Alors que les néo-conservateurs évoquaient la « révolution mondiale » et la « démocratie » pour justifier l’impérialisme états-unien, les faucons libéraux préfèrent dénoncer le « risque de génocide » et promouvoir la « responsabilité de protéger ». Au demeurant ces nouveaux concepts ne sont jamais que la réactualisation du vieux discours colonial en faveur de la « civilisation ». En définitive, ces belles paroles servent exclusivement à masquer la loi du plus fort.
Informazione
Per intervenire è necessario iscriversi inviando la propria richiesta a: jugocoord @ tiscali.it
Evento Facebook: https://www.facebook.com/events/691760534181752/
Scarica la locandina: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/LOCANDINA_FALSIAMICI.jpg
Per ogni ulteriore informazione o aggiornamento fare riferimento alla pagina: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/falsiamici.htm
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CONVEGNO
I FALSI AMICI
Il fenomeno "rossobruni" / I fascisti del terzo millennio / Nazifascismo e Balcani / Nazifascismo e Medioriente / La Fondazione RSI / Infiltrazione nera nell'estrema sinistra / Nazifascismo e nazionalismi
A 70 ANNI DALLA RESISTENZA
CONTRO LE INFILTRAZIONI NEOFASCISTE
NELLE INIZIATIVE DI SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE
E NELLE LOTTE SOCIALI
AREZZO, SABATO 7 DICEMBRE 2013, ORE 11-18
presso la Camera del Lavoro, via Monte Cervino 24
# organizzano:
ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, sezione di Arezzo
CAAT - Coordinamento Antifascista Antirazzista Aretino
# promuovono:
Un Ponte per... ONG
Coordinamento nazionale per la Jugoslavia ONLUS
Contropiano rivista
# il programma del convegno in dettaglio:
ORE 11:00 Interventi degli organizzatori e dei promotori
coordina Susanna Angeleri
Guido Occhini (ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, sezione di Arezzo)
saluto
Laura Vichi (CAAT - Coordinamento Antifascista Antirazzista Aretino)
presentazione del Dossier Fondazione RSI
Alessandro Di Meo (Un Ponte per... ONG)
presentazione del Dossier I FALSI AMICI
Andrea Martocchia (Coordinamento nazionale per la Jugoslavia ONLUS)
nazifascismo e Balcani
Sergio Cararo (Contropiano Rivista)
i fascisti del Terzo Millennio
ORE 13:30 Pausa
pranzo in loco, a sottoscrizione
ORE 14:30 Relazioni ad invito
Claudia Cernigoi (La Nuova Alabarda / Diecifebbraio.info - Trieste)
"rossobruni" e nuova destra "internazionalista"
Fabio De Leonardis (storico - Bari)
le "relazioni pericolose" del sionismo
Davide Conti (storico - Roma)
per una storia dell'infiltrazione "nera" nell'estrema sinistra
Marco Santopadre (Rete dei Comunisti - Roma)
la strumentalizzazione della causa irlandese e basca
Vincenzo Brandi (Rete No War - Roma)
la strumentalizzazione della questione medio-orientale
A SEGUIRE Interventi programmati di gruppi e associazioni
Per intervenire è necessario iscriversi inviando anticipatamente la propria richiesta a: jugocoord @ tiscali.it
A.N.V.R.G. ASSOCIAZIONE NAZIONALE VETERANI E REDUCI GARIBALDINI
GIUSEPPE GARIBALDI
(Ente Morale – D.P.R. 29-3-1952 N.1060) Largo Porta S.Pancrazio, 9 -00153 ROMA
Presidente
Annita Garibaldi Jallet
Cari amici,
Il 24 ottobre scorso, l'Associazione Nazionale Combattenti della guerra di Liberazione, presieduta dall'Ambasciatore Alessandro Cortese de Bosis, ha organizzato a Roma, presso il Comando della Guardia di Finanza, un convegno dedicato alle Forze Armate italiane presenti all'estero nel settembre 1943.
Chiamata a trattare, in nome dell'ANVRG, della Divisione Garibaldi in Jugoslavia, ho svolto la relazione che accludo, come contributo per la celebrazione del prossimo 2 dicembre, 70° anniversario dei fatti dolorosi e gloriosi.
Tra gli altri nostri contributi, il nostro Ufficio Storico, il cui direttore è il dott. Matteo Stefanori, ha prodotto, in collaborazione con l'Istituto per la storia della Resistenza di Torino, un documentario che in questi giorni possiamo vedere su Rai Storia. Ricordiamo che a Porta San Pancrazio disponiamo di una ricca biblioteca sull'argomento, di un archivio fotografico unico e di grande bellezza, consultabile sul monitor della Sala del Museo dedicata alla Divisione Garibaldi dove sono tutt’ora conservati i cimeli.
Buon 2 dicembre a tutti, nel dovere della memoria e nella speranza della pace. Annita Garibaldi
La Divisione Italiana Partigiana Garibaldi
La vicende di questa Divisione italiana che ha combattuto il nemico nazista in Jugoslavia dal 1943 al 1945 a fianco dell’esercito di liberazione di Tito sono ben conosciute, sia grazie all’opera dell’Ufficio storico del Ministero della Difesa e della speciale Commissione per lo studio della resistenza dei militari italiani all’estero, sia grazie all’imponente memorialistica dei suoi reduci, la quale continua ancora ad alimentare la nostra rivista “Camicia Rossa”.
Nel contesto politico internazionale degli anni 1945-46, la posizione dei reduci fu guardata con sospetto. Si erano spenti i governi di liberazione nazionale, non soffiava più il vento del nord. Iniziò una nuova guerra, la guerra fredda. I reduci, restituiti per la maggior parte alla vita civile, vollero allora rimanere uniti per ricordare e decisero di formare una associazione.
L’Associazione Nazionale Veterani Garibaldini era rinata nel 1944 nella Roma liberata dalle ceneri delle associazioni disciolte nel 1926. Di queste ormai vi erano in vita solo alcuni veterani, per ultimi quelli della campagna delle Argonne del 1914. Aderirono ovviamente coloro che si erano rifiutati di riconoscersi nella Federazione delle Associazioni garibaldine nata nel novero del Regime. Ma a Roma non si sciolsero, sotto varie spoglie, alcune associazioni che avevano fatto parte della Federazione e le amnistie avrebbero rapidamente contribuito a confondere gli ideali della nuova associazione con un generico garibaldinismo. Si sarebbe arrivati, probabilmente, a breve termine ad una fusione tra tutte le associazioni.
Roma, 12 novembre 2013
Tra la fine del 1945 e i primi mesi del 1946, alcuni reduci della Divisione Garibaldi si erano riuniti a Firenze con il proposito di costituire una loro associazione. Ma poi si convinsero, sotto la pressione di alcuni veterani, che era meglio confluire in massa nella vecchia associazione, le cui tradizioni patriottiche e gli scopi morali, fissati dallo statuto sociale, avevano bisogno dell’apporto di chi vedeva nel nome di Garibaldi il legame tra Risorgimento e Resistenza . L’Associazione, spostando il suo baricentro a Firenze, si allontanò dai compromessi di Roma. L’Associazione diventò “Veterani e Reduci “, e fu riconosciuta come ente morale dal Ministero della Difesa nel 1952. Presieduta fino a due anni or sono da esponenti della Divisione Garibaldi, ha conservato gelosamente la sua identità, e la conserverà curandone musei e biblioteche che illustrano tutte le campagne del Risorgimento, dalla Repubblica Romana a Mentana, dall’Armata dei Vosgi alle Argonne, alla Resistenza garibaldina militare e civile.
Perché la Divisione Venezia, la Divisione Taurinense ed altri piccoli corpi dispersi nel marasma della Jugoslavia dell’8 settembre 1943 scelsero il nome di Divisione Garibaldi ? La primogenitura della scelta è controversa, ma sembra tuttavia che debba essere fatta risalire allo stesso Tito che , credendo di dovere ricomporre all’interno dell’esercito partigiano jugoslavo i pezzi sparsi dell’Esercito italiano e di eserciti di altre nazionalità, doveva dare loro un nome che fosse, da una parte, considerato al disopra delle parti ma d’altra parte si riallacciasse al volontariato militare internazionale della guerra di Spagna, al quale Tito stesso si ispirava. D’altra parte, sostiene Stefano Gestro, uno degli storici della Divisione Italiana più serio e documentato, “ il nome di Garibaldi era conosciuto e venerato tra i jugoslavi e specialmente tra i montenegrini fin dal 1862 perché reparti di Garibaldini avevano combattuto in Jugoslavia durante le guerre di insurrezione contro i turchi e gli austriaci”. E in ben altre circostanze ancora, fino ai tempi moderni. 1 Ma non vi era d’altra parte nome che più chiaramente potesse significare il mantenimento della identità italiana da parte di quei due corpi che avrebbero costituto l’unica Divisione, la “Garibaldi”. Il fatto che ambedue, seppur distanti sul territorio, abbiano optato per questo nome, lascia intendere che la scelta sia stata suggerita dall’alto. Una scelta giusta che voleva affermare non la fusione in una grande formazione internazionale, ma la caratteristica di corpo italiano dei nuovi “partigiani” della Divisione “ Venezia “ di Oxilia e della Divisione “Taurinense” di Vivalda.
