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(castellano / italiano / francais.

Vedi anche: SANDZAK, ELOGIOS AL YIHAD



YIHADISTAS BOSNIOS CAEN EN EGIPTO


22/08/2013

Según recoge el diario bosnio “Dnevne novine” hace unos días en este artículo, el ejército egipcio ha detenido a varios ciudadanos de Bosnia y Herzegovina por los delitos de terrorismo y rebelión contra el gobierno egipcio que serán juzgado en breve.

La grabación publicada por la televisión egipcia “ONTV” muestra treinta terroristas detenidos, todos ellos miembros de Al Qaeda.

Los militantes han sido detenidos por la policía egipcia y las fuerzas militares especiales no sólo en El Cairo, sino en todo el país. Cientos de terroristas de Al Qaeda están detenidos y acusados de rebelión militar y el terrorismo, por lo tanto, serán “juzgados sumariamente.”

Todos los sospechosos estaban involucrados en ataques terroristas, hiriendo y matando a las fuerzas de seguridad egipcias y los civiles y en la rebelión armada contra el gobierno.

Uno de los sospechosos, que era el líder del grupo, dijo que él había venido de Pakistán, de una aldea en la frontera con Afganistán, junto con su primo que llegó de Afganistán.

Miembro de las fuerzas de seguridad le dijo “ONTV” que este grupo de extremistas ha demostrado que el terrorismo no conoce fronteras, porque los terroristas detenidos son procedentes no solo de Bosnia sino también de Afganistán, Pakistán y otros países europeos.

Según él, vinieron a Egipto el mes pasado, y algunos de ellos cruzaron ilegalmente la frontera antes de unirse a “Hermanos Musulmanes”, una organización radical que ha sido prohibida durante décadas en ese país.

Hablando de los terroristas bosnios, se dijo que llegaron a través de Estambul con un portátil que contiene “instrucciones para llevar a cabo ataques en El Cairo”. La policía cree que hay más islamistas bosnios que llegaron como parte de un paquete turístico.

El número de mezquitas en Bosnia y Herzegovina, donde se llevó a cabo un servicio especial para los muertos en la violencia en Egipto está creciendo. También hubo una protesta en Sarajevo que reunió a varios centenares de personas que se presentaron como miembros de la diáspora egipcia en Bosnia y Herzegovina.

La Comunidad Islámica en Bosnia y Herzegovina emitió una declaración en la que “el CI de Bosnia y Herzegovina” condena enérgicamente los asesinatos en masa brutales de los ciudadanos de Egipto y la violencia de que fue causada y llevada al cabo por las autoridades militares “, así como una ” llamada a detener de inmediato la violencia” y “devolver el poder al presidente democráticamente electo de Egipto Mohamed Morsi”.


VER MAS SOBRE EL ISLAMISMO RADICAL EN BOSNIAhttp://global-security-news.com/tag/radical-islam-in-bosnia/


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Crisi in Egitto: bosniaci arrestati per terrorismo

23 agosto 2013

Alcuni cittadini della Bosnia Erzegovina sarebbero in prigione al Cairo a seguito della loro partecipazione ai moti che stanno scuotendo l'Egitto.

Sono accusati di “terrorismo” e la maggior parte tra loro sarebbero arrivati nello scorso mese dalla Siria dove combattevano contro le forze leali ad Assad.

La notizia è stata diffusa dall'egiziana ONTV.

Le autorità islamiche della Bosnia Erzegovina hanno risolutamente preso le distanze da questi “estremisti” ma hanno confermato la loro solidarietà ai Fratelli Mussulmani: “Condanniamo la violenza brutale e la morte di cittadini egiziani, come condanniamo la violenza perpetrata dalle autorità militari” hanno scritto in un comunicato stampa, nel quale si chiede il ritorno del presidente Mohamed Morsi, eletto democraticamente.

In questi ultimi giorni in Bosnia Erzegovina numerose moschee hanno dedicato le loro preghiere alle vittime della violenza in Egitto. A Sarajevo è stata organizzata una manifestazione alla memoria delle vittime degli scontri al Cairo e nelle altre principali città egiziane.

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Le Courrier des Balkans

Crise en Egypte : des ressortissants bosniens arrêtés pour « terrorisme »


De notre correspondant à Sarajevo

Mise en ligne : vendredi 23 août 2013
Plusieurs citoyens de Bosnie-Herzégovine sont en prison au Caire suite à leur participation aux émeutes qui secouent la capitale égyptienne. Arrêtés par l’armée et accusés notamment de « terrorisme », la plupart d’entre eux seraient arrivés de Syrie, où ils se battaient contre les forces loyales au président Bachar el-Assad.

Par Rodolfo Toè


L’agence de presse de Republika Srpska, « SNRA », a repris cette information diffusée par la chaîne égyptienne ONTV, qui dispose d’images montrant une trentaine de personnes détenues dans une caserne militaire. Selon ONTV, il s’agirait de « terroristes » provenant de « Bosnie-Herzégovine, du Pakistan, d’Afghanistan et de pays européens ».

Ces hommes ont été arrêtés lundi 19 août et auraient « participé activement », selon les autorités égyptiennes, au soulèvement initié par les Frères musulmans et auraient « blessé ou tué des membres des forces de l’ordre et des civils ».

Les Bosniens arrêtés seraient entrés en Egypte de façon illégale, le mois dernier, pour soutenir les Frères musulmans. Il est très probable, selon Dževad Galjašević, expert en terrorisme islamique interviewé par Nezavisne Novine, que la plupart d’entre eux aient décidé de se rendre en Egypte après avoir combattu en Syrie.

Les autorités islamiques de Bosnie-Herzégovine se sont déclarées « étonnées » et ont résolument pris leurs distances de ces « extrémistes », mais confirment leur solidarité avec la « lutte » menée par les Frères musulmans : « nous condamnons la violence brutale et les meurtres de citoyens égyptiens, ainsi que la violence perpétrée par les autorités militaires », peut-on lire dans le communiqué officiel, qui « demande aussi la restitution des pouvoirs au président Mohamed Morsi, qui a été élu démocratiquement ».

Ces derniers jours en Bosnie-Herzégovine, de nombreuses mosquées ont dédié leurs prières aux victimes des violences en Egypte. A Sarajevo, une manifestation a été organisée en mémoire des victimes des affrontements au Caire et dans les grandes villes égyptiennes.




(english / italiano / hrvatskosrpski)

Hrvatska / EU: Okupacija u 26 slika

1) Croazia: caos alle frontiere e stop ai lavoratori anche da Parigi (S. Giantin, Il Piccolo)
2) The lure of membership fades as Croatia joins the European Union (O. Markovic, WSWS)
3) Ok a privatizzazione banca pubblica e prima assicurazione / Al via privatizzazione ferrovie statali (ANSA)
4) Hrvati opet izvisili: Njemačka koristi situaciju i traži jeftinije radnike izvan EU (D. Katalinić, Dnevno.hr)
5) Hrvatsku ne očekuje ništa dobro u Europskoj uniji (A. Filimova, Pravda.ru)
6) Okupacija u 26 slika (A. Sejdić, SRP)
7) Pobjeda jednoetničke Hrvatske (D. Vidović, SRP)


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Croazia: caos alle frontiere e stop ai lavoratori anche da Parigi 

di Stefano Giantin, su Il Piccolo del 4 luglio 2013

Non ci sarà alcun esodo di lavoratori, assicurano politici locali, studi e sondaggi. Ma nell’Europa della crisi economica e sociale in tanti non si fidano e preferiscono evitare qualsiasi problema. E così anche la Francia ha deciso. Stop ai croati, dal primo luglio a tutti gli effetti cittadini dell’Unione europea, che vogliano cercare lavoro in territorio transalpino. Come nel caso di bulgari e romeni, stessa sorte dunque anche per gli abitanti di Zagabria, Spalato e Ragusa.
Parigi ha deciso infatti di adottare «misure restrittive» per i croati che volessero lavorare in Francia, ossia l’obbligo di «essere in possesso di una carta di soggiorno» e di una «autorizzazione di lavoro», si specifica su Service-Public.fr, il sito ufficiale dell’amministrazione pubblica francese. Se le restrizioni per romeni e bulgari cadranno a partire dal 31 dicembre 2013 – e così gli abitanti di Sofia e Bucarest «beneficeranno della stessa libertà di circolazione» di tutti gli altri cittadini Ue –, per i croati l’“embargo” francese durerà invece «come minimo fino al 30 giugno 2015» e potrà «essere prolungato per altri tre anni», fino all’estate del 2018.
Ed eventualmente per ancora 24 mesi, sempre che «la situazione» relativa alla «disoccupazione in Francia lo giustifichi», aggiunge la nota. Francia che così, malgrado i calorosi abbracci tributati alla Zagabria entrante nell’Ue da tutti i membri dell’Europa che conta, si unisce a un “gruppone” di Paesi europei che sembrano non fidarsi delle non buone condizioni economiche della Croazia, temendo una fuga verso lidi più felici, almeno sulla carta, dei lavoratori locali. Gruppo che finora comprende, ricorda l’agenzia di stampa croata Hina, «Germania, Austria, Paesi Bassi, Cipro, Gran Bretagna, Slovenia, Belgio, Spagna e Lussemburgo».
Naturalmente, specifica la Hina, Zagabria ha sempre «il diritto di reciprocità», ossia quello di imporre restrizioni simili a cittadini Ue dei Paesi sopra riportati che vogliano cercare impiego all’interno dei confini croati. Confini, il nuovo “limes” dell’Ue a sbarrare la strada al resto dei Balcani, che da due giorni hanno cominciato a produrre i primi temuti problemi. Problemi che si sono registrati in particolare alla dogana tra Croazia e Serbia a Batrovci-Bajakovo, dove in due giorni si è formata una colonna di camion che ha raggiunto in alcuni momenti i 15 chilometri. Tutto a causa di una falla nel sistema informatico doganale installato in Croazia, che ha impedito ai doganieri di Zagabria di smaltire il traffico di Tir, rimasti fermi sul versante serbo. Circa 1.200 camionisti, con i nervi a fior di pelle, sono così stati costretti ad attendere sotto il sole, in coda, che il problema venisse risolto. Ma il collo di bottiglia, tra Serbia e Croazia-Ue, ancora resiste, mentre tonnellate di derrate alimentari trasportate dai Tir rischiano di dover essere gettate tra i rifiuti.


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The lure of membership fades as Croatia joins the European Union

By Ognjen Markovic 
1 July 2013


Today, Croatia joins the European Union (EU) as its 28th member-state. Much as was the case with the last EU expansion in 2007, when poverty-stricken Bulgaria and Romania joined, the decision to grant membership to crisis-ridden Croatia was based more on political and geo-strategic considerations than on economic ones. The lure of membership has faded since the early days, after the break-up of the former Yugoslavia in the 1990s and Croatia’s formal application to join the bloc in 2003.

Under conditions of deepening social austerity and economic crisis within Croatia and continent-wide, Croatia’s politicians have tried to present its joining the EU as a significant step forward. They have also clearly signalled that further austerity is coming.

Premier Zoran Milanovic of the ruling Social Democratic Party (SDP), who describes himself as a “social democrat, free marketeer, libertarian”, declared, “There will be plenty of possibilities, a plethora of possibilities, a new market, new chances. You might get them if you work hard, if you prepare well, but you can also end up as a loser...which would be a curse.” Milanovic added, “We’re under pressure...to downsize spending and explain to people there are no entitlements for life.”

However, a number of EU and international policy makers and analysts have voiced concerns about Croatian accession, particularly in Germany, whose recognition of Croatia and Slovenia in 1991 sparked the dissolution of Yugoslavia. The speaker of the German parliament, Norbert Lammert, stated bluntly last October that “Croatia is clearly not yet ready for membership,” and more recently, Bild magazine called the country a “new cemetery for EU billions.” The German Parliament was the last in Europe to ratify the accession treaty, only doing so last month.

The Croatian population has also lost its previous enthusiasm for the EU. Almost 80 percent of the population supported accession in 2000 and less than 10 percent were against. Latest polls show only 45 percent view the accession as a positive move. In the EU membership referendum in January 2012, extensively promoted as a historically significant decision, only 43.5 percent of the voters bothered to show up. This was even lower than the 54 percent turnout for the parliamentary elections held a month earlier.

It should be added that all of the parliamentary political parties called for a yes vote at the time, leaving half of the population opposing the EU with no political voice whatsoever.

The disastrous social conditions plaguing Croatia as it accedes to the EU expose the nationalist claims made at the time—that independence would bring prosperity to the whole nation—as nothing but lies.

Largely dependent on international capital, the Croatian economy was hit hard by the financial crisis of 2008, going into deep recession in 2009 and staying there ever since. The country’s GDP is now almost 12 percent lower than in 2008, and even the most optimistic estimates forecast a further contraction this year, with virtually no growth in 2014. Foreign direct investment has plunged 80 percent since 2008, and last year was at its lowest level since 1999.

Croatia’s credit rating was downgraded to junk status in recent months, and, with interest on government 10-year bonds of over 6 percent, the former head of the International Monetary Fund’s mission to Zagreb, Nikolay Gueorguiev, called the country “a hostage to sentiment on international markets.”

As in other former Stalinist countries in Eastern Europe, the criminal dismantling and privatisation of former state-run industries—a process dictated by the EU and international capital—have enriched a tiny, corrupt elite and pauperised the working class. A staggering 80 percent of the manufacturing base has been lost. Official unemployment is 20 percent, and more than 50 percent amongst the youth. At the same time, prices are skyrocketing. One recent study found that utilities were as expensive as in Germany, but the average wages are only a third of the German level.

Presiding over and enforcing such social inequality, the political elite as a whole stands largely discredited in the eyes of the population.

First of all, there is the right-wing, conservative Croatian Democratic Union (HDZ), which has ruled Croatia for all but some five years since independence. Made up of nationalist right-wing émigrés, conservative Catholic layers and ex-Stalinists—its infamous leader Franjo Tudjman was a former Yugoslav army general—its long legacy in power has left it widely despised today and rife with corruption. In what is only the tip of the iceberg, former premier Ivo Sanader, who succeeded Tudjman as HDZ head, was sentenced to 10 years in prison in 2011 for accepting bribes in excess of €5 million.

