al dispotismo politico di persone potenti, ai i serbi e alla popolazione della Provincia Autonoma del Kosovo e Metohija, che rispettano la Costituzione e le leggi della Repubblica di Serbia e dell’auto-governo locale in cui vivono,vengono imposti un altro governo sovrano, un "quadro e  istituzioni giuridiche" della cosiddetta autoproclamata ed illegale Repubblica del Kosovo,

Con la nostra libera volontà e con la decisione del popolo che rappresentiamo, ci siamo riuniti in Zvecan il 04. Luglio 2013, e secondo l'articolo 2 e 12 della Costituzione della Repubblica di Serbia e degli articoli 88 e 89, delle leggi sul autonomie locali, abbiamo istituito l'Assemblea provvisoria della Provincia Autonoma del Kosovo e Metohija, e deciso di adottare:

La dichiarazione di costituzione della Assemblea provvisoria della provincia di autonoma del Kosovo e Metohija

Stabilendo i seguenti Decreti generali

1. Che l’Assemblea provvisoria della Provincia Autonoma del Kosovo e Metohija (nel testo a seguire : Assemblea provvisoria) è l'organo rappresentativo della popolazione della Repubblica di Serbia nella Provincia Autonoma del Kosovo e Metohija, che rispetta Costituzione e le leggi della Repubblica di Serbia, e che il diritto di autonomia territoriale è affermato dentro la Costituzione e le leggi della Repubblica di Serbia.

Autorità

2. L’Assemblea  provvisoria istituirà uno statuto provvisorio della Provincia Autonoma di Kosovo e Metohija, ed esso sussisterà, fino a quando non verrà stabilita una legge su una sostanziale autonomia della Provincia del Kosovo e Metohija  in continuità con la Costituzione e le leggi della Repubblica di Serbia; ed esso disporrà temporaneamente l'esecuzione dei diritti sull’ autonomia territoriale.

Dopo l'emanazione di una legge su una sostanziale autonomia della Provincia Autonoma del Kosovo e Metohija, l’Assemblea provvisoria emetterà uno Statuto di Autonomia della Provincia del Kosovo e Metohija e altri atti generali (decisioni), in cui i diritti in materia di autonomia territoriale saranno coordinati con questa legge.

Composizione ed organi dell'Assemblea provvisoria

3. L’Assemblea provvisoria sarà composta da ____ membri-delegati che devono essere eletti dai membri dei consigli dei Comuni del territorio di Kosovo e Metohija.

4. Il mandato di membro-delegato dell'Assemblea provvisoria durerà fino alla elezione della prima composizione dell'Assemblea della Provincia Autonoma del Kosovo e Metohija ed al massimo potrà essere di quattro anni dal giorno della costituzione dell'Assemblea provvisoria.

5. Ogni Comune, firmatario del documento circa l'istituzione dell’Assemblea provvisoria ha almeno 5 (cinque) membri delegati nell’ Assemblea provvisoria. L'atto di costituzione può essere ulteriormente sottoscritto da un gruppo di cinque o più Associazioni registrate di sfollati provenienti dal Kosovo e Metohija, che guadagnano il diritto a 5 (cinque) membri nell’Assemblea provvisoria.

6. L’Assemblea Provvisoria ha il Presidente, il Vice Presidente, una Segreteria e gruppi di lavoro.

Sessioni dell'Assemblea provvisoria e il modo di lavoro

7. L’Assemblea provvisoria è pubblica.

8. L’Assemblea provvisoria si riunirà in due sessioni annuali regolari e straordinarie se sarà ritenuto necessario.

9. L’Assemblea provvisoria emetterà una Direttiva di Procedure che in dettaglio disporranno le regole e le modalità di lavoro.

10. Tutte le altre questioni saranno regolate con i documenti dell’’Assemblea provvisoria.

Zvecan, 17 Luglio 2013

Attuali Membri dell'Assemblea Provvisoria della Provincia Autonoma del Kosovo and Metohija

Municipalità di Kosovska Mitrovica 
Municipalità di  Zvecan
Municipalità di Leposavic
Municipalità di Zubin Potok
Municipalità di Pec
Città di Pristina (Gracanica)
Municipalità di Novo Brdo
Altre…

Da Beoforum – Traduzione di Enrico Vigna per Forum Belgrado Italia



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VIDEO: RTS - Novembarski "lokalni izbori" na Kosovu i Metohiji - 07.10.2013
http://www.youtube.com/watch?v=AdwYP9Cj3kc

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da www.glassrbije.org/ italiano

Nuova esplosione a Kosovska Mitrovica

19. 10. 2013. -

Dopo la mezzanotte a Kosovska Mitrovica settentrionale le persone ignote hanno gettato la bomba sulla terrazza dell’appartamento di Ninoslav Djeric, il candidato della lista Iniziativa civica serba a Mitrovica. Nel momento dell’esplosione, nella quale nessuno è stato ferito, Djeric si trovava nel suo appartamento con la consorte e figlia. Nelle ultime 24 ore questo è il secondo incidente dinamitardo a Kosovska Mitrovica settentrionale. Nella deflagrazione di ieri mattina sono stati dannneggiati alcuni uffici. La direttrice dell’Ufficio dell’amministrazione a Mitrovica Adriana Hodzic,  candidato sindaco di Mitrovica alle elezioni amministrative del 3 novembre, ha detto che nel mirino degli attacchi dinamitardi si trovano le persone che fanno parte del processo elettorale a Mitrovica.

Vulin: traguardo degli attacchi è che serbi abbandonino Kosovo

19. 10. 2013. 

Il Ministro senza portafoglio per il Kosovo Aleksandar Vulin ha condannato l’attacco contro l’appartamento di Ninoslav Djeric, il quale è il candidato della lista Iniziativa civica serba a Mitrovica settentrionale. Egli ha detto che lo scopo di quell’attacco è che tutti i serbi abbandonino il territorio del Kosovo. L’ultimo attacco dinamitardo contro il candidatro dell’Iniziativa civica serba a Kosovska Mitrovica merita soltanto disprezzo e condanna. L’uomo che l’ha compiuto ha soltanto uno scopo, che i serbi non vivano in Kosovo e che le pulizie etniche organizzate dai terroristi albanesi siano portate e termine dalla mano serba, ha dichiarato Vulin all’agenzia Tanjug.

Dacic: nell’interesse dei serbi kosovari è che partecipino alle elezioni in Kosovo

19. 10. 2013. - 
Il premier serbo Ivica Dacic ha invitato oggi i serbi kosovari a votare alle elezioni amministrative del 3 novembre per le forze politiche che condurranno la politica della Belgrado ufficiale. Queste forze avranno la capacità di difendere gli interessi dello Stato serbo. Per ogni serbo la visita in Kosovo rappresenta un viaggio religioso, ha detto Dacic rivolgendosi ai cittadini che si sono radunati nel cortile del monastero Gracanica. Le autorità di Pristina non dovrebbero opporsi alla partecipazione di Belgrado alle elezioni in Kosovo, perché i serbi che vivono sul suo territorio sanno che l’unico garante che i loro diritti saranno rispettati è l’aiuto di Belgrado e la collaborazione con le sue autorità. Pristina non ha vietato le visite ai rappresentanti politici che consigliano alla popolazione serba di non presentarsi alle urne, e di collaborare con le sue autorità. Dobbiamo prendere il potere nelle nostre mani e usarlo per la relizzazione dei nostri interessi, ha dichiarato Dacic. Egli ha invitato i rappresentanti politici dei serbi kosovari a non litigare e a cercare le soluzioni che rafforzeranno l’unità del popolo serbo.


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Kosovo: U.S., NATO, Ex-KLA Troops Drill For Anti-Serb “Crowd Control”


http://www.eucom.mil/article/25471/525-bfsb-and-multinational-soldiers-test-readiness-at-silver-saber

October 24, 2013


525 BfSB and multinational soldiers test readiness at Silver Saber
U.S. Army Staff Sgt. Cody Harding 4th Public Affairs Detachment

CAMP VRELO, Kosovo: U.S. soldiers from Company C, 1st Squadron, 38th Cavalry Regiment, quickly unload their helicopters and with shields and batons in hand, rush towards their staging area.

Just up the road, members from the Kosovo Police and the European Rule of Law Mission in Kosovo (EULEX) are attempting to calm a growing group of demonstrators. The crowd is becoming increasingly violent and EULEX’s capabilities to disperse the crowd are quickly exceeded.

To help control the escalating situation, EULEX requests assistance from Kosovo Forces and the U.S. soldiers waiting up the road quickly move forward to conduct a relief-in-place with their EULEX counterparts.

Thankfully, the demonstrators here are simply role-players for a training exercise called Silver Saber held at Camp Vrelo Oct. 16. Members from the Kosovo Police, EULEX and KFOR took part in the three-day exercise to help improve the coordination between the different security elements in Kosovo and to test their crowd and riot control capabilities.

The soldiers from the 525th Battlefield Surveillance Brigade make up part of KFOR’s Multinational Battle Group-East: a multinational task force made up of soldiers from nine different countries as well as National Guardsmen from five states.

Silver Saber brought a number of these KFOR soldiers together with their Kosovo Police and EULEX counterparts to train on crowd and riot control, relieving a multinational unit currently engaged in CRC, breaching various obstacles and medically evacuating a casualty.

U.S. Army Col. David Woods, the MNBG-E and 525th BfSB commander, said this exercise was important because it gave KFOR, who operates as a third responder, the opportunity to work with the other security elements in Kosovo.

“We [KFOR] are in a role as a third responder – and that’s not typical for us,” said Woods, a Denbo, Pa., native. “We are typically the lead and that’s hard for us sometimes to wrap our heads around.”

U.S. Army Staff Sgt. Robert Musil, the noncommisioned officer in charge for Detachment 3, Company C, 1st Squadron, 38th Cavalry Regiment, said another challenge the U.S. soldiers faced was their inexperience in performing CRC as a part of peace support operations.

“Nine months ago, none of us had done anything like this [CRC] before,” said Musil, a Chicago native. “We’re traditionally a light infantry or recon element, so CRC isn’t something we’re used to.”

To help learn escalation the soldiers from the 525th BfSB leveraged the experience and expertise of their multinational partners.

The 525th BfSB soldiers hit the halfway point for their deployment right before Silver Saber, and Woods said he has seen a considerable amount of development within the battle group.

“Our formation has grown significantly,” said Woods. “I’m confident that we are more than prepared and resourced to deal with any circumstance or any situation that presents itself in Kosovo.”



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Niente Miss Universo per la più bella del Kosovo
La Russia non riconosce il suo Paese


Il concorso si svolge a Mosca: per solidarietà alla Serbia
gli organizzatori hanno detto no a Mirjeta Shala


PRISTINA – La kosovara, niet: in naftalina l’abito con lo strascico, niente scarpina di cristallo, per non parlare del principe azzurro… La favola di mezzanotte di Mirjeta Shala, 19 anni, cenerentola albanese del piccolo villaggio di Vucitrin che sta sulla strada fra Pristina e la Serbia, è già finita prima ancora di cominciare. Al gran ballo moscovita di Miss Universo, il prossimo 9 novembre, lei non ci sarà. E non perché non abbia le misure giuste, anzi: 1,83 d’altezza, gran fisico, volto da modella, ha già avuto più d’una copertina. Il punto è che Mirjeta l’estate scorsa è stata eletta Miss Kosovo e la finalissima del concorso di bellezza, per la prima volta, quest’anno si terrà in Russia: uno dei Paesi che non vogliono riconoscere l’indipendenza dell’ultimo nato degli Stati europei, proclamata cinque anni fa. Il presidente russo Vladimir Putin, grande fratello dei Balcani, grande amico della Serbia e soprattutto storico sostenitore delle pretese di Belgrado sul Kosovo, è stato invitato come ospite d’onore alla serata di Mosca. Sarebbe stato proprio lo staff del Cremlino a porre il veto al miliardario americano Donald Trump, che da quasi vent’anni organizza la passerella delle bellezze universali: troppo imbarazzante dover applaudire la rappresentante d’una nazione che, per la Russia, nemmeno esiste.

DON’T CRY FOR ME, ALBANIA - Ci sta piangendo ancora, Mirjeta. E non le importa che le abbiano promesso d’ammetterla d’ufficio all’edizione dell’anno prossimo. O che la manderanno a Miss Mondo. O che pure Miss Albania, Fiorabla Dizdari, per solidarietà etnica si sia ritirata dalla competizione. Il motivo ufficiale, «non ci sono le garanzie necessarie di sicurezza», nasconde (male) una battaglia geopolitica che non risparmia nemmeno le reginette di bellezza: dagli Usa all’Italia, passando per Tonga e le Isole Vergini, sono 106 i governi di tutto il mondo che riconoscono il Kosovo, ma cinque Stati dell’Ue (come la Spagna) e potenze influenti (dalla Cina alla Russia, dal Vaticano a Israele) ancora non accettano l’indipendenza dalla Serbia. La decisione degli organizzatori è irrevocabile e basta andare sul sito di Miss Universo per vedere come l’Albania e il Kosovo, in bella vista nell’edizione 2012, siano spariti dall’elenco partecipanti 2013. La stampa di Pristina ci rimane male: il giornale Koha Ditore ricorda come le Miss Kosovo degli ultimi cinque anni abbiano dato lustro al concorso, una sia arrivata nella top 10 finale, un’altra fra le prime sedici, mentre Aferdita Dreshaj (2011) ha conquistato i titoli del gossip pubblicizzando bene il suo flirt con l’attore Leonardo Di Caprio.

PROTESTANO ANCHE I GAY - Le critiche più roventi sono rivolte però agli americani, padrini storici d’un concorso che sopravvive a più di sessant’anni di storia, raggiunge 600 milioni di telespettatori e va ora alla ricerca di ricchi mercati all’Est. Pristina è l’unico posto al mondo che abbia dedicato un viale e una statua a Bill Clinton, il presidente che nel 1999 bombardò Belgrado e sostenne l’Esercito di liberazione kosovaro. E Donald Trump, che in passato non ha nascosto le sue velleità politiche, prospettando anche una candidatura alla Casa Bianca, ora in Kosovo è quasi più detestato di Putin. Le tv gli rinfacciano l’incoerenza tra quest’attenzione per l’uomo forte di Mosca e l’epoca invece in cui proponeva il boicottaggio economico della Cina comunista, «da trattare come un nemico». Nasce male, la trasferta moscovita dell’uomo che Forbes incorona fra i 300 più ricchi del mondo: la scelta d’invitare Putin al gran ballo delle miss è stata criticata anche dalle associazioni mondiali per i diritti Lgbt. «Trump s’inchina allo Zar dell’omofobia», è il titolo d’un appello che gira sul web. «In Russia c’è qualcosa di peggio d’essere attivisti di Greenpeace», ironizzava giorni fa la vignetta d’un giornale canadese, Le Droit, riferendosi ai recenti arresti degli ecologisti: «È peggio essere gay». La sera del 9 novembre, chissà, omosex, ambientalisti e kosovari potrebbero trovarsi a contestare tutt’insieme.


(makedonski / english / francais / italiano)

Il lavoro sporco dei "giornalisti" sulla Siria

1) I cecchini di Assad e le donne incinte (F. Santoianni)
2) I razzi chimici di Ghuta provengono dall’esercito turco (VoltaireNet)
3) M. Parenti: Syria, Sarin, and Casus Belli
4) I macedoni e l’impero USA
Thierry Meyssan affronta tre esperti di politica internazionale tornando sui parallelismi tra le guerre in Jugoslavia e in Siria: l’intervento dell’internazionale jihadista, al fianco di Stati Uniti e ’Unione europea, il ruolo d’Israele e l’addestramento militare dei combattenti dell’Esercito libero siriano da parte dell’UCK in Kosovo, ecc...


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ESEMPI DI BUON GIORNALISMO:

L'INTERVISTA DI RAINEWS24 AL PRESIDENTE SIRIANO BASHAR AL-ASSAD

http://www.rainews24.it/it/video.php?id=36229


MILENKO NEDELKOVSKI SHOW 27.09.2013 (makedonski)


ESEMPI DI GIORNALISMO DI GUERRA:

Le Monde, grandeur et décadence d’un journal au-dessus de tout soupçon
Ahmed Bensaada - 6 octobre 2013

La Repubblica riporta senza firma notizie false, per aizzare l'odio contro la Siria e spianare la strada a nuovi crimini di guerra della NATO:
"Siria, la denuncia: cecchini si allenano contro donne incinte. Lo ha dichiarato al britannico Times il chirurgo David Nott"


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I cecchini di Assad e le donne incinte

25 ottobre 2013

Sempre più avvilente smontare le bufale che ci arrivano dalla Siria. L’ultima, quella dei “cecchini d Assad che sparano su donne gravide”, per le sue evidentissime assurdità non meriterebbe una riga di commento se, anche in Italia, non fosse stata presa come oro colato da “prestigiosi” organi di informazione quali: RepubblicaCorriere della seraSole 24 oreUnitàIl GiornaleRAI…. e da innumerevoli siti internet (tra i quali ci piace menzionare Globalist).
Su questo penoso accorrere di “giornalisti” alla ciotola dell’informazione di regime potremmo spendere analisi sociologichefiumi di parole, improperi… Ma sarà per un’altra volta. Rassegniamoci, quindi, ad analizzare i punti salienti di questa ennesima bufala di guerra.
Il tutto nasce il 19 ottobre quando un chirurgo inglese – tale David Nott –  dichiara prima alTimes e poi alla BBC  di aver lavorato come volontario in non meglio precisati “ospedali in Siria”. Lì sarebbe stato testimone di una sconvolgente verità. I cecchini di Bashar Assad si esercitano quotidianamente sparando su specifici punti del corpo delle vittime civili. Punti che vengono stabiliti dai loro comandanti, di giorno in giorno, per verificarne le capacità e che almeno un giorno alla settimana hanno come obiettivo le pance delle donne incinte. “In un solo giorno oltre sei donne incinte sono state colpite da cecchini ed il giorno dopo altre due. Tutte le madri si sono salvate ma i feti nelle loro pance non sono sopravvissuti. Le donne incinte sono state tutte colpire all’utero. (…) Si trattava quasi di un gioco in cui i cecchini venivano premiati con pacchetti di sigarette.” E a conferma di questa verità mostra l’immagine di una radiografia: un feto con una pallottola conficcata nel cranio.
Va da sè che un qualsiasi giornalista degno di questo nome, prima di pubblicare una simile panzana, qualche domanda se la sarebbe pur posta. Ad esempio, ma che interesse avrebbe oggi Assad a fare sparare sulle donne incinte? Oppure quale sbalorditiva arma riuscirebbe ad uccidere un feto salvando (otto volte su otto!) la donna che lo ha nella pancia? Ma sarebbe bastato dare una occhiata alla “radiografia” per buttare fuori a calci dalla redazione l’esimio chirurgo David Nott: quale pallottola riuscirebbe ad entrare in un cranio senza spappolarlo o, almeno, frantumarlo?
Ma è mai possibile che nessun giornalista si sia sentito in dovere di porsi queste ovvie domande? Si, è possibile. Basti pensare al dilagare di bufale come quella dei bombardamenti sulle panetterie, del napalm sulla scuola, del Sarin a Gouta….
E allora che dire di questi giornalisti? Come scritto prima, le analisi sociologiche, i fiumi di parole le riserviamo per un’altra occasione. Stavolta, abbandoniamoci agli improperi.

 

Francesco Santoianni


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I razzi chimici di Ghuta provengono dall’esercito turco

RETE VOLTAIRE | 11 OTTOBRE 2013

Il canale televisivo al-Iqbariya ha tramesso domenica 15 settembre 2013 una lunga intervista a un prigioniero che racconta come avesse trasportato razzi chimici da una base militare turca a Damasco. Secondo questa testimonianza, l’esercito turco intendeva provocare un intervento internazionale contro la Siria. Il bombardamento limitato sarebbe stato accoppiato a una vasta operazione di comunicazione.

Questa intervista è stata seguita da un dibattito tra il generale Ali Maqsud e l’analista politico Thierry Meyssan sul coinvolgimento turco nel conflitto e la proposta della Russia per l’adesione della Siria alla Convenzione che vieta le armi chimiche.

       
Traduzione di Alessandro Lattanzio


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Da: Michael Parenti 
Data: 30 settembre 2013 09.00.21 GMT+02.00
Oggetto: [Clarity] Syria, Sarin and Casus Belli article


Here is an article (below and attached) that may be of interest to you.
Please feel free to post or publish.

Syria, Sarin, and Casus Belli   


by Michael Parenti

 

U.S. Secretary of State John Kerry announced that on August 21 the Assad government slaughtered 1,429 people, including 426 children, in a sarin chemical attack in Ghouta, a Damascus suburb. (Doctors Without Borders put the total at about 300.)  Secretary Kerry insisted that now the United States had no choice but to launch U.S. bombing attacks against President Bashar al-Assad, devolving into another of America's "humanitarian wars."

 

The Sarin Mysteries

Following Kerry, President Obama announced that the situation in Syria had changed irredeemably since August 21. The United States would have to attack. But, on second thought, Obama decided to leave the decision up to (a seemingly reluctant) Congress.

A few weeks later, Turkish prosecutors issued a lengthy court indictment charging the Syrian rebels with seeking to use chemical weapons. The indictment suggested that sarin gas and other "weapons for a terrorist organization" were utilized by the opposition and not by the Assad government.

The "Syrian freedom fighters" include men who are not even Syrian, much like the many mujahedeen who fought the Soviets in Afghanistan but who were not Afghani. As reported in the Wall Street Journal (September 19, 2013),  the ISIS, an Iraqi al Qaeda outfit operating in Syria, "has become a magnet for foreign jihadists" who view the war in Syria not primarily as a means to overthrow Assad "but rather as a historic battleground for a larger Sunni holy war.  According to centuries-old Islamic prophecy they espouse, they must establish an Islamic state in Syria as a step to achieving a global one."

 
Wrong Hands
Meanwhile, a Mint Press News story quoted residents in Ghouta who asserted that Saudi Arabia gave chemical weapons to an al Qaeda-linked group. Residents blamed this terrorist group for the deadly explosions of August 21. They claimed that some of the rebels handled the weapons improperly and thereby set off the explosions. Anti-government forces, interviewed in the article, said they had not been informed about the nature of the weapons nor how to use them. “When Saudi Prince Bandar gives such weapons to people, he must give them to those who know how to handle them,” complained one rebel militant.
 
At the same time, the Russian government submitted a 100-page report to the United Nations in early September, regarding an attack upon the Syrian city of Aleppo in March 2013. It concludes that the rebels---not the Syrian government---used the nerve agent sarin. According to a member of the U.N. independent commission of inquiry, Carla Del Ponte, there were "strong, concrete suspicions . . .  of the use of sarin gas." Del Ponte added: "This was used on the part of the opposition, the rebels, not the government authorities." Many of those killed by the gas attack were Syrian soldiers, according to the report.
 
If true, then we might wonder why are chemical weapons and other weaponry and supplies being supplied to various al Qaeda-type groups? Is not al Qaeda a secret terrorist organization that delivers death and destruction upon people everywhere? Are we Americans not locked in a global struggle with the demonic jihadists who supposedly hate us because we are rich, successful, and secular, while they are impoverished failures? That certainly is the scenario the U.S. public has been fed for over a decade.

The United States claims it provides military assistance only to "vetted" rebel groups, "free ones" that are friendly toward America and are not Islamic fanatics. (Although, as Senator Croker, Republican from Tennessee, admitted: we sometimes make "mistakes" and give weapons to the wrong rebels.) On September 17, President Obama waived a provision in the federal law that prohibits supplying arms to terrorist groups. To many of us this was an unspoken admission that Washington was giving aid to extremist Islamic groups, of which al Qaeda was only the best advertised.


Remember the Casus Belli

It is difficult for me to accept the charge that on August 21 the Syrian government waged a chemical onslaught in Ghouta against its own people in a situation that was bound to backfire in the worst possible way---by handing over to the U.S. war hawks a casus belli, a perfect  excuse to wreak retaliatory "humanitarian" death and destruction upon Syria. This is the last thing the Assad government wants.

Remember how the Spaniards asked the Americans not to send the USS Maine to Havana Harbor in 1898. They feared that something might happen to the ship and the U.S. would use that mishap as a casus belli, putting the blame on Spain. Sure enough, the Maine blew up while sitting in the harbor, sending U.S. public opinion into a jingoistic fury against the Spaniards. But why would Spaniards perpetrate the very act that would give the Americans an excuse and an inducement to wage a war that Spain most certainly did not want and could not win?

And let us not forget the hundreds of imaginary Kuwaiti babies torn from incubators and dashed upon hospital floors by snarling, maniacal Iraqi soldiers. And remember the never-to-be-found weapons of mass destruction (WMDs) that Saddam supposedly was preparing to use but never got around to doing so. And then there's that Serbian general---never identified or located---who purportedly told his troops (also never identified) to "go forth and rape." And Qaddafi who reportedly handed out Viagra to his Libyan troops so they could go forth and rape with a drug-driven vigor, a story so obviously fabricated that it was dropped after two days.

