Informazione


Nuovi articoli di Claudia Cernigoi 

1) IL PARTITO COMUNISTA NEL CLN TRIESTINO (giugno 2012)
2) CERIMONIE PER I POLIZIOTTI “INFOIBATI” (19 giugno)
3) DA BUTTIGNON A SPADARO: I MAZZINIANI DEL VENTUNESIMO SECOLO (luglio 2012)

Claudia Cernigoi cura il periodico triestino La Nuova Alabardahttp://www.nuovaalabarda.org/


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IL PARTITO COMUNISTA NEL CLN TRIESTINO

Nella propaganda nazionalista spacciata per informazione storica rispetto alle tematiche del confine orientale, uno dei concetti più ricorrenti è quello del Partito Comunista che non volle fare parte del CLN triestino in quanto si era schierato sulle posizioni jugoslave.
Così ad esempio leggiamo nel sito del Comune di Trieste:
“Il CLN a Trieste era costituito dal Partito Liberale, dalla Democrazia Cristiana, dal Partito d’Azione e dal Partito Socialista ma, a differenza di quelli operanti nell’Italia settentrionale, non poteva più contare sulla presenza dei comunisti in quanto costoro si erano orientati fin dall’autunno del 1944 sulle posizioni filojugoslave. Il CLN di Trieste era drammaticamente isolato dal CLN Alta Italia e i suoi appelli erano caduti nel vuoto in quanto per lo stesso CLN Alta Italia era chiaro che le truppe jugoslave dovevano essere considerate forze alleate alle quali non poteva essere opposta alcuna resistenza, restando come obiettivo prioritario la neutralizzazione delle truppe tedesche presenti in città e nel territorio circostante”.
(http://www.retecivica.trieste.it/triestecultura/new/musei/foiba_basovizza/default.asp?pagina=foibe_3)
Ma anche lo storico Roberto Spazzali scrive:
“nell’autunno 1944 con l’uscita del Partito comunista dal CLN di Trieste (unico caso del panorama resistenziale italiano)” (http://www.storiaestorici.it/index.asp?art=168&arg=16&red=4).
È quindi il caso di fare un po’ di chiarezza tramite dei documenti che possono spiegarci la situazione.
Il CLN triestino, abbiamo letto nella prima citazione, era isolato dal CLNAI, ma per un motivo ben chiaro e logico: il CLNAI, in quanto organo di governo dell’Italia antifascista riconosciuto dagli Alleati, aveva (giustamente) invitato il CLN triestino a collaborare con il Fronte di liberazione facente riferimento alla Jugoslavia di Tito, governo riconosciuto dalle nazioni alleate.
Pertanto il CLN di Trieste, se voleva avere un riconoscimento internazionale dalla compagine antinazifascista, doveva giocoforza collaborare con l’Esercito di liberazione jugoslavo e (a Trieste) con il Fronte di Liberazione – Osvobodilna Fronta sloveno.
La politica del CLNAI era stata fatta propria anche dal Partito comunista giuliano, e per questo motivo, nell’ottobre del 1944, un delegato comunista, il musicista Giuseppe (Pino) Gustincich, cercò un contatto con il CLN giuliano. Leggiamo ora, come informazione da fonte sicuramente non “slavo comunista”, quanto scrisse don Edoardo Marzari, presidente e tesoriere del CLN giuliano, rappresentante della Democrazia cristiana.
“... in settembre (1944, ndr) mi si presentò a Trieste un certo Pino Gustincich, dicendo di essere stato designato a rappresentare i comunisti però non solo italiani ma anche sloveni. Gli risposi che il CLN era italiano e che non era ammissibile una rappresentanza slava in seno ad esso, esistendo già per gli slavi un loro proprio organo. Egli replicò che le direttive erano state cambiate e che solo a quella condizione il PC poteva far parte del CLN. Risposi che allora il posto del PC sarebbe stato vacante e così di fatto avvenne in seguito e ogni cosa si svolse fino alla liberazione e oltre senza la partecipazione del PCI” (“I cattolici triestini nella Resistenza”, Del Bianco, Udine 1960, p. 30).
Cioè, stando alle affermazioni di don Marzari, non è stato il Partito comunista triestino a non voler entrare nel CLN giuliano, ma il CLN giuliano a rifiutare, dopo avere disatteso le direttive del CLNAI, l’adesione del Partito comunista.
Chissà come mai gli storici accademici non hanno mai preso in considerazione queste affermazioni di don Marzari...

Giugno 2012


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CERIMONIE PER I POLIZIOTTI “INFOIBATI”



Sul “Piccolo” del 19 giugno leggiamo che il ministro della difesa austriaco, Norbert Darabos, ha deciso di togliere dall’elenco dei caduti di tutte le guerre conservati nella cripta della Burgtor di Vienna i nomi dei criminali nazisti. Ciò perché era invalso l’uso, da parte di nostalgici neonazisti, di approfittare di questo monumento per dare vita a manifestazioni apologetiche filonaziste.

Questa notizia segue di pochi giorni quella della cerimonia avvenuta nel famedio della Questura di Trieste il 12 giugno scorso, dove, su iniziativa dell’Unione degli istriani guidata da Massimiliano Lacota, è stata posta, alla presenza tra gli altri del questore Padulano, una corona “in memoria dei caduti della Polizia sequestrati ed infoibati”.

A questo punto è necessario fare alcune precisazioni storiche. Nel maggio 1945 la Polizia triestina, essendo forza armata, ed essendo la nostra città annessa al Reich germanico, era sottoposta direttamente al governo di Hitler, ed i suoi membri, per la maggior parte volontari, erano quindi militi nazisti, o, se vogliamo riconoscere loro delle attenuanti, quantomeno dei collaborazionisti.

Nell’elenco di “infoibati” (cioè degli scomparsi nel maggio 1945 e presumibilmente arrestati dagli Jugoslavi) presente nel famedio della Questura di Trieste vi sono molti nomi di agenti e funzionari di polizia che erano in forza presso l’Ispettorato Speciale di PS, la cosiddetta famigerata “banda Collotti” (dal nome del commissario Gaetano Collotti che era a capo della squadra operativa), corpo di repressione i cui dirigenti ed agenti si macchiarono di crimini efferati nei confronti dei prigionieri, torture e violenze carnali, arresti arbitrari e sequestri di persona, esecuzioni sommarie. Dei nomi presenti sulla lapide furono identificati in modo circostanziato come torturatori Mario Fabian (operò durante il rastrellamento di Boršt – S. Antonio in Bosco con la “macchina elettrica”), Alessio Mignacca (fece abortire una donna picchiandola, ed uccise almeno tre persone che tentavano la fuga), Bruno Luciani e Francesco Giuffrida.

Così come a Vienna il ministro Darabos ha deciso di giudicare “inaccettabile” l’atteggiamento di tolleranza nei confronti di coloro che onoravano nazisti “con il pretesto che erano riferiti a caduti in guerra”, quindi “persone degne di essere ricordate comunque al di là delle connotazioni ideologiche”, pensiamo sarebbe opportuno che anche in Italia si distinguesse tra le vittime e coloro che prima di diventare vittime erano stati carnefici.

 

Claudia Cernigoi

19 giugno 2012.



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DA BUTTIGNON A SPADARO: I MAZZINIANI DEL VENTUNESIMO SECOLO.

“Gli italiani dell’Adriatico orientale” è l’ennesima raccolta di articoli coordinata da Stelio Spadaro in collaborazione con l’AVL (Associazione Volontari della Libertà, gli ex partigiani “bianchi” o “fazzoletti verdi” collegati con la Osoppo), dopo “La cultura civile della Venezia Giulia: un\'antologia 1905-2005. Voci di intellettuali giuliani al Paese (LEG, 2008) e, con Patrick Karlsen, “L\'altra questione di Trieste” (LEG, 2006).
La peculiarità di questo ultimo lavoro è che è stato presentato in forma ufficiale il 18/6/12 dal Comune di Trieste (nella persona del sindaco Roberto Cosolini, PD) con la partecipazione del deputato Roberto Menia (FL, già AN e prima MSI). Ciò naturalmente ci ha incuriosito ed abbiamo preso visione (ancorché rapida per motivi di tempo) del libro, prima di andare a sentire la presentazione.
In effetti, a prima vista si tratta di una serie di interventi di carattere storico dei quali non si era sentito finora troppo la mancanza, tesi in genere a dimostrare la necessità di un sentimento di identità italiano nelle popolazioni “dell’Adriatico orientale”. Ora, come ha detto giustamente Spadaro nella presentazione del libro, non sempre l’identità corrisponde ad un “dato biologico” ma si tratta piuttosto di una “scelta personale”: di conseguenza è perfettamente comprensibile come il portatore di un cognome non italiano (ad esempio uno slavo, come Menia) decida di essere italiano anche se di suo non lo sarebbe, e di conseguenza, per dimostrare la propria italianità innaturale perché auto-indotta ha bisogno di ribadirla continuamente, a differenza di chi è italiano di suo e non necessita di ricordarlo a sé ed agli altri.
Che non si tratti di un testo scientifico ma di un libro di propaganda risulta dall’intervento del collaboratore di Spadaro, lo storico dell’arte Lorenzo Nuovo: “non è un libro di storia”, ha detto ma “un’adesione militante” ai valori che Fabio Forti porta avanti da anni, cioè un “patriottismo democratico” e valori “repubblicani”. D’altra parte anche Spadaro ha sostenuto che il lavoro sarebbe stato presentato meglio dal rappresentante dell’AVL Forti, che sembra quindi essere l’eminenza grigia ispiratrice di questo progetto politico-editoriale. Parliamo dunque di Fabio Forti,, classe 1927, che fu (citiamo quanto pubblicamente asserito dall’interessato in più occasioni) per un periodo mobilitato nel Sonderauftrag Pöll (leggiamo nel libro di R. Spazzali, “Sotto la Todt”, LEG 1995, che il “Sonderauftrag Pöll” sorto dalla “necessità di costituire una linea difensiva dallo Stelvio al Quarnero” fu, secondo la testimonianza del Gauleiter Rainer, che si assunse la responsabilità dell’iniziativa e designò come proprio sostituto il comandante della SS Globotschnig, resa al Tribunale della IV Armata di Lubiana solo “un nome sotto cui si nascondeva un’azione militare” per la quale furono mobilitati trecento dirigenti politici dalla Carinzia, che assieme ai capi delle SS chiesero la collaborazione di prefetti e podestà, dove furono questi ultimi ad eseguire la mobilitazione della manodopera in seguito ad un’ordinanza di Rainer ); poi, sarebbe entrato nella Guardia civica (ciò è confermato nel libro \"La Guardia Civica di Trieste\" edito dal Centro Studi Guardia Civica nel 1994) ma non da Spazzali che inquadra Forti nella Pöll fino al 30/4/45) ed “automaticamente” inserito nella Brigata Venezia Giulia del CVL.
Questa Brigata, dipendente dalla Divisione Rossetti, era in collegamento con la Brigata friulana Osoppo, con il SIM e con la missione inglese a Udine comandata da Nicholson; il suo primo comandante fu Giuliano Dell’Antonio Guidi, già capitano degli alpini, ufficiale di collegamento con la Osoppo, nonché uno dei referenti per chi “in seno alla Guardia Civica ed alla X Mas” si aggregava al CLN portando con sé le armi (nel “Diario storico della Divisione Rossetti”, Archivio IRSMLT n. 1156). Il suo vice era Ernesto Carra e al momento dell’insurrezione Carra faceva parte del “triumvirato militare” designato per la direzione del Comando di piazza del CVL, assieme ad Antonio Fonda Savio ed Ercole Miani. Sia Dell’Antonio sia Carra si trovano nell’elenco dei “gladiatori” pubblicato dalla stampa nel 1991 (“La notte dei gladiatori”, curato da Scarso e Coglitore, Calusca 1992) e nel dopoguerra Carra fu anche uno dei referenti delle “armi per Trieste italiana”. Renzo Di Ragogna (uno di coloro che parteciparono alle esercitazioni delle squadre armate triestine) disse di essere stato contattato da Carra nel 1947 per riunioni nelle quali venivano istruiti all’uso di armi e sulle tecniche di guerriglia. Nel 1953 Carra lo “informava che bisognava creare vari depositi di armamento, bene celati e nascosti da impiegarsi in caso di necessità dettata dall’invasione di Trieste da parte delle truppe jugoslave”, Di Ragogna si occupò di costruire 6 nascondigli. Dopo la scoperta dei depositi, nel 1954, Di Ragogna ritenne di dover andare via da Trieste e Carra si offrì di organizzargli “l’esfiltrazione”, ma Di Ragogna preferì agire da solo. 
Anche Fonda Savio e Miani appaiono tra gli organizzatori delle squadre: da una testimonianza di Galliano Fogar, nel 1954 Fonda Savio sarebbe stato il referente per una Organizzazione di difesa antijugoslava, mentre Ercole Miani avrebbe avuto il compito di organizzare i gruppi d’azione armati (i dati sulle “squadre” sono tratti dall’istruttoria su Argo 16, Proc. pen. n. 318/87 A G.I. del Procuratore Carlo Mastelloni di Venezia).
Dopo Dell’Antonio (che trovandosi in missione presso il Battaglione “Alma Vivoda” nel momento in cui questo fu attaccato dai nazisti sarebbe stato da loro arrestato, ma rilasciato e poi si sarebbe nascosto a Milano), dai documenti appare che il comandante della Brigata fu Romano Meneghello, anche se Forti afferma che al comando vi sarebbe stato un non meglio identificato “maresciallo dei CC che apparteneva alla resistenza da sempre” (cioè da quando?). Un altro appartenente alla Venezia Giulia, Giuseppe Ferrara, ha affermato che aveva giurato il 16/1/45 “con tre dita” (nel filmato “Quel 30 aprile del 1945”, AVL 2005); nei ruolini di essa troviamo nomi degni di interesse, da Carlo Fabricci (fu per anni segretario della UIL, il suo nome è negli elenchi della P2), a Giuseppe Ferfoglia (già nella X Mas, uno degli irredentisti armati sotto il GMA), a Mario Cividin (nel dopoguerra titolare di una delle più importanti imprese edili triestine, processato per corruzione ed assolto); ma soprattutto compaiono i nomi di tre agenti dell’Ispettorato Speciale di PS che risultano arrestati dalle autorità jugoslave nel maggio ‘45: Gaetano Milano e Francesco Giuffrida, incarcerati a Lubiana e presumibilmente fucilati e Giuseppe Scionti, che risulta invece disperso.
Alla Brigata, leggiamo, “si affiancarono all’atto dell’insurrezione molti elementi della cittadinanza non inquadrati nelle formazioni clandestine del CLN, che vennero armati e forniti di bracciali. Tali elementi non sono compresi nei nostri ruolini” (nel citato “Diario storico della Divisione Rossetti”).
Può essere questo il motivo per cui il nome di Forti non appare nei “ruolini” ufficiali del CVL. La Venezia Giulia si ricostituì poi nel maggio 1945 in funzione antijugoslava, agli ordini di Redento Romano: alcuni membri della Brigata (tra cui Romano Meneghello, Mario Cumo, Giuseppe Stancampiano, Armido Bastianini, Luigi Tricarico, Antonio Franceschi, Stelio Fiabetti, Cesare Buscemi) furono arrestati dalle autorità jugoslave intorno al 23 maggio e condotti a Lubiana, dove presumibilmente subirono un processo; Arturo Bergera scrisse che Meneghello, Cumo, Stancampiano ed altri “si erano proposti di difendere l’italianità di Trieste dall’invadenza slava”. (Arturo Bergera ed il capitano di corvetta Luigi Podestà, membri di una missione del SIM, furono arrestati dagli Jugoslavi per essersi appropriati dei fondi della Marina militare all’arrivo dell’esercito jugoslavo. La relazione Bergera si trova in Archivio IRSMLT 866). E può essere questo lo stesso motivo per cui anche Forti sarebbe stato ricercato dagli Jugoslavi, che però non riuscirono ad arrestarlo in quanto avevano un indirizzo sbagliato, almeno stando a quanto lo stesso Forti ha affermato nel filmato citato prima.
Fin qui alcuni appunti storici. Vediamo ora come Fabio Forti ha illustrato il suo pensiero storico e politico, in svariate occasioni:
“siamo scomparsi nel nulla per 55 anni poi un presidente repubblica (Ciampi, ndr) ha voluto che tornassimo alla luce per scrivere la storia mancante al confine orientale d\'Italia (27/2/08);
“il nostro CLN è stato l’unico in Italia che rimase in clandestinità fino al 1954, anzi nel nostro spirito, siamo ancora oggi in clandestinità” (15/10/04);
“la resistenza a Trieste non era solo quella dei partigiani di Tito, che era più facile perché fatta nei boschi, la nostra era più difficile, eravamo in città dove eravamo controllati da tutti (21/6/07).
Ed ancora relativamente ai fatti storici Forti sostiene che “nell\'ottobre 1944 i comunisti abbandonarono il CLN e messi alle dipendenze dell\'OF sloveno” (7/7/09), quando fu invece il CLN giuliano a non voler ottemperare (al contrario del Partito comunista) alle direttive del CLNAI di collaborare con l’OF e con gli Jugoslavi (alleati); e fu lo stesso don Marzari ad impedire al rappresentante comunista Pino Gustincich di partecipare alle riunioni del CLN affermando che se il PC voleva rappresentare sia gli italiani che gli sloveni locali non c’era posto per esso nel CLN giuliano (si veda a questo proposito l\'articolo di don Marzari ne \"I cattolici triestini nella Resistenza\", Del Bianco 1960, p. 30).
Inoltre Forti ha anche affermato che “trenta volontari del CVL” sarebbero stati “infoibati”, ma “ne mancano duecento all’appello”, e che “non esistono più” né la Venezia Giulia né l’Istria, nomi che sarebbero stati “cancellati dalle carte geografiche” (?), mentre deriverebbero “dalla Decima Regio dell’imperatore Augusto”, e la loro cancellazione significa la “cancellazione di tutta la nostra cultura”. 
Questo il pensiero di Forti a cui Spadaro e Nuovo hanno aderito: del resto lo stesso Spadaro rivendica di essere stato sempre un convinto seguace degli “ideali mazziniani”: fu con la sua segreteria che la sede dei DS fu dedicata a Carlo Schiffrer e che esponenti sindacali della UIL (sindacato che prosegue il filone culturale e politico del Corpo Volontari della Libertà “fino allora emarginati dalla sinistra”, come affermò il 16/12/09 il futuro sindaco di Trieste presentando il libro autobiografico di Spadaro, \"L\'ultimo colpo di bora\", LEG 2009) entrarono per la prima volta nei DS. Ci risulta comunque oscuro il motivo per cui il professore Spadaro, se è sempre stato “mazziniano”, si sia iscritto al Partito comunista quando in Italia esisteva un Partito repubblicano a disposizione di chi professava ideali mazziniani. Va invece spiegato perché la UIL triestina (guidata per anni dal piduista Fabricci) fu emarginata dalla “sinistra”: secondo la descrizione dell’allora segretario Luca Visentini (le citazioni che seguono sono tratte da un intervento del sindacalista il 15/10/04), essa sarebbe stata il legittimo erede di quei Sindacati giuliani nati dal CLN triestino, costituiti in alternativa ai Sindacati unici, i quali avevano un atteggiamento anticapitalistico e quindi estraneo alla Camera del Lavoro che invece negoziava i diritti; ma che inoltre “facevano politica e non sindacato”, dato che indicevano scioperi per Trieste jugoslava. Visentini ha poi aggiunto, forse poco coerentemente, che la UIL indisse uno sciopero generale nel 1952, quando iniziarono le manifestazioni per Trieste italiana ed indisse quelle del 1953 (i morti in queste occasioni furono diversi, ricordiamo). Inoltre nel dopoguerra la UIL “iscrisse ex fascisti in funzione antijugoslava”, e verso la comunità slovena vi fu “una chiusura non etnica ma politica”. 
Senza commentare queste affermazioni, diciamo invece che ci ha colpito la coincidenza temporale di un’altra iniziativa di riscoperta del pensiero mazziniano, svoltasi solo un paio di settimane prima (6/6/12), organizzata dall’associazione “Strade d’Europa” (che pubblica la testata web “Stato e potenza”, dal titolo di un testo del comunitarista russo Zivganov). Moderata dal portavoce Lorenzo Salimbeni (già esponente della “Riva destra” di Azione giovani, del Direttivo della Lega Nazionale, collaboratore della rivista “Eurasia” del nazimaoista co-fondatore di Ordine nuovo Claudio Mutti), figlio del docente Fulvio Salimbeni, il cui assistente, Ivan Buttignon, è stato uno dei relatori ed ha dissertato sul mazzinianesimo come idea primigenia della sinistra in Italia, non marxista né socialista, spiritualista e non materialista, nazionalista e non internazionalista, solidale ma non collettivista. Secondo Buttignon sia il comunismo sia il capitalismo si sviluppano in uno sfruttamento dell’uomo sull’uomo, richiamandosi alla teoria di Massimo Fini che l’industrialismo è una moneta con due facce, da una parte il capitalismo e dall’altra il comunismo. Fini è il fondatore del Movimento Zero cui hanno aderito svariati esponenti di destra, l’ora defunto Paolo Signorelli (altro fondatore di Ordine nuovo, esponente del Fronte nazionale di Borghese, ideologo di Costruiamo l’azione, di Lotta popolare e di Terza posizione); Alain de Benoist; l’ex golpista mancato con Borghese Alberto Mariantoni; l’ex parlamentare di AN Antonio Serena (espulso dal partito dopo che aveva fatto girare in aula un appello di solidarietà a Priebke). Qui una parte del manifesto costitutivo:
“Levate la testa, gente. Non lasciatevi portare al macello docili come buoi, belanti come pecore, ciechi come struzzi che han ficcato la testa nella sabbia. In fondo non si tratta che di riportare al centro di Noi stessi l’uomo, relegando economia e tecnologia al ruolo marginale che loro compete. Chi condivide in tutto o in parte lo spirito del Manifesto lo firmi. Chi vuole collaborare anche all’azione politica, nei modi che preferisce e gli sono più congeniali, sarà l’arcibenvenuto. Abbiamo bisogno di forze fresche, vogliose, determinate, di uomini e donne stufi di vivere male nel migliore dei mondi possibili e di farsi prendere in giro. Forza ragazzi: si passa all\'azione”.
Buttignon, autore di “Compagno Duce” (Hobby and Work 2009), ha partecipato ad un convegno indetto da CasaPound Brescia “Linea Rossa su Sfondo Nero: Il Fascismo di Sinistra da Sorel a Salò” assieme a Simone Di Stefano, vice responsabile nazionale di CPI ed a Mirko Bortolusso del PD veneziano; ma è anche collaboratore dell’Accademia Ricerche Sociali di Trieste, il cui fondatore è Massimo Panzini, già capo di gabinetto del sindaco di Trieste Roberto Di Piazza, ed oggi sostenitore del sindaco di centrosinistra Roberto Cosolini. Altro relatore del convegno avrebbe dovuto essere Marco Costa, espulso da Rifondazione dopo avere pubblicato un libro sul “nazionalcomunismo” di Ceausescu per le edizioni All’insegna del veltro di Mutti. 
Di Mazzini scrive Wikipedia che “la sua influenza sulla prima fase del movimento operaio fu per questo molto importante ed anche il fascismo, in particolare la sua corrente repubblicana e socializzatrice, si ispirerà al pensiero economico mazziniano come Terza Via tra il modello capitalista e quello marxista”: si comprende quindi come tale teoria possa andare bene ai seguaci del “comunitarismo” di Jean Thiriart, come i Mutti ed i Signorelli, ed ai rossobruni che si riconoscono nelle varie pubblicazioni prima citate, ma è più difficile capire perché eserciti un tale fascino su esponenti del vecchio PCI come Stelio Spadaro.