The SDP, the other political pillar of the Croatian bourgeoisie, is likewise discredited. It was the successor to the former League of Communists of Croatia, the Croatian branch of the League of Communists of Yugoslavia. The SDP was briefly in power between 2000 and 2003 and then the recipient of a protest vote against HDZ in the last elections in 2011, ruling with minor coalition partners since and continuing with the same policies.

In 2012, the SDP-led government imposed an austerity budget and increased Value-Added Tax by 2 percent to 25 percent—the highest in Europe after Hungary and Iceland. Latest surveys show that only 23.8 percent of voters support the SDP, a 10 percent drop from just a year ago. The HDZ, even though currently in opposition, polls even lower at 21.5 percent, and none of the smaller parties come even close.

Croatia is the second of the ex-Yugoslav republics—Slovenia was the first in 2004—to be admitted into the EU. Slamming the door on accession is seen as carrying even more significant risks. Throughout the decades-long attacks on the position of the working class in Eastern Europe, EU politicians and their local counterparts have justified the process as a necessary “transition” to a more stable and prosperous market economy. The continent-wide crisis is exploding this lie. The ruling class fears that the working class is realising that austerity is not only the “new normal,” but a prelude to their further impoverishment and a threat to capitalist rule.

Croatian foreign minister Vesna Pusic admitted as much in a recent Financial Times ( FT ) interview: “If the EU loses its soft power, then it loses the power to stabilise southeast Europe. And without stabilising southeast Europe, the danger of instability spreading from southeast Europe, from the southern Mediterranean and from the Middle East into Europe, becomes much bigger.”

The FT also points to wider, geo-strategic considerations behind Croatian membership, commenting, “Southeast Europe is the continent’s transition zone to the Middle East; political ferment in Turkey and war in Syria lie just beyond.” Croatia has been a vital link in the supply of weapons to the Western-backed Syrian “rebels, via Jordan and Saudi Arabia, helped by the CIA.

Earlier this year, the New York Times revealed that there had been “a combined 36 round-trip flights between Amman and Croatia from December through February” and that these carried weapons including “a particular type of Yugoslav-made recoilless gun, as well as assault rifles, grenade launchers, machine guns, mortars and shoulder-fired rockets for use against tanks and other armored vehicles.”

Croatia was thus conveniently serving imperialist interests in arming the Syrian Islamist-dominated opposition, while the official EU arms embargo was still in force, and the US preferred, at that stage, not to be too directly associated with arming them.



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Croazia, ok a privatizzazione banca pubblica e prima assicurazione

Il governo croato ha dato oggi il via libera alla privatizzazione di due società operanti nel settore finanziario, l’ultima banca ancora di proprietà pubblica e la maggiore società assicurativa in Croazia. Lo scopo, secondo il ministro delle Finanze, Slavko Linic, è realizzare per l’erario un entrata consistente che potrà aiutare le finanze pubbliche a ridurre il deficit del bilancio e il debito estero.
Saranno messe in vendita il 50 per cento delle azioni della Croatia Osiguranje, maggiore società per le assicurazioni del Paese che opera con consistenti profitti. Il valore della società, con un’ottima posizione sul mercato croato e immobili di ingente valore, e’ stimato a circa 400 milioni di euro. Lo Stato croato continuerà a controllare il 25 per cento delle azioni. L’altra società in via di privatizzazione, la Hrvatska postanska banka, detiene l’otto per cento del settore bancario in Croazia, ed è stimata a circa 200 milioni di euro. Al nuovo proprietario sarà probabilmente richiesto di presentare anche un piano di ricapitalizzazione.
I bandi saranno pubblicati nei prossimi giorni, scadranno a metà settembre, mentre le decisioni sugli acquirenti dovrebbero essere note a ottobre.

www.ansa.it 19 luglio 2013

Croazia: al via privatizzazione ferrovie statali

La società croata per il trasporto ferroviario, la Hz Cargo, sarà venduta nelle prossime settimane alla romena Feroivar, parte del gruppo Grampet. Lo ha annunciato il ministro dei Trasporti croato, Sinisa Hajdas Doncic, dopo la conclusione del bando per la privatizzazione, spiegando che l’offerta giunta dalla Romania era la migliore. La vendita fa parte di un grande piano di ristrutturazione e privatizzazione delle ferrovie croate, avviato dal governo di centro-sinistra.
L’acquirente romeno si farà carico di tutti i debiti e delle garanzie statali dell’Hz Cargo, per circa 120 milioni di euro, e dovrà investire altri 30 milioni di euro nella modernizzazione dei treni. In futuro saranno banditi i concorsi per la privatizzazione di altri settori delle ferrovie croate.

www.ansa.it 23 luglio 2013


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Hrvati opet izvisili: Njemačka koristi situaciju i traži jeftinije radnike izvan EU

Javni poziv nezaposlenima izvan Europske unije samo je još jedna u nizu pljuski najjačeg europskoga gospodarstva istočnim članicama Europske unije, čiji nezaposleni radnici, među kojima su i Hrvati, očajnički čekaju završetak ograničenja koje su razvijenije članice Unije uvele za radnu snagu iz siromašnjih članica, među kojima je opet Hrvatska

Autor: Dražen Katalinić

I dok se gotovo sve europske zemlje bore s rastućom nezaposlenošću, Njemačka je početkom tjedna prvi put objavila popis poslova na kojima želi angažirati radnike, ali iz zemalja koje nisu članice Europske unije! Konkretno su naveli da traže medicinske sestre, njegovatelje za starije osobe, stručnjake iz područja robotike, električare i strojovođe. Kao razlog navode nedostatak radne snage zbog starenja populacije, a ministrica rada Ursula von der Leyen poručuje kako su im potrebni kvalificirani imigranti da bi se osigurala dugoročna dobrobit Njemačke.

Javni poziv nezaposlenima izvan Europske unije samo je još jedna u nizu pljuski najjačeg europskoga gospodarstva istočnim članicama Europske unije, čiji nezaposleni radnici, među kojima su i Hrvati, očajnički čekaju završetak ograničenja koje su razvijenije članice Unije uvele za radnu snagu iz siromašnjih članica, među kojima je opet Hrvatska. Zanimljivo, Njemačka je s Hrvatskom (i Filipinima) prije našeg ulaska u Europsku uniju imala bilateralni sporazum za privlačenje radnika, posebno medicinskih sestara, no najnoviji poziv radnicima za zaposlenje u Njemačkoj više se ne odnosi na Hrvate, jer smo punopravna članica EU. Ipak, predsjednik Hrvatskog društva ekonomista dr. Ljubo Jurčić navodi da je riječ o deficitarnim zanimanjima u Njemačkoj u kojima su Hrvati nalazili posao i za koja se još uvijek mogu prijaviti, no pitanje je hoće li dobiti posao zbog velike konkurencije.
Radnici izvan Europske unije su jeftiniji od radne snage u EU, posebno radnici iz Indije, Pakistana, Bliskog istoka i Afrike koji će raditi za dvostruko nižu nadnicu od Hrvata i tu bi mogao nastati problem – pojašnjava Jurčić. Europska je unija prihvatila model slobodnog kretanja ljudi i kapitala, podsjeća Jurčić, a Njemačka ima višak kapitala, ali manjak ljudi, dok je u Hrvatskoj situacija obrnuta – nemamo kapitala, ali imamo jako puno nezaposlenih i takvu situaciju, koju susrećemo kod siromašnijih zemalja, Njemačka koristi, što baš nije u duhu europske suradnje, zaključuje Jurčić.

Direktora američkog Instituta za svjetske probleme u Hrvatskoj dr. Slavka Kulića takav stav Njemačke uopće ne čudi. Navodi da smo mi Hrvati prijateljstvo između Njemačke i Hrvatske shvatili na način da će nam Njemačka uvijek pomagati i otvarati tržište rada samo za nas, što je potpuno pogrešno razmišljanje.
Prema podacima portala MojPosao.net u prvih sedam mjeseci ove godine u Hrvatskoj su objavljena 334 oglasa za radnim mjestima u inozemstvu, a za rad u Njemačkoj bila su ukupno 64 oglasa ili 19 posto od ukupnog broja inozemnih oglasa. Najviše oglasa rad u Njemačkoj odnosilo se na građevinarstvo i geodeziju, zatim poslovi vezani uz održavanje, popravke i instalacije te IT stručnjaci i poslovi vezani uz telekomunikacije. Hrvati su se, pak, najviše javljali na oglase u kojima su se tražili programeri, voditelji gradilišta i građevnski radnici.
Da će Hrvati i radnici siromašnih članica EU zaista dobiti veliku konkurenciju pri zapošljavanju ne samo u Njemačkoj nego i cijeloj EU, govori i takozvani plavi karton, agenda koju je izdala Eurospka komisija, a koji svim visokookvalificiranim imigranitima izvan EU i njihovim obiteljima jamči sva socijalna prava koja uživaju državljani Europske unije.

Zadnja Promjena: Srijeda, 24 Srpanj 2013 18:53


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Hrvatsku ne očekuje ništa dobro u Europskoj uniji


29. srpanj 2013. pravda.ru
Hrvatska je postala članica Europske unije. Kakve posljedice donosi ulazak Hrvatske u EU za portal Pravda.ru govori Ana Filimonova, znanstvena suradnica Centra za proučavanje suvremene balkanske krize.

Bez obzira na optimistična očekivanja jednog dijela hrvatske političke elite, Hrvatsku u Europskoj uniji ne očekuje tako vedra budućnost kako se to moglo očekivati. Postoje nesretni primjeri država Istočne Europe (Bugarska, Rumunjska, Mađarska i Poljska) koji su od 2004. ušli u EU. Na njihovom primjeru vidimo jednu te istu tužnu sliku. Kod tih zemalja karakteristični su moćni degradacijski procesi u društvenom i ekonomskom području. Osnovni pokazatelji kvalitete života (razina vanjskog duga, nezaposlenost, životni vijek, odljev stanovništva) padaju i zasad se taj proces ne zaustavlja. Čak se ne može naslutiti ni njegova stagnacija.  
U Hrvatskoj su se ti isti procesi primjećivali i prije ulaska u EU. Ogromni rast vanjskog duga premašuje 40 mlrd. dolara, to je katastrofalna brojka za tako malenu državu. Mađarska ima dug od 50 mlrd. dolara, to je brojka koja se ne da usporediti s nacionalnim budžetom.
Vrlo je visoka nezaposlenost. U Hrvatskoj iznosi oko 20%, no među mladima ta brojka je naprosto zastrašujuća – 50%. Ove zime napravljena je sociološka anketa u kojoj se pokazalo da bi samo 7% hrvatske mladeži željelo ostati u Hrvatskoj. 93% je spremno napustiti svoju domovinu i otići u Austriju, Italiju, Njemačku, SAD, Kanadu.
Potpuno uništenje bankarskog nacionalnog sustava. Sva su nacionalna financijska središta okupirana od strane austrijskih i talijanskih banaka, a sad nakon što je Hrvatska ušla u Europsku uniju u potpunosti će izgubiti svoj nacionalni financijski sustav.
Loša je situacija u proizvodnji, u tom sustavu događa se ista stvar: Njemačka kupuje proizvođačke linije, one postaju njemačkom proizvodnjom a sav prihod se izvozi iz Hrvatske. Hrvatska proizvodnja se zatvara. Država živi na račun turizma.
U Njemačkoj se jasno vidi tendencija nezadovoljstva s tim što je Hrvatska ušla u EU. Djelomično se čuju tvrdnje da je to još jedna država u kojoj će propadati njihove milijarde. 
Hrvatska je na granici ekonomske recesije koja se s poteškoćom zaustavlja. Vlada se oštro kritizira, mnogi je smatraju za jednu od najnetalentiranijih vlada u proteklih 20 godina, budući da slijepo ispunjava sve zahtjeve europske, briselske birokracije. Sve to dovodi do zaključka da se pred Hrvatskom nazire grčko-ciparski scenarij. Morat će napraviti velike strukturne reforme zbog kojih će dobiti udarac po nacionalnoj društvenoj i ekonomskoj strukturi. Recimo, nedavno je vlada Hrvatske donijela odluku da će se plaćati poziv hitne pomoći koji neće koštati manje od 200 eura. Argumentiraju time da postoji jako puno lažnih poziva. No u plaćanje se računa korištenje opreme za reanimaciju, odnosno ako se ona upotrebljava, to znači da poziv nije bio lažan. Taj primjer lijepo prikazuje stanje hrvatske medicine.   
Tijekom ove godine u Hrvatskoj su bili veliki društveni prosvjedi. Ljudi postaju svjesni da ulazak u Europsku uniju neće riješiti ekonomske probleme, samo će pogoršati socijalne prilike u državi“. 
Je li Hrvatska imala neki drugi put osim ulaza u EU?
„Sve balkanske države ovako razmišljaju: što da radimo, mi geografski pripadamo Europi, oko nas je samo Europska unija i države NATO-a. Kako država može biti jača, ako će se podčinjavati institucijama Europske unije i euroatlantskim integracijama, ispunjavati njihove zahtjeve te još više slabjeti i uništavati vlastitu nacionalnu državnost? Danas Europa nije više ono što je bila šezdesetih i sedamdesetih godina, za vrijeme njezinog procvata kad je gospodarila određena društvena ravnopravnost i pravednost.
Pogledajte što se dogodilo s Bugarskom nakon ulaska u EU. Stanovništvo se tijekom zadnjih 10 godina katastrofalno smanjilo. Državu nazivaju zemljom europskih penzionera koji iznajmljuju svoju imovinu u Europi, kupuju jeftine stanove u Bugarskoj i žive tamo od te razlike. Slični procesi se primjećuju i u Mađarskoj. Osim toga, Mađari trenutno jako prosvjeduju, pokušavaju obnoviti nacionalnu ekonomiju.
Hrvate je uvijek karakterizirao zdravi pragmatizam. Upravo je zbog toga za hrvatsku elitu jasno da u ovim uvjetima primjeri istočnoeuropskih država govore o jako mračnoj perspektivi. I zasad takva ista budućnost očekuje Hrvatsku.“

Ana Filimonova je znanstvena suradnica Centra za proučavanje suvremene balkanske krize Ruske akademije znanosti.

