Informazione


Su Avaaz e su altre operazioni manipolatorie del movimentismo si veda anche la ulteriore documentazione alla nostra pagina dedicata:
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Cos'è Avaaz e cosa vuole da me


Tutti i dubbi sulla ong virtuale finanziata da Soros e vicina a Obama. Forse troppo vicina [Checchino Antonini, da Liberazione]

Redazione
sabato 24 agosto 2013 23:41


di Checchino Antonini, da Liberazione (*)

Capita che stai su facebook, vedi l'icona di una persona cara sulla colonna delle mail ricevute. Apri impaziente e trovi questo messaggio: "Ho appena firmato questa petizione: ti unisci a me?". Novanta su cento, è uno spam di avaaz.org. Wikipedia, come faremmo senza?, dice che «è un'organizzazione non governativa internazionale istituita nel 2007 a New York che promuove attivismo su diversi problemi quali il cambiamento climatico, i diritti umani, i diritti degli animali, la corruzione, la povertà e i conflitti. La sua missione dichiarata è quella di permettere che i processi decisionali di portata globale vengano influenzati dall'opinione pubblica. L'organizzazione opera in quindici lingue diverse, e ad oggi conta, stando al sito ufficiale, oltre 24 milioni di membri iscritti in 194 paesi diversi. Essendo una comunità on-line, i membri effettivi sono considerati gli iscritti al sito. Tutti i membri della community possono essere definti "attivi" dal momento in cui, via web, partecipano, sottoscrivono e diffondono le attività dell'associazione. L'associazione utilizza anche l'attività "concreta" di alcuni membri che agiscono nella vita reale (per esempio la consegna di petizioni direttamente ai referenti politici) e si avvale di alcuni membri stipendiati che sono direttamente assunti dalla Fondazione "Avaaz.org", con sede a New York. Il quotidiano britannico The Guardian ha scritto: "Avaaz ha solo 5 anni, ma è diventata una delle più grandi e influenti reti di attivismo online"». Il nome deriva dalla radice indo-persiana che indica "il suono che rompe il silenzio". 

Secondo Patrick Boylan, però, avaaz «con grande efficacia, espropria e contamina ideologicamente la Sinistra (pacifista) planetaria». 

Boylan, californiano, ex docente all'università Roma Tre, fa parte della redazione di PeaceLink.it e ha co-fondato a Roma gli Statunitensi per la pace e la giustizia e la Rete NoWar. In questo momento, sta pubblicando a puntate su Megachip, un libro sui "Progressisti in divisa: la Sinistra pacifista viene arruolata ", ossia quegli enti che mimano un'azione pacifista senza intaccare i rapporti di produzione che producono la guerra globale. «Avaaz mobilita virtualmente l'opinione pubblica mondiale a favore di varie iniziative politiche senz'altro progressiste... e non pericolose per i piani egemonici delle potenze occidentali. Ma poi promuove altre iniziative che, invece, assecondano quei piani egemonici e non favoriscono la pace, come le petizioni ufficiali a favore dell'intervento militare immediato in Siria (con la scusa di creare zone protette - vedi: bit.ly/link-5 ). Nel contempo Avaaz si astiene dal lanciare petizioni ufficiali per il ritiro immediato e totale delle truppe dall'Afghanistan».

Insomma, secondo Boylan, Avaaz orienta e manipola l'opinione pubblica di sinistra. Una delle ultime campagne eco-pacifiste di Avaaz (in data 27 gennaio 2013) è una petizione che critica implicitamente Rafael Correa, l'anticonformista Presidente dell'Ecuador - colui che ha offerto asilo, nella sua ambasciata a Londra, al fondatore di Wikileaks, Julian Assange. La petizione chiede a Correa di ritirare la sua (deprecabile) autorizzazione per la ricerca del petrolio a Isla Sani, nel nord-est dell'Ecuador, perché l'eventuale trivellamento rovinerebbe le foreste pluviali e sradicherebbe gli indigeni, a beneficio di una "potente compagnia petrolifera". «Si tratta dunque di una campagna a favore dell'ambiente, a favore dei diritti umani, e contro una Multinazionale del Male: che c'è di più progressista? 

Ma il dubbio di Boylan è che la "potente compagnia" è la PetroAmazonas, la compagnia nazionale, mai nominata dalla petizione, visto che nel 2006 l'Ecuador ha cacciato le sette sorelle Usa. La situazione è ingarbugliata dal fatto che in Ecuador, l'estrazione petrolifera è possibile solo dopo un referendum popolare, che la popolazione di Isla Sani era favorevole ma poi ha cambiato parere grazie a un'imprenditrice inglese. Tuttavia il governo ecuadoriano ha già rinunciato a sfruttare il suo giacimento petrolifero più grande, lo Yasuni, perché si trova sotto una foresta primaria di straordinaria biodiversità. Isla Sani, invece, si trova fuori da quella zona. «Si scopre anche che, se oggi la PetroAmazonas osserva severi vincoli ambientali, nei ventennio prima del 2006 le compagnie petrolifere USA deturpavano senza restrizioni l'ambiente ecuadoriano. Una di esse, la Chevron, deve ancora pagare una multa di sei miliardi di euro per disastro ambientale. In tutti quegli anni non c'è stata una sola protesta ambientalista», aggiunge Patrick Boylan, "vecchia" conoscenza del movimento della Pantera romano. 

Washington trova "deprecabile" il Presidente Correa (l'epiteto è della Heritage Foundation) non soltanto perché rifiuta di pagare una parte del debito alla Manca mondiale, offre asilo politico a Julian Assange o perché ha nazionalizzato le industrie petrolifere ma pure perché ha chiuso la base militare Usa e ha scippato i profitti alle case farmaceutiche straniere facendo produrre in proprio i farmaci. E s'è alleato con la Cina. «Avaaz arruola i suoi seguaci per sostenere una causa progressista in teoria giusta, ma, guardando meglio, anche parecchio strumentale. Una causa, dunque, da prendere con le pinze», avverte ancora l'attivista statunitense da tempo trapiantato a Roma, segnalando che Avaaz offre sul proprio sito, per par condicio, anche una petizione che chiede alla Chevron di ripulire l'ambiente che ha devastato in Ecuador ma la petizione contro la PetroAmazonas è stata a lungo sulla prima pagina del sito, mentre quella contro la Chevron sta, da più tempo, nascosta nelle pagine interne senza richiami sulla copertina né email. Le firme sono cinque volte meno. 

L'accusa è terribile: «Avaaz sa espropriare abilmente l'area politica progressista per fini non sempre del tutto progressisti. E' stata creata ex novo grazie alle sovvenzioni di George Soros, speculatore miliardario e - tramite le sue fondazioni - potere forte mondiale». Soros, com'è noto, è lo sponsor di tutte le "rivoluzioni colorate" in alcuni paesi dell'ex URSS nel periodo 2000-2005, rivoluzioni sponsorizzate anche dal governo Usa per introdurre le basi della NATO in quell'area. «Quello che ne è venuto fuori non è il mondo che sognavano tutti coloro che hanno lottato duramente contro il passato regime, convinti che la rivolta avrebbe dato loro finalmente la libertà».

Così, con le sue petizioni, Avaaz, arruolandoci "dalla parte giusta", ci insegna quali siano i "paesi buoni" e quali siano i "paesi cattivi" nel mondo. Ci arruola per la neo Guerra Fredda che sta alle porte, in cui il pacifismo sarà un orpello». 

E' la post-democrazia, secondo Boylan, ed è già qui. Altrove, nel web, la polpetta si fa avvelenata, ossia non si riesce a distinguere la carne buona dalle gocce di veleno - come è evidente dalle parecchie condivisibili petizioni e si legge spesso che Avaaz ha contribuito a fabbricare le rivolte contro Assad e Gheddafi, che attacca la Cina strumentalizzando la questione della pena di morte o del separatismo del Tibet, che ha strumentalizzato le preoccupazioni degli indios contro Morales oppure che a febbraio, Avaaz ha iniziato una petizione contro il movimento BDS, un "movimento globale per una campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni" (BDS) contro Israele fino a quando non si conformerà al diritto internazionale e al diritto dei palestinesi, che è stata avviata dalla società civile palestinese nel 2005." BDS sostiene gli sforzi del popolo palestinese per essere liberi dalla tirannia genocida impostagli dal governo israeliano controllato dai sionisti. E Avaaz sarebbe contro questa lotta per la libertà. La petizione online di Avaaz ha promesso di fare pressione sui funzionari eletti, in favore dei coloni israeliani "discriminati" dal popolo palestinese. 

La faccenda è intrigante: chi è il complottista, chi il complottato? Che si tratti di scampoli di campismo? Di certo che Avaaz sarebbe alla fonte della bufala Sakineh del 2010, la donna iraniana condannata alla "lapidazione" perché "adultera". In realtà si verrà a sapere che Sakineh è stata condannata per aver assassinato il marito, non per averlo tradito; e in ogni caso la lapidazione nel codice penale iraniano non esiste più da decenni. 

"Avaaz" è stata creata da Ricken Patel, personaggio politicamente ben schierato a destra che gode del sostegno finanziario del patron della multinazionale informatica "Microsoft" Bill Gates e della Fondazione Rockefeller. Collabora strettamente con la famosa Fondazione Soros, una struttura vicina al governo Obama. 

Anche Indymedia Barcellona e un sito svizzero di sinistra sostengono che la sigla serva a "coprire a sinistra" gli interessi geopolitici ed economici dei poteri forti occidentali, soprattutto Usa. Tra le centinaia di petizioni su temi umanitari, democratici, anti-corruzione che trovano immediato consenso fra il pubblico di sentimenti progressisti (ma che non sortiranno alcun risultato) il trucco consisterebbe nell'inserire questioni «strategiche per i padroni nascosti di "Avaaz" (governi, multinazionali, eserciti) che così potranno più facilmente superare la diffidenza da parte della popolazione genericamente di "sinistra", che non sospetterà mai che dietro a questi presunti critici degli USA è nascosto proprio il Partito Democratico del presidente Obama e dell'ex-presidente Cliton, attraverso l'organizzazione "MoveOn" che sta alla base di "Avaaz"». 

Dopo un lavoro incessante contro Gheddafi, il nuovo governo liberista libico, secondo i detrattori, non sembra interessare Avaaz nemmeno dopo che ha riabilitato non solo la figura del dittatore fascista Benito Mussolini, ma ha pure definito quale "periodo fiorente" l'epoca in cui il fascismo italiano aveva colonizzato e saccheggiato quel paese. Il lavoro di "Avaaz" in Siria, secondo gli osservatori di www.sinistra.ch, «è molto pericoloso poiché qualora si scatenasse una guerra dell'Ue, di Israele e degli USA contro questo paese mediorientale, molto probabilmente la Cina e la Russia dichiarerebbero guerra per impedire agli occidentali di colonizzare il bacino mediorientale e asiatico». 

In fondo all'articolo non so dire se sia vera la teoria di Patrick, o se sia esagerata, ma ogni volta che l'icona di un amico apparirà nella colonna delle mail e leggerò il fatidico: "Bisogna fermare questa cosa. Mi dai una mano? Firma qui», ci penserò su. Ma già ora, che un clic non si nega a nessuno, il senso di impotenza mi assale. Una petizione non cambia il mondo. E la rete può diventare, malgrado noi, uno strumento di passivizzazione di massa.


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(Il commento del SRP a proposito del film "Vedo Rosso" di S. Benussi, recentemente proiettato nell'ambito delle giornate del cinema italiano a Rovigno)