 

Choice: Satellite or Enemy

Why do (some) U.S. leaders seek war against Syria? Like Yugoslavia, Iraq, Libya and dozens of other countries that have felt America's terrible swift sword---Syria has been committing economic nationalism, trying to chart its own course rather than putting itself in service to the western plutocracy. Like Iran, China, Russia and some other nations, Syria has currency controls and other restrictions on foreign investments. Like those other nations, Syria lacks the proper submissiveness. It is not a satellite to the U.S. imperium. And any nation that is not under the politico-economic sway of the U.S. global plutocracy is considered an enemy or a potential enemy.

The Assad government had social programs for its people, far from perfect services but still better than what might be found in many U.S. satellite countries. When Iraqi refugees fled to Syria to escape U.S. military destruction, the Assad government gave them full benefits. So with the Libyan refugees who crossed over a few years later. Generally Damascus presided over a multi-ethnic society, relatively free of sectarian intolerance and violence.

Syria has been ruled by the Ba'ath Party which has dominated the country's parliament and military for half a century. The party's slogan is "Unity, Freedom, Socialism." Socialism?  Now that gets us closer to why the trigger-happy boys in Washington will continue to pursue a "humanitarian war" of attrition and a prolonged campaign of demonization against Assad and his  "regime."


Weapons of Mass Destruction Redux

On September 10, the Syrian governmentwelcomed a Russian proposal calling for Syria to place all of its chemical weapons under international control and for the weapons to be destroyed.  Here was a chance to avoid false charges of mass murder by sarin. If Assad no longer had such an arsenal, no one could accuse him of using it. (In any case, the Syrian government's campaign against the rebels was going well enough using just conventional weapons.)

Instead of winning approval from the humanitarian warriors of the West, Syria's eager agreement to surrender its chemical arsenal set off a newly framed barrage of threats from U.S. and French leaders, with the irrepressible Secretary Kerry leading the charge.

Was this a ploy on Syria's part or a genuine offer? Kerry asked in a scoffing tone. How can we be certain that Assad would not sequester its enormous stock of chemical weapons? Kerry issued a whole barrage of tough-guy threats. Syria will be treated most harshly if it pursued a path of deception. French President François Hollande called for a United Nations Security resolution that would authorize the use of force if Syria failed to hand over its chemical weapons. One would think that Syria had refused to do so.

 The August charge had been that Syria had used chemical weapons , a claim that might be refuted. Now the new charge was that Syria possessed such weapons---which was true. And possession itself was suddenly being treated as a crime deserving of swift and severe retaliation.

Now Assad would have to demonstrate the indemonstrable. He would have to convince the western aggressors that he has handed over his entire stockpile of chemical weapons. At the same time, he asserts that a thorough inspection must not come at the expense of disclosing Syrian military sites or causing a threatto its national security.

Recall how the Saddam government in Iraq, hoping to avoid war, cooperated fully with U.N. inspectors hunting for WMDs. Every facility in the country was opened to investigation. Even after all of Iraq was occupied, the hunt continued. We were told that the WMDs could be anywhere, maybe out in some remote part of the desert. It was impossible to be sure.

I fear that the Syrian population is facing more years of painful attrition. The one faintly positive development is that the FSA and the ISIS and all the murderous, Allah-is-great grouplets continue to attack not only the government forces but each other. Dozens of rebels have been killed in clashes with each other within the last few months.

Meanwhile young Syrian children, now living in refugee camps in Lebanon, go every morning to work long days in the fields, earning the few dollars a day upon which their families depend for survival. Some are as young as 5. When asked what they miss most about Syria, the children say, "school."   

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Michael Parenti is the author of The Face of Imperialism and Waiting for Yesterday. See his website for more information: www.michaelparenti.org


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I macedoni e l’impero USA

RETE VOLTAIRE | 11 OTTOBRE 2013

La televisione macedone ha trasmesso, il 27 settembre, alle 2:30 una puntata con Thierry Meyssan, del Milenko Nedelkovski Late Night Show. Il presidente della Rete Voltaire ha spiegato gli avvenimenti in Medio Oriente degli ultimi due anni e mezzo, distinguendo tra le operazioni militari previste dal Pentagono fin dal 2001 (Libia e Siria) e le rivoluzioni colorate istigate e scarsamente controllate dal dipartimento di Stato (Tunisia ed Egitto).

Ha spiegato gli inganni del sistema di propaganda televisiva della NATO, con esempi come la falsa morte di Neda durante la Rivoluzione Verde in Iran (fotocomposizione), dei falsi ribelli giunti sulla Piazza Verde di Tripoli (immagini girate in anticipo e in studio), e il tentativo di sostituire con falsi canali le TV siriane sui canali satellitari Arabsat e Nilesat.

Ritornando anche sul colpo di Stato dell’11 settembre 2001, evidenziando il sequestro illegale del potere negli Stati Uniti da parte dello Stato profondo, in nome della continuità del governo, avvenuto quel giorno tra le 10:00 e le 16:30. Infine, ha concluso sul declino dell’"impero americano" e la sua imminente scomparsa, secondo un processo paragonabile a quello della fine dell’Unione Sovietica.

Thierry Meyssan ha affrontato tre esperti di politica internazionale tornando sui parallelismi tra le guerre in Jugoslavia e in Siria: l’intervento dell’internazionale jihadista, al fianco di Stati Uniti e ’Unione europea, il ruolo d’Israele e l’addestramento militare dei combattenti dell’Esercito libero siriano da parte dell’UCK in Kosovo, ecc.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

MILENKO NEDELKOVSKI SHOW 27.09.2013



CAPITALISMO REALE (CONTINUA...)


www.resistenze.org - popoli resistenti - romania - 21-10-13 - n. 471

Il 70% dei romeni non va dal medico perché non ha soldi per pagarlo

Jose Luis Forneo | imbratisare.blogspot.com.es
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

08/10/2013

Afferma il canale informativo Antena 3: solo il 30% dei rumeni va dal medico quando si sente male, e il 70% non lo fa perché non ha i soldi per pagarlo. In ogni caso, attendono fino a quando la malattia diventa grave e possono essere trattati gratuitamente presso i pronto soccorso.

Si tratta di un'altra conseguenza della barbarie capitalista, che ha convertito la sanità rumena, come il resto dei servizi pubblici e dei diritti umani, in un affare per pochi e una catastrofe per la maggioranza.

In Romania, la sanità è teoricamente gratuita se si lavora, anche se al di là di quanto è scritto sulla carta, i romeni in realtà devono pagare tre volte per la loro sanità. In primo luogo, con le tasse prelevate sul loro lavoro, che tuttavia non servono a molto. Anche se dovrebbero essere sufficienti, la verità è che il più delle volte non lo sono. I romeni devono pagare una seconda volta attraverso il nuovo COPAGO approvato di recente dal governo socialdemocratico, come disprezzo delle autorità politiche verso i cittadini, giacché i fondi di bilancio della sanità pubblica nella maggior parte dei casi non sono sufficienti a coprire i costi. Cioè, la maggior parte delle volte, il romeno ammalato, dopo aver pagato con il suo lavoro l'assicurazione sanitaria pubblica, deve pagare per il costo di bende, aghi, maschere e anestesia dopo la sua operazione o cura, con l'argomentazione che gli ospedali o centri sanitari sono a corto di soldi.

La cosa non si ferma qui. La corruzione generalizzata del sistema medico romeno fa si che i lavoratori, che ricordiamo guadagnano in media circa 300 euro al mese, ma che per una grande parte di loro è inferiore ai 190, devono pagare in nero un salario extra a medici, infermieri, assistenti e anche custodi ospedalieri, se vogliono essere operati, e tutto questo, naturalmente, con la conoscenza dei direttori ospedalieri e, naturalmente, dei ministri della sanità di turno, che siamo convinti (perché non può essere altrimenti) intascano anche loro la loro parte, formando una rete mafiosa tipica delle dittature del capitale, dove la teoria della porta girevole, che definisce la simbiosi tra classe politica e mafia imprenditoriale, è onnipresente.

In ultima analisi, dei circa 20 milioni di romeni che formano la popolazione attuale del paese, 14 milioni non accede alla "assistenza sanitaria gratuita" perché non gli bastano i soldi. E tutto questo, naturalmente, con l'interessata riluttanza delle autorità politiche e il continuo sfregamento di mani dei loro sodali delle grandi imprese sanitarie. In realtà, il capitalismo, oltre alla povertà, la sottomissione e l'infelicità, ha portato ai lavoratori romeni l'obbligo di subire la malattia fino a quando la sua gravità diventa insopportabile.

Dopo, immaginiamo, penseranno a cosa viene insegnato nelle scuole per farci rassegnare a vivere in "questa valle di lacrime": è la volontà di dio. Nel frattempo, alcuni grandi criminali economici, che credono solo in un dio, il denaro, continuano a vivere nel paradiso terrestre a scapito della ricchezza di coloro che sono stati condannati all'inferno due decenni fa.




Vera e falsa critica del negazionismo

0) Link consigliati
1) "Dall'Olocausto alle Foibe il negazionismo sara' reato"
Tripudio della lobby neo-irredentista per il nuovo progetto di legge che mira a colpire la libertà di ricerca, di insegnamento, di espressione e di pensiero
2) Al negazionismo si risponde con le armi della cultura non con quelle del diritto penale
Durissima, opportuna presa di posizione della Giunta delle Camere Penali contro il nuovo progetto di legge 
3) Martino Cervo su Libero: “Il reato di negazionismo è follia” 
Più lucidi a destra che a sinistra? La battaglia contro l'introduzione del nuovo reato è una battaglia per i diritti elementari
4) FLASHBACKS:  
* CONTRO IL NEGAZIONISMO PER LA LIBERTÀ DI RICERCA (2007)
L'appello degli storici, completamente obliato. Dopo 6 anni, si precipita all'indietro...
* Condanna dell'ebreicidio e condanna delle infamie coloniali del Terzo Reich
di Domenico Losurdo - da l'Ernesto rivista comunista, n. 1-2 2007


=== 0: LINK CONSIGLIATI ===

L'iniziativa parlamentare recentemente rilanciata (dopo l'opportuno "blocco" della Legge Mancino nel 2007), con la quale si vorrebbe introdurre uno specifico reato di "negazionismo", ci trova in totale e completo disaccordo. E' una iniziativa molto pericolosa e suscettibile di prestare il fianco ad ogni abuso nella strumentalizzazione della Storia... Alle menzogne in campo storico si deve ribattere con gli argomenti, cioè con i fatti; la credibilità di chi "fa storia" si valuta con gli stessi strumenti di valutazione usati in altri campi scientifici ("peer review"), altrimenti abbiamo solo una "storiografia ufficiale" o "di regime" ovvero una "storiografia del più forte"... Altri sono i reati che dovrebbero essere considerati, ed in base ai quali si dovrebbe molto più spesso condannare e punire: è curioso invece che in Italia reati come quello di "incitamento all'odio razziale" o l'altro di "ricostituzione del partito fascista" siano applicati rarissimamente... 

La proposta di legge (che è poi un emendamento alla legge Mancino), primo firmatario Felice Casson:
http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/703064/index.html

Il problema, come al solito, non è solo italiano ma dipende da imposizioni incombenti a livello europeo. Sono iniziative liberticide che "lor signori" cercano di attuare da anni, con il preciso scopo di tappare la bocca alle interpretazioni non-ortodosse dei fatti attuali, più ancora che sui fatti del passato: una minaccia concretissima è che ad es. siano vietati i libri che abbiamo prodotto su Srebrenica, caso sul quale esistono già "pezze d'appoggio" giuridiche come le sentenze del "Tribunale" dell'Aia o le deliberazioni del Parlamento Europeo...

Il testo dello statuto della Corte penale internazionale di cui si parla nella proposta di legge:
http://files.studiperlapace.it/spp_zfiles/docs/romastat.pdf

EU proposes to send to jail those denying genocide in Africa or Balkans
February 2, 2007

Il problema, come al solito, non è solo italiano! La polemica sta infuriando ad esempio anche in Belgio, ed in Spagna:

La libertad de expresión del fascista
Ana Valero - 17 octubre, 2013

In Italia la questione sembrava essere stata chiusa, ragionevolmente, nel 2007. Da rileggere in proposito:

Negazionismo e Stato. La verità storica non s’impone per legge
Angelo d'Orsi (Storico, docente dell'Università di Torino), 24 gennaio 2007

La ricerca storica è ricerca scientifica
di A. Martocchia - su "La Voce" del Gruppo Atei Materialisti Dialettici di aprile 2007
http://www.resistenze.org/sito/te/cu/sc/cusc7c08-001203.htm

CHI FABBRICA I NAZISTI?
Violenza nera, fascino del male e fallimento della Legge Mancino
di Wu Ming 1 - 3 dicembre 2006
http://www.carmillaonline.com/2006/12/03/chi-fabbrica-i-nazisti/

(a cura di AM per CNJ-onlus)


=== 1 ===

 
DALL'OLOCAUSTO ALLE FOIBE IL NEGAZIONISMO SARA' REATO - 17ott13

Chi negherà il dramma delle Foibe, così come la Shoah, rischierà oltre 7 anni di carcere. Lo prevede la   nuova norma anti negazionismo approvata dalla Commissione Giustizia del Senato, che ora dovrà essere esaminata dall’aula. Chi istiga o fa apologia relativa a «delitti di terrorismo, crimini di genocidio, crimini contro l’umanità o crimini di guerra, la pena è aumentata della metà. La stessa pena si applica a chi nega l’esistenza di crimini di genocidio o contro l’umanità».

Poche righe che vengono associate comunemente alla Shoah ma che vanno a coinvolgere anche altre realtà. Foibe comprese. «Il testo della legge parla chiaro» conferma il senatore del Pdl, Carlo Giovanardi che, al pari del socialista Enrico Buemi, si è astenuto dopo che è stata bocciata la sua proposta di limitare la norma all’Olocausto, lasciando fuori altre questioni ancora aperte, tra cui quelle relative al confine orientale.

L’emendamento approvato dalla Commissione Giustizia del Senato va a modificare il codice penale e comporta una pena massima di sette anni e mezzo. La norma, presentata da tutti i gruppi e votata a larghissima maggioranza, va a modifica l’articolo 414 del codice penale, che riguarda l’istigazione a delinquere. Se qualcuno istiga a commettere reato la pena può variare da 1 a 5 anni, con l’articolo approvato in Commissione Giustizia si aggiunge un aggravio del 50% di pena da scontare nel caso l’istigazione riguardi atti terroristici o crimini contro l’umanità e nel caso si negazione di genocidi o crimini di guerra.

Il provvedimento è al centro anche di un caso politico-istituzionale: il presidente del Senato, Pietro Grasso, aveva avanzato la richiesta di approvare in sede deliberante il ddl, facendolo appunto diventare legge direttamente in Commissione senza il passaggio in aula. Ma il Movimento 5 Stelle ha detto no insieme a Buemi; quest’ultimo avrebbe prima minacciato le dimissioni («non si può fare carta straccia delle regole», ha dichiarato) salvo poi cambiare idea a favore della richiesta di Grasso. Troppo tardi, però, perché il provvedimento è tornato alla presidenza che ora dovrà convocare i capigruppo per calendarizzare l’esame del disegno di legge.

I grillini, tramite il senatore Maurizio Buccarella, hanno accusato Grasso di volere attuare un colpo di mano. «Noi vogliamo che decida il parlamento, l’Aula del Senato in un dibattito pubblico su una materia delicatissima e piena di rischi anche alla luce del testo oggi redatto» ha aggiunto l’esponente pentastellato. Grasso ha parlato di «occasione mancata» e ha spiegato che la sua richiesta era soltanto «il tentativo che un’iniziativa parlamentare fosse finalmente accelerata in un momento simbolicamente importante. Non ci siamo riusciti per la democrazia, adesso ne discuteremo in Aula».

Forti le critiche nei confronti del Movimento 5 Stelle, da Anna Finocchiaro (Pd), secondo cui i grillini «dicono no a tutto» a Renato Schifani (Pdl) che si rammarica di come « anche un disegno di legge di così grande civiltà, diventi strumento di un’incomprensibile lotta politica». «Sono convinto che sarà presto completato l’iter parlamentare» sostiene il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, secondo cui siamo di fronte a «una affermazione importante di attaccamento a principi di libertà e tolleranza». Secondo il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri, la norma «rappresenta un importante strumento innovativo per tentare di arginare alcuni fenomeni di antisemitismo e di negazione di gravi fatti storici. Esistono infatti episodi del nostro passato storico la cui valutazione negativa è pacifica e non può essere messa in discussione, costituendo la base culturale, l’origine fondante della nostra democrazia. Ai fini dell’individuazione dei crimini, alla luce della consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, dovrà comunque sussistere - spiega Ferri - per la sussistenza del reato, una attività di apologia concretamente idonea a provocare la commissione di delitti da parte di altri».

Renato Schifani, presidente dei senatori del Pdl, l’approvazione del testo di legge in Commissione Giustizia «è un risultato di grande valore per il nostro Paese. Tanto più importante perché arriva alla vigilia di una giornata di enorme significato per le vittime della ferocia nazista. Da oggi in poi sarà impossibile negare l’evidenza di una tragedia che ha segnato drammaticamente il secolo scorso». Giuseppe Lumia, capogruppo del Pd in Commissione, sottolinea come «finalmente si recepisce quanto previsto dalla Convenzione internazionale di New York sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale e si contrasta il risorgere di una subcultura dell’intolleranza che ha generato violenza e morte».

La nuova legge che punisce il reato di negazionismo è, secondo il presidente della comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, «una medicina contro gli spacciatori di odio. L’Italia si allinea ad altri 14 Paesi che hanno già normative simili - ha aggiunto davanti alla sinagoga della Capitale prima della cerimonia per i 70 anni dal rastrellamento nazista del Ghetto -. La nuova legge darà serenità agli ultimi sopravvissuti alla Shoah, che ieri alla notizia dell’approvazione hanno pianto».

Roberto Urizio
www.ilpiccolo.it 17 ottobre 2013


=== 2 ===

http://www.camerepenali.it/news/5502/Al-negazionismo-si-risponde-con-le-armi-della-cultura-non-con-quelle-del-diritto-penale.html

16/10/2013

L'Unione critica aspramente l'introduzione in Italia del reato di "negazionismo", ennesimo, pessimo esempio di legislazione reattiva e simbolica.

Al negazionismo si risponde con le armi della cultura non con quelle del diritto penale.

Dopo il femminicidio la Shoah, continua la deriva simbolica del diritto penale che fa del male, prima di tutto, proprio ai simboli che usa.
L'introduzione anche in Italia del reato di "negazionismo" era stata annunciata da più di un Ministro negli ultimi anni ma si era sempre arenata anche a seguito del diffuso dissenso da parte di storici e giuristi.
Ora l'ipotesi viene frettolosamente e pressoché unanimemente riesumata dalla Commissione Giustizia del Senato, con un emendamento che, oltre ad ampliare ed aggravare le ipotesi di apologia di reato, porterebbe ad introdurre nell'art. 414 del codice penale una sanzione per chi "nega crimini di genocidio o contro l'umanità".
Già vivificare una categoria di reati come quelli di apologia, che in una legislazione avanzata dovrebbero essere espunti, è operazione di retroguardia, ma inserire un reato di opinione, come quello che è la risultante della indicata modifica, è ancora più sbagliato.
La tragedia della Shoah è così fortemente scolpita nella storia e nella coscienza collettiva del nostro Paese, da non temere alcuno svilimento se una sparuta minoranza di persone la pone in dubbio o ne ridimensiona la portata. Anzi, proprio il rispetto che si deve al dramma della Shoah, e alle milioni di vittime innocenti che ha travolto, dovrebbe consigliare ai legislatori di evitare di trasformare il codice penale senza tener conto dei principi fondamentali del diritto moderno, abbandonando la via della risposta reattiva rispetto ai fatti di cronaca ed imboccando quella di un diritto penale minimo e costituzionalmente orientato.
Per contro, l'idea di arginare un'opinione - anche la più inaccettabile o infondata - con la sanzione penale è in contrasto con uno dei capisaldi della nostra Carta Costituzionale, la quale all'art. 21 comma 1 non pone limiti di sorta alla libertà di manifestazione del pensiero.
Ed il giudizio su un accadimento storico - per quanto contrastante con ogni generale e documentata evidenza o moralmente inaccettabile - in altro modo non può definirsi se non come un'opinione, che dunque non può mai essere impedita e repressa dalla giustizia penale: spetterà alla comunità scientifica rintuzzarla, ove sia il caso, e alla maturità dell'opinione pubblica democratica lasciare nell'isolamento chi la formula. A coloro che negano la Shoah bisogna rispondere con le armi della cultura, e, se si vuole, con la censura morale, ma non con il codice penale.
Del resto, anche un solo argine - benché eticamente condivisibile - all'esercizio delle libertà politiche (e tale è, prima fra tutte, la libertà di espressione) introduce un vulnus al principio che l'elenco di esse deve restare assolutamente incomprimibile: quell'elenco infatti, come diceva Calamandrei "non si può scorciare senza regredire verso la tirannide".

Roma, 16 ottobre 2013
La Giunta


=== 3 ===

http://www.blitzquotidiano.it/rassegna-stampa/mario-cervo-libero-reato-negazionismo-e-follia-1694610/

Martino Cervo su Libero: “Il reato di negazionismo è follia”

Pubblicato il 17 ottobre 2013 09.52


ROMA – “Il reato di negazionismo è follia” scriveMartino Cervo su Libero.  In questi giorni, al Senato, è stato depositato in Commissione l’emendamento che introduce nel codice penale il reato di negazionismo. “Un pasticcio” secondo Cervo.
Tocca dire grazie anche a Beppe Grillo e ai 5 Stelle, se il disegno di legge numero 54, composto da un solo articolo, che di fatto introdurrebbe il reato di negazionismo, avrà un iter  parlamentare «normale». Ci sono probabilmente rimasti male Giorgio Napolitano e Pietro Grasso, prima e seconda carica dello Stato. Il primo, celebrando il 70esimo del rastrellamento degli ebrei romani sotto il regime nazifascista, ieri mattina aveva lodato l’«esempio» del Parlamento italiano dopo il sì in commissione Giustizia del Senato, auspicando un rapido completamento dell’iter.
Quando 5 senatori (i grillini Maurizio Buccarella, Mario Giarrusso, Paola Taverna, Enrico Cappelletti e il Psi Enrico Buemi) hanno chiesto di far decidere tutta l’Aula, cambiando la natura dei lavori della commissione da deliberante a referente, Grasso ha parlato di «occasione perduta», avendo lui stesso impresso l’accelerazione dei lavori. Forse, invece, è un’occasione guadagnata per riflettere sull’opportunità di introdurre di fretta una cosa che assomiglia molto a un pasticcio. Non per una questione ideologica, ma pratica. La corale testimonianza di memoria celebrata ieri mostra che, grazie a Dio, l’Italia ha forti anticorpi contro il negazionismo, e che non può essere ridotta all’immagine di quattro signori a braccio teso a presidio della bara di un ex nazista.
Le leggi attuali (Mancino su tutte) permettono di perseguire chi «propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio : razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». Il punto è: negare il genocidio, la shoah, i crimini contro l’umanità, può diventare reato passibile di arresto? Non c’è il pericolo di istituire una «verità di Stato» che, oltre a complicare il lavoro degli storici, rischia con dei processi di trasformare in martiri sporadici dei cialtroni che diffondono idee impresentabili? Non solo sullo sterminio degli ebrei, ma sui gulag, sugli armeni, il libero dibattito non uscirebbe limitato? L’emendamento approvato in commissione prevede che l’articolo 414 del codice penale (che punisce l’istigazione a delinquere) sia esteso a «chiunque nega l’esistenza di crimini di guerra o di genocidio o contro l’umanità».
La pena prevista al primo comma è la reclusione da uno a cinque anni. La dizione non è casuale: come si legge nel comunicato dei senatori proponenti, i tre tipi di crimini sono «definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale ». Il testo elenca tra i crimini di guerra: «cagionare volontariamente grandi sofferenze o gravi lesioni all’integrità fisica o alla salute; distruzione ed appropriazione di beni, non giustificate da necessità militari e compiute su larga scala illegalmente ed arbitrariamente; privare volontariamente un prigioniero di guerra o altra persona protetta del suo diritto ad un equo e regolare processo; deportazione, trasferimento o detenzione illegale».
Come dovrebbe valutare un pm che si trovasse approvata questa legge l’affermazione secondo cui l’intervento sovietico a Budapest nel 1956 ha contribuito a «salvare la pace nel mondo»? Dovrebbe procedere contro chi dicesse che Solzenicyn ha «finito per assumere un atteggiamento di “sfida” allo Stato sovietico e alle sue leggi », e che in forza di questo «la sua espulsione può essere considerata » un fatto «più o meno “positivo”, che «qualcuno può giudicare la “soluzione migliore”»? Sono due scritti di Giorgio Napolitano, rispettivamente del 1956 e del 1974, poi dolorosamente corrette. Sempre ieri, Piergiorgio Odifreddi, il matematico e firma di Repubblica protagonista di un recente scambio epistolare con Ratzinger, ha avuto un «incidente». Un anno fa il paragone tra l’esercito israeliano e le SS delle Ardeatine gli costò il blog sul sito del quotidiano. Commentando il caso Priebke, ieri ha scritto: «Sulle camere a gas “so”soltanto ciò che mi è stato fornito dal “ministero della propaganda” alleato». Polemiche. In un contesto libero, che gli ha fatto piovere in testa critiche anche pesanti. Ma senza reati, perché dargli del cretino in campo aperto è molto meglio che vederlo dentro.