La Divisione Garibaldi si costituisce il 2 dicembre 1943, ben 5 mesi, si noti, dopo il 25 luglio, data della caduta del regime mussoliniano. Al momento l’Italia sembra volere assicurare la continuità dello Stato, con la presenza di un Re e di un governo, il Governo Badoglio, che ha i crismi della legittimità. Questa legittimità è assicurata , per gli Alleati, dal Governo del Re, che oltretutto essendo rifugiato a sud, è sotto loro controllo. Ma in Italia e tra i nostri reparti all’estero sono diverse settimane, se non alcuni mesi, che si fanno tutte le ipotesi sul futuro dell’alleanza germano- italiana, sapendo che questa, più di ogni altra ragione, è la posta in gioco nel rovesciamento del regime di Mussolini. Si parla di resa italiana, di sbarco anglo-americano. I cetnici tentano di ricreare una struttura politico-militare con l’aiuto degli occupanti tedeschi, i quali cercano di infiltrarsi nei territori occupati dagli italiani prevedendo che presto gli italiani potrebbero non essere più alleati.
Lo storico Eric Gobetti ha coniato una formula efficace: gli italiani ormai sono “alleati del nemico”, dice.2 La zona d’occupazione italiana è come congelata, non vi si svolgono più rappresaglie. Ci sono azioni sporadiche ma Gobetti parla di “ senso di abbandono e di inutilità”. L’incertezza, la mancanza di disposizioni precise, fa circolare un’aria di sconfitta che mina il morale degli uomini. Mantenere la disciplina in queste condizioni è molto difficile, benché arrivino messaggi che si vogliono stimolanti o minacciosi dall’Italia. Il generale Roatta è capo di Stato maggiore dell’Esercito. Non esita a fare fucilare 28 alpini che si sono arresi senza eccessiva resistenza ai partigiani. I militari italiani hanno perso le loro motivazione. E ben prima dell’8 settembre si ritrovano privi di istruzioni. Questo spiega che il comportamento sia diverso, secondo la posizione geografica dei corpi, e persino dei singoli ufficiali. Per esempio, una Compagnia del Battaglione “Intra”, capitano Piero Zavattaro Ardizzi , aggredito dai partigiani, ne uccide uno e si prepara ad una azione a vasto raggio in collaborazione con i tedeschi. L’azione è prevista, fortunatamente, solo per il 9 settembre. Altri come Pirzio Biroli, conosciuto per i massacri compiuti sui partigiani, ma genero del Generale Von Hassel, fucilato dopo l’attentato a Hitler guidato da Stauffenberg , riesce ad arrivare in Italia e a Sud e si vede affidare dagli americani compiti nell’Esercito alleato. Le poche notizie che arrivano della situazione della patria contribuiscono alla confusione generale.
All’annuncio dell’Armistizio i nostri corpi rimangono isolati. Quali sono le soluzioni? Qualcuno fugge verso l’Italia, la famosa fuga verso il mare; qualcuno, pochi elementi, si unisce ai nazisti, nei campi tedeschi finiscono i prigionieri italiani fatti dagli stessi tedeschi. Alcuni tentano di resistere ai tedeschi, rimanendo uniti, altri sono persino abbandonati dai loro ufficiali, altri raggiungono i partigiani dai primi di settembre. Lo sbandamento è prima di tutto morale, e colpisce soprattutto ovviamente chi si ritrova in piccoli gruppi o isolato.
Emblematico il caso della Divisione “Venezia” che confluisce tutta intera nell’Esercito partigiano, evitando perdite e sbandamenti. I resti del Divisione “Taurinense” seguono poco dopo, ed altri piccoli distaccamenti come la Divisione “Italia”. Gli ufficiali stessi agiscono secondo coscienza, chi tentando di mantenere unita la sua formazione, chi aderendo alla Repubblica di Salò.
Ma quale era la situazione alla data dell’Armistizio? L’8 settembre, il territorio della Slavia del Sud, comprendente il Montenegro, il Sangiaccato e le Bocche di Cattaro, era presidiato dal XIV ( 14 ) Corpo d’Armata. Vi erano dislocati:
La Divisione Alpina Taurinense ( generale Lorenzo Vivalda, poi vicecomandante),
La Divisione di montagna Venezia ( generale G.B.Oxilia, poi comandante )
La Divisione di fanteria Ferrara ( generale Antonio Franceschini ), che si proclamò subito fascista e filo tedesca. La Divisione di fanteria Emilia ( generale Ugo Buttà ).
Gli effettivi erano di 16.986 uomini, di cui 803 ufficiali e 1589 sott’ufficiali.
Il comandante generale di Corpo d’Armata Carlo Ravnich, ultimo comandante della Garibaldi, così commenta:
“Tutti gli altri (meno la Divisione Ferrara ) iniziarono la lotta con grande entusiasmo e spirito di abnegazione, animati dalla ferma volontà di resistere ad ogni costo ai nemici storici della Patria, spregiando gli umilianti ordini che questa o quella fazione armata intendeva imporre. ...Essi sentivano di dovere seguire solo la via stabilita dal legittimo Governo d’Italia, anche se questo non era in grado di scendere nei particolari... ( splendido eufemismo ). Tutti coloro che intrapresero volontariamente l’eroica determinazione ebbero ben chiara la visione delle avversità eccezionali che avrebbero incontrato in terra straniera. “
Ravnich definisce la zona “ povera di tutto fuorché di sassi”, gli abitanti nemici tra di loro ma comunque nemici dello straniero, ed il nemico spietato.
La Divisione “Emilia” riesce ad accorparsi, altri gruppi sono decimati. Il battaglione “Intra” segue una formazione nazionalista jugoslava, accorgendosi troppo tardi che collabora con i tedeschi, ai quali il battaglione “Aosta” si arrende l’8 ottobre.
Tra l’ultima decade di settembre e la prima di ottobre del 1943, quando nasce l’idea di collegarsi con i partigiani e di ripiegare verso l’interno del territorio, in Bosnia, la “Taurinense” ha più di 400 morti, così come quasi 400 sono i morti della “Venezia” e del battaglione di lavoratori. A questo si aggiunge una micidiale epidemia di tifo petecchiale.
Questo disastro dura per tutto ottobre 1943, alcuni aiuti cominciano a pervenire nel mese di novembre, ma insufficienti. Ci si deve spostare di continuo, nel freddo e nella fame, e combattendo. Dall’8 settembre al 2 dicembre 1943 si compie il passaggio delle Divisioni suddette nell’Esercito di Liberazione Jugoslavo. Il 2 dicembre, a Pljevlja ( Plevia) le due brigate della Divisione “Taurinense” e le sei brigate della Divisione “Venezia”, per rafforzarsi e razionalizzare l’uso del materiale, si uniscono nella Divisione Italiana partigiana Garibaldi. Si costituiscono tre brigate, e 10 battaglioni di lavoratori. La Brigata “Aosta “ed altri gruppi rimangono con la loro identità affiancati alla Divisione Garibaldi.
Il battesimo del fuoco è del 5 dicembre, a Pljevlja ( Plevia). Le perdite sono di 560 uomini, molti sono i prigionieri, soprattutto tra i lavoratori che non sono armati. Altri morti e feriti in quei giorni nella cosiddetta “ Tomba degli italiani “. Molti dubbi rimangono sul comportamento dei partigiani: furono avvertiti dell’avanzata tedesca, e si ritirarono in tempo, lasciando gli italiani senza le informazioni utili. Difficile non pensare ad un terribile strascico del periodo precedente, alle sofferenze subite dai partigiani per mano italiana.
Se vi furono molte manifestazioni di solidarietà del popolo jugoslavo verso gli italiani che combattevano con i partigiani, sentimenti che appaiono soprattutto nei numerosi diari e testimonianze dei sopravissuti, rimane vero che i partigiani non ebbero sempre come principale preoccupazione la lotta ai tedeschi, alla quale esposero volentieri gli italiani. Gli jugoslavi erano dilaniati da lotte interne e l’occupazione del territorio dalle varie frazioni prevaleva spesso sul fronte comune contro il nemico, come si vide alla fine della guerra quando l’Armata tedesca si ripiego abbastanza indisturbata dal sud della Jugoslavia verso l’Austria perché l’Esercito jugoslavo si muoveva verso la Venezia Giulia e l’Istria.