Jedno je borba za prava manjina; drugo je propagiranje poražene ideologije


REAGIRANJE ROVINJSKOG SRP-a NA FILM "VEDO ROSSO"
U utorak 6. kolovoza, na ljetnoj terasi Zajednice Talijana grada Rovinja, u sklopu 13. Italian Film Festivala, projektiran je dokumentarni film "Vedo Rosso" Sabrine Benussi. Oko 150-200 gledatelja moglo je još jednom slušati staru, nikad izumrlu, dosadnu, često ponovljenu, talijansku iredentističku propagandu, i njen povijesni revizionizam u vezi događaja poratnoga doba. Moglo se slušati o "tisućama talijana ubijenih (bačenih u fojbe) samo zato što su bili talijani" od strane jugoslavenske revolucionarne vlasti. 
Usprkos toga što ne postoje nikakve evidencije o takvim stvarima (nego su one izmišljene još 40ih u vezi ideološkog i političkog rata kojeg je Zapad vodio protiv Jugoslavije i drugih socijalističkih država); dapače postoji evidencija o zločinima talijanske vlasti protiv antifašista i slavenskog stanovništva okupiranih područja, koje uključuju progone, deportacije, masakre, kao i o programirano etničko čišćenje, koji su fašisti provodili. Ali o tome u filmu ni riječi, gdje je povijesna istina potpuno preokrenuta. Partizani su u filmu predstavljeni kao krvoločni i fanatički rasisti koji su mrzili talijane. 
Ni riječi o stotinama tisuća palih partizana u borbi protiv nacifašizma, kao ni riječi o 40 tisuća talijanskih vojnika (od kojih 20 tisuća palih) koji su se od rujna ‘43. borili u NOVJ. Jugoslavija je predstavljena kao država u kojoj za talijane nije bilo mjesta, osim kao sluge, iako je Jugoslavija bila multinacionalna država u kojoj su talijani zauzimali važna mjesta, čak i u predsjedništvu CK SKH. Film je - željeno - dekontekstualiziran i povijesno i geografski, apstraktiziran, izoliran iz realnosti: jedina realnost postaje "patnja" 2. generacije talijanskih emigranata, a jedina dostojna ideologija je nacionalizam, kao što je najviša ljudska vrijednost etnička pripadnost.  
Intervjuirani gosti uključujući kulturnog savjetnika grada Rima (kojeg gradskog odbora presjeduje fašistički militant 70ih Alemanno: autorica Benussi dakle naglašava fašiste, što dovoljno govori o njenim težnjama), koji je govorio o "između 300 i 350 tisuća" talijanskih emigranata iz Jugoslavije (takozvanih "ezula", t.j. optanataa), poznata izmišljotina svećenika Flaminia Rocchia; dobili su riječ i predstavnici ANVGD, reakcionarna udruga malograđanskih ezula; pa Unione degli Istriani, kvazifašistička udruga ezula; i razni emigranti (pretežito 2. generacije) ili talijani koji još žive u Hrvatskoj i Sloveniji, koji govore o njihovoj verziji zbivanja koju niti ne poznaju i o kojima mogu dakle govoriti samo parcijalno, kao što je to planirano etničko čišćenje, naravno lažna povijesna činjenica: međutim oni koji se osjećaju žrtvama, uvijek će uveličati ili čak izmisliti uzroke za njihove patnje, odnosno u ovom su slučaju vrlo lako vjerovali desetljećima talijanske revanšističke, anti-jugoslavenske propagande.  
Kada se osobama koje nemaju pojma o povijesnim zbivanjima (da ne govorimo o uzrocima tih zbivanja, t.j. o povijesnom kontekstu) i bijesnim iredentistima kao što su to ANVGD i Unione Istriani - koji uopće ne skrivaju njihove težnje da se Istra, Rijeka i Dalmacije pripoje Italiji - daje riječ bez ikakve rasprave ili komentara sa strane režisera (to jest totalno akritički) onda je to propagandistički film a ne "znanstveni" dokumentarac. Jedina istina o tom čuvenom etničkom čišćenju, kao i o tisućama talijana ubijenih, kao i o teroru tijekom okupacije Trsta, je da su to totalne izmišljotine talijanskog mainstream revanšizma, koje lako "prolaze" sada kada nema više SFRJ nego nacionalističke i podaničke Hrvatske, ali i Slovenije. Bilo je ubijenih, ali ne na tisuće i ne zbog etničku mržnju, nego su ubijeni bili pretežito fašistički krvnici (osim toga daleko je više ustaša i četnika eliminirano nego talijana, kao što je u samoj Italiji ubijeno daleko više talijana od strane talijanskih partizana). Ono što talijanske elite žele, masno finansirajući razne udruge ezula i povijesne revizioniste (među koje spada i Rovinjski Centar za Povijesna Istraživanja), je stjecati bogatu imovinu koju su nakon rata ezuli i talijanski koloni napustili, ali i zgražanje povijesnog sjećanja na otpor fašizmu i kapitalizmu, odnosno sjećanje na NOB i na njene vrijednosti, t.j. solidarnost, internacionalizam, antikapitalizam, socijalna pravda, itd. 
Te su izmišljotine jasno i profesionalno demantirane sa strane hrabrih povjesničara udruženih u Dieci Febbraio Millenovecentoquarantasette (http://www.diecifebbraio.info/) i koji ih mainstream iredentisti i nacionalisti (velika većina povjesničara i parapovjesničara Italije) - da ne govorimo o udrugama ezula - pretežito zbog oportunizma, napada. Ali napada ih vrijeđanjem, a ne znanstvenom debatom, jer dobro znaju da ovi prvi sve što pišu i govore, to i ozbiljno dokumentiraju; za razliku od njihovih protivnika. Zanimljivo je bilo da dokumentarac nije imao hrvatske podnaslove… a ironično čak su i neki gosti negodovali što u Istri nije bilingvizam poštivan! Sramotno je što rovinjski IDS (koji ima većinu vijećnika u Gradskom vijeću) takve manifestacije tek tako dopušta. Jedno je borba za prava manjina; drugo je propagiranje poražene i odvratne ideologije, kao što je to revanšistički iredentizam, ideologija koja širi laži i etničku mržnju. Ali to je sasvim dosljedno IDS-ovom „antifašizmu“ koji ujutro učestvuje na obilježavanju događaja iz antifašističke prošlosti, a uvečer odobrava prostor u Poreču za Thompsonovo ustaško arlaukanje. Toliko o IDS-u i prisutnosti „lijevog“ u njegovom DNK.





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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
http://www.facebook.com/cnj.onlus/

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(english / italiano / srpskohrvatski)


Da Ljiljana Banjanin, membro del nostro Comitato Scientifico, riceviamo e giro questo Appello ricevuto da una sua collega dell'università di Kragujevac in cui si chiede di sensibilizzare tutti coloro che possano aiutare una giovane assistente/ricercatrice della loro Facoltà, colpita da un tumore, ad affrontare le spese di un intervento negli Stati Uniti:



-------- Original Message --------

Subject:Apel
Date:Mon, 19 Aug 2013 12:04:04 +0200
From:Jasmina Teodorović <jasminateodorovic.kg @...>

 
Poštovani,

 

U ime Filološko-umetničkog fakulteta Univerziteta u Kragujevcu i u ime Organizaciono-programskog odbora Međunarodnog skupa dostavljam priloge.

 

Unapred zahvalni.

-- 
Jasmina Teodorović
Sekretar organizaciono-programskog odbora
Filološko-umetnički fakultet
Univerzitet u Kragujevcu
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ОСТАЛЕ САМО ЈОШ ДВЕ НЕДЕЉЕ ЗА АНИНО ИЗЛЕЧЕЊЕ

Ани Живковић (1985), асистенткињи Филолошко-уметничког факултета у Крагујевцу, дијагностификован је тумор карличне кости. Једини начин да јој се сачува живот и здравље је операција и трансплатација костију која може да се изведе само у Њујорку, на клиници Memorial Cancer Centar. Због специфичности тумора, који спада у изузетно тешка и ретка обољења, операција се мора извршити почетком септембра, а у противном би могла да се догоди ампутација нога и дела карлице.

Иако Анин живот нема цену, ипак је излечење има – 80000 долара је потребно да се уплати клиници само за депозит. Већ су покренуте различите акције прикупљања помоћи, али до сада смо сакупили само половину новца за депозит.

Преостало је свега две недеље да се новац за депозит, пут и хоспитализацију сакупи! Не дозволимо да Ану изгубимо кад смо већ пронашли могућност за њено излечење!

Апелујемо на све који могу да што пре уплате новчану помоћ на рачуне за хуманитарну помоћ:

- динарски рачун: 160-5300101293477-62; Banca Intesa, RC Jagodina

- за уплате из иностранства:

SWIFT Banca Intesa: DBDBRSBG;

IBAN/ Account Number: RS35160533020081474474,

Ana Živković, Kneza Milete S3/18, 35000 Jagodina, Republic of Serbia


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HUMANITARIAN AID


For Ana Zivkovic (Serbian: Ana Živković), (28), Street Knez Mileta S3/18, Jagodina


Dear all,


Our twenty eight year old daughter Ana, a teaching assistant at the Faculty of Philology and Arts in Kragujevac, is diagnosed with a rare type of tumour (fibrosarcoma epitelioide) in her pelvis.


Ana is in need of urgent iliac bone and pelvis transplantation so as to successfully remove the tumour and thus prevent leg amputation and partial pelvic amputation.


The transplantation can be successfully performed at the Memorial Sloan-Kettering Cancer Center in New York. However, we do not have the funds necessary for the surgical procedure. The overall treatment and the extensive surgical procedure amounts to 60 000 euros (80 000 US dollars).


We are aware of the difficult financial situation in Serbia. Nevertheless, we wish to appeal to all the people of good will, should they find them in a situation to help us, to financially contribute and thus support the treatment of our daughter Ana and help our daughter walk again.


The following accounts have been opened in Banca Intesa for donations:



Name: Ana Zivkovic (Ana Živković – Serbian)

Local currency account: 160-5300101293477-62

Purpose of paymenthumanitarian aid for medical treatment



Foreign currency account

SWIFT Banca Intesa: DBDBRSBG

IBAN/ Account Number: RS35160533020081474474



Contact:

Slavoljub Zivkovic, father

(mobile: +38164/410- 8180)

Vesna Zivkovic, mother

(mobile: +38163/ 821- 3776)





Унапред ЗАХВАЛНИ,


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(Славољуб Живковић) 




La sera di Ferragosto RaiUno ha mandato in onda il concerto-tributo di Simone Cristicchi a Sergio Endrigo.
Lo spettacolo contiene tra l'altro un monologo, recitato dopo la canzone "1947", che dipinge a tinte fosche gli "jugoslavi occupatori" delle case degli italiani esuli da Istria e Dalmazia. La canzone ed il monologo si possono riascoltare qui: http://www.youtube.com/watch?v=sfbtan4Nqyc .
Questo passaggio può essere considerato una anticipazione dello spettacolo "Magazzino 18" che Cristicchi sta lanciando in pompa magna e con la evidente e potente sponsorizzazione della "lobby degli esuli".

Questa operazione, molto più politica che musicale o teatrale, innanzitutto tradisce ed insulta la memoria di Sergio Endrigo, che nella sua vita personale ed artistica si ispirò sempre all'internazionalismo ed alla fratellanza tra i popoli delle due sponde dell'Adriatico: http://www.diecifebbraio.info/2012/01/omaggio-a-sergio-endrigo/ .

Il Presidente del Comitato provinciale ANPI di Viterbo è intervenuto inviando una lettera personale a Cristicchi, che paradossalmente risulta essere anche iscritto all'ANPI. Ne sono seguite la risposta del cantante ed una replica più dura del segretario di CNJ-onlus, Andrea Martocchia, alla quale Cristicchi si è rifiutato di rispondere:
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Da:  ANPI Viterbo
Oggetto:  I: Lettera per Simone Cristicchi
Data:  21 agosto 2013 17.08.00 GMT+02.00
A:  CNJ-onlus

V'inoltro la lettera che ho appena inviato a SIMONE CRISTICCHI a seguito delle anticipazioni e dell'anteprima del suo spettacolo Magazzino 18 sugli italiani in Istria.



Caro coetaneo Simone Cristicchi,

sono il Presidente del Comitato provinciale Anpi di Viterbo. Ti scrivo perché dagli aggiornamenti della tua pag. Facebook apprendo che ti stai occupando, previa la rievocazione della figura di Sergio Endrigo, di quanti, ricostituitasi la Jugoslavia, scelsero di riparare in Italia. Chi è costretto o decide di migrare, per qualsivoglia ragione, salvo quelle fiscali, ha tutto il diritto di farlo, allora come oggi, e non esistono argomenti indegni di trattazione e riflessione. Sulla cosiddetta complessa vicenda del Confine orientale italiano, però, sono state fatte così tante speculazioni e mistificazioni per denigrare l’Antifascismo e la Resistenza tutta, che ho voluto approfondire la tua produzione in merito, anche perché la storiografia corretta non può essere elusa, sebbene nell‘arte si debba necessariamente mediare con le esigenze di drammatizzazione. Ho letto i vari post e visionato l’estratto dello spettacolo Magazzino 18 che hai pubblicato (https://www.youtube.com/watch?v=sfbtan4Nqyc). Ebbene, da un noto artista antifascista e fiero iscritto all’Anpi quale sei, è lecito pretendere una corretta ricostruzione delle vicende riportate o, quantomeno, una pur minima contestualizzazione delle medesime.

Nella tua trattazione non si riscontrano cenni alle politiche antislave adottate dal regime fascista, iniziate con lo squadrismo e proseguite con zelo per tutto il Ventennio tra snazionalizzazioni, divieti di parlare lingue non italiane, internamenti ed esecuzioni. Su questo tema, c’è un luogo della memoria proprio nella tua città, forte Bravetta, ove sono stati fucilati anche patrioti e antifascisti slavi (vedi: Augusto Pompeo, Forte Bravetta, Roma, Odradek, 2012). Nulla circa i crimini commessi dagli occupanti fascisti nei Balcani: deportazioni e omicidi di massa, distruzioni e incendi di interi villaggi, e efferatezze d’ogni tipo con cui sono state martoriate le inermi popolazioni jugoslave (vedi: Davide Conti, L‘Occupazione italiana dei Balcani, Roma, Odradek, 2008). Nessun riconoscimento, infine, alla Resistenza jugoslava, trattata quasi come elemento criminale, con il suo enorme tributo di sangue, determinante per la sconfitta del nazifascismo. Una Resistenza cui, dopo l’8 settembre 1943, si affiancarono decine di migliaia di soldati italiani che, in migliaia, morirono poi per mano nazista o per il tifo, riscattando il nostro Paese dall’ignominia in cui l’aveva gettato il fascismo (vedi: Giacomo Scotti, Bono Taliano, Roma, Odradek, 2012, I ed. 1977). Partigiani italiani nelle Divisioni Garibaldi, Matteotti etc., o entrati direttamente nell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo (Eplj). A tal proposito, visto che ti cimenti, tra l’altro con ottimi risultati, nella drammaturgia, ti suggerisco un monologo teatrale prodotto dal nostro Comitato provinciale, che stiamo portando in giro con molto successo: Drug Gojko di Elena Mozzetta con Pietro Benedetti, su Nello Marignoli, nostro Presidente onorario, viterbese radiotelegrafista nella Marina militare italiana e, dopo l’8 Settembre, nell’Eplj. La piece si basa perlopiù su una nostra precedente docuintervista Mio fratello Gojko, per la regia d’un altro nostro coetaneo, Giuliano Calisti. Sempre dello stesso anche la docuintervista Pokret! (Avanti!), Partigiani italiani nella Resistenza jugoslava, 1943-45, con le interviste ai romani Rosario Bentivegna e Avio Clementi, e a Zarko Besenghi, di origini slave.

È tutta documentazione audiovisiva che ti posso inviare qualora mi dessi un recapito. Nelle pubblicazioni cartacee ho citato la romana Odradek, una delle case editrici con all’attivo le pubblicazioni più significative sull’argomento. Tralascio per ora la questione Foibe, per cui riprendi per filo e per segno la vulgata antislava, e su cui, checché ne dicano i detrattori, “antifascisti” o meno che si definiscano, importanti lavori sono stati portati a termine dalle studiose Claudia Cernigoi e Alessandra Kersevan, pubblicati dalla Kappa Vu di Udine.

Sono, inoltre, a disposizione per eventuali chiarimenti e confronti su questioni che non si possono certo liquidare con una lettera.