=== 4: FLASHBACKS ===

[ Pubblicato anche su "l'Unità" del 23 gennaio 2007. Su questo appello si veda anche:
Il dejà-vu del cosiddetto «DDL sul negazionismo»
di Wu Ming
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=14457#more-14457 ]

http://www.sissco.it/index.php?id=28

CONTRO IL NEGAZIONISMO PER LA LIBERTÀ DI RICERCA

Il Ministro della Giustizia Mastella, secondo quanto anticipato dai media, proporrà un disegno di legge che dovrebbe prevedere la condanna, e anche la reclusione, per chi neghi l'esistenza storica della Shoah. Il governo Prodi dovrebbe presentare questo progetto di legge il giorno della memoria. Come storici e come cittadini siamo sinceramente preoccupati che si cerchi di affrontare e risolvere un problema culturale e sociale certamente rilevante (il negazionismo e il suo possibile diffondersi soprattutto tra i giovani) attraverso la pratica giudiziaria e la minaccia di reclusione e condanna. Proprio negli ultimi tempi, il negazionismo è stato troppo spesso al centro dell'attenzione dei media, moltiplicandone inevitabilmente e in modo controproducente l’eco. Sostituire a una necessaria battaglia culturale, a una pratica educativa, e alla tensione morale necessarie per fare diventare coscienza comune e consapevolezza etica introiettata la verità storica della Shoah, una soluzione basata sulla minaccia della legge, ci sembra particolarmente pericoloso per diversi ordini di motivi:
1) si offre ai negazionisti, com’è già avvenuto, la possibilità di ergersi a difensori della libertà d'espressione, le cui posizioni ci si rifiuterebbe di contestare e smontare sanzionandole penalmente.
2) si stabilisce una verità di Stato in fatto di passato storico, che rischia di delegittimare quella stessa verità storica, invece di ottenere il risultato opposto sperato. Ogni verità imposta dall'autorità statale (l'”antifascismo” nella DDR, il socialismo nei regimi comunisti, il negazionismo del genocidio armeno in Turchia, l'inesistenza di piazza Tiananmen in Cina) non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale.
3) si accentua l'idea, assai discussa anche tra gli storici, della "unicità della Shoah", non in quanto evento singolare, ma in quanto incommensurabile e non confrontabile con ogni altri evento storico, ponendolo di fatto al di fuori della storia o al vertice di una presunta classifica dei mali assoluti del mondo contemporaneo.
L'Italia, che ha ancora tanti silenzi e tante omissioni sul proprio passato coloniale, dovrebbe impegnarsi a favorire con ogni mezzo che la storia recente e i suoi crimini tornino a far parte della coscienza collettiva, attraverso le più diverse iniziative e campagne educative. 
La strada della verità storica di Stato non ci sembra utile per contrastare fenomeni, molto spesso collegati a dichiarazioni negazioniste (e certamente pericolosi e gravi), di incitazione alla violenza, all'odio razziale, all'apologia di reati ripugnanti e offensivi per l'umanità; per i quali esistono già, nel nostro ordinamento, articoli di legge sufficienti a perseguire i comportamenti criminali che si dovessero manifestare su questo terreno.
E' la società civile, attraverso una costante battaglia culturale, etica e politica, che può creare gli unici anticorpi capaci di estirpare o almeno ridimensionare ed emarginare le posizioni negazioniste. Che lo Stato aiuti la società civile, senza sostituirsi ad essa con una legge che rischia di essere inutile o, peggio, controproducente.

Marcello Flores, Università di Siena
Simon Levis Sullam, Università di California, Berkeley
Enzo Traverso, Università de Picardie Jules Verne
David Bidussa, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli
Bruno Bongiovanni, Università di Torino
Simona Colarizi, Università di Roma La Sapienza
Gustavo Corni, Università di Trento
Alberto De Bernardi, Università di Bologna
Tommaso Detti, Università di Siena
Anna Rossi Doria, Università di Roma Tor Vergata
Maria Ferretti, Università della Tuscia
Umberto Gentiloni, Università di Teramo
Paul Ginsborg, Università di Firenze
Carlo Ginzburg, Scuola Normale Superiore, Pisa
Giovanni Gozzini, Università di Siena
Andrea Graziosi, Università di Napoli Federico II
Mario Isnenghi, Università di Venezia
Fabio Levi, Università di Torino
Giovanni Levi, Università di Venezia
Sergio Luzzatto, Università di Torino
Paolo Macry, Università di Napoli Federico II
Giovanni Miccoli, Università di Trieste
Claudio Pavone, storico
Paolo Pezzino, Università di Pisa
Alessandro Portelli, Università di Roma La Sapienza
Gabriele Ranzato, Università di Pisa
Raffaele Romanelli, Università di Roma La Sapienza
Mariuccia Salvati, Università di Bologna
Stuart Woolf, Istituto Universitario Europeo, Firenze

Aderiscono anche:
Cristina Accornero, Università di Torino 
Ersilia Alessandrone Perona 
Franco Andreucci, Università di Pisa 
Franco Angiolini, Università di Pisa 
Barbara Armani, Università di Pisa 
Angiolina Arru, Università di Napoli L'Orientale 
Marino Badiale, Universita' di Torino 
Elena Baldassari, Università di Roma La Sapienza 
Luca Baldissara, Università di Pisa 

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Priebke, preti, suore, frati

1) Quando Priebke si nascose a Bolzano e lì attese i documenti falsi
di Davide Pasquali, su "Alto Adige" del 12 ottobre 2013
"... fu appoggiato in particolare da alcuni preti altoatesini come Johann Corradini di Vipiteno e Franz Pobitzer di Bolzano ma anche dal vicario separazionista Alois Pompanin, che gli concesse il battesimo cattolico..."

2) Nazisti, la chiesa di Francesco faccia luce
di Alessandro Cassinis, su "Il Secolo XIX" del 15 settembre 2013 
"... sacerdoti come il croato Draganovic, il francescano Dömöter e l’ex cappellano militare Petranovic accoglievano a Genova i nazisti in fuga e li spedivano in America con documenti falsi..."

3) Sul libro di Uki Goñi "OPERAZIONE ODESSA":

* Argentina: dopo l'apertura degli archivi sui nazisti. Quei 47 dossier mancanti
di  Alvaro Ranzoni, su "Panorama" del 29/8/2003  
"... A Buenos Aires agivano i cardinali Antonio Caggiano e Santiago Copello... Mai erano emerse tanto chiare le accuse al regime peronista e alla Santa sede (più volte ricorre il nome di Giovanni Battista Montini, poi Papa Paolo VI)..."

* Mi manda il Cupolone
di Giovanni De Luna, su "La Stampa" del 3/11/2003
"... la Chiesa cattolica non fu solo un complice dell'«operazione Odessa» ma la sua protagonista indiscussa: oltre a monsignor Montini i suoi vertici furono i cardinali Eugène Tisserant e Antonio Caggiano..."

* Priebke e l'"Operazione Odessa"
su "Liberazione" del 14-15/3/2004
"... Il Tribunale di Milano ha respinto la richiesta di ritirare dal commercio il volume di Uki Goni "Operazione Odessa" (Garzanti). A chiedere il ritiro del libro era stato Erich Priebke..:"

4) DOSSIER DRAGANOVIC
fonti: GenovaNotizie, Wikipedia
"... tacita complicità, circa la copertura di criminali di guerra, fra i quali, oltre ad Ante Pavelic, figurano Stjepan Hefer, che raccoglie l’eredità di Pavelic alla guida del Movimento per la Liberazione della Croazia, e altri come Ljotic, Nedic, Save Radonic (ministro della Giustizia e uno capi separatisti del Montenegro). A tutti questi personaggi venivano forniti falsi documenti d’identità, denaro e collegamento con la Spagna... Dal collegio di San Girolamo passano Steve Vujovic ministro separatista del Montenegro; Lazar Soskic capo della polizia del Montenegro; Stevan Ivanic direttore dell’Istituto di Igiene di Belgrado; il ministro del commercio Valiljevic; Marisav Petrovic, colonnello delle SS bosniache; i fratelli Vrioni, membri del governo filonazista albanese; Jusuf Kosovac, sicario per conto della polizia politica del governo collaborazionista montenegrino e albanese, già condannato a 20 anni per omicidio prima della guerra; Isa Noljetinac, capo della polizia nel governo collaborazionista albanese e responsabile di oltre 200 omicidi fra la popolazione serba di Pristina; tale dottor Hefer, ministro del governo Pavelic; i generali Vilko Pecnikar e Eugen Kvarternik, e altri ancora compresi nelle liste dei servizi segreti alleati come ricercati per crimini contro l’umanità e complicità con il Terzo Reich... Tutto questo dal proprio ufficio del collegio di San Girolamo, in collegamento con la commissione Pontificia per i Rifugiati diretta da padre Elias Ivica, con sede in via Piave a Roma, organismo ben visto dal movimento Ustascia..."

5) Reputazioni in calo 
di Felice Accame (Radio Popolare, 2008)
"... D’accordo che, Anatole France alla mano, la reputazione dei francescani, già alla fine dell’Ottocento, non era poi un granché... ma da qui a spiegare certe nefandezze ce ne corre..."


--- ALTRI LINK:

Sulle "Ratlines" e sulla organizzazione, frutto della collaborazione tra Vaticano e ustascia, per la fuga dei criminali nazisti, si veda la documentazione raccolta alla nostra pagina:
ed in particolare:
nonché
Le ratlines patrocinate da mons. Alois Hudal e da padre Krunoslav S. Draganovic per l’espatrio clandestino degli ex gerarchi nazisti e ustascia
di Giovanni Preziosi (2011)


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Quando Priebke si nascose a Bolzano e lì attese i documenti falsi


Durante la guerra la moglie e i figli del capitano SS vivevano a Vipiteno. Nella fuga lo aiutarono un parroco e il padre francescano Franz Pobitzer

di Davide Pasquali
12 ottobre 2013

BOLZANO. Erich Priebke ha almeno due legami con Bolzano. Il primo è un nome che si trasformò in tragedia. Il battaglione nazista decimato dai partigiani in via Rasella, in seguito al quale ebbe luogo la rappresaglia che portò all’eccidio delle Fosse Ardeatine, si chiamava proprio così: Bozen. Ma questa è poco più di una coincidenza.
La polpa sta altrove: Priebke per salvarsi alla fine della guerra passò, come tantissimi altri, almeno 150 grandi criminali di guerra, proprio dalla nostra provincia. Venne nascosto per mesi in una casa del centro storico del capoluogo e a Bolzano riuscì a farsi procurare i documenti falsi per poi potersi imbarcare per l’Argentina.
Dopo la sconfitta della Germania, infatti, il capitano fuggì da un campo di prigionia presso Rimini e si rifugiò in Argentina, a San Carlos de Bariloche, ai piedi delle Ande argentine, dopo essere passato per Bolzano grazie all’assistenza dell’organizzazione filonazista Odessa.
Priebke fu appoggiato in particolare da alcuni preti altoatesini come Johann Corradini di Vipiteno e Franz Pobitzer di Bolzano ma anche dal vicario separazionista Alois Pompanin, che gli concesse il battesimo cattolico, e fu aiutato nella sua fuga dalla rete di contatti gestita dal sacerdote croato Krunoslav Draganovic.
Questo era il poco che si sapeva fino a qualche anno fa. Prima che aprissero certi archivi, specie quelli della Croce Rossa. E prima che lo storico nord tirolese Gerald Steinacher andasse a ficcarci il naso come un cane da tartufo. Per sei lunghi anni. «Dal 1943 al 1948 - racconta Steinacher - la base di Priebke fu Vipiteno, dove fu aiutato dal parroco Corradini ma anche da padre Franz Pobitzer di Bolzano. Dal 1943 vissero a Vipiteno la moglie e i due figli di Priebke, che si trovava prigioniero a Rimini; quando nel 1946 fuggì dal carcere, Priebke raggiunse la sua famiglia a Vipiteno. Qui tra le altre cose si battezzò».
Un do ut des, per riuscire ad ottenere, grazie all’aiuto del clero compiacente, i documenti falsi per l’espatrio. Una storia che lascia stupiti, quella che riguarda Erich Priebke. Dopo aver ricevuto un documento di identità - secondo il quale era un direttore di albergo lettone, apolide, di nome Otto Pape - se ne stette bel bello a Bolzano per dei mesi, in attesa che gli venisse spedito il passaporto della Croce rossa internazionale. Il suo indirizzo? Via Leonardo Da Vinci numero 24. Si trattava di un piccolo edificio parte del vecchio ospedale.
Se ne sapeva niente, fino a pochi anni fa. Di lui, come di altri 30-40 mila fra collaborazionisti e personaggi minori del nazismo. Priebke non fu il solo pezzo grosso a transitare da qui, fra i silenzi e le connivenze. Per fare giusto due esempi, se ne scapparono indisturbati, grazie all’aiuto dei sudtirolesi, anche Josef Mengele e Adolf Eichmann. La Svizzera e l’Austria non possedevano porti. La Germania era occupata e controllata dagli Alleati; passare per la Francia non si riusciva; la Jugoslavia di Tito era impenetrabile, la Spagna troppo lontana. L’Italia era la via più semplice. Ma per raggiungere i porti, le vie possibili in pratica erano solo tre: passo Resia, passo del Brennero e gli alti passi pedonali della valle Aurina.


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Il Secolo XIX, 15 settembre 2013 

Nazisti, la Chiesa di Francesco faccia luce


di Alessandro Cassinis


Genova - Sono passati dieci anni da quando Tarcisio Bertone, allora arcivescovo di Genova, tuonò dal pulpito della cattedrale di San Lorenzo contro l’inchiesta che questo giornale stava pubblicando sulla fuga dei nazisti da Genova in Argentina. A ferire il cardinale erano state le rivelazioni su alcuni sacerdoti che a Genova si erano comportati da angeli custodi di sterminatori come Mengele, Eichmann, Barbie, Priebke e il feroce capo degli ustascia Ante Pavelic. Tutti ospitati a Genova sotto falso nome e imbarcati sulle navi per Buenos Aires fra il 1947 e il 1951 lungo quella “via dei topi” che aveva nell’Argentina di Peron il capolinea dell’impunità.

«La Chiesa genovese acquisirà tutti i documenti necessari per stabilire la verità dopo che il maggiore quotidiano genovese ha riportato notizie che non ci risultano vere», disse allora Bertone. La pietra dello scandalo fu la domanda che l’inchiesta del Secolo XIX aveva reso ineludibile : sapeva l’allora arcivescovo Giuseppe Siri che sacerdoti come il croato Draganovic, il francescano Dömöter e l’ex cappellano militare Petranovic accoglievano a Genova i nazisti in fuga e li spedivano in America con documenti falsi?

Bertone nominò una commissione di saggi e promise un rapporto pubblico in tempi brevi. Dieci anni dopo Andrea Casazza, l’autore di quell’inchiesta, ha sondato alcuni membri della commissione. La verità è che non è stato fatto quasi nulla. Nessuna indagine. Nessun dossier.

Forse qualcuno sperava che il tempo avrebbe fatto calare la polvere su una pagina così oscura e inquietante del nostro passato. Ma la storia non si insabbia. Dieci anni dopo Il Secolo XIX torna a chiedere la verità sulla rotta della vergogna: quale fu il ruolo della curia genovese nella fuga dei gerarchi nazisti? Quali i patti con l’Argentina peronista e i servizi segreti americani? I sacerdoti coinvolti ricevevano ordini dall’alto? E da chi? chi forniva i documenti falsificati, le coperture, il denaro per la permanenza dei fuggiaschi a Genova? Sono domande che troverebbero una risposta soltanto se la curia genovese acconsentisse a rendere davvero pubblici i documenti di quegli anni, a cominciare dalle carte conservate nell’archivio personale di Siri.

Dieci anni dopo c’è un fatto nuovo, che riaccende la speranza di fare finalmente luce. Un papa argentino ha scelto il nome del poverello di Assisi e il suo linguaggio semplice e diretto. Ha ribaltato il vertice Ior e ha rinnovato la gerarchia vaticana mettendo fine, fra l’altro, al lungo regno di Bertone. Ha bollato l’ipocrisia come «il linguaggio della corruzione» e ha invitato i cattolici a essere «trasparenti come bambini». Ha ammesso, nella lettera a Eugenio Scalfari, «tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che [la Chiesa] può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono». Nella sua missione di testimoniare il Vangelo, il Papa può riaprire quel capitolo tragico, che offende un intero popolo perseguitato nei campi di sterminio, getta un’ombra incancellabile sulla sua Argentina, infanga Genova, città martire della guerra e avanguardia della Resistenza, e lascia un sospetto inaccettabile sul suo cardinale più illustre.

Francesco ci ha ricordato che bisogna parlare come insegna il Vangelo: «Sia il tuo dire sì sì, no no». Il resto sarebbe omertà.



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Uki Goñi
Operazione Odessa

Garzanti, 2003
ISBN 88-1169-405-1

in english: 

Uki Goni
The Real Odessa: How Peron Brought the Nazi War Criminals to Argentina

Publisher: Granta Books (23 Jan 2003)
448 pages - ISBN-10: 1862075522 / ISBN-13: 978-1862075528
http://www.amazon.co.uk/Real-Odessa-Brought-criminals-Argentina/dp/1862075522

excerpts online:
The Real Odessa: Smuggling the Nazis to Argentina
http://greyfalcon.us/The%20Real%20Odessa.htm

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Quei 47 dossier mancanti

di  Alvaro Ranzoni
su Panorama, 29/8/2003  

Molte delle carte sui gerarchi di Hitler accolti e protetti da Peron non si trovano più. Lo rivela il centro Wiesenthal, mentre un libro accusa apertamente la Santa sede.

Aspetteranno ancora per un po', poi quelli del centro Simon Wiesenthal, specializzato nella caccia ai criminali nazisti (2.500 nomi rivelati in 17 anni), torneranno alla carica con il presidente argentino Néstor Kirchner. Non è possibile infatti che dai meandri del vecchio Hotel de Inmigrantes, che custodisce gli archivi dell'autorità argentina per l'immigrazione, siano saltati fuori solo due dei 49 fascicoli richiesti, con la storia di soli 17 criminali di guerra sui 68 segnalati. Troppo poco, se si considera che di questi 17 ben 16, tutti ùstascia croati, sono contenuti in un unico faldone, mentre l'altro dossier venuto alla luce è quello di un criminale belga, Jan-Jules Lecomte, il borgomastro-boia di Chimay.

I primi torturarono e uccisero migliaia di serbi ed ebrei, il secondo si divertiva a scovare i bambini ebrei rifugiati nei monasteri per avviarli ai campi di sterminio. Non stelle di prima grandezza nella classifica dell'orrore, insomma. Non sono stati trovati finora i dossier che spiegherebbero come fecero ad arrivare in Argentina e da chi furono aiutati criminali del calibro di Josef Mengele, il medico che sperimentò le sue folli teorie su migliaia di vittime; Adolf Eichmann, il pianificatore dello sterminio degli ebrei, poi giustiziato in Israele; Klaus Barbie, il «boia di Lione»; Erich Priebke, responsabile dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, l'unico ancora vivo (novantenne, sconta l'ergastolo agli arresti domiciliari a Roma).

«Il nuovo presidente argentino ha promesso piena trasparenza» spiega a Panorama Sergio Widder, direttore della sezione di Buenos Aires del Centro Wiesenthal, «e noi non abbiamo motivo di dubitarne. Ma certo non ci accontenteremo di spiegazioni a mezza bocca su dossier smarriti o bruciati non si sa perché e non si sa da chi» aggiunge.
Quello che è emerso è comunque abbastanza sconcertante.

Subito dopo la guerra il dittatore Juan Domingo Peron, che vagheggiava una sorta di «Quarto Reich», aveva creato una rete perfetta per portare in Argentina i criminali nazisti ricercati dalle forze alleate.
Dal 1947 ai primi anni Cinquanta il terminale europeo di questa «rotta dei topi» fu Genova dove c'era uno speciale ufficio retto da un ex capitano delle Ss, Carlos Fuldner, amico di Peron.

Il terminale italiano era gestito in gran parte da religiosi. «A Genova operava, tra gli altri, un monsignore croato, Karlo Petranovic, dipendente dalla locale Curia e protetto dall'arcivescovo Giuseppe Siri (ma la Curia genovese smentisce, ndr).
A Roma un altro prete, Stefan Draganovic, fondatore della Confraternita di San Gerolamo, avviava i criminali nazisti verso il capoluogo ligure con l'attiva collaborazione del vescovo Aloys Hudal, rettore del collegio tedesco di S. Maria dell'Anima, e sotto la protezione del Vaticano.

A Buenos Aires agivano i cardinali Antonio Caggiano e Santiago Copello. Tutto giustificato con la lotta al comunismo» spiega lo scrittore argentino Uki Goñi, autore del libro L'autentica Odessa, frutto di sei anni di ricerche, di cui Garzanti pubblicherà a febbraio l'edizione italiana.
Mai erano emerse tanto chiare le accuse al regime peronista e alla Santa sede (più volte ricorre il nome di Giovanni Battista Montini, poi Papa Paolo VI). È di Goñi la prima bozza dell'elenco che il centro Wiesenthal ha presentato al governo argentino.