“Anche questa azione rappresentava in campo internazionale il corollario della prevalente concezione politica della guerra partigiana, per cui, ancor prima di avere totalmente sconfitto il nemico, occorreva mettere le mani sui pegni che la futura vittoria alleata doveva assicurare. “3 scrivono Viazzi e Taddia.
I combattimenti dureranno per dodici mesi ininterrotti, su tutto il territorio della Bosnia, con ingenti perdite, talvolta di corpi interi. Si lotta contro cetnici, ustascia, musulmani e truppe bulgare, oltre che tedeschi. La Divisione riesce ad inquadrare altri italiani rimasti sbandati, vive e soffre ma unita, sentendosi investitasi del ruolo di rappresentare l’Italia. Il cappellano militare benvoluto da tutti, la solidarietà tra questi uomini è esemplare, va oltre i loro personali convincimenti politici e religiosi, e la disciplina eccellente, considerato il contesto.
La 1° Brigata è a Sarajevo quando arriva inaspettato, nel febbraio 1945, l’ordine di riunione a Ragusa per il rimpatrio, previsto per il 7 marzo. Dall’8 marzo partirono a scaglioni vari gruppi composti complessivamente di 3913 tra ufficiali, sott’ufficiali e truppa, poi 5870 sbandati tra cui 209 mogli e figli.
Al dolore della sofferenza di tutti, delle tante morti, si aggiunge l’amarezza del “dopo “. Per capire l’accaduto alla Divisione Garibaldi dopo il rientro, concluso l’8marzo 1945, bisogna partire dal messaggio che Umberto di Savoia manda a Taranto, dove sono accolti i rientranti, al col. Ravnich il 16 marzo 1945:
“Ho stamane nei vostri soldati molto ammirato magnifico aspetto veramente degno loro eroico comportamento. A Lei, ufficiali militari tutti della Divisione Garibaldi rinnovo il mio saluto affettuoso e i miei migliori voti augurali. Umberto di Savoia. “
Il magnifico aspetto... dei vivi naturalmente. .. E’ vero che nel quadro generale della guerra, gli eventi della Jugoslavia possono non sembrare avere avuto un grande rilievo. La “ Garibaldi “ non ha avuto molto risaltonelle rievocazioni storiche e nelle celebrazioni: i reduci se ne sono sempre lamentati.
Se al ritorno i caduti accertati sono 3556, i dispersi sono circa 5000. Si raggiunge dunque, decorsi i tempi della speranza, il numero di 8500 caduti.
Anche nell’opera di Viazzi e Taddia voluta dalla Commissione presieduta dal Generale Elio Muraka, talvolta severa nel denunciare una autogiustificazione e una autocelebrazione dei reduci, si riconosce che “ dal punto di vista storico, può essere di grande efficacia morale riscontrare che nel crollo generale al momento dell’armistizio ci sono state delle strutture che hanno retto e che, pur tra insidie di ogni genere, hanno tenuto fede all’obiettivo primario di salvaguardare il proprio onore militare.”
Per l’onore d’Italia, infatti, avevano combattuto questi soldati, e nella posizione presa accanto ai partigiani jugoslavi avevano cercato la coerenza dell’impostazione antitedesca che l’armistizio imponeva ma che nell’incertezza della sorte della guerra, e di notizie precise, nessuno si sentiva di sostenere come la scelta “ giusta “ moralmente e, si sperava, vincente militarmente.4 L’onore consisteva di avere potuto finalmente combattere il fascismo, che si fosse poi monarchici, repubblicani, comunisti, liberali, cattolici o laici, non importava. Chi non lo voleva combattere sul terreno se ne era andato, almeno questo era chiaro. E l’avere al momento del ritorno riposto sui laceri vestiti dell’armata “stracciona” le stellette e le insegno dell’Esercito italiano diceva chiaramente la certezza di avere combattuto nella fedeltà all’impegno iniziale, che non era diretto al Regime vigente bensì alla patria. 5
Al momento del ritorno, i reduci della Divisione Garibaldi sono alquanto imbarazzanti. E’ vero che sbarcano a Brindisi e sono mandati al deposito di Taranto, ma sopra la linea gotica soffia ancora il “vento del nord”, e diversi vogliono combattere ancora. I tempi del loro reinserimento saranno lunghi e faranno si che non lo potranno fare. Altri saranno mandati in congedo.
Si sta delineando il nuovo equilibrio del mondo. In Europa le zone d’influenza sono ormai chiare, e la Jugoslavia è zona molto sensibile. Tuttavia considerare, con Viazzi e Taddia, quei 18 mesi “una catabasi, un ritorno durato troppo a lungo “ lascia veramente sgomenti. Si sarebbe dato una colorazione politica “ negli ultimi mesi ad una vicenda rimasta fino allora nei cannoni tradizionali di una formazione militare, sorpresa all’estero dall’armistizio, che aveva inteso salvaguardare il proprio onore e la propria dignità respingendo umilianti condizioni di resa.” Ma avrebbero combattuto con tanto slancio soldati che miravano solo al ritorno in patria, non lottavano loro anche per la democrazia e per la libertà, che uniti nella lotta portavano ciascuno in cuore con il colore della propria coscienza politica ?
In quanto concerne la Divisione Garibaldi, ci fu un notevole divario tra la storia ufficiale e la memoria dei singoli. La memorialistica ha tramandato una storia molto sofferta e mai dimenticata. Stefano Gestro fu forse il migliore nello scrivere, ma era anche un poeta, e i Quaderni di camicia rossa hanno pubblicato le sue poesie come tante altre testimonianze: “Crocefisse nel sangue, dissolte nella neve, disperse nel vento, erano esse le storie che dovevamo raccontare e che mai avrebbero fatto la verità della storia ufficiale”.
Ci furono opere di notevole spessore, come quella di Giacomo Scotti , che sembrano un grido di dolore, composto, da soldato, una testimonianza dettagliata, inconfutabile anche su chi raggiunge i partigiani prima dell’8 settembre. Li chiamarono ” disertori “. Rileggiamo “ il verde Lim “, di Eugenio Lisserre, e tanti altri. Ognuno seguì la sua coscienza e la sua sensibilità. L’archivio del Generale Ravnich, monarchico , fu da lui consegnato alla Fondazione Maria José di Savoia, ed è irraggiungibile. Non può non venire il sospetto che l’ultimo comandate della Divisione Garibaldi non avesse come prima preoccupazione la memoria della lotta partigiana dei nostri soldati.
Ci sono tanti reduci che non vollero mai più parlare della loro esperienza, e rientrarono nella vita civile come erano entrati , di leva, nell’Esercito. L’Associazione è servita a dare voce ai garibaldini moderni, per non dimenticare e tracciare una linea retta tra i valori Risorgimento e della Resistenza. Un indirizzo lo diede il nome di Garibaldi: strumentalizzato per un ventennio, fu portato sul campo di battaglia a ritrovare se stesso, restituendolo alla democrazia.
24 ottobre 2013.
2 E.GOBETTI Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia 1941-1943. Laterza, Bari, 2013.
4 L.MANNUCCI Per l’onore d’Italia. ANVRG 1985,1994.
5 GESTRO S. L’armata Stracciona. L’epopea della Divisione Garibaldi in Montenegro (1943-1945). Regione Toscana. 1976.
70.mo Anniversario della II Sessione plenaria dell'AVNOJ - Consiglio Antifascista di Liberazione Popolare della Jugoslavia - tenuta a Jajce, Bosnia-Erzegovina; atto fondativo della nuova Jugoslavia federativa e socialista
SRETAN DAN REPUBLIKE SVIM JUGOSLAVENIMA I PRIJATELJIMA JEDINSTVENE, NEZAVISNE JUGOSLAVIJE
http://www.youtube.com/watch?v=_in4ysLpVLY
Sulla II Sessione plenaria dell'AVNOJ (Jajce 28-29 Novembre 1943) e sulla fondazione della nuova Jugoslavia vedi anche testo e fotografie alla nostra pagina dedicata:
https://www.cnj.it/documentazione/danrepublike.htm
Aggiornamenti sull'anniversario alla splendida pagina Facebook dei compagni jugoslavisti, SFR Jugoslavija - SFR Yugoslavia:
https://www.facebook.com/pages/SFR-Jugoslavija-SFR-Yugoslavia/36436743833
A number of people have asked me if I was going to write anything about the JFK assassination, or had I done so in the past .