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Okupacija u 26 slika



Prvi mjesec hrvatskog članstva u EU obilježila je vrlo dinamična aktivnost Vlade RH na polju uspostavljanja reda i poretka u državi. To bi bilo za svaku pohvalu jer je kriminalna anarhija stvorena od strane “stranaka s hrvatskim predznakom” velikoj većini građana već odavno dozlogrdila. No, postavlja se pitanje svrhe i ciljeva tih mjera te kome one trebaju donijeti poboljšanje. Da li svim građanima RH, jednom dijelu hrvatskog društva ili nekome trećem. Intencija aktualne hrvatske vlade, kako njeni članovi tvrde, je ispravljanje negativnosti stvorenih za vrijeme HDZ-ovskih vlada. Pitanje je je li to baš tako ili se aktivnost aktualne vlade može shvatiti kao nastavak procesa započetog stjecanjem tzv. neovisnosti.

Da se radi o kontinuitetu jedne antinarodne politike moglo se zaključiti po najnovijem nizu poteza Vlade. Prvi je bio objava da se ide u prodaju Hrvatske poštanske banke i Croatia osiguranja. Nebitno je tko će preuzeti udjele u tim poslovnim subjektima jer njihovom privatizacijom hrvatsko društvo iz svojih ruku ispušta oruđe razvoja, odnosno, kreiranja razvojnog kapitala. Posebna je zanimljivost, što je praksa u cijeloj istočnoj Europi, privatiziranje domaće (hrvatske) državne firme kao što je bio slučaj privatizacije Hrvatskog telekoma od strane njemačke državne firme. Mazohistički dodatak na cijelu tragikomediju bio je svojevremeni izbor namještenika njemačke državne kompanije na mjesto predsjednika Hrvatske udruge poslodavaca.

Druga mjera vrijedna pažnje je povećanje trošarine na motorna goriva što predstavlja jasan dokaz kontinuiteta politike ove sa svim prethodnim hrvatskim vladama. Vrijedi zabilježiti skoro pa antologijsku izjavu ministra financija koji je ustvrdio da će se ti novci vratiti građanima. Jasno je kome se novac uzima. Uzima se svima jednako, bez obzira na primanja, no ministar nije pojasnio kome se, kojem dijelu građanstva, taj novac vraća. Striktno logički gledano, ako se novac uzima svima, a isti u punom iznosu vraća samo određenim klasama građana, onda se ne može reći da se on nekamo vraća. On se nekome daje. Pitanje je kome. I zašto?

Sljedeća postaja hrvatske propasti se zove monetizacija cesta. Ministar financija je domoljubno izjavio da ceste ne (pro)daju ispod tri milijarde eura dok se i sam premijer našao ponukanim da miroljubivo i razborito, u maniri svog prethodnika na čelu stranke, objasni kako je alternativa monetizaciji otpuštanje 30 % zaposlenih u državnim i javnim službama. Jer za njihove plaće, bez monetizacije, novaca nema.

Tu treba napraviti prvu međupostaju u rješavanju ove zagonetke koja to u biti i nije. Premijer i njemu potčinjeni ministri nisu pokazali nimalo razumijevanja za probleme tisuća radnika koji su ostali bez posla tijekom njihovog mandata. Samo mali dio novaca koji se troši i koji će biti potrošen na birokratsku klasu bi spasio mnoga poduzeća, poslovne subjekte kadre stvoriti novu vrijednost, od stečaja. Spasio bi brodogradnju, koja prema izračunima bivšeg direktora riječkog 3. maja ionako posluje pozitivno, jer brodogradnja svojom djelatnošću, neposrednom i kroz kooperante, državnom proračunu daje više no što prima. Svejedno, vlada steže omču oko vrata brodogradnje dok junački brani privilegije klase preplaćenih parazita i neradnika, klase višestruko uvećane od vremena propasti “birokratskog komunističkog sustava”.

Na ovom stupnju razmatranja sve je banalno jasno. Vlada, kako ova tako i prethodne, uzimaju svima kroz trošarine, PDV i slično i daju odabranima. Isto tako, ova i sve prethodne vlade smatraju da imaju pravo prodavati zajedničku stečevinu svih građana Hrvatske, uključujući i protjeranih Srba, a da bi osigurali ugodnu egzistenciju jednom dijelu hrvatskih građana. Samo po sebi se nameće pitanje motiva takvog postupanja. On sigurno nije altruistički premda se u krajnjoj instanci građane opomene da bi odustajanje od takvih mjera dovelo u pitanje isplate mirovina. Prijetnja je to koja svakog savjesnog građanina uznemiri, a osobito umirovljenike i njihove nezaposlene članove obitelji. Prijetnja je to koju je otvoreno uputila ministrica vanjskih poslova pred referendumom o pristupu Hrvatske Europskoj uniji. Ista je prijetnja došla i ovih dana.
U momentu pristupanja EU, u Hrvatskoj je istekao rok za pokretanje postupka za legalizaciju bespravno sagrađenih građevinskih objekata. Podneseno je preko 700 000 zahtjeva, s tim da se veliki broj zahtjeva ne bavi samo jednom nekretninom, već sa više njih. Prema tome, u Hrvatskoj će se legalizirati preko milijun bespravno sagrađenih objekata. Veliki dio njih je sagrađen u vrijeme prijašnjeg sustava kad je društvo stimuliralo izgradnju vikendica, no još više posljednjih dvadesetak godina. Tu se ističu dvije kategorije nekretnina: stambene jedinice koje su sagradili građani protjerani iz BiH, te nekretnine, mahom turističke namjene, izgrađene na moru zadnja dva desetljeća. Radi se o ogromnom bogatstvu hrvatskih građana, ali i budućem velikom poreznom utegu oko vrata vlasnika tih nekretnina. Građani su rado platili postupak legalizacije vlasništva dok je država napravila popis nekretnina o trošku samih vlasnika. Kad vlada, ova ili neka buduća, krene s uvođenjem poreza na nekretnine, većina tih građana će se naći u situaciji da neće moći servisirati svoje “dugove”.
Tu je i problem tzv. fiskalizacije. Jasno je da se treba uvesti reda na tržnicama, kao i svugdje, no postavlja se pitanja svrsishodnosti. Pitanje je koliko će država dobiti od toga, a koliko će ljudi izgubiti kakvu-takvu egzistenciju ostvarenu kroz, neki put polulegalni, rad na tržnicama. Najvjerojatniji rezultat ove mjere, bio on njegov cilj ili ne, je usmjeravanje građana na velike trgovačke centre gdje cijene hrane već divljaju.

Nekretninama, kao mjerama bogatstva, se bavi i zakon o podrijetlu imovine. Kako je to slavodobitno opisala novinarka HTV, također pripadnica armije parazita, građani će morati dokazati gdje su stekli dvjesto tisuća eura za kupnju kuće te da se objašnjenja poput preminulog ujaka u Americi bez dokaza o tome neće prihvaćati.
Posljednja je mjera osobito intrigantna i iritantna. Vrlo različiti ljudi se stavljaju u istu košaru. S kriminalcima koji su izbjegli ruci pravde, a svi veliki kriminalci u Hrvatskoj su je izbjegli, bile bi izjednačene na desetke, ako ne i stotine, tisuća građana koji su, izgubivši nadu za zaposlenje u domovini, posao našli izvan granica Hrvatske. Radi se tu, prije svega, o desecima tisuća mornara, naftaša, profesionalnih vozača, te građevinskih radnika. Ova kategorija ljudi uglavnom radi izvan EU, rade za male, ponekad iznimno male, nadnice. U (prešutnom) dogovoru s poslodavcima, neplaćanje poreza u matičnoj zemlji se podrazumijeva. Veći prihodi se ostvaruju velikim brojem radnih sati. Ti ljudi odsustvuju od svojih obitelji šest, osam ili deset mjeseci na godinu. Oni se ne vode u statistikama za nezaposlenost jer ih je revna Račanova vladao već odavno otud izbrisala. Oni u Hrvatsku donose više svježeg novca od famoznog turizma jer se radi o milijardama dolara na godinu. Za antipod ovoj grupi građana mogu se uzeti dobro plaćeni državni službenici, a osobito vlasnici mnoštva uspješnih privatnih tvrtki koje imaju samo jednog klijenta – državu. Te strukture legalno, no ne i legitimno, pljačkaju državu prelijevajući društveno u svoje privatno. Njih ove mjere neće obuhvatiti, no neke buduće, socijalističke, će se morati pozabaviti i njima.

Iz gore navedenog, može se zaključiti da se država bavi isključivo sama sobom i svojim ogromnim i neefikasnim birokratskim aparatom. Sve se čini da se očuva njegov status premda je jasno da to ne može ići unedogled. Prije ili kasnije, država će morati srezati svoj aparat za gore spomenutih trideset, ili čak i više, posto. Jasno je da i članovi vlade razumiju ovu jednostavnu i neumitnu matematiku, no oni uporno nastavljaju s istom politikom. Razlozi za takve postupke svih naših vlada izlaze izvan okvira ovog članka te će biti objašnjeni u posebnom članku, no za sada treba samo razumjeti da birokratski aparat, u nekoj većoj slici, nema funkciju da služi svojoj državi i narodu, već da stvara deficit i zemlju gura u dugove. Kad se zemlja zaduži do dizajnirane razine, birokratski će aparat biti djelomično demontiran. No tada će već biti kasno za bilo kakve suštinske promjene.

Tijekom povijesti, pojedinci ili narodi su dolazili u ovakvu bezizglednu situaciju nakon velikih nepogoda poput suša, poplava, najezde skakavaca, peronospore, agresije i okupacije barbara i slično. Hrvatskoj se nijedna od spomenutih nedaća nije dogodila, no dogodio joj se ekvivalent za sve njih uzetih skupa. Dogodio joj se HDZ. HDZ je uništio industriju, poljoprivredu i domaću znanost te stvorio klijentalističko društvo u kome su postupno u građane drugog reda gurane cjele skupine stanovništva. Započeli su sa Srbima da bi danas tamo završili svi koji nisu povezani s vlašću. Oni su doveli državu u stanje u kome nijedna vlast skoro da nema manevarskog prostora. Oni su krivi za stvaranje uvjeta za potpuno podjarmljivanje Hrvatske od strane neoimperijalističkih i neokolonijalnih snaga. Ipak, politika prethodnih vlada ne abolira aktualnu. Sadašnja vlada predstavlja zlosretan spoj iskustva i mladosti, spoj makijavelizma i potpune nekompetentnosti. Aktualni ministar financija je još prije dvanaest godina svojim glasačima, opljačkanim i ojađenim radnicima, objasnio da SDP nije stranka rada, već stranka kapitala. Navedene mjere aktualne vlade, a one mahom dolaze iz Ministarstva financija, to zorno i pokazuju. Još gore je s Ministarstvom gospodarstva gdje je na čelo došla osoba koja spada među iznimne raritete. Naš vrli ministar iskreno vjeruje u najprimitivniju filozofiju ikad oblikovanu ljudskim umom. On vjeruje u nevidljivu ruku tržišta. On vjeruje u investicije. Veliki “privatni ulagači” će doći u Hrvatsku, investirati svoje novce, cijelih 50 milijardi kuna, te nas izvući iz kronične krize. Po podacima iz javnih medija od prije dvije godine, jedan od najbogatijih Hrvata, poduzetnik i gradonačelnik, u to je vrijeme dvije trećine svog bogatstva (radi se o 50 milijuna kuna) radije držao oročeno u banci umjesto da investira u zemlju koja mu je omogućila da se vine od mjesta skladištara u lokalnom poduzeću do političke, poslovne i medijske zvijezde. Pedeset milijuna kuna predstavlja jedan promil od potrebnih milijardi o kojima ministar sanja. Jasno je da bogati Hrvati, čak i kad bi htjeli, ne mogu investirati potrebnu sumu. Trebaju doći stranci, investitori koji će odustati od Kine, Turske, Poljske itd. da bi došli u Hrvatsku. Ako zanemarimo nacional-romantičnu retoriku, jedini razlog dolaska investitora bila bi niska cijena rada. Onoliko niska koliko je potrebno.

Spomenuta dva ministra predstavljaju paradigmu mučne hrvatske realnosti. Oni su nastavljači zločina koji je započeo prije dvadeset i tri godine. Svjesno ili nesvjesno, oni produbljuju krizu i zemlju drže na pogrešnom kursu. Oni su, baš kao i stotine tisuća pripadnika njihove klase, odgovorni za sadašnjost i budućnost, tim prije što su

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Croazia, Unione Europea. La linguista Snježan Kordić subisce violente intimidazioni perché da sempre sostiene scientificamente il carattere unitario della lingua serbocroata. La sua macchina è stata fatta oggetto di teppismo dai nazionalisti locali.
S. Kordic da anni porta avanti pressoché in solitudine la sua limpida attività di slavista: nel mondo accademico europeo prevalgono infatti squallide figure di opportunisti, del tipo di quelli che hanno subito diviso e rinominato le cattedre di lingua serbocroata in cattedre di "croato", "serbo", eccetera, non appena è scoppiata la guerra fratricida nel 1991... con la benedizione della Unione Europea. Fascismo euro-universitario!