Lo scrittore ha trascorso un anno negli archivi dell'Hotel de Inmigrantes, l'edificio che ospitò per i primi giorni molti dei 5 milioni di emigranti in Argentina e che oggi l'Associazione Italia-Argentina vorrebbe restaurare come sede delle aziende italiane a Buenos Aires. Ha rovistato tra centinaia di migliaia di cartoline di sbarco e su quelle dei personaggi più significativi ha trovato i numeri dei relativi dossier. Che però nessuno sa dove siano finiti.
http://www.panorama.it/mondo/americhe/articolo/ix1-A020001020528

Argentina: dopo l'apertura degli archivi sui nazisti



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LA STAMPA, 3/11/2003
Sezione: Cultura Pag. 16

LA FUGA DEI CRIMINALI NAZISTI VERSO L'ARGENTINA DI PERÓN:
UNA METIcOLOSA E DOcUMENTATA RIcOSTRUZIONE DELLO STORIcO UKI GOÑI 

OPERAZIONE ODESSA

Mi manda il Cupolone


Giovanni De Luna

Lo chiamavano il «Mengele danese», Carl Vaernet era un medico delle SS che sosteneva di aver scoperto una «cura» per l'omosessualità; nel 1944 Himmler mise a disposizione delle sue folli ricerche la popolazione del «triangolo rosa», gli omosessuali internati a Buchenwald. I malcapitati furono castrati e gli fu impiantato un «glande sessuale artificiale», un tubo metallico che rilasciava testosterone nell'inguine. Secondo i racconti dei sopravvissuti, i medici delle SS a Buchenwald raccontavano barzellette raccapriccianti su quel tipo di esperimenti. Vaernet era un pazzo sadico; inserito nella lista dei criminali di guerra, alla fine del conflitto riuscì a scappare sano e salvo in Argentina. E come lui migliaia di aguzzini nazisti tedeschi, fascisti italiani, ustascia croati, rexisti belgi, collaborazionisti francesi ecc.; tutti se la cavarono grazie a una rete di complicità mostruosamente efficiente e all'aperta connivenza del governo di Juan Domingo Perón. Un romanzo (Dossier Odessa) di Frederick Forsyth, raccontava di un gruppo di membri delle SS che dopo la sconfitta si erano raccolti in un'organizzazione segreta (Odessa, acronimo di Organisation der Ehemaligen SS-Angehorigen) che aveva il duplice scopo di salvare i commilitoni dalle forche degli Alleati e creare un Quarto Reich che completasse l'opera di Hitler. Per quanto romanzesca fosse la trama «inventata» da Forsyth, il suo racconto si avvicinava in modo inquietante alla realtà. Odessa esisteva davvero. Solo era difficilissimo ricostruirne la storia: i fascicoli del suo archivio erano stati distrutti in gran parte nel 1955, nel marasma degli ultimi giorni del governo di Perón; quelli che rimasero furono definitivamente buttati via nel 1996. Ma le tracce della sua attività erano troppo evidenti per essere cancellate del tutto. così ora, finalmente, grazie alla pazienza e all'abilità dello storico e giornalista argentino Uki Goñi (Operazione Odessa. La fuga dei gerarchi nazisti verso l'Argentina di Perón, Garzanti, pp. 480, e.24) e lunghe ricerche in Belgio, Svizzera, Londra, Stati Uniti, Argentina, disponiamo di una storia completa della più incredibile operazione di salvataggio di migliaia di criminali mai progettata e mai realizzata in tutto il Novecento.
Diciamolo subito. Se l'Argentina di Perón era la «terra promessa», l'asilo già generosamente predisposto ancor prima che la guerra finisse, il cuore e il cervello dell'intera operazione Odessa era a Roma (dove Perón soggiornò dal 1939 al 1941), nel cuore del Vaticano. In quel turbinoso dopoguerra italiano era veramente difficile distinguere tra vincitori e vinti. Nazisti e fascisti avevano perso la guerra; eppure mai ai vinti mancò il soccorso dei vincitori, il sostegno di quelle istituzioni che sarebbero dovute nascere all'insegna dell'antifascismo e della democrazia e che invece erano ricostruite nel segno della più rigorosa continuità con i vecchi apparati del regime fascista. Fu l'anticomunismo, furono le prime avvisaglie della «guerra fredda» a spingere i vincitori a salvare i vinti.
Il Vaticano fu il motore di questa scelta. Ma veramente monsignor Montini fu il protagonista di questo intervento che garantì l'incolumità a criminali come Erich Priebke, Josef Mengele, Adolf Eichmann ecc.? E veramente il Vaticano fu il crocevia di tutta una serie di iniziative che puntavano a rimettere in piedi il movimento ustascia di Ante Pavelic per organizzare una guerriglia anticomunista contro la Jugoslavia di Tito? Sì, veramente. Già nel 1947 i servizi segreti americani avevano stabilito che «una disamina dei registri di Ginevra inerenti tutti i passaporti concessi dalla Croce Rossa internazionale rivelerebbe fatti sorprendenti e incredibili». Oggi la disamina di quei registri è possibile e Goñi l'ha fatta. E le sue conclusioni sono nette: la Chiesa cattolica non fu solo un complice dell'«operazione Odessa» ma la sua protagonista indiscussa: oltre a monsignor Montini i suoi vertici furono i cardinali Eugène Tisserant e Antonio Caggiano (quest'ultimo, argentino, nel 1960 espresse pubblicamente - «bisogna perdonarlo» -, il suo rincrescimento per la cattura di Eichmann da parte degli israeliani), mentre la dimensione operativa fu curata da una pattuglia di alti prelati, il futuro cardinale genovese Siri, il vescovo austriaco Alois Hudal, parroco della chiesa di Santa Maria dell'Anima in via della Pace a Roma e guida spirituale della comunità tedesca in Italia, il sacerdote croato Krunoslav Draganovic, il vescovo argentino Augustín Barrère. 
I documenti citati da Goñi sono molti e molto convincenti, da una lettera del 31 agosto 1946 del vescovo Hudal a Perón che chiedeva di consentire l'ingresso in Argentina a «5 mila combattenti anticomunisti» (la richiesta numericamente più imponente emersa dagli archivi) all'intervento di Montini per esprimere all'ambasciatore argentino presso la Santa Sede l'interesse di Pio XII all'emigrazione «non solo di italiani» (giugno 1946). Non si tratta di iniziative estemporanee e certamente la loro rilevanza storiografica non può esaurirsi in una lettura puramente «spionistica».
Un versante della seconda guerra mondiale trascurato dagli storici è quello che vede gli Stati latini, cattolici e neutrali, europei e sudamericani, protagonisti di vicende diplomatiche segnate però da un particolare contesto culturale e ideologico: nella cattolicissima Argentina (la Vergine Maria fu nominata generale dell'esercito nel 1943, dopo il golpe dei militari) ci si cullò nell'illusione di poter formare insieme con la Spagna e il Vaticano una sorta di «triangolo della pace», per preservare «i valori spirituali della civiltà» fino a quando la guerra in Europa continuava. Un progetto più ambizioso puntava a unire, con la leadership del Vaticano, i paesi dell'Europa cattolica, Ungheria, Romania, Slovenia, Italia, Spagna, Portogallo e Francia di Vichy per integrarli nel «nuovo ordine europeo» voluto dai nazisti; in quel periodo (1942-1943), in Sud America governi filonazisti esistevano già in Argentina, Cile, Bolivia e Paraguay: il disegno era di conquistare a un'alleanza in chiave antiamericana anche il piccolo e democratico Uruguay e il grande e cattolico Brasile. Questi disegni naufragarono tutti sotto il peso delle rovinose sconfitte militari dell'Asse ma furono l'humus ideologica da cui nacque nel dopoguerra la rete di «Odessa».
La centrale italiana operò soprattutto per il salvataggio degli ustascia di Ante Pavelic. Alla fine della guerra ce n'erano migliaia, sparsi nei vari campi a Jesi, Fermo, Eboli, Salerno, Trani, Barletta, Riccione, Rimini ecc. Una poderosa ricerca ora avviata dal giovane storico Costantino Di Sante sta facendo luce su una delle pagine più oscure di quel periodo. Si trattava di criminali macchiatisi di delitti che avevano suscitato orrore perfino nei loro alleati nazisti (che biasimarono «gli istinti animaleschi» dei croati): fucilazioni di massa, bastonature a morte, decapitazioni, per conseguire il risultato di uno Stato (la Croazia) razzialmente puro e cattolico al 100%. Alla fine della guerra circa 700 mila persone erano morte nei campi di sterminio ustascia a Jasenovac e altrove: le vittime appartenevano soprattutto alla popolazione serba ortodossa ma nell'elenco figuravano anche moltissimi ebrei e zingari. Il principale teorico del regime croato, Ivo Gubernina, era un sacerdote cattolico romano che coniugava le nozioni di «purificazione» religiosa e «igiene razziale» con un appello affinché la Croazia «fosse ripulita da elementi estranei».
Gran parte di questi criminali si salvò passando da Roma verso l'Argentina: la via di fuga portava a San Girolamo, un monastero croato sito in via Tomacelli 132. Parlando del loro capo, Ante Pavelic, un rapporto dei servizi segreti americani concludeva: «Oggi, agli occhi del Vaticano, Pavelic è un cattolico militante, un uomo che ha sbagliato, ma che ha sbagliato lottando per il cattolicesimo. È per questo motivo che il Soggetto gode ora della protezione del Vaticano». Alla fine, tra il 1947 e il 1951, secondo i dati raccolti da Di Sante, furono 13 mila gli ustascia che riuscirono a salvarsi usando il canale italoargentino.

copyright © La Stampa

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Priebke e l'"Operazione Odessa"

(fonte: Liberazione, 14-15/3/2004)

Il Tribunale di Milano ha respinto la richiesta di ritirare dal commercio il volume di Uki Goni "Operazione Odessa" (Garzanti). A chiedere il ritiro del libro era stato Erich Priebke, nel quadro di una ampia offensiva giudiziaria che ha visto di recente l'ex ufficiale nazista proporre numerose istanze contro editori di quotidiani, riviste e libri presso diversi tribunali italiani. Nella sua motivazione, il giudice De Sapia ha rivelato che il capitolo del libro dedicato a Priebke «si caratterizza per una prevalente connotazione critica, fondata sulla condanna del predetto in relazione ai fatti delle Fosse Ardeatine. La valutazione certamente negativa che traspare dal testo è sostanzialmente fondata su tale evento, che da solo giustifica le conclusioni adottate nello scritto, con particolare riferimento alla fuga in Argentina per sottrarsi alla giustizia, che rappresenta il motivo di fondo del volume».


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4 dicembre 2010

Il Dossier Draganovic

E’ storia nota dell’ultimo periodo della seconda guerra mondiale in Italia, nonché del periodo immediatamente seguente alla fine delle ostilità: fra i principali organizzatori delle vie di fuga per criminali nazisti, fascisti e appartenenti al tristemente famoso corpo degli Ustascia


E’ storia nota dell’ultimo periodo della seconda guerra mondiale in Italia, nonché del periodo immediatamente seguente alla fine delle ostilità: fra i principali organizzatori delle vie di fuga per criminali nazisti, fascisti e appartenenti al tristemente famoso corpo degli Ustascia di Ante Pavelic (il quale aveva, fra gli altri, il singolare hobby di collezionare occhi umani…!), oltre ad agenti dei servizi segreti nazisti come Walter Rauff, Franz Rostel, Dieter Kersten, vi erano diversi religiosi: monsignor Alois Hudal, guida della comunità dei cattolici tedeschi, che non nasconde le simpatie per il nazionalsocialismo; padre Glavas, fanatico ammiratore di Hitler e confessore dello stesso Pavelic, e Krunoslav Draganovic, sacerdote e fervente fautore dell’unificazione religiosa (e politica) in Bosnia e Croazia.
Krunoslav Stepan Draganovic nasce il 30 ottobre 1903 a Brcko, in Croazia, da Pietro Draganovic e Maria Franci. Frequenta le scuole elementari e medie a Travnik quindi studia teologia a Sarajevo (dove entra nelle grazie del vescovo di Sarajevo Ivan Saric) e Vienna, diventa professore all’università di Zagabria e trascorre diversi periodi a Roma, all’Istituto Pontificio di Studi Orientali. Dopo aver lavorato anche agli archivi vaticani, diventa segretario privato di monsignor Saric, fervente simpatizzante del movimento Ustascia, di idee antisemite, il quale, dopo la dichiarazione di indipendenza della Croazia, ha una parte di primo piano nella campagna di conversione religiosa forzata ed è costretto a lasciare il paese nella primavera del 1945, con lo stesso Pavelic, Andrija Artukovic e altri leader del movimento.
Padre Draganovic, in ragione della profonda amicizia che lo lega ai più importanti capi Ustascia, diventa egli stesso ufficiale del corpo scelto di Pavelic nonostante vestisse l’abito talare, e prende parte a diverse operazioni di pulizia etnica contro i serbi della regione di Kozara. Per l’impegno e lo zelo con cui presta servizio, diventa ufficiale superiore del ministero per la colonizzazione Interna e responsabile di aver ordinato molti omicidi ed espulsioni forzate di profughi serbi, ebrei, rom, per affidare poi i territori liberati alla popolazione croata, oltre a favorire l’espansione del Terzo Reich.
Nel 1943 è inviato a Roma come rappresentante della Croce Rossa croata, in realtà per allacciare contatti in Vaticano da parte dell’arcivescovo di Zagabria, Alojzije Stepinac nella cerchia di papa Pio XII. Nel 1945 è segretario dell’Istituto croato presso il collegio di San Girolamo degli Illirici, al numero 7 di via Carlo Alberto, sotto la protezione di monsignor Jurai Magjerec, dove organizza i rifugi per i capi Ustascia in fuga, primo fra tutti Ante Pavelic.
Il documento del Dipartimento di Stato americano redatto in base al rapporto del 12 febbraio 1947, a firma dell’agente Robert Clayton Mudd, elenca diversi criminali Ustascia, collaborazionisti albanesi, montenegrini e croati, nascosti in San Girolamo. E’ lo stesso Draganovic ad accogliere Pavelic a Roma e a nasconderlo per circa due anni, fino alla partenza per l’Argentina.
Nell’estate 1947 il sacerdote è avvicinato da agenti del controspionaggio austriaco, i quali gli propongono di mettere la sua esperienza al servizio degli americani, come era successo per il tristemente famoso Klaus Barbie, capo della Gestapo a Lione. Pare che, per “conto terzi”, Draganovic abbia avuto parte di primo piano nell’organizzazione del movimento Krizari (crociati), ideale continuazione degli Ustascia, coinvolti in atti di terrorismo in Jugoslavia nel 1947, e nella sparizione dell’oro accumulato da Pavelic.
La fonte è un comunicato del governo jugoslavo ripreso dalla agenzia Tanjug e quindi dalla Associated Press il 12 luglio 1948, nel quale si parla di cinquanta uomini processati a Zagabria per spionaggio e terrorismo, indicati anche come “agenti del Vaticano”. Durante le udienze viene fatto ripetutamente il nome di Draganovic fra i principali organizzatori della missione Krizari.
Molto attivo il capitano Krilic, corriere segreto per conto di Pavelic e segretario personale di Draganovic a San Girolamo, tramite il quale sono organizzate spedizioni di gruppi di tre persone, detti "trojke", per organizzare sabotaggi in Jugoslavia, via Austria, i cui confini sono tenuti sotto controllo da Urban Drago, altro ex Ustascia, e da un certo dottor Stambuk, stretto collaboratore di Draganovic.
Sarebbero stati oltre novanta gli agenti sabotatori inviati in Jugoslavia, membri di un non identificato “comitato per lo Stato croato”, ma fonti vaticane smentiscono che Draganovic fosse coinvolto in un complotto, tanto meno collegato ad ambienti pontifici.
Costretto a lasciare San Girolamo nell’ottobre del 1958, è nuovamente contattato dalla CIA con una vera e propria offerta di impiego. Secondo documenti ufficiali, Draganovic è regolarmente registrato sul libro paga dell’esercito USA fino al 1962, e pare sia stato impiegato anche dall’Intelligence Service britannico, dal KGB e dal servizio informazioni jugoslavo.
Riappare in pubblico a Belgrado il 15 novembre 1967, in occasione di una conferenza stampa nella quale sorprende tutti e denuncia gli atti criminali degli Ustascia, elogiando senza mezzi termini Tito.
Fonti vicine al movimento Ustascia dicono poi che sia stato rapito, ma lo stesso Draganovic afferma di essere rientrato in Jugoslavia volontariamente. Nei fatti, Krunoslav Draganovic vive tranquillo senza essere perseguito, fino alla morte, avvenuta nel 1983 in un monastero vicino a Sarajevo.
Alcuni quindi sostengono l’esistenza di contatti in Vaticano nella protezione o, se non altro, nella tacita complicità, circa la copertura di criminali di guerra, fra i quali, oltre ad Ante Pavelic, figurano Stjepan Hefer, che raccoglie l’eredità di Pavelic alla guida del Movimento per la Liberazione della Croazia, e altri come Ljotic, Nedic, Save Radonic (ministro della Giustizia e uno capi separatisti del Montenegro). A tutti questi personaggi venivano forniti falsi documenti d’identità, denaro e collegamento con la Spagna. Pare che il fondo monetario a disposizione dell’organizzazione ammontasse a oltre 50 milioni di lire dell’epoca.
Dal collegio di San Girolamo passano Steve Vujovic ministro separatista del Montenegro; Lazar Soskic capo della polizia del Montenegro; Stevan Ivanic direttore dell’Istituto di Igiene di Belgrado; il ministro del commercio Valiljevic; Marisav Petrovic, colonnello delle SS bosniache; i fratelli Vrioni, membri del governo filonazista albanese; Jusuf Kosovac, sicario per conto della polizia politica del governo collaborazionista montenegrino e albanese, già condannato a 20 anni per omicidio prima della guerra; Isa Noljetinac, capo della polizia nel governo collaborazionista albanese e responsabile di oltre 200 omicidi fra la popolazione serba di Pristina; tale dottor Hefer, ministro del governo Pavelic; i generali Vilko Pecnikar e Eugen Kvarternik, e altri ancora compresi nelle liste dei servizi segreti alleati come ricercati per crimini contro l’umanità e complicità con il Terzo Reich.
Oltre che coordinare l’attività di accoglienza dei responsabili Ustascia in Italia, Draganovic prende contatti con diversi rappresentanti d’ambasciata di paesi sudamericani, e anche con la Croce Rossa Internazionale per ottenere falsi passaporti. Tutto questo dal proprio ufficio del collegio di San Girolamo, in collegamento con la commissione Pontificia per i Rifugiati diretta da padre Elias Ivica, con sede in via Piave a Roma, organismo ben visto dal movimento Ustascia.
Stringe contatti anche con circoli politici austriaci, specialmente con il clero cattolico e alcuni stretti collaboratori dell’ex canceliere Schusschnig, nel frattempo rifugiatosi con la famiglia, aiutato dello stesso Draganovic, nel monastero di Borgo Santo Spirito, territorio protetto dalla extraterritorialità. Schusschnig mantiene poi contatti con l’arcivescovo croato Saric grazie all’azione di padre Draganovic e alla protezione di un ex ufficiale Ustascia, tale Ivankovic. E’ in rapporti anche con il vescovo di Salisburgo, Steinbach, e con il delegato britannico Haman, dai quali riceve informazioni, viaggiando fra Austria e Italia come corriere, nonchè direttive per coordinare l’attività e riferire al capo, Ante Pavelic e all’ex ministro Farkovic. 
L’agente dei servizi americani William Gowen, membro dell’Unità 430, è assegnato al caso fra il 1949 e il 1955, e ha condotto una capillare opera di sorveglianza di Ante Pavelic, predisponendone l’arresto a Roma, ma viene poi bloccato per un intervento diretto dei propri superiori, i quali avevano contattato Draganovic in Austria per esaminare la possibilità di organizzare, con il suo aiuto la fuga di Klaus Barbie e dello stesso Pavelic, che dopo un periodo di clandestinità a Roma, viene fatto fuggire a Buenos Aires. Le prove dell’attività di Draganovic esposte dall’agente Gowen, parlano di almeno cinque organizzazioni religiose finanziate dagli Ustascia a Roma, specialmente sull’Aventino, con attività di copertura come negozi di alimentari, posteggi e garages pubblici, appartamenti privati. Le cinque organizzazioni sono: il monastero di Santa Sabina dell’ordine domenicano, la scuola di Sant’Alessio per gli studi romani, la locale sezione romana dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, l’ordine benedettino di Sant’Anselmo, e un convitto di monache. Alcune strutture, vicine le une alle altre, erano collegate da tunnel sotterranei.
Nei documenti, un certo colonnello W.R.Philips fa menzione anche di due operazioni segrete, denominate Rusty e Odeum, compiute fra il 1946 e il ’49 dai servizi americani, più precisamente dall’Unità 7821 dipendente dall’ECIC (European Command Intelligence Center) in collegamento con il DAD (Department of Army Detachment) e con l’EUCOM (European US-Army Command). 
Nel testo si parla della Commissione Superiore per la Germania, ma riguardo a questa e all’EUCOM mancano molti dossier, come alcune determinanti prove per ricostruire lo scopo delle due operazioni. La partecipazione dei servizi segreti tedeschi pare comunque certa, come afferma nelle proprie memorie Kurt Merck, che agisce nel campo del mercato nero in Francia per conto della Gestapo durante la seconda guerra mondiale e che, dopo la resa tedesca, entra in contatto con lo spionaggio americano, svolgendo missioni in Austria e Germania, specialmente intorno all’ottobre 1949. Merck, che muore il 5 settembre 1951, parla di Klaus Barbie come di un “buon amico” grazie al quale sono conclusi molti vantaggiosi affari.
Tornando all’attività di Draganovic in Italia, nel rapporto B-4240 dell’ottobre 1946 redatto dagli agenti speciali del CIC (Counter Intelligence Corp) Anthony Ragonetti e Louis Caniglia, Draganovic è indicato come il personaggio chiave degli affari segreti della chiesa croata a Roma, più influente anche del suo superiore nominale, padre Dominic Mandjc, e che una delle sue guardie del corpo sarebbe stato Ljubo Milos, ex ufficiale del campo di concentramento di Jasenovac, poi arrestato e in seguito diventato uno dei personaggi di primo piano nell’opposizione al maresciallo Tito, ovvero i già citati Crociati (Krizari) fino all’arresto effettuato dalle autorità jugoslave, che lo condannano a morte.
Un altro rapporto del giugno 1948 collegato all’affare Barbie, redatto da Paul Lyon e Charles Crawford, agenti dalla Sezione 430 del controspionaggio americano in Austria, fa riferimento alla “Rat-Line” nella quale sono coinvolti gli stessi servizi d’informazione dell’esercito americano e, naturalmente, padre Draganovic, in una mutua assistenza nel quadro della politica di denazificazione dell’Europa voluta dagli alleati nell’estate 1947. Nel rapporto si parla di come Klaus Barbie sia stato affidato alle attenzioni di Draganovic e favorito nel trasferimento in Sud America.
Sempre l’agente Paul Lyon firma un altro rapporto che prende spunto dalla richiesta del governo francese nel 1950 per ottenere l’estradizione del capo della Gestapo di Lione, il quale pareva fosse nascosto nella zona americana di Berlino e protetto dal 66°Dipartimento di Sicurezza e controspionaggio dell’esercito USA, al quale faceva capo la già citata sezione austriaca 430. Paul Lyon ricostruisce l’allestimento della “Rat-Line”in Italia e Austria dall’estate 1947, quando anche il governo sovietico fa ufficiale richiesta per la restituzione di criminali ricercati in URSS. Parte dei documenti forniti per il transito attraverso l’Austria e altri ancora per l’entrata in paesi sudamericani, erano forniti proprio dall’agente americano Crawford, per avere via libera verso i porti di Napoli e Genova.


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Krunoslav Draganovic

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Padre Krunoslav Stjepan Draganovic (

(english / italiano.

Sulle assoluzioni "politiche" del "tribunale ad hoc", sulla lettera di denuncia del giudice Harhoff e sul suo successivo "impeachment" si vedano anche:

Sul carattere para-legale, fazioso e illegittimo del "tribunale ad hoc" si veda anche la documentazione raccolta alle pagine:



In che direzione sta andando il Tribunale dell’Aja?


Scritto da Sense Agency

 L’Aja 11/07/2013

La Corte per il processo Gotovina


“Presunzione di infallibilità”,questa è la definizione che descrive i giudici in assenza di un’ulteriore istanza di appello alle loro sentenze, ma che non li dovrebbe proteggere dall’opinione pubblica preoccupata e critica nei loro confronti, che protesta contro il “nuovo corso” che stanno intraprendendo negli ultimi mesi presso il Tribunale dell’Aja e ad Arusha negli ultimi mesi.

Ha fatto scalpore la lettera del giudice Harhoff, che però fa passare in secondo piano lo sconcerto e le proteste contro la piega che sta assumendo il Tribunale dell’Aja, che sono state sollevate prima del 13 luglio 2013, data della pubblicazione della lettera, e che han avuto molta eco sui media danesi e poi nel resto del mondo.

Nelle battute di apertura della lettera che ha mandato a 56 fra amici e colleghi il 6 giugno, Harhoff fa riferimento a due recenti articoli, che “mettono a fuoco eventi che han causato molta preoccupazione sia per me che per i miei colleghi del tribunale”. Tenendo presente le date, possiamo presumere che si riferisse all’articolo intitolato “Cosa accade al tribunale dell’Aja” di Eric Gordy, pubblicato sul New York Times il 2 giugno e un post intitolato “Due sentenze sconcertanti all’Aja”, firmato da T.J. e pubblicato il 1° giugno sul sito dell’Economist.

Se avesse aspettato un altro giorno a mandare la lettera, avrebbe potuto citare un’altra fonte, cioè quella scritta dall’ex assistente al Segretario di Stato USA John Shattuck, un provato e fedele amico del Tribunale, che prese parte alla sua creazione. Nel suo articolo “Crimini di guerra insabbiati”, pubblicato il 7 giugno sul Boston Globe, Shattuck afferma che “se la maggioranza dei giudici dell’ ICTY fosse stata al processo di Norimberga, pochi, anzi pochissimi, capi nazisti sarebbero stati incriminati”.

Contrariamente a chi dice che il problema è stato ingigantito dal giudice “talpa”, piuttosto che dal presunto cambiamento di corso che lo stesso poneva all’attenzione, non è stato il giudice Harnoff a introdurre al pubblico dibattito i recenti sviluppi del tribunale. Negli ultimi mesi, centinaia, se non migliaia di articoli e analisi sono stati pubblicati sulla direzione intrapresa dal Tribunale. Sono stati più severi della lettera di Harnoff.  Sono state firmate petizioni, richieste inchieste, chieste dimissioni senza che ciò abbia portato a dei risultati. Nemmeno uno dei pezzi grossi del Tribunale ha prestato attenzione a tutto ciò. “Sarà dimenticato”, hanno detto. Tuttavia non lo è.

Il dibattito su quanto accaduto fu lanciato lo scorso novembre, dopo la prima controversa sentenza che assolse i generali croati Gotovina e Markac grazie ad una maggioranza risicata di voti (3 contro 2). Le prime “salve” del dibattito furono sparate dai giudici Pocar e Angius, che non han tenuto toni moderati nell’esprimere la loro opinione contraria. Hanno definito la ricerca della maggioranza (giudici Meron, Robinson, Guney) come “semplicemente grottesca” e “in contraddizione con ogni senso di giustizia”, hanno poi affermato con schiettezza che la maggioranza è stata guidata da motivi differenti da quelli che concernono la tutela della legalità.