Un’ultima considerazione. Nello spettacolo ti fai latore del sentimento di sdegno provato verso l’omaggio del Presidente della Repubblica Pertini al feretro di Tito. Suona così ancor più amara la profezia fatta proprio da Pertini riguardo la mancata epurazione dei fascisti:

“Verrà un giorno in cui dovremo vergognarci di aver combattuto contro il fascismo”.

Con immutata stima per il cantante e l’artista a tutto tondo.

Salute & solidarietà.

Silvio Antonini



Da:  ANPI Viterbo
Oggetto:  risposta Cristicchi
Data:  21 agosto 2013 18.57.41 GMT+02.00
A:  CNJ-onlus

Caro coetaneo Silvio,

Grazie infinite per i suggerimenti.

Sono certo che nella visione dello spettacolo integrale (i 5 minuti andati in onda sono ovviamente pochi per narrare tutto) si potrà riscontrare l'attenzione e la giusta considerazione di tutte le prospettive, dove lo spettatore sarà messo in grado di farsi una propria opinione, senza così voler propagandare alcuna tesi preconcetta o come le chiami tu: "vulgata".

L'argomento a quanto pare è ancora delicato, ma tengo a precisare che "Magazzino 18" non è uno spettacolo sulla Jugoslavia comunista, né sulla Resistenza, oggetto di altri miei spettacoli.

è incentrato soprattutto sul dramma degli italiani che hanno dovuto subire sulla loro pelle un evento storico come l'esodo, evento che -ne converrai - ancora oggi pochissimi conoscono.

Lo spettacolo quindi non sarà certo una conferenza della Kersevan, o di altri storici... né mi diletterò a snocciolare tesi, numeri, ma si propone di emozionare e far riflettere il pubblico attraverso testimonianze reali raccolte in questi anni insieme all'amico Jan Bernas.

Quello che mi interessa e mi ha sempre affascinato, è l'umanità inghiottita dalla Storia. Vedi "Li romani in Russia", "mio nonno è morto in guerra" e lo spettacolo con il coro dei minatori.

Per quanto riguarda l'episodio di Pertini, da ricercatore, ho solo interpretato il sentimento di imbarazzo di tanti esuli italiani, che hanno visto in quel gesto, solo una mancanza di rispetto.

Senza voler recare alcuna offesa a Pertini, non credo si possano biasimare per questo.

Grazie ancora

Simone Cristicchi



Da:  CNJ-onlus
Oggetto:  Re: risposta Cristicchi
Data:  22 agosto 2013 15.11.11 GMT+02.00
A:  ANPI Viterbo

Con preghiera di inoltro a Simone Cristicchi:
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Leggo il vostro scambio di messaggi con Silvio Antonini dell'ANPI di Viterbo. Forse non sono esattamente vostro coetaneo, in quanto classe 1969, ma in compenso sono romano anch'io, e da una ventina di anni mi trovo ad occuparmi di questioni jugoslave, tanto da essere segretario di una associazione di amicizia, di scambi culturali e di impegno per una corretta informazione, denominata Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS. Temo perciò di essere tenuto a scrivere alcune parole anch'io, benché veramente di malavoglia, vista la circostanza.

Gli italiani, hai ragione, conoscono ben poco della loro storia, figuriamoci della storia dei popoli vicini.
Generalmente, purtroppo, non solo sono ignoranti - il che non è una colpa - ma coprono la propria ignoranza con atteggiamenti saccenti, e questo, si, li rende veramente colpevoli. Un altro difetto facilmente riscontrabile è che tendono troppo spesso ad autoassolversi: in fondo in fondo, sono sempre "brava gente", no? Le colpe le hanno sempre gli altri: allora tedeschi o jugoslavi, oggi rumeni o albanesi.
Il tuo spettacolo "Magazzino 18" non è uno spettacolo sulla Jugoslavia comunista, né sulla Resistenza, eppure contiene un attacco preciso contro la Jugoslavia partigiana, uscita da una guerra infame che non erano stati gli jugoslavi a volere. La Jugoslavia esce da quella guerra come paese unito e pacifico, programmaticamente avviato ad essere mosaico di popoli, lingue e culture: un paese cioè non "nazionale", come l'Italia, bensì "multinazionale" (oltreché internazionalista: promotore del Movimento dei Non Allineati).
Nel tuo monologo c'è pertanto innanzitutto un errore concettuale, di principio: i partigiani jugoslavi, liberando vasti territori - inclusa l'Istria, e la stessa Trieste - dal mostro nazifascista, non intendevano usurparli ai legittimi proprietari, ma viceversa unirli a una nuova struttura statuale e sociale che fosse patria per tutti quelli che vi abitavano, purché ovviamente non ostili al nuovo Stato: ça va sans dire. Tant'è vero che circa 30mila autoctoni di lingua italiana decisero di rimanere. Hai mai sentito parlare dei "rimasti"? Forse valeva la pena che tu raccontassi anche la loro vicenda, che per un iscritto all'ANPI dovrebbe avere degli aspetti ancor più interessanti della vicenda degli "esuli". 
Quello spirito di fratellanza internazionalista per il quale anche tanti italiani combatterono al fianco dei partigiani jugoslavi, e che li spinse non solo a rimanere in quella che diventava la Jugoslavia, ma a contribuire entusiasticamente alla sua formazione, lo puoi ritrovare ad esempio nella storia personale e nelle pagine di Eros Sequi, grande italianissimo scrittore ed intellettuale, sconosciuto agli italiani:

<< Ora, eccomi qui, a scrivere da mattina a sera. Prepariamo il "Nostro Giornale" e "Lottare", prepariamo traduzioni ed opuscoli, volantini ed appelli... Sono commosso e contento. Ho scoperto il mio mondo... Ho saputo anche che cos'è l'Istria, dove la popolazione croata soffriva sotto l'oppressione degli imperialisti italiani ed oggi combatte la sua rivoluzione per esser libera nazionalmente e socialmente. Vorrei che tutti gli italiani sapessero che queste terre appartengono di diritto alla Jugoslavia; vorrei che tutti gli italiani fossero giusti  e amati per la loro giustizia.
Vorrei che sempre più grande fosse l'affluire dei miei connazionali tra le file del movimento di liberazione. E so che solo pochi non risponderebbero, se l'appello della verità giungesse fino a loro... Sarebbe bello se anche l'Adriatico fosse un lago, sulle cui sponde lavorassero in pace e in concordia uomini fratelli.  Ma so che la fratellanza stringerà almeno italiani e croati e tutti gli jugoslavi nel paese nuovo che andiamo creando con lotta e sacrifici... >> (Monti di Kukuljani, 31 luglio 1944. Da "Eravamo in tanti", diario della sua esperienza di combattente partigiano).

L'abbandono di Istria e Dalmazia di gran parte della popolazione di lingua italiana, anche quella non compromessa con il nazifascismo, per la Jugoslavia federativa e socialista fu percepito come una sconfitta, e non come una vittoria. Viceversa, ci fu una precisa volontà da parte dei ricostituiti poteri italiani, a che gli italiani di Istria e Dalmazia venissero via, allo scopo di delegittimare la nuova struttura statale che si andava formando oltre Adriatico. Hai mai sentito parlare di Radio Venezia Giulia, la radio messa su dai servizi segreti italiani per fare pressione psicologica sugli italiani di Pola, di Fiume, eccetera, perché andassero via? Lo sai che quelli che rimanevano erano bollati come "italiani sbagliati", e non certo da parte jugoslava? Ci sono tante cose da sapere, se solo interessa andarle a cercare. E sugli esuli istriani e dalmati, oltre a tutti i libri opportunamente menzionati da Silvio, ed anziché appoggiarti ai contatti selettivi di Jan Bernas, potresti dare almeno un'occhiata al testo "Esuli a Trieste. Bonifica nazionale e rafforzamento dell'italianità sul confine orientale", di Sandi Volk (KappaVu Edizioni, Udine 2004), che è un autentico esperto della problematica degli "esuli"... Perché di cose da dire ce ne sarebbero molte altre, nemmeno riassumibili qui: lo sai che gran parte degli "esuli" non erano nemmeno autoctoni, ma "regnicoli" (veri e propri "coloni")? Lo sai che non andarono via solo italiani, ma anche tanti croati e sloveni, vuoi per ragioni politiche, vuoi per ben più generali necessità economiche? Lo sai, infatti, che cosa è stata l'emigrazione dai piccoli centri verso le grandi città nell'immediato dopoguerra, in tutta Italia e in tutta la Jugoslavia? Lo sai che cosa vuol dire "optanti"?

Esistono ignoranze che determinano vere e proprie colpe. In ogni attività, anche in quella artistica, si tratta di sentire o non sentire la responsabilità delle proprie scelte. Da ogni canzone di Sergio Endrigo trapela il senso forte della responsabilità: perché, lui, era veramente un cantante impegnato, nel senso pieno e bello del termine, un senso che in questa Italia è andato perduto. Non fu mai un opportunista, né nelle scelte di vita né in quelle artistiche: comunista e ateo, gli stava cordialmente antipatico tutto l'apparato massmediatico - antipatia ricambiata, tant'è vero che negli ultimi anni fu veramente dimenticato dal teatrino dominante, televisivo e non. Quale Sergio Endrigo vogliamo ricordare? Il Sergio Endrigo che cantava in lingua serbocroata con Arsen Dedic, e vinceva festival della canzone jugoslavi, il Sergio Endrigo che cantava la Resistenza tradita dagli opportunisti di turno (La ballata dell’ex), il Sergio Endrigo che ricordava con nostalgia la sua città come metafora di tutti gli abbandoni... Oppure un Sergio Endrigo immaginario, un Sergio Endrigo inventato, di comodo, revanscista e rancoroso contro gli "usurpatori della propria terra"?
Non credo che Sergio Endrigo, che è stato gettato nel dimenticatoio per anni in quanto cantante "scomodo", avrebbe mai approvato di essere strumentalizzato a fini di revanscismo antipartigiano. Era meglio nessuna carriera, per lui, che una carriera sulla cresta dell'onda della lobby "vincente" di turno.

Chiudo su Tito e Pertini. La percezione che alcuni italiani originari di Istria e Dalmazia possono avere avuto guardando il nostro amato presidente che rendeva omaggio all'amato presidente degli jugoslavi, è solo ed esclusivamente una loro percezione. Per la stragrande maggioranza degli italiani quel gesto è stato un gesto di fratellanza e di pace, il suggello di due vite parallele da partigiani, ispirati ai valori della fratellanza tra i popoli. Per noi antifascisti quel gesto fa grande onore a Pertini, più ancora che a Tito.

Andrea Martocchia
segretario, CNJ-onlus


Da:  Simone Cristicchi 
Oggetto:  Re: Contributo Andrea Martocchia
Data:  22 agosto 2013 19.36.00 GMT+02.00
A:  ANPI Viterbo
Cc:  CNJ-onlus

Trovo alquanto imbarazzante ricevere queste parole, senza nemmeno aver visto lo spettacolo integrale, che non ha certo istanze revansciste.
Non accetto lezioni da nessuno, soprattuto con questi toni.
Arrivederci 

Inviato da Simone Cristicchi




(castellano / italiano / francais.

Vedi anche: SANDZAK, ELOGIOS AL YIHAD



YIHADISTAS BOSNIOS CAEN EN EGIPTO


22/08/2013

Según recoge el diario bosnio “Dnevne novine” hace unos días en este artículo, el ejército egipcio ha detenido a varios ciudadanos de Bosnia y Herzegovina por los delitos de terrorismo y rebelión contra el gobierno egipcio que serán juzgado en breve.

La grabación publicada por la televisión egipcia “ONTV” muestra treinta terroristas detenidos, todos ellos miembros de Al Qaeda.

Los militantes han sido detenidos por la policía egipcia y las fuerzas militares especiales no sólo en El Cairo, sino en todo el país. Cientos de terroristas de Al Qaeda están detenidos y acusados de rebelión militar y el terrorismo, por lo tanto, serán “juzgados sumariamente.”

Todos los sospechosos estaban involucrados en ataques terroristas, hiriendo y matando a las fuerzas de seguridad egipcias y los civiles y en la rebelión armada contra el gobierno.

Uno de los sospechosos, que era el líder del grupo, dijo que él había venido de Pakistán, de una aldea en la frontera con Afganistán, junto con su primo que llegó de Afganistán.

Miembro de las fuerzas de seguridad le dijo “ONTV” que este grupo de extremistas ha demostrado que el terrorismo no conoce fronteras, porque los terroristas detenidos son procedentes no solo de Bosnia sino también de Afganistán, Pakistán y otros países europeos.

Según él, vinieron a Egipto el mes pasado, y algunos de ellos cruzaron ilegalmente la frontera antes de unirse a “Hermanos Musulmanes”, una organización radical que ha sido prohibida durante décadas en ese país.

Hablando de los terroristas bosnios, se dijo que llegaron a través de Estambul con un portátil que contiene “instrucciones para llevar a cabo ataques en El Cairo”. La policía cree que hay más islamistas bosnios que llegaron como parte de un paquete turístico.

El número de mezquitas en Bosnia y Herzegovina, donde se llevó a cabo un servicio especial para los muertos en la violencia en Egipto está creciendo. También hubo una protesta en Sarajevo que reunió a varios centenares de personas que se presentaron como miembros de la diáspora egipcia en Bosnia y Herzegovina.

La Comunidad Islámica en Bosnia y Herzegovina emitió una declaración en la que “el CI de Bosnia y Herzegovina” condena enérgicamente los asesinatos en masa brutales de los ciudadanos de Egipto y la violencia de que fue causada y llevada al cabo por las autoridades militares “, así como una ” llamada a detener de inmediato la violencia” y “devolver el poder al presidente democráticamente electo de Egipto Mohamed Morsi”.


VER MAS SOBRE EL ISLAMISMO RADICAL EN BOSNIAhttp://global-security-news.com/tag/radical-islam-in-bosnia/


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Crisi in Egitto: bosniaci arrestati per terrorismo

23 agosto 2013

Alcuni cittadini della Bosnia Erzegovina sarebbero in prigione al Cairo a seguito della loro partecipazione ai moti che stanno scuotendo l'Egitto.