Yes, 17 years ago I wrote two longish articles about the JFK killing. (They appeared in DIRTY TRUTHS, a book of my essays dealing with a wide variety of subjects.)
Here is a substantial excerpt from one of those essays, with minor edits, attached and printed just below. Please feel free to post and circulate.
--excerpt from an article entitled "The JFK Assassination: Defending the Gangster State"
... Il 29 novembre 1943 a Jajce (Bosnia) fu fondata la Repubblica Jugoslava ...
Manifestazioni per il 70.m o della proclamazione della Federazione jugoslava
28.11. (četvrtak)
- Otvaranje naučnog skupa na temu: Drugo zasjedanje AVNOJ-a i državnost zemalja nasljednica Jugoslavije 1943.-2013.
29.11. (petak)
- Otvaranje izložbe crteža Božidara Jakca
- Otvaranje izložbe fotografija i dokumenata
- Promocija knjige
- Prigodno predavanje
30.11. (subota)
- Doček gostiju (posjetilaca iz drugih gradova) ispred Muzeja II zasjedanja AVNOJ-a i prigodan muzički program (limena glazba, kulturno-umjetnička društva iz Jajca, rock band)
- Polaganje vijenaca na Spomen-fontanu
- Svečana akademija povodom 70 godina II zasjedanja AVNOJ-a
- Cjelovečernji koncert horova
01.12. (nedjelja)
- Organiziran obilazak kulturno-historijskih i prirodnih znamenitosti grada Jajca,
- Ispraćaj gostiju ispred Muzeja II zasjedanja AVNOJ-a
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7823
CONTINUIAMO LA MOBILITAZIONE
l’indirizzo è: BAHAR KIMYONGUR
CASA CIRCONDARIALE. Via Monte Gleno, 6124125 BERGAMO (BG)
Discours de Daniel Flinker lors du rassemblement pour la libération de Bahar Kimyongür devant le Consulat d'Italie à Bruxelles hier [25/11/2013] après-midi.
Leur volonté : la démission du Premier ministre ; leur cri de ralliement : « La révolte est partout ! » ; leur ambition : mettre fin au régime autoritaire en place à Ankara...
Policière, voilà l'unique réponse du gouvernement au mouvement citoyen : la terreur de masse, les balles en caoutchouc, les capsules de gaz tirées à même la tête.
La réaction de l'AKP : considérer les médecins qui portent secours aux manifestants, les avocats qui défendent les contestataires, les journalistes qui rendent compte des événements... les considérer tous comme des terroristes.
L'attitude d'Erdogan face aux protestataires de Gezi et de Taksim : la répression, rien que la répression. Son bilan : 6 morts, 8 500 blessés.
C'est cet État, un État qui tire sur sa propre population ; c'est cet État, un État qui définit tous ceux qui s'opposent à son action comme des criminels, c'est cet État qui accuse Bahar d'être un terroriste.
« Bahar Kimyongür n'est pas un terroriste »... Après quatre procès et deux cassations, tel est le verdict rendu par la justice belge.
« Bahar est un protestataire, un opposant politique », telle est la conviction de la justice hollandaise qui a refusé, dès 2006, de l'extrader vers la Turquie.
Mais la Turquie ne s'intéresse pas à la Justice ; la Turquie continue à s'acharner sur le citoyen belge, continue sa persécution. Au moment même où les autorités turques réprimaient dans le sang les manifestants à Istanbul et Ankara, elles faisaient arrêter Bahar en Espagne où il passait des vacances en famille.
Pour faire face à cette nouvelle atteinte aux droits et aux libertés, un mouvement de solidarité s'est développé en Belgique. A cet égard, 100 représentants de la société civile, parmi lesquels le Secrétaire général de la FGTB wallonne, celui de la FGTB-Bruxelles, celui de la CNE ; les présidents de la Ligue des droits de l'homme francophone et néerlandophone ; des dizaines de professeurs d'université du Nord et du Sud du pays ont posé une demande très claire : la Belgique doit tout faire pour empêcher l'extradition de Bahar vers la Turquie.
Mais il faut croire que Didier Reynders ne lit pas la presse car du côté du ministère des affaires étrangères, c'est le silence radio. Pire : quand le sénateur Benoit Hellings demande par écrit que la Belgique s'occupe de cette affaire, il se voit répondre que Bahar, vu qu'il a un avocat, n'a qu'à se débrouiller tout seul !
Aujourd'hui, pour Bahar, pour sa famille ; pour nous, pour la liberté d'expression, c'est un drame : Bahar est, depuis le 21 novembre, emprisonné à Bergame.
En raison d'un crime ? Bahar n'a commis aucun crime. Pour un délit ? Bahar n'a commis aucun délit. Sauf à considérer la vérité comme un crime, sauf à considérer que critiquer la politique turque est un délit, sauf à considérer que dénoncer les violations des droits de l'homme perpétrées par le régime d'Ankara est une infraction.
Chers amis, l'« affaire Kimyongür » met la démocratie belge à l'épreuve.
La crise économique nous a rappelé que l'Union européenne, c'est l'Europe du fric. Chaque fois qu'il est arrêté, Bahar nous fait découvrir l'Europe des flics !
De la part des mandataires politiques qui n'ont que les mots « démocratie » et « liberté » à la bouche, nous exigeons désormais des actes. Didier Reynders doit prendre ses responsabilités et mettre tout en œuvre pour sortir Bahar Kimyongür de la situation kafkaïenne dont il est la victime et pour empêcher qu'il ne soit remis entre les mains des bourreaux dont il dénonce les crimes.
Bahar est en prison. Notre urgence, c'est sa libération ! L'Italie compte un prisonnier politique car aujourd'hui, un citoyen belge est incarcéré dans ce pays pour ses convictions !
Mesdames, Messieurs, si nous sommes venus aujourd'hui manifester devant le Consulat d'Italie à Bruxelles, c'est pour montrer notre détermination ; pour réclamer, haut et fort : « La liberté pour Bahar ! »
Daniel Flinker
La sœur de Bahar lance un appel :
Bonjour à toutes et à tous,
Vous pouvez écrire à Bahar en prison. Il n'a toujours eu aucun contact avec l'extérieur, mis à part son avocat !
Gülay
Ecrivez-lui afin qu'il se sente moins seul derrière les barreaux.
A vos crayons les ami(e)s.
Merci pour votre soutien,
Sa sœur Gülay
Adresse de la prison :
Bahar Kimyongür
Casa Circondariale di Bergamo
Via Monte Gleno 161
24125 Bergamo
Italie
di Marinella Correggia
Come spiega l'avvocato penalista fiorentino Federico Romoli, nominato dalla famiglia (e membro dell'Ong Fair Trials International che si batte per un sistema penale più giusto), «lunedì la Corte d'appello di Brescia gli chiederà se vuole essere estradato in Turchia. Ovviamente dirà di no. Io chiederò la sua immediata liberazione».
Per la stessa accusa in precedenza Kimyongür era stato già assolto in Belgio e nei Paesi bassi.
Risale a un fatto del 2000 l'«accanimento del governo turco sulla base di un dossier vuoto» per usare le parole dello stesso Bahar, che da tempo collabora con il sito Investig'action del giornalista belga Michel Collon e con l'Istituto internazionale per la pace la giustizia e i diritti umani (Iipjhr) accreditato presso l'Onu a Ginevra. All'epoca diversi prigionieri politici in Turchia erano in sciopero della fame per protesta; durante una visita dell'allora ministro degli Esteri turco al Parlamento europeo Bahar lo interrompe pubblicamente denunciando le violenze e le persecuzioni, e gettando volantini. L'indomani la stampa turca lo descrive come amico di terroristi e nemico della nazione. In seguito la Turchia ne chiede l'estradizione accusandolo anche di far parte dell'associazione terroristica. È arrestato nei Paesi bassi, ma in seguito sia la giustizia olandese che quella belga dichiarano infondate le accuse. Rimane però in piedi purtroppo il mandato di cattura internazionale.
Poi nel 2012, Bahar si attira nuovamente le ire turche denunciando pubblicamente, con articoli, conferenze e il libro Syriana. La conquete continue, il ruolo diretto del governo Erdogan nell'addestramento, nel finanziamento e nel transito delle formazioni estremiste e jihadiste attive in Siria. Aiuta anche le famiglie belghe a reclamare i figli partiti a combattere. Così, mesi fa viene arrestato in Spagna dove è in vacanza. Liberato poi su cauzione, il processo è in corso.