Sul lavoro di S. Kordic e sulla surreale controversia linguistica serbo-croato-bosgnacco-montenegrina si veda la documentazione raccolta alla nostra pagina:

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VANDALI U AKCIJI


Jezikoslovki Snježani Kordić pred stanom razbijen auto


Pred zgradom u kojoj živi u Zagrebu, Snježani Kordić, jezikoslovki koja je tezom da su hrvatski i srpski jedan policentrični jezik uzburkala jezikoslovne i nacionalističke duhove u Hrvatskoj i Srbiji, zasad nepoznati počinitelj razbio je vjetrobransko staklo na automobilu

Automobil je razbijen prošlog vikenda, a vandalski čin prijavljen je policiji koja je u nedjelju obavila očevid. Razbijač se popeo na auto kako bi nogom polupao staklo i pritom ostavio vidljive otiske cipela na limariji. 
Kordić želi zadržati kakvu-takvu anonimnost u Hrvatskoj nakon što je, kako tvrdi, primila brojna prijeteća pisma zbog svoje knjige 'Jezik i nacionalizam' u kojoj kritizira dobar dio domaće jezikoslovne zajednice.
Podsjetimo, u spomenutoj knjizi objavljenoj 2010. kod Durieuxa Kordić je pisala o kroatistici, razgradila mitove o jeziku i naciji, ukazala na učinke jezičnog purizma, a ono što je najviše uzburkalo strasti bila je teza o hrvatskom i srpskom kao jednom policentričnom jeziku kojim govori nekoliko nacija u nekoliko država, s prepoznatljivim nacionalno uvjetovanim razlikama, kao u slučaju engleskog, njemačkog, francuskog i drugih takvih jezika. 
Znanstvenica koja je petnaest godina predavala na sveučilištima u Njemačkoj svoj je stav potkrijepila i dokazima, među kojima i onima o graničnoj zoni za uvrštavanje u isti jezik koja se nalazi između 75 i 85 posto međusobne razumljivosti, a hrvatski i srpski čak su znatno iznad tog postotka. Reakcije na knjigu i na preko trideset intervjua autorice bile su vrlo burne i u Srbiji.




http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1846

Fidel. Auguri, e grazie anche per la Pace

13 agosto 2013 

Buon compleanno a Fidel Castro! Fra i tanti aspetti del suo agire politico, ricordiamo il suo ruolo di attore internazionale contro le guerre infinite; anzitutto per prevenirle. Come è stato per  Hugo Chavez.
Non c’è dubbio che Fidel abbia sempre ispirato il fermo impegno di Cuba in tutte le sedi (a cominciare dall’Onu) contro l’incubo della guerra nucleare. ma anche direttamente contro le guerre imperialiste che ci hanno fatto ingollare con la “dittatura mediatica”, per citare una sua espressione.
Un breve riepilogo sul ruolo di Cuba di fronte alle cinque guerre di bombardamenti portate avanti dall’Occidente e dai loro alleati.
Novembre 1990, Iraq. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu approva una risoluzione che autorizza il ricorso alla forza contro l’Iraq e un ultimatum per il 15 gennaio. E’ in pratica l’avallo alla terribile guerra che seguirà. Cuba, membro non permanente del Consiglio quell’anno, è l’unica a votare risolutamente contro – insieme allo Yemen. La Cina si astiene.
Baghdad, 1991. Un medico cubano di origine palestinese, Anuar, aiutava i colleghi iracheni nell’emergenza del dopoguerra e dell’embargo. In seguito, le brigate mediche internazionali di Cuba mandate negli epicentri del bisogno sono diventate un grande esercito pacifico.
Jugoslavia 1999. Sul quotidiano Granma il 25 marzo Cuba immediatamente esprime la propria posizione contro la “ingiustificata aggressione Nato contro la Jugoslavia, capeggiata dagli Stati uniti”, senza autorizzazione Onu. Pochi giorni dopo Fidel invita gli jugoslavi a “resistere, resistere e resistere”: lo ricorda anni dopo nel suo articolo Le guerre illegali dell’impero [*] parlando di un “unipolarismo oltraggioso, sostenuto da un impero guerrafondaio, che si erge a polizia mondiale. [**]
2001, Afghanistan. Il 23 settembre Fidel Castro avverte che attacchi militari Usa sull’Afghanistan potrebbero avere conseguenze catastrofiche e dichiara l’opposizione di Cuba sia alla guerra che al terrorismo. Anni dopo, nel 2009, Fidel spiega che il ritiro del Nobel per la pace da parte di Barack Obama è stato un “atto cinico” visto il continuo impegno di guerra in Afghanistan “incurante delle vittime”, e visto che gli Usa sono una super potenza imperiale con centinaia di basi militari dispiegate in tutto il mondo e duecento anni di interventi militari".
2003, Iraq. Alla vigilia della nuova guerra annunciata, quasi tutti gli ambasciatori e relativi staff partirono in fretta. Non Cuba. L’ambasciatore e parte dello staff rimasero là, sotto le bombe, e per noi pacifisti dell’Iraq Peace Team, quell’ambasciata era un’isola di pace. L’ambasciatore partì solo all’arrivo dei marines: “non riconosciamo gli occupanti” ci disse salutandoci.
Marzo 2011. Fidel Castro, in un suo articolo del 3 marzo, chiede al mondo di sostenere la proposta negoziale per la Libia avanzata da Hugo Chavez, appoggiata ufficialmente dai paesi dell’Alba: “Il presidente bolivariano sta portando avanti un encomiabile sforzo per trovare una soluzione senza l’intervento della Nato in Libia. Le sue possibilità di successo saranno maggiori se egli otterrà l’appoggio di un ampio movimento di opinione a favore dell’idea, prima che si verifichi l’intervento armato e non dopo, per evitare che i popoli debbano veder ripetere altrove l’atroce esperienza dell’Iraq”. Se i movimenti e i popoli avessero dato seguito a questo appello, i paesi dell’Alba sarebbero diventati mondialmente un “pool di pronto intervento per la pace”. Chi, negli ultimi due anni – diciamo dall’inizio della guerra Nato alla Libia – ha sperimentato la difficoltà dell’impegno per la pace, nell’assordante silenzio della sinistra occidentale e del fu movimento pacifista, è a Cuba, al Venezuela e a pochi altri che ha fatto riferimento. Non a caso, nel  corso dei bombardamenti, è un cubano (Rolando Segura di Telesur) il giornalista che a Tripoli si discosta dall’esaltazione mediatica della guerra e della “rivoluzione”. Nel frattempo, da Cuba, Fidel definisce le operazioni Nato "un crimine mostruoso" e "genocidio".
2012 e 2013, Siria. Cuba si oppone ai tentativi di spacciare per umanitaria l’ingerenza Nato e petromonarchica in Siria. A questa ingerenza anche armata che ha fomentato una guerra devastante, Cuba e pochi altri – fra questi Venezuela, Bolivia, Nicaragua – hanno detto no in molte circostanze, quasi in solitudine, sia a Ginevra (Consiglio dei diritti umani dell’Onu) che a New York (Assemblea generale dell’Onu, l’ultima volta in maggio, i soliti 12 no e 57 astenuti). All’apice della propaganda internazionale, l’ambasciatore cubano a Ginevra dopo il massacro di Houla dichiarava: “(...) Il più elementare senso di giustizia deve impedire che si attribuiscano responsabilità a partire da semplici insinuazioni di parti interessate a promuovere la destabilizzazione e l’intervento militare straniero in Siria, per i quali i paesi della Nato dedicano notevoli risorse, finanziando e armando un’opposizione che soddisfi le loro ansie di cambio di regime in questo paese (...). La condotta di alcuni membri della Nato nella regione dell’Africa del nord e del Medio Oriente, i loro ingiustificabili bombardamenti, i crimini contro i civili indifesi e il silenzio complice di fronte alle azioni d’Israele contro il popolo palestinese, sostengono le tesi che non è precisamente la promozione e la protezione dei diritti umani la legittima motivazione del dibattito che oggi ci occupa“. (...)
Marinella Correggia


--- NOTE  a cura di CNJ-onlus:


[*] http://www.cubadebate.cu/reflexiones-fidel/2007/10/01/las-guerras-ilegales-imperio/

Las guerras ilegales del imperio

Cuando se inicia la guerra de Estados Unidos y sus aliados de la OTAN en Kosovo, Cuba definió de inmediato su posición en la primera página del periódico Granma, el 26 de marzo de 1999. Lo hizo a través de una Declaración de su Ministerio de Relaciones Exteriores con el título de “Cuba convoca a poner fin a la injustificada agresión de la OTAN contra Yugoslavia.”

Tomo párrafos esenciales de aquella Declaración:

“Después de un conjunto de dolorosos y muy manipulados sucesos políticos, prolongados enfrentamientos armados y complejas y poco transparentes negociaciones en torno a la cuestión de Kosovo, la Organización del Tratado del Atlántico Norte lanzó al fin su anunciado y brutal ataque aéreo contra la República Federativa de Yugoslavia, cuyos pueblos fueron los que más heroicamente lucharon en Europa contra las hordas nazis en la Segunda Guerra Mundial. “Esta acción, concebida como ‘castigo al gobierno yugoslavo’, se realiza al margen del Consejo de Seguridad de la ONU.

[...]

“La guerra lanzada por la OTAN reaviva los justos temores de la humanidad por la conformación de un unipolarismo insultante, regido por un imperio guerrerista, erigido a sí mismo en policía mundial y capaz de arrastrar a las acciones más descabelladas a sus aliados políticos y militares, de manera similar a como ocurriera a principios y en la primera mitad de este siglo con la creación de bloques belicistas que cubrieron de destrucción, muerte y miseria a Europa, dividiéndola y debilitándola, en tanto los Estados Unidos fortalecían su poderío económico, político y militar. “Cabe preguntarse si el uso y el abuso de la fuerza solucionarán los problemas del mundo y defenderán los derechos humanos de las personas inocentes que hoy mueren bajo los misiles y las bombas que están cayendo sobre un pequeño país de esa culta y civilizada Europa. “El Ministerio de Relaciones Exteriores de la República de Cuba condena enérgicamente esta agresión de la OTAN contra Yugoslavia, liderada por los Estados Unidos

[...]

“En estos momentos de sufrimiento y dolor para los pueblos de Yugoslavia, Cuba convoca a la comunidad internacional a movilizar sus esfuerzos para poner inmediato fin a esta injustificada agresión, evitar nuevas y aún más lamentables pérdidas de vidas inocentes y permitirle a esta nación retomar la vía pacífica de las negociaciones para la solución de sus problemas internos, asunto que depende única y exclusivamente de la voluntad soberana y la libre determinación de los pueblos yugoslavos.

[...]

“La ridícula pretensión de imponer soluciones por la fuerza es incompatible con todo razonamiento civilizado y los principios esenciales del derecho internacional.

[...]

De continuarse por este camino, las consecuencias podrían ser impredecibles para Europa y para toda la humanidad.”

Con motivo de estos hechos, había enviado el día anterior un mensaje al presidente Milosevic, a través del embajador yugoslavo en La Habana y de nuestro embajador en Belgrado. “Le ruego comunique al presidente Milosevic lo siguiente:

"Después de analizar cuidadosamente todo lo que está sucediendo y los orígenes del actual y peligroso conflicto, nuestro punto de vista es que se está cometiendo un gran crimen contra el pueblo serbio y, a la vez, un enorme error de los agresores, que no podrán sostener, si el pueblo serbio, como en su heroica lucha contra las hordas nazis, es capaz de resistir.

“De no cesar tan brutales e injustificables ataques en pleno corazón de Europa, la reacción mundial será aún mayor y mucho más rápida que la que desató la guerra en Vietnam. “Como en ninguna otra ocasión en los últimos tiempos, poderosas fuerzas e intereses mundiales están conscientes de que tal conducta en las relaciones internacionales no puede continuar.

“Aunque no tengo relación personal con él, he meditado mucho sobre los problemas del mundo actual, creo tener un sentido de la historia, un concepto de la táctica y la estrategia en la lucha de un pequeño país contra una gran superpotencia y siento un odio profundo hacia la injusticia, por lo que me atrevo a transmitirle una idea en tres palabras:

“Resistir, resistir y resistir".

“25 de marzo de 1999.”

Fidel Castro Ruz.

 1º de octubre de 2007

 6:14 p.m.


[**] Si veda anche la nostra pagina sul CARTEGGIO CASTRO-MILOŠEVIĆ:

https://www.cnj.it/documentazione/fidelcastro.htm

Contiene:

Lettera di Milosevic a Castro del 30 marzo 1999
I messaggi di Castro a Milosevic del 2 e 5 aprile 1999 e la risposta

ed i link:

Reflexiones del Comandante en Jefe
Prensa Latina

Fidel Castro: Il ruolo genocida della NATO (ottobre 2011 - estratto)

Fidel Castro: A Silent Complicity (October 2007)

Castro says Spain's Aznar sought to bomb Serb media (Reuters - Sep 30, 2007)
http://groups.yahoo.com/group/Yugoland/message/31885
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5679

Fidel Castro on Kosovo and US tyranny (June 2007)
Castro on  'tyrant' Bush / Needing affection - Der Tyrann besucht Tirana / Bedürftig nach Zuneigung

Fidel Castro sul Kosovo (giugno 2007)

https://www.cnj.it/documentazione/fidelcastro.htm



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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
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JAT PRIPADA NARODU A NE ETIHADU

Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ) najoštrije protestuje protiv privatizacije Jugoslovenskog aerotransporta, ponosa socijalističke privrede i saobraćaja Jugoslavije, koji je buržoaska pro-imperijalistička Vlada Srbije za budzašto predala u ruke kompaniji Etihad iz Ujedinjenih Arapskih Emirata.