Sono accusati di “terrorismo” e la maggior parte tra loro sarebbero arrivati nello scorso mese dalla Siria dove combattevano contro le forze leali ad Assad.

La notizia è stata diffusa dall'egiziana ONTV.

Le autorità islamiche della Bosnia Erzegovina hanno risolutamente preso le distanze da questi “estremisti” ma hanno confermato la loro solidarietà ai Fratelli Mussulmani: “Condanniamo la violenza brutale e la morte di cittadini egiziani, come condanniamo la violenza perpetrata dalle autorità militari” hanno scritto in un comunicato stampa, nel quale si chiede il ritorno del presidente Mohamed Morsi, eletto democraticamente.

In questi ultimi giorni in Bosnia Erzegovina numerose moschee hanno dedicato le loro preghiere alle vittime della violenza in Egitto. A Sarajevo è stata organizzata una manifestazione alla memoria delle vittime degli scontri al Cairo e nelle altre principali città egiziane.

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Le Courrier des Balkans

Crise en Egypte : des ressortissants bosniens arrêtés pour « terrorisme »


De notre correspondant à Sarajevo

Mise en ligne : vendredi 23 août 2013
Plusieurs citoyens de Bosnie-Herzégovine sont en prison au Caire suite à leur participation aux émeutes qui secouent la capitale égyptienne. Arrêtés par l’armée et accusés notamment de « terrorisme », la plupart d’entre eux seraient arrivés de Syrie, où ils se battaient contre les forces loyales au président Bachar el-Assad.

Par Rodolfo Toè


L’agence de presse de Republika Srpska, « SNRA », a repris cette information diffusée par la chaîne égyptienne ONTV, qui dispose d’images montrant une trentaine de personnes détenues dans une caserne militaire. Selon ONTV, il s’agirait de « terroristes » provenant de « Bosnie-Herzégovine, du Pakistan, d’Afghanistan et de pays européens ».

Ces hommes ont été arrêtés lundi 19 août et auraient « participé activement », selon les autorités égyptiennes, au soulèvement initié par les Frères musulmans et auraient « blessé ou tué des membres des forces de l’ordre et des civils ».

Les Bosniens arrêtés seraient entrés en Egypte de façon illégale, le mois dernier, pour soutenir les Frères musulmans. Il est très probable, selon Dževad Galjašević, expert en terrorisme islamique interviewé par Nezavisne Novine, que la plupart d’entre eux aient décidé de se rendre en Egypte après avoir combattu en Syrie.

Les autorités islamiques de Bosnie-Herzégovine se sont déclarées « étonnées » et ont résolument pris leurs distances de ces « extrémistes », mais confirment leur solidarité avec la « lutte » menée par les Frères musulmans : « nous condamnons la violence brutale et les meurtres de citoyens égyptiens, ainsi que la violence perpétrée par les autorités militaires », peut-on lire dans le communiqué officiel, qui « demande aussi la restitution des pouvoirs au président Mohamed Morsi, qui a été élu démocratiquement ».

Ces derniers jours en Bosnie-Herzégovine, de nombreuses mosquées ont dédié leurs prières aux victimes des violences en Egypte. A Sarajevo, une manifestation a été organisée en mémoire des victimes des affrontements au Caire et dans les grandes villes égyptiennes.




(english / italiano / hrvatskosrpski)

Hrvatska / EU: Okupacija u 26 slika

1) Croazia: caos alle frontiere e stop ai lavoratori anche da Parigi (S. Giantin, Il Piccolo)
2) The lure of membership fades as Croatia joins the European Union (O. Markovic, WSWS)
3) Ok a privatizzazione banca pubblica e prima assicurazione / Al via privatizzazione ferrovie statali (ANSA)
4) Hrvati opet izvisili: Njemačka koristi situaciju i traži jeftinije radnike izvan EU (D. Katalinić, Dnevno.hr)
5) Hrvatsku ne očekuje ništa dobro u Europskoj uniji (A. Filimova, Pravda.ru)
6) Okupacija u 26 slika (A. Sejdić, SRP)
7) Pobjeda jednoetničke Hrvatske (D. Vidović, SRP)


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Croazia: caos alle frontiere e stop ai lavoratori anche da Parigi 

di Stefano Giantin, su Il Piccolo del 4 luglio 2013

Non ci sarà alcun esodo di lavoratori, assicurano politici locali, studi e sondaggi. Ma nell’Europa della crisi economica e sociale in tanti non si fidano e preferiscono evitare qualsiasi problema. E così anche la Francia ha deciso. Stop ai croati, dal primo luglio a tutti gli effetti cittadini dell’Unione europea, che vogliano cercare lavoro in territorio transalpino. Come nel caso di bulgari e romeni, stessa sorte dunque anche per gli abitanti di Zagabria, Spalato e Ragusa.
Parigi ha deciso infatti di adottare «misure restrittive» per i croati che volessero lavorare in Francia, ossia l’obbligo di «essere in possesso di una carta di soggiorno» e di una «autorizzazione di lavoro», si specifica su Service-Public.fr, il sito ufficiale dell’amministrazione pubblica francese. Se le restrizioni per romeni e bulgari cadranno a partire dal 31 dicembre 2013 – e così gli abitanti di Sofia e Bucarest «beneficeranno della stessa libertà di circolazione» di tutti gli altri cittadini Ue –, per i croati l’“embargo” francese durerà invece «come minimo fino al 30 giugno 2015» e potrà «essere prolungato per altri tre anni», fino all’estate del 2018.
Ed eventualmente per ancora 24 mesi, sempre che «la situazione» relativa alla «disoccupazione in Francia lo giustifichi», aggiunge la nota. Francia che così, malgrado i calorosi abbracci tributati alla Zagabria entrante nell’Ue da tutti i membri dell’Europa che conta, si unisce a un “gruppone” di Paesi europei che sembrano non fidarsi delle non buone condizioni economiche della Croazia, temendo una fuga verso lidi più felici, almeno sulla carta, dei lavoratori locali. Gruppo che finora comprende, ricorda l’agenzia di stampa croata Hina, «Germania, Austria, Paesi Bassi, Cipro, Gran Bretagna, Slovenia, Belgio, Spagna e Lussemburgo».
Naturalmente, specifica la Hina, Zagabria ha sempre «il diritto di reciprocità», ossia quello di imporre restrizioni simili a cittadini Ue dei Paesi sopra riportati che vogliano cercare impiego all’interno dei confini croati. Confini, il nuovo “limes” dell’Ue a sbarrare la strada al resto dei Balcani, che da due giorni hanno cominciato a produrre i primi temuti problemi. Problemi che si sono registrati in particolare alla dogana tra Croazia e Serbia a Batrovci-Bajakovo, dove in due giorni si è formata una colonna di camion che ha raggiunto in alcuni momenti i 15 chilometri. Tutto a causa di una falla nel sistema informatico doganale installato in Croazia, che ha impedito ai doganieri di Zagabria di smaltire il traffico di Tir, rimasti fermi sul versante serbo. Circa 1.200 camionisti, con i nervi a fior di pelle, sono così stati costretti ad attendere sotto il sole, in coda, che il problema venisse risolto. Ma il collo di bottiglia, tra Serbia e Croazia-Ue, ancora resiste, mentre tonnellate di derrate alimentari trasportate dai Tir rischiano di dover essere gettate tra i rifiuti.


=== 2 ===


The lure of membership fades as Croatia joins the European Union

By Ognjen Markovic 
1 July 2013


Today, Croatia joins the European Union (EU) as its 28th member-state. Much as was the case with the last EU expansion in 2007, when poverty-stricken Bulgaria and Romania joined, the decision to grant membership to crisis-ridden Croatia was based more on political and geo-strategic considerations than on economic ones. The lure of membership has faded since the early days, after the break-up of the former Yugoslavia in the 1990s and Croatia’s formal application to join the bloc in 2003.

Under conditions of deepening social austerity and economic crisis within Croatia and continent-wide, Croatia’s politicians have tried to present its joining the EU as a significant step forward. They have also clearly signalled that further austerity is coming.

Premier Zoran Milanovic of the ruling Social Democratic Party (SDP), who describes himself as a “social democrat, free marketeer, libertarian”, declared, “There will be plenty of possibilities, a plethora of possibilities, a new market, new chances. You might get them if you work hard, if you prepare well, but you can also end up as a loser...which would be a curse.” Milanovic added, “We’re under pressure...to downsize spending and explain to people there are no entitlements for life.”

However, a number of EU and international policy makers and analysts have voiced concerns about Croatian accession, particularly in Germany, whose recognition of Croatia and Slovenia in 1991 sparked the dissolution of Yugoslavia. The speaker of the German parliament, Norbert Lammert, stated bluntly last October that “Croatia is clearly not yet ready for membership,” and more recently, Bild magazine called the country a “new cemetery for EU billions.” The German Parliament was the last in Europe to ratify the accession treaty, only doing so last month.

The Croatian population has also lost its previous enthusiasm for the EU. Almost 80 percent of the population supported accession in 2000 and less than 10 percent were against. Latest polls show only 45 percent view the accession as a positive move. In the EU membership referendum in January 2012, extensively promoted as a historically significant decision, only 43.5 percent of the voters bothered to show up. This was even lower than the 54 percent turnout for the parliamentary elections held a month earlier.

It should be added that all of the parliamentary political parties called for a yes vote at the time, leaving half of the population opposing the EU with no political voice whatsoever.

The disastrous social conditions plaguing Croatia as it accedes to the EU expose the nationalist claims made at the time—that independence would bring prosperity to the whole nation—as nothing but lies.

Largely dependent on international capital, the Croatian economy was hit hard by the financial crisis of 2008, going into deep recession in 2009 and staying there ever since. The country’s GDP is now almost 12 percent lower than in 2008, and even the most optimistic estimates forecast a further contraction this year, with virtually no growth in 2014. Foreign direct investment has plunged 80 percent since 2008, and last year was at its lowest level since 1999.

Croatia’s credit rating was downgraded to junk status in recent months, and, with interest on government 10-year bonds of over 6 percent, the former head of the International Monetary Fund’s mission to Zagreb, Nikolay Gueorguiev, called the country “a hostage to sentiment on international markets.”

As in other former Stalinist countries in Eastern Europe, the criminal dismantling and privatisation of former state-run industries—a process dictated by the EU and international capital—have enriched a tiny, corrupt elite and pauperised the working class. A staggering 80 percent of the manufacturing base has been lost. Official unemployment is 20 percent, and more than 50 percent amongst the youth. At the same time, prices are skyrocketing. One recent study found that utilities were as expensive as in Germany, but the average wages are only a third of the German level.

Presiding over and enforcing such social inequality, the political elite as a whole stands largely discredited in the eyes of the population.

First of all, there is the right-wing, conservative Croatian Democratic Union (HDZ), which has ruled Croatia for all but some five years since independence. Made up of nationalist right-wing émigrés, conservative Catholic layers and ex-Stalinists—its infamous leader Franjo Tudjman was a former Yugoslav army general—its long legacy in power has left it widely despised today and rife with corruption. In what is only the tip of the iceberg, former premier Ivo Sanader, who succeeded Tudjman as HDZ head, was sentenced to 10 years in prison in 2011 for accepting bribes in excess of €5 million.

The SDP, the other political pillar of the Croatian bourgeoisie, is likewise discredited. It was the successor to the former League of Communists of Croatia, the Croatian branch of the League of Communists of Yugoslavia. The SDP was briefly in power between 2000 and 2003 and then the recipient of a protest vote against HDZ in the last elections in 2011, ruling with minor coalition partners since and continuing with the same policies.

In 2012, the SDP-led government imposed an austerity budget and increased Value-Added Tax by 2 percent to 25 percent—the highest in Europe after Hungary and Iceland. Latest surveys show that only 23.8 percent of voters support the SDP, a 10 percent drop from just a year ago. The HDZ, even though currently in opposition, polls even lower at 21.5 percent, and none of the smaller parties come even close.

Croatia is the second of the ex-Yugoslav republics—Slovenia was the first in 2004—to be admitted into the EU. Slamming the door on accession is seen as carrying even more significant risks. Throughout the decades-long attacks on the position of the working class in Eastern Europe, EU politicians and their local counterparts have justified the process as a necessary “transition” to a more stable and prosperous market economy. The continent-wide crisis is exploding this lie. The ruling class fears that the working class is realising that austerity is not only the “new normal,” but a prelude to their further impoverishment and a threat to capitalist rule.

Croatian foreign minister Vesna Pusic admitted as much in a recent Financial Times ( FT ) interview: “If the EU loses its soft power, then it loses the power to stabilise southeast Europe. And without stabilising southeast Europe, the danger of instability spreading from southeast Europe, from the southern Mediterranean and from the Middle East into Europe, becomes much bigger.”

The FT also points to wider, geo-strategic considerations behind Croatian membership, commenting, “Southeast Europe is the continent’s transition zone to the Middle East; political ferment in Turkey and war in Syria lie just beyond.” Croatia has been a vital link in the supply of weapons to the Western-backed Syrian “rebels, via Jordan and Saudi Arabia, helped by the CIA.

Earlier this year, the New York Times revealed that there had been “a combined 36 round-trip flights between Amman and Croatia from December through February” and that these carried weapons including “a particular type of Yugoslav-made recoilless gun, as well as assault rifles, grenade launchers, machine guns, mortars and shoulder-fired rockets for use against tanks and other armored vehicles.”

Croatia was thus conveniently serving imperialist interests in arming the Syrian Islamist-dominated opposition, while the official EU arms embargo was still in force, and the US preferred, at that stage, not to be too directly associated with arming them.