luglio 2012




http://rickrozoff.wordpress.com/2012/07/12/the-template-nato-consolidates-grip-on-former-yugoslavia/

Stop NATO - July 12, 2012

The Template: NATO Consolidates Grip On Former Yugoslavia

Rick Rozoff


North Atlantic Treaty Organization chieftain Anders Fogh Rasmussen has spent much of the past week in the former Yugoslavia, visiting Slovenia and Croatia on July 5 and 6, respectively, then arriving in Kosovo with the 28 members of the North Atlantic Council on July 11.

Twenty years after NATO was unleashed as an active warfighting force with a naval blockade of Yugoslavia's Adriatic coast (Operation Maritime Monitor and Operation Maritime Guard, 1992), enforcement of a no-fly zone in Bosnia (Operation Deny Flight, 1993, which included shooting down Bosnian Serb jets) and large-scale bombing of Serb targets (Operation Deliberate Force, 1995, involving 400 alliance aircraft), NATO has returned to the Balkans to complete the absorption of former Yugoslavia as a base for operations elsewhere in the world and for the recruitment of expeditionary troops for wars abroad.

In the interim the Western military bloc conducted a savage 78-day bombing campaign against the Federal Republic of Yugoslavia in 1999 before expanding the scope of its wars and other military operations to include Afghanistan and Pakistan, Libya and the Horn of Africa.

NATO military intervention in former Yugoslavia brought about the total dissolution of that nation into its six federal republics and the secession of the Serbian province of Kosovo, which is the world's first NATO-created pseudo-state; a crime-ridden, ethnically-cleansed, economically unviable black hole which should serve, and for the past thirteen years should have served, as a stark, irrefutable warning of what the aftermath of NATO intervention portends for later victims of the same.

In his visit to Slovenia, the first former Yugoslav republic to be recruited into NATO, Rasmussen praised his hosts for contributing to the bloc's missions in war zones and post-conflict occupied territories in stating:

"Your contribution to our missions proves that despite tough economic times, Slovenia can be counted upon. That is why we greatly appreciate your participation in Kosovo and Afghanistan. You are showing a strong commitment to Kosovo and you are doing a great job in helping to advise and train Afghan security forces.”   

All former Yugoslav republics are now either full NATO members or partners. Slovenia joined the bloc in 2004 and Croatia in 2009. Macedonia would have been dragooned into the alliance along with Croatia except for the longstanding name dispute with Greece, but it has been granted a Membership Action Plan, the final stage before full NATO accession, as has Montenegro, with Bosnia to soon follow.

Montenegro, which became an independent micro-state in 2006 in no small part with NATO assistance, joined the alliance's Partnership for Peace program only six months after declaring independence, while the ink was hardly dry on the declaration. In the same month, December, Bosnia and Serbia, which had also become an independent nation in June after the breakup of the State Union of Serbia and Montenegro, also joined the Partnership for Peace. In October of that year the USS Anzio Ticonderoga-class guided missile cruiser docked in the Montenegrin port of Tivat, demonstrating the rapidity with which the Pentagon and NATO move to effect the military integration of newborn states it had not much earlier bombed. (As of earlier this year, Afghanistan and Iraq are members of NATO's new Partners Across the Globe military cooperation program.) The Associated Press reported of the above visit: "Montenegro is eager to join NATO's Partnership for Peace outreach
program, considered a stepping stone to alliance membership."

Bosnia, Croatia and Slovenia have provided NATO contingents for its Kosovo Force (KFOR), initially a 50,000-troop army that entered Kosovo in June 1999.

Montenegro didn't exist as a sovereign state at the time, but Bosnia, Croatia, Macedonia and Slovenia fulfilled their NATO obligations by deploying troops to Iraq from 2003 onward. Currently Bosnia, Croatia, Macedonia, Montenegro and Slovenia have troops serving with the NATO-led International Security Assistance Force in Afghanistan.

While in Slovenia last week, NATO's Rasmussen also lauded the nation's joint contribution with fellow Adriatic Charter members Albania, Bosnia, Croatia, Macedonia and Montenegro (and Slovenia) in training Afghan security personnel at the Military Police School in Kabul as part of the broader NATO program to create NATO-standard security structures in the war-afflicted country. 

The Adriatic Charter is an American initiative established in 2003 to recruit Adriatic Sea littoral and neighboring states into full NATO membership. The original four members were the U.S., Albania, Croatia and Macedonia. Albania and Croatia have since joined the bloc and Macedonia has not only for the reason mentioned above. In 2008 Bosnia and Montenegro became members and Serbia joined as an observer.

At a U.S.-Adriatic Charter defense ministers meeting in Macedonia this March, Celeste Wallander, Deputy Assistant Secretary of Defense for Russia/Ukraine/Eurasia, said the U.S. expects Kosovo and Serbia to join the group. Agim Ceku, minister of Kosovo's fledgling armed forces, the NATO-created Kosovo Security Force, participated in the meeting along with Defense Secretary Leon Panetta's representative Wallander and the defense ministers of Albania, Bosnia, Croatia, Macedonia and Montenegro.  

In Croatia on July 6 Rasmussen praised the nation's role in heading up the Adriatic Charter nations' training mission in Afghanistan: “Together, under Croatia’s leadership, those countries are building stability in Afghanistan – and cooperation between themselves. They are building security in the heart of Asia but also in the heart of Europe.”

Croatia's non-NATO partners in Afghanistan - Bosnia, Macedonia and Montenegro - are serving an apprenticeship for NATO membership, as Croatia and Slovenia did earlier in Iraq. In Rasmussen's words: “NATO is committed to the future of the whole region in the Euro-Atlantic family. And we are determined to help you along that path.” 

The self-serving flattery bestowed on Croatia and Slovenia was too much for the leading Slovenian newspaper Delo, which on July 7 urged the nation to leave NATO as the obligation to spend money on the "failed project" in Afghanistan is diverting resources desperately needed for retirees, young families, culture and education. [1]

Joining NATO, the daily continued, was the largest and most expensive mistake in the country's history, as it is not an alliance that protects its member states but one which intervenes around the world; in fact has waged wars in three continents.

On July 11 Rasmussen and the ambassadors of the 28 NATO member states, collectively constituting the North Atlantic Council, arrived in the Kosovo capital Pristina to meet with head of state Hashim Thaci, who like de facto defense minister Agim Ceku is a former leader of the so-called Kosovo Liberation Army.

Without a scintilla of irony, shame or qualification, he delivered himself of this statement:

"NATO is fully committed to the stability and security of the Western Balkans – nowhere more than in Kosovo. For the past 12 years, the NATO-led mission here has helped preserve a safe and secure environment for all people in Kosovo – firmly, fairly and impartially."

Practically as he spoke, two suspects were arrested for the murder of a Kosovo Serb, Sava Mojsić, and the wounding of two others last November. A raid conducted by EULEX (European Union Rule of Law Mission in Kosovo) police also resulted in the arrests of two other men for possession of automatic rifles and hand grenades.

The Serbian mayor of Kosovska Mitrovica, Krstimir Pantić, said EULEX and KFOR had no intention of apprehending the murderers, although they knew who they were, stating, "There is evidence, the suspects are well-known and they are protected by the interior minister of the so-called Republic of Kosovo and the Kosovo secret police chief.” 

Over a quarter of a million Serbs, Roma, Gorani, Turks and other members of ethnic minorities have been driven out of Kosovo since NATO arrived thirteen years ago - several hundred, along with ethnic Albanians, have been murdered in cold blood - and the NATO chief can pontificate about "stability and security" and "a safe and secure environment for all people in Kosovo."

Having dispensed with such obligatory rhetoric - monstrous lies - Rasmussen got down to business at his press conference in Pristina, stating:

"Make no mistake. We will make sure KFOR remains robust and credible. We will make sure it has the support it needs for as long as it needs."

Because, and only because, "We are committed to the Euro-Atlantic future of this region." Which is to say, having bombed and occupied the former Yugoslavia for a generation, NATO is now conducting the final mopping-up operation.


1)  Slovenia’s leading newspaper calls for country to leave NATO
 http://rickrozoff.wordpress.com/2012/07/07/slovenias-leading-newspaper-country-must-leave-nato/




NOI TIREREMO DIRITTO (*)


Tav, il Nordest tira dritto: ''Noi andiamo avanti''

di Elisa Coloni - su Il Piccolo del 13 luglio 2012

«Noi andiamo avanti, perché la Tav è un’opera di modernizzazione fondamentale per lo sviluppo del Nordest, e perché i corridoi paneuropei rappresentano un tema chiave delle politiche comunitarie. Certo, se la Francia dovesse fare marcia indietro, significherebbe troncare incredibilmente un progetto già avviato, mettendo a rischio i risultati e gli effetti dell’intera infrastruttura». Bortolo Mainardi, commissario della Tav Venezia-Trieste, si dice “allibito” di fronte alla “bomba” scoppiata ieri a Parigi che, se confermata, avrebbe effetti imponenti anche in casa nostra, nel quadro dell’ex Corridoio quinto, oggi numero tre. Per il momento conferme non ci sono. 
Quel che è certo è che il governo Hollande sta facendo i conti con risorse ormai sottilissime e con un calo costante del traffico merci nella tratta in questione. Che la Francia decida di passare la mano sull’opera o che riveda piuttosto alcune scelte in chiave risparmio, spezzettando la realizzazione dell’infrastruttura in più fasi (il cosiddetto “fasaggio”) è ancora tutto da capire. La sola notizia che Parigi sta mettendo in discussione alcuni grandi cantieri, scatena però reazioni a pioggia. «I corridoi sono opere che l’Ue considera strategiche sia per motivi economici sia per ridurre il trasporto merci su gomma e i conseguenti impatti ambientali. Opere frutto di accordi internazionali dai quali non ci si può defilare da un giorno all’altro - prosegue Mainardi -. Credo sia più probabile che si vada verso una riconsiderazione di singole parti dell’opera, scelta normale per contenere i costi».
Sulla stessa linea l’europarlamentare del Pd Debora Serracchiani che, dalla sua postazione europea in Commissione trasporti, definisce “improbabile” un ripensamento della Francia, tirando in ballo a sua volta il cosiddetto “fasaggio”. «Come abbiamo fatto noi in Italia con l’Osservatorio - spiega -, anche Parigi sta probabilmente rivedendo alcuni aspetti della Tav, non più in linea con le attuali disponibilità finanziarie. Penso che la chiave di lettura giusta sia questa, anche perché stiamo parlando di un’opera che fa parte del Corridoio tre, riconfermato come prioritario dall’Ue. 
I singoli Stati membri hanno il diritto di riconsiderare le scelte strategiche, ma ricordo che in ballo ci sono accordi internazionali e impegni finanziari tra Italia e Francia che avrebbero evidenti conseguenze. Certo, se Parigi rinunciasse alla realizzazione della Tav, proseguire gli scavi in Italia risulterebbe inutile». E in casa nostra? Le grandi opere riusciranno a reggere la crisi? «Noi riteniamo strategica un’opera come la terza corsia della A4 - conclude -. Le nostre perplessità riguardano la gestione del piano finanziario, ma l’opera in sé non è in discussione».
  

Sulla posizione francese in merito al progetto TAV (Corridoio 5 o 3) si legga ad esempio:
"La Francia si allinea al fronte No Tav: opera costosa e inutile per le merci"
di Mauro Ravarino - da Il Manifesto, 13 Luglio 2012 

Sull'estremismo filo-TAV della signora Debora Serracchiani si legga ad esempio:
"Lettera Aperta A Debora Serracchiani Sul Progetto TAV"
La Nuova Alabarda (Trieste) - agosto 2011

(*) Benito Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia, Roma 8 settembre 1935.



(italiano / english / francais / srpskohrvatski)

Još dvoje Srba ubijeni na KosMetu

0) LINK: video "Tempo di digiuno"
1) Wesley Clark torna a far danni in Kosovo / War criminal Wesley Clark back to Kosovo (for money, as usual)
2) Le notizie di Glas Srbije
3) Il TPI chiede 20 anni per Haradinaj, capo dell'Uck - ma chi crede più al TPI?? (25 Giugno 2012)
4) "Riaprite l'indagine insabbiata sui fondi neri". Repubblica è riuscita a visionare documenti che mettono sotto accusa la società elettrica e l'aeroporto internazionale di Pristina
5) J. Jatras: 'Washington backed jihadist elements in Kosovo, now in Syria'

6) ULTIMISSIME: I coniugi Jevtić ammazzati in casa loro, venerdì sera, perché serbi. 
- Zločini bez kazne / Kraljevo : Sahranjeni supružnici Jevtić sa Kosmeta
- Le meurtre d’un couple de Serbes remet en cause le fragile processus des retours


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Da: Alessandro Di Meo <alessandro.di.meo @ uniroma2.it>
Data: 25 giugno 2012 15.12.43 GMT+02.00
Oggetto: video: Tempo di digiuno

cari tutti,
è disponibile su youtube il video "Tempo di digiuno":
http://www.youtube.com/watch?v=xkz7lzF08vg


Racconta della difficile vita di alcune famiglie di serbi nei villaggi intorno Gnjilane, in Kosovo e Metohija. Dell'impegno di monaci come padre Ilarion e di associazioni come Un Ponte per..., a creare veri e propri ponti di solidarietà, nell'indifferenza generale che avvolge tutto quello che è conseguenza della tragica guerra "umanitaria" del 1999, che la Nato scatenò contro la ex Jugoslavia e la Serbia.