In Italia si sta già preparando una mobilitazione a più livelli.
Da: comitatocontrolaguerramilano <comitatocontrolaguerramilano @gmail.com>A: Comitato Contro la Guerra Milano <comitatocontrolaguerramilano @gmail.com>
Inviato: Lunedì 25 Novembre 2013 21:22
Oggetto: Fwd: Scriviamo per la libertà a BaharRICEVIAMO DA MARINELLA CORREGGIA E VI GIRIAMO CALDEGGIANDO LA VOSTRA ATTENZIONE ED AZIONE:Ciao, Bahar Kimyongur cittadino belga di origine turca e da 15 anni attivo contro gli abusi in carcere da parte delle autorità turche e negli ultimi due anni contro l'appoggio che la Turchia offre ai terroristi in Siria,E' IN PRIGIONE A BERGAMO e la Turchia ne chiede l'estradizione. Per saperne di più su questa situazione vergognosa (in Italia un cittadino belga prigioniero per fatti di pura opinione!) leggete qui [articolo riportato sopra, ndCNJ]:Oggi pomeriggio prima udienza, l'avvocato ne chiederà la liberazione e il rimpatrio ma intato l'ambasciatore turco fa pressione (immaginate che sarà presente all'udienza)Sua moglie chiede di mandare questa lettera alla Cancellieri, grazie, Marinella CorreggiaAnna Maria Cancellieri centrocifra.gabinetto@...Al ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, Ministero di Grazia e Giustizia, via Arenula, RomaOggetto: detenzione di un cittadino belga nelle carceri italiane per reato di opinioneSignor Ministro,
Dallo scorso 21 novembre, il cittadino belga Bahar Kimyongür è detenuto a Bergamo su richiesta della Turchia, la quale ne richiede l’estradizione.Dal momento che oggi alle 11 si svolge un’udienza davanti alla Corte d’Appello di Brescia, ritengo sia mio dovere come cittadino sottoporLe alcuni elementi, importanti per la conoscenza del caso.In primo luogo, occorre sapere che da oltre dieci anni Bahar Kimyongür subisce una vera e propria persecuzione da parte dello Stato turco che lo accusa senza prove di essere un “terrorista”. Questa persecuzione è avvenuta soprattutto in Belgio. Tuttavia, dopo quattro processi e due giudizi in cassazione, Bahar Kimyongür è stato completamente assolto dalla Corte d’Appello di Bruxelles.La Turchia ha anche fatto pressione sui Paesi Bassi, ma nel 2006 la Camera di estradizione dell’Aja ha rifiutato l’estradizione. Sulla base dello stesso mandato d’arresto internazionale emesso dalla Turchia, il signor Kimyongür è stato poi arrestato in Spagna, lo scorso 17 giugno. In questo caso, la giustizia spagnola ha rimesso in libertà molto rapidamente il cittadino belga, anche se la procedura per l’estradizione è tuttora in corso.E adesso è la volta del Suo paese a essere il teatro della persecuzione che Bahar Kimyongür subisce da parte di Ankara. E’ indispensabile che questo accanimento cessi perché, come indicano le giustizie belga e olandese, Bahar Kimyongür non ha commesso alcun atto di violenza o delitto. Quel che risulta insopportabile per il governo turco, sono le prese di posizione critiche di questo cittadino belga, i suoi scritti nei quali egli si oppone alla politica di Ankara, le sue coraggiose denunce delle violazioni dei diritti umani e i casi di tortura nelle prigioni turche.Signor Ministro, in questo momento Bahar Kimyongür, cittadino belga, è un prigioniero politico in Italia per le sue sole opinioni. E’ una situazione intollerabile. Ecco perché mi permetto, in nome della libertà di espressione, di scriverLe e appellarmi a Lei affinché possa ispirare tutti passi necessari a ottenere la liberazione di Bahar Kimyongür.Voglia gradire, signor Ministro, i miei saluti e ringraziamentiIn fede,
Da: "Comitato antifascista e per la memoria storica-Parma" <comitatoantifasc_pr@...>
Data: 23 novembre 2013 15.55.26 GMT+01.00
Oggetto: i partigiani italiani del "Battaglione Gramsci" in Albania in mostra a Palazzo Sanvitale da oggi 23 novembre
I soldati italiani del "Battaglione Gramsci" partigiani contro i nazifascisti in Albania
in mostra fotografica a Palazzo Sanvitale (Parco Ducale di Parma) dal 23 novembre
Come sul fronte jugoslavo l'indomani dell'8 settembre '43 migliaia e migliaia (quarantamila) soldati italiani non si arresero ai tedeschi e scelsero di combattere contro i nazifascisti al fianco dei partigiani della Resistenza jugoslava, così in Albania l'indomani dell'8 settembre militari italiani della 41a Divisione fanteria "Firenze" e della 53a Divisione fanteria "Arezzo" costituirono il "Battaglione Antonio Gramsci" che combattè contro i nazifascisti insieme con l'Esercito Albanese di Liberazione Nazionale fino alla completa liberazione dell'Albania.
La mostra fotografica “Da oppressori a combattenti per la libertà" ripercorre la storia del glorioso “Battaglione Antonio Gramsci”. La mostra viene inaugurata a Palazzo Sanvitale di Parma (all'interno del Parco Ducale) sabato 23 novembre alle 15. In serata ex-combattenti del “Battaglione Antonio Gramsci” racconteranno della loro esperienza in Albania. Inoltre verranno consegnate ai militari italiani del Gramsci delle onorificenze firmate dal Presidente della Repubblica albanese.
L'iniziativa è organizzata dall’"Associazione Scanderbeg", associazione albanese a Parma e Provincia, col patrocinio del Comune e della Provincia di Parma, nell'ambito della "Settimana della cultura albanese” a Parma dal 23 al 30 novembre.
Per quanto ci riguarda, con il passaggio della Divisione di fanteria da montagna «Venezia» nel II Korpus dell'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, il 9 ottobre 1943, NASCEVA IL NUOVO ESERCITO dell'Italia DEMOCRATICA. A sostenerci nella nostra opinione è nientemeno che SANDRO PERTINI:
<< La nascita del nuovo esercito italiano "inteso come esercito democratico antifascista e parte integrante della coalizione antihitleriana nella seconda guerra mondiale" deve essere anticipata ... al 9 ottobre 1943, quando il Generale Oxilia, Comandante della Divisione di Fanteria da montagna "Venezia", forte di dodicimila uomini, dette ordini alle sue truppe di attaccare i nazisti, coordinando le azioni militari con l'esercito popolare di liberazione della Jugoslavia. >>
Grazie agli autori per averci fatto rivedere, in quella terza puntata, le immagini preziose del 21 settembre 1983 a Pljevlja, in Montenegro, quando fu inaugurato il monumento alla Divisione Italiana Partigiana Garibaldi, alla presenza di Sandro Pertini e di Giulio Andreotti.
Alleati del nemico. L'occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943)
casa editrice: Laterza
anno di pubblicazione: 2013
collana: Quadrante Laterza
pagine: 208
prezzo: 19,00 euro
disponibile anche in formato Ebook
Vittorio Filippi 15 maggio 2013
“Le forze di occupazione si trovano a dover combattere con un movimento di resistenza forte ed efficace (i partigiani, nda) e in questo contesto, gli italiani si macchiano di crimini che non sono diversi da quelli che riguardano la Wehrmacht – sottolinea Purini -. Com’era il caso con gli occupatori tedeschi, anche quelli italiani fanno il conteggio delle vittime, uccidendo dieci jugoslavi per un italiano. Vengono distrutti e incendiati interi villaggi, istituiti campi di concentramento…”, aggiunge lo storico, ricordando che, nonostante le reiterate richieste del governo jugoslavo nel dopoguerra, questi crimini di guerra non sono stati mai processati, grazie all’amnistia richiesta da Togliatti. Purini sottolinea un altro aspetto interessante che viene analizzato nel libro, ossia il sistema delle alleanze che gli italiani instaurarono con la parte più conservatrice dei movimenti esistenti nei territori occupati, avviando collaborazioni con gli ustascia e i cetnici, per nominare soltanto quelli più rilevanti.
L’autore ha esordito affermando che l’occupazione italiana dell’ex Jugoslavia non è un tema marginale, anche se nel corso dei decenni è stato sempre sminuito dall’opinione pubblica sia jugoslava sia italiana. “Si è preferito parlare dell’occupazione tedesca, mentre quando si faceva riferimento all’Italia venivano menzionati sempre altri fronti di guerra dai quali il Belpaese è sempre uscito sconfitto. Nel caso jugoslavo, invece, l’Italia è un occupatore vincente, con addirittura 300mila soldati disseminati in questi territori. Per fare un paragone, in Russia vengono mandati appena 60mila uomini”, ha puntualizzato Gobetti, soffermandosi sul tema del collaborazionismo nei territori occupati. Dal 1941 al 1943, il comando di Tito e il movimento partigiano si rafforzano, mentre al contempo si sviluppano i movimenti collaborazionisti (primi fra tutti gli ustascia croati e i cetnici serbi).