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Croazia, ok a privatizzazione banca pubblica e prima assicurazione

Il governo croato ha dato oggi il via libera alla privatizzazione di due società operanti nel settore finanziario, l’ultima banca ancora di proprietà pubblica e la maggiore società assicurativa in Croazia. Lo scopo, secondo il ministro delle Finanze, Slavko Linic, è realizzare per l’erario un entrata consistente che potrà aiutare le finanze pubbliche a ridurre il deficit del bilancio e il debito estero.
Saranno messe in vendita il 50 per cento delle azioni della Croatia Osiguranje, maggiore società per le assicurazioni del Paese che opera con consistenti profitti. Il valore della società, con un’ottima posizione sul mercato croato e immobili di ingente valore, e’ stimato a circa 400 milioni di euro. Lo Stato croato continuerà a controllare il 25 per cento delle azioni. L’altra società in via di privatizzazione, la Hrvatska postanska banka, detiene l’otto per cento del settore bancario in Croazia, ed è stimata a circa 200 milioni di euro. Al nuovo proprietario sarà probabilmente richiesto di presentare anche un piano di ricapitalizzazione.
I bandi saranno pubblicati nei prossimi giorni, scadranno a metà settembre, mentre le decisioni sugli acquirenti dovrebbero essere note a ottobre.

www.ansa.it 19 luglio 2013

Croazia: al via privatizzazione ferrovie statali

La società croata per il trasporto ferroviario, la Hz Cargo, sarà venduta nelle prossime settimane alla romena Feroivar, parte del gruppo Grampet. Lo ha annunciato il ministro dei Trasporti croato, Sinisa Hajdas Doncic, dopo la conclusione del bando per la privatizzazione, spiegando che l’offerta giunta dalla Romania era la migliore. La vendita fa parte di un grande piano di ristrutturazione e privatizzazione delle ferrovie croate, avviato dal governo di centro-sinistra.
L’acquirente romeno si farà carico di tutti i debiti e delle garanzie statali dell’Hz Cargo, per circa 120 milioni di euro, e dovrà investire altri 30 milioni di euro nella modernizzazione dei treni. In futuro saranno banditi i concorsi per la privatizzazione di altri settori delle ferrovie croate.

www.ansa.it 23 luglio 2013


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Hrvati opet izvisili: Njemačka koristi situaciju i traži jeftinije radnike izvan EU

Javni poziv nezaposlenima izvan Europske unije samo je još jedna u nizu pljuski najjačeg europskoga gospodarstva istočnim članicama Europske unije, čiji nezaposleni radnici, među kojima su i Hrvati, očajnički čekaju završetak ograničenja koje su razvijenije članice Unije uvele za radnu snagu iz siromašnjih članica, među kojima je opet Hrvatska

Autor: Dražen Katalinić

I dok se gotovo sve europske zemlje bore s rastućom nezaposlenošću, Njemačka je početkom tjedna prvi put objavila popis poslova na kojima želi angažirati radnike, ali iz zemalja koje nisu članice Europske unije! Konkretno su naveli da traže medicinske sestre, njegovatelje za starije osobe, stručnjake iz područja robotike, električare i strojovođe. Kao razlog navode nedostatak radne snage zbog starenja populacije, a ministrica rada Ursula von der Leyen poručuje kako su im potrebni kvalificirani imigranti da bi se osigurala dugoročna dobrobit Njemačke.

Javni poziv nezaposlenima izvan Europske unije samo je još jedna u nizu pljuski najjačeg europskoga gospodarstva istočnim članicama Europske unije, čiji nezaposleni radnici, među kojima su i Hrvati, očajnički čekaju završetak ograničenja koje su razvijenije članice Unije uvele za radnu snagu iz siromašnjih članica, među kojima je opet Hrvatska. Zanimljivo, Njemačka je s Hrvatskom (i Filipinima) prije našeg ulaska u Europsku uniju imala bilateralni sporazum za privlačenje radnika, posebno medicinskih sestara, no najnoviji poziv radnicima za zaposlenje u Njemačkoj više se ne odnosi na Hrvate, jer smo punopravna članica EU. Ipak, predsjednik Hrvatskog društva ekonomista dr. Ljubo Jurčić navodi da je riječ o deficitarnim zanimanjima u Njemačkoj u kojima su Hrvati nalazili posao i za koja se još uvijek mogu prijaviti, no pitanje je hoće li dobiti posao zbog velike konkurencije.
Radnici izvan Europske unije su jeftiniji od radne snage u EU, posebno radnici iz Indije, Pakistana, Bliskog istoka i Afrike koji će raditi za dvostruko nižu nadnicu od Hrvata i tu bi mogao nastati problem – pojašnjava Jurčić. Europska je unija prihvatila model slobodnog kretanja ljudi i kapitala, podsjeća Jurčić, a Njemačka ima višak kapitala, ali manjak ljudi, dok je u Hrvatskoj situacija obrnuta – nemamo kapitala, ali imamo jako puno nezaposlenih i takvu situaciju, koju susrećemo kod siromašnijih zemalja, Njemačka koristi, što baš nije u duhu europske suradnje, zaključuje Jurčić.

Direktora američkog Instituta za svjetske probleme u Hrvatskoj dr. Slavka Kulića takav stav Njemačke uopće ne čudi. Navodi da smo mi Hrvati prijateljstvo između Njemačke i Hrvatske shvatili na način da će nam Njemačka uvijek pomagati i otvarati tržište rada samo za nas, što je potpuno pogrešno razmišljanje.
Prema podacima portala MojPosao.net u prvih sedam mjeseci ove godine u Hrvatskoj su objavljena 334 oglasa za radnim mjestima u inozemstvu, a za rad u Njemačkoj bila su ukupno 64 oglasa ili 19 posto od ukupnog broja inozemnih oglasa. Najviše oglasa rad u Njemačkoj odnosilo se na građevinarstvo i geodeziju, zatim poslovi vezani uz održavanje, popravke i instalacije te IT stručnjaci i poslovi vezani uz telekomunikacije. Hrvati su se, pak, najviše javljali na oglase u kojima su se tražili programeri, voditelji gradilišta i građevnski radnici.
Da će Hrvati i radnici siromašnih članica EU zaista dobiti veliku konkurenciju pri zapošljavanju ne samo u Njemačkoj nego i cijeloj EU, govori i takozvani plavi karton, agenda koju je izdala Eurospka komisija, a koji svim visokookvalificiranim imigranitima izvan EU i njihovim obiteljima jamči sva socijalna prava koja uživaju državljani Europske unije.

Zadnja Promjena: Srijeda, 24 Srpanj 2013 18:53


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Hrvatsku ne očekuje ništa dobro u Europskoj uniji


29. srpanj 2013. pravda.ru
Hrvatska je postala članica Europske unije. Kakve posljedice donosi ulazak Hrvatske u EU za portal Pravda.ru govori Ana Filimonova, znanstvena suradnica Centra za proučavanje suvremene balkanske krize.

Bez obzira na optimistična očekivanja jednog dijela hrvatske političke elite, Hrvatsku u Europskoj uniji ne očekuje tako vedra budućnost kako se to moglo očekivati. Postoje nesretni primjeri država Istočne Europe (Bugarska, Rumunjska, Mađarska i Poljska) koji su od 2004. ušli u EU. Na njihovom primjeru vidimo jednu te istu tužnu sliku. Kod tih zemalja karakteristični su moćni degradacijski procesi u društvenom i ekonomskom području. Osnovni pokazatelji kvalitete života (razina vanjskog duga, nezaposlenost, životni vijek, odljev stanovništva) padaju i zasad se taj proces ne zaustavlja. Čak se ne može naslutiti ni njegova stagnacija.  
U Hrvatskoj su se ti isti procesi primjećivali i prije ulaska u EU. Ogromni rast vanjskog duga premašuje 40 mlrd. dolara, to je katastrofalna brojka za tako malenu državu. Mađarska ima dug od 50 mlrd. dolara, to je brojka koja se ne da usporediti s nacionalnim budžetom.
Vrlo je visoka nezaposlenost. U Hrvatskoj iznosi oko 20%, no među mladima ta brojka je naprosto zastrašujuća – 50%. Ove zime napravljena je sociološka anketa u kojoj se pokazalo da bi samo 7% hrvatske mladeži željelo ostati u Hrvatskoj. 93% je spremno napustiti svoju domovinu i otići u Austriju, Italiju, Njemačku, SAD, Kanadu.
Potpuno uništenje bankarskog nacionalnog sustava. Sva su nacionalna financijska središta okupirana od strane austrijskih i talijanskih banaka, a sad nakon što je Hrvatska ušla u Europsku uniju u potpunosti će izgubiti svoj nacionalni financijski sustav.
Loša je situacija u proizvodnji, u tom sustavu događa se ista stvar: Njemačka kupuje proizvođačke linije, one postaju njemačkom proizvodnjom a sav prihod se izvozi iz Hrvatske. Hrvatska proizvodnja se zatvara. Država živi na račun turizma.
U Njemačkoj se jasno vidi tendencija nezadovoljstva s tim što je Hrvatska ušla u EU. Djelomično se čuju tvrdnje da je to još jedna država u kojoj će propadati njihove milijarde. 
Hrvatska je na granici ekonomske recesije koja se s poteškoćom zaustavlja. Vlada se oštro kritizira, mnogi je smatraju za jednu od najnetalentiranijih vlada u proteklih 20 godina, budući da slijepo ispunjava sve zahtjeve europske, briselske birokracije. Sve to dovodi do zaključka da se pred Hrvatskom nazire grčko-ciparski scenarij. Morat će napraviti velike strukturne reforme zbog kojih će dobiti udarac po nacionalnoj društvenoj i ekonomskoj strukturi. Recimo, nedavno je vlada Hrvatske donijela odluku da će se plaćati poziv hitne pomoći koji neće koštati manje od 200 eura. Argumentiraju time da postoji jako puno lažnih poziva. No u plaćanje se računa korištenje opreme za reanimaciju, odnosno ako se ona upotrebljava, to znači da poziv nije bio lažan. Taj primjer lijepo prikazuje stanje hrvatske medicine.   
Tijekom ove godine u Hrvatskoj su bili veliki društveni prosvjedi. Ljudi postaju svjesni da ulazak u Europsku uniju neće riješiti ekonomske probleme, samo će pogoršati socijalne prilike u državi“. 
Je li Hrvatska imala neki drugi put osim ulaza u EU?
„Sve balkanske države ovako razmišljaju: što da radimo, mi geografski pripadamo Europi, oko nas je samo Europska unija i države NATO-a. Kako država može biti jača, ako će se podčinjavati institucijama Europske unije i euroatlantskim integracijama, ispunjavati njihove zahtjeve te još više slabjeti i uništavati vlastitu nacionalnu državnost? Danas Europa nije više ono što je bila šezdesetih i sedamdesetih godina, za vrijeme njezinog procvata kad je gospodarila određena društvena ravnopravnost i pravednost.
Pogledajte što se dogodilo s Bugarskom nakon ulaska u EU. Stanovništvo se tijekom zadnjih 10 godina katastrofalno smanjilo. Državu nazivaju zemljom europskih penzionera koji iznajmljuju svoju imovinu u Europi, kupuju jeftine stanove u Bugarskoj i žive tamo od te razlike. Slični procesi se primjećuju i u Mađarskoj. Osim toga, Mađari trenutno jako prosvjeduju, pokušavaju obnoviti nacionalnu ekonomiju.
Hrvate je uvijek karakterizirao zdravi pragmatizam. Upravo je zbog toga za hrvatsku elitu jasno da u ovim uvjetima primjeri istočnoeuropskih država govore o jako mračnoj perspektivi. I zasad takva ista budućnost očekuje Hrvatsku.“

Ana Filimonova je znanstvena suradnica Centra za proučavanje suvremene balkanske krize Ruske akademije znanosti.

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Okupacija u 26 slika



Prvi mjesec hrvatskog članstva u EU obilježila je vrlo dinamična aktivnost Vlade RH na polju uspostavljanja reda i poretka u državi. To bi bilo za svaku pohvalu jer je kriminalna anarhija stvorena od strane “stranaka s hrvatskim predznakom” velikoj većini građana već odavno dozlogrdila. No, postavlja se pitanje svrhe i ciljeva tih mjera te kome one trebaju donijeti poboljšanje. Da li svim građanima RH, jednom dijelu hrvatskog društva ili nekome trećem. Intencija aktualne hrvatske vlade, kako njeni članovi tvrde, je ispravljanje negativnosti stvorenih za vrijeme HDZ-ovskih vlada. Pitanje je je li to baš tako ili se aktivnost aktualne vlade može shvatiti kao nastavak procesa započetog stjecanjem tzv. neovisnosti.

Da se radi o kontinuitetu jedne antinarodne politike moglo se zaključiti po najnovijem nizu poteza Vlade. Prvi je bio objava da se ide u prodaju Hrvatske poštanske banke i Croatia osiguranja. Nebitno je tko će preuzeti udjele u tim poslovnim subjektima jer njihovom privatizacijom hrvatsko društvo iz svojih ruku ispušta oruđe razvoja, odnosno, kreiranja razvojnog kapitala. Posebna je zanimljivost, što je praksa u cijeloj istočnoj Europi, privatiziranje domaće (hrvatske) državne firme kao što je bio slučaj privatizacije Hrvatskog telekoma od strane njemačke državne firme. Mazohistički dodatak na cijelu tragikomediju bio je svojevremeni izbor namještenika njemačke državne kompanije na mjesto predsjednika Hrvatske udruge poslodavaca.

Druga mjera vrijedna pažnje je povećanje trošarine na motorna goriva što predstavlja jasan dokaz kontinuiteta politike ove sa svim prethodnim hrvatskim vladama. Vrijedi zabilježiti skoro pa antologijsku izjavu ministra financija koji je ustvrdio da će se ti novci vratiti građanima. Jasno je kome se novac uzima. Uzima se svima jednako, bez obzira na primanja, no ministar nije pojasnio kome se, kojem dijelu građanstva, taj novac vraća. Striktno logički gledano, ako se novac uzima svima, a isti u punom iznosu vraća samo određenim klasama građana, onda se ne može reći da se on nekamo vraća. On se nekome daje. Pitanje je kome. I zašto?

Sljedeća postaja hrvatske propasti se zove monetizacija cesta. Ministar financija je domoljubno izjavio da ceste ne (pro)daju ispod tri milijarde eura dok se i sam premijer našao ponukanim da miroljubivo i razborito, u maniri svog prethodnika na čelu stranke, objasni kako je alternativa monetizaciji otpuštanje 30 % zaposlenih u državnim i javnim službama. Jer za njihove plaće, bez monetizacije, novaca nema.