Il dibattito è proseguito ininterrotto, per divenire sempre più acceso dopo l’assoluzione del generale dell’esercito jugoslavo Perisic, fino ad infiammarsi dopo l’assoluzione dei capi dei servizi segreti serbi Stanisic e Simatovic. Si sono visti simili sviluppi al Tribunale del Rwanda che ha in comune le camere d’appello, e che è stato oggetto di polemiche e proteste sul nuovo corso assunto dopo le recenti sentenze.

Sta agli esperti di diritto internazionale, che si stanno occupando del caso dallo scorso novembre, analizzare e capire se il Tribunale sta veramente prendendo un nuovo indirizzo, chi ne trarrà beneficio e che impatto vi sarà per la giurisprudenza. In questa sede vogliamo solamente porre in rilievo alcuni casi lampanti, circa il volta faccia della giurisprudenza del tribunale dell’Aja e di Arusha. I fatti indicano che vi sono cose che non vanno.

Nel giro di un ristretto lasso di tempo pari a tre mesi e mezzo, dalla metà di novembre 2012 alla fine di febbraio del 2013, la camera di appello del Tribunale dell’Aja e di Arusha, guidato dal giudice Meron, ha cassato a colpi di maggioranza tre sentenze di condanna di cinque alti ufficiali militari e civili che erano stati condotti in giudizio per gravi violazioni dei diritto internazionale umanitario della Ex Jugoslavia e in Rwanda.

I tre processi sono durati complessivamente nove anni, con 900 sedute di tribunale. La corte ha dato udienza a 453 testimoni e ha esaminato migliaia di prove. La sentenza che ha stabilito che le responsabilità riportate dall’accusa erano state provate al di la di ogni ragionevole dubbio, così come indicato nelle motivazioni della sentenza lunghe 2608 pagine: 1377 pagine per Gotovina e Markac, 595 pagine per Mugenizi e Muginareza e 636 pagine per Perisic. I cinque accusati sono stati condannati a 24 anni (Gotovina), 18 anni (Markac), 30 anni (Mugenizi), 30 anni (Muginareza) e 27 anni (Perisic): totale 129 anni.

Successivamente, nel procedimento di appello, fu trovato che tutto ciò fu sbagliato e gli accusati sono stati prosciolti da tutte le accuse. Le sentenze di appello hanno rispettivamente 56, 55 e 49 pagine, e sono tra le sentenze più corte della storia. Alcuni giudici le hanno beffardamente commentate come “sentenze da rotocalco”.

Può esser vero che, come per le altre cose della vita, “non è la lunghezza ciò che conta”. Però a tutto c’è un limite. Per esempio, la sentenza d’appello del caso contro Florence Hartmann è lunga quanto quella di Gotovina e Markac. Nel caso di lei il procedimento di appello durò 22 mesi, tre mesi in più del caso contro i generali croati. Forse la camera d’appello ci mise più tempo data la natura peculiare del caso, dove la camera d’appello giocava tre ruoli: quella della presunta parte lesa, di procuratore e di giudicante. Forse è questo il motivo per cui ebbero bisogno di più tempo per scrivere e motivare la sentenza rispetto al caso dei due generali croati accusati di crimini di guerra contro civili Serbi durante l’operazione Storm nell’estate del 1995. Vogliamo semplicemente ricordare che il crimine della Hartmann fu quello di pubblicare il fatto che la Corte d’Appello di un tribunale che è sotto l’egida delle Nazioni Unite classificava come riservati una serie di documenti prodotti dal Consiglio Supremo di Difesa della Repubblica di Jugoslavia, rendendo per quest’ultimi impossibile l’utilizzo dinanzi ad un’altra corte delle Nazioni Unite, la Corte Internazionale di Giustizia, nel caso portato avanti dalla Bosnia Erzegovina contro la Serbia.

Torniamo ora alle sentenze cassate dai tribunali dell’Aja e di Arusha. Una domanda sorge spontanea: com’è possibile per nove giudici di tre collegi (per la precisione otto, perché un giudice voleva assolvere Perisic già in primo grado), com’è possibile per otto giudici di rango internazionale, commettere un così grave errore e condannare cinque innocenti per un totale di 129 anni? Come è possibile dopo che han speso ben 900 giorni di udienze ascoltando centinaia di testimoni e studiando migliaia di prove? Com’è possibile dopo che han speso milioni di dollari di tasse di contribuenti di tutto il mondo? Solo per la camera d’appello si può sommariamente concludere che gli sforzi e le conclusioni dei giudici di primo grado non valgono nemmeno la carta su cui sono stati scritti?

E’ possibile che i giudici di primo grado dei tribunali dell’Aja e di Arusha, siano così privi di integrità e professionalità, così da poter scartare così alla leggera le lo ricostruzioni e le loro conclusioni? Chi ha dato loro l’incarico di giudici di livello internazionale, se davvero sono così inetti? Chi ha stabilito che loro avessero i requisiti previsti all’Articolo 13 dello Statuto, che stipula che “i giudici devono essere persone di alto valore morale, imparziali e integerrimi e devono avere i requisiti previsti nei loro paesi per poter esercitare il ruolo di giudice”? Chi di loro può ricoprire alti ruoli nella magistratura del proprio paese se poi le sue sentenze vengono fatte a pezzi in appello? Chi assegnerà loro nuovi casi, nuovi processi a giudici di così bassa reputazione? E per quale motivo? Per vederli umiliati un’altra volta in appello?

E’ possibile che vi sia una così alta differenza in termini di qualità, professionalità, integrità e temperamento tra i giudici di primo grado e di appello? Dopo tutto, fatta eccezione per una sentenza di condanna che fu revisionata dopo la sentenza d’appello, le sentenze della camera d’appello non vengono né revisionate né cassate. Se questo è dovuto all’infallibilità dei giudici d’appello o alla mancanza di un’istanza superiore, questo è ancora da chiarire. In assenza di ulteriore grado, i loro rilievi e le loro conclusioni sono protetti dalla “presunzione di infallibilità”.

Tuttavia, la “presunzione di infallibilità”, non deve essere per loro uno scudo che li metta al riparo da critiche e proteste contro “il nuovo indirizzo” che hanno progettato per il Tribunale dell’Aja e di Arusha.

 

Fonte: Sense Agency

Traduzione di Pacifico S. per Forum Belgrado Italia

 

 
 

THE HAGUE | 11.07.2013.

WHERE IS THE TRIBUNAL HEADING FOR?

Appellate judges at the Gotovina trial

 

“Presumption of infallibility”, enjoyed by the appellate judges in the absence of a higher instance for the review of their judgments, should not shield them against public expressions of concern, criticism and protests against the ‘new course’ that they have plotted for the Tribunals in The Hague and in Arusha over the past few months

In a major upheaval following Judge Harhoff’s letter one tends to overlook the fact that public expressions of concern, criticism and protests against the Tribunal’s‘new course’ had been voiced long before 13 June 2013, when the letter was published, first in the Danish media and then worldwide.

In the opening lines of the letter that he sent to 56 of his friends and colleagues on 6 June, Harhoff refers to two recent articles, which ‘focus on events that cause deep concern both for me and for my colleagues here in the corridors of the the Tribunal'. Bearing in mind the dates, we can assume that he means the article entitled ‘What Happened to the Hague Tribunal’, an op-ed piece by Eric Gordy, published in the New York Times on 2 June and the blog post, ‘Two Puzzling Judgments in The Hague’, signed by T.J. and published on 1 June on the Economist’s website.

Had he waited for just one more day to send his letter, Judge Harhoff could have included another reference, the one to the piece written by former US Assistant Secretary of the State John Shattuck, a tried and tested friend of the Tribunal, who had taken part in its establishment. In his article ‘War Crimes Whitewash’, published on 7 June in the Boston Globe, Shattuck says that ‘if the ICTY majority had been sitting at Nuremberg, few, if any, Nazi leaders would have been convicted’.

Contrary to the claims made by those who believe that the problem lies with the first whistleblower judge rather than the change of the course he points to,it was not Judge Harhoff who launched the public debate about the recent developments at the Tribunal. Over the past few months, hundreds, if not thousands of critical articles and analyses on the Tribunal’s new course have been published. They were much harsher than Harhoff’s letter. Petitions have been signed, investigations called for, resignations demanded… yet to no avail. None of the top brass at the Tribunal has paid any attention to all that. ‘It will blow over’, they were saying. However, it has not.

The debate on what happens with the Tribunal was launched last November, after the first controversial judgment that acquitted Croatian generals Gotovina and Markač by a tight majority of votes (3:2). The initial salvoes in the debate were fired by judges Pocar and Agius, who did not mince their words in their dissenting opinions. They labeled the findings of the majority (judges Meron, Robinson and Güney) ‘simply grotesque’ and ‘contradict[ing] any sense of justice’, bluntly suggesting that the majority could have been guided by motives other than legal.

The debate has continued unabated, only to get more agitated after the acquittal of the former Chief of the VJ General Staff, Perišić, and to reach its boiling point with the acquittal of the former heads of the Serbian Secret Service, Stanišić and Simatović. There have been similar developments at the Rwanda Tribunal that shares both the Appeals Chamber as well as the concern and protests over the new course assumed following recent judgments.

It is up to the international law experts, who have been dealing with the issue since last November, to provide critical analysis in order to see whether the Tribunal indeed took a new course, who will benefit from it and what will be the impact of this new course on the Tribunal’s legal legacy. Here, we will merely highlight some glaring, easy to see facts, about the ‘volte-face’ in the jurisprudence of the Tribunals in The Hague and in Arusha. These facts indicate that there is something wrong with this picture.

In a short span of only three and a half months from mid-November 2012 to late February 2013, the Appeals Chambers of the Tribunals in The Hague and Arusha, led by Judge Meron, quashed by a majority vote three judgments convicting five high military and civilian officials who had been on trial for serious violations of international humanitarian law in the former Yugoslavia and Rwanda.

The three trials lasted for a combined total of nine years, or 900 trial days. The trial chambers heard a total of 453 witnesses and admitted into evidence thousands of exhibits. The trial judgments that found that the guilt of the accused had been proven beyond reasonable doubt, extended to a total of 2608 pages: 1377 pages for Gotovina and Markač, 595 pages for Mugenizi and Muginareza and 636 for pages Perišić. The five accused were convicted and sentenced to 24 years (Gotovina), 18 years (Markač), 30 years (Mugenizi), 30 years (Muginareza) and 27 years (Perišić): a total of 129 years.

And then, in the appellate proceedings, it was found that all this was erroneous and the accused were acquitted of all charges. The appellate judgments have 56, 55, and 49 pages respectively, and are among the thinnest judgments in the history of both tribunals (not only in volume). Some judges sneeringly describe them as ‘magazine judgments’.

It might well be true, just as for some other things in life, that it is not the ‘size that matters’ for appelate judgements. However, there should be a limit. For instance, the appellate judgment in the case against Florence Hartmann is as long as the Gotovina and Markač appellate judgment. In her case, the appellate proceedings took 22 months, three months longer than in the case against the Croatian generals. Perhaps the Appeals Chamber took more time to deal with it because of the peculiar nature of the case, where the Appeals Chamber played the triple role: that of an alleged injured party, the prosecutor and the trier. Perhaps that is why they needed more time to deliberate and produced a longer statement of reasons than in the case of the two generals charged with the war crimes against Serb civilians during and after Operation Storm in the summer of 1995. Let us justremind here that Hartmann’s ‘crime’ was to publish the fact that the Appeals Chamber of a UN court granted confidentiality to a set of documents produced by the Supreme Defense Council of the Federal Republic of Yugoslavia, thus making it impossible for them to be used before another UN court, the ICJ, in the case brought by Bosnia and Herzegovina against Serbia.

Let us go back to the quashed judgments of the Tribunals in The Hague and in Arusha. They beg the question: how is it possible for nine judges in three trial chambers (or, in fact eight, since one of the judges wanted to acquit Perišić at trial), so, how is it possible for eight professional international judges, to make such a grave mistake and put away five innocent generals and ministers for a total of 129 years? How is all of that possible after they had spent a total of 900 trial days hearing hundreds of witnesses and studying thousands of exhibits? How is it possible after they had spent untold millions of dollars of taxpayers’ money from all over the world? Only for the majority in the Appeals Chamber to summarily conclude that the efforts and the conclusions of the trial judges were worthless, not worth the paper they were printed on?

Is it possible that the members of the trial chambers of the two Tribunals, in The Hague and in Arusha, are so lacking in professionalism and integrity, that their findings and conclusions can be set aside so lightly? Who has appointed them as international judges, if they are really so inept? Were they appointed after they had pulled some strings ? Who looked at them and made a decision that they met the criteria set in Article 13 of the Statute, stipulating that ‘[t]he judges shall be persons of high moral character, impartiality and integrity who possess the qualifications required in their respective countries for appointment to the highest judicial offices’? What highest judicial office could be held by the judges whose judgments were so drastically torn to pieces on appeal? Who kept assigning new cases and new trials to the same judges who brought their profession into disrepute? Why? So that they could be humiliated on appeal again?

Is it possible that there is such a world of difference in terms of quality, professionalism, integrity and judicial temperament between the judges in the trial and appeals chambers? After all, with the exception of a single prison sentence that was revised following the appellate judgment, the appellate judgments still stand, unrevised and unquashed. Whether this is due to the infallibility of the appellate judges or to the lack of a higher instance for the review of their findings and conclusions… is an open question. In the absence of this higher instance, their findings and conclusions are protected by the “presumption of infallibility”.

However, the “presumtion of infallibility” should not shield them from public expressions of concern, criticism and protests against the ‘new course’ that they have plotted for the Tribunals in The Hague and Arusha.

 

Da Sense Agency




70 ANNI FA...
La fuga degli antifascisti jugoslavi dalla Rocca di Spoleto (PG) e gli albori della Resistenza in Valnerina


Fonte: I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA
Storie e memorie di una vicenda ignorata
di Andrea Martocchia - con contributi di Susanna Angeleri, Gaetano Colantuono, Ivan Pavičevac
Prefazione di Davide Conti, Introduzione di Giacomo Scotti
Roma, Odradek, 2011 - http://www.partigianijugoslavi.it/

dalle pp. 26, 32-34:


<< In Umbria, a partire dal 1942, tanti jugoslavi – montenegrini, sloveni, croati – furono destinati alle miniere di lignite o alle fornaci di mattoni della Regione; altri furono rinchiusi nelle carceri di Perugia e Spoleto; altri ancora – la maggioranza – furono internati in campi di concentramento, il principale dei quali fu quello di Colfiorito, presso Foligno. [...]  
Il vero nucleo organizzativo-militare della costituenda brigata partigiana della Valnerina fu costituito da quelli scappati dalla Rocca di Spoleto: 

"un folto gruppo di jugoslavi (...) vi erano detenuti per motivi politici. Scarse testimonianze si hanno di questa evasione. Essa comunque avvenne nella notte tra il 13 ed il 14 ottobre 1943." [...]  

Svetozar Laković [nome di battaglia "Toso"], che era nativo di Berane (Montenegro), racconta: 

"Come partigiano della prima ora nel 1941, fui arrestato qui nel Montenegro da fascisti italiani e condannato a vent’anni di carcere. Fui dapprima, assieme ad altri compagni nelle carceri dell’Italia del nord [Volterra] e quindi trasferito a Rocca di Spoleto. Noi jugoslavi eravamo circa 150, c’erano anche una cinquantina di prigionieri politici greci e gli altri erano italiani. Dopo la capitolazione apprendemmo che dai vari campi di concentramento i prigionieri cominciavano a fuggire. Paventando di essere consegnati ai tedeschi (...) effettuammo un attacco in forze contro la guardia del carcere, una trentina di carabinieri; li disarmammo e riuscimmo a fuggire. Ci dividemmo in quattro gruppi ed io mi posi al comando di un gruppo (avevamo con noi qualche fucile)." [...]  

Otello Loreti, un antifascista di Spoleto che già il 13 settembre si era dato alla macchia, ricordò così quella evasione:

"Ero a conoscenza che nella Rocca di Spoleto vi era un forte nucleo di detenuti politici jugoslavi, prevalentemente studenti condannati dai tribunali ustascia ed italiani. Infatti questi detenuti erano inviati a lavorare nei vari laboratori ed aziende della città ed è stato per questo motivo che sono venuto in contatto con alcuni prigionieri. La sera del 13 ottobre, verso le 17, tutti i detenuti erano stati rinchiusi nelle loro celle. Era rimasto fuori Giuseppe [...], uno slavo che esercitava il mestiere di fabbro. Giuseppe aggredì una guardia di servizio, gli tolse l’arma e lo obbligò ad aprire le celle in modo da far uscire gli altri. Accorsero altre guardie che si fecero disarmare facilmente. I detenuti, armi alla mano, obbligarono il Direttore [Guido Melis] ad aprire la porta principale ed anche il magazzino viveri dove si rifornirono di vettovaglie. Gli jugoslavi disarmarono poi altre guardie e quindi dal Ponte delle Torri presero la via dei boschi dopo essersi divisi in tre gruppi per meglio sfuggire alle ricerche."

Loreti ed il suo piccolo gruppo, costituito assieme ad Umbro Giulidori e Mario Leonardi, [...] intercettarono gli jugoslavi in fuga, a Raischio, nella proprietà del marchese della Genga, e per loro approntarono la sistemazione in un fienile.

"I boschi circostanti Spoleto erano loro familiari in quanto vi erano stati condotti in occasione di alcuni bombardamenti aerei, per cui fu abbastanza agevole per essi dileguarsi e raggiungere la montagna dove si incontrarono con noi che già ci eravamo dati alla macchia. Il Direttore del Carcere di Spoleto dottor Melis ritardò a dare l’allarme e questo agevolò, in un certo senso, la fuga degli jugoslavi. Per questo ritardo il Direttore fu arrestato insieme alla famiglia ed a molte guardie di servizio e detenuto nel carcere di Perugia fino alla Liberazione."

Il primo scontro a fuoco con i tedeschi in cerca degli evasi si verifica già il giorno 14 nel paesino di Caso. In questa località i partigiani di Loreti riescono a rifornirsi di alcuni fucili che erano nascosti in un fienile; a dare man forte c’è poi lo stesso Ernesto Melis [il figlio del Direttore del carcere, che si pone alla guida di una sua banda partigiana] con i suoi uomini, dotati di mitragliatrici: presi tra due fuochi, i tedeschi si danno alla fuga. [...]  

La banda Melis, anche in virtù della sua composizione, si prefiggeva obiettivi diversi rispetto a quelli dei partigiani comunisti – tali erano Loreti, gli jugoslavi guidati da “Toso”, e tutti quelli che negli stessi giorni si radunavano attorno ad Alfredo Filipponi presso Terni. Lo stesso Loreti non aderì mai alla “Melis” e preferì unirsi agli jugoslavi; con loro entrò nella brigata “Gramsci” di Filipponi e condivise tutte le vicende della Resistenza in zona. Ci fu comunque un periodo di “interregno” ed incertezza che durò fino alla fine del mese di ottobre. Ai primi di novembre Ernesto Melis d’accordo con lo stato maggiore della sua banda ne decise lo scioglimento “tattico”, per evitare che i propri famigliari – che nel frattempo erano stati tutti arrestati – corressero rischi eccessivi. In seguito, sia i militari di Melis che gli jugoslavi di “Toso” si trasferirono in altre zone ritenute più sicure. Gli jugoslavi in particolare scelsero come base Mucciafora in Alta Valnerina...




TENTACOLI GIULIANO-DALMATI

Eremo di Ronzano, tremila firme
contro lo sfratto dei frati


Oggi si riunisce il consiglio provinciale dei Servi di Maria. L'appello dei laici: "Non vogliamo perdere il luogo della chiesta conciliare a Bologna, fermatevi"


Tremila firme contro lo sfratto dei frati da Ronzano. Cresce la rivolta di laici e religiosi a difesa dell’eremo e della sua storia. L’ordine dei Servi di Maria, a livello provinciale, ha deciso di far scendere i religiosi, rimasti in quattro, dalla collina, per assegnare la gestione del complesso conventuale ad esponenti dell’associazione reduci giuliano-dalmati. Una decisione che ha colto tutti di sorpresa e che trova contrari gli stessi frati e i laici.

In rete è partita già da alcune settimane la protesta, che ora è arrivata a 2.244 sostenitori (quelli che hanno firmato l’appello on line) più le settecento firme raccolte dall’Associazione Amici di Ronzano in banchetti e incontri nelle ultime settimane. Tante anche le lettere private, qualcuno ha scritto al sindaco Virginio Merola. Indignazione e rabbia. L’appello, rivolto al priore provinciale fra Gino Leonardi, chiede di rivedere la decisione, di aprire “un confronto che consenta una soluzione che salvaguardi questa importante realtà ecclesiale, civile e culturale”. Perché con la “cacciata” dei religiosi quel luogo di testimonianza della chiesa conciliare che Ronzano ha rappresentato per decenni a Bologna rischia di disperdersi.

Oggi è previsto un incontro del Consiglio provinciale dell’Ordine dei Servi di Maria. Sul tavolo arriverà la protesta, rilanciata nei giorni scorsi anche dall’agenzia Adista, che è la più importante agenzia di informazione religiosa. All’incontro parteciperà anche frate Pietro, che ha rassegnato le dimissioni da priore conventuale perché contrario al “programma di ristrutturazione” della Provincia dell’ordine religioso.

Sono centinaia di testimonianze on line per quel luogo dell’anima condiviso da decenni da cattolici e non solo. “Importantissimo preservare un luogo di incontro tra laici e credenti in un ambiente splendido”, scrive Paola Calzolari. “Sono sempre più rari i luoghi dove si possa sperimentare la bellezza di Dio. Ronzano è uno di questi luoghi intrisi di Spirito Santo. Non abbandonatelo al mondo”, è la richiesta di Dino Dazzani. Per Giampaolo, Ronzano “è un luogo di crescita e confronto, una perla che il mondo cattolico non può perdere”

Nell’appello si legge: “I sottoscritti chiedono al Priore Provinciale e al Consiglio dei Servi di Maria di rivedere la scelta su Ronzano.
 Che cosa rappresenta l’Eremo per quanti lo frequentano? Un luogo di spiritualità conciliare, ispirato al Vaticano II, un luogo di cultura e ricerca, uno spazio di fraternità, un eremo accogliente e un ambiente ecologico. Pur nel rispetto delle difficoltà dell’Ordine, che sono all’origine dei provvedimenti, si chiede di aprire un confronto che consenta una soluzione che salvaguardi questa importante realtà ecclesiale, civile, culturale”.

(14 ottobre 2013)


Per sottoscrivere l'appello: 



(castillano, italiano)

Dalla Libia a Lampedusa il passo è molto breve

1) 20 ottobre 2011 - 2013: Due anni fa l'assassinio per linciaggio e sevizie di Muammar Gheddafi. Il testamento politico
2) ¿Quién hundió el “Anti-Titanic” en Lampedusa? (N. Armanian)
3) La disintegrazione della Libia (P. Lavrentieva)
4) Libia, Intervista a Angelo Del Boca: «Il paese non c'è più, ormai si è somalizzato»


CITAZIONE:

"La storia sarà con i popoli che lottano per giuste cause, mai con chi sollecita le potenze imperiali straniere a venire ad attaccare il proprio paese. Il destino che attende i criminali del CNT è scritto con inchiostro indelebile, come è rimasta scritta, la storia del martirio di un popolo, delle sua città e della sua famiglia. Avanti con il sacro dovere di lottare fino alla vittoria o alla morte. Con l'esempio eterno del colonnello Gheddafi, leader coraggioso del popolo libico e guida della Jamahiriya Libica Popolare e Socialista".
Fidel Castro

LINKS:

Patto segreto tra Italia e Libia contro i migranti. La denuncia di A.I. (2012)

Sul rifornimento italiano di armi ai tagliagole anti-libici:
Armi sui traghetti, il segreto di Stato fa affondare l’inchiesta
http://lanuovasardegna.gelocal.it/olbia/cronaca/2013/04/06/news/armi-sui-traghetti-il-segreto-di-stato-fa-affondare-l-inchiesta-1.6831787


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Testamento politico di Muammar Gheddafi, Guida della Rivoluzione della Grande Jamahiriya Araba Libica Popolare Socialista

In nome di Allah, il Clemente, il Misericordioso;
Per 40 anni, o magari di più, non ricordo, ho fatto tutto il possibile per dare alla gente case, ospedali, scuole e quando aveva fame, gli ho dato da mangiare convertendo anche il deserto di Bengasi in terra coltivata.
Ho resistito agli attacchi di quel cowboy di nome Reagan anche quando uccise mia figlia, orfana adottata, mentre in realtà, tolse la vita a quella povera ragazza innocente cercando di uccidere me.
Successivamente aiutai i miei fratelli e le mie sorelle d’Africa soccorrendo economicamente l'Unione africana, ho fatto tutto quello che potevo per aiutare la gente a capire il concetto di vera democrazia in cui i comitati popolari guidavano il nostro paese; ma non era mai abbastanza, qualcuno me lo disse, tra loro persino alcuni che possedevano case con dieci camere, nuovi vestiti e mobili, non erano mai soddisfatti, così egoisti che volevano di più, dicendo agli statunitensi e ad altri visitatori, che avevano bisogno di "democrazia" e "libertà", senza rendersi conto che era un sistema crudele, dove il cane più grande mangia gli altri.