Il video, presentato per la prima volta sabato scorso presso Agricoltura Capodarco, a Grottaferrata, nella notte di San Giovanni, è finalizzato a una raccolta fondi per una iniziativa di ospitalità da svolgersi a settembre ad Anzio, di ragazzini provenienti dalle zone oggetto del video e alla risistemazione delle loro case.
Buona visione.

Alessandro Di Meo


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L' assassino torna sempre sul luogo del delitto!...

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Clark ha intenzione di investire 5,6 miliardi in Kosovo

(www.glassrbije.org - 26. 06. 2012)

Il generale statunitense Wesley Clark che è stato pensionato, il quale commandava la NATO durante l’attacco contro la ex Jugoslavia nel 1999, ha intenzione di tornare in Kosovo per realizzare un business di alcuni miliardi di dollari, scrive il quotidiano viennese Wirtsatblat. La ditta canadese di Clark Envidity, la quale investe il suo capitale nell’energia, ha inviato la domada che le sia data la licenza per lo sfruttamento delle miniere di carbone in Kosovo occidentale. L’Envidity ha intenzione di investire 5,6 miliardi di dollari nei prossimi sei anni nella produzione del combustibile liquido. Le riserve del carbone in Kosovo si valutano a circa 14 miliardi di tonnellate, scrive Wirtsatblat. Alcuni giorni fa in Kosovo si trovava anche l’ex premier britannico Tony Blair. Il motivo della sua visita era uguale. Clark e Blair sono stati i fautori più convinti dell’attacco della NATO contro la Serbia nel 1999.

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http://english.ruvr.ru/2012_06_28/79648685/

Voice of Russia - June 28, 2012

Kosovo for the general

Igor Siletsky and Timur Blokhin 

Kosovo’s economy is overfilled with investments.

True, the majority of investors are Americans who bore a relation to the “democratization” of Yugoslavia that was carried out at the end of the 90s of the last century. Among them is the former commander of NATO forces in Kosovo retired general Wesley Clark, who is determined to invest more than 5.5 billion dollars in the former Yugoslav republic. Experts say that Washington’s strategy could be characterized by the following slogan: “Conquer and plunder”.

His closest supporters say that Wesley Clark is a great strategist. He wrote the book “Winning Modern Wars” that was published in 2001. In his fundamental survey the author mentions the Pentagon’s list of countries that can be regarded as candidates for a quick change of leadership. On that list are Iraq, Iran, Syria, Lebanon, Libya, and Somalia. Yugoslavia was not mentioned there because by that time the undesirable regime of Slobodan Milosevic had been overthrown with the help of precision and carpet bombings.

By the way, shortly after the Kosovo operation the tired general - Wesley Clark - retired and immediately got involved in the banking business. As it appears, he invested all his savings that he had accumulated as general, receiving from 150 to 200,000 dollars annually, in the banking business. Because of that he had to earn additional money, working as a military analyst on U.S. TV channels. However, he did not lose his contacts with Kosovo, where, following the previously mentioned democratization, entrepreneurship, especially, in the field of medicine, was on the rise. And now the Envidity Company that is in Clark’s ownership has filed a request for coal mining to the Kosovo authorities. Serbia, which does not recognize Kosovo’s independence, says that it is determined to demand protection for the natural resources belonging to it. Nobody wants to ask for Belgrade’s permission though as was the case many times before.

Wesley Clark always had good contacts with the Kosovo “government” and its “prime minister” – the former militant Hashim Thaci. There is even a street in Pristina named after Wesley Clark. By the way, a Russian political analyst and retired colonel-general Leonid Ivashov at the trial of Slobodan Milosevic mentioned the allied character of relations between the NATO troops and the militants of the Kosovo Liberation Army (KLA). As we can see, this cooperation has borne fruit, including both political and economic benefits, a Serbian journalist, Nikola Vrzic, says.

"It is clear that during their 'cooperation' that started in 1998, they concluded business agreements. Now it is absolutely clear that the bombings of Kosovo pursued both political and economic objectives: they were aimed not only at separating Kosovo from Serbia, but also at depriving Kosovo of its extensive natural resources. As it appears, coal is Kosovo’s main resource. Geologists say that there are other minerals there too. More prospecting for natural resources is needed there."

Against the background of instability on the oil market, experts talk more and more often about good prospects for the development of synthetic fuel, including obtaining synthetic fuel from coal. Clark’s firm believes that it is possible to produce up to 100,000 barrels of the new source of energy daily.

The economic motives of NATO’s military games are actually not a secret. Of interest here is the fact that in the middle of the 1990s, at the very height of the fratricidal war in Yugoslavia, NATO countries’ citizens bought property in the Balkan republic. Buyers were making preparations for a new “post-Yugoslav” reality. And Kosovo was a good training ground, an expert with the Institute of Europe of the Russian Academy of Sciences, Pavel Kandel, said in an interview with the Voice of Russia.

"Kosovo created a precedent. It was the first link in the strategy of the 'humanitarian' interventions of the NATO countries led by the USA. Shortly before the Kosovo operation, at the urgent request of Washington, NATO adopted a new doctrine, which set a number of tasks beyond defence limits before the member-states of the formerly defensive bloc. To be more exact, the possibility of interference in other regions of the world under this or that pretext became possible."

The strategy that was used earlier can be used again. Coal mining is very good but oil still has a good price. So everything continued, following the former format: Iraq, Somalia, and Libya. Something has gone wrong with Syria though. Damascus wants to develop democracy without humanitarian aid from the West. There are problems with Iran too. But economic strategists have enough patience: investor-generals are ready for investing at any time.


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In Kosovo arrivano grandi quantità di droga

26/06/2012 - 19:37
Negli ultimi dodici mesi in Serbia sono stati sequestrati 1.478 chilogrammi di stupefacienti. Grandi quantità di droga sono state immagazzinate in Kosovo, nonostante la presenza dell’Eulex e l’Unmik,è stato detto nell’Istituto per la salute pubblica della Serbia in occasione della Giornata internazionale della lotta alla droga. Secondo le informazioni del Ministero dell’Interno della Serbia, negli ultimi dodici mesi in Serbia sono state eseguite 5.081 azioni di sequestro della droga e sono stati avviati 4.273 processi penali contro 5.215 persone. In questo periodo il numero dei consumatori è aumentato. L’eroina arriva in Serbia per lo più dall’Afganistan. L’80% dell’eroina che passa attraverso i Balcani che proviene dall’Afganistan arriva dalla Turchia. Il vice direttore della polizia serba Branislav Mitrovic ha detto che il Ministero dell’Interno della Serbia collabora con le polizie di altri Paesi nella lotta per la diminuzione della quantità della droga in circolazione e del numero dei consumatori.

Il valore della proprietà serba 50 miliardi di euro

26/06/2012 
Dal giugno del 1999 in Kosovo sono state distrutte 20.000 case serbe. Il valore della proprietà serba che è stata usurpata si valuta a più di 50 miliardi di euro.  E’ stata usurpata anche la proprietà dello stato serbo, in primo luogo tramite privatizzazioni illegali, ha dichiarato il vice Ministro per il Kosovo Branislav Ristic. Secondo il catasto il 58% della terra in Kosovo appartiene ai serbi. Soltanto nei disordini nel marzo del 2004 in Kosovo sono state distrutte circa 1.000 case serbe, nella maggior parte delle quali vivevano i profughi, ha detto Ristic. Dall’arrivo delle forze internazionali in Kosovo la proprietà dei serbi e delle etnie non albanesi è l’oggetto dell’usurpazione da parte degli albanesi. All’Agenzia kosovara per la restituzione della proprietà usurpata sono sate presentate 41.300 querele per la proprietà usurpata. L’Agenzia ha risolto 31.517 casi. Non esistono però informazioni sul numero delle decisioni che sono state realizzate e delle restituzioni della propreità, ha dichiarato Ristic.

Scontro sul ponte sul fiume Ibar

28. 06. 2012. - 19:43 -- MRS
Sul ponte principale sul fiume Ibar, il quale divide la parte settentrionale di Kosovska Mitrovica, abitata prevalentemente dalla popolazione serba, dalla parte meridionale nella quale vivono gli albanesi, stamattina si sono scontrati la polizia e un gruppo di serbi che sono arrivati dalla Serbia centrale. In questo incidente nessuno è stato ferito, ha confermato il portavoce regionale della polizia kosovara Sami Mehmetu. Egli ha precisato che i poliziotti hanno messo sotto controllo una settantina di persone. In seguito i serbi sono stati costretti ad abbandonare il Kosovo attraverso il valico Merdare, ha detto Mehmetu.

Attacco terroristico contro il punto della polizia

28. 06. 2012. - 19:42 -- MRS
Nel villaggio albanese Dobrusin, il quale è situato 16 chilometri a ovest da Bujnovac, nella Serbia meridionale, stamattina alle ore 4 e 20 minuti è avvenuto il nuovo attacco terroristico contro il punto della polizia a Bujanovac, il quale è stato eseguito dal territorio del Kosovo. In questo attacco un poliziotto è stato ferito in modo leggero, ha confermato all’agenzia Tanjug il portavoce della polizia a Vranje Dragan Stamenkovic. In questo secondo attacco terroristico negli ultimi giorni contro il punto della polizia a Dobrosin alla linea amministrativa che divide il Kosovo dalla Serbia centrale, nel quale si trovavano quattro poliziotti, è stato ferito il poliziotto Branislav Markovic. Il proiettile ha sfiorato la sua schiena, ha detto Stamenkovic.

Patriarca Irinej: Kosovo è la Gerusalemme serba

28. 06. 2012. - 19:46 -- MRS
Il patriarca serbo Irinej ha dichiarato a Gracanica, dove ha somministrato la liturgia in occasione del Vidovdan, che il Kosovo era, è e rimarrà il sacro territorio serbo – la Gerusalemme serba. Nel discorso che ha tenuto nel monastero Gracanica davanti al alcune centinaia di fedeli, il patriarca ha ricordato che il popolo serbo è stato costretto a trasferirsi molte volte e che ritornava sempre per ricostruire le case che sono state distrutte. Non dovete dimenticare mai che la libertà è una cosa sacra e un dono di Dio che è legato alla croce. Non dobbiamo dimenticare mai il Kosovo, perché se questo accadrà dimenticheremo sé stessi, ha dichiarato il patriarca Irinej. Alla liturgia hanno presenziato anche il segretario statale nel Ministero per il Kosovo Oliver Ivanovic e l’ambasciatore della Russia a Belgrado Aleksandar Konuzin. A Gracanica oggi sono arrivati serbi che vivono nel Kosovo settentrionale, Serbia celtrale, Montenegro e Repubblica serba. Il 28 giugno del 1389, al Vidovdan, il duca Lazar Hrebeljanovic e molti serbi sono stati uccisi nella battaglia sul campo del Kosovo contro l’esercito dell’Impero ottomano. Questa battaglia ha segnato la fine dello stato medievale serbo e l’inizio della sua sottomissione al dominio dell’Impero turco.

Scontri al valico di Merdare

28. 06. 2012. - 19:47 -- MRS
Negli scontri al valico Merdare, che divide il Kosovo dalla Serbia centrale, tra i serbi che viaggiavano verso Gazimestan e la polizia kosovara sono stati feriti 20 serbi, uno dei quali versa in gravi condizioni. Questo serbo è stato trasferito nell’ospedale a Nis. Negli scontri sono state usate le armi da fuoco, hanno comunicato i medici a Kursumlija. In questa cittadina serba nel sud della Serbia centrale è stato dato il primo soccorso ai serbi feriti dalle armi da fuoco. Il Ministero dell’Interno della Serbia ha comunicato che 54 serbi che viaggiavano verso Gazimesan hanno passato stamattina la linea amminsitrativa a Rudnica e Jarinje. Questo gruppo di serbi voleva celebrare a Gazimestan il Vidovdan e renedere omaggio agli eroi serbi che sono morti nella battaglia in Kosovo contro l’Impero ottomano nel 1389. La polizia albanese ha bloccato la strada vicino a Vucitrn ed ha imposto ai serbi di tornare nella Serbia centrale attraverso il valico Merdare, dove sono avvenuti gli scontri. Il 28 giugno del 1389, al Vidovdan, il duca Lazar Hrebeljanovic e molti serbi sono stati uccisi nella battaglia sul campo del Kosovo contro l’esercito dell’Impero ottomano. Questa battaglia ha segnato la fine dello stato medievale serbo e l’inizio della sua sottomissione al dominio dell’Impero turco.

Dacic: assicurare la pace ai serbi che vivono in Kosovo

28. 06. 2012. - 19:48 -- MRS
Il mandatario per la formazione della nuova maggioranza parlamentare Ivica Dacic ha dichiarato in occasione dei nuovi incidenti in Kosovo che le forze internazionali devono assicurare la pace, perché nella regione non sono presenti le forze di sicurezza della Serbia. Questi incidenti deprecabili devono essere impediti dalle forze internazionali. Ogni anno al Vidovdan in Kosovo accadono incidenti. Se il popolo serbo che vive in Kosovo non può celebrare il giorno del ricordo del grande martirio, si pone il quesito come qualcuno può assicuare la pace ai serbi che vivono in Kosovo. Il nuovo esecutivo serbo porrà l’accento sul fatto che in Kosovo non si trovino le nostre forze di sicurezza. Tutti i colloqui devono partire da questo fatto, affinché sia preservata la pace, ha dichiarato Dacic.

Konuzin: Pristina viola diritti internazionali ed umani

28. 06. 2012. - 19:48 -- MRS
L’ambasciatore della Russia in Serbia Aleksandar Konuzin ha dichiarato che le autorità albanesi di Pristina violano gli elementari diritti internazionali e umani non permettendo ai funzionari dell’esecutivo serbo di entrare in Kosovo. Konuzin ha detto che il divieto al Ministro serbo per il Kosovo Goran Bogdanovic di entrare in Kosovo non darà un contributo al prestigio delle istituzioni kosovare. Dovete sapere che quando serbi decideranno come risolvere il problema del Kosovo noi appoggeremo la loro decisione, ha detto Konuzin dopo la liturgia del Vidovdan che è stata celebrata nel monastero Gracanica.


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Kosovo: il Tpi chiede 20 anni per Haradinaj, capo dell'Uck

di  Redazione Contropiano
Lunedì 25 Giugno 2012 18:49

Era scampato al primo processo, intimidendo i testimoni. Ma ora il Tribunale Penale internazionale chiede 20 anni di reclusione per il boss dell'Uck Ramush Haradinaj e per due suoi luogotenenti. Torturarono e uccisero.

La procura del Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nell'ex Jugoslavia ha chiesto 20 anni di carcere almeno per l'ex primo ministro kosovaro Ramush Haradinaj. "La pena più breve che possa essere comminata è di 20 anni di prigione", ha dichiarato Paul Rogers, rappresentante dell'ufficio del procuratore, durante un'udienza pubblica all'Aia, sede dell'organismo. 
Ex comandante dell'Armata di liberazione del Kosovo (Uck), 43 anni, Haradinaj è stato assolto il 3 aprile 2008 da 37 capi d'imputazione per crimini contro l'umanità, commessi principalmente in un centro di detenzione dell'Uck a Jablanica, nel sud-ovest del Kosovo, contro persone considerate "collaboratori" dei serbi. Il Tpi ha deciso in appello per un nuovo giudizio relativo a sei capi di imputazione, tra questi omicidio e tortura, stimando che il precedente processo era stato messo a repentaglio dalle intimidazioni subite dai testimoni. Il nuovo procedimento è cominciato il 18 agosto 2011. 
"Coloro che non sostenevano gli ideali dell'Uck venivano uccisi, maltrattati e torturati a Jablanica", ha detto oggi Rogers, "venivano stilate liste nere". L'accusa ha chiesto anche pene di almeno 20 anni di carcere per due co-imputati, il quarantenne Idriz Balaj (ex comandante dell'unità speciale delle 'Aquile Nere' dell'Uck) e Lahi Brahimaj, 42 anni, un altro responsabile dell'Uck. I tre, ha portato come esempio estremo Rogers, un giorno hanno assistito alla tortura di alcuni ragazzi, due albanesi sospettati di collaborazionismo e un serbo, e a quest'ultimo Balaj tagliò un orecchio. Il tutto avvenne in un Kosovo prima bombardato e poi occupato dalle truppe della Nato, che sostennero la pulizia etnica e politica dell'Uck prima dall'alto e poi sul terreno, consegnando il potere alle bande di Haradinaj e di altri boss che hanno trasformato la provincia secessionista in un narco-stato. 
Haradinaj, che dopo l'occupazione del Kosovo è diventato per un certo periodo anche premier, è in libertà provvisoria dallo scorso 10 maggio ed è tornato a Pristina, dove viene ancora considerato un eroe dagli albanesi del Kosovo. Il processo in prima istanza, avviato a marzo 2007, era stato caratterizzato dal timore dei testimoni a presentare la loro versione dei fatti davanti alla corte: una ventina di loro ha tentato in ogni modo di sottrarsi per paura di ritorsioni da parte dei seguaci di Haradinaj e della rete tuttora legata all'UCK.