Prodaja JAT-a predstavlja novu pljačku imovine koju je decenijama stvarao radni narod Jugoslavije i još jedan pokazatelj da buržoaska Vlada nije u stanju da vodi ekonomiju zemlje već da joj je jedini cilj da rasprodaje vredna državna preduzeća stranim i domaćim kapitalistima. Zaista je smešno hvalisanje prvog potpredsednika buržaoske vlade, Aleksandra Vućića o prijateljstvu sa vladarskom kućom Ujedinjenih Arapskih Emirata, ako se zna da je reč o jednoj od najrepresivnijih istočnjačkih despotija, čije su oružane snage zajedno sa vojskom Saudijske Arabije gušile narodni ustanak u Bahreinu. Reč je o zemlji u kojoj se na najbrutalniji način eksploatišu radnici, koja vodi anti-narodnu politiku i potpuno je odan saveznik zapadnog imperijalizma na čelu sa Sjedinjenim Američkim Državama. Eto ko su “prijatelji” kojima se Vučić diči, a ono što ih očito spaja je pro-imperijalistička i buržoaska politika. O kakvoj je pljački državne imovine reč, dovoljno je reći da je Etihad potpisivanjem ugovora postao vlasnik manjinskog dela akcija JAT-a ali je dobio i upravljačka prava što faktički znači da je postao njen glavni vlasnik i to za svega 40 miliona evra. Pri tome, država Srbija je na sebe preuzela dugovanja JAT-a u iznosu od 200 miliona evra i socijalni program za “višak” radnika. Prvi potez novog rukovodstva kompanije koja se sada zove Er Srbija će biti otpuštanje 500 zaposlenih u JAT-u čije otpremnine neće finansirati novi kapitalistički vlasnik već će sredstva za to biti obezbeđena iz budžeta Srbije. Razlog za otpuštanje 500 zaposlenih nije “višak” radnih mesta kako bestidno lažu predstavnici buržoaske države i novog kapitalističkog vlasnika iz azijske despotije već potreba da Etihad ostvari za što kraće vreme što veći profit a najbolji i najjednostavniji način za to je otpuštanje radnika. Jedno od opravdanja buržoaskih vlasti za sramnu prodaju JAT-a je da je ta kompanija u dugovima. To je tačno, ali te dugove je napravio menadžment koji su postavljale buržoaske stranke na vlasti. Na isti način je postavljeno i dosadašnje rukovodstvo JAT-a što nedvosmisleno ukazuje da je i aktuelna buržoaska Vlada, isto kao i njen vodeći deo Srpska napredna stranka na čelu sa Aleksandrom Vučićem, kriva za propadanje kompanije. Državna imovina je sistematski uništavana u Srbiji u poslednjih 13 godina, njom su rukovodili kadrovi buržoaskih stranka koje nisu imale nameru da tu imovinu i njen kapital unapređuju, već samo da “ispumpavaju” novac za partijske potrebe. Dakle, JAT nije upao u dugove jer je bio državno preduzeće, već zato što je njime u poslednjih 13 godina rukovodila buržaoazija koja niti je htela niti je znala sa njim da upravlja na adekvatan način. Zbog toga je JAT kao i druga privatizovana preduzeća bio sistematski uništavan kako bi njegovo ekonomsko loše stanje bio “argument” za privatizaciju.

A da država, kojom upravlja radnička klasa, jeste dobar vlasnik avio i svakog drugog preduzeća pokazuje primer da je JAT, osnovan davne 1947. godine, u socijalističkom periodu izgradnje bio 10 aviokompanija u Evropi po broju prevezenih putnika i da je sam prevezao više putnika nego sve kompanije nastale iz njega na prostoru bivše Jugoslavije. Zbog toga NKPJ kategorički zahteva da se antinarodna odluka o privatizaciji nacionalnog prevoznika JAT-a poništi, da se ukine odluka o otpuštanju 500 njegovih radnika, da vlasnik kompanije ostane država a da na njenom čelu budu stručni a ne kadrovi buržoaskih partija, koji će znati da uspešno rukovode i unaprede njen rad.

Sekretarijat Nove komunističke partije Jugoslavije

Beograd,

05.avgust 2013. godine





Dall'Oglio. Applauditemi ora


9 agosto 2013

Stampatevi questo articolo e conservatelo con cura. Perchè un giorno potrete mostrare ai vostri figli il primo articolo che descrive dettagliatamente quello che si è verificato dopo un po’ di giorni: il trionfale ritorno in Italia del gesuita Paolo dall’Oglio, accompagnato da Yohanna Ibrahim e Bulos Yazigi – i due vescovi cristiano-ortodossi rapiti ad Aleppo il 21 aprile 2013 – e, forse, pure dal giornalista Domenico Quirico, rapito in Siria il 9 aprile.
Per sapere chi sia Paolo Dall’Oglio, che molti si ostinano a definire un “pacifista”, vi consiglio di leggere quanto da egli pubblicato, il 28 luglio, sul giornale di Lucia Annunziata “Huffington Post Italia” dove il “religioso”, tra l’altro, inneggia all’uso delle armi chimiche per costringere l’Occidente ad un ruolo più risoluto nell’aggressione alla Siria. C’è di più e di peggio. Ad esempio il suo appoggio adAl Qaeda, rappresentata in Siria da Abu Bakr al Baghdhadi sulla cui testa (almeno, secondo i media Mainstream) penderebbe una taglia americana da dieci milioni di dollari.
Basta leggere, a tal proposito, le sue sconcertanti ammissioni riportate da Famiglia Cristiana «Sono arrivato oggi (il 27 luglio, ndr) a Raqqa (città sotto il controllo di Al Baghdhadi, ndr) e sono contento per due ragioni: sono sul territorio siriano in una città liberata e sono stato bene accolto. La gente nelle strade si sente libera e questa è l’immagine della madre patria che auspichiamo per tutti i siriani. Ovviamente nulla è ancora completato, ma l’inizio è buono».
Tra l’altro, non è la sua prima apertura di credito ad Al Qaeda. Basta leggere quiqui o quest’altra sua dichiarazione: ” (…) Il jihadismo è il fatto di prendere le armi per ristabilire la giustizia. È la guerra santa islamista. Ci sono islamisti democratici e jihadisti democratici, così come ci sono jihadisti estremisti, radicali, clandestini, criminali, in rapporto con i servizi segreti siriani e con le mafie dei narcotrafficanti”. Dei combattenti di Al Qaeda dice: “Sottolineo che sono fratelli e sorelle in umanità. Nei miei dialoghi con loro, ho riconosciuto degli uomini e delle donne che hanno una passione religiosa, un sentimento religioso che condivido. Sono persone impegnate ma innamorate di giustizia“.
Del resto, come egli ribadisce: “Per noi siriani della rivoluzione, la riconciliazione tra forze islamiste radicali e forze democratiche è una necessità strategica. Le scaramucce dolorose e i crimini insopportabili avvenuti tra noi devono trovare soluzione, essere riassorbiti, per presentarci uniti di fronte al pericolo totale rappresentato dal regime, appoggiato direttamente o indirettamente da troppi. Il tentativo di seminare guerra intestina tra le forze anti-Assad (a prescindere dal necessario intercettamento e disinnesco delle derive criminali) deve fallire. Questo gli agenti e i consiglieri militari americani (sottolineature nostre) farebbero bene a capirlo subito. Favorire i partner più affidabili, incoraggiare le evoluzioni più auspicabili è buono. Spingerci ad ammazzarci tra di noi non può esserlo.”
Rivalutare Al Qaeda. Sopratutto dopo lo sdegno (che cominciava ad avere anche nei media Mainstream) per gli efferati criminiche questa organizzazione andava compiendo nei territori da essa “liberati” in Siria e che aveva, tra l’altro, portato alla frantumazione del “fronte anti Assad”.
Rivalutare Al Qaeda. E cosa c’è di meglio di un’ operazione di marketing editoriale meticolosamente preparata? Dapprima una misteriosa “missione umanitaria” (tenuta segreta anche alla Farnesina, al Vaticano e alla Nunziatura apostolica a Damasco) in un’area infestata dalle milizie di Al Qaeda (annunciata da Dall’Oglio sulla sua pagina Facebook); poi un “rapimento” che si conquista i titoli di testa di TV e giornali, (messo in dubbio solo da pochi attenti giornalisti); poi lo stillicidio di comunicati di non meglio precisati “attivisti siriani” e le evidenti “bufale” (come il messaggio SMS inviato dal “rapito”) strombazzati dai media…. Tutto sembra concorrere ad una clamorosa operazione, da rappresentarsi in piena estate, con i mass media a corto di “notizie”.
Per sdoganare Al Qaeda: il “Lupo di Gubbio” di Padre dall’Oglio. E, al soldo – dichiarato – dell’Occidente, impegnarla, a pieno titolo, nella guerra alla Siria.
 La stessa operazione mediatica della – falsa – esecuzione di Bin Laden che, il 2 maggio 2011, servì a “ripulire” Al Qaeda del suo impresentabile leader e impegnarla, a pieno titolo, nella guerra alla Libia.
Fantapolitica? Vedremo nei prossimi giorni. Intanto, un consiglio: applauditemi oggi, eviterete la fila.

Napoli, 9 agosto 2013

Francesco Santoianni




2 AGOSTO 2013 / 2. AVGUST 2013

80 anni fa la proibizione
Ob 80-letnici prepovedi


Ottant’anni fa, nei giorni precedenti la solennità dell’Assunta (Rožinca), ai sacerdoti della forania di San Pietro al Natisone fu notificato il decreto governativo che proibiva l’uso della lingua slovena nelle celebrazioni liturgiche e nell’insegnamento del catechismo, mettendo fine a una prassi millenaria della Chiesa locale. L’ordinanza, voluta e firmata dallo stesso duce Benito Mussolini, fu l’apice della politica snazionalizzatrice ed etnocida intrapresa dall’Italia fin dall’annessione della Slavia al regno sabaudo e spinta al massimo dal regime fascista. «Un popolo mettetegli la catena, spogliatelo, tappategli la bocca: è ancora libero. Toglietegli il lavoro, il passaporto, la tavola dove mangia, il letto dove dorme: è ancora ricco. Un popolo diventa povero e servo quando gli rubano la lingua adottata dai padri. È perso per sempre, diventa povero e servo!», ha efficacemente scritto il poeta sciliano Ignazio Buttitta. Era il 15 agosto del 1933 quando il parroco don Giuseppe Gorenszach diede l’annuncio ai fedeli di San Leonardo: «Oggi il parroco alla prima messa lesse in italiano quanto segue. Ieri sera sono stato chiamato nella caserma dei RR.CC. (Reali Carabinieri, ndr) di S. Leonardo dal sig. Tenente di detta arma e da esso ebbi ordine – a nome di S. E. il prefetto di Udine di parlarvi da oggi in poi in lingua italiana. In italiano le prediche, i catechismi e la Dottrina Cristiana ai fanciulli. È data facoltà, fino a nuovo ordine, di riassumere in lingua vernacola, quanto prima si dice in lingua italiana. Devo dirvi, infine, che tutti i Catechismi Sloveni sono stati sequestrati…».

Numerose sono le testimonianze tramandate dai sacerdoti dell’epoca. Nel libro storico parrocchiale, il cappellano di Lasiz, Antonio Cuffolo, afferma che prima di arrivare alla proibizione della lingua slovena, ci fu una campagna di calunnie nei confronti dei sacerdoti locali. Scrive così Cuffolo nella Cronaca della cappellania di Lasiz: «Cominciarono le calunnie ora a carico di uno, ora a carico dell’altro sacerdote. […] Quando ai nemici sembrò che l’ambiente fosse già impressionato il tenente dei RR. CC. invitò i più terribili sacerdoti della zona e cioè i cappellani di Lasiz, Antro, Mersino e Vernasso (rispettivamente don Cuffolo, don Cramaro, don Simiz e don Qualizza, ndr) per il giorno 16 agosto nella caserma dei Carabinieri di S. Pietro. Il tenente presentò ai quattro sacerdoti per la firma una imposizione per la quale da quel giorno non avrebbero più usato la lingua locale nelle preghiere, nella predicazione e nella dottrina cristiana. I sacerdoti protestarono contro l’arbitraria imposizione contraria alle leggi naturali, ecclesiastiche ecc. Ne nacque una violenta discussione che minacciava serie conseguenze. In conclusione i quattro sacerdoti alla dichiarazione preparata dal tenente aggiunsero di proprio pugno: “I sottoscritti accetteranno soltanto se l’ordine verrà dato dall’Autorità Ecclesiastica od almeno attraverso la stessa”. Detta dichiarazione fece andare su tutte le furie il tenente, ma i sacerdoti non si fecero impressionare». I sacerdoti si rivolsero allora all’arcivescovo di Udine mons. Giuseppe Nogara per chiedere quale fosse l’atteggiamento da tenere in questa situazione. L’arcivescovo raccomandò di accettare tutte le disposizioni per evitare sanzioni ancora più severe, o addirittura il confino. L’ultimo discorso ufficiale in sloveno fu quello del cappellano di Tercimonte in occasione della festa dell’Assunzione nella Chiesa di Vernasso. Le ripercussioni della proibizione furono immediate e tragiche. Oltre alla perdita delle tradizioni locali, del ricchissimo repertorio dei canti popolari, furono profondamente danneggiati anche l’associazionismo e la vita religiosa. «Dopo oltre mille anni – scrive Cuffolo – contro tutte le tradizioni, contro tutte le leggi della Chiesa, con danno evidentissimo per le anime solo perché il detto “il duce lo vuole” aveva impedito all’autorità ecclesiastica di prendere francamente una posizione, è avvenuto un cambiamento nella cura d’anime. Per le strade, osterie, municipi, botteghe, esattorie si parlerà, si farà i propri interessi adoperando la lingua materna, solo in chiesa sarà proibita. Proibiti i canti tradizionali e preghiere che non saranno più sostituiti. Il nemico della Chiesa ha raggiunto lo scopo, “il duce lo vuole”»! Del resto Mussolini e i suoi seguaci avevano ben compreso che solo sradicandola dalla religione, avrebbero potuto infliggere un colpo mortale alla lingua slovena. In ottant’anni tante cose sono cambiate e gli sloveni della provincia di Udine si sono visti riconosciuti dall’Italia i propri diritti linguistici, ma dalla violenza perpetrata dal regime fascista nel 1933 le valli del Natisone e del Torre, Resia e Valcanale non si sono mai completamente riprese. Lo testimonia l’attuale drammatica condizione, non solo linguistica.

 

Avgusta 1933 je fašistični režim prepovedal uporabo slovenskega jezika v farah videnske nadškofije. To je imelo hude posledice, ki se še danes vidijo.




(Sulla pulizia etnica delle Krajine e della Slavonia si vedano anche:

La cancellazione della Repubblica Serba di Krajina: crimini di guerra e desaparecidos 
https://www.cnj.it/documentazione/index.htm#rsk

Pulizia etnica in Croazia
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7679 )


La festa dei generali croati assolti dall'Aja 

Dario Saftich

"la Voce del Popolo", 6 agosto 2013

La Croazia ha festeggiato ieri solennemente la Giornata della Vittoria e del Ringraziamento patriottico, con una serie di cerimonie svoltesi in tutto il Paese. Ma la manifestazione centrale a Knin, l’ex caposaldo della ribellione serba espugnato dalle truppe di Zagabria il 5 agosto di diciotto anni fa, è trascorsa soprattutto nel segno della sentenza di appello del Tribunale internazionale dell’Aja, con la quale i generali croati Ante Gotovina e Mladen Markač sono stati assolti dall’accusa di crimini di guerra commessi durante e dopo l’operazione “Tempesta”, che portò nell’estate del 1995 alla liberazione dei territori fino a quel momento in mano alle formazioni paramilitari serbe.