“L’aspetto del collaborazionismo è significativo da tutti i punti di vista. Gli italiani stabiliscono alleanze che spesso risultano delle contraddizioni che si trascinano in tutto il periodo di occupazione. L’alleanza con gli ustascia inizia già nel 1929, quando Ante Pavelić è in esilio in Italia. Ed è proprio lì che nasce il movimento ustascia, che raggiunge il suo apice nel 1941, quando Pavelić diventa dittatore dello Stato croato indipendente (NDH). Ma l’alleanza tra l’Italia e gli ustascia manifesta un’incoerenza interna. Infatti, gli ustascia sono fascisti e al contempo nazionalisti, per cui vogliono governare lo stesso territorio che è occupato dall’Italia (la Dalmazia). Quindi, questa è una contraddizione che porta gli italiani a stabilire un’alleanza con i cetnici, che sono filoinglesi, in quanto il loro governo si trova in esilio a Londra; di conseguenza si trovano in guerra con l’Italia. Una situazione paradossale.
Lo scrittore Giacomo Scotti, nel commentare quanto esposto da Gobetti, ha definito il volume ”Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia 1941-1943” come un libro coraggioso perché analizza un aspetto scomodo e sottaciuto della storia italiana. “Il fascismo ha gettato l’onta sul popolo italiano, per cui ammiro il coraggio di Gobetti, che ha messo in luce i delitti fascisti, rimasti coperti da troppo tempo”.
Al termine della presentazione abbiamo voluto sapere dallo storico Gobetti in che modo venga insegnata la Seconda guerra mondiale nelle scuole italiane. “In Italia è diffuso il concetto di ‘Norimberga mancante’, in quanto non c’è mai stato un processo simile in Italia. Questo ha favorito lo stereotipo dell’‘italiano buono’ e l’impressione che sia stato meno peggiore degli altri. Di conseguenza, nelle scuole superiori non si insegna la storia dell’Italia nella Seconda guerra mondiale e non si parla assolutamente dell’occupazione balcanica. Quest’ultima non si insegna nemmeno nelle università”, ha fatto notare Eric Gobetti.
Helena Labus Bačić
La « Responsabilité de protéger » (R2P) comme instrument d’agression
Traduction
Dominique Arias
[1] Common Courage, 2005, Ch. 11 et 15.
[2] Cf. Manufacturing Consent, Ch. 2 : « Worthy and Unworthy Victims ».
[3] Ndt : En tant que membre permanent du Conseil de Sécurité de l’ONU, les USA ont droit de veto sur toutes les décisions de l’ONU ; or toute décision d’intervention ou de sanction passe nécessairement par le Conseil de Sécurité
[4] L’International Crisis Group : officiellement, ONG engagée dans la prévention et le règlement des conflits internationaux, financée par George Soros.
[5] Cf. John Pilger “East Timor : a lesson in why the poorest threaten the powerful,” April 5, 2012, pilger.com.
di Manlio Dinucci
La Farnesina informa che a Tripoli sono in corso violenti scontri tra milizie anche con armi pesanti e che sono stati danneggiati numerosi edifici, per cui la sicurezza non è garantita nemmeno nei grandi hotel della capitale. Non solo per gli stranieri, ma anche per i membri del governo: dopo il rapimento un mese fa del primo ministro Ali Zeidan dalla sua residenza in un hotel di lusso, domenica è stato rapito all’aeroporto il vicecapo dei servizi segreti Mustafa Noah. E mentre nella capitale miliziani di Misurata sparano su cittadini disarmati esasperati dalle violenze, a Bengasi prosegue senza soluzione di continuità la serie di omicidi di matrice politica.
Che fare? Il presidente Obama ha chiesto al premier Letta di «dare una mano in Libia» e questi ha subito accettato. La sua affidabilità è fuori discussione: nel 2011 Enrico Letta, allora vicesegretario del Pd, è stato uno dei più accesi sostenitori della guerra Usa/Nato contro la Libia. Sarà ricordata sui libri di storia la sua celebre frase: «Guerrafondaio è chi è contro l'intervento internazionale in Libia e non certo noi che siamo costruttori di pace».
Ora, mentre la Libia sprofonda nel caos provocato dai «costruttori di pace», è arrivato il momento di agire. L’ammiraglio William H. McRaven, capo del Comando Usa per le operazioni speciali, ha appena annunciato che sta per essere varata una nuova missione: addestrare e armare una forza libica di 5-7mila soldati e «una unità più piccola, separata, per missioni specializzate di controterrorismo».
Specialisti del Pentagono e della Nato sono già in Libia per scegliere gli uomini. Ma, data la situazione interna, questi verranno addestrati fuori dal paese, quasi certamente in Italia (in particolare in Sicilia e Sardegna) e forse anche in Bulgaria, secondo un programma agli ordini del Comando Africa del Pentagono.
L’ammiraglio McRaven non nasconde che «vi sono dei rischi: una parte dei partecipanti all’addestramento può non avere la fedina pulita». È molto probabile quindi che tra di loro vi siano criminali comuni o miliziani che hanno torturato e massacrato (elementi che, una volta in Italia, potranno circolare liberamente). E tra quelli addestrati in Italia vi saranno anche i guardiani dei lager libici in cui vengono rinchiusi i migranti.
Per il loro addestramento e mantenimento non basteranno i fondi già stanziati per la Libia nel decreto missioni all’esame del parlamento: ne occorreranno altri molto più consistenti, sempre attinti dalle casse pubbliche.
L’Italia contribuirà in tal modo alla formazione di truppe che, essendo di fatto agli ordini dei comandi Usa/Nato, saranno solo nominalmente libiche: in realtà avranno il ruolo che avevano un tempo le truppe indigene coloniali. Scopo della missione non è quello di stabilizzare la Libia perché torni ad essere una nazione indipendente, ma quello di controllare la Libia, di fatto già balcanizzata, le sue preziose risorse energetiche, il suo territorio strategicamente importante.
Ci permettiamo di dare un consiglio al governo Letta: l’Expo galleggiante della Cavour, rientrando nel Mediterraneo ad aprile dopo il periplo dell’Africa, potrebbe fare tappa anche in Libia per pubblicizzare i prodotti del Made in Italy. Come il cannone a fuoco rapido Vulcano della Oto Melara che, in mano ai libici che oggi mitragliano i barconi dei migranti, potrebbe risolvere il problema dell’emigrazione clandestina.
Da: "Trieste USB" <trieste @ usb.it>Data: 21 novembre 2013 10.24.36 GMT+01.00A: "Trieste USB" <trieste @ usb.it>Oggetto: testo nostro intervento sulla situazione della Bibliotca nazionale slovena e degli studi all'assemblea "La precarietà della storia" del 7 ottobreIn allegato il testo del nostro intervento all’assemblea del 7 ottobre. Nel ritenere che opinione pubblica e rappresentanze politiche abbiano il diritto/dovere di esprimersi in merito a quanto sta accadendo rimaniamo a disposizione per approfondimenti e chiarimenti.Cordiali salutiUSB Lavoro privato - FVG
Intervento all'incontro pubblico “LA PRECARIETÀ DELLA STORIA”, Trieste, 7 ottobre 2013
Fino alla fine degli anni '80 del secolo passato l'attività della BNS e della SSE si espanse, assumendo una importanza sempre più ampia, tanto che nel 1976 la Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia le riconobbe lo status di ente di interesse regionale. Poprio alla fine di tale periodo, nel 1989, entrò a far parte della BNS anche la Biblioteca slovena “D. Feigel” di Gorizia. In parallelo era cresciuto anche il numero dei dipendenti, anche se era caratteristico l'ampio ricorso a »collaboratori esterni«, collaboratori a onorario e simili. Con il corollario che non si doveva nemmeno menzionare un qualche tipo di attività sindacale, tutto doveva passare attraverso contatti e accordi personali, il tutto nel nome »del bene del popolo«. Negli anni '90 le cose iniziarono a prendere un indirizzo diverso. I fondi dell'allora già ex Jugoslavia scomparvero, il numero dei dipendenti prese a scendere velocemente e l'ente fu in qualche modo lasciato a sé stesso: l'attrezzatura non veniva rinnovata (tranne quella indispensabile), non c'era alcuna prospettiva che andasse al di la della mera sopravvivenza. Quanto venne fatto in questo periodo – e non si trattò di poca cosa - venne fatto per iniziativa dei dipendenti, che non si limitarono solo ad adattarsi a condizioni di lavoro sempre peggiori cercando di tamponare per quanto possibile le falle. Solo alla loro dedizione va il merito se l'ente è riuscito a mantenere e addirittura accrescere il suo carattere professionale e scientifico. Va però anche sottolineato che proprio tale disponibilità ad adeguarsi e adattarsi senza contestazioni ha contribuito a fare si che si arrivasse alla situazione attuale.