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Kosovo, la richiesta dell'Europarlamento  
"Riaprite l'indagine insabbiata sui fondi neri"


Sono undici i dossier sui 3 miliardi stanziati per la ricostruzione dell'ex provincia serba. Ma in quattro anni l'Eulex, l'organismo incaricato di amministrare la giustizia, non ha raggiunto alcun risultato. Nel silenzio sia dell'Onu che dell'Ue. Repubblica è riuscita a visionare documenti che mettono sotto accusa la società elettrica del Paese e l'aeroporto internazionale di Pristina. Ora dall'assemblea di Strasburgo parte una richiesta alla Commissione

di STEFANO VALENTINO

BRUXELLES ha appena stanziato 111 milioni di euro per rinnovare di un anno il mandato dell'Eulex: questo il nome in codice del team di 3000 uomini - tra amministratori,  giudici  e poliziotti - incaricato di portare democrazia e giustizia in Kosovo. Ma in quattro anni l'Eulex è costato ai contribuenti europei oltre 500 milioni di euro. Un costo record , sproporzionato rispetto ai risultati ottenuti. E la sua super-procura di 60 magistrati e procuratori non ha ancora risolto il "giallo" della malversazione dei fondi europei destinati alla ricostruzione postbellica nell'ex provincia serba. Fondi che la Commissione europea aveva dato in gestione all'Unmik, la missione speciale Onu che ha amministrato politicamente ed economicamente il Kosovo dal 2000 al 2008, ossia fino al passaggio di poteri al nuovo governo locale dichiaratosi indipendente dalla Serbia.

L'italiana Maria Giuliana Civinini, presidente dell'assemblea dei giudici Eulex ed ex-membro del Consiglio supremo della magistratura, ha risposto con un no comment alla nostra richiesta di chiarimenti su una questione che è ormai dimenticata da governi e stampa internazionale. A chiedere di far luce sui dossier insabbiati - nel silenzio di Unione europea e Onu - resta solo qualche frangia dell'Europarlamento. L'ultima iniziativa è quella dell'eurodeputato socialista Pino Arlacchi, membro della Commissione affari esteri a Bruxelles, noto per aver co-fondato la Direzione Investigativa Anti-mafia in Italia negli anni '90. Arlacchi ha inviato un'interrogazione scritta all'euro commissario all'allargamento, Štefan Füle.

L'interpellanza, di cui Repubblica ha preso visione, chiede ai vertici dell'esecutivo Ue di tirar fuori dai cassetti i fascicoli relativi alle 11 indagini aperte tra il 2002 e il 2006 dall'Olaf, l'Ufficio europeo di lotta alla frode. Documenti top secret, archiviati nel quartier generale ONU di New York e da noi ottenuti in via confidenziale, affermano che gli 11 fascicoli riguardano la Società elettrica del Kosovo e l'Aeroporto internazionale della capitale Pristina. Ossia i principali beneficiari dei 3 miliardi di euro versati nelle casse Unmik dai donatori internazionali. Due terzi dell'importo sono stati erogati dall'Ue, nonostante i campanelli d'allarme sul rischio di frodi suonati più volte dalla Corte dei conti europea e da revisori contabili indipendenti. 

L'Unmik aveva di fatto commissariato la società elettrica, l'aeroporto e tutti gli altri vecchi enti statali serbi d'epoca comunista, affidandone il controllo a un direttorio di consiglieri internazionali e locali posti alle sue strette dipendenze, sebbene stipendiati dall'UE. Ma l'Onu e l'Ue continuano a trincerarsi dietro un muro di gomma, addossandosi reciprocamente responsabilità su come il direttorio utilizzava i fondi internazionali elargiti per la ristrutturazione degli enti statali. C'è di più. Un accordo sottoscritto dalle due organizzazioni internazionali legava e lega tuttora le mani all'Olaf. Innanzitutto, gli euro-finanzieri potevano indagare sui fondi spesi dall'Unmik solo in collaborazione con gli organi inquirenti dell'Unmik stessa. Inoltre, erano tenuti a fare rapporto esclusivamente al capo dell'Unmik che aveva facoltà discrezionale di trasferire o meno le pratiche all'ex-Procura Unmik, oggi sostituita da quella Eulex. 

Tuttora l'Olaf non può comunicare i risultati delle indagini neanche agli altri servizi della Commissione europea. "Abbiamo ripetutamente chiesto all'Unmik informazioni sul lavoro svolto dalla sua task force di inquirenti, ma finora ci sono sempre state rifiutate", afferma Ruud van Enk, funzionario alla Direzione Generale sull'Allargamento dell'esecutivo di Bruxelles. Già in seguito alla sua missione di monitoraggio in Kosovo, nel 2008 l'Europarlamento aveva interpellato  l'allora euro-commissario all'allargamento, Olli Rehn, biasimando "la mancanza di volontà delle Nazioni Unite a cooperare con i rappresentanti dell'Ue su questioni di trasparenza e di controllo finanziario". Olli Rehn aveva promesso di richiedere informazioni all'Olaf  e riferire, ma poi ha concluso il suo mandato senza aver fatto saper più nulla. 

"L'Eulex deve chiarire come intende trattare i casi non adeguatamente esaminati dai procuratori Unmik", dichiara Bart Staes, capo della delegazione europarlamentare che ha nuovamente visitato il neonato stato balcanico l'anno scorso. "Io stesso sono andato in Kosovo e ho riscontrato un'assoluta incompetenza  e disorganizzazione all'interno dell'Eulex", dichiara Arlacchi. Fatto sta che fino al 2009, un anno dopo l'avvio del suo mandato, la Procura Eulex non sapeva neanche quali fossero i casi di malversazione di fondi europei ereditati dalla procura Unmik. Lo dimostra uno scambio di corrispondenza, consegnatoci da fonti Unmik, in cui il giudice Eulex, Alain Bloch, chiedeva all'ex-procuratore Unmik, Theo Jacobs, di fonirgli gli estremi dei casi  in questione.

Alla sua risposta, Theo Jacobs ha allegato solo i documenti d'indagine sull'Aeroporto, ma non quelli sulla Società elettrica. Che fine hanno fatto dunque le pratiche? "Abbiamo trasferito tutti i procedimenti completati ai tribunali locali, in conformità con l'accordo Unmik - Eulex", dichiara Annunziata Ciaravolo, ex-capo della Procura Unmik e attualmente giudice delle indagini preliminari al Tribunale di Milano.

"Se un'inchiesta non è stata eseguita correttamente e se un procuratore locale non vuole o non può riaprirla, i procuratori dell'Eulex potrebbero farlo, a condizione che venga fatta una corretta valutazione delle prove disponibili", spiega Kai Mueller-Berner, ex-portavoce Eulex. Agenti Olaf affermano che dalle indagini sui fondi spesi per la Società elettrica erano emersi comportamenti più che sospetti. "Ci aspettavamo che la Procura Unmik ci chiedesse di proseguire le indagini, piuttosto che archiviarle", fa eco Roberto Magni, agente della Guardia di Finanza ed ex-capo dell'Unità investigativa finanziaria Unmik che ha collaborato con l'Olaf.

L'inchiesta e' stata supportata da European Investigative Journalism Fund 1, una prestigiosa fondazione di giornalismo con sede a Bruxelles che ha finanziato questo lavoro di ricerca sul Kosovo
 

(28 giugno 2012)


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http://www.rt.com/news/conflict-coverage-jatras-kosovo-659/

RT - July 8, 2012

'Washington backed jihadist elements in Kosovo, now in Syria'


The Western media's coverage of the Syrian conflict has drawn comparisons to how it covered conflicts in the past, most notably the series of brutal wars that accompanied the disintegration of Yugoslavia in the 1990s.
James Jatras, the director of the American Council on Kosovo, believes the similarities between the two conflicts run deep. 
“There are similarities on three crucial levels when we look at Syria,” Jatras told RT. “One has to do with the international system, the rule of law, the role of the Security Council. Another has to do with the status of sovereign states, and how you treat a sovereign state that has an insurgency within its borders.”
The third level involves taking a complex situation involving atrocities and violence committed on both sides of the conflict, and attributing them only to one side. 
“What you do is come up with a concept, and you fit the facts into the concept. You don’t take a step back in good faith, look at what’s really going on, look at the suffering of people on both sides,” Jatras noted. 
Jatras believes that the West has essentially been pouring gasoline on a smoldering fire, using words like “genocide,” and only wants victory for one side and utter destruction for the other.  
He also took note of the similar fates of the Christian population in both the Kosovo and the Syrian conflict. 
“Why is it that in the name of fighting terrorism and promoting democracy, the United States always seems to find itself on the side of jihadist elements engaging in terrorism with predictable results for the Christian population, as we saw in Kosovo when half of the Orthodox Serb population had to flee the province, and thousands of them were killed by the ‘liberators,’ – the Kosovo Liberation Army?"
Jatras told RT that there are several reasons why the United States may be willing to support Islamic fundamentalists. Most importantly, it is America’s cozy relationship with Saudi Arabia and the Gulf States, and hence its desire to show it has its friends' backs when it comes to facilitating an environment for international commerce.


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Il capo della missione OSCE in Kosovo-Metohija, Werner Almhofer, ha condannato l’assassinio di Milovan e Ljiljana Jevtic, rimpatriati serbi nel borgo kosovaro di Talinovac, nel comune di Urosevac. "Sono costernato e triste per questo crimine, e sono convinto che la polizia e la giustizia faranno il possibile per risolvere al più presto il caso", ha affermato il capo della missione OSCE. Nel frattempo, i due serbi-kosovari non sono stati nemmeno sepolti nella loro terra natìa, bensì a Kraljevo, in Serbia centrale, dove almeno si spera che le loro tombe non saranno devastate, come invece regolarmente avviene nei cimiteri serbi del Kosovo.

Zločini bez kazne

Pon, 09/07/2012

Još dvoje Srba na Kosovu i Metohiji, svirepo je ubijeno pre nekoliko dana. Policijski i pravosudni organi u Pokrajini kažu da ne znaju ni ko je uradio to zlodelo, ni zbog čega, mada je jasno da je reč o etnički motivisanom zločinu, koji ima za cilj da se i ono malo Srba što je ostalo na Kosmetu, obezglavi i protera.

U kući srpske porodice Milovana i Ljiljane Jevtić u selu Talinovac kod Uroševca, boravio sam tri puta od njihovog povratka. Još mi je u svežem sećanju Milovanova energija i optimizam, želja da obnovi selo, da se vrati što više dojučerašnjih komšija. Sedeli smo najčešće na terasi, probali sočne kruške i šljive iz njegovog voćnjaka, ili med iz njegovog pčelinjaka, koji je formirao odmah nakon povratka. Ipak, najradije se setim priče o njegovom novom ljubimcu, malenom psu, koji je, gotovo neobjašnjivo, jednostavno napustio svoje dotadašnje vlasnike, komšije Albance i preselio se kod Jevtića. I ništa ga više nije moglo od njih odvojiti. Albanci su ga nekoliko puta, mimo njegove volje, nosili svojoj kući, ali psić se uvek vraćao Jeftićima. Milovan mi je pričao da je u „komunikaciji“ sa pridošlim ljubimcem u početku bilo izvesnih poteškoća, tačnije nije razumeo kad mu se ovaj obraća na srpskom jeziku, ali da je za vrlo kratko vreme, sve „skapirao“ i znao šta se od njega traži.

Na sve što su uradili, Milovan i Ljiljana su bili ponosni, često su isticali da veruju komšijama Albancima, jedan od njih im je sačuvao i kuću, praktično nedirnutu. Štaviše, govorili su da nemaju razloga za strepnju, da slobodno idu gde god hoće. Milovan je kao predstavnik sela imao i kombi vozilo koje je bilo na raspolaganju svim povratnicima. Kome su to onda ovi ljudi smetali, čime su zaslužili da budu surovo likviditrani?

Ne mogu, a da se ovde ne setim još jednog mučenika, mog sagovornika i prijatelja, koji je na istovetan način i iz istih razloga izgubio život u kući u kojoj se rodio, a iz koje su ga terali. Sredinom juna 2006. godine, posetio sam, naime, povratnika Dragana Popovića, iz varošice Klina u Metohiji. Tek se bio vratio u svoju kuću, sa ogromnim dvorištem i voćnjakom, kosio je travu i uređivao okućicu. Sedeli smo za tek napravljenim stolom, u debeloj hladovini, pili „mušku“ kafu i pričali o planovima. Bio je hrabar i odlučan da ostane u svojoj kući, iako je znao da mu prete. Pokazivao je „sveže“ tragove od kuršuma u kućnim vratima i na zidu, čime su mu komšije poželele „dobrodošlicu“. Neće, kazivao je, bežati pred ovim kukavicama iz mraka, a ja sam mu obećao da ću ga ponovo posetiti. Popovića, na žalost, nikada više nisam video, ubijen je nekoliko dana nakon našeg poslednjeg viđenja, metkom u potiljak. Ni ovaj Srbin, u ozbiljnim godinama, nikome ništa nažao nije učinio. A do dan danas, policija i pravosudni organi na KiM, „ne znaju“ ko ga je i zašto likvidirao.

U selu Grebnik kod Kline, prošle godine, nekako u ovo vreme i u istom kontekstu, jadao mi se još jedan srpski povratnik - Đuro Krasić. ”Mi smo ti, govorio je, kao psi. Može ko god hoće da nas maltretira, napadne, ubije, a da za to nikom ne odgovara. Zato gledaj da sam čuvaš glavu, i ni od koga ne očekuj zaštitu.“

Ovo su samo fragmenti jedne opšte kosovske slike, a sve to na slikovit način svedoči kako danas izgleda „multietničko i demokratsko” Kosovo, za koje zapadni zvaničnici tvrde da je postiglo uspeh i standarde u vladavini prava. Ubistva Srba i drugi zločini, prema njima, događaju se uvek i po pravilu onda kada je vidljiv iole ozbiljniji uspeh na povratku ili stvaranju uslova za njihov normalan živor. Počinioci, takođe po pravilu, nikada ne bivaju otkriveni. Nisu li to onda očigledni i više nego dovoljni pokazatelji da je reč, ne o zločinu neodgovornih ekstremnih albanskih pojedinaca, već o smišljenoj strategiji upravo onih koji danas vladaju Kosovom!? I, zašto Zapad uporno, na sve te zločine, zatvara oči?

Autor Vukomir Petrić



Kraljevo : Sahranjeni supružnici Jevtić sa Kosmeta

Pon, 09/07/2012

Na Novom groblju u Kraljevu danas su u prisustvu rodbine i prijatelja sahranjeni supružnici Milovan i Ljiljana Jevtić, koji su u petak ubijeni u svojoj kući u selu Talinovac kod Uroševca na Kosovu i Metohiji. Sahrani je prisustvovalo oko 500 građana, među kojima i dvadesetak komšija iz Talinovca koji su organizovano došli kako bi poslednji put odali poštu Jevtićima. Kosovska policija i Euleks, koji vode istragu o ubistvu bračnog para srpskih povratnika, do sada nisu saopštili nikakve detalje o motivu svirepog zločina niti su uspeli da identifikuju i uhapse počinioce.


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B92 - 8 juillet 2012

Kosovo : le meurtre d’un couple de Serbes remet en cause le fragile processus des retours


Traduit par Philippe Bertinchamps

Un couple de Serbes revenus vivre au Kosovo depuis 2004 a été assassiné vendredi soir dans un village proche d’Uroševac/Ferizaj. Ce double meurtre a été vivement condamné par Belgrade, tandis qu’il replonge les Serbes du Kosovo dans les pires heures d’angoisse. Les autres familles serbes de ce village ont décidé de ne pas quitter le Kosovo, mais demandent la protection de la Kfor.

Milovan Jevtić et sa femme Ljiljana ont été tués vendredi soir vers 22 heures dans le village de Talinovac, près d’Uroševac/Ferizaj. Les époux étaient âgés d’environ 55 ans, et Milovan était représentant au Conseil du village, a déclaré le ministre serbe pour le Kosovo.

Selon le porte-parole de la police régionale du Kosovo, Agim Gashi, le couple a été tué avec une arme de calibre 7.62. 
La police est à la recherche des auteurs de ce crime. Personne n’a encore été arrêté.

Le coordinateur de la municipalité serbe d’Uroševac, Milan Janjić, a déclaré que le mobile de ce meurtre était inconnu. L’adjoint du ministre serbe pour le Kosovo, Saša Rašić, a indiqué samedi à Tanjug que la police du Kosovo avait ouvert une enquête et que les unités spéciales travaillaient sur cette affaire. Il a ajouté que les circonstances de ce meurtre étaient encore floues.

Selon Milan 

Janjić, Ljiljana était arrivée quelques jours auparavant à Talinovac, où vivent déjà huit familles de Serbes revenus au Kosovo. Milan 

Janjić a indiqué que Milovan et Ljiljana Jevtić étaient revenus au Kosovo en 2004. Ils laissent deux enfants qui vivent en Serbie centrale.

Les villageois n’ont rien entendu, car la maison est située en retrait du village. 
C’est un voisin albanais, qui assure une garde du village, qui a découvert les cadavres. « EULEX et la police du Kosovo ont placé des scellés sur la maison », a déclaré Milan Janjić à KiM Radio. 
Branislav Milenković, du Conseil représentatif du village, a expliqué qu’il a vu les Jevtić la dernière fois ce vendredi.

Il a demandé à la police d’évacuer cinq ou six familles du village en direction de l’enclave serbe de Štrpce, mais un policier a déclaré que les villageois ne devaient pas s’inquièter pour leur sécurité, car le KPS était déployé dans le village. Les huit familles serbes de Talinovac ont finalement pris la décision collective de rester au Kosovo, mais elles demandent que leur sécurité soit également assurée par la Kfor.

Le Secrétaire d’État pour le Kosovo et Metohija Oliver Ivanović a déclaré que ce meurtre révélait que « personne à Pristina ne s’occupait de la sécurité des Serbes », tandis que Rada Trajković, députée au Parlement du Kosovo, expliquait qu’après ce meurtre, les Serbes du Kosovo se sentent une fois de plus « abandonnés ».





Slovenia: NO to NATO, NO to austerity measures

1) New austerity package in Slovenia
2) Slovenia's leading newspaper calls for country to leave NATO


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New austerity package in Slovenia

By Markus Salzmann 
6 July 2012

With Slovenian banks heavily in debt, the right-wing government of Prime Minister Janez Jansa is acceding to the demands of the European Union and international financial institutions for tougher austerity measures.

The banking sector of Slovenia (formerly a part of the Yugoslav Republic) notched up its third successive year of losses in 2012. The country’s three biggest banks are now calling for injections of capital by the state.

State-owned Nova Ljubljanska Banka (NLB) must raise 320 million euros to meet the requirements of the European Banking Authority. Last April credit rating agency Moody’s downgraded the NLB’s rating, along with those of several other Slovenian banks.