Ovazioni per Gotovina e Markač

I due generali, presenti per la prima volta alle celebrazioni a Knin, assieme a Ivan Čermak assolto dalla Corte dell’Aja già in primo grado, sono stati accolti dalla folla con autentiche ovazioni. Alla vigilia della celebrazione il generale Gotovina è stato proclamato cittadino onorario di Sinj e anche socio onorario della Società cavalleresca dell’Alka.

Salve di fischi per Milanović

Al contrario dei generali, il premier Zoran Milanović è stato salutato con salve di fischi, non appena è stato annunciato il suo intervento. E grida e fischi non sono mancati nemmeno durante il suo discorso. Zoran Milanović ha sottolineato che a Knin è stata difesa la Croazia, non con i crimini, ma con il cuore e l’ingegno. Il premier ha ricordato che il percorso croato verso l’Unione europea è stato lungo e travagliato, sicuramente il più difficile mai avuto da un Paese comunitario. Da rilevare che i fischi a Milanović sono stati duramente condannati anche dall’ex premier Jadranka Kosor.

Tendere la mano ai serbi

Qualche breve fischio ha accompagnato pure l’intervento del presidente della Repubblica, Ivo Josipović, il quale si è congratulato con il generale Gotovina per la brillante vittoria nell’operazione “Tempesta”. Siamo orgogliosi del successo in guerra, ma apprezziamo soprattutto la pace, ha rilevato ancora il Capo dello Stato, esortando a tendere la mano a coloro che durante il conflitto erano schierati dall’altra parte e a riconoscere il fatto che a voler bene alla Croazia sono anche gli appartenenti alle minoranze nazionali.

Il presidente del Sabor, Josip Leko, ha sottolineato nel suo discorso che la Croazia con la vittoria di diciotto anni fa si è garantita il suo futuro. “I difensori hanno gettato le basi per tutti i nostri attuali valori”, ha concluso Josip Leko.

Alzabandiera e sfilata

La cerimonia a Knin è cominciata, come di consueto, con l’alzabandiera sulla fortezza che sovrasta la città. La rocca è stata poi sorvolata da un MIG dell’aeronautica militare croata, mentre i cannoni hanno sparato a salve. Poi ha avuto luogo la sfilata degli appartenenti alle Forze armate, alla Polizia e alle associazioni dei reduci di guerra verso il monumento che ricorda l’operazione “Tempesta”.




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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
http://www.facebook.com/cnj.onlus/

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(francais / english / italiano)

UE e USA sempre complici del regime mafioso in Montenegro

0) LINKS
1) FLASHBACK: 1999, USAID IN MONTENEGRO (M. Andolina, 13 maggio 2013)
2) Montenegro: stallo presidenziale (24 aprile 2013)
3) Official opposition protests Montenegro presidential election result (24 April 2013)
4) Monténégro : capitalisme, économie rentière et État de droit (Klaus-Gerd Giesen, 9 février 2011)
5) FLASHBACK: 2006, EU BACKS ELECTORAL FRAUDS TO GAIN MONTENEGRO (IN)DEPENDENCE / LA UE "COPRE" LE FRODI ELETTORALI PER OTTENERE LA (IN)DIPENDENZA DEL MONTENEGRO

Sulla complicità della UE con la creazione dello Stato-mafia in Montenegro si vedano anche gli altri testi raccolti al nostro sito:
https://www.cnj.it/documentazione/cetnici.htm#montenegro


=== 0: LINKS ===

Dall'archivio di OBC:
- Inchiesta speciale: il caso Nacional 
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Inchiesta-speciale-il-caso-Nacional
- Djukanovic indagato per mafia: un anno di sospetti 
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Djukanovic-indagato-per-mafia-un-anno-di-sospetti
- Djukanovic nel mirino della Procura di Napoli
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Djukanovic-nel-mirino-della-Procura-di-Napoli
- Le sigarette di Djukanovic e l'indipendenza del Montenegro
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Le-sigarette-di-Djukanovic-e-l-indipendenza-del-Montenegro
- Bruciatura di sigaretta
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Bruciatura-di-sigaretta
- Sotto il segno della mafia
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Sotto-il-segno-della-mafia

Ðukanović e il processo a Bari
Mustafa Canka | Ulcinj 15 febbraio 2011
Dopo che lo scorso dicembre il premier montenegrino Milo Ðukanović ha dato le dimissioni, i media ipotizzano la riapertura del processo a suo carico, per contrabbando di sigarette, avviato dalla procura di Bari. Possibilità che l'ex premier e il suo legale escludono categoricamente
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Dukanovic-e-il-processo-a-Bari-88919 
Trafic de cigarettes : Milo Ðukanović bientôt jugé à Bari ?
OBC, 15 février 2011
La justice italienne a mis en cause Milo Ðukanović dès 2003 dans le vaste trafic de cigarettes transitant par le Monténégro qui a inondé l’Italie entre 1994 et 2002. En tant que Premier ministre, Ðukanović bénéficiait jusqu’à présent de l’immunité diplomatique mais, après sa démission en décembre 2010, le parquet de Bari pourrait rouvrir son procès. Explications.
http://balkans.courriers.info/article16948.html

Trafic de cigarettes au Montenegro : l’UE ouvre quatre enquêtes
B92, 3 octobre 2012
L’Office européen de lutte anti-fraude a ouvert quatre enquêtes sur des affaires de contrefaçon et de contrebande de tabac. Dans les années 1990, le Monténégro était la plaque tournante d’un vaste trafic international de cigarettes dont le principal organisateur ne serait autre que Milo Ðukanovic, ancien Premier ministre et tête de liste de la majorité aux prochaines législatives.
http://balkans.courriers.info/article20821.html

Le Monténégro après les présidentielles : un vol « professionnel et efficace »
Monitor, 16 avril 2013
Plus d’une semaine après les élections du 7 avril, les résultats définitifs n’ont toujours pas été confirmés, même si le sortant Filip Vujanović s’est proclamé vainqueur. Alors que ses recours ont été rejetés, Miodrag Lekić, décidé à ne pas se laisser voler la victoire, appelle à des manifestations. En visite lundi à Podgorica, la Haute représentante européenne Catherine Ashton n’a même pas jugé bon de rencontrer l’opposition...
http://balkans.courriers.info/article22265.html

Monténégro : au carrefour des routes de la drogue et du blanchiment d’argent 
B92, 18 avril 2013
Le dernier rapport d’Europol tacle le Monténégro, soulignant que le petit pays se trouve toujours au carrefour des routes du trafic de drogue et du blanchiment d’argent. Les oligarques russes investissent notamment des sommes d’origine douteuse qui irriguent la spéculation immobilière et l’économie légale.
http://balkans.courriers.info/article22271.html

Monténégro : des milliers de manifestants dénoncent la « fraude électorale »
Vijesti, 20 avril 2013
Environ 10.000 personnes selon les journalistes – mais 5000 selon la police – ont manifesté aujourd’hui dans le centre de Podgorica à l’initiative des partis de l’opposition pour demander l’annulation du résultat des élections présidentielles du 7 avril, qu’ils qualifient de « fraude électorale », et la tenue d’un nouveau scrutin.
http://balkans.courriers.info/article22312.html

Monténégro : la Commission électorale entérine la victoire de Filip Vujanović
Par Milica Bogdanović - Vijesti, 22 avril 2013
Filip Vujanović restera Président de la République. La Commission électorale d’État (DIK) a confirmé lundi l’élection du candidat du Parti démocratique des socialistes (DPS), malgré les recours déposés par l’opposition, qui dénonce des fraudes massives.
http://balkans.courriers.info/article22323.html

Monténégro : vers un dépeçage en règle de l’université publique
Par Predrag Nikolić - Monitor, 17 mai 2013
Le projet de loi sur la réforme de l’enseignement supérieur présenté par le ministre de l’Education menace l’autonomie de l’Université d’Etat, et place celle-ci en position de faiblesse face à sa concurrente privée, soutenue et financée par le Premier ministre Milo Đukanović.
http://balkans.courriers.info/article22529.html

Monténégro : sept ans après l’indépendance, un pays plombé par la crise
Vijesti, 21 mai 2013
Le 21 mai, le Monténégro a célébré le septième anniversaire de l’indépendance dans la division. L’opposition dénonce toujours la réélection frauduleuse du Président Vujanović. Au pouvoir depuis 1989, la majorité DPS de Milo Đukanović apparaît fragilisée par la crise. Alors que tous les indicateurs économiques sont au rouge, elle continue de jouer la carte des tensions identitaires pour rester au pouvoir. Une erreur fatale ?
http://balkans.courriers.info/article22536.html


=== 1: FLASHBACK ===

USAID IN MONTENEGRO

Da: MARINO ANDOLINA 

Oggetto: R: [JUGOINFO] USAID sotto accusa

Data: 13 maggio 2013 10.07.57 GMT+02.00

A: Coord. Naz. per la Jugoslavia 

A proposito di USAID e interferenze USA in Sud America, ricordo il 1999 quando la Yugoslavia veniva bombardata dalla NATO. Mentre le bombe cadevano su Podgorica (Montenegro) un collaboratore del presidente Djukanovic era a Washington presso la sede dell'USAID e riceveva un contributo di 10 milioni di dollari per il "sostegno ai pensionati montenegrini". Il versamento avveniva su di un conto cifrato di una banca svizzera.
Io feci la cattiveria di pubblicare quel numero di conto su di un articolo del  giornale GLAS di Banja Luka. Scrivevo: pensionati montenegrini, volete ritirare la vostra pensione? Andate in Svizzera e citate questo numero segreto.
Tutte le copie del giornale furono acquistate immediatamente dal governo montenegrino.
Marino Andolina  


=== 2 ===

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Montenegro-stallo-presidenziale-134602/

Montenegro: stallo presidenziale

Mustafa Canka - Ulcinj 24 aprile 2013

Dopo le elezioni presidenziali il Montenegro è entrato in una profonda crisi politica. L’opposizione contesta l'esito elettorale mentre il governo invita a risolvere tutti i problemi all’interno del quadro istituzionale. Probabili elezioni anticipate in autunno

Il Montenegro è nuovamente in stallo. Nonostante la Commissione elettorale statale, a due settimane dalla fine delle elezioni, abbia proclamato come vincitore il candidato del Partito democratico dei socialisti (DPS) Filip Vujanović, l’opposizione ritiene abbia invece trionfato Miodrag Lekić, il candidato indipendente che hanno sostenuto. E si è detta pronta a lottare con tutti i mezzi democratici, incluse le proteste di piazza.


10 giorni

La prima di queste proteste si è tenuta sabato scorso, davanti al palazzo della Presidenza del Montenegro a Podgorica. Migliaia di persone hanno dato al governo la scadenza di dieci giorni per  “adottare una legge speciale, con la quale verrebbero annullati i risultati delle elezioni presidenziali, dopo di che il presidente del Parlamento dovrebbe indire nuove elezioni”. In caso contrario hanno annunciato nuove proteste. “Non abbiamo intenzione di accettare la frode elettorale e la violazione della Costituzione”, ha detto Lekić ai manifestanti.
Ma, anche se in linea di massima il governo si dichiara pronto a raggiungere un compromesso, non sembra abbia intenzione di soddisfare le richieste dell’opposizione. Il vicepresidente del DPS Svetozar Marović ha dichiarato che lo scopo dell’opposizione è la destabilizzazione del Montenegro e frenarne il percorso euro-atlantico. “Si tratta di forze politiche contrarie all’ingresso del Montenegro nell’UE e nella Nato”, ha chiarito Marović.
L’opposizione, guidata dal Fronte democratico (DF) di Lekić, ha annunciato che boicotterà anche i lavori del parlamento. In un momento in cui il paese sta affrontando una situazione economica sempre più grave - con la chiusura certa della più grande azienda del paese, il Kombinat di alluminio di Podgorica (KAP), l’aumento dell’IVA, e le richieste di Bruxelles di riformare il sistema giudiziario - la decisione dell’opposizione farà crollare ulteriormente la legittimità del governo del premier Milo Đukanović.  


Decisivo il ruolo dei socialdemocratici

Ecco perché gli occhi dell’opinione pubblica sono tutti rivolti verso il Partito socialdemocratico (SDP) di Ranko Krivokapić, partner minore di governo del DPS. Sono stati proprio i socialdemocratici la causa dello scarso risultato del candidato del DPS: non hanno infatti dato il loro sostegno a Vujanović, argomentando che la sua candidatura era anticostituzionale. Da come si comporterà questo partito dipenderanno i prossimi sviluppi politici in Montenegro.
Secondo la direttrice del settimanale indipendente di Podgorica Monitor Milka Tadić-Mijović, oggi il Montenegro si trova nella situazione in cui si trovava la Serbia il 5 ottobre del 2000 [anno della caduta di Slobodan Milošević, ndt]. La direttrice di Monitor sottolinea che le istituzioni stesse sono in pericolo e che quindi su Lekić e sull’opposizione pesa una grande responsabilità. “In molti si erano chiesti se fosse il caso di partecipare comunque alle elezioni visto tutti i meccanismi di manipolazione e le frodi rivelate dallo ‘scandalo Snimak’. Io credo che adesso l’opposizione, che ha in mano una vittoria di fatto, lotterà per la legittimità delle elezioni e per i cambiamenti democratici in Montenegro”, ha aggiunto Milka Tadić-Mijović.


Primavera in arrivo?