Tu treba napraviti prvu međupostaju u rješavanju ove zagonetke koja to u biti i nije. Premijer i njemu potčinjeni ministri nisu pokazali nimalo razumijevanja za probleme tisuća radnika koji su ostali bez posla tijekom njihovog mandata. Samo mali dio novaca koji se troši i koji će biti potrošen na birokratsku klasu bi spasio mnoga poduzeća, poslovne subjekte kadre stvoriti novu vrijednost, od stečaja. Spasio bi brodogradnju, koja prema izračunima bivšeg direktora riječkog 3. maja ionako posluje pozitivno, jer brodogradnja svojom djelatnošću, neposrednom i kroz kooperante, državnom proračunu daje više no što prima. Svejedno, vlada steže omču oko vrata brodogradnje dok junački brani privilegije klase preplaćenih parazita i neradnika, klase višestruko uvećane od vremena propasti “birokratskog komunističkog sustava”.

Na ovom stupnju razmatranja sve je banalno jasno. Vlada, kako ova tako i prethodne, uzimaju svima kroz trošarine, PDV i slično i daju odabranima. Isto tako, ova i sve prethodne vlade smatraju da imaju pravo prodavati zajedničku stečevinu svih građana Hrvatske, uključujući i protjeranih Srba, a da bi osigurali ugodnu egzistenciju jednom dijelu hrvatskih građana. Samo po sebi se nameće pitanje motiva takvog postupanja. On sigurno nije altruistički premda se u krajnjoj instanci građane opomene da bi odustajanje od takvih mjera dovelo u pitanje isplate mirovina. Prijetnja je to koja svakog savjesnog građanina uznemiri, a osobito umirovljenike i njihove nezaposlene članove obitelji. Prijetnja je to koju je otvoreno uputila ministrica vanjskih poslova pred referendumom o pristupu Hrvatske Europskoj uniji. Ista je prijetnja došla i ovih dana.
U momentu pristupanja EU, u Hrvatskoj je istekao rok za pokretanje postupka za legalizaciju bespravno sagrađenih građevinskih objekata. Podneseno je preko 700 000 zahtjeva, s tim da se veliki broj zahtjeva ne bavi samo jednom nekretninom, već sa više njih. Prema tome, u Hrvatskoj će se legalizirati preko milijun bespravno sagrađenih objekata. Veliki dio njih je sagrađen u vrijeme prijašnjeg sustava kad je društvo stimuliralo izgradnju vikendica, no još više posljednjih dvadesetak godina. Tu se ističu dvije kategorije nekretnina: stambene jedinice koje su sagradili građani protjerani iz BiH, te nekretnine, mahom turističke namjene, izgrađene na moru zadnja dva desetljeća. Radi se o ogromnom bogatstvu hrvatskih građana, ali i budućem velikom poreznom utegu oko vrata vlasnika tih nekretnina. Građani su rado platili postupak legalizacije vlasništva dok je država napravila popis nekretnina o trošku samih vlasnika. Kad vlada, ova ili neka buduća, krene s uvođenjem poreza na nekretnine, većina tih građana će se naći u situaciji da neće moći servisirati svoje “dugove”.
Tu je i problem tzv. fiskalizacije. Jasno je da se treba uvesti reda na tržnicama, kao i svugdje, no postavlja se pitanja svrsishodnosti. Pitanje je koliko će država dobiti od toga, a koliko će ljudi izgubiti kakvu-takvu egzistenciju ostvarenu kroz, neki put polulegalni, rad na tržnicama. Najvjerojatniji rezultat ove mjere, bio on njegov cilj ili ne, je usmjeravanje građana na velike trgovačke centre gdje cijene hrane već divljaju.

Nekretninama, kao mjerama bogatstva, se bavi i zakon o podrijetlu imovine. Kako je to slavodobitno opisala novinarka HTV, također pripadnica armije parazita, građani će morati dokazati gdje su stekli dvjesto tisuća eura za kupnju kuće te da se objašnjenja poput preminulog ujaka u Americi bez dokaza o tome neće prihvaćati.
Posljednja je mjera osobito intrigantna i iritantna. Vrlo različiti ljudi se stavljaju u istu košaru. S kriminalcima koji su izbjegli ruci pravde, a svi veliki kriminalci u Hrvatskoj su je izbjegli, bile bi izjednačene na desetke, ako ne i stotine, tisuća građana koji su, izgubivši nadu za zaposlenje u domovini, posao našli izvan granica Hrvatske. Radi se tu, prije svega, o desecima tisuća mornara, naftaša, profesionalnih vozača, te građevinskih radnika. Ova kategorija ljudi uglavnom radi izvan EU, rade za male, ponekad iznimno male, nadnice. U (prešutnom) dogovoru s poslodavcima, neplaćanje poreza u matičnoj zemlji se podrazumijeva. Veći prihodi se ostvaruju velikim brojem radnih sati. Ti ljudi odsustvuju od svojih obitelji šest, osam ili deset mjeseci na godinu. Oni se ne vode u statistikama za nezaposlenost jer ih je revna Račanova vladao već odavno otud izbrisala. Oni u Hrvatsku donose više svježeg novca od famoznog turizma jer se radi o milijardama dolara na godinu. Za antipod ovoj grupi građana mogu se uzeti dobro plaćeni državni službenici, a osobito vlasnici mnoštva uspješnih privatnih tvrtki koje imaju samo jednog klijenta – državu. Te strukture legalno, no ne i legitimno, pljačkaju državu prelijevajući društveno u svoje privatno. Njih ove mjere neće obuhvatiti, no neke buduće, socijalističke, će se morati pozabaviti i njima.

Iz gore navedenog, može se zaključiti da se država bavi isključivo sama sobom i svojim ogromnim i neefikasnim birokratskim aparatom. Sve se čini da se očuva njegov status premda je jasno da to ne može ići unedogled. Prije ili kasnije, država će morati srezati svoj aparat za gore spomenutih trideset, ili čak i više, posto. Jasno je da i članovi vlade razumiju ovu jednostavnu i neumitnu matematiku, no oni uporno nastavljaju s istom politikom. Razlozi za takve postupke svih naših vlada izlaze izvan okvira ovog članka te će biti objašnjeni u posebnom članku, no za sada treba samo razumjeti da birokratski aparat, u nekoj većoj slici, nema funkciju da služi svojoj državi i narodu, već da stvara deficit i zemlju gura u dugove. Kad se zemlja zaduži do dizajnirane razine, birokratski će aparat biti djelomično demontiran. No tada će već biti kasno za bilo kakve suštinske promjene.

Tijekom povijesti, pojedinci ili narodi su dolazili u ovakvu bezizglednu situaciju nakon velikih nepogoda poput suša, poplava, najezde skakavaca, peronospore, agresije i okupacije barbara i slično. Hrvatskoj se nijedna od spomenutih nedaća nije dogodila, no dogodio joj se ekvivalent za sve njih uzetih skupa. Dogodio joj se HDZ. HDZ je uništio industriju, poljoprivredu i domaću znanost te stvorio klijentalističko društvo u kome su postupno u građane drugog reda gurane cjele skupine stanovništva. Započeli su sa Srbima da bi danas tamo završili svi koji nisu povezani s vlašću. Oni su doveli državu u stanje u kome nijedna vlast skoro da nema manevarskog prostora. Oni su krivi za stvaranje uvjeta za potpuno podjarmljivanje Hrvatske od strane neoimperijalističkih i neokolonijalnih snaga. Ipak, politika prethodnih vlada ne abolira aktualnu. Sadašnja vlada predstavlja zlosretan spoj iskustva i mladosti, spoj makijavelizma i potpune nekompetentnosti. Aktualni ministar financija je još prije dvanaest godina svojim glasačima, opljačkanim i ojađenim radnicima, objasnio da SDP nije stranka rada, već stranka kapitala. Navedene mjere aktualne vlade, a one mahom dolaze iz Ministarstva financija, to zorno i pokazuju. Još gore je s Ministarstvom gospodarstva gdje je na čelo došla osoba koja spada među iznimne raritete. Naš vrli ministar iskreno vjeruje u najprimitivniju filozofiju ikad oblikovanu ljudskim umom. On vjeruje u nevidljivu ruku tržišta. On vjeruje u investicije. Veliki “privatni ulagači” će doći u Hrvatsku, investirati svoje novce, cijelih 50 milijardi kuna, te nas izvući iz kronične krize. Po podacima iz javnih medija od prije dvije godine, jedan od najbogatijih Hrvata, poduzetnik i gradonačelnik, u to je vrijeme dvije trećine svog bogatstva (radi se o 50 milijuna kuna) radije držao oročeno u banci umjesto da investira u zemlju koja mu je omogućila da se vine od mjesta skladištara u lokalnom poduzeću do političke, poslovne i medijske zvijezde. Pedeset milijuna kuna predstavlja jedan promil od potrebnih milijardi o kojima ministar sanja. Jasno je da bogati Hrvati, čak i kad bi htjeli, ne mogu investirati potrebnu sumu. Trebaju doći stranci, investitori koji će odustati od Kine, Turske, Poljske itd. da bi došli u Hrvatsku. Ako zanemarimo nacional-romantičnu retoriku, jedini razlog dolaska investitora bila bi niska cijena rada. Onoliko niska koliko je potrebno.

Spomenuta dva ministra predstavljaju paradigmu mučne hrvatske realnosti. Oni su nastavljači zločina koji je započeo prije dvadeset i tri godine. Svjesno ili nesvjesno, oni produbljuju krizu i zemlju drže na pogrešnom kursu. Oni su, baš kao i stotine tisuća pripadnika njihove klase, odgovorni za sadašnjost i budućnost, tim prije što su

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Croazia, Unione Europea. La linguista Snježan Kordić subisce violente intimidazioni perché da sempre sostiene scientificamente il carattere unitario della lingua serbocroata. La sua macchina è stata fatta oggetto di teppismo dai nazionalisti locali.
S. Kordic da anni porta avanti pressoché in solitudine la sua limpida attività di slavista: nel mondo accademico europeo prevalgono infatti squallide figure di opportunisti, del tipo di quelli che hanno subito diviso e rinominato le cattedre di lingua serbocroata in cattedre di "croato", "serbo", eccetera, non appena è scoppiata la guerra fratricida nel 1991... con la benedizione della Unione Europea. Fascismo euro-universitario!

Sul lavoro di S. Kordic e sulla surreale controversia linguistica serbo-croato-bosgnacco-montenegrina si veda la documentazione raccolta alla nostra pagina:

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VANDALI U AKCIJI


Jezikoslovki Snježani Kordić pred stanom razbijen auto


Pred zgradom u kojoj živi u Zagrebu, Snježani Kordić, jezikoslovki koja je tezom da su hrvatski i srpski jedan policentrični jezik uzburkala jezikoslovne i nacionalističke duhove u Hrvatskoj i Srbiji, zasad nepoznati počinitelj razbio je vjetrobransko staklo na automobilu

Automobil je razbijen prošlog vikenda, a vandalski čin prijavljen je policiji koja je u nedjelju obavila očevid. Razbijač se popeo na auto kako bi nogom polupao staklo i pritom ostavio vidljive otiske cipela na limariji. 
Kordić želi zadržati kakvu-takvu anonimnost u Hrvatskoj nakon što je, kako tvrdi, primila brojna prijeteća pisma zbog svoje knjige 'Jezik i nacionalizam' u kojoj kritizira dobar dio domaće jezikoslovne zajednice.
Podsjetimo, u spomenutoj knjizi objavljenoj 2010. kod Durieuxa Kordić je pisala o kroatistici, razgradila mitove o jeziku i naciji, ukazala na učinke jezičnog purizma, a ono što je najviše uzburkalo strasti bila je teza o hrvatskom i srpskom kao jednom policentričnom jeziku kojim govori nekoliko nacija u nekoliko država, s prepoznatljivim nacionalno uvjetovanim razlikama, kao u slučaju engleskog, njemačkog, francuskog i drugih takvih jezika. 
Znanstvenica koja je petnaest godina predavala na sveučilištima u Njemačkoj svoj je stav potkrijepila i dokazima, među kojima i onima o graničnoj zoni za uvrštavanje u isti jezik koja se nalazi između 75 i 85 posto međusobne razumljivosti, a hrvatski i srpski čak su znatno iznad tog postotka. Reakcije na knjigu i na preko trideset intervjua autorice bile su vrlo burne i u Srbiji.