A partire dagli anni '90 i fondi per l'attività della BNS arrivano dalla Slovenia, ma sopratutto dallo Stato italiano, fino al 2000 in base alla legge per le aeree di confine e dal 2001 in base alla legge di tutela della minoranza slovena. E' necessario spendere alcune parole circa le modalità con cui lo Stato italiano finanzia l'attività degli enti della minoranza. In base alla legge di tutela il governo italiano decide di anno in anno l'ammontare dei fondi da mettere a disposizione degli enti della minoranza sloveni a sua discrezione, non essendo vincolato da alcun criterio oggettivo. Della suddivisione degli stanziamenti tra i vari enti decide poi l'Assessore alla Cultura della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia sulla base delle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva regionale per la minoranza slovena, in cui la maggioranza dei componenti è designata dalle due organizzazioni maggiori della minoranza. Questa modalità di finanziamento significano che lo Stato italiano non considera le attività della minoranza come attività di una parte della comunità nazionale svolte nell'interesse di tutti i cittadini, ma ancora sempre come appartenente a un qualcosa di separato, a un corpo estraneo, al quale è disposto ad elargire un po di danaro di tanto in tanto. Si tratta di un approccio offensivo per tutta la minoranza, soprattutto per gli enti che sono al servizio di tutta la comunità, regionale e nazionale. Se infatti nella gran parte dei casi tali enti sono nati come descritto all'inizio nel caso della BNS, essi hanno assunto nel corso degli anni un'importanza e un ruolo più ampi, che travalicano la conservazione del patrimonio storico e culturale della minoranza, divenendo parte del patrimonio culturale di tutta la regione e di tutti i suoi abitanti. Perciò dovrebbero essere trattate come tali. L'unico senso che pare avere l'attuale sistema di finanziamento è quello di affidare alle due organizzazioni maggiori della minoranza – organismi privati - la gestione (o almeno la partecipazione alla gestione) di somme non indifferenti di denaro proveniente dalle casse dello Stato (cosa che vale in misura ancora maggiore per i fondi stanziati dalla Repubblica di Slovenia). Si poteva regolare la cosa in maniera diversa, con probabili risparmi, facendo in modo che gli organismi statali italiani finanziassero direttamente, a bilancio, gli enti della minoranza, almeno quelli a carattere scientifico e di interesse generale, in base ai loro bisogni concreti. Facendo diventare tali enti degli enti pubblici, alla pari delle biblioteche civiche e statali, degli archivi regionali e statali.... Ma si è scelto diversamente, di mettere i fondi pubblici a disposizione di organizzazioni private.
Mentre la BNS cresceva per qualità dei servizi, professionalità dei dipendenti, quantità del materiale custodito, numero di utilizzatori di servizi e materiali, riconoscinibilità e riconoscimenti scientifici, chi la amministrava non ha saputo, voluto o potuto valorizzare tale realtà. Bisogna anche sottolineare che tali sviluppi si sono avuti nonostante le condizioni organizzative interne: la BNS non ha mansionari, né regolamenti interni (ad eccezione di quello che regolamenta i servizi bibliotecari). Nonostante il Consiglio Direttivo abbia affidato al direttore (ora pensionato) il compito di redarre una bozza di regolamento interno/ mansionario, questi non l'ha mai fatto senza per questo subire conseguenze. Evidentemente la normalizzazione delle condizioni interne non è tra le priorità del direttivo. D'altra parte tale situazione consentiva di accollare a singoli dipendenti compiti che comportano pesanti responsabilità, per le quali non percepiscono alcun integrazione stipendiale, né beneficiano di una qualche forma di copertura assicurativa. In questo genere di cose la BNS è stata »all'avanguardia«, visto che non dispone di alcun regolamento sull'accesso e utilizzo del materiale, anche se a scopo di profitto. A decidere di tutto, sulla base delle sue valutazioni e simpatie, era esclusivamente il direttore. Sarebbe interessante verificare se tale situazione abbia causato all'ente dei mancati introiti ed il loro eventuale ammontare.
I soci hanno diritto a partecipare alle assemblee dei soci ed eleggere il Consiglio Direttivo (CD). Di fatto della compisizione del direttivo decidono le due organizzazioni maggiori della minoranza, che però affermano che in base allo statuto sono i soci - la cui stragrande maggioranza non partecipa alle assemblee, tranne un gruppo ristretto in gran parte legato alle due organizzazioni maggiori – a decidere in base alle loro libere determinazioni, cosa che, naturalmente, varrebbe anche per gli eletti nel CD. Un CD che negli ultimi anni pare essere caratterizzato dalle sistematiche violazioni dello statuto, divenute ormai quasi una abitudine. L'attuale CD è stato infatti eletto nel 2010 da una assemblea generale convocata in maniera irregolare. Parimenti irregolare è stata anche la convocazione dell'assemblea generale tenutasi nel giugno di quest'anno a Gorizia (e che dovrebbe continuare in dicembre con l'elezione del nuovo CD). Il CD attualmente in carica è stato eletto dopo il rifiuto da parte di quello precedente di dare il suo assenso al progetto, molto discutibile, di ristrutturazione dell'edificio in cui ha sede la biblioteca di Trieste. Va sottolineato che il progetto – ora cestinato (ma regolarmente pagato) – è stato presentato proprio nel periodo in cui la BNS ha dovuto rinunciare per mancanza di fondi all'assunzione in pianta stabile di una bibliotecaria e dopo che la Unione culturale economica slovena (Slovenska kulturno gospodarska zveza - SKGZ), l'organizzazione maggiore che il suo presidente ha definito »proprietaria indiretta« dei locali utilizzati a Trieste da biblioteca e SSE (ma lo stesso si può dire anche di quelli utilizzati a Gorizia), ha rifiutato di intercedere per ottenere dal »proprietario diretto« la cancellazione o almeno la riduzione temporanea dei canoni di locazione pagati dalla BNS a Trieste e Gorizia e liberare così risorse finanziaria per poter assumere la citata bibliotecaria.
Dopo che nel 2009 si erano diffuse voci circa l'intenzione di sopprimere la SSE, con l'elezione del nuovo CD divenne chiaro che la stessa era sotto attacco. Il nuovo CD fece sapere molto chiaramente che l'assemblea generale in cui era stato eletto aveva deciso che la priorità andava assegnata all'attività bibliotecaria, priorità che evidentemente il vertice del nuovo CD interpretò come il via libera per disfarsi della SSE e dei suoi dipendenti. L'occasione propizia si presentò nel corso del 2012, nel momento in cui lo Stato italiano decise di decurtare l'ammontare degli stanziamenti e ritardò in maniera inacettabile l'erogazione di quelli dovuti (la prima rata venne erogata a fine dicembre!). In novembre il CD deliberò la messa in cassa integrazione di tutti e 3 i dipendenti impiegati alla SSE, cosa che ebbe quale immediata conseguenze le dimissioni - anche in correlazione ad altri fatti poco edificanti – di uno dei tre. Tale deliberazione venne assunta senza alcuna consultazione con tutti i dipendenti per individuare possibili soluzioni alternative e in presenza di un crescendo di dichiarazioni allarmistiche sul probabile deficit di bilancio (dimostratosi in seguito inferiore rispetto a quanto inizialmente prospettato) diffuse sopratutto da presidente e vicepresidente del CD.