Alcuni esponenti dell’opposizione prevedono che, a causa di tutti problemi accumulati relativi a frodi elettorali, corruzione, criminalità e nepotismo, potrebbe nascere una “primavera montenegrina”, in particolare se il governo rimarrà fermo sulla sua posizione. “La formazione di un governo di transizione è l’unico modo per superare questa difficile situazione”, ritiene Miodrag Lekić.
Ad ogni modo, in Montenegro ormai c’è sempre meno tempo, spazio e risorse per sostenere questo dramma post-elettorale. Anche se non dovesse esserci un accordo fra il governo e l’opposizione in primavera, non c’è alcun dubbio che in autunno, in questo piccolo stato balcanico, si andrà ad elezioni politiche anticipate.


=== 3 ===



Official opposition protests Montenegro presidential election result


By Ognjen Markovic 
24 April 2013


Following the very narrow result in the presidential elections held on April 7 in Montenegro, the official opposition has lodged protests claiming voting irregularities and fraud. At a protest rally on April 20, the losing candidate called for the invalidation of the ballot and new elections. Politically, the almost evenly split vote reflects both widespread hostility to the ruling party and the incapacity of the opposition to successfully capitalize on public opposition.

In the two-candidate presidential race, the incumbent Filip Vujanovic from the ruling Democratic Party of Socialists (DPS) faced off against Miodrag Lekic, leader of the opposition Democratic Front (DF), who ran as an independent in an attempt to broaden his support.

The official result showed Vujanovic winning by 51.21 percent against Lekics 48.79 percent, about an 8,000-vote margin. Voter turnout was 63.9 percent, down from 70.5 percent at the last election.

Lekic immediately claimed various irregularities, ranging from pre-election intimidation and vote buying, to suspicious voting through the mail. On this basis, the opposition decided not to accept the results and appealed to the election commission and courts. The appeal by the opposition was dismissed and it then organized a protest rally, claiming that “the most brutal electoral theft” had taken place in what was nothing less than an “obvious and devastating coup”.

Up to 10,000 people gathered for the protest last week, a relatively significant number for Montenegro with a population of just 650,000. At the protest Lekic and his supporters called upon the prime minister, the president of parliament and the heads of political parties to annul the elections and call a new vote within 10 days. Otherwise, they threatened, they would organise even larger demonstrations.

The protest was ended by playing “Ode to Joy”, the anthem of the European Union. This was in line with the opposition’s policy of promoting illusions in the EU and appealing for support from the “international community” and “European institutions”.

Speaking of behalf of the EU, Petar Stano, spokesman for the EU Enlargement Commission, was forced to concede that “mistrust in public institutions and the judiciary diminished public confidence in the electoral process,” and instructed “all political parties in Montenegro to work constructively within Montenegrin institutions and undertake measures which increase public trust in them.” He then gave an official seal of approval to the result of the vote, overseen by international observers from the Organization for Security and Cooperation in Europe’s (OSCE) Office for Democratic Institutions and Human Rights, declaring that the elections were “professionally and efficiently run”.

The EU statement stands in stark contrast to the reactions of various Western institutions to similar claims of electoral irregularities in many countries where imperialism has a stake in destabilizing the ruling regime, as was most recently shown in Venezuela. The explanation is obvious: the DPS regime has long served imperialist interests in the region and still has a role to play—for the time being.

The DPS is the successor party to the Stalinist League of Communists of Montenegro and has constantly ruled the tiny country for more than two decades. Its rule is best personified in the figure of Milo Djukanovic, the current prime minister. Once a leading member of the Stalinist youth organization, in the early 1990s he evolved into a Serbian chauvinist and supported Slobodan Milosevic.

However, in the late 1990s he made an abrupt turn to the West, lining up behind the NATO bombing of Serbia and unilaterally introducing the German deutsch mark and later the euro as currencies in Montenegro, to circumvent Serbia in the selloff of state assets on the international market.

One privatization in particular stands out as a vivid example of the lawless, predatory character of the whole process—that of Prva Banka. A BBC investigation revealed last year how the Djukanovic family bought a controlling stake and “treated the bank like an ATM machine. A wonderful source of cash”. The audit papers unearthed by the BBC showed “that most of the money deposited at the bank came from public funds, while two thirds of the loans it made went to the Djukanovics and their close associates.”

Montenegro was hit hard by the global financial crisis in 2008. Gross domestic product dropped 5.7 percent in 2009, and has recorded insignificant growth since. The DPS-led regime has worked to impose the burden of the crisis on the working class, most recently through a special levy of €1 per month on every mobile phone, electric power or cable TV connection. Also, under pressure from the IMF and the EU, the regime has repeatedly signalled its readiness to raise the sales tax, waiting merely for the best political opportunity.

Wages in the country are falling, while prices are constantly rising. The dailyVijesti reported last month that the average wage has fallen from €518 (US$673) in January 2011 to €490 ($637) in January 2013, with around half of the employed earning between €300 and €480. The average consumer basket, on the other hand, has risen in price from €751 to €799 in the same period. An average electricity bill is around €50, and rent about €200 per month.

The DPS has a long history of manipulating election results. In February, a scandal broke out when a recording was leaked in which Employment Bureau Director Zoran Jelic was recorded saying: “Through these projects, we will mainly employ DPS members ... we want primarily to employ our own people.” He claimed that every job represented five votes for DPS, since they pressure the persons employed to ensure their family members also vote DPS. It has been reported that any successful career is dependent on DPS membership, which is as high as 100,000—or more than one fifth of the electorate.

Cronyism, corruption and falling living standards have produced widespread hostility towards the DPS. In the general elections of October 2012, the DPS-led coalition failed to win the absolute majority for the first time, but stayed in power through the setting up of a post-election coalition with small ethnic minority parties. Notwithstanding its huge blackmailing apparatus, the DPS was barely able to stay in power last October but has now been able to secure the presidency.

This is due in large part to the nature of the opposition. It speaks only for upper middle class layers dissatisfied with the current distribution of wealth, which favours the richest 10 to 15 percent. Opposition candidate Lekic embodies this layer—a former diplomat who has spent the last decade in Italy as a university professor, and was largely unknown in Montenegro until recently. Media reports reveal his monthly household income to be around €4,000, over eight times the average wage in the country, and on a par with Vujanovic’s €3,700.

A significant part of Lekic’s DF comes from split-offs from the DPS. For a long time the main opposition party in Montenegro was the Socialist People’s Party (SNP), which broke off from the DPS in the late 1990s, on the basis of retaining strong ties with Serbia. After Montenegro’s independence from Serbia in 2006, the SNP adopted a secular, pro-European orientation, though it is still tainted by its nationalist past in the eyes of many voters. Now one faction of SNP has split and officially joined the DF, while the other is openly supportive, but chooses not to join just yet.

The DF remains committed to EU membership, and therefore to the austerity policies dictated by the EU. The DF’s economic program reads like any IMF manual, calling for “structural changes,” a “strong and competitive economic sector,” a law to regulate “fiscal responsibility” and the removal of numerous limitations and barriers” for investment. At pains to differentiate themselves from the DPS, the DF has been critical of some of the worst excesses in the privatization process and official corruption, but is in complete agreement with the basic premise that the working class must pay for the crisis of the profit system. That is why they were largely unable to mobilize wider layers of the working class and capitalize on the widespread hostility to DPS.

The working class in Montenegro does not need a new middle rank manager in the form of the DF, which would implement the EU austerity, but rather a decisive break with the whole framework of austerity represented on the European continent, above all by the reactionary EU and its institutions. Such a break is possible only on the basis of the internationalist and socialist program of the International Committee of the Fourth International.


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Le Courrier des Balkans

Monténégro : capitalisme, économie rentière et État de droit


Mise en ligne : mercredi 9 février 2011
Le nouveau gouvernement monténégrin, dirigé par un jeune technocrate formé à l’école néolibérale, annonce-t-il la fin du « système Đukanović » en vigueur depuis 1991 ? Rien n’est moins sûr. Klaus-Gerd Giesen analyse les structures fondamentales de l’économie monténégrine : économie rentière et monopolisation du pouvoir économico-politique par une poignée d’oligarques, des caractéristiques incompatibles aussi bien avec un « véritable » capitalisme qu’avec un État de droit.

Par Klaus-Gerd Giesen [1]


L’abandon fin décembre 2010 de ses fonctions publiques par Milo Đukanović, outre que cette décision satisfaisait une exigence formulée par plusieurs pays occidentaux et la Commission européenne en échange de l’attribution au Monténégro du statut de candidat à l’adhésion à l’Union européenne, donne l’impression – du moins vis-à-vis de l’extérieur – que le système politique monténégrin correspond désormais parfaitement à l’idéal de la démocratie parlementaire et de l’État de droit. Le nouveau gouvernement, épuré de plusieurs poids lourds de la politique et dirigé par un jeune technocrate formé à l’école néolibérale, annonce-t-il la fin du « système Đukanović » en vigueur depuis 1991 ? Disposera-t-il d’une réelle marge de manœuvre pour moderniser le Monténégro ?

Afin de pouvoir apporter des réponses à ces questions il convient de laisser de côté la trame événementielle et d’analyser la structure du système de pouvoir tel qu’il existe au-delà du seul Etat. En s’inspirant des travaux précurseurs de Joseph Schumpeter et d’Anthony Downs [2], on peut conceptualiser la démocratie libérale en analogie avec le marché : les partis politiques correspondent aux entreprises qui mobilisent d’importantes ressources (financières, argumentatives, de marketing, etc.) pour attirer et fidéliser des clients (les électeurs). En principe, le meilleur produit (le meilleur argument électoral) doit l’emporter sur ce « marché politique », à condition toutefois que la concurrence entre « marchands de vote » s’exerce librement, c’est-à-dire sans entraves ni déformations. Dans ce modèle, la principale différence entre les deux marchés, économique et politique, réside dans le fait que l’activité de l’entrepreneur du secteur privé est motivée par l’appât du gain pécuniaire, tandis que le politicien vise, selon Schumpeter, à s’emparer du pouvoir sur l’administration pour des raisons narcissiques de prestige. Il n’en reste pas moins que la libre et permanente compétition entre entrepreneurs égoïstes et entre politiciens avides de pouvoir peut spontanément créer un ordre qui, paradoxalement, favorise l’intérêt général.

Cela suppose toutefois que de nouvelles entreprises et de nouveaux partis politiques puissent facilement entrer sur les marchés respectifs (absence de monopole, de duopole ou d’oligopole) et offrir de nouveaux produits (respectivement des biens et services, ou des arguments électoraux et des idéologies) aux clients (électeurs), et que ceux-ci soient pleinement et impartialement informés par des médias libres et indépendants, tentent de maximiser leurs intérêts particuliers bien compris et jouissent des garanties de l’Etat de droit (l’ensemble des pouvoirs publics – et pas seulement l’administration - se soumettent au droit et, en outre, respecte les droits fondamentaux tels que la propriété privée, les libertés publiques, etc.). En d’autres termes, la démocratie libérale est d’abord le miroir politique du capitalisme. Plus encore, le capitalisme rend possible la démocratie et l’Etat de droit.

En effet, les deux marchés, économique et politique, étant in fine hiérarchisés, dans la mesure où le « marché politique » régule, de par ses décisions, le marché économique, la démocratie et l’état de droit ne sont possibles que parce que historiquement la bourgeoisie, c’est-à-dire ceux qui détiennent les moyens de production, a accepté après les révolutions américaine et française de la fin du 18e siècle de partager le pouvoir politique avec le plus grand nombre (les classes sociales inférieures). Elle a progressivement consenti au partage du pouvoir en Europe occidentale et en Amérique du Nord parce qu’elle y voyait plus d’avantages que d’inconvénients : modernisation constante par réformes successives plutôt que risque de perte de pouvoir par révolutions ; stabilités politique et économique à long terme ; consentement des classes sociales inférieures ; légitimité de l’exercice du pouvoir ; neutralité de l’Etat par rapport à la sphère économique ; etc. [3] La démocratie et l’État de droit ont donc historiquement été constitués au fil de l’approfondissement de la structure capitaliste de la société en Europe occidentale et en Amérique du Nord, parce qu’ils correspondent à l’image mentale et à l’intérêt bien compris de la bourgeoisie. Puis, on a tenté d’exporter le modèle vers les anciennes colonies et les anciens pays socialistes. Parfois cela a très bien fonctionné, comme par exemple au Costa Rica ou en Inde (la plus grande démocratie au monde) ou encore dans certains pays d’Europe centrale (Pologne et République tchèque), mais dans beaucoup de cas – notamment en Afrique et en Asie – le substrat économique de la démocratie et de l’Etat de droit manque tout simplement. La greffe de « l’État importé » n’y a pas prise pour des raisons à chaque fois spécifiques. [4]

Tel est également le cas du Monténégro. La démocratie et l’État de droit ne peuvent pas pleinement s’y déployer parce que le garant d’un tel système n’est de loin pas assez développé : la bourgeoisie. En effet, l’économie monténégrine dépend dans une très large mesure de trois types d’acteurs économiques dont les intérêts restent diamétralement opposés à ceux de la bourgeoisie et qui bloquent de ce fait la démocratisation du pays au-delà des professions de foi constitutionnelles. Tout d’abord les capitalistes étrangers qui ont pu mettre la main, à très bon prix, sur une importante partie des appareil productif et patrimoine monténégrins, à la faveur de processus douteux de privatisation, de vente et d’attribution des concessions. Ces oligarques russe, canadien, etc. poursuivent leur agenda en fonction d’intérêts exogènes, rapatrieront leurs profits à l’étranger, ne se sentent pas concernés par le marché économique local (sauf le marché du travail) et se soucient comme de leur dernière chemise du processus de démocratisation du Monténégro. Le deuxième groupe est constitué par les travailleurs exilés et les marins de la côte qui soit placent dans l’immobilier leurs revenus non négligeables réalisés à l’étranger soit les épargnent. Rarement ils sont investis sous forme de capital-risque pour fonder et faire fructifier des petites ou moyennes entreprises de production ou de services, ce qui représente la principale fonction économique de l’entrepreneur bourgeois.