http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1846

Fidel. Auguri, e grazie anche per la Pace

13 agosto 2013 

Buon compleanno a Fidel Castro! Fra i tanti aspetti del suo agire politico, ricordiamo il suo ruolo di attore internazionale contro le guerre infinite; anzitutto per prevenirle. Come è stato per  Hugo Chavez.
Non c’è dubbio che Fidel abbia sempre ispirato il fermo impegno di Cuba in tutte le sedi (a cominciare dall’Onu) contro l’incubo della guerra nucleare. ma anche direttamente contro le guerre imperialiste che ci hanno fatto ingollare con la “dittatura mediatica”, per citare una sua espressione.
Un breve riepilogo sul ruolo di Cuba di fronte alle cinque guerre di bombardamenti portate avanti dall’Occidente e dai loro alleati.
Novembre 1990, Iraq. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu approva una risoluzione che autorizza il ricorso alla forza contro l’Iraq e un ultimatum per il 15 gennaio. E’ in pratica l’avallo alla terribile guerra che seguirà. Cuba, membro non permanente del Consiglio quell’anno, è l’unica a votare risolutamente contro – insieme allo Yemen. La Cina si astiene.
Baghdad, 1991. Un medico cubano di origine palestinese, Anuar, aiutava i colleghi iracheni nell’emergenza del dopoguerra e dell’embargo. In seguito, le brigate mediche internazionali di Cuba mandate negli epicentri del bisogno sono diventate un grande esercito pacifico.
Jugoslavia 1999. Sul quotidiano Granma il 25 marzo Cuba immediatamente esprime la propria posizione contro la “ingiustificata aggressione Nato contro la Jugoslavia, capeggiata dagli Stati uniti”, senza autorizzazione Onu. Pochi giorni dopo Fidel invita gli jugoslavi a “resistere, resistere e resistere”: lo ricorda anni dopo nel suo articolo Le guerre illegali dell’impero [*] parlando di un “unipolarismo oltraggioso, sostenuto da un impero guerrafondaio, che si erge a polizia mondiale. [**]
2001, Afghanistan. Il 23 settembre Fidel Castro avverte che attacchi militari Usa sull’Afghanistan potrebbero avere conseguenze catastrofiche e dichiara l’opposizione di Cuba sia alla guerra che al terrorismo. Anni dopo, nel 2009, Fidel spiega che il ritiro del Nobel per la pace da parte di Barack Obama è stato un “atto cinico” visto il continuo impegno di guerra in Afghanistan “incurante delle vittime”, e visto che gli Usa sono una super potenza imperiale con centinaia di basi militari dispiegate in tutto il mondo e duecento anni di interventi militari".
2003, Iraq. Alla vigilia della nuova guerra annunciata, quasi tutti gli ambasciatori e relativi staff partirono in fretta. Non Cuba. L’ambasciatore e parte dello staff rimasero là, sotto le bombe, e per noi pacifisti dell’Iraq Peace Team, quell’ambasciata era un’isola di pace. L’ambasciatore partì solo all’arrivo dei marines: “non riconosciamo gli occupanti” ci disse salutandoci.
Marzo 2011. Fidel Castro, in un suo articolo del 3 marzo, chiede al mondo di sostenere la proposta negoziale per la Libia avanzata da Hugo Chavez, appoggiata ufficialmente dai paesi dell’Alba: “Il presidente bolivariano sta portando avanti un encomiabile sforzo per trovare una soluzione senza l’intervento della Nato in Libia. Le sue possibilità di successo saranno maggiori se egli otterrà l’appoggio di un ampio movimento di opinione a favore dell’idea, prima che si verifichi l’intervento armato e non dopo, per evitare che i popoli debbano veder ripetere altrove l’atroce esperienza dell’Iraq”. Se i movimenti e i popoli avessero dato seguito a questo appello, i paesi dell’Alba sarebbero diventati mondialmente un “pool di pronto intervento per la pace”. Chi, negli ultimi due anni – diciamo dall’inizio della guerra Nato alla Libia – ha sperimentato la difficoltà dell’impegno per la pace, nell’assordante silenzio della sinistra occidentale e del fu movimento pacifista, è a Cuba, al Venezuela e a pochi altri che ha fatto riferimento. Non a caso, nel  corso dei bombardamenti, è un cubano (Rolando Segura di Telesur) il giornalista che a Tripoli si discosta dall’esaltazione mediatica della guerra e della “rivoluzione”. Nel frattempo, da Cuba, Fidel definisce le operazioni Nato "un crimine mostruoso" e "genocidio".
2012 e 2013, Siria. Cuba si oppone ai tentativi di spacciare per umanitaria l’ingerenza Nato e petromonarchica in Siria. A questa ingerenza anche armata che ha fomentato una guerra devastante, Cuba e pochi altri – fra questi Venezuela, Bolivia, Nicaragua – hanno detto no in molte circostanze, quasi in solitudine, sia a Ginevra (Consiglio dei diritti umani dell’Onu) che a New York (Assemblea generale dell’Onu, l’ultima volta in maggio, i soliti 12 no e 57 astenuti). All’apice della propaganda internazionale, l’ambasciatore cubano a Ginevra dopo il massacro di Houla dichiarava: “(...) Il più elementare senso di giustizia deve impedire che si attribuiscano responsabilità a partire da semplici insinuazioni di parti interessate a promuovere la destabilizzazione e l’intervento militare straniero in Siria, per i quali i paesi della Nato dedicano notevoli risorse, finanziando e armando un’opposizione che soddisfi le loro ansie di cambio di regime in questo paese (...). La condotta di alcuni membri della Nato nella regione dell’Africa del nord e del Medio Oriente, i loro ingiustificabili bombardamenti, i crimini contro i civili indifesi e il silenzio complice di fronte alle azioni d’Israele contro il popolo palestinese, sostengono le tesi che non è precisamente la promozione e la protezione dei diritti umani la legittima motivazione del dibattito che oggi ci occupa“. (...)
Marinella Correggia


--- NOTE  a cura di CNJ-onlus:


[*] http://www.cubadebate.cu/reflexiones-fidel/2007/10/01/las-guerras-ilegales-imperio/

Las guerras ilegales del imperio

Cuando se inicia la guerra de Estados Unidos y sus aliados de la OTAN en Kosovo, Cuba definió de inmediato su posición en la primera página del periódico Granma, el 26 de marzo de 1999. Lo hizo a través de una Declaración de su Ministerio de Relaciones Exteriores con el título de “Cuba convoca a poner fin a la injustificada agresión de la OTAN contra Yugoslavia.”

Tomo párrafos esenciales de aquella Declaración:

“Después de un conjunto de dolorosos y muy manipulados sucesos políticos, prolongados enfrentamientos armados y complejas y poco transparentes negociaciones en torno a la cuestión de Kosovo, la Organización del Tratado del Atlántico Norte lanzó al fin su anunciado y brutal ataque aéreo contra la República Federativa de Yugoslavia, cuyos pueblos fueron los que más heroicamente lucharon en Europa contra las hordas nazis en la Segunda Guerra Mundial. “Esta acción, concebida como ‘castigo al gobierno yugoslavo’, se realiza al margen del Consejo de Seguridad de la ONU.

[...]

“La guerra lanzada por la OTAN reaviva los justos temores de la humanidad por la conformación de un unipolarismo insultante, regido por un imperio guerrerista, erigido a sí mismo en policía mundial y capaz de arrastrar a las acciones más descabelladas a sus aliados políticos y militares, de manera similar a como ocurriera a principios y en la primera mitad de este siglo con la creación de bloques belicistas que cubrieron de destrucción, muerte y miseria a Europa, dividiéndola y debilitándola, en tanto los Estados Unidos fortalecían su poderío económico, político y militar. “Cabe preguntarse si el uso y el abuso de la fuerza solucionarán los problemas del mundo y defenderán los derechos humanos de las personas inocentes que hoy mueren bajo los misiles y las bombas que están cayendo sobre un pequeño país de esa culta y civilizada Europa. “El Ministerio de Relaciones Exteriores de la República de Cuba condena enérgicamente esta agresión de la OTAN contra Yugoslavia, liderada por los Estados Unidos

[...]

“En estos momentos de sufrimiento y dolor para los pueblos de Yugoslavia, Cuba convoca a la comunidad internacional a movilizar sus esfuerzos para poner inmediato fin a esta injustificada agresión, evitar nuevas y aún más lamentables pérdidas de vidas inocentes y permitirle a esta nación retomar la vía pacífica de las negociaciones para la solución de sus problemas internos, asunto que depende única y exclusivamente de la voluntad soberana y la libre determinación de los pueblos yugoslavos.

[...]

“La ridícula pretensión de imponer soluciones por la fuerza es incompatible con todo razonamiento civilizado y los principios esenciales del derecho internacional.

[...]

De continuarse por este camino, las consecuencias podrían ser impredecibles para Europa y para toda la humanidad.”

Con motivo de estos hechos, había enviado el día anterior un mensaje al presidente Milosevic, a través del embajador yugoslavo en La Habana y de nuestro embajador en Belgrado. “Le ruego comunique al presidente Milosevic lo siguiente:

"Después de analizar cuidadosamente todo lo que está sucediendo y los orígenes del actual y peligroso conflicto, nuestro punto de vista es que se está cometiendo un gran crimen contra el pueblo serbio y, a la vez, un enorme error de los agresores, que no podrán sostener, si el pueblo serbio, como en su heroica lucha contra las hordas nazis, es capaz de resistir.

“De no cesar tan brutales e injustificables ataques en pleno corazón de Europa, la reacción mundial será aún mayor y mucho más rápida que la que desató la guerra en Vietnam. “Como en ninguna otra ocasión en los últimos tiempos, poderosas fuerzas e intereses mundiales están conscientes de que tal conducta en las relaciones internacionales no puede continuar.

“Aunque no tengo relación personal con él, he meditado mucho sobre los problemas del mundo actual, creo tener un sentido de la historia, un concepto de la táctica y la estrategia en la lucha de un pequeño país contra una gran superpotencia y siento un odio profundo hacia la injusticia, por lo que me atrevo a transmitirle una idea en tres palabras:

“Resistir, resistir y resistir".

“25 de marzo de 1999.”

Fidel Castro Ruz.

 1º de octubre de 2007

 6:14 p.m.


[**] Si veda anche la nostra pagina sul CARTEGGIO CASTRO-MILOŠEVIĆ:

https://www.cnj.it/documentazione/fidelcastro.htm

Contiene:

Lettera di Milosevic a Castro del 30 marzo 1999
I messaggi di Castro a Milosevic del 2 e 5 aprile 1999 e la risposta

ed i link:

Reflexiones del Comandante en Jefe
Prensa Latina

Fidel Castro: Il ruolo genocida della NATO (ottobre 2011 - estratto)

Fidel Castro: A Silent Complicity (October 2007)

Castro says Spain's Aznar sought to bomb Serb media (Reuters - Sep 30, 2007)
http://groups.yahoo.com/group/Yugoland/message/31885
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5679

Fidel Castro on Kosovo and US tyranny (June 2007)
Castro on  'tyrant' Bush / Needing affection - Der Tyrann besucht Tirana / Bedürftig nach Zuneigung

Fidel Castro sul Kosovo (giugno 2007)

https://www.cnj.it/documentazione/fidelcastro.htm



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(Contro la ventilata privatizzazione della JAT, la compagnia aerea jugoslava oggi afferente alla Repubblica di Serbia)


JAT PRIPADA NARODU A NE ETIHADU

Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ) najoštrije protestuje protiv privatizacije Jugoslovenskog aerotransporta, ponosa socijalističke privrede i saobraćaja Jugoslavije, koji je buržoaska pro-imperijalistička Vlada Srbije za budzašto predala u ruke kompaniji Etihad iz Ujedinjenih Arapskih Emirata.


Prodaja JAT-a predstavlja novu pljačku imovine koju je decenijama stvarao radni narod Jugoslavije i još jedan pokazatelj da buržoaska Vlada nije u stanju da vodi ekonomiju zemlje već da joj je jedini cilj da rasprodaje vredna državna preduzeća stranim i domaćim kapitalistima. Zaista je smešno hvalisanje prvog potpredsednika buržaoske vlade, Aleksandra Vućića o prijateljstvu sa vladarskom kućom Ujedinjenih Arapskih Emirata, ako se zna da je reč o jednoj od najrepresivnijih istočnjačkih despotija, čije su oružane snage zajedno sa vojskom Saudijske Arabije gušile narodni ustanak u Bahreinu. Reč je o zemlji u kojoj se na najbrutalniji način eksploatišu radnici, koja vodi anti-narodnu politiku i potpuno je odan saveznik zapadnog imperijalizma na čelu sa Sjedinjenim Američkim Državama. Eto ko su “prijatelji” kojima se Vučić diči, a ono što ih očito spaja je pro-imperijalistička i buržoaska politika. O kakvoj je pljački državne imovine reč, dovoljno je reći da je Etihad potpisivanjem ugovora postao vlasnik manjinskog dela akcija JAT-a ali je dobio i upravljačka prava što faktički znači da je postao njen glavni vlasnik i to za svega 40 miliona evra. Pri tome, država Srbija je na sebe preuzela dugovanja JAT-a u iznosu od 200 miliona evra i socijalni program za “višak” radnika. Prvi potez novog rukovodstva kompanije koja se sada zove Er Srbija će biti otpuštanje 500 zaposlenih u JAT-u čije otpremnine neće finansirati novi kapitalistički vlasnik već će sredstva za to biti obezbeđena iz budžeta Srbije. Razlog za otpuštanje 500 zaposlenih nije “višak” radnih mesta kako bestidno lažu predstavnici buržoaske države i novog kapitalističkog vlasnika iz azijske despotije već potreba da Etihad ostvari za što kraće vreme što veći profit a najbolji i najjednostavniji način za to je otpuštanje radnika. Jedno od opravdanja buržoaskih vlasti za sramnu prodaju JAT-a je da je ta kompanija u dugovima. To je tačno, ali te dugove je napravio menadžment koji su postavljale buržoaske stranke na vlasti. Na isti način je postavljeno i dosadašnje rukovodstvo JAT-a što nedvosmisleno ukazuje da je i aktuelna buržoaska Vlada, isto kao i njen vodeći deo Srpska napredna stranka na čelu sa Aleksandrom Vučićem, kriva za propadanje kompanije. Državna imovina je sistematski uništavana u Srbiji u poslednjih 13 godina, njom su rukovodili kadrovi buržoaskih stranka koje nisu imale nameru da tu imovinu i njen kapital unapređuju, već samo da “ispumpavaju” novac za partijske potrebe. Dakle, JAT nije upao u dugove jer je bio državno preduzeće, već zato što je njime u poslednjih 13 godina rukovodila buržaoazija koja niti je htela niti je znala sa njim da upravlja na adekvatan način. Zbog toga je JAT kao i druga privatizovana preduzeća bio sistematski uništavan kako bi njegovo ekonomsko loše stanje bio “argument” za privatizaciju.

A da država, kojom upravlja radnička klasa, jeste dobar vlasnik avio i svakog drugog preduzeća pokazuje primer da je JAT, osnovan davne 1947. godine, u socijalističkom periodu izgradnje bio 10 aviokompanija u Evropi po broju prevezenih putnika i da je sam prevezao više putnika nego sve kompanije nastale iz njega na prostoru bivše Jugoslavije. Zbog toga NKPJ kategorički zahteva da se antinarodna odluka o privatizaciji nacionalnog prevoznika JAT-a poništi, da se ukine odluka o otpuštanju 500 njegovih radnika, da vlasnik kompanije ostane država a da na njenom čelu budu stručni a ne kadrovi buržoaskih partija, koji će znati da uspešno rukovode i unaprede njen rad.