Durante il primo ed unico incontro avuto con il CD il nostro sindacato ha sottolineato la necessità di ritirare immediatamente la cassa integrazione al momento in cui fossero stati percepiti gli stanziamenti pubblici, ma la risposta è stata che la prima preoccupazione sarebbe stata invece quella di pagare i canoni di locazione arretrati. Durante tale incontro il nostro sindacato ha anche consegnato al CD una copia dei numerosissimi messaggi di solidarietà alla SSE pervenuti ai dipendenti della stessa da singoli ed enti dalla Slovenia, ma sopratutto da tutta Italia e anche dall'estero. Si trattava di un evidente attestato dell'importanza della SSE che veniva messo a disposizione del CD quale strumento volto a dare più forza alle sue eventuali richieste di ulteriori stanziamenti. Una possibilità della quale il CD non si è mai avvalso. Nel gennaio del 2013 il CD rinnovò fino a fine marzo la cassa integrazione per i due dipendenti della SSE rimasti. Poco prima del termine della cassa integrazione il CD ha però deciso in tutta fretta l'immediata chiusura, formalmente per motivi di sicurezza, dei locali della SSE. Una mossa drammatica con la quale si è voluto addossare a presunte circostanze oggettive la decisione di chiudere la SSE senza che fosse mai esplicitato quali fossero, in concreto, i gravi problemi di sicurezza per cui era stata assunta tale decisione. Una decisione che non ha garantito la sicurezza del materiale, rimasto in locali inadatti e per giunta del tutto incustodito, ma l'ha messo ulteriormente in pericolo. Poi è arrivata la distruzione definitiva della SSE con il pensionamento di una dei due dipendenti rimasti ed il licenziamento – senza preavviso – dell'altro, nostro iscritto (ed unico iscritto a un qualche sindacato tra tutti i dipendenti). Va evidenziato che tali decisioni sono state deliberate proprio nel momento in cui la BNS si era vista garantire il raddoppio dei contributi pubblici che avrebbe percepito dallo Stato italiano negli anni dal 2013 al 2015 (decisione che il 22 ottobre 2013 il governo ha confermato e prolungato fino al 2016).
È evidente quindi che le ragioni di queste misure non possono essere le difficoltà finanziarie. La fretta con cui hanno voluto liberarsi dei due ultimi dipendenti è in stridente contraddizione con la loro insostituibilità per la gestione del materiale della SSE, come attesta il fatto ad appena qualche settimana dal suo pensionamento è stato chiesto alla ex dipendente di dirigere il trasferimento di parte del materiale della SSE e altri tipi di aiuto. Ed i fumosi accenni a »future collaborazioni« con il dipendente appena licenziato senza preavviso. Proprio nella lettera di licenziamento di quest'ultimo troviamo la chiave per comprendere il comportamento tenuto ed il progetto – l'unico espresso chiaramente e nero su bianco – per la SSE: il CD intende riorganizzare il lavoro affidando la SSE in »outsourcing«. Ciò significa una sola cosa: il ricorso a personale precario, si tratti di contrattisti a progetto o in altra forma. Se a ciò aggiungiamo la proposta, più volte ripetuta, di dare alla BNS un amministratore professionale, cioé pagato, appare chiaro quale sia il modello che si vuole applicare e che è già stata applicato in passato ad altri enti sloveni, come l'ex Istituto regionale sloveno di istruzione professioale: personale precario che costi il meno possibile con un presunto professionista lautamente retribuito. In estrema sintesi: risparmiare sui dipendenti per poter destinare ad altri scopi i finanziamenti pubblici incamerati in un contesto di opacità gestionali, stravaganze, singolari coincidenze e potenziali conflitti di interesse.
Per comprendere a pieno quanto avvenuto è però necessario sapere chi sono i suoi attori principali. La presidente ed il vicepresidente della BNS sono entrambi membri influenti della SKGZ, vale a dire l'organizzazione che è »proprietaria indiretta« di tutti i locali utilizzati dalla BNS. La prima è componente dell'Esecutivo regionale della SKGZ, il secondo è invece presidente della SKGZ della provincia di Gorizia. Entrambi fanno poi parte del Consiglio di Sorveglianza della Società finanziaria per azioni »KB 1909«, »proprietaria diretta« dei locali in cui ha sede la biblioteca di Gorizia. Va aggiunto che per svolgere tale funzione i due vengono pagati, cosa non prevista per i componenti del CD della BNS. Il vicepresidente ha esplicitato il suo pensiero in merito nel corso di un incontro ufficiale del CD con uno dei dipendenti, quando ha affermato che l'incarico non remunerato presso la BNS è per lui un impegno marginale.
Vanno inoltre chiariti alcuni dettagli. La proprietaria dei locali utilizzati dalla biblioteca di Trieste è la Società finanziaria adriatica, il cui socio di maggioranza è, per tramite del Fondo Trinko e dell'Associazione benefica Tržaška matica, la SKGZ. La stessa è anche proprietaria, attraverso il Fondo Trinko, della quota di maggioranza delle azioni della KB 1909. Il terzo soggetto a cui la BNS ha corrisposto fino a poco tempo fa dei canoni di locazione è la Cooperativa a responsabilità limitata Slovenski Dom (nel 2010 ha percepito per un magazziono di circa 100 mq 4.523,59 € e nel 2011 4.561,29 €), che appartiene agli ambienti legati all'altra organizzazione maggiore della minoranza (lo Svet slovenskih organizaciji, Unione delle organizzazioni slovene). Va inoltre chiarito che la SSE era l'unica delle articolazioni della BNS che non pagava alcun affitto per i locali (inadatti) che occupava, mentre ora la BNS paga, per i locali in cui sono stati trasferiti parte del deposito della biblioteca triestina e parte del materiale della SSE dei canoni aggiuntivi alla ..... Società finanziaria adriatica.
Tali nuove spese vanno sommate a quelle pregresse, che non erano poca cosa. Nel 2010 la BNS avrebbero pagato 23.679,79 € per i locali occupati a Trieste e 20.009,36 € (ma, secondo altri calcoli 25.372,27 €) per quelli di Gorizia, per un totale presunto di 43.689,15 € (ovvero 49.052,06 €); nel 2011 ha speso 23.758,29 € per i locali a Trieste e 26.557,77 € per quelli a Gorizia, per un totale presunto di 50.316,06 €. La BNS avrebbe così speso nel 2010 per il solo utilizzo dei locali, il 14,13% dell'importo del contributo erogato dallo Stato italiano, percentuale salita nel 2011 fino al 15,63%. Quello che è più interessante è il fatto che nel 2010 di tali spese ben 9.579,9€ risulterebbero catalogate alla voce »accessori« a Trieste e 4.734,93€ a Gorizia (per un totale di 14.313,03€, il 32,76% della spesa totale per i locali). Nel 2011 la BNS avrebbe invece speso per »accessori« 6.733,11€ a Trieste e 6.312,22€ a Gorizia (13.045,33 € in totale, ovvero il 25,93% della spesa totale per i locali). E tale tipo di spesa è in costante aumento, a scapito delle spese per il personale.
La BNS – ma non è l'unico caso – finanziererebbe così con parte dei fondi pubblici ricevuti in funzione della sua attività, alcune imprese economiche: l'esatto contrario di quanto accadeva al momento della sua nascita. Appare evidente che i motivi e gli scopi di quanto accaduto non hanno nulla a che fare con la cura per l'esistenza e lo sviluppo della BNS e sono in palese contraddizione con l'affermazione che »la direzione della BNS deve cercare soluzioni tecniche e professionali, che non si riducano al solo licenziamento di personale« rilasciata dal presidente della SKGZ nell'aprile del 2010. Quello a cui assistiamo e la riproposizione di un modello già applicato in altri enti della minoranza: precarizzazione dei dipendenti gestiti da »manager« lautamente retribuiti di dubbia professionalità ma di certa affiliazione. Accanto a tutto questo esiste il fondato sospetto che si sia perseguito l'obbiettivo di liberarsi di quanti politicamente non allineati e impegnati sindacalmente.
Ma, giova ripeterlo ancora una volta, la BNS non è proprietà del direttivo, nemmeno dei suoi soci, perché vive esclusivamente grazie a finanziamenti pubblici. Inoltre l'accesso alla cultura e alla conoscenza non è un privilegio, un lusso, ma appartiene a quei beni e servizi che sono parte del salario indiretto, come l'assistenza sanitaria, i trasporti pubblici e così via.
L'accesso alla cultura e alla conoscenza è il presupposto indispensabile per uno sviluppo equilibrato di ogni singola persona e della società nel suo complesso. Che la BNS, come tutte le istituzioni culturali, appartenga e debba appartemere a tutti noi lo dimostrano anche le oltre duecento persone di varie nazionalità che su invito del nostro sindacato hanno presentato domanda di associazione alla BNS proprio per sostenere la sua esistenza e che sono ancora in attesa di una risposta alla loro richiesta. Invitiamo tutti a seguire il loro esempio.
Non è accettabile che nel momento in cui la BNS ha ottenuto il raddoppio dei finanziamenti pubblici, decida di licenziare il personale a tempo indeterminato, annunci la precarizzazione degli ipotetici nuovi assunti e proponga, al contempo, l'assunzione di un dirigente professionale, lautamente pagato.