Une économie rentière

Enfin, le troisième type d’acteur qui règne sur l’économie monténégrine est celui que les théoriciens à la fois néolibéraux, keynésiens et néomarxistes désignent comme étant le principal ennemi du capitalisme : le rentier. Il s’agit de l’entrepreneur indigène qui altère le bon et libre fonctionnement du marché national parce qu’il dispose d’un accès privilégié aux ressources, régulations et arbitrages de l’Etat, soit par la corruption, soit par l’intimidation de ses concurrents potentiels. Cela peut se traduire par exemple par le sauvetage incongru d’une banque avec l’argent de l’Etat, par l’octroi de licences de télécommunication et d’électricité ou de permis de construction suite à des procédures administratives viciées, ou par des contrats de travaux publics de toutes sortes.

Le rentier garde toute l’apparence de l’entrepreneur bourgeois, mais il n’en remplit nullement les fonctions économiques et politiques. Par opposition au capital productif, le capital issu d’une rente de situation ne contribue pas à l’augmentation des compétitivité et productivité de l’économie nationale. Pis, le rentier contamine l’ensemble du système économique et politique, et empêche qu’une bourgeoisie libre et indépendante de l’Etat et, partant, un « marché politique » puisse éclore. Si au Monténégro les rapports avec les oligarques étrangers de haut vol et d’importants trafiquants en tout genre semblent de toute évidence relever du domaine réservé de la clique autour de Milo Đukanović, à un niveau inférieur les barons locaux – par exemple les clans autour de Svetozar Marović à Budva ou de Miomir Mugoša à Podgorica – jouissent du quasi monopole des rapports avec les rentiers indigènes et les investisseurs étrangers de moindre envergure. D’une telle division du travail, érigée en véritable système, résulte non seulement une inertie et moindre compétitivité de l’économie monténégrine. Elle fait aussi obstacle à ce que la société civile accède à une réelle indépendance vis-à-vis de l’État ou des sources étrangères de financement (Union européenne, fondations, etc.) [5] ; de ce fait les associations (religieuses, politiques, de protection des droits de l’homme ou d’environnement, syndicalistes, etc.) rassemblent beaucoup moins librement les aspirations des individus qu’en Europe occidentale, où elles bénéficient des largesses financières de la bourgeoisie nationale, et ne peuvent pas pleinement fonctionner comme contre-pouvoirs face aux structures gouvernementales. De même, les médias nationaux s’avèrent être tous soit dépendants des rentiers ou du gouvernement, soit régulièrement intimidés, voire physiquement agressés. La transparence, indispensable à la bonne marche du « marché politique », n’est donc de loin pas assurée. L’achat de votes d’électeur reste fréquent, un phénomène que les observateurs électoraux officiels de l’UE et de l’OSCE s’obstinent à ne pas repérer.

En dépit des apparences qui, sur le papier, garantissent formellement la démocratie et l’Etat de droit [6], les conditions socio-économiques de la démocratisation du Monténégro ne sont pas réunies : la bourgeoisie nationale indépendante, mobilisant du capital productif, manque à l’appel. Cela explique que tous les changements importants dans la vie du pays – engagement dans la guerre de l’ex-Yougoslavie, introduction unilatérale du Deutsche Mark puis de l’euro comme monnaie nationale, sécession avec la Serbie – représentaient autant de « révolutions d’en haut », et qu’à la différence de la Serbie (renversement du régime de Slobodan Milošević) et d’autres pays en transition aucune mobilisation populaire de contestation n’ait jamais eu lieu. Il est toutefois vrai aussi que l’unité du pays a ainsi été préservée en dépit d’une hétérogénéité ethnique considérable. [7]

Le système en place peut être qualifié de néopatrimonialiste. [8] En effet, deux sous-systèmes s’interpénètrent : d’un côté la bureaucratie et l’Etat fonctionnant officiellement selon des principes légaux et rationnels, et de l’autre le clientélisme des rentiers nationaux et des oligarques étrangers. Ce dernier sous-système contamine et pervertit le premier. L’Etat se mue aussitôt en une simple agence de redistribution de l’argent du contribuable et des autres ressources étatiques vers les rentiers et oligarques, et entrave l’émergence d’un marché économique libre et, partant, d’une bourgeoisie digne de ce nom. Le capital investi au Monténégro, à quelque niveau que ce soit, n’est pratiquement jamais du capital-risque productif dans un environnement de libre concurrence, tout risque étant éliminé d’emblée par le clientélisme. Les rentiers - ces ennemis intimes du capitalisme et de la démocratie dominent le jeu.

Une transition dans la douleur encore à venir

Le nouveau gouvernement monténégrin a été mis en place par le précédent et demeure pleinement enchâssé dans les structures néopatrimonialistes. Milo Đukanović, en restant à la tête du principal parti gouvernemental (le DPS qui a succédé à l’ancienne Ligue des communistes), garde la mainmise sur le gouvernement. [9] La marge de manœuvre d’Igor Lukšić pour moderniser le pays s’avère être des plus étroites. Cependant, s’il ne souhaite pas se contenter de la fonction de simple parenthèse entre deux gouvernements Đukanović il peut s’atteler à jeter au moins quelques bases favorisant l’éclosion d’une bourgeoisie indépendante, notamment par davantage de mesures fiscales et structurelles en faveur des PME [10], en rendant beaucoup moins opaque l’attribution des marchés publics, et en œuvrant en faveur d’une véritable indépendance de la justice et de la banque centrale. Son prisme néolibéral devrait l’y inciter.

Quant à l’Union européenne et ses Etats membres, exerçant leur soft power par le biais de la perspective d’adhésion du Monténégro à l’horizon de 2020 [11], ils auraient également un rôle à jouer en affectant leurs aides économiques encore plus directement au secteur privé monténégrin, après une libre mise en concurrence des candidats et sans passer par les structures étatiques m

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UN SACCO DI SOLDI

Restituzione dei beni: la Chiesa croata non demorde
(da “la Voce del Popolo” del 25 luglio 2013)

La Chiesa cattolica confida in una soluzione equa per il problema legato alla restituzione dei beni confiscati dal regime comunista jugoslavo. I rappresentanti della Conferenza episcopale croata (HBK) in seno alla Commissione mista Stato-Chiesa per la restituzione dei beni hanno rilevato la necessità di stabilire le linee guida prioritarie al fine di agevolare la chiusura dei problemi aperti, connessi alla tematica trattata dall’organo bilaterale.
All’incontro hanno preso parte il cardinale Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria e responsabile della Commissione episcopale per i rapporti con lo Stato, il vicepresidente della Commissione mista Stato-Chiesa, mons. Fabijan Svalina, il segretario generale della HBK, mons. Enco Rodinis, mons. Ivan Hren, il reverendo, Ivica Žuljević, il rappresentante degli ordini religiosi, padre Kristijan Dragan Rajič, Zvjezdana Znidarčić e Nikola Matijević. Nel corso dell’incontro è stato analizzato il lavoro svolto fino ad ora e abbozzato un elenco dei possibili temi da affrontare in futuro in seno alla Commissione mista.
Il patrimonio immobiliare sottratto alla Chiesa cattolica in Croazia è enorme. Stando ad alcune stime circa il 10 p.c. di tutte le terre coltivabili dovrebbe essere reintestato alle varie parrocchie. Inoltre, solo a Zagabria alla Chiesa dovrebbero essere restituiti o risarciti circa un migliaio di appartamenti, per non parlare del fatto che alla Chiesa sono stati espropriati pure buona parte dei terreni sui quali sorge la parte moderna di Zagabria (Novi Zagreb). Un’area nella quale oggi vivono centinaia di migliaia di persone.
Esempi analoghi si potrebbero fare per la maggior parte delle località in Croazia, parchi nazionali e aeroporti compresi. Difatti, pare che la pista dell’aeroporto di Zara e circa due terzi del Parco nazionale dell’isola dalmata di Meleda (Mljet) sorgano su terreni espropriati alla Chiesa cattolica.




PRETE GESUITA FAVOREVOLE ALLA RIVOLUZIONE ARMATA CON USO DI ARMI CHIMICHE


29 luglio 2013

Alla Direttrice di L’Huffington Post Italia

 

Gentile dott.ssa Annunziata, le scriviamo a proposito dell’articolo “La morale cristiana e l'arma chimica siriana”, pubblicato su L’Huffington Post Italia dal suo collaboratore, il gesuita Padre Paolo Dall'Oglio, che arriva non solo a giustificare ma, addirittura, ad esaltare l’impiego di armi chimiche in Siria da parte di “ribelli” che egli ritiene di rappresentare.
Non sappiamo, infatti, come altro classificare quanto egli, – prima e dopo una sua lunga dissertazione sull'uso morale delle armi chimiche – scrive: “(...) Ma guardiamo alla cosa dal punto di vista etico della rivoluzione siriana. Ammettiamo per un istante che ci fossimo appropriati di armi chimiche sottratte agli arsenali di regime conquistati eroicamente. Immaginiamo di avere la capacità di usarle contro le forze armate del regime per risolvere il conflitto a nostro favore e salvare il nostro popolo da morte certa. Cosa ci sarebbe d'immorale? Tutte le armi possibili sono usate contro di noi. È ampiamente dimostrato che il regime fa esperimenti micidiali d'uso delle armi chimiche contro i partigiani rivoluzionari e la popolazione civile, proprio per vedere di superare quella maledetta linea rossa impunemente.”
 Non entriamo qui nel merito della veridicità degli “esperimenti micidiali d'uso delle armi chimiche contro i partigiani rivoluzionari e la popolazione civile (da parte del regime di Assad)” che, al di là di qualche “scoop” giornalistico, non è oggi confermato neanche da quelle “commissioni internazionali” o da quegli “organismi dell’intelligence americana” che pure avevano avallato analoghe accuse nei riguardi del regime di Saddam in Iraq. Quello che ci preoccupa è l’ergersi del suo collaboratore a paladino dell’uso di questa infame forma di guerra: “Invece se ci lasciate sbranare dal regime assassino, allora, ve lo promettiamo, la necessaria doverosa e disperata autodifesa ci consiglierà, ci obbligherà a costituire un tale micidiale pericolo alla sicurezza regionale da obbligarvi ad assumervi comunque le vostre responsabilità.” (...) Non è per minacciare, è invece per allarmare riguardo ad un pericolo oggettivo e già reale che mi lascio andare a propositi così drammatici.” .

 

Gentile dott.ssa Annunziata, la guerra condotta dall’Occidente e dalle Petromonarchie alla Siria, così come quella alla Libia condotta in nome della difesa di una ennesima “primavera araba” (che questa guerra, in realtà, è servita a fare abortire), ha già comportato decine di migliaia di morti, un milione di profughi, immani distruzioni... Siamo sicuri converrà con noi che a questa martoriata nazione venga almeno risparmiato l’orrore delle armi chimiche che il suo collaboratore ritiene, invece, dirimente per convincere l’Occidente ad un risolutivo intervento.
Da parte nostra, insieme al movimento siriano di riconciliazione interconfessionale Mussalaha, partecipando a delegazioni internazionali – come quella dello scorso mese di aprile, presieduta dal Premio Nobel per la Pace Mairead Maguire – animando il nostro sito www.sibialiria.org ... continuiamo a mobilitarci per cercare di fermare questa guerra e ricostruire quel tessuto di pace e solidarietà che può garantire il rispetto dei diritti democratici e il ripristino di quel mosaico di etnie, culture e religioni che fino a tre anni fa era la Siria.

 

Cordialmente
La Redazione di www.sibialiria.org

 

P.S.
Questa lettera, in attesa di una sua graditissima risposta, viene pubblicata oggi sul nostro sito. 



Riceviamo e volentieri diffondiamo:
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PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA

CIRCOLO GEYMONAT

Q.RE MONTANARA - PARMA

geymonat.prcparma@...


Assessore all’ignoranza


Abbiamo atteso qualche giorno, per lasciare il tempo di riflettere e documentarsi all’assessore Ferraris dopo le dichiarazioni pubblicate dalla Gazzetta di Parma in merito all’inopportunità di una via Tito.

Costatiamo che non l’ha fatto, le forniamo alcuni dati che potrà approfondire quando vorrà avendo Parma la fortuna di essere una delle città più attive e documentate a livello nazionale sulla figura di Tito e della Resistenza Jugoslava.

Perché è bene premettere e ribadire (non ci stancheremo mai di farlo) che il tentativo di “rimozione” dalla memoria collettiva di Tito, s’inquadra nel tentativo di sminuire l’importanza della Resistenza Jugoslava e di riflesso di denigrare la Resistenza Italiana.

Sono passate poche settimane dal 25 aprile, dove c’era in città chi voleva onorare la Resistenza leggendo lettere di repubblichini o dicendo che “sono tutti uguali” anche i repubblichini lottavano per un ideale.

NO!!!

I fascisti e gli Antifascisti non sono uguali!!!

Enorme è stato il tributo jugoslavo alla guerra contro il nazifascismo: su una popolazione di 18 milioni di abitanti dell’intero Paese, furono al comando di Tito 300.000 combattenti alla fine del ’43 e 800.000 al momento finale della liberazione, 1.700.000 furono i morti in totale, sul campo 350.000 i partigiani morti e 400.000 i feriti e dispersi. Da 400.000 a 800.000, in altre parole da 34 a 60 divisioni, furono i militari tedeschi e italiani tenuti impegnati nella lotta, con rilevanti perdite inflitte ai nazifascisti. Una lotta partigiana su vasta scala, che paralizzò l’avversario e passò progressivamente all’offensiva, un’autentica guerra, condotta da quello che divenne un vero e proprio esercito popolare e che fece di Tito più di un capo partigiano, un belligerante vero e proprio, riconosciuto e considerato a livello internazionale.
La Resistenza della Jugoslavia è stata di primaria grandezza in Europa e da quell’esperienza la Jugoslavia è uscita come il paese più provato e al tempo stesso più trasformato. La Resistenza jugoslava ancor più di altre è stata più di una guerriglia per la liberazione del proprio territorio, è stata empito universale di una nuova società, ansia di superamento delle barriere nazionali, anelito di pace, libertà e giustizia sociale, da parte di tanti uomini e tante donne del secolo scorso.

A Parma l’Antifascismo è vivo e ha ottima memoria, sia per ricordare chi ci ha lasciato e cosa ha fatto per tutti, sia per ricordare quando si tornerà a votare (grazie a loro) chi dell’Antifascismo si è riempito la bocca una volta l’anno di pastasciutta.

(c.i.p. 25-07-2013)