The proportion of bad loans rose in March this year to nearly twelve percent of all loans, or over six billion euros. The debt crisis has led to a freeze on bank lending, principally affecting the construction, insurance, and financial services industries.

The media has already identified Slovenia as the EU’s next “problem child.” A decline in economic output of 1.5 percent is forecast for this year. Last year the economy shrank by 0.2 percent. At 5.5 percent, the interest rate for Slovenian government bonds is one percent higher than a year ago. In December 2009, the EU initiated a so-called deficit procedure against Slovenia over its “excessive budget deficit.”

To comply with EU requirements, the Slovenian parliament adopted an austerity package in May for 2012 and 2013. Public expenditure is be cut back by 800 million euros this year and 750 million euros in 2013. Last year, the budget deficit was 6.4 percent of GDP. The cuts aim to reduce it to 4 percent of GDP this year and under 3 percent by 2013.

The new austerity package, which is particularly directed at the public sector, was preceded by a vote in the Slovenian parliament to reduce corporate tax rates. The tax rate was cut from 20 to 18 percent and will fall a further one percent each year until it reaches a rate of 15 percent by 2015. This will make it among the lowest rates in Europe.

The right-wing parties took over government earlier this year with the declared aim of imposing the austerity measures, which the previous social-democratic government had failed to implement due to internal divisions.

The Positive Slovenia party won the most votes in the federal election in December 2011. The mayor of the capital, Zoran Jankovic, had founded the party two months earlier to run in the election. Jankovic failed to secure a majority in parliament, however.

The conservative Slovenian Democratic Party (SDS) then formed a coalition with the People’s Party (SLS), the New Slovenia Party (NSI), the Civil List and the pensioner’s party Desus. Jansa was prime minister from 2004 to 2008 and led Slovenia into the EU.

Under Jansa, Slovenia was one of the first EU countries to ratify the new European fiscal pact this spring. A leading role in the drafting of the new austerity package was played by Finance Minister, Janez Sustarsic, a proponent of a radical austerity. He now plans to introduce a “debt brake” balanced-budget amendment into the country’s constitution.

The Government also announced further privatizations and a new social contract. According to government officials, the contract is to be the starting point for “systemically important” changes in labour legislation, pension and health care.

Half of the planned savings will be achieved through cuts in public spending. The measures include pay cuts of 15 percent for civil servants, who will also lose holiday pay. In addition, teachers will be required to work for about three hours longer per week, and class sizes are to be expanded. This is supposed to eliminate some 420 million euros in spending in two years

There are also plans for a series of severe cuts in social benefits. Unemployment benefits are to be reduced and their duration limited to 18 months. Child support and subsidies for food for students will also be cut, as well as funding for child care and kindergarten.

Prime Minister Janez Jansa defended the planned austerity measures, which he described as mild given Slovenia’s situation, and announced further cuts. “This is just the first step, it will not be enough,” the Premier added.

To limit opposition to the measures, the governing parties also agreed to make it harder to hold popular referendums. When they were out of government, the SDS used such referendums to block social-democratic plans for pension and labour market reform.

An estimated 100,000 employees in the public sector struck against the austerity measures in April. Schools and kindergartens were closed and many hospitals reduced to emergency service. There were traffic jams at border crossings with Croatia as tax collectors and police officers joined the protests. Demonstrations against the government took place in cities across Slovenia.

Amid mounting public outrage, the trade unions have played a key role in suppressing strikes and protests. Close collaboration between government, business and the trade unions has characterized Slovenian political life since it broke away from Yugoslavia.

The unions played a key role in privatizating enterprises in the early 1990s and suppressed all opposition by workers to the sell-off of key sectors of the Slovenian economy. The trade union federation ZSSS saw itself as “active partners in the privatization process.”

Immediately after the April strikes, the unions declared their support for the government’s course. Many unions openly supported the current government’s policies and have refrained from initiating any referendums against its planned labour market reforms.

The daily newspaper Dnevnik aptly remarked: “Jansa’s Shock Doctrine, like his principle of taking from the poor to give to the rich, is made possible mainly due to the passive and submissive nature of the media and the behaviour of the unions and leftist opposition parties.”



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http://news.xinhuanet.com/english/world/2012-07/07/c_131701017.htm

Xinhua News Agency - July 7, 2012

Slovenia's leading newspaper calls for country to leave NATO


LJUBLJANA: Slovenia's leading newspaper Delo on Saturday criticized NATO's failure in Afghanistan and suggested that the government consider leaving "this anachronistic organization."

Slovenia would be wise to leave NATO because its money is being spent on the alliance's "failed project" in Afghanistan while domestic spending cuts are affecting pensioners, young families, culture and education, Delo said in a commentary.

The fact is that joining the alliance was the biggest and most expensive mistake of Slovenian foreign policy, Delo wrote. The newspaper said that NATO is no longer an alliance for the protection of its members and instead has become an organization that intervenes around the world.

"The current crisis is an excellent opportunity to leave this anachronistic organization, which is lost in time and space," the Delo article said.

The call for leaving NATO was made after the Slovenian government pledged to provide 500,000 U.S. dollars to Afghan security forces after NATO ends its combat operations there in 2014.

Based on the principle "in together, out together," Slovenian troops would stay in Afghanistan until the completion of the mission of the NATO-led International Security Assistance Forces, Prime Minister Janez Jansa said Thursday.

After 11 years of war in Afghanistan since October 2001, the U.S.-led forces recently announced plans to hand over security responsibilities to Afghan forces in 2013, and to withdraw the ISAF by the end of 2014.




In memoria di Vittorio Tranquilli

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus si unisce al cordoglio per la scomparsa del prezioso e indimenticabile compagno Vittorio Tranquilli.
Formatosi politicamente alla scuola dei "comunisti cristiani" di Franco Rodano, Vittorio aveva mantenuto fin dopo la fine degli anni Ottanta e dopo lo scioglimento del PCI quella esigenza di impegno sociale e quella impostazione rigorosa che a ogni cosa anteponeva la dignità dell'individuo. Coerentemente con questo imperativo morale, allo scoppio della guerra fratricida in Jugoslavia egli aveva immediatamente riconosciuto l'enorme ingiustizia perpetrata ai danni di milioni di esseri umani dall'altra parte dell'Adriatico ed aveva avuto l'onestà ed il coraggio, mancati a tanti suoi ex-compagni, di andare a guardare anche dall'altra parte della barricata, dai "nemici" serbi, promuovendo da subito iniziative di solidarietà, di conoscenza e di amicizia internazionalista con scuole della Vojvodina (Bačka Topola) e della Repubblica Serba di Bosnia. 
Era ancora la metà degli anni Novanta quando Vittorio ed altri compagni della capitale avviavano anche le prime iniziative di contro-informazione, per contrastare la propaganda di guerra ed abbattere l'ostracismo razzista imperante nei confronti della parte jugoslava e serba; subito dopo gli accordi di Dayton, Vittorio contribuiva ad organizzare e poi presiedeva una due-giorni di discussione su questi temi all'Università di Roma "La Sapienza" (1).
Con il passare degli anni le iniziative di solidarietà aumentavano, ed aumentava in particolare il numero di quelle che lui anziché "adozioni a distanza" preferiva chiamare "borse di studio" attivate dall'Italia a sostegno dei giovanissimi vittime della ferocia dei potenti. Aumentava però purtroppo anche l'estensione di quella guerra scatenata per la distruzione della Jugoslavia, fino ai bombardamenti incostituzionali e criminali del 1999.
In quel periodo alcuni di noi hanno fatto scelte di priorità diverse rispetto a Vittorio, concentrandosi di più sugli aspetti politici e sulla critica alla disinformazione strategica, laddove Vittorio intensificava instancabilmente, nonostante l'età oramai avanzata, le iniziative di solidarietà umanitaria, allargandone anche lo spettro dei beneficiari. Altri, tra di noi, hanno invece incontrato Vittorio e la sua onlus "A, B, C, solidarietà e pace" (2) proprio allora, dopo il '99, e con Vittorio e la sua associazione hanno intrapreso una collaborazione efficace, ad esempio a sostegno delle famiglie degli operai ed ex operai della Zastava di Kragujevac, la grande fabbrica metalmeccanica dapprima bombardata e poi espropriata dalla FIAT. 
Tutti noi - sia chi negli anni ha perso di vista il "vecchio" Vittorio, sia chi invece lo ha sempre di più affiancato nelle iniziative di solidarietà - siamo certi che gli amici di "A, B, C, solidarietà e pace" e tutti quelli lo hanno conosciuto ne continueranno l'opera con lo stesso entusiasmo e lo stesso spirito di fratellanza fra i popoli che egli ci ha insegnato.

Per CNJ-onlus, il segretario
Andrea Martocchia



Inizio messaggio inoltrato:

Da: -- JEDINSTVENA SINDIKALNA ORGANIZACIJA ZASTAVA KRAGUJEVAC<jsozastava @ open . telekom . rs> 
Data: 07 luglio 2012 11.19.49 GMT+02.00

07 07 2012

È MORTO “SUPERDEKA” (SUPERNONNO)

Ci ha profondamento colpita notizia triste sulla scomparsa di nostro supernonno come lo chiamavano i bambini e ragazzi della grande famiglia della Zastava.
L’abbiamo conosciuto nel ’99 mentre le bombe e missili colpivano il nostro paese quando e venuto tra i primi assieme alla sua delegazione per mostrarci che oltre le frontiere bloccate c’era una parte d’Italia che ci era vicina e che aveva rifiutato ad accettare le bugie servite nella guerra massmediatica, l’Italia che richiedeva il rispetto dell’Articolo 11 della Costituzione italiana.
Gia dal ’99 “il nostro” Vittorio Tranquilli era diventato nonno di tutti i ragazzi, non solo di Kragujevac ma anche di parecchie citta in Serbia, Bosnia, Repubblica Srpska e fino all’Africa.
E morta la Yugoslavia, e morta la Zastava, anche tu caro nonno sei andato al tuo ultimo viaggio ma noi ci ricorderemo per sempre di te...
Ti vogliamo bene

SINDACATO ZASTAVA
(Sindacato Unitario – Samostalni)
Kragujevac
e
tutti i bambini e ragazzi adottati dall’
Associazione ABC – solidarieta e pace




Guerra mediatica contro la Siria

1) La storia è il nemico e le "magnifiche" psy-ops diventano notizia (John Pilger)
2) I paesi della NATO conducono una guerra d’informazione con la Siria ed annullano fisicamente i giornalisti siriani (Thierry Meyssan)


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www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 26-06-12 - n. 415

Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
La storia è il nemico e le "magnifiche" psy-ops diventano notizia
 
di John Pilger
 
21/06/2012
  
Arrivando in un villaggio nel sud Vietnam, vidi due bambini che certificavano la guerra più lunga del 20° secolo. Le loro orribili malformazioni erano familiari. Lungo tutto il fiume Mekong, dove le foreste erano state pietrificate e rese silenziose, piccole mutazioni umane vivevano come meglio potevano.
 
Oggi, all'ospedale pediatrico Tu Du di Saigon, un'ex sala operatoria è conosciuta come la "sala di raccolta" e, ufficiosamente, come la "stanza degli orrori". Ha scaffali pieni di grandi ampolle contenenti feti grotteschi. Durante l'invasione del Vietnam, gli Stati Uniti irrorarono un erbicida defoliante sulla vegetazione e i villaggi per negare "copertura al nemico". Era l'Agente Orange, che conteneva diossina, un veleno tanto potente da causare morte fetale, aborto spontaneo, danni cromosomici e cancro.
 
Nel 1970, un rapporto del Senato statunitense rivelava che "gli Stati Uniti hanno scaricato [sul Vietnam del sud] una quantità di sostanze chimiche tossiche pari a tre chili pro capite, compresi donne e bambini". Il nome in codice per quest'arma di distruzione di massa, Operazione Hades (aldilà), fu cambiato nel più benevolo Operazione Ranch Hand (vaccaro). Oggi, si stima che 4,8 milioni di vittime dell'Agente Orange sono bambini.
 
Len Aldis, segretario della Società di amicizia Gran Bretagna-Vietnam, è da poco tornato dal Vietnam con una lettera per il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) da parte dell'Unione delle donne del Vietnam. La presidente, Nguyen Thi Thanh Hoa, descrive "le gravi malformazioni congenite [causate dall'Agente Orange] di generazione in generazione". Ha chiesto al CIO di riconsiderare la sua decisione di accettare la sponsorizzazione per le Olimpiadi di Londra della Dow Chemical Corporation, una delle società che ha prodotto il veleno e che si è rifiutata di risarcire le sue vittime.
 
Aldis ha consegnato a mano la lettera all'ufficio di Lord Coe, presidente del Comitato Organizzatore di Londra. Non ha avuto risposta. Quando Amnesty International ha sottolineato che nel 2001 la Dow Chemical ha acquisito "la società responsabile della fuga di gas a Bhopal [in India nel 1984] che ha ucciso all'istante tra le 7.000 e 10.000 persone e 15.000 nei successivi venti anni", David Cameron ha descritto la Dow Chemical come una "rispettabile società ". L'imperativo è sorridere allora, quando le telecamere faranno una panoramica sull'abito da parata da 7 milioni di sterline che rivestirà lo Stadio Olimpico, il prodotto di 10 anni di "accordo" tra il CIO e un rispettabile distruttore.
 
La storia è sepolta con i morti e i deformi del Vietnam e di Bhopal. La storia è il nuovo nemico. Il 28 maggio, il presidente Obama ha lanciato una campagna per falsificare la storia della guerra in Vietnam. Per Obama, non c'era Agente Orange, non c'erano le "free-fire zone" [aree in cui venivano eliminati tutti i civili, ndt] e i tiri al bersaglio, nessuna fossa di occultamento dei massacri, nessun razzismo dilagante, né suicidi (molti americani che si tolsero la vita diventano caduti nel conflitto), nessuna sconfitta per opera di un esercito partigiano nato da una società ridotta in miseria. E' stata, dice il signor Hopey Changey, "una delle storie più straordinarie di coraggio e integrità negli annali della storia militare [USA]".
 
Il giorno seguente, il New York Times ha pubblicato un lungo articolo che documenta come Obama scelga personalmente le vittime dei suoi attacchi con i droni in tutto il mondo. Lo fa durante il "martedì di terrore", visionando foto segnaletiche da una "kill list", alcune delle quali di adolescenti, tra cui "una ragazza che sembrava ancora più giovane dei suoi 17 anni". Molti sono sconosciuti o semplicemente in età militare. Guidati da "piloti" seduti davanti a schermi di computer a Las Vegas, i droni sparano missili Hellfire che risucchiano l'aria dai polmoni prima di fare la gente a pezzi. Lo scorso settembre, Obama ha ucciso un cittadino americano, Anwar al-Awlaki, unicamente sulla base di una voce che lo descriveva incitante al terrorismo. "Questo non è facile", ha detto nel firmare la condanna a morte dell'uomo, come riportano i suoi collaboratori. Il 6 giugno, un drone ha ucciso 18 persone in un villaggio in Afghanistan, tra cui donne, bambini e anziani, che stavano festeggiando un matrimonio.
 
L'articolo del New York Times non era una soffiata alla wikileaks o una denuncia. Era un pezzo di pubbliche relazioni progettato dall'amministrazione Obama per mostrare che tipo duro può essere il "comandante in capo" in un anno elettorale. Se rieletto, il marchio "Obama" continuerà a servire i ricchi, perseguendo chi racconta la verità, minacciano paesi, diffondendo virus informatici e uccidendo diverse persone ogni martedì.
 
Le minacce contro la Siria, coordinate a Washington e Londra, scalano nuove vette di ipocrisia. Contrariamente alla grezza propaganda di prima presentata come notizia, il giornalismo d'inchiesta del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung identifica i responsabili della strage di Houla, come i "ribelli" appoggiati da Obama e Cameron. Le fonti del giornale includono i ribelli stessi. Questo non è stato completamente ignorato in Gran Bretagna. Scrivendo nel suo blog personale, mai così in silenzio, Jon Williams, redattore di BBC world, svela in modo efficace la sua "copertura", citando funzionari occidentali che descrivono la "psy-ops" (operazione psicologica) contro la Siria come "magnifica". Magnifica come la distruzione della Libia, dell'Iraq e dell'Afghanistan.
 
Magnifica come le psy-ops, è la recente promozione al Guardian di Alastair Campbell, il principale collaboratore di Tony Blair durante l'invasione criminale dell'Iraq. Nei suoi "diari", Campbell cerca di schizzare sangue iracheno sul demone Murdoch. C'è talmente tanto sangue da inzuppare tutti, ma il riconoscimento che questo media rispettabile, liberale e adulatore di Blair è stato un accessorio fondamentale per un crimine epocale viene omesso e rimane una singolare prova di onestà intellettuale e morale in Gran Bretagna.
 
Per quanto tempo ancora dobbiamo essere sottoposti ad un tale "governo invisibile"? Il termine di insidiosa propaganda, usato la prima volta da Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud e inventore delle moderne pubbliche relazioni, non è mai stato più appropriato. La "falsa realtà" richiede un'amnesia storica, basata sull'omissione e il mutamento dal significato all'insignificante. In questo modo, i sistemi politici che promettono sicurezza e giustizia sociale sono stati sostituiti da pirateria, "austerità" e "guerra perpetua": un estremismo dedicato al rovesciamento della democrazia. Applicato ad un individuo, questo lo farebbe identificare come uno psicopatico. Perché noi lo accettiamo?


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La NATO abbatte la libertà di parola


Aleksandr Artamonov, Natalja Kovalenko
4.07.2012

I paesi della NATO conducono una guerra d'informazione con la Siria ed annullano fisicamente i giornalisti siriani.

È sicuro di questo il giornalista francese e direttore del portale d'informazione online «Voltaire», Thierry Meyssan, che ha rilasciato un'intervista a «La Voce della Russia».

«Stati Uniti e NATO dirigono sistematicamente la distruzione di mass media scomodi. Proprio loro, avidi difensori della libertà di parola. Questo è già avvenuto in Jugoslavia, Afghanistan, Iraq e Libia».

Negli ultimi mesi, la CIA ha creato dei canali televisivi per camuffare il segnale di canali nazionali siriani. Sono state create negli studi grafici fotografie fittizie destinate a demoralizzare completamente la popolazione del paese, ha riferito il giornalista.