Ma quelle parole piacevano e non si resero mai conto che negli Stati Uniti non c’erano medicine gratuite, né ospedali gratuiti, nessun alloggio gratuito, senza l’istruzione gratuita o pasti gratuiti, tranne quando le persone devono chiedere l'elemosina formando lunghe file per ottenere un zuppa; no, non era importante quello che facevo, per alcuni non era mai abbastanza.

Altri invece, sapevano che ero il figlio di Gamal Abdel Nasser, l'unico vero leader arabo e musulmano che abbiamo avuto dai tempi di Saladino, che rivendicò il Canale di Suez per il suo popolo come io rivendicai la Libia per il mio; sono stati i suoi passi quelli che ho provato a seguire per mantenere il mio popolo libero dalla dominazione coloniale, dai ladri che volevano derubarci.

Adesso la maggiore forza nella storia militare mi attacca; il mio figliuolo africano, Obama, vuole uccidermi, togliere la libertà al nostro paese, prendere le nostre case gratuite, la nostra medicina gratuita, la nostra istruzione gratuita, il nostro cibo gratuito e sostituirli con il saccheggio in stile statunitense, chiamato "capitalismo", ma tutti noi del Terzo Mondo sappiamo cosa significa: significa che le corporazioni governano i paesi, governano il mondo e la gente soffre, quindi non mi rimangono alternative, devo resistere.

E se Allah vuole, morirò seguendo la sua via, la via che ha arricchito il nostro paese con terra coltivabile, cibo e salute e ci ha permesso di aiutare anche i nostri fratelli e sorelle africani ed arabi a lavorare con noi nella Jamahiriya libica.
Non voglio morire, ma se succede, per salvare questo paese, il mio popolo e tutte le migliaia che sono i miei figli, così sia.

Che questo testamento sia la mia voce di fronte al mondo: che ho combattuto contro gli attacchi dei crociati della NATO, che ho combattuto contro la crudeltà, contro il tradimento, che ho combattuto l'Occidente e le sue ambizioni coloniali e che sono rimasto con i miei fratelli africani, i miei veri fratelli arabi e musulmani, come un faro di luce, quando gli altri stavano costruendo castelli.

Ho vissuto in una casa modesta ed in una tenda. Non ho mai dimenticato la mia gioventù a Sirte, non spesi follemente il nostro tesoro nazionale e, come Saladino, il nostro grande leader musulmano che riscattò Gerusalemme all'Islam, presi poco per me ....

In Occidente, alcuni mi hanno chiamato "pazzo", "demente": conoscono la verità, ma continuano a mentire; sanno che il nostro paese è indipendente e libero, che non è in mani coloniali, che la mia visione, il mio percorso è, ed è stato, chiaro per il mio popolo : lotterò fino al mio ultimo respiro per mantenerci liberi, che Allah Onnipotente ci aiuti a rimanere fedeli e liberi.

Colonnello Muammar Gheddafi, 5 aprile 2011


=== 2 ===

en francais: Qui est responsable du naufrage de « l’anti-Titanic » de Lampedusa ? 

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¿Quién hundió el “Anti-Titanic” en Lampedusa?


06 oct  2013
Nazanín Armanian

Si no fuera porque el número de los refugiados fallecidos en la costa italiana ha superado el techo de la “normalidad” que ronda sobre 60-70 personas, la tragedia de los tripulantes de esta patera hubiera pasado desapercibida. Hace dos años 61 refugiados –incluidos varios niños-, naufragaron en este mismo lugar al quedarse sin alimentos y combustible, mientras un portaaviones de la OTAN les miraba sin pestañear.

Sin nombre, ni historias de amor o de intriga, ninguna canción eternizará su viaje a la muerte, ni nadie hará una película de esos hombres y mujeres valientes capaces de arriesgar su vida no solo para cumplir su sueño, sino para ayudar a su familia y empujar de paso el carro de la civilización humana.

“Deshumanizar al otro” es una estrategia política que legitima el trato que se le da; el mismo que han recibido decenas de miles de asesinados bajo los bombardeos en Irak, en Afganistán o en Pakistán: mientras ellos carecen de identidad, nos enseñan en la tele la foto de la boda y de la esposa embarazada de aquel soldado de ocupación muerto a manos de un nativo “bárbaro y despiadado”.

¡Cómo esos cuerpos en el mar han puesto a prueba, una vez más, nuestra capacidad de no sentir vergüenza de votar a individuos que aprueban leyes antinaturales como la de castigar a quien ayuda al prójimo! Aún así, varios pescadores italianos siguiendo su instinto salvaron la vida de decenas de aquellas personas desesperadas, escupiendo a la cara de demonios disfrazados que hemos colocado en los sofás de los palacios.


Vidas no contadas

Entre las historias de vida de miles de personas, campeones olímpicos sin medallas que saltan las vallas de púas más altas con manos ensangrentadas, que se lanzan a los mares indomables huyendo de guerras, hambrunas, persecuciones políticas, étnicas, religiosas, de género, víctimas de políticas de sus gobiernos o del pulso de las grandes potencias mundiales por expolio de sus inmensos recursos naturales, podemos conocer las siguientes:

-Fátima, mujer somalí de 26 años que viajaba junto con su hijo Ahmed de 5 años. Su país, ubicado sobre un lago de petróleo no explotado, ha sido declarado por Occidente  como “Estado fallido” – contraseña del “país poseedor de recursos naturales o ruta de su tránsito, ya apto para ser dominado”-, desfallece de hambre sobre inmensas reservas de uranio, oro, petróleo, gas, bauxita y cobre. El escándalo fabricado sobre los “piratas” de pocamonta en 2009, -si bien estaba al servicio de militarizar el Cuerno de África y el Golfo de Adén, uno de los corredores más estratégicos del planeta que conecta el Golfo Pérsico, el Mar rojo y el Canal de Suez y por donde pasa el 30% del petróleo del mundo-, revelaba además que el pescado y el marisco de sus caladeros –lo poco sustento que les quedaba-, acababan en las mesas de los hoteles españoles y franceses, y que los verdaderos “bandidos del mar” de guantes y tez blancos, de paso vertían toneladas de desechos tóxicos en sus costas.

- Ahmed, niño de ojos grandes de 10 años, otra víctima, era huérfano al igual que varios millones de pequeños somalíes. No quería convertirse en uno de los 500.000 niños que viven en las calles del país, o verse obligado a trabajar jornadas interminables a cambio de un plato de comida, con palizas y abusos sexuales de postre, o convertirse en soldado o esclavo en el “mercado libre” del capitalismo global que ofrece “niño a la carta” a las empresas de todo tipo. Ahmed, que al embarcarse pensó que se había librado de tal destino, se encuentra ahora en el fondo del mar.


De Etiopia y Libia

- Abeba, mujer de la tierra del café, Etiopía, había conseguido junto con otras activistas que la Constitución prohibiera la ablación. Todo un logro. Para la luchadora de las batallas imposibles era más difícil, sin embargo, derrotar el sistema económico, político y social capitalista que bendice una violencia patriarcal estructurada. Su espalda, destrozada por llevar cargas pesadas durante horas de camino, ya no aguantaba. Se echó a esta aventura llevando consigo a su sobrina Hakima, de 7 años, una de los cuatro millones de niños huérfanos etíopes. El sueño de Abeba era salvarle de la desnutrición severa que mata a miles de pequeños en este país, que un día de 1974 se declaró socialista tras derrocar al dictador zombie Haile Selassie, gobernante de una población literalmente moribunda, enferma y analfabeta. El Gobierno militar de Haile Mariam, con el apoyo de la Unión Soviética y Cuba realizó reforma agraria, declaró universal y gratuitas la educación y la sanidad, y miró por los derechos de la mujer y de las minorías étnicas. Sus recursos como el oro, gas natural, tantalio, y mármol, por fin iban a servir al rescate de sus propietarios. Los errores del Gobierno, las terribles sequías de los años 80 que mataron a cientos de miles de personas, junto con las provocaciones de EEUU desde Eritrea que armaba a los rebeldes (quienes destinaban las ayudas internacionales contra el hambre a la compra de armas) ralentizaron este avance hasta ser paralizado con la caída de la URSS. Una situación parecida a la de Afganistán, país del que han huido unas 6 millones de personas en las últimos tres décadas.

Al final el Mar “rojo” no hizo gala de su nombre y Washington consiguió apoderarse del control del país y su privilegiada ubicación. Hoy, a pesar de ser una economía en bancarrota, y con medio millón de niños en riesgo inminente de morir, el Gobierno gasta 100 millones de dólares en la compra de 200 tanques a Ucrania.

- Ebrahim fue un arquitecto libio que dejó a su esposa y los dos hijos, y siguió la ruta del transporte que lleva los recursos de su tierra y se dirigió a Italia. Pensaba hacerse con un sitio allí y luego solicitar la reagrupación familiar. La situación tras el asesinato de Gadafi es caótica y deja en nada la promesa de la OTAN de democratizar el país. Es la misma Alianza militar que descargó toneladas de bombas sobre la población civil, sepultando miles de vidas y destruyendo las infraestructuras, para luego reconstruirlas con el dinero de las propias damnificadas (Libia: un negocio de guerra redondo). Se equivocó Ibrahim si pensó que los gobiernos occidentales beneficiarios de aquella infame agresión, a cambio, atenderían a los ciudadanos libios en Europa. ¡Había 65.000 millones de dólares líquidos libios en los bancos italianos! Por su parte, la Fiscalía de París investiga la posible financiación de la campaña electoral de Sarkozy en 2007 por parte de Gadafi. Los juegos sucios alcanzan puntos insospechados: Sarkozy luego pactó con los rebeldes del Consejo Nacional de Transición el derrocar al Coronel a cambio de que las empresas galas obtuvieran el 35% de las participaciones en el negocio de fuel. Hoy, el desgobierno, una cruenta lucha entre grupos armados por hacerse con el control de lo que es la mayor reserva petrolífera de África (la doble que las de EEUU), y una huelga intermitente de los trabajadores del petróleo han paralizado la economía. El colapso del Estado libio y la baja productividad de su industria petrolífera son parte de los motivos que impiden a los europeos apuntarse a la guerra de EEUU contra Siria.


Política de empobrecimiento

Condenar a los países ricos al subdesarrollo es una estrategia política que se ejecuta con la complicidad de las oligarquías y regímenes locales neopatrimonialistas ligados a negocios de todo tipo. Es la esencia de las recetas cocinadas por las instituciones financieras que obligan a los Estados a realizar reajustes estructurales y privatizar sus recursos naturales (¡como bosques de Tanzania!), con el fin de facilitar inversiones extranjeras. Una parte de la liquidez de los bancos occidentales ( Banco de Crédito y Comercio Internacional, por ejemplo) proviene del contrabando de piedras preciosas, tráfico de drogas y de armas de un África que mueve dinero dentro y fuera pero no deja nada para su desarrollo.

En nuestro cayuco imaginario también estaban gente de Malí, país invadido por la OTAN , tierra de petróleo, oro y uranio, donde la esperanza de vida es sólo de 37 años, o de Nigeria, el séptimo productor mundial del petróleo…

Es la misma historia de los iraquíes: atacados y masacrados por EEUU y sus aliados, unos 5 millones de los habitantes de la antigua babilonia, se han refugiado en los países vecinos, donde empiezan otras guerras (la de Siria) y deben volver a recoger sus bártulos huyendo hacia ninguna parte.

En 2012 se contabilizaron unos 230 millones de inmigrantes.

Ninguna vigilancia aérea y marítima, ni siquiera hundir las pateras en el mar a cañonazos, como proponía el ultraderechista italiano Umberto Bossi , podrá detener a millones de seres humanos a que huyan a de su tierra.

Ya no funciona relacionar la inmigración con la delincuencia: ¡que miren los juzgados en España! Tampoco es tarde que los ciudadanos corrijan su mirada hacia los refugiados e inmigrantes cuando tienen hijos que con dos títulos universitarios, viven en un piso patera en Londres o Berlín, y limpian los WC. Aun así, España desde el 2013 ha deportado a 6.056 inmigrantes, y seguía deteniendo al desgraciado transportista de una patera o de un camión, quizás para desviar la atención a los verdaderos causantes del tráfico de seres humanos o quizás para que nadie ponga en entredicho su idea brillante de pagar a los gobiernos, como al senegalés, para que admitan la repatriación de los refugiados detenidos, pisando las leyes internacionales. No nos dicen que las autoridades corruptas de éste mismo país conceden licencias especiales de pescar a empresas extranjeras, elevan las tasas de estos permisos para los nativos, forzándoles a lanzarse al mar para llegar a España.

De África se están llevando el oro, el coltán, el hidrocarburo y otros recursos, y a cambio se les envía aviones cargados de armas y muchos misioneros para que les invite a paciencia y vivir el sueño de tener una vida mejor en el “otro mundo”.



=== 3 ===


La disintegrazione della Libia

di Polina Lavrentieva

Nel 2011, Thierry Meyssan assicurava che non vi era alcuna primavera araba in Libia, che la popolazione non si era rivoltata contro Muammar Gheddafi, ma che gli occidentali usavano il movimento separatista della Cirenaica. Due anni dopo, il gioco è fatto: Tripoli ha perso il controllo di Cirenaica e Fezzan, come hanno osservato gli inviati speciali delle Nazioni Unite. La ricchezza del Paese è ora solo nelle mani delle bande e delle multinazionali statunitensi.

RETE VOLTAIRE | MOSCA (RUSSIA) | 11 OTTOBRE 2013

Non si può fermare il processo di disintegrazione della Libia iniziato dall’assassinio di Muammar Gheddafi. Un nuovo rapporto delle Nazioni Unite dice: sullo sfondo della separazione della province della Libia “liberata dal dittatore”, avvengono esecuzioni affrettate, una massiccia oppressione politica e torture.
Secondo la relazione congiunta della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) [1] e dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, circa 27 persone sono morte in carcere nel Paese solo alla fine del 2011 [2]. 8000 persone sono detenute nelle carceri del Paese. Sono state definite, nel 2011, “partigiani di Gheddafi”. La maggior parte di loro non è stata nemmeno formalmente indagata e nessuno sa per quanto tempo rimarranno in carcere, perché il sistema giudiziario non funziona quasi più.
Il New York Times suggerisce che le persone siano state arrestate per motivi religiosi o etnici, o perché sospettate di non essere fedeli alla “democrazia”. I detenuti con cui gli ispettori delle Nazioni Unite hanno potuto parlare, hanno riferito di essere picchiati e torturati dal fuoco e dalla fame, nelle carceri.
Nell’aprile di quest’anno, è stata approvata una legge in Libia per impedire la tortura e condannare i rapimenti. Ma non viene applicata. Questa è solo una parte del quadro della disintegrazione dello Stato libico. Le regioni si ritirano gradualmente, come ci aspettavamo due anni fa su queste pagine. E questo non accade senza spargimento di sangue.
Il 27 settembre, il Fezzan ha dichiarato l’indipendenza, o almeno la sua piena autonomia, [3] i leader tribali hanno deciso così “per via dello scarso lavoro del Congresso.” A giugno, è stata la regione (ricca di petrolio) della Cirenaica [4] che s’è ripresa la sua libertà. Delle tre regioni storiche della Libia, solo la tripolitania ne fa ancora parte. Per ora, non c’è forza in grado di riunire questi tre Stati storici che formavano la Libia dal 1951.

Fonte 
Odnako (Russia)
Settimanale d’informazione generale. Redattore capo: Mikhail Leont’ev. 


Traduzione di Alessandro Lattanzio (SitoAurora)

[1] Sito della MANUL.

[2] “Tortura e morte nelle carceri della Libia“, relazione Unismil, ottobre 2013.

[3] “La ‘nuova Libia’: la regione del Fezzan dichiara la sua indipendenza“, Irib, 27 settembre 2013

[4] “Ливии официально больше нет. Восток объявил “нефтяное государство” “(la Libia è ufficialmente finita, l’oriente si dichiara petro-Stato) Odnako, 7 marzo 2012.



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LIBIA - MONDO

«Il paese non c'è più, ormai si è somalizzato»

TOMMASO DI FRANCESCO
11.10.2013

Intervista a Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano, sul sequestro del primo ministro: «È uno scontro di potere. Non sono assolutamente sorpreso». «Ali Zeidan, professore universitario magnificato da tutto l'Occidente è un uomo stranamente ricchissimo»

Per capire l'evolversi della crisi libica abbiamo intervistato Angelo Del Boca, storico del colonialismo italiano e massimo esperto internazionale della Libia.

Come giudica il sequestro da parte delle milizie armate del primo ministro libico Ali Zeidan, poi liberato?

È uno scontro di potere. Fa parte del caos nel quale la Libia è caduta dopo la guerra della Nato che ha deposto nel sangue Gheddafi. Non sono assolutamente sorpreso del sequestro. L'anno scorso, quando doveva diventare premier Anwar Fekini, figura di spicco dell'opposizione in esilio (e nipote di Mohammed Fekini protagonista della rivolta contro l'occupazioneitaliana) ho cercato di dissuaderlo. Era restio ai miei suggerimenti, ma recentemente mi ha ringraziato dicendomi: «Mi hai salvato la vita».

Che cosa è accaduto in Libia dall'uccisione di Gheddafi, nell'ottobre 2011, a oggi?

È accaduto il fenomeno della proliferazione delle milizie armate. Da stime dell'intelligence statunitense sono più di 500 e temibilissime. La stessa Casa bianca, che fornì l'aviazione a questi insorti, se n'è accorta dolorosamente l'11 settembre 2011 quando i jihadisti hanno attaccato il consolato Usa di Bengasi assassinando l'ambasciatore americano Chris Stevens e tre alti funzionari statunitensi. Tra le milizie è fortissimo il peso dei jihadisti. Così, dopo la cattura nei giorni scorsi da parte di forze speciali americane del presunto esponente di Al Qaeda, Abu Anas-Al Lybi, molto in vista nel sommovimento libico, è scattata la «risposta» delle milizie più islamiste. Che manda a dire - credibilmente - a Washington: avete fatto un arresto arbitrario, contro la nostra sovranità. Il giorno prima Zeidan aveva smentito ogni avallo di Tripoli all'operazione. Ma il segretario di stato Usa John Kerry lo ha clamorosamente smentito poche ore dopo, rivelando che il governo libico era stato consenziente. Mi piace ricordare un elemento che può far capire la commistione tra milizie e governo in Libia. Ali Zeidan, professore universitario magnificato da tutto l'Occidente è un uomo stranamente ricchissimo e solo un mese fa ha regalato un miliardo di dollari alle milizie di Misurata, considerate quelle più forti e radicali.

Si può dire che la crisi in corso in Libia è, in qualche modo, anche una crisi italiana, che cioè chiama in causa le nostre responsabilità poltiche?

Certamente. Mi spiego meglio. In questi giorni ho cercato ripetutamente di mettermi in contatto con il presidente Enrico Letta per consigliarlo. Perché Letta ha commesso in questo periodo un gravissimo errore: ha dato la disponibilità dell'Italia al presidente americano Obama che gli ha chiesto, per la vicinanza e la storia, di coinvolgersi ancora di più nella crisi libica. Come? Rimettendo in piedi esercito e polizia, ricostituendo le istituzioni e, soprattutto, «disarmando le milizie». Ma dire di sì a questa «disarmante» e sconcertante richiesta vorrebbe dire prepararsi di fatto alla terza invasione militare italiana della Libia. Perché, sempre secondo l'intelligence Usa, le più di 500 milizie corrispondono a circa 30mila uomini armati fino ai denti, con cannoni e carri armati. Un vero e proprio esercito agguerrito. Con un incessante e massiccio traffico di armi verso la destabilizzazione di aree decisive come Siria, Sinai (Egitto), nord-Mali, Tunisia e Algeria. Ma, come se non bastasse, ci sono altre due questioni, perfino più gravi, che in queste ore chiamano in causa l'Italia. In primo luogo il fatto che gli Stati uniti, di fronte alla situazione libica, hanno deciso di inviare forze speciali - già subito più di 200 marine - nella base di Sigonella. Perché su questa decisione il governo Letta-Alfano tace? Dovrebbe invece prendere posizione, perché l'intenzione statunitense è l'apertura di fatto di un fronte in Libia di guerra «coperta». Bisogna ringraziare i Paesi della Nato e gli stessi Stati uniti che con la guerra del 2011 hanno trasformato la Libia nella nuova Somalia del 1993-1994, quando venne abbandonata da truppe americane e italiane, dopo l'avventura bellica anche allora venduta come «umanitaria». Insomma, la Libia che abbiamo conosciuto non esiste più, si è «somalizzata», con l'aggravante che è una «Somalia» dall'altra parte delle nostre sponde mediterranee. E invece il presidente Letta vuole tornarci «per disarmare». 

E c'è anche il massacro di Lampedusa...

Sì, perché c'è l'altra drammatica vicenda dei migranti in fuga dalla grande Africa dell'interno, da miseria, fame, da guerre attivate per interessi occidentali su gigantesche ricchezze minerarie e fonti di energia. Proprio due giorni fa, in piena sintonia criminale con il massacro di Lampedusa, e con l'avvallo del governo italiano, lo stato maggiore italiano della Guardia di Finanza e della Guardia costiera nazionale ha firmato «un accordo con le autorità libiche» (quali?) per il pattugliamento congiunto dei porti della Libia. Viene da chiedere: con quali milizie, con quali leader jihadisti abbiamo firmato questo incredibile patto, a chi abbiamo promesso denaro italiano per fermare militarmente i disperati che fuggono con le bagnarole nel Mediterraneo?




(ovaj text na srpskohrvatskom: Од Косова до Сирије
Вишеслав Симић - професор - Ел Текнолохико де Монтереј, Мексико - 26. септембар 2013.


Višeslav Simić (Вишеслав Симић)
2do Seminario Internacional "Análisis e incidencia de las políticas públicas" - EGAP - Tecnológico de Monterrey - 25 y 26 de Septiembre 2013 - México

 

As the so-called Kosovo "war"(1) is being used by the United States of America as a blueprint(2) for how the euphemistically(3) called "international community"(4) should militarily resolve the crisis in Syria without a mandate from the U.N. (in spite of the U.S. persistently insisting that it was a sui generis case), it is becoming increasingly more important not only finally independently to study the "mob or sole assailant"(5) aspect of the contemporary U.S. international approach but, even more, to dedicate particular attention to the post- and extra-combat involvement (or the lack of it) of the "international community" in the management(6) of the territories and the people "liberated"(7) by it.

While the U.S. President announces(8) a possible attack on a sovereign nation of Syria without the authorization by the U.N., citing the precedent of Kosovo as justification for it, the U.S. Secretary of State (accused by some of being le ministre étranger aux affaires) assures U.S. citizens that rich Arab nations would foot the bill(9) (attempting to relieve concerns about the system's impending bankruptcy(10)), and a multitude of the West's "corporate intellectuals"(11) (especially the ones from the so-called La Gauche Caviar) are soothing the moral and psychological worries of its ever-conscientious public, there are legitimate and reliable voices who give us different points of view about this issue, from the warnings to the U.S. leaders that aiding a declared enemy(12) of the U.S. would be treason(13), that Syria's socialist secular economic/political system(14) is the main problem for both the neo-liberal West and the reactionary, fundamentalist Islamist Arab regimes, to those that the so-called opposition in Syria are "a bunch of criminals" and not "revolutionaries."(15)

Just a part of this list of concerns should create a grave apprehensiveness about the "international community's" capacity to act in Syria militarily, but even more about its competence to be the leader of the supposed post-conflict stabilization and reconstruction. Taking into consideration the "international community's" aggressive and criminal March 1999 record in Serbia, November 2001 in Afghanistan, March 2003 in Iraq, and March 2011 in Libya, its involvement, and especially the U.S. leadership role, should be extremely questionable(16).

It is certain that the U.S. global position was dominant in the post-Soviet period, and that the phrase "international community" became synonymous with the U.S.—the main formulator of what were dogmatically(17) believed to be liberal(18) privatization-centered(19) pro-democratization and economic growth policies during the 1990s and the early 21st century. Yet, as these policies' truthfulness and efficacy became increasingly questioned and challenged(20), due to their failures and catastrophic consequences in practice(21), and as the U.S. increasingly turned into a defender against charges of imperialism and aggression(22), and a coercer of unwilling allies(23) into arrogant violations of international law(24) than it remained a leader of any true community of states, great questioning(25), strong confirmations(26), and new understandings and opinions(27) of the term "international community" appeared.