Sekretarijat Nove komunističke partije Jugoslavije

Beograd,

05.avgust 2013. godine





Dall'Oglio. Applauditemi ora


9 agosto 2013

Stampatevi questo articolo e conservatelo con cura. Perchè un giorno potrete mostrare ai vostri figli il primo articolo che descrive dettagliatamente quello che si è verificato dopo un po’ di giorni: il trionfale ritorno in Italia del gesuita Paolo dall’Oglio, accompagnato da Yohanna Ibrahim e Bulos Yazigi – i due vescovi cristiano-ortodossi rapiti ad Aleppo il 21 aprile 2013 – e, forse, pure dal giornalista Domenico Quirico, rapito in Siria il 9 aprile.
Per sapere chi sia Paolo Dall’Oglio, che molti si ostinano a definire un “pacifista”, vi consiglio di leggere quanto da egli pubblicato, il 28 luglio, sul giornale di Lucia Annunziata “Huffington Post Italia” dove il “religioso”, tra l’altro, inneggia all’uso delle armi chimiche per costringere l’Occidente ad un ruolo più risoluto nell’aggressione alla Siria. C’è di più e di peggio. Ad esempio il suo appoggio adAl Qaeda, rappresentata in Siria da Abu Bakr al Baghdhadi sulla cui testa (almeno, secondo i media Mainstream) penderebbe una taglia americana da dieci milioni di dollari.
Basta leggere, a tal proposito, le sue sconcertanti ammissioni riportate da Famiglia Cristiana «Sono arrivato oggi (il 27 luglio, ndr) a Raqqa (città sotto il controllo di Al Baghdhadi, ndr) e sono contento per due ragioni: sono sul territorio siriano in una città liberata e sono stato bene accolto. La gente nelle strade si sente libera e questa è l’immagine della madre patria che auspichiamo per tutti i siriani. Ovviamente nulla è ancora completato, ma l’inizio è buono».
Tra l’altro, non è la sua prima apertura di credito ad Al Qaeda. Basta leggere quiqui o quest’altra sua dichiarazione: ” (…) Il jihadismo è il fatto di prendere le armi per ristabilire la giustizia. È la guerra santa islamista. Ci sono islamisti democratici e jihadisti democratici, così come ci sono jihadisti estremisti, radicali, clandestini, criminali, in rapporto con i servizi segreti siriani e con le mafie dei narcotrafficanti”. Dei combattenti di Al Qaeda dice: “Sottolineo che sono fratelli e sorelle in umanità. Nei miei dialoghi con loro, ho riconosciuto degli uomini e delle donne che hanno una passione religiosa, un sentimento religioso che condivido. Sono persone impegnate ma innamorate di giustizia“.
Del resto, come egli ribadisce: “Per noi siriani della rivoluzione, la riconciliazione tra forze islamiste radicali e forze democratiche è una necessità strategica. Le scaramucce dolorose e i crimini insopportabili avvenuti tra noi devono trovare soluzione, essere riassorbiti, per presentarci uniti di fronte al pericolo totale rappresentato dal regime, appoggiato direttamente o indirettamente da troppi. Il tentativo di seminare guerra intestina tra le forze anti-Assad (a prescindere dal necessario intercettamento e disinnesco delle derive criminali) deve fallire. Questo gli agenti e i consiglieri militari americani (sottolineature nostre) farebbero bene a capirlo subito. Favorire i partner più affidabili, incoraggiare le evoluzioni più auspicabili è buono. Spingerci ad ammazzarci tra di noi non può esserlo.”
Rivalutare Al Qaeda. Sopratutto dopo lo sdegno (che cominciava ad avere anche nei media Mainstream) per gli efferati criminiche questa organizzazione andava compiendo nei territori da essa “liberati” in Siria e che aveva, tra l’altro, portato alla frantumazione del “fronte anti Assad”.
Rivalutare Al Qaeda. E cosa c’è di meglio di un’ operazione di marketing editoriale meticolosamente preparata? Dapprima una misteriosa “missione umanitaria” (tenuta segreta anche alla Farnesina, al Vaticano e alla Nunziatura apostolica a Damasco) in un’area infestata dalle milizie di Al Qaeda (annunciata da Dall’Oglio sulla sua pagina Facebook); poi un “rapimento” che si conquista i titoli di testa di TV e giornali, (messo in dubbio solo da pochi attenti giornalisti); poi lo stillicidio di comunicati di non meglio precisati “attivisti siriani” e le evidenti “bufale” (come il messaggio SMS inviato dal “rapito”) strombazzati dai media…. Tutto sembra concorrere ad una clamorosa operazione, da rappresentarsi in piena estate, con i mass media a corto di “notizie”.
Per sdoganare Al Qaeda: il “Lupo di Gubbio” di Padre dall’Oglio. E, al soldo – dichiarato – dell’Occidente, impegnarla, a pieno titolo, nella guerra alla Siria.
 La stessa operazione mediatica della – falsa – esecuzione di Bin Laden che, il 2 maggio 2011, servì a “ripulire” Al Qaeda del suo impresentabile leader e impegnarla, a pieno titolo, nella guerra alla Libia.
Fantapolitica? Vedremo nei prossimi giorni. Intanto, un consiglio: applauditemi oggi, eviterete la fila.

Napoli, 9 agosto 2013

Francesco Santoianni




2 AGOSTO 2013 / 2. AVGUST 2013

80 anni fa la proibizione
Ob 80-letnici prepovedi


Ottant’anni fa, nei giorni precedenti la solennità dell’Assunta (Rožinca), ai sacerdoti della forania di San Pietro al Natisone fu notificato il decreto governativo che proibiva l’uso della lingua slovena nelle celebrazioni liturgiche e nell’insegnamento del catechismo, mettendo fine a una prassi millenaria della Chiesa locale. L’ordinanza, voluta e firmata dallo stesso duce Benito Mussolini, fu l’apice della politica snazionalizzatrice ed etnocida intrapresa dall’Italia fin dall’annessione della Slavia al regno sabaudo e spinta al massimo dal regime fascista. «Un popolo mettetegli la catena, spogliatelo, tappategli la bocca: è ancora libero. Toglietegli il lavoro, il passaporto, la tavola dove mangia, il letto dove dorme: è ancora ricco. Un popolo diventa povero e servo quando gli rubano la lingua adottata dai padri. È perso per sempre, diventa povero e servo!», ha efficacemente scritto il poeta sciliano Ignazio Buttitta. Era il 15 agosto del 1933 quando il parroco don Giuseppe Gorenszach diede l’annuncio ai fedeli di San Leonardo: «Oggi il parroco alla prima messa lesse in italiano quanto segue. Ieri sera sono stato chiamato nella caserma dei RR.CC. (Reali Carabinieri, ndr) di S. Leonardo dal sig. Tenente di detta arma e da esso ebbi ordine – a nome di S. E. il prefetto di Udine di parlarvi da oggi in poi in lingua italiana. In italiano le prediche, i catechismi e la Dottrina Cristiana ai fanciulli. È data facoltà, fino a nuovo ordine, di riassumere in lingua vernacola, quanto prima si dice in lingua italiana. Devo dirvi, infine, che tutti i Catechismi Sloveni sono stati sequestrati…».

Numerose sono le testimonianze tramandate dai sacerdoti dell’epoca. Nel libro storico parrocchiale, il cappellano di Lasiz, Antonio Cuffolo, afferma che prima di arrivare alla proibizione della lingua slovena, ci fu una campagna di calunnie nei confronti dei sacerdoti locali. Scrive così Cuffolo nella Cronaca della cappellania di Lasiz: «Cominciarono le calunnie ora a carico di uno, ora a carico dell’altro sacerdote. […] Quando ai nemici sembrò che l’ambiente fosse già impressionato il tenente dei RR. CC. invitò i più terribili sacerdoti della zona e cioè i cappellani di Lasiz, Antro, Mersino e Vernasso (rispettivamente don Cuffolo, don Cramaro, don Simiz e don Qualizza, ndr) per il giorno 16 agosto nella caserma dei Carabinieri di S. Pietro. Il tenente presentò ai quattro sacerdoti per la firma una imposizione per la quale da quel giorno non avrebbero più usato la lingua locale nelle preghiere, nella predicazione e nella dottrina cristiana. I sacerdoti protestarono contro l’arbitraria imposizione contraria alle leggi naturali, ecclesiastiche ecc. Ne nacque una violenta discussione che minacciava serie conseguenze. In conclusione i quattro sacerdoti alla dichiarazione preparata dal tenente aggiunsero di proprio pugno: “I sottoscritti accetteranno soltanto se l’ordine verrà dato dall’Autorità Ecclesiastica od almeno attraverso la stessa”. Detta dichiarazione fece andare su tutte le furie il tenente, ma i sacerdoti non si fecero impressionare». I sacerdoti si rivolsero allora all’arcivescovo di Udine mons. Giuseppe Nogara per chiedere quale fosse l’atteggiamento da tenere in questa situazione. L’arcivescovo raccomandò di accettare tutte le disposizioni per evitare sanzioni ancora più severe, o addirittura il confino. L’ultimo discorso ufficiale in sloveno fu quello del cappellano di Tercimonte in occasione della festa dell’Assunzione nella Chiesa di Vernasso. Le ripercussioni della proibizione furono immediate e tragiche. Oltre alla perdita delle tradizioni locali, del ricchissimo repertorio dei canti popolari, furono profondamente danneggiati anche l’associazionismo e la vita religiosa. «Dopo oltre mille anni – scrive Cuffolo – contro tutte le tradizioni, contro tutte le leggi della Chiesa, con danno evidentissimo per le anime solo perché il detto “il duce lo vuole” aveva impedito all’autorità ecclesiastica di prendere francamente una posizione, è avvenuto un cambiamento nella cura d’anime. Per le strade, osterie, municipi, botteghe, esattorie si parlerà, si farà i propri interessi adoperando la lingua materna, solo in chiesa sarà proibita. Proibiti i canti tradizionali e preghiere che non saranno più sostituiti. Il nemico della Chiesa ha raggiunto lo scopo, “il duce lo vuole”»! Del resto Mussolini e i suoi seguaci avevano ben compreso che solo sradicandola dalla religione, avrebbero potuto infliggere un colpo mortale alla lingua slovena. In ottant’anni tante cose sono cambiate e gli sloveni della provincia di Udine si sono visti riconosciuti dall’Italia i propri diritti linguistici, ma dalla violenza perpetrata dal regime fascista nel 1933 le valli del Natisone e del Torre, Resia e Valcanale non si sono mai completamente riprese. Lo testimonia l’attuale drammatica condizione, non solo linguistica.

 

Avgusta 1933 je fašistični režim prepovedal uporabo slovenskega jezika v farah videnske nadškofije. To je imelo hude posledice, ki se še danes vidijo.




(Sulla pulizia etnica delle Krajine e della Slavonia si vedano anche:

La cancellazione della Repubblica Serba di Krajina: crimini di guerra e desaparecidos 
https://www.cnj.it/documentazione/index.htm#rsk

Pulizia etnica in Croazia
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7679 )


La festa dei generali croati assolti dall'Aja 

Dario Saftich

"la Voce del Popolo", 6 agosto 2013

La Croazia ha festeggiato ieri solennemente la Giornata della Vittoria e del Ringraziamento patriottico, con una serie di cerimonie svoltesi in tutto il Paese. Ma la manifestazione centrale a Knin, l’ex caposaldo della ribellione serba espugnato dalle truppe di Zagabria il 5 agosto di diciotto anni fa, è trascorsa soprattutto nel segno della sentenza di appello del Tribunale internazionale dell’Aja, con la quale i generali croati Ante Gotovina e Mladen Markač sono stati assolti dall’accusa di crimini di guerra commessi durante e dopo l’operazione “Tempesta”, che portò nell’estate del 1995 alla liberazione dei territori fino a quel momento in mano alle formazioni paramilitari serbe.

Ovazioni per Gotovina e Markač

I due generali, presenti per la prima volta alle celebrazioni a Knin, assieme a Ivan Čermak assolto dalla Corte dell’Aja già in primo grado, sono stati accolti dalla folla con autentiche ovazioni. Alla vigilia della celebrazione il generale Gotovina è stato proclamato cittadino onorario di Sinj e anche socio onorario della Società cavalleresca dell’Alka.

Salve di fischi per Milanović

Al contrario dei generali, il premier Zoran Milanović è stato salutato con salve di fischi, non appena è stato annunciato il suo intervento. E grida e fischi non sono mancati nemmeno durante il suo discorso. Zoran Milanović ha sottolineato che a Knin è stata difesa la Croazia, non con i crimini, ma con il cuore e l’ingegno. Il premier ha ricordato che il percorso croato verso l’Unione europea è stato lungo e travagliato, sicuramente il più difficile mai avuto da un Paese comunitario. Da rilevare che i fischi a Milanović sono stati duramente condannati anche dall’ex premier Jadranka Kosor.

Tendere la mano ai serbi

Qualche breve fischio ha accompagnato pure l’intervento del presidente della Repubblica, Ivo Josipović, il quale si è congratulato con il generale Gotovina per la brillante vittoria nell’operazione “Tempesta”. Siamo orgogliosi del successo in guerra, ma apprezziamo soprattutto la pace, ha rilevato ancora il Capo dello Stato, esortando a tendere la mano a coloro che durante il conflitto erano schierati dall’altra parte e a riconoscere il fatto che a voler bene alla Croazia sono anche gli appartenenti alle minoranze nazionali.

Il presidente del Sabor, Josip Leko, ha sottolineato nel suo discorso che la Croazia con la vittoria di diciotto anni fa si è garantita il suo futuro. “I difensori hanno gettato le basi per tutti i nostri attuali valori”, ha concluso Josip Leko.

Alzabandiera e sfilata

La cerimonia a Knin è cominciata, come di consueto, con l’alzabandiera sulla fortezza che sovrasta la città. La rocca è stata poi sorvolata da un MIG dell’aeronautica militare croata, mentre i cannoni hanno sparato a salve. Poi ha avuto luogo la sfilata degli appartenenti alle Forze armate, alla Polizia e alle associazioni dei reduci di guerra verso il monumento che ricorda l’operazione “Tempesta”.




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