“La frode è stata scoperta e le informazioni sono passate su centinaia di siti e mezzi di comunicazione di massa. In definitiva, la compagnia addetta alle connessioni satellitari MilSat si è rifiutata di spegnere i canali siriani dal satellite, mentre la Lega dei paesi arabi è stata obbligata a rinunciare alle proprie attività contemporaneamente all'operatore ARABSAT”.

Allo stesso tempo, il Capo del Ministero degli Affari Esteri, Sergej Lavrov, ha inserito nell'agenda dei lavori del gruppo per i legami con la Siria la questione del rigetto di una guerra d'informazioni da parte dei protagonisti della scontro.

«La NATO ha deciso di vendicarsi — afferma Thierry Meyssan — sono state inviate forze speciali contro la stazione televisiva siriana situata a qualche chilometro da Damasco. Là c'erano in tutto quattro guardie. Illuminati da dispositivi ad infrarossi, gli agenti sono entrati nell'edificio, hanno ucciso i guardiani e fatto fuori sul posto tre conduttori. Dopodiché l'edificio è stato fatto saltare in aria. Ecco come da vent'anni la NATO e gli Stati Uniti mantengono la loro tattica. Le stesse persone si ergono a difensori della libertà di parola. Il mondo è stato messo sotto sopra! I giornalisti non riescono più a lavorare! Se un Paese non rispetta adeguate misure di autodifesa, allora ognuno di noi è in pericolo».

71 giornalisti sono morti nel mondo nei primi sei mesi di quest'anno. Si parla di questo nella relazione della ONG «Press emblem campaign», con base a Ginevra. Questo valore è di un terzo più grande rispetto agli indicatori degli anni scorsi. Il primo posto nella triste lista è occupato dalla Siria. Dall'inizio dell'anno sono stati uccisi venti giornalisti.




(Lo scorso 29 giugno cadeva l'ottavo anniversario della morte di Stipe Šuvar, comunista jugoslavo, già Ministro dell'Istruzione nella Croazia socialista, poi fondatore della rivista Hrvatska ljevica e del Partito Socialista dei Lavoratori di Croazia)



Data: 29 giugno 2012 14.47.12 GMT+02.00
Oggetto: Stipe Šuvar
Autore: SRP

Na danasnji dan 2004 godine umro je doktor profesor Stipe Šuvar, prvi predsjednik Socijalističke radničke partije.


Njegovim odlaskom, na ljevici ovih prostora ali i europi nastala je velika praznina.

Bio je dubok i eksplicitan, socijalizam ili barbarstvo , bez kontraverze koje mu podmeću protivnici.

Članovi Socijalističke radničke partije, nose ga u trajnom sjećanju i ponosni su što su s njim i u najtežim vremenima ostali u kontinuitetu ostvarivanja ideje socijalizma.

Zagreb Predsjedništvo



Stipe Šuvar

Datum i vrijeme: 1.7.2012. u 20:21h
By: Dragan Markovina

Bila je negdje kasna 1997. godina kad sam kao buntovni srednjoškolac pročitao intervju Stipe Šuvara u Feralu u kojem najavljuje osnivanje Socijalističke radničke partije, a nekoliko dana potom i razgovor s jednim od vodećih sdp-ovaca u Slobodnoj Dalmaciji, pod naslovom „Ne bojim se Šuvarovog Srp-a“. Sve mi je to nekako ostalo u magli sjećanja, ali dobro pamtim kako sam govorio sam sebi: Konačno. Proteklih sedam godina rušio se jedan svijet višenacionalne državne zajednice kojoj sam pripadao. Bio je to svijet koji me odgojio, svijet čije sam naravno brojne negativnosti kasnije i spoznao, no to je bio svijet kojeg je bijesna rulja tako bezočno pljuvala iz dana u dan, bez ikakvih posebnih argumenata, sem puke mržnje prema imenu i ideji Jugoslavije i socijalizma. S posebnim gađenjem promatrali su djecu miješanih brakova i onih koji su se još uvijek deklarirali kao ljevičari, što sam bio i sam, tako da mi se cijelo vrijeme činilo da neće proći još dugo dok nas ne počnu kao u Južnoafričkoj Republici stavaljati na posebnu stranu autobusa i na posebne klupe po gradskim parkovima.

Taj posljednji korak je i simbolički poduzet uvođenjem vjeronauka u škole, kad je kao navodna alternativa ponuđena etika, tada još bez ikakvog napisanog programa ili udžbenika, sa jasnom nakanom da ti režim pokaže da ti je mjesto među otpadnicima i kužnima. Ja sam, naime u prvom razredu gimnazije iskusio čari prve generacije kojoj su uveli crkvu u javne škole i moram priznat da sam, ne bez ponosa, spadao u onih 8 (osam) ljudi iz dva spojena razreda, koji su odbili biti dio stada, dok je ostalih šezdeset i nešto ljudi bilo na drugoj strani. Svih tih godina sdp, koji je trebao biti taj koji će nešto odgovoriti, uporno je šutio, na prvu crtu gurnuo Zdravka Tomca, isključio sve intelektualce iz partije i reklamirao se pod sloganom Sdp - važna kockica u mozaiku hrvatske demokracije. Kakav dosljedan luzerski i domobranski pristup partije izrasle na revolucionarnoj tradiciji.

Da to nije bio samo taktički ustupak postalo je definitivno jasno svih kasnijih godina, pa i danas, kada je sdp postao vodeća stranka u zemlji, dok su ideje ljevice i jasna osuda fašizma devedesetih poispadali negdje po putu, Račanovom direktivom. Ništa ta partija nije rekla o progonima građana srpske nacionalnosti u gradovima, o sveopćoj pljački, niti o devastaciji antifašističkih spomenika. Sve su to prekrili ruzmarin, snjegovi i šaš. U tom sveopćem ništavilu, javno pastoralne, a iznutra najmračnije Hrvatske, jedinu svijetlu točku predstavljao je Feral Tribune, zahvaljujući kojem smo svi skupa vidili da nismo sami i da taj naš jedinstveni kulturni prostor i dalje postoji. Sve da su u njemu pisali i najnetalentiraniji autori na svijetu, a znamo da nisu, zavrijedio je postati nezaobilazna kulturna činjenica. I tada se, odjednom ukazao Stipe Šuvar. Čovjek koji se nije libio stati iza svog stava, niti ga je mijenjao.

Onaj isti kome su skandirali na stadionima, da bi kasnije gazili autima i premlaćivali u restoranima. Naravno da sam odmah otišao u srp, čim sam došao na studij u Zagreb te sam se svih tih pet godina, nekad više, nekad manje, redovito viđao sa Stipom Šuvarom, slušao njegove ekspozee i uživao u tom nadrealnom svijetu koji se sastajao u prostranom stanu u Palmotićevoj ulici. Svega je tu bilo: starih partizana, razočaranih idealista, obespravljenih Srba, Stipinih zemljaka Imoćana, vrhunskih intelektualaca, poput Matvejevića i sjajnih novinara. Svi su oni iz raznih razloga dolazili u tih par zadimljenih prostorija koje su vonjale na lošu rakiju, dim jeftinih cigareta i tursku kavu, a Stipe je uvijek isti, pun posla, sitnim rukopisom ispisivao stranice i stranice tekstova i uključivao se u razgovore kad bi mu se tema svidila pa bi s nogu održao takvo predavanje, koje bi te bacilo s nogu.

Nije sada mjesto da pišem o stranačkom raskolu i tome koliko ga je to pogodilo, njegovoj iznenadnoj smrti koja je došla tijekom tih previranja i općenito svim ljudskim niskim strastima i dnevnoj politici. Zadnji put sam nazvao taj telefon u Palmotićevoj dva dana prije njegove smrti, a s druge strane čuo sam rastrojenog i izdanog čovjeka, intelektualca kojeg je vrijeme natjeralo da se bavi birokratskim zavrzlamama i u naponu snage gleda kako gaze po nečemu u što je toliko vjerovao, nešto što je omogućilo njemu, težačkom djetetu iz Zagvozda da doktorira sociologiju, postane ministar kulture i član Predsjedništva SFRJ. Zauvijek će ostati upamćen njegov gordi i cinični odgovor Vladimiru Šeksu, koji ga je na primopredaji dužnosti pokušao isprovocirati, a meni će biti žao što je tako rano otišao i što onaj zadnji razgovor nije mogao trajati vječno. Hrvatskoj je ostavio novu zgradu Nacionalne i sveučilišne knjižnice u Zagrebu, Mediteranske igre u Splitu, Muzej hrvatskih arheoloških spomenika u Splitu, Muzej Mimara u Zagrebu i rukopis memoara za koje je stalno govorio da će ih nazvati „Za sve su mi krivi Hrvati i Srbi“. Da, ostavio je i poštenje i čist obraz, ako nekome to još nešto znači.

Na današnji dan, 29. 06. 2004. godine umro je Stipe Šuvar, možda i posljednji čovjek koji je vjerovao i kojem sam vjerovao.




La Libia che ha voluto Giorgio Napolitano

1) Patto segreto tra Italia e Libia contro i migranti. La denuncia di A.I.
2) La Libia che ha voluto Giorgio Napolitano
3) La Nato: un aiuto per le locuste in Sahel
4) La Libia tribale come un videogioco di stragi: centinaia di vittime alla settimana


LINK: Fotografie della pulizia etnica dei neri nella nuova Libia razzista

mediapart.fr 27/06/2012: "En Libye, les geôles pour migrants de l'après Kadhafi"

... Le « nettoyage du pays des illégaux » est considéré comme un diktat révolutionnaire, en rupture avec l'image que vantait Kadhafi de l'amitié avec les Africains...

http://www.mediapart.fr/content/en-libye-les-geoles-pour-migrants-de-lapres-kadhafi


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LINKS:

La Stampa: Accordo Italia-Libia - documento

L'unità: Accordo Libia- Italia sui respingimenti: Scoppia la polemica

Stranierinitalia.it 19/06/2012: "Italia-Libia. Il testo del nuovo accordo sull’immigrazione"
http://www.stranieriinitalia.it/attualita-italia-libia._il_testo_del_nuovo_accordo_sull_immigrazione_15386.html

Stranierinitalia.it 19/06/2012: "Accordo Italia-Libia. Amnesty: "Diritti umani a rischio"
http://www.stranieriinitalia.it/attualita-accordo_italia-libia._amnesty_diritti_umani_a_rischio_15395.html

Asca.it 19/06/2012: "Immigrati: Terzi, patto Italia-Libia rispetta convenzioni Onu"
http://www.asca.it/news-Immigrati__Terzi__patto_Italia_Libia_rispetta_convenzioni_Onu-1167208-ATT.html

CRONACHE DI ORDINARIO RAZZISMO.IT : Italia-Libia: la politica non cambia rotta
http://www.cronachediordinariorazzismo.org/2012/06/italia-libia-la-politica-non-cambia-rotta

Corriere immigrazione 21/06/2012: "Nuove e vecchie intese tra Italia e Libia. Mentre continua l'embargo stampa"
http://corriereimmigrazione.blogspot.it/2012/06/nuove-e-vecchie-intese-tra-italia-e.html

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arcireport
anno X - n. 22
19 giugno 2012

Secondo Amnesty l’accordo Italia-Libia sull’immigrazione mette a rischio i diritti umani

Un nuovo accordo per fermare i migranti in partenza per l'Italia sarebbe stato firmato lo scorso aprile tra il nostro governo e la Libia. La denuncia è di Amnesty International, secondo la quale l'intesa dà alle autorità italiane il diritto di respingere i migranti in Libia senza alcuna forma di protezione umanitaria. Una palese violazione della Convenzione europea sui diritti umani, un accordo che non tiene conto della situazione di persone in fuga da un Paese appena uscito da 40 anni di regime e da una guerra sanguinosa e che quindi potrebbero configurarsi come profughi e richiedenti asilo. «L'Italia – secondo Amnesty - nella migliore delle ipotesi ha ignorato la terribile situazione dei migranti. Nella peggiore si è mostrata disponibile a passare sopra gli abusi dei diritti umani in nome del proprio tornaconto politico interno ». A sottoscriverlo con il Cnt sarebbe stato il Ministro Cancellieri durante una visita a Tripoli. Ma i contenuti non sono ancora stati resi noti, nonostante le ripetute sollecitazioni. Secondo lo scarno comunicato stampa emesso allora «l'accordo prevede collaborazione contro le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico dei migranti, nella formazione delle forze di polizia, per il controllo delle coste e il rafforzamento della sorveglianza delle frontiere libiche, per favorire il rientro volontario dei migranti nei paesi di origine».
«Attualmente – continua Amnesty - non è dato di sapere se, come sostiene il Cnt, siano ancora in vigore gli accordi del 2008 sottoscritti da Berlusconi con Gheddafi che prevedevano respingimenti in mare, peraltro condannati dalla Corte Europea di Strasburgo, oppure se un nuovo corso sia stato dato dal Governo in carica».
In una situazione ancora caotica, ogni collaborazione in materia di controllo dell'immigrazione sarebbe impossibile. «Nel Paese - dice l’organizzazione - mancano le minime garanzie nei confronti dei diritti e delle libertà fondamentali e la situazione dei migranti in partenza è peggiore che ai tempi del regime perché i centri di detenzione sono nelle mani delle milizie». La denuncia si estende anche ad altri Paesi dell'Unione accusati di anteporre la lotta all'immigrazione clandestina alla tutela della vita umana.

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Il patto segreto tra Italia e Libia per fermare i migranti


Scritto da Redazione il 15 June 2012 in AsiloNotizie e appuntamenti

di Monica Ricci Sargentini

Un nuovo accordo tra l’Italia e la Libia sull’immigrazione è stato firmato in gran segreto il 3 aprile scorso dalla ministra dell’Interno Annamaria Cancellieri e il leader del Consiglio nazionale  di transizione Mustafa Abdul Jalil che è al potere nel Paese nordafricano dopo la caduta del colonnello Muhammar Gheddafi. Lo denuncia Amnesty International in un rapporto pubblicato oggi a Bruxelles dal titolo “Sos Europe” sull’impatto dei controlli in materia di immigrazione sui diritti umani. ”Nonostante le rimostranze di Amnesty International e altri gruppi sulle violazioni dei diritti umani – è scritto nel documento -il 3 aprile del 2012 l’Italia ha firmato un nuovo accordo con la Libia per limitare il flusso dei migranti. I termini dell’accordo non sono stati resi noti. Un comunicato stampa si limitava a dare la notizia senza fornire ulteriori dettagli sulle misure decise o denunciare la terribile situazione di migranti e rifugiati nel Paese” (nella foto sopra un somalo in un campo profughi).

Già all’indomani della visita effettuata a Tripoli da Cancellieri, Amnesty International Italia aveva scritto al ministro dell’Interno  rinnovando le preoccupazioni per lo sviluppo degli accordi tra Italia e Libia, in considerazione della negativa situazione dei diritti umani nel paese nordafricano, con particolare riferimento ai maltrattamenti di migranti subsahariani, ritenuti collettivamente, assieme ai libici di pelle nera, lealisti pro-Gheddafi o sanzionati da uno status d’immigrazione irregolare. Nella lettera, Carlotta Sami, direttrice di Amnesty International Italia, chiedeva alla ministra di rendere pubblico il testo dell’accordo ricordandole le assicurazioni ricevute nel corso di un incontro il 15 marzo scorso circa la trasparenza delle negoziazioni.

Secondo Amnesty l’intesa dà alle autorità italiane il diritto di respingere i migranti e rispedirli in Libia. Ma questi termini rappresentano una violazione della Convenzione europea sui diritti umani perché non contengono le tutele adeguate per chi fugge dalla sua patria: “L’Italia – si legge nel rapporto -, nella migliore delle ipotesi, ha ignorato la terribile situazione dei migranti. O, nella peggiore delle ipotesi, si è mostrata disponibile a passare sopra agli abusi dei diritti umani in nome del proprio tornaconto politico interno”. Nel 2011, si legge nell’ultimo rapporto sui diritti umani di AI,  almeno 1500 persone sono affogate tentando di raggiungere l’Europa e quelli che sono riusciti a traversare il mare non hanno di certo trovato una calda accoglienza.

E’ noto che i rifugiati dall’Eritrea o dalla Somalia rischiano di subire abusi e persino torture una volta rientrati a Tripoli. Molti di loro vengono accusati di aver lavorato comemercenari per le truppe pro-Gheddafi.  Lo scorso febbraio la Corte Europea dei diritti umani aveva condannato l’Italia per i respingimenti in mare. La sentenza riguardava il caso  Hirsi Jamaa e altri, ossia il ritorno forzato in Libia nel 2009 di 11 somali e 13 eritrei (insieme ad altre 200 persone) a bordo di navi italiane. I migranti non avevano avuto alcuna possibilità di presentare richiesta di protezione. L’Italia aveva sostenuto che l’operazione era un salvataggio e che gli accordi bilaterali con il Paese avevano dei precedenti nel diritto internazionale. Ma per la Corte chiunque salga a bordo di una nave italiana deve essere soggetto alla Convenzione dei diritti umani. Al tempo il governo Monti aveva accettato la sentenza e si era impegnato al “rispetto assoluto dei diritti umani e alla salvaguardia della vita degli uomini in mare”.

Secondo Amnesty International al momento è impossibile “una qualsiasi collaborazione con la Libia in materia di controllo dell’immigrazione, giacché nel paese mancano anche le minime garanzie nei confronti dei diritti e delle libertà fondamentali”.

L’Ong ha già chiesto più volte al governo italiano che:

  • qualsiasi forma di cooperazione con la Libia abbia come presupposto un miglioramento dei diritti umani nel paese, sia trasparente e subordinata all’impegno e alla capacità delle due parti di rispettare appieno i diritti umani di richiedenti asilo, rifugiati e migranti, e risulti in linea con il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto internazionale dei rifugiati;
  • il governo utilizzi i propri rapporti diplomatici privilegiati con la Libia per chiedere alle autorità di Tripoli di stabilire al più presto la base legale della presenza dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati in Libia, attraverso un memorandum d’intesa che consenta lo svolgimento di attività di protezione quali registrazione, determinazione dello status di rifugiato e visita ai luoghi di detenzione; fermare le uccisioni illegali e altri attacchi violenti; porre fine agli arresti e alle detenzioni arbitrarie; prevenire la tortura e altri trattamenti disumani e degradanti; ripristinare lo stato di diritto, anche combattendo il razzismo e la xenofobia e attuando un processo di disarmo e di smantellamento degli organismi responsabili delle violazioni dei diritti umani.