Although there had been a few U.N. missions in the disputed/non-sovereign territories before the Kosovo mission was established, the fact is that all of them were initiated properly in the U.N., and implemented by it, including military forces of various member states, that willingly lent them, working in close cooperation with the world organization.

Kosovo was a crucial turning point and the precedent that nullified the old rules by force, without establishing any clear and agreed upon new ones for the future.

As the Kosovo precedent allowed for the creation of new states, such as Abkhazia and South Ossetia, and for the establishment of new "international communities", who justified and implemented such acts, it became obvious that a trend is being set and that the organization of the United Nations is increasingly either serving the purposes of one of the "international communities", or that it is being ignored by either of the "international communities"(28) or by all of them(29). The multitude of the small states for decades has been pointing out the fact that they are not even considered by the "international community" if they disagree with its policies, or are used to shore up its "moral imperative" when they do, but their plight is not as important in the "realpolitik" world as the latest warnings by one of the greatest powers—China—about the "improper comments in the name of the 'international community'"(30) by some Western politicians.

Although there are some Western intellectuals(31) and popular commentators(32) who point this out, a blindness to these facts, and a dogmatic, quasi-religious faith in the only true "international community" is very noticeable in the so-called West—not only among its political classes but in academia as well, where it should be happening the least, especially taking into consideration the plenitude of analysis of international politics(33).

The pattern has already become a common place: a regime is declared "rogue" for not accepting the "international community's" dictates and not opening its economy for a neo-liberal takeover, and an adequate "endangered" minority is designated a victim within the "rogue" regime's borders, and the minority's criminal sub-population is trained and equipped to be the "legitimate and justified" opposition to the regime and the future "guarantor of democracy and economic development" of the "liberated" nation, and an ally in mutually beneficial money laundering operations(34). Then, cases of "human rights violations" are exaggerated or, if necessary, fabricated, and an insurrection by the "democratic, free-market oriented, and Westernized and moderate" guerrilla is legitimized, and a "red line" is drawn, after which a military intervention by the "morally indignant" "international community" becomes a must in order to save face and show the world its dedication to peace and international cooperation.

The "international community's" interests in the Middle East are obvious: preventing China from obtaining cheap oil for its economic growth and military development; getting closer to Russia's "soft southern belly", and increasing the possibility of destabilizing the E.U. through strong control and manipulation of its Moslem population, making the "allies" long term dependant on the "international community".

With Kosovo, it was not so obviously clear why the "international community" got so deeply and expensively involved in that oil-deprived region(35). Although the territory known as Kosovo is a landlocked, economically undeveloped, and socially backward land of 10,887 sq. km.(36), populated by anywhere between 1.5 to 2 million people(37), it is of a significant geo-political and strategic importance. 
Its position at the ancient surface crossroads—Via Militaris and Via Egnatia(38)—was made very obvious by the placement of the U.S. military base Bondsteel near that crucial intersection of the roads that connect Europe and Asia. Taking into consideration that the planned American-backed "Nabucco"(39) pipeline, as well as the Russian natural gas and oil pipeline, "Southern Stream"(40), were to pass through that area, supplying Europe with Russian and former Soviet Central Asian states' oil and gas, the geostrategic importance of Kosovo becomes more prominent.

The post-intervention international administration of a territory "liberated" by the "international community" brings many advantages both to the allied governments and the private businesses from the "cooperative" nations.

The case of Kosovo is an excellent example: it has been declared an investor's dream and a venture capitalist's heaven(41) by its new rulers.(42) Its labor market offers one of the cheapest labor forces in the world. With official unemployment rates in Kosovo reaching 50%(43), once the means of production are secured(44), and access to global markets are guaranteed, the investors will be attracted to the profit-making opportunities unparalleled in the developed world.

At the same time, the natural resources of Kosovo are legendary–according to the World Bank(45), 13.5 billion Euros are laying there, waiting for investors brave enough to acquire them: the richest lignite reserves in South Eastern Europe, which provide for a powerful electricity production for the whole region, as well as abundant reserves of zinc, cadmium, magnesium, kaolin, quartz, asbestos, chrome, bauxite, and lead(46), along with silver and gold–all of that under the watchful eye of the "international community"(47), eager to help set it to production and profit.
Yet, there are overwhelming problems and obstacles to that. They range from linguistic, through socio-cultural, historical and political, to legal—especially in terms of property law.

Thus, understanding the meaning and history of the names in Kosovo is only the beginning of the difficulties related to such problems.

The official and full name of the territory is Kosovo and Metohija. The land was always (as it still is today) known as Old Serbia(48) as well. Kosovo, just as Metohija did, emerged as a symbol, a reminder, a warning, and was almost accidentally used as a territorial designation only by the end of WWII, by the Communist party of Yugoslavia.

The word Metohija remains as another reminder, a public declaration by the rightful owner that the theft hasn't been forgotten, and as a subtle warning that order and justice shall be restored. That is why all false claimants to the land have insisted on the elimination of the word Metohija from the land's name.

Kosovo, as a word, means something only in the Serbian language(49)—the possessive adjective of the word kos, the American robin, a black bird, turdus merula, that flies in the skies over the famous battlefield of 1389(50).

The meaning of Metohija is clear and recognized easily by the Orthodox Christians. Being of Greek origin (μετόχια), the word is a legal and official term used to demarcate the earthly possessions of the Orthodox Church, in this case of the Serbian Orthodox Church.

It is very common in the West to dismiss all factually supported Serbian historical claims to Kosovo, while the most incredible, evidence-less Albanian claims to the antiquity of their possession and presence in the same territory are accepted as valid. Very often a question is asked by independent and reasonable observers how far back in time should the "international community" go, and what kind of mythical or spectral evidence(51) would be acceptable to lay a claim so that the matter could be settled. The situation is very similar to the one in Palestine at the time of the Jewish resettlement there, when the famous British writer H. G. Wells said: "If it is proper to 'reconstitute' a Jewish state which has not existed for two thousand years, why not go back another thousand years and reconstitute the Canaanite state?"(52)

Yet, Kosovo and Metohija became an official U.N. Protectorate, with NATO as the power that guarantees it remains so for the time being. Although the Albanians declared independence in 2008 and the "international community" recognized its "sovereignty"(53), it is still NATO that has the final authority there(54), along with the U.N. Special Representative of the Secretary General. Simultaneously, the U.N. Security Council Resolution 1244 guarantees the territorial integrity of Serbia, although some of the powers that voted for that resolution, in a paradoxical bipolar opposition to themselves, recognized the self-declared independent Republic of Kosovo. 
A matter of great interest for the scholars of international law and politics, and international management of territories and peoples, should be the evolution of the post-"liberation" fate of the leaders of the territories under "international community's" control, especially the speed and the degree of the degradation of their status and life. 
Slobodan Milošević, the leader of Serbia, was captured and put on a long-term trial by a special "international community's" tribunal(55), which terminated in his highly suspicious death after it became increasingly obvious that the evidence necessary for his conviction was not going to materialize. 
In Afghanistan, the Taliban were simply scattered and replaced by a puppet government, which still fully depends on the U.S. occupying forces in the country. Saddam Hussein, the leader of Iraq, was also chased away from his seat of power, and later captured and put on trial, but not by an international tribunal. The experience with Milošević most certainly taught the "international community" the risks of exposing its own alleged crimes before the increasingly judgmental world. The Iraqi court expressly found him guilty and he was executed by hanging, giving the impression that no appeal was permitted, or a chance for a pardon either. 
Libya's Moammar Gadhafi experienced no official capture or trial. The democratic and freedom-loving "opposition" to his regime was allowed by the "international community" to hunt him down like a wild animal and his slaughtering was filmed and widely distributed on the internet. A U.S. apparatchik to the new friendly and allied regime of Libya was murdered in a very similar manner a few months later. Then, the "international community" expressed an absolute outrage at the shocking and brutal treatment of a human being by the, now-legitimized, subject of international affairs.
The "post-conflict" status of the 'liberated" territories also differs significantly:
Kosovo seems to have been the experiment that set too high the bar for the future, causing extraordinary complications and embarrassing need for legal and moral "creativity". Following its lessons, a degradation and de-internationalization of the status of any new territory whose sovereignty(56) was altered has become noticeable. There has happened a lowering and limiting of the prerogatives of the "governor" in the field, and, with each new case, a gradual elimination of a significant portion of the U.N. membership from the pool of legal international subjects with a right to be involved in the governing and/or supervision of the territory.
In Kosovo, it was still the Secretary General of the U.N. (through his Special Representative) who was the highest civilian authority in the official U.N. protectorate(57), although the NATO military commander on the ground was the highest authority "in the theater", with a right to declare anything or anyone of "military significance" so as to grant himself the power to outrank the civilian authority of the U.N. at any time.
In Afghanistan, "full sovereignty" was gradually "restored" to the local government after the U.S.-lead international invasion and occupation of the land, and after the U.N. Security Council post factum established the International Security Assistance Force. The U.N. Assistance Force's mandate was to oversee the security in the country, but the Afghan "authorities" couldn't move freely even within the capital without full military escort by the mostly NATO troops, while the provinces were the realm of local warlords and, almost exclusively, of U.S. military commanders, who had most of the U.S. troops under their direct and separate command. 
In Iraq, the U.S. attacked that sovereign U.N. member without a declaration of war and invaded its territory under what was later proven to be a false pretext. After a quick military conquest, the country was occupied by U.S. troops. A "sovereign" puppet government was established, but the U.S. military was in charge of the land. The U.N. Security Council then established a mission in Iraq, which recognized "the responsibilities and obligations" of the U.S. occupying force, giving legitimacy to the illegal and criminal invasion of a sovereign member of the U.N. The Mission still supervises the work of the Iraqi government. The U.S. military combat operations and occupation of Iraq were officially declared finished by the end of August 2010, but U.S. troops still remain in Iraq (under separate U.S. command), together with the troops from other nations, which are under U.N. command.
In Libya, there was neither a U.N. mission set up after its destruction by NATO, nor was there an occupation of any kind by the "international community's" military forces. The early 2011 conflict was declared a civil war, in which the "rebels" refused all attempts, both by their government and by the African Union, to stop fighting. The "international community" secured a U.N. Security Council resolution (1973), which was to protect civilians and which allowed the use of force against the government of Libya, but did not allow a foreign occupation of the country. The "international community", led by the U.S. Secretary of State, Hillary Clinton, secured the supply of arms to the rebels. The Resolution stated that in order to "protect civilians" "all necessary measures" were allowed, thus, the supply of arms was unilaterally declared permitted in spite of the arms embargo imposed on "everyone" in Libya (Paragraph 9). The French Air Force bombarded the government troops, as did the U.S. and U.K. submarines. Soon, 17 countries participated in the military operations against the government of Libya, with NATO taking over the command of the operations. The "international community" thus became the air force of the rebels, providing them with some ground troops as well, violating its own U.N. resolution and not allowing for a negotiated settlement of the conflict. After the rebels took over the capital city of Tripoli, the U.N. recognized them as the legitimate government of Libya. An ad hoc local government, the National Transitional Council, was set up and recognized by the "international community" and left in power to run the country as it saw fit, as long as the oil exploitation was opened to the corporations from the "international community's" realm—the Chinese and Russian companies were not allowed in the competition in the "free market" and "globalized economy" (just as they were kept out and away by the U.S. occupying authorities from the once open-to-international-competition oil fields of Iraq).
The U.N. Protectorate of Kosovo has proven itself to be the "international community's" experiment that set the standard for the amount of sovereignty which were to be accorded the inhabitants under the "international community's" domination—none!
Thus, the sovereignty over the territory of Kosovo was altered and the whole international system thrown into a disarray. The overlapping and cancelling-out of sovereignties is blatant: the United Nations Resolution 1244 (which is still in effect and is recognized even by the powers(58) that officially recognized Serbia's Albanian minority's self-declaration of independence) recognizes the sovereignty of the Republic of Serbia over the territory of Kosovo(59). So does, of course, the Constitution of the Republic of Serbia(60). At the same time, Serbia's Albanian Moslem minority in the Province of Kosovo and Metohija had declared the province's independence from Serbia and claimed sovereignty over the territory, calling it the Republic of Kosova. It has been officially recognized by the U.S. and many of the individual great powers, which are members of the European Union, although the international organization called the European Union itself has not recognized the self-declared independent Republic of Kosovo, and works closely with the U.N. on administering the Serbian province as a U.N. protectorate(61). Simultaneously to all this, the Constitution of the self-proclaimed Republic of Kosovo, by its articles 147 and 153, clearly renounces its own sovereignty and states that the final authorities in Kosovo are the U.N. civilian administrator and NATO military force commander, making those who command NATO the ultimate sovereigns over Kosovo(62).

The "international community" did the same thing, which it did in the previously legally established U.N. protectorates, and in the many historical instances before the current supposed internationalization of protectorates—the "international community" ensured its own fiat(63) to be the legal basis and norm for any activity.
The first U.N. protectorate, an innovative and an ad hoc approach to resolving international problems insolvable by the then-current international law, was the U.N. Temporary Executive Authority (UNTEA)/U.N. Security Force in West New Guinea (UNSF), established in October 1962(64) in order to administer the Dutch colony of West New Guinea until it was transformed into a province of Indonesia on May 1, 1963. 
The following one was established in February 1992 for Cambodia, as the U.N. Transitional Authority in Cambodia (UNTAC), in order to implement the Paris Accords, which ended the civil war in that country. The U.N. was not to have direct control of the country but was supposed, during the 18 months of its mandate, to foster "a neutral political environment conducive to free and fair general elections"(65). It was the most extensive and costliest U.N. operation up to that time.
On December 21, 1995(66), the U.N. International Police Task Force (IPTF) and a U.N. civilian office in Bosnia and Herzegovina (BH) were established, known as the U.N. Mission in Bosnia and Herzegovina (UNMIBH). It was terminated on Dec. 31, 2002. It invented a new supra-sovereign office—The High Representative for Bosnia and Herzegovina (on December 14, 1995)—by the Peace Implementation Council(67). It was not a U.N. mission. SFOR, a NATO-led multinational peacekeeping force in BH, was established by the U.N. S.C. Res. 1088, on Dec. 12, 1996, and it lasted until Dec. 2, 2004. It was replaced by the E.U. EUFOR Althea mission, which is still in BH, as is the High Representative of Bosnia and Herzegovina, who still possesses his supra-sovereign powers and is the final authority in that supposedly sovereign nation.
The U.N. S.C. Resolution 1037 (Jan. 15, 1996) established the U.N. Transitional Administration for Eastern Slavonia, Baranja and Western Sirmium (UNTAES) to monitor the demilitarization of these regions and to ensure the peaceful reintegration of these territories of the Republic of Serbian Krajina into Croatia. It ended on Jan. 15, 1998, after allowing the new country of Croatia to take over these, formerly Serb-majority but then Croat- and NATO-ethnically cleansed, lands. Eventually, the newly sovereign Croatia was fully integrated into NATO (2009) and E.U. (2013), thus firmly and unquestionably putting these territories under the "international community's" control. 
In 1999, the "international community" established its most ambitious and authoritative grasp on a territory—the U.N. Protectorate of Kosovo. 
The U.N. administration took upon itself the public policy mission, traditionally reserved for a sovereign state alone, to make local laws and to enforce them, to appoint and supervise local officials, to collect and manage local revenue, to run local educational, health and other social services, to supervise the economy and finances, and even to decide in the disputes related to the very basis of any society—property matters.
The most illustrative example of the “international community’s” incompetence and, if the criteria used for ordinary people were applied to it, all out criminality, is exactly this area of public policy¬—privatization. Contrary to its U.N. S.C. mandate, the U.N. Administration of the Serbian province designed and partially implemented a public policy of privatization of the socially owned property there. It was very clear that such a policy could not be implemented(68) as the “international community” wished it, due to its basic illegality(69). The province’s chief U.N. administrator, Soren Jessen-Petersen, on April 22, 2005 (UNMIK Regulation No. 2005/18), simply decreed a fundamental change in UNMIK rules(70) and property law(71) (undocumented in human history, except during conquests and pillages of ages past), providing for the privatization agency to make “clear and final ownership determination after a sale of assets” and not before it, as has been the practice throughout human history. Although Mr. Jessen-Petersen gladly announced that “now with this change… we no longer have to establish ownership before the sale of the socially owned enterprise”(72), the process of privatization in Kosovo has been disastrous. Not even the local criminals wanted to participate in it since it didn’t provide them with a clear and legal title to the property. There are many accusations that through the process of privatization they laundered the illegally earned funds. Knowing that such practice would create legal problems(73) for the U.N. staff in both the field and in the New York City headquarters, the U.N. ensured its employees’ immunity(74) from legal prosecution but the local Albanians were left to the mercies of “the market”-causing a number of highly suspicious deaths(75) of both high level officials in Kosovo and key witnesses in Western countries over the last couple of years, all of which were ruled suicides(76) by EULEX and Western medical examiners.
This extent of legislative, executive and judicial authority, exercised with basically no scrutiny by anyone, with no supervision by independent monitors, and with no accountability to any single or collective sovereignty (especially that of the local population(77)) is substantially higher than that which the colonial governors had in the past, and which were the main reasons why the colonized peoples fought wars of liberation. It was expected, even by analysts from the "international community", that even the most "benign" protectorate of this kind would eventually turn itself into an "oppressor-ate" that would be hated by the population it was established to protect in the first place. 
Yet, there are no open anti-U.N. movements in Kosovo. It seems that while the ethnic cleansing of its Serbian citizens is yet unfinished, and while the lucrative and unmolested businesses of human trafficking, drugs and arms smuggling, and "privatization" of the Serbian state, social, Church and private property are still underway, there is no rush to end the unnatural and contradictory parallel existence (but a long-term partnership and symbiosis) of "local sovereignty" and "international community's" protectorate there.
Yet, this unnatural symbiosis only seems to be lucrative to those with a short-term vision and with a superficial understanding of economy and politics. 
An interesting testimony of the development falsehood was, most likely unintentionally, offered by a German KFOR Colonel, Günter Bonn, published by Politika, and reported by an ethnic Slovenian military analyst, Miroslav Lazanski, in a report on his visit to the U.S. (KFOR) base Bondsteel in Kosovo. It says: "There is no industry here, no production. Only gas stations are being opened, shopping centers and night clubs."(78) The Colonel is reported to have openly wondered from where all the wealth in Kosovo was coming, comparing the apparent high-life style of the Kosovo Albanians to his modest life in the highly industrialized (and yet only second tier international community's member) Germany, especially considering his socio-economic status as a high level military officer of the military forces of the only stable and growing E.U. economy. Aware that he drives a small car there (in Germany), and doesn't own a house there, the new, big homes, daily built in Kosovo, and new, expensive cars driven on the same roads he patrols in a military jeep, make him wonder how surreal is his task of making sure that there wouldn't be any more suffering in the U.N. Protectorate of Kosovo.(79)
In addition to that, it is the "international community" that very quickly realized the true pitfalls of such an arrangement, and the long-term dangers to its control and welfare. The U.N. Protectorate of Kosovo, being under the formal legal authority of the U.N. Security Council, could not be controlled, modified, or terminated without Russia and/or China. Both powers were unable to prevent its establishment in 1999, but, since then they have grown and strengthened their international positions, creating a parallel and highly visible alternative "international community", and have created unforeseen problems for the U.S. and its allies in Kosovo (and in other parts of the world), especially regarding the public policy of privatization designed and attempted to be implemented there by the "international community".
The Protectorate of Kosovo was most likely designed as the ultimate triumph of the West, but it quickly turned into its most problematic product. With Russia and China sitting on the U.N. Security Council, with their veto powers, it proved impractical to set Kosovo as a blueprint for future invasions, takeovers and management of lands, peoples and resources, and, thus, all evidence suggests, it was forgone as a model. 
Ever since, we have witnessed the abandonment of the U.N. or truly international models of behavior by the "international community", observing the increased acting either unilaterally (the U.S. in Iraq) or as a group of military allies (NATO in Libya), with very limited and vague authorization by the U.N., or with none at all. 
It is worth remembering that already in 1996, in Buenos Aires, Michel Camdessus, Managing Director of the International Monetary Fund, officially announced that a "silent revolution" was taking place, and that "as regards the role of the state, it is now nearly universally accepted that the most effective economic strategies are private sector-led and outward-oriented"(80), and that "governments must demonstrate that they have no tolerance for corruption". Yet, it seems that the "international community" in the end, after its post-Kosovo experience, decided that it is much easier and more profitable to avoid the (semi-)state and its many layers of corrupt officials all together, and to let the West's private sector(81) (backed up by NATO) deal directly with the warlords(82) in the resources rich territories, whose sovereignty was altered, allowing certain allies in(83), and securely eliminating Russian and Chinese competition(84).
Although the 1989 informal Washington Consensus by the West's economic thinkers has been replaced by the 2010 G20 formally endorsed Seoul Consensus for "shared growth"(85), it seems that the "international community" has decided to undermine the Consensus' main goal of greater state intervention in economy and finances by simply eliminating the state from the equation and continuing with the old mantra of "stabilize, privatize, and liberalize"(86)—having already initiated that policy in Kosovo, and persisted with it in Afghanistan, Iraq, and Libya, attempting to press on with it in Syria today.
For the end, another reminder: The New York Observer warned, in 2007, "The smart money these days is in catastrophe: Hurricanes, tsunamis, political upheavals and wars have become the new profit points in the age of 'disaster capitalism,' which sees cataclysms 'as exciting market opportunities.'”(87)

Višeslav Simić (Вишеслав Симић)
2do Seminario Internacional "Análisis e incidencia de las políticas públicas" - EGAP - Tecnológico de Monterrey - 25 y 26 de Septiembre 2013 - México


Footnotes:


1. Strictly legally speaking, no war was declared by the aggressors (the U.S. called it "hostilities" and "military operations in Kosovo"). The government of the attacked sovereign founding member of the U.N. didn't denounce the aggression as war (only after the November 2012 Strasbourg Court ruling that "war veterans" must be paid for the time served in the "war of 1999" did Serbia implicitly recognize NATO aggression as a war). The U.N. itself kept silent about the grossest violation of its Charter since its founding (the silence forced upon the U.N. by the U.S. blocking any move in the U.N. Security Council to condemn the attacks or to order their cessation).

2. Air War in Kosovo Seen as Precedent in Possible Response to Syria Chemical Attack; Landler, Mark and Gordon, Michael; The New York Times; August 23, 2013- http://www.nytimes.com/2013/08/24/world/air-war-in-kosovo-seen-as-precedent-in-possible-response-to-syria-chemical-attack.html?pagewanted=all&_r=2&

3. If asked what the priority in today's world would be, Confucius would most likely repeat what he said about 2500 years ago: "'What is necessary is to rectify names.' […] 'If names be not correct, language is not in accordance with the truth of things. If language be not in accordance with the truth of things, affairs cannot be carried on to success.' […] 'Therefore a superior man considers it necessary that the names he uses may be spoken appropriately, and also that what he speaks may be carried out appropriately. What the superior man requires is just that in his words there may be nothing incorrect.'"-The Analects of Confucius; The Chinese Classics; Translated by James Legge; Book XIII, Chap. III, 2-7; Kindle location 625-626.

4. "To the extent that there is such a thing as an international community, it owes much to NATO." - Norris, John; Collision Course: NATO, Russia, and Kosovo; Greenwood Publishing Group, Preager, NY; 2005; Forward by Strobe Talbott; page ix.

5. ”The Democrats prefer allied lynch mobs, whereas the Republicans are more willing to intervene without outside help. The difference is basically the same. At the end of the day, both Democrats and Republicans remain committed to the same "values" of forcing political change on foreign regimes.” - Deliso, Christopher; Kosovo, 1999: An Insider’s View; June 17, 2005 - http://antiwar.com/deliso/?articleid=6338

6. "...To put it in a terminology that harkens back to the more brutal age of ancient empires, the three grand imperatives of imperial (American-ed.) geostrategy are to prevent collusion and maintain security dependence among the vassals, to keep tributaries pliant and protected, and to keep the barbarians from coming together." - Brzezinski, Zbigniew; The Grand Chessboard: American Primacy And Its Geostrategic Imperatives; Basic Books; New York; 1997; p. 40.