Ora si attende la risposta del premier Monti e della ministra Cancellieri.

Fonte: lepersoneeladignita.corriere.it

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"Per i suoi interessi interni, l’Italia ha condonato gli abusi su migranti, rifugiati e richiedenti asilo". Il rapporto S.O.S. Europe sull’esternalizzazione del controllo dell’immigrazione
 

Roma – 13 giugno 2012 - “Quando l’Italia ha stretto accordi con la Libia, il governo sapeva o avrebbe dovuto sapere che in Libia migranti irregolari, rifugiati e richiedenti asilo erano soggetti a detenzioni arbitrarie e prolungate, pestaggi e altre violazioni dei diritti umani”. Anche l ’accordo dell’aprile del 2012 con le nuove autorità del Paese è stato siglato nonostante sia di dominio pubblico che “le violazioni continuano e sono ampiamente diffuse e che in Libia non ci sono ancora norme per la determinazione dello status di rifugiato”.

È l’ atto di accusa lanciato da Amnesty International nel rapporto "SOS Europe", pubblicato oggi e dedicato all'impatto sui diritti umani dell’”esternalizzazione” del controllo dell’ immigrazione, l’affidare cioè ai Paesi di partenza o di transito il compito di fermare i flussi, con accordi che troppo spesso rimangono segreti. L’organizzazione umanitaria  chiede ai governi e alle istituzioni dell’ Ue di non mettere più a rischio la vita di chi cerca di varcare le frontiere europee.

“Per l'Ue, il rafforzamento delle frontiere europee è chiaramente prevalente sul salvataggio delle vite umane. Nel tentativo di stroncare la cosiddetta immigrazione irregolare, i paesi europei hanno rafforzato misure di controllo delle frontiere oltre i loro confini, senza riguardo per i costi umani. Queste misure, di cui l'opinione pubblica non è informata, pongono le persone in serio pericolo" ha dichiarato Nicolas Beger, direttore dell'Ufficio di Amnesty International presso le Istituzioni europee.

Nel 2011 – sottolinea l’organizzazione  - almeno 1500 uomini, donne e bambini sono annegati nel Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere l'Europa. Alcune di queste morti avrebbero potuto essere evitate. I soccorsi ritardati significano perdita di vite umane. In diverse occasioni, l'Italia ha respinto persone verso la Libia, paese in cui sono state poi arrestate e sottoposte a maltrattamenti. In un contesto nel quale trasparenza e controlli sono scarsi, le violazioni dei diritti umani lungo le coste e le frontiere europee finiscono spesso per rimanere impunite.

Nel rapporto  l’Italia ha un ruolo da protagonista, per le conseguenze che l’accordo con la Libia ha avuto sulla vita di migliaia di persone.

Anche se sono note quelle dei respingimenti ai tempi di Gheddafi, Amnesty fa notare che il segreto sui nuovi accordi siglati ad aprile non garantisce che verranno affrontate le attuali gravi violazione dei diritti umani.  “Nel migliore dei casi – si legge in Sos Europe – L’Italia ha ignorato la grave situazione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, nel peggiore ha mostrato di voler condonare gli abusi sui diritti umani pur di soddisfare i suoi interessi politici interni”.

Nelle conclusioni del rapporto si raccomanda quindi al governo italiano di sospendere gli accordi con la Libia e di non stringerne altri finchè il paese nordafricano non dimostrerà che rispetta e protegge i diritti umani di rifugiati, richiedenti asilo e migranti e che ha messo in piedi un sistema soddisfacente per valutare e accogliere le richieste di protezione internazionale.  Si chiede inoltre che vengano resi pubblici tutti gli accordi bilaterali stretti dal nostro Paese sul controllo dell’immigrazione.

A tutti i paesi europei e all’Ue, l’organizzazione raccomanda di assicurare che le loro politiche e pratiche di controllo dell’immigrazione non causino, contribuiscano o traggano benefici da violazione dei diritti umani. Gli accordi dovrebbero prevedere clausole di salvaguardia in questa direzione ed essere pubblici. Quando si intercettano migranti in mare, bisognerebbe puntare innanzitutto al loro salvataggio e garantire valutazioni persona per persona, compresa l’opportunità di chiedere asilo.


Scarica
Amnesty International. S.O.S. Europe. Human rights and migration control (in inglese)



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LA LIBIA CHE HA VOLUTO GIORGIO NAPOLITANO



Su La Stampa del 29 giugno, si legge:
“Nel caotico dopo-Gheddafi gli islamisti si preparano a prendere il potere in Libia”. “In tutto il paese si registrano scontri armati. Bengasi da culla della Rivoluzione è diventata regno della paura controllato soprattutto dagli integralisti, con agguati e sparatorie (...) Gli islamisti si sentono i padri e i martiri della Rivoluzione e non sanno cosa sia il rispetto delle regole, delle leggi, dello Stato. Qualsiasi contrasto i bengasini lo risolvono con l’uso della forza (...) Oggi nel paese regna il caos (...) La Libia è una polveriera, non c’è polizia e l’esercito nazionale, lasciando alle milizie il pieno controllo del territorio“.
Questa è la Rivoluzione che ha avuto gli auspici di Napolitano e del Pd, nel silenzio generale. Il 26 aprile 2011 Napolitano dichiarava: L’ulteriore impegno dell’Italia in Libia costituisce il naturale sviluppo della scelta compiuta dall’Italia a marzo, secondo la linea fissata nel Consiglio supremo di difesa da me presieduto e quindi confortata da un ampio consenso del parlamento. (http://www.repubblica.it/ultimora/24ore/NAPOLITANO-LIBIA-BOMBARDARE-NATURALE-SVILUPPO/news-dettaglio/3958676)


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La Nato: un aiuto per le locuste in Sahel

Marinella Correggia
27 giugno 2012
 
Gli eventi libici del 2011 hanno regalato una grande libertà di movimento alle locuste del deserto, che stanno scendendo a fare terra bruciata in paesi saheliani già attanagliati dalla penuria alimentare e dai conflitti. Dopo il cambio di regime e l’attuale caos, nessuno più in Libia si occupa di controllare questa piaga come avveniva prima. Ecco un altro dei danni collaterali che la guerra Nato in Libia ha procurato ai paesi dell’Africa occidentale, i quali hanno oltretutto visto rientrare in patria dalla Libia centinaia di migliaia di lavoratori.
Ma che cosa succede? Ce lo spiega il funzionario della Fao Keith Cressman, che si occupa proprio del monitoraggio e della prevenzione relativo alle locuste. Il cui luogo d’origine è localizzato nelle aree meridionali dell’Algeria e della Libia (dalle parti di Ghat); una volta adulte migrano grazie ai venti verso il nord del Niger (Arlit, Agadez, montagne Air, pianure Tamesna e altipiani Djada), ed eventualmente verso il nord del Mali (Kidal e Gao), verso il nord-ovest del Ciad (Borkou, Ennedi, Tibesti) e verso la Mauritania.  Possono anche spostarsi nella parte meridionale di quei paesi, viaggiando a una velocità di 100-200 chilometri al giorno...Solo i venti contrari arrestano queste legioni mortali impedendo loro di arrivare ancora più a sud.
La loro presenza era già segnalata in Libia e in Algeria dopo le inusuali piogge di ottobre e novembre 2011, che le avevano aiutate a crescere in fretta. Adesso sono arrivate nel nord del Niger e del Sahel, nelle zone dove si sono verificate piogge precoci e dove dunque c’è già vegetazione sufficiente ai loro bisogni e alla loro riproduzione. Sciami di giovani e voracissime locuste possono azzerare la stagione della semina che si apre in Sahel. Se le (pur auspicabili) piogge continuano e le locuste non sono fermate, potrebbero avere una seconda generazione nei prossimi mesi; in ogni generazione il loro numero si moltiplica per sedici. E procederebbero verso sud, verso aree ben più coltivate.
Nel nord del Niger sono già segnalati danni alle palme da datteri e a piccole aree coltivate. Le locuste sono pronte a deporre le uova, che dopo quindici  giorni si schiuderanno.
La Fao ha lanciato un appello ai donatori ottenendo flebili risposte per ora. I paesi colpiti hanno in realtà team esperti in grado di fermare le locuste. Però, oltre ai finanziamenti, debbono poter ottenere rapidamente le segnalazioni dalle popolazioni locali, e poi accedere alle aree. Il governo del Niger ha squadre attrezzate le quali, certo con pochi mezzi, possono andare sul posto (ma con scorta armata...) e intervenire distruggendo uova e adulti. Il problema è che occorre far presto. Ma in Mali non si potrà. Perché proprio in quell’area ci sono scontri (post-guerra libica anch’essi) e le squadre di Bamako né possono andare né possono avere informazioni...Operare là è difficile da qualche anno ma ora appare impossibile.
Oltre alle (peraltro auspicabili) precoci piogge e al conflitto in Mali , qual è il fattore che ha tanto aiutato le locuste? Come dicevamo, la guerra Nato alla Libia; anche se la Fao parla solo di “recenti eventi in Libia”. Perché in anni normali, Algeria e Libia sarebbero state capaci di controllare le popolazioni di locuste sui loro territori impedendo loro di muoversi verso Sud. In particolare la Libia destinava squadre di tecnici formati, macchine e parecchio denaro al monitoraggio e al trattamento. Mandava anche squadre e denaro ad altri paesi africani a questo scopo, precisa il funzionario della Fao. Adesso è tutto smantellato, nessuno se ne occupa, e i team e i loro mezzi sono spariti da qualche parte.
Le locuste dalle ali d’acciaio aiutano le locuste con le zampe


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Scritto da RT.com
Venerdì 22 Giugno 2012

da RT.com

Gli scontri tra fazioni in guerra si stanno infiammando nella Libia occidentale. Tribù che una volta sostenevano insieme la rivolta nel paese stanno ora combattendo tra loro e contro le tribù rivali filo-Gheddafi - tutto sullo sfondo di armi disponibili gratuitamente. L’addetto stampa del governo libico Nasser al-Manaa ha riferito che gli scontri tra tre tribù dei villaggi Az Zintan, Mizda e Al-Shegaiga hanno provocato almeno 105 morti e oltre 500 feriti appena la scorsa settimana. È stato riferito che il conflitto si sarebbe acceso per via di una striscia di terra rioccupata da una delle tribù. Al-Manaa ha rivelato che la violenza è stata fermata solo dopo che una presenza militare del governo è stata stabilita nella regione. Il numero di morti e feriti in Libia è paragonabile al conteggio dei caduti che si fa per la Siria e a seguire la retorica dell’Onu, la violenza in corso in Libia assomiglia sorprendentemente a una guerra civile (tribale).

Il tribalismo è una sfida datata per la Libia, e da sempre la minaccia in termini di stabilità e sicurezza. Il leader di un tempo, il colonnello Muammar Gheddafi, era riuscito a frenare molti conflitti tribali nel corso dei 42 anni del suo governo, spesso usando la forza. Quando esplose una ribellione armata tribale, nel 2009, Gheddafi ha dovuto usare l’aeronautica per portare i ribelli sotto controllo.

Sostenuta dall'estero, una rivolta contro Muammar Gheddafi iniziò nel febbraio 2011. Gravi scontri tra ribelli e sostenitori di Gheddafi sono durati fino al 20 ottobre, quando il colonnello Gheddafi fu linciato da una schiera inferocita nei pressi della città di Sirte dopo che i ribelli avevano preso il controllo della capitale Tripoli.

Scomparso Gheddafi, il Consiglio nazionale di transizione che è giunto al potere si trova ad affrontare gli stessi pericoli del precedente regime. Il CNT ha a che fare con tribù irrequiete che approfittano della posizione instabile del governo centrale per conquistare i territori dei gruppi vicini più deboli.

Quando la situazione si fece difficile, il colonnello distribuì ben un milione di fucili d'assalto Kalashnikov tra coloro che esprimevano almeno un minimo di adesione nei confronti del regime. E questo numero è solo una frazione di quanto è stato in seguito sottratto dagli arsenali militari devastati.

La Libia sembra essere così tanto sommersa di armi, in questo momento, che perfino i nipoti dei combattenti di oggi avranno abbastanza mitragliatori con il caricatore a forma di banana da usare per regolare i conti negli anni a venire.

 
 

Fonte: http://www.rt.com/news/libya-tribal-clashes-war-350/

Traduzione per Megachip a cura di Daniela Rombia




Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus convintamente aderisce ed invita tutti ad aderire al seguente appello, contro la disinformazione strategica e la mobilitazione guerrafondaia in atto nel nostro paese, per praticare politiche di pace ed amicizia fra i popoli, per una sola grande indispensabile spending review: TAGLIARE SUBITO E DRASTICAMENTE LE SPESE MILITARI, RITIRARE I MILITARI ITALIANI ATTUALMENTE IMPEGNATI NELLE OPERAZIONI NEO-COLONIALI ALL'ESTERO, RISPETTARE LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA. CNJ-onlus

Inizio messaggio inoltrato:

Data: 03 luglio 2012 14.43.44 GMT+02.00
A: jugocoord @ tiscali.it
Oggetto: Giù le mani dalla Siria! - Un documento collettivo NoWar
Rispondi a: "disarmiamoli.org" <info @ disarmiamoli.org>

Giù le mani dalla Siria!

Il movimento contro la guerra e la situazione in Siria. Un documento collettivo mette i piedi nel piatto sulla funzione di una coerente opposizione alla guerra, anche quella “umanitaria”.

La grave situazione in Siria, pone i movimenti che in questi anni si sono battuti contro la guerra di fronte a nuovi e vecchi problemi che producono lacerazioni, immobilismo e un vuoto di iniziativa.

Siamo attivi in reti, realtà politiche e movimenti che in questi anni – ed anche in questi mesi – non hanno esitato a schierarsi contro l’escalation della guerra umanitaria con cui l’alleanza tra potenze della Nato e petromonarchie del Golfo, sta cercando di ridisegnare la mappa del Medio Oriente.

a) Interessi convergenti e prospettive divergenti al momento convivono dentro questa alleanza tra le maggiori potenze della Nato e le potenze che governano “l’islam politico”. E’ difficile non vedere il nesso tra l’invasione/disgregazione della Libia, l’escalation in Siria, la repressione saudita in Barhein e Yemen e i tentativi di normalizzazione delle rivolte arabe lì dove sono state più impetuose (Tunisia, Egitto). La dottrina del Dipartimento di Stato Usa “Evolution but not Revolution” aveva decretato quello che abbiamo sotto gli occhi come l'unico sbocco consentito della Primavera Araba. Da queste gravi responsabilità è impossibile tenere fuori le potenze dell'Unione Europea, in particolare Francia, Gran Bretagna e Italia, che hanno prima condiviso l’aggressione alla Libia, hanno mantenuto intatto il loro sostegno politico e militare ad Israele ed oggi condividono la stessa politica di destabilizzazione per la Siria.

b) I movimenti che si oppongono alla guerra, in questi ultimi anni hanno dovuto fare i conti con diverse difficoltà. La prima è stata la rimozione della guerra dall’agenda politica dei movimenti e delle forze della sinistra o, peggio ancora, una complice inerzia verso le aggressioni militari come quella in Libia. Dalla “operazione di polizia internazionale in Iraq” del 1991 alla “guerra umanitaria in Jugoslavia” nel 1999 per finire con le “guerre per la democrazia” del XXI Secolo, le guerre asimmetriche scatenate dai primi anni Novanta in poi dalle coalizioni di grandi potenze contro paesi più deboli (Iraq, Somalia, Afghanistan, Jugoslavia, Costa d'Avorio, Libia), hanno sempre cercato una legittimazione morale che poco a poco sembra essere penetrata anche nella elaborazione e nel posizionamento di settori dei movimenti pacifisti e contro la guerra. I sostenitori della “guerra umanitaria” statunitensi ma non solo, stanno cercando di definire una cornice legale agli interventi militari attraverso la dottrina del “Rights to Protect” (R2P). Gli obiettivi di queste guerre sono stati sempre presentati come la inevitabile rimozione di capi di stato o di governi relativamente isolati o addirittura resi invisi alla cosiddetta “comunità internazionale” sia per loro responsabilità che per le martellanti campagne di demonizzazione mediatiche e diplomatiche.

c) Saddam Hussein, Aydid, Milosevic, il mullah Omar, Gbagbo, Gheddafi e adesso Assad, sono stati al centro di una vasta operazione di cambiamento di regime che è passata attraverso gli embarghi, i bombardamenti e le invasioni militari da parte delle maggiori potenze della Nato e i loro alleati regionali, operazioni su vasta scala che hanno disgregato paesi immensamente più deboli perseguendo la “stabilità” degli interessi occidentali attraverso la destabilizzazione violenta di governi o regimi dissonanti. A prescindere dalle maggiori o minori responsabilità di questi leader verso il benessere e la democrazia dei loro popoli, le maggiori potenze hanno agito sistematicamente per la loro rimozione violenta attraverso aggressioni militari e imposizione al potere di nuovi gruppi dirigenti subordinati agli interessi occidentali.

d) Seppure negli anni precedenti la consapevolezza che la divisione tra “buoni e cattivi” non sia mai stata una categoria limpida e definita – anzi è servita a occultare le vere motivazioni delle guerre - nel nostro paese ci sono stati movimenti di protesta che si sono opposti alla guerra prescindendo dai soggetti in campo e che si sono posizionati sulla base di una priorità: quel no alla guerra senza se e senza ma che in alcuni momenti ha saputo essere elemento di identità e mobilitazione straordinario. Sembra però che la coerenza con questa impostazione si stia sempre più affievolendo e in alcuni casi ribaltando. La macchina del consenso alle guerre ha visto infatti crescere gli elementi di trasversalità. Prima erano solo personalità della destra a sostenere gli interventi militari, adesso vi si arruolano anche uomini e donne della sinistra. Questa difficoltà era già emersa nel caso dell'aggressione militare alla Libia ed oggi si rivela ancora più lacerante rispetto alla possibile escalation in Siria.

e) Le iniziative contro la guerra che ci sono state in questi mesi, seppur minoritarie, sono riuscite a ostacolare l’arruolamento attivo di alcuni settori pacifisti nella logica della guerra umanitaria, hanno creato una polarizzazione che in qualche modo ha esercitato un punto di tenuta di fronte alla capito lazione politica, culturale del pacifismo e dell'internazionalismo. Ma la realtà sta incalzando tutte e tutti, ragione per cui è necessario affrontare una discussione nel merito dei problemi che la crisi in Siria ci porrà davanti nei prossimi mesi.