7. See: The Iraq Liberation Act of 1998 [http://thomas.loc.gov/cgi-bin/query/z?c105:H.R.4655.ENR:], or George, Amir; Liberating Iraq: The Untold Story of the Assyrian Christians; Cardinal Publishing Group; 2013, or Crucified Kosovo [http://crucified-kosovo.webs.com/], or Redmond, Helen; Their empty talk of liberating Afghan women; SocialistWorker.org; March 23, 2011- http://socialistworker.org/2011/03/23/empty-talk-about-liberation

8. Air War in Kosovo Seen as Precedent in Possible Response to Syria Chemical Attack; The New York Times; Aug. 23, 2013 - http://www.nytimes.com/2013/08/24/world/air-war-in-kosovo-seen-as-precedent-in-possible-response-to-syria-chemical-attack.html?pagewanted=all&_r=0

9. Arab nations ready to pay for Syria strike: Kerry - The News; Sept. 6, 2013 - http://www.thenews.com.pk/Todays-News-13-25265-Arab-nations-ready-to-pay-for-Syria-strike-Kerry

10. Just as Standard & Poor's and Moody's maintained the illusion of Lehman Brothers' solidity up to six and one day respectively, before its collapse in 2008, it seems that it is being done for the whole West's financial system these days. See also: US borrowing authority to be exhausted by Oct. 17; AP - http://news.yahoo.com/us-borrowing-authority-exhausted-oct-17-151054701--finance.html

11. Such as the ever-ready Frenchman Bernanrd-Henri Lévy, calling the other international community—the governments who actually respect the international law and the U.N. rules—"gangster states, led by their godfather, Russia". See: ¿Qué quiere Rusia?; El Pais, Sept. 2, 2013 - http://elpais.com/elpais/2013/08/29/opinion/1377787206_916631.html

12. Syria: nearly half rebel fighters are jihadists or hardline Islamists, says IHS Jane's report [by analyst Charles Lister]; by Ben Farmer, defence Correspondent, and Ruth Sherlock, in Beirut; The Telegraph; Sept. 15, 2013 - http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/syria/10311007/Syria-nearly-half-rebel-fighters-are-jihadists-or-hardline-Islamists-says-IHS-Janes-report.html
13. "Whoever, owing allegiance to the United States, levies war against them or adheres to their enemies, giving them aid and comfort within the United States or elsewhere, is guilty of treason and shall suffer death, or shall be imprisoned not less than five years and fined under this title but not less than $10,000; and shall be incapable of holding any office under the United States."-18 USC § 2381 - Treason - http://www.law.cornell.edu/uscode/text/18/2381

14. "We trouble the West and the extremists because we are a socialist country." - Syrian ambassador to Serbia, H.E. Suleiman Abu-Dijab to V. Radojević; in an interview for the Communist Party of Serbia on Sept. 3, 2013, in Belgrade, Serbia - http://www.kps.rs/index.php?option=com_content&view=article&id=1136:intervju-ambasadora-sirije-u-beogradu-gospodin-sulejmana-abu-dijab&catid=65&Itemid=574

15. "[The West calls it] a revolution, but in fact it has nothing to do with revolutions. A revolution needs thinkers. A revolution is built on thought. Where are their thinkers? A revolution needs leaders. Who is its leader? Revolutions are built on science and thought not on ignorance, on pushing the country ahead not taking it centuries back, on spreading light not cutting power lines. A revolution is usually done by the people not by importing foreigners to rebel against the people. A revolution is in the interest of people not against the interests of people. Is this a revolution? Are those revolutionaries? They are a bunch of criminals." - Syria's President Bashar al-Assad; Damascus; June 1, 2013.

16. Although these words were written with a different context in mind, they seem prophetic: “Every friend of freedom must be as revolted as I am by the prospect of turning the United States into an armed camp, by the vision of jails filled […] and of an army […] empowered to invade the liberty of citizens on slight evidence.” - Milton Friedman; An Open Letter to Bill Bennett; The Wall Street Journal; September 7, 1989 - http://fff.org/explore-freedom/article/open-letter-bill-bennett/

17. "Today we see how utterly mistaken was the Milton Friedman notion that a market system can regulate itself. We see how silly the Ronald Reagan slogan was that government is the problem, not the solution. This prevailing ideology of the last few decades has now been reversed." - Samuelson, Paul (Nobel Prize in Economics, 1970); Don't Expect Recovery Before 2012 - With 8% Inflation; Global Economic Viewpoint; January 16, 2009 - http://www.digitalnpq.org/articles/economic/331/01-16-2009/paul_samuelson

18. ”Milton Friedman is the Establishment’s Court Libertarian.” - Rothbard, Murray N.; Milton Friedman Unraveled; Journal of Libertarian Studies; Vol. 16, no. 4 (Fall 2002); pp. 37-54 - http://mises.org/journals/jls/16_4/16_4_3.pdf

19. "It turns out that the rule of law is probably more basic than privatization. Privatization is meaningless if you don’t have the rule of law. What does it mean to privatize if you do not have security of property, if you can’t use your property as you want to?" - Milton Friedman. See: Gwarney, James and Lawson, Robert; Economic Freedom of the World: 2002 Annual Report; Preface: Economic Freedom behind the Scenes, by Milton Friedman; The Fraser Institute; Vancouver, B.C.; 2002; page xviii.

20. Boas, Taylor C & Gans-Morse Jordan; Neoliberalism: From New Liberal Philosophy to Anti-Liberal Slogan [http://people.bu.edu/tboas/neoliberalism.pdf]; Harvey, David; Neoliberalism as Creative Destruction; The Annals of the American Academy of Political and Social Science [http://ann.sagepub.com/content/610/1/21.abstract]; Weyland, Kurt Gerhard; Assessing Latin American Neoliberalism: Introduction to a Debate; Latin American Research Review; Vol. 39, Number 3, 2004; pp. 143-149.

21. See: The Neoliberal Deluge-Hurricane Katrina, Late Capitalism, and the Remaking of New Orleans; Cedric Johnson, editor; 2011; University of Minnesota Press; Minneapolis; or, Klein, Naomi; The Shock Doctrine-The Rise of Disaster Capitalism; Henry Holt & Co.; New York; 2008; or, Saltman, Kenneth J.; Schooling in Disaster Capitalism; Teacher Educational Quarterly; Spring 2007; pp. 131-156.

22. Watts, Carl P; Is globalization another name for US imperialism?; Politics Review Online; Vol. 20, No. 3 (Feb. 2011).

23. Outrage at 'old Europe' remarks; BBC News; January 23, 2003- http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/2687403.stm

24. Pritchard, Claire; Who Cares if We Violate the Geneva Convention?; Chicago Policy Review; May 31, 2013- http://chicagopolicyreview.org/2013/05/31/who-cares-if-we-violate-the-geneva-convention/

25. Golub, Philip S; Conflict in the Balkans: An International Community?; Le Monde Diplomatique; June 1999- http://mondediplo.com/1999/06/06golub

26. "The international community does exist. It has an address. It has achievements to its credit. And it is the only way forward."-U.N. Secretary-General Kofi Annan; The Address to the 52nd DPI/NGO Conference in New York City; September 15, 1999- http://www.un.org/News/Press/docs/1999/19990915.sgsm7133.doc.html

27. Ralph, Jason; Tony Blair's 'new doctrine of international community' and the UK decision to invade Iraq; POLIS Working Paper No. 20; School of Politics & International Studies; August 2005- http://www.polis.leeds.ac.uk/assets/files/research/working-papers/wp20ralph.pdf

28. Created ad hoc after the declarations of independence by Abkhazia and South Ossetia and their subsequent international recognition by Russia, Nicaragua, Venezuela, Nauru, Vanuatu, Tuvalu (although Vanuatu, in a horribly embarrassing manner, later withdrew it).

29. As in the case of Russia and the other states recognizing Abkhazia and South Ossetia, and in the case of the NATO states' attack on and destruction of Libya, which went far beyond the U.N. mandate of ensuring a no-fly zone over the territory of that member of the U.N.

30. "Since the Industrial Revolution in Britain, the self-centered way of thinking that long formed in Western powers has been swelling with the constantly consolidated powers. One of the performances is that some Western politicians often make improper comments in the name of 'international community' when they talk about the international affairs or in the Western media reports. In their eyes, they are the 'international community'" - How the world opinion is kidnapped by West's "international community" rhetoric; People's Daily Online; September 1, 2013- http://english.peopledaily.com.cn/90777/7932499.html

31. See: Letter by Adolfo Pérez Esquivel to Barack Obama (accessed on Sept. 8, 2013)- http://www.democraticunderground.com/10023621013

32. "When you next hear the term, what is being referred to is not the international community at all - understood as all the nation-states that make up the world - but just a small sliver of it, our bit. The great majority of the world, indeed - the west constitutes less than one-fifth of the world's population - is, in fact, being tacitly ignored: unless, of course, it happens to agree with the west, in which case it is implicitly tagged on the end as a good old western fellow-traveler."-Jacques, Martin; What the hell is the international community?; The Guardian; Aug. 24, 2006 -http://www.theguardian.com/commentisfree/2006/aug/24/whatthehellistheinternati

33. Modelski, George (Jerzy), Long Cycles in World Politics, University of Washington Press, 1987; Bull, Hedley, The Anarchical Society: A Study of Order in World Politics, Columbia University Press, 2002; Georg Schwarzenberger, International Law, Stevens, 1949; Juraj Andrassy, International Law, Školska knjiga, Zagreb, 2010.

34. Documented widely, from The Contras, Cocaine, and Covert Operations [http://www2.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB2/nsaebb2.htm], through Albanian Mobsters: Albanian Mafia, Rudaj Organization, Princ Dobroshi, Ismail Lika [http://www.barnesandnoble.com/w/albanian-mobsters-books-llc/1103425185?ean=9781158328673], to Syrian Rebels Funded by Afghan Drug Sales [http://en.rian.ru/russia/20130411/180581557.html]

35. "It was Yugoslavia's resistance of the broader trends of political and economic reform--not the plight of the Kosovar Albanians--that best explains NATO's war." - Norris, John; Collision Course: NATO, Russia, and Kosovo; Greenwood Publishing Group, Preager, NY; 2005; p. xxiii.

36. Smaller than the Sea of Marmara (11,350 sq. km.), between the Bosphorus and the Dardanelles straights in Turkey, the U.S. state of Connecticut (14,357 sq. km.), or the U.K. county of Yorkshire (11,903 sq. km.), about half the size of the State of Mexico and a bit smaller than the State of Queretaro.

37. Reliable and complete census data haven't been available for Kosovo and Metohija for at least three decades.

38. See: Külzer, Andreas; The Byzantine road system in Eastern Thrace; 4th International Symposium on Thracian Studies, April 2007; Verlag Adolf M. Hakkert; Amsterdam; 2011., or: Tafel, Gottlieb L. F.; Via Militaris & Egnatia; 1841; Columbia University Libraries, Preservation Department; Master negative #: 91-80058-10; - http:// ia600804.us.archive.org/6/items/viamilitarisroma00tafe/viamilitarisroma00tafe.pdf

39. The "Nabucco" pipeline project was aborted in the summer of 2013. - https://www.wsws.org/en/articles/2013/07/13/nabu-j13.html

40. http://www.south-stream.info/en/pipeline/route/

41. Untrue, as the still non-existent economy shows, just as in Libya today, in spite of the positive propaganda about its "anticipated boom in natural resources". - See: Cockburn, Patrick; Special report: We all thought Libya had moved on - it has, but into lawlessness and ruin; The Independent; September 3, 2013 - (accessed on Sept. 8, 2013) http://www.independent.co.uk/news/world/africa/special-report-we-all-thought-libya-had-moved-on--it-has-but-into-lawlessness-and-ruin-8797041.html

42. "Invest in Kosovo. Ignite your success!" - Publication by the Investment Promotion Agency of Kosovo; Ministry of Trade and Industry; March 22, 2013 - http://www.bitkom.org/files/documents/IPAK__PPT_General_22_03_13.pdf

43. http://www.indexmundi.com/kosovo/unemployment_rate.html

44. And the U.N.'s Mission in Kosovo Privatization Policy made it easier than anywhere else in the world–means of production and real estate may be bought disregarding their deeds.

45. “Kosova [Kosovo] mine [mineral] resources are worthy of 13.5 billion Euros, according to a joint survey conducted by the Directorate for Mines and Minerals and the World Bank.” - http://kosovareport.blogspot.com/2005/01/world-bank-survey-puts-kosovos-mineral.html

46. Vickers, Miranda; Between Serb and Albanian-A History of Kosovo; Columbia University Press; 1988; page XV.

47. George Soros, a billionaire financier/amateur politician, eager to acquire the Trepča mines [http://emperors-clothes.com/articles/Johnstone/howitis.htm], vying for it with H.R.H. Prince Michael of Kent, according to the Kosovo Privatization Agency Director Shkelzen Luka [as reported by www.economy.rs/vesti/18697/Kosovo--Vojvodina-izgradila--Princ-od-Kenta-dobija-na-poklon.html]. Madeleine Albright, U.S. Secretary of State at the time of NATO war on Yugoslavia, is contending for mobile phones and internet opportunities in Kosovo [http://www.nytimes.com/2013/01/11/world/europe/ex-us-official-pulls-bid-for-kosovo-telecom-stake.html?_r=0], while Wesley Clark, the Supreme Commander of NATO during the "Madeleine's War" in 1999, is "seeking a license to explore Kosovo's underground coal deposits to use to make synthetic fuel for cars and planes." [Marketplace; Oct. 26, 2012- http://www.marketplace.org/topics/world/wesley-clark-puts-name-behind-kosovo-coal-project]

48. "[It] also included the Serbian province of Sandzak and the northwestern part of today's Macedonia." - See: Joksimovich, Vojin Ph.D.; Kosovo is Serbia; gmbooks.com - http://www.gmbooks.com/product/Kosovo-GM.html

49. "Proof of the Serbian origin of the name and the loanword status of the immigrant Albanian term is that the word "kosovo" has a clear etymology to anyone who knows a Slavic language, while Albanian "Kosova" is an opaque, meaningless place name in the Albanian language." - Maher, J. P.; Professor of Linguistics, Emeritus; Northeastern Illinois University; "Kosova" or "Kosovo"? - What's in a Name?; http://emperor.vwh.net/articles/JP%20maher/InAname.html

50. Although many scholars in the West publish linguistically baseless claims that the word is of "Turkish-Albanian origin", in spite of the fact that it doesn't have any meaning at all in either of them. See: Vickers, Miranda; Between Serb and Albanian-A History of Kosovo; Columbia University Press; 1988; page XIV.

51. “Spectral evidence refers to a witness testimony that the accused person’s spirit or spectral shape appeared to [the] witness in a dream at the time the accused person’s physical body was at another location. It was accepted in the courts during the Salem Witch Trials.” [June-September 1692] - http://definitions.uslegal.com/s/spectral-evidence/ - It reappeared in the U.S. in 2013: “Jurors at the Jacko trial heard testimony from a surprise witness yesterday — the ghost of Michael Jackson! [...] In the supernatural tête-á-tête, Jacko’s ghost allegedly absolved Dr. Conrad Murray of any guilt in his death and admitted he “accidentally killed himself.” - “Ghost” of Jacko stars at LA trial; New York Post; June 12, 2013. - http://www.nypost.com/p/news/national/ghost_of_jacko_stars_at_la_trial_Flr5EJeWiSLJQsCT9djE9L

52. Sakran, Frank C.; Palestine Dilemma: Arab Rights versus Zionist Aspirations; Public Affairs Press; Washington; 1948; p. 204.

53. See at least the1932 U.S. Stimson Doctrine (on non-recognition of international territorial changes executed by force), and Articles 3 and 11 of the 1933 Montevideo Convention, on the rights and duties of states (prohibition of creation and recognition of puppet states) and the prohibition of the use of force in order to obtain sovereignty. The "international community" claimed they were obsolete until the cases of Abkhazia and South Ossetia.

54. As late as July 28, 2013, the KFOR Commander, German General Walker Halbauer, stated that "As far as military matters are concerned, [I] decide who may enter Kosovo. […] I want to emphasize that in Kosovo, both the U.N. Resolution 1244 and the Kumanovo Agreement, are in force." ("Када је војска у питању ја одлучујем ко може да уђе на Косово. […] Хоћу да нагласим да је на Косову и даље на снази и Резолуција УН 1244 и Кумановски споразум.") - See: Lazanski, Miroslav; I understand the Serbs from the Ibar River area; Politika; July 28, 2013. -


(english / italiano)

La Serbia che piace ai poteri italiani

1) Frattini sarà consigliere del governo serbo / Dassù (Esteri), forte appoggio per ingresso Belgrado in UE (ANSA)
2) Serbian Government reveals "measures for reform of economy" [il governo in Serbia annuncia tagli salariali generalizzati]


=== 1 ===

Frattini sarà consigliere del governo serbo

www.ansa.it - 7 ottobre 2013 - L’ex ministro degli esteri Franco Frattini sarà uno dei consiglieri stranieri del governo serbo. Lo ha detto il vicepremier Aleksandar Vucic. Nei giorni scorsi Belgrado aveva annunciato l’assunzione, in qualità di consiglieri, dell’ex direttore generale dell’Fmi Dominique Strauss-Kahn e dell’ex cancelliere austriaco Alfred Gusenbauer. “Sono pronto a far tesoro dell’esperienza di Franco Frattini, Alfred Gusenbauer e Dominique Strauss-Kahn”, ha detto Vucic al canale televisivo privato Prva.
Frattini, che è presidente della Società italiana per l’organizzazione internazionale (SIOI), è il candidato del governo italiano alla carica di segretario generale della Nato.
Vucic ha detto che lui personalmente condurrà la consulenza con Frattini, che non percepirà alcun compenso. “Frattini aiuterà il governo serbo nel processo di integrazione europea, in modo particolare per quanto riguarda i capitoli 23 e 24 dei negoziati di adesione - ha precisato Vucic - Il governo serbo è convinto che Frattini, con le sue proposte e le sue attività, offrirà al meglio assistenza e appoggio alla Serbia nel processo di adesione all’Unione europea. Frattini - conclude la dichiarazione - ha accettato l’invito del governo, e presterà la sua consulenza senza alcun compenso e attraverso contatti personali con il primo vicepremier Aleksandar Vucic”.

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Dassù (Esteri), forte appoggio per ingresso Belgrado in UE 

www.ansa.it - 9 ottobre 2013 - L’Italia appoggia con forza l’ingresso della Serbia nell’Unione europea, e al vertice bilaterale in programma il 15 ottobre ad Ancona offrirà a Belgrado anche un supporto tecnico per affrontare alcuni dei capitoli negoziali. Lo ha detto il viceministro degli esteri, Marta Dassù, in visita oggi nella capitale serba.
Parlando con i giornalisti in una pausa dei colloqui, Dassù ha fatto riferimento alla consulenza che l’ex ministro degli esteri Franco Frattini ha accettato di offrire al vicepremier serbo Aleksandar Vucic sulla tematica europea, in modo particolare sui capitoli negoziali 23 e 24. Una consulenza, ha osservato, “gratuita e basata sulla stima personale di Vucic per l’ex commissario europeo. Naturalmente in questo Franco Frattini ha l’appoggio del governo italiano”, ha detto Dassù, che ha incontrato il premier serbo Ivica Dacic, il vicepremier Aleksandar Vucic e il ministro degli esteri Ivan Mrkic.
Uno dei temi in agenda al vertice intergovernativo di Ancona, ha precisato Dassù, è quello della Macroregione Adriatico-Ionica. Per questo alla vigilia del summit, il 14 ottobre, si riunirà ad Ancona il tavolo tecnico che l’Italia presiede con la Serbia su infrastrutture e trasporti, uno dei grandi capitoli di questa cooperazione regionale. Dei risultati di tale riunione tecnica verrà riferito al vertice.
“Stiamo mettendo a punto il piano d’azione che dovrà essere approvato dal Consiglio europeo nel dicembre 2014, a conclusione del semestre di presidenza italiana”. È importante, ha rilevato Dassù, che della Macroregione Adriatico-Ionica facciano parte Paesi che appartengono alla Ue e altri che sono invece fuori: “Ciò facilita una armonizzazione degli standard”.
Il viceministro degli Esteri ha indicato due ragioni che hanno reso di particolare interesse la sua visita odierna a Belgrado: l’accordo raggiunto a Bruxelles fra i premier Ivica Dacic e Hashim Thaci, che “ha consentito di risolvere alcuni problemi aperti prima delle elezioni locali del 3 novembre in Kosovo” (“progressi sono ancora necessari per completare l’attuazione dell’accordo di aprile, ma l’Italia è fiduciosa”), e l’approvazione da parte del governo serbo di un pacchetto di misure economiche, importanti anche per migliorare in prospettiva il clima economico generale.
Cosa questa che interessa all’Italia che ha 500 imprese italiane che operano in Serbia. Marta Dassù ha detto al tempo stesso di aver spiegato ai suoi interlocutori serbi “che l’Italia ha rafforzato la sua solidità politica interna, fattore importante in vista della presidenza di turno della Ue che il nostro Paese avrà nella seconda metà del 2014!”.


=== 2 ===


POLITICS | OCTOBER 8, 2013 | 13:17

Govt. reveals "measures for reform of economy"


SOURCE: B92, TANJUG

BELGRADE -- The government has announced it will reduce the salary mass, raise the lower VAT rate to 10%, cut subsidies, make savings on goods, and use "cheaper loans."


In addition, the government measures presented on Tuesday by Finance Minister Lazar Krstić envisage "changing the business environment."

Krstić unveiled the measures during an open session of the government, held in Belgrade. 

Starting in 2014, public sector salaries now over RSD 60,000 (EUR 525) will be reduced by cutting 20 percent of the amount over 60,000, and those exceeding RSD 100,000 (EUR 870) by 25 percent, according to the same calculation. 

Krstić explained that this means that a person now earning 70,000 net - will be receiving 68,000 net after the measures have been introduced. 

Referring to the latest data from the register of public sector employees, the minister said that there was "still no accurate and definitive data" on the number of employees in the sector, and that it was "between 660,000 and 700,000 people." 

He announced a significant reduction of state subsidies, which will bring the biggest savings in the budget and the completion of privatization of 179 enterprises and restructuring of large public systems. He said that subsidies provided by the state were twice as high as "in other countries." 

Krstić then noted that Serbia was "going to the EU" and that it cannot provide state assistance to any other sector except agriculture and railways. 

Krstić said that the proposed measures were primarily related to the economy, however, the open government session was not attended by Minister of Economy Saša Radulović. 

Radulović was instead attending a meeting in the Serbian Chamber of Commerce on ways to "professionalize" the work of public enterprises. 

Krstić announced that the lowest VAT rate would be raised from eight to ten percent for "non-existential products." 

The increase will hike the consumer basket to RSD 65,450 from the current 65,000. 

"It should provide around EUR 200 million annually, while another EUR 150 million would go into the budget by reducing the gray economy, smuggling and illegal tobacco trafficking," he noted. 

Besides the activities against the gray economy, Krstić also announced the introduction of standardized electronic forms, online control of fiscal receipts, more control on the ground and a thorough reorganization of the Tax Administration. 

Another of the announced measures mentioned is the use of cheaper foreign loans, which the minister said would be obtained "primarily via bilateral contacts and diplomatic relations." 

"In this way, we admit that we are sick and start the recovery using the measures and political unity behind the proposed moves," said Krstić. 

He also told the government session that Serbia's economic and fiscal policies over the past ten years "had been irresponsible and lacked transparency," and added: 

"The problem was not that Serbia's debt was growing, as all countries increase their debt in times of crisis, but the fact that the funds were used to cover current expenses, while there were not enough brave moves necessary for economic recovery." 

Krstić announced structural reforms to would be further discussed in 2014, while the effects of the measures are expected in 2015. The Serbian government will invest efforts to improve the business environment considerably, which is why amendments to legal regulations, primarily the Labor Law, will have to be adopted, Krstić stated on Tuesday. 

He said that changes in certain laws, especially the Labor Law, were necessary so as to ensure "more flexible" hiring and sacking of workers. 

He noted that Serbia will have to change the model of infrastructural investments, which means that the government will not longer be able to act as the financier. 

“One of the models will cover partnerships between the public and private sectors, and we will try to make sure that local companies do the biggest share of the work,” Krstić said. 

He noted that the procedures for issuing construction permits would be simplified and that the Finance Ministry will have to significantly change the regulations concerning fees and make the entire process more transparent. He said that this will help Serbia improve its business environment, which is very important for attracting foreign investments. 

Announcing the necessary increase in the social protection spending when it comes to the most vulnerable population, the minister said it would be by 50 percent and amount to EUR 60 million, and that "the reform of the public administration would follow." 

The pension system reform would also continue, "along with a further indexing of pensions in 2015 and 2016 of 0.5 percent, twice a year." 

Krstić said the government planned to, by 2020, move the retirement age for men and women closer, so that women would retire at 63, and men when they are 65 years old. 

The budget deficit is now 4.7 percent, while IMF estimates range up to eight percent, he revealed. At the same time the public debt ranges from 58 to 60 percent, Krstić warned. 

"Without these measures, we would go bankrupt in the next two years," said Krstić. 

The minister also announced another revision of the state budget for 2013, "because revenues will be reduced by 20 billion" compared to the planned figure.