Nel merito della situazione in Siria

1. In tutte le guerre asimmetriche – che di fatto sono aggressioni unilaterali - le potenze occidentali hanno sempre lavorato per acutizzare le contraddizioni e i contrasti esistenti nei paesi aggrediti. La questione semmai è che l'ingerenza esterna da parte delle potenze della Nato e dei loro alleati ha agito sistematicamente per una deflagrazione violenta dei contrasti interni che consentisse poi l'intervento militare e servisse a legittimare la “guerra umanitaria”. La guerra mediatica ha bisogno sempre di sangue, orrori, cadaveri, stragi da gettare nella mischia e negli occhi dell'opinione pubblica. Di solito le notizie su questo vengono martellate nei primi venti giorni. Smentirle o dimostrarne la falsità o la maggiore o minore manipolazione, diventa poi difficile se non impossibile. Ciò significa che tutto viene inventato o manipolato? No. Ma un conflitto interno senza ingerenze esterne può trovare una soluzione negoziata, se le ingerenze esterne lavorano sistematicamente per impedirla si arriva sempre ai massacri e poi all'intervento militare “stabilizzatore”. Chiediamoci perchè tutti i piani e gli accordi di pace in questi venti anni sono stati fallire (ultimo in ordine di tempo quello di Kofi Annan sulla Siria). Il loro fallimento è funzionale al fatto che l'unico negoziato accettabile per le potenze occidentali è solo quello che prevede la resa o l'uscita di scena – anche violenta – della componente dissonante. Questo è quanto accaduto ed è facilmente verificabile da tutti.

2. Le soluzioni avanzate dalle sedi della concertazione internazionale (Consiglio di Sicurezza dell’Onu, organizzazioni regionali come Unione Africana, Lega Araba e Alba), non state capaci di opporsi alle politiche di “cambiamento di regimi” decise dagli Usa o dalla Ue. I leader dei regimi o dei governi rimossi, hanno cercato in più occasioni di arrivare a compromessi con gli Usa o la Nato. Per un verso è stata la loro perdizione, per un altro era una strada sbarrata già dall'inizio. Più cercavano un compromesso e maggiori diventavano le sanzioni adottate negli embarghi. Più si concretizzavano le condizioni per una ricomposizione dei contrasti interni e più esplodevano autobombe o omicidi mirati che riaprivano il conflitto. Se l'unica soluzione proposta diventa il suicidio politico o materiale di un leader o lo sgretolamento degli Stati, qualsiasi negoziato diventa irrilevante.

3. Dalla storia della Siria non sono rimovibili le modalità autoritarie con cui in varie tappe è stata affrontata la domanda di cambiamento di una parte della popolazione siriana. Non è possibile ritenere che la leadership siriana sia l’unica a aver gestito in modo autoritario le contraddizioni e le aspettative nel mondo arabo. Questa caratteristica è comune a tutti i paesi del Medio Oriente ed è una conseguenza dell'imposizione dello Stato di Israele nella regione e un retaggio del colonialismo. Ciò non giustifica la leadership siriana ma ci indica anche chiaramente come la sua sostituzione non corrisponderebbe affatto ad un avanzamento democratico o rivoluzionario per il popolo siriano. E’ sufficiente guardare quale tipo di leadership si è impossessata del potere una volta cacciati Mubarak in Egitto, Ben Alì in Tunisia, Gheddafi in Libia o chi sta imponendo il tallone di ferro su Barhein, Yemen, Oman. Sono paesi in cui c’è gente che ha lottato seriamente per maggiore democrazia e diritti sociali più avanzati, ma chi ne sta gestendo le aspettative sono le potenze della Nato, le petromonarchie del Golfo e le componenti più reazionarie dell’islam politico. Le componenti progressiste della Primavera Araba sono state – al momento – isolate e sconfitte da questa alleanza tra potenze occidentali e le varie correnti dell’islam politico.

4. Dentro la crisi in corso in Siria, la leadership di Bashar El Assad ha conosciuto due fasi: una prima in cui ha prevalso la consuetudine autoritaria, una seconda in cui è cresciuto il peso politico delle forze che spingono verso la democratizzazione. I risultati delle ultime elezioni legislative non sono irrilevanti: ha votato il 59% della popolazione nonostante la guerra civile in corso in diverse parti del paese (in Francia, in condizioni completamente diverse, alle ultime elezioni ha votato il 53%, in Grecia nelle elezioni più importanti degli ultimi decenni ha votato il 62%); per la prima volta si è rotto il monopolio politico del partito di governo, il Baath, e nuove forze sono entrate in Parlamento indicando questa rottura come obiettivo pubblico e dichiarato, si è creato cioè l'embrione di uno spazio politico reale per un processo di democratizzazione del paese; le forze che si oppongono alla leadership di Assad vedono prevalere le componenti armate e settarie, un dato che si evidenzia nei massacri e attentati che vengono acriticamente e sistematicamente addossati alle truppe siriane mentre più fonti rivelano che così non è. Le forze di opposizione con una visione progressista sono ridotte a ben poca cosa e non potranno che essere stritolate dall’escalation in corso; infine, ma non per importanza, l’ingerenza esterna è quella che sta facendo la differenza. Non è più un mistero per nessuno che le forze principali dell’opposizione ad Assad siano sostenute, armate e finanziate dall’alleanza tra le potenze della Nato (Turchia inclusa) e i petromonarchi di Arabia Saudita e Qatar. E’ un’alleanza già sperimentata in passato sia in Afghanistan che nei Balcani e nel Caucaso, un’alleanza che si è rotta alla fine degli anni Novanta e poi ricomposta dopo il discorso di Obama al Cairo che annunciava e auspicava gli sconvolgimenti nel mondo arabo. Queste forze e l’alleanza internazionale che li sostiene puntano apertamente ad una guerra civile permanente e diffusa per destabilizzare la Siria. I corridoi umanitari a ridosso del confine con Turchia e Libano e la No fly zone, saranno il primo passo per dotare di retrovie sicure i miliziani dell’Esercito Libero Siriano, spezzare i collegamenti tra la Siria e i suoi alleati in Libano (Hezbollah soprattutto), destabilizzare nuovamente il Libano e rompere il Fronte della Resistenza anti-israeliana. Se il logoramento e la destabilizzazione tramite la guerra civile permanente non dovesse dare i risultati desiderati, è prevedibile un aumento delle pressioni sulla Russia per arrivare ad un intervento militare diretto delle potenze riunite nella coalizione ad hoc dei “Friends of Syria” guidata dagli Usa ma con molti volonterosi partecipanti come la Francia di Hollande o l’Italia di Monti e del ministro Terzi.

5. In questi anni, nelle mobilitazioni in Italia contro la guerra o per la Palestina, abbiamo registrato ripetuti tentativi di gruppi e personaggi della vecchia e nuova destra di aderire e partecipare alle nostre manifestazioni. Un tentativo agevolato dall’abbassamento di molte difese immunitarie nella sinistra e nei movimenti sul piano dell’antifascismo ma anche dalla voragine politica lasciata aperta dall’arruolamento di molta parte della sinistra dentro la logica eurocentrista, dalla subalternità all’atlantismo e dalla complicità – o al massimo dall’equidistanza – tra diritti dei palestinesi e la politica di Israele. Se la sinistra e una parte dei movimenti hanno liberato le piazze dalla mobilitazione contro la guerra, dal sostegno alla resistenza palestinese e araba ed hanno smarrito per strada la loro identità, è diventato molto più facile l’affermazione di alcuni gruppi marginali della destra e della loro chiave di lettura esclusivamente geopolitica ed eurasiatica della crisi, dei conflitti e delle relazioni sociali intesi come lotta tra potenze. I gruppi della destra veicolano un antiamericanismo erede della sconfitta subita dal nazifascismo nella seconda guerra mondiale e completamente avulso da ogni capacità di lettura dell’egemonia imperialista sia nel suo versante statunitense che in quello europeo. Una chiave di lettura sciovinista e reazionaria che nulla a che vedere con una identità coerentemente anticapitalista ed internazionalista. Non solo. La paura di gran parte della sinistra di declinare la solidarietà con i palestinesi come antisionista e anticolonialista, ha regalato a questa destra e alla sua declinazione razzista e antiebraica uno spazio di iniziativa, cultura e solidarietà che storicamente ha sempre appartenuto alle forze progressiste. Se si cede su un punto decisivo si rischia di capitolare poi su tutto lo scenario mediorientale. Se questo è già visibile anche negli altri ambiti dell’agenda politica e sociale nel nostro paese, è difficile immaginare che non avvenga anche sul piano della mobilitazione contro la guerra e sui problemi internazionali. Sulla Palestina e nella mobilitazione contro la guerra abbiamo sempre respinto ogni tentativo di connivenza con i gruppi della destra. Intendiamo continuare a farlo ma vogliamo anche segnalare che – come sul piano sociale o giovanile – è l’assenza di iniziative e la debole identità della sinistra a facilitare il compito ai fascisti, non viceversa. E’ necessario dunque che alla coerenza con le posizioni e il ruolo svolto dalle nostre reti, associazioni, organizzazioni in questi venti anni e che ha visto schierarci sempre contro la guerra senza se e senza ma, si affianchi un recupero di identità e di contenuti.

f) La seconda difficoltà che abbiamo dovuto registrare è stata quella di una lettura superficiale del nesso tra la crisi che attanaglia le maggiori economie capitaliste del mondo (Stati Uniti ed Unione Europea soprattutto) e il ricorso alla guerra come strumento naturale della concertazione e della competizione tra le varie potenze e i loro interessi strategici. Una concertazione evidente quando si tratta di attaccare e disgregare gli stati deboli (Libia, Jugoslavia, Afghanistan) , una competizione quando si tratta di capitalizzare a proprio favore i risultati delle aggressioni militari (Georgia, Iraq. Libia). Se il colonialismo classico è andato all’assalto del Sud del mondo per accaparrarsi le risorse, il neocolonialismo è andato a caccia di forza lavoro a basso costo. Ma dentro la crisi di sistema che attanaglia le maggiori economie capitaliste del mondo, queste due dimensioni oggi si sono ricomposte nella loro sintesi più alta e aggressiva. Alcuni di noi la definiscono come imperialismo, altri come mondializzazione, comunque la si chiami oggi si è riaperta una competizione a tutto campo per accaparrarsi il controllo di risorse, forza lavoro, mercati e flussi finanziari. Questa conquista ha come obiettivo soprattutto l'economia dei paesi emergenti e quelli in via di sviluppo che molti ritengono poter essere l’unica via d’uscita e valvola di sfogo per la crisi di civilizzazione capitalistica che sta indebolendo Stati Uniti ed Unione Europea. In tale contesto, la guerra come strumento della politica e dell’economia è all’ordine del giorno. Se pensiamo di aver visto il massimo degli orrori in questi anni, rischiamo di doverci abituare a spettacoli ben peggiori. L’alleanza – non certo inedita – tra potenze occidentali, petromonarchie e movimenti islamici ha rimesso in discussione molti schemi, a conferma che il processo storico è in continua mutazione e che limitarsi a fotografare la realtà senza coglierne le tendenze è un errore che rischia di paralizzare l’analisi e l’azione politica.

I firmatari di questo documento declinano in modo diverso categorie come imperialismo, mondializzazione, militarismo, disarmo, antisionismo, anticapitalismo, pacifismo, solidarietà internazionale e internazionalismo, ma convergono su un denominatore comune sufficientemente chiaro nella lotta contro la guerra e le aggressioni militari.

Per queste ragioni condividiamo l'idea di promuovere:

•   Il percorso comune di riflessione che ha portato a questo documento

•   La costituzione di un patto di emergenza per essere pronti a scendere in piazza se e quando ci sarà una escalation della Nato e dei suoi alleati contro la Siria al quale chiediamo a tutti di partecipare

•   l’impegno ad un lavoro di informazione e controinformazione coordinato che contrasti colpo su colpo e con ogni mezzo a disposizione la manipolazione mediatica che spiana la strada a nuove “guerre umanitarie”, anche in Siria

Sottoscrivono per ora questo documento:

Rete Romana No War

Rete Disarmiamoli

Militant

Rete dei Comunisti

Partito dei Comunisti Italiani

Forum contro le guerre

Comitato Palestina, Bologna

Comitato Palestina nel Cuore, Roma

Gruppo d'Azione per la Palestina, Parma

Collettivo Autorganizzato Universitario, Napoli

Csa Vittoria, Milano

Alternativa

Federazione Giovani Comunisti

Forum Palestina

Associazione Oltre Confine

Associazione amici dei prigionieri palestinesi, Italia

per le adesioni: controleguerre@...




Prossime iniziative segnalate

1) Viterbo 2/7: DRUG GOJKO
2) Padova 6/7: MEDITERRANEO MARE DI GUERRA
3) Roma 14/7: CRIMINALI DI GUERRA ITALIANI


=== 1 ===

Data: 30 giugno 2012 15.49.50 GMT+02.00
Oggetto: Drug Gojko a Caffeina 2012

lunedì 2 luglio, ore 21,00
piazza Scotolatori (quartiere Pianoscarano), Viterbo

nell’ambito della rassegna CAFFEINA CULTURA 2012

spettacolo teatrale 

DRUG GOJKO
MONOLOGO DI PIETRO BENEDETTI
REGIA DI ELENA MOZZETTA


UNO SPETTACOLO PRODOTTO DAL CP ANPI VITERBO
TRATTO DAI RACCONTI DI NELLO MARIGNOLI, PARTIGIANO VITERBESE COMBATTENTE IN JUGOSLAVIA

IDEATO DA GIULIANO CALISTI E SILVIO ANTONINI
TESTI TEATRALI - PIETRO BENEDETTI
CONSULENZA LETTERARIA - ANTONELLO RICCI
MUSICHE - BEVANO QUARTET E FIORE BENIGNI
FOTO - DANIELE VITA

Ingresso € 2,50 

Drug Gojko (Compagno Gojko) narra, sottoforma di monologo, le vicende di Nello Marignoli, classe 1923, gommista viterbese, radiotelegrafista della Marina militare italiana sul fronte greco - albanese e, a seguito dell’8 settembre 1943, Combattente partigiano nell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo. Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della Seconda guerra mondiale. Una storia militare, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di un artigiano, vulcanizzatore, del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo, emozionante quanto privo di retorica. 



=== 2 ===

Da: rete dei comunisti padova <rdc.pd@...>
Data: 01 luglio 2012 09.13.28 GMT+02.00
Oggetto: Mediterraneo Mare di GUERRA - Venerdì, 6 Luglio 2012 ore 20.45 a Padova

Mediterraneo Mare di GUERRA
Venerdì, 6 Luglio 2012 ore 20.45

Sala Nilde Jotti 
Via Alessandro Prosdocimi, 2 Padova
(sopra il supermercato Alì di Forcellini)

IL POLO IMPERIALISTA EUROPEO DALLA CRISI ALLA GUERRA

Introduzione a cura della RETE DEI COMUNISTI DI PADOVA. 
Interventi di: 
- ROBERTO BATTIGLIA Commissione Internazionale Rete dei Comunisti 
- ANDREA MARTOCCHIA Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia

Organizza: Rete dei Comunisti - Padova 




=== 3 ===

Roma, sabato 14 luglio 2012

ore 18:00, nell'ambito della Festa della Federazione della Sinistra di Roma (Città dell'Altraeconomia, Testaccio)

presentazione del libro di Davide Conti

CRIMINALI DI GUERRA ITALIANI
Accuse, processi, impunita’ nel secondo dopoguerra
Roma, Odradek 2011

http://www.odradek.it/Schedelibri/criminalidiguerra.html
http://criminalidiguerraitaliani.blogspot.com/

Sarà presente l'autore

Promuovono: Punto Rosso Roma, Associazione Marx XXI, Centro studi A. Gramsci




E' TUTTO SEMPRE SOLO UN MAGNA-MAGNA


L'isolotto di Bled resta della Chiesa

da Il Piccolo del 1/7/2012

Il Tribunale circondariale di Kranj ha respinto l’istanza del governo sloveno per riottenere la proprietà del isolotto sul lago di Bled assieme ad alcuni immobili ivi situati. «È una questione oramai risolta», ha spiegato la portavoce del tribunale Anita Drev. Ora lo Stato sloveno ha 15 giorni di tempo per depositare le proprie osservazioni.
 
Ricordiamo che l’ex ministro della Cultura, Vasko Simoniti quattro anni fa ha donato, a nome dello Stato, alla parrocchia di Bled tre immobili situati sull’isolotto e contemporaneamente ha anche dato alla parrocchia in uso gratuito per 45 anni lo stesso isolotto. Lo Stato ora però ha chiesto l’annullamento di simili atti. E, almeno per ora, il tribunale dà ragione alla Chiesa. Nelle more però il vulcanico parroco di Bled, Janez Ferkolj ha dato il via alla ristrutturazione del negozio di souvenir e della trattoria presenti sull'isolotto. I lavori sono iniziati a fine gennaio e i nuovi locali sono stati inaugurati all'inizio di aprile. Un investimento da 300mila euro, in parte ricavati dal biglietto di "ingresso" di 3 euro che ciascun turista deve acquistare per accedere all'isolotto, in parte frutto di un mutuo bancario.
 
E così la vecchia e oramai fatiscente trattoria è diventata una "Poticnica" ossia una pasticceria in cui si produce solo la putizza, dolce tipico della Slovenia di origini mitteleuropee (lo sanno bene i triestini). L'idea la spiega lo stesso don Ferkolj: «Possiamo andare a mangiarci una pizza, un kebab, una bistecca alla viennese o una pasta crema (rinomate peraltro proprio quelle di Bled nd.), ma lo sloveno non poteva concretamente invitare un amico a mangiare la putizza». Da qui la pasticceria a specialità unica o "monomarca". La puttizza, è ovvio. Per ora servita solo fatta con le noci o con i ciccioli, ma per il futuro saranno sfornate putizze in 30 gusti diversi. Sull'isola tutte le bevande sono rigorosamente "made in Slovenia" così come la musica, rigorosamente tradizionale, che si può ascoltare.
 
Mauro Manzin