Informazione

L'articolo che segue, pur contenendo elementi interpretativi criticabili (il nuovo governo serbo definito di centrodestra come se il precedente fosse stato di centrosinistra, mentre vale casomai il contrario; l'uso acritico delle patenti di affidabilità per i governi, secondo una tipica concezione colonialista; e così via), è di notevole interesse in giorni in cui la stessa FIAT è al centro di polemiche in Italia per i suoi comportamenti  altrettanto sprezzanti. (a cura di IS)


Fiat e Serbia, a velocità moderata

Jacopo Corsini

12 settembre 2012

Ad agosto le prime auto prodotte sono arrivate in Italia. La nuova FIAT 500L è targata Serbia, ma non sono stati facili questi ultimi mesi di collaborazione tra l'industria torinese e i partner serbi. Una rassegna


Nel settembre del 2008 l’amministratore delegato della FIAT, Sergio Marchionne, e il ministro dell’Economia serbo, Mlađan Dinkić, firmarono un accordo di cooperazione che prevedeva investimenti per circa un miliardo di euro e la creazione di una Joint Venture, la Fijat Automobili Srbije (FAS), per i due terzi di proprietà della FIAT e per la parte restante di proprietà dello Stato serbo. FAS si impegnava a rilevare il patrimonio della Zastava, la gloriosa e famosa (almeno in Jugoslavia) industria automobilistica, in particolare il complesso produttivo situato nei pressi della città di Kragujevac, a 150 chilometri a sud di Belgrado, nella Serbia centrale.

Numerosi sono i vantaggi di cui ha goduto e gode ancora oggi il gruppo FIAT dalla cooperazione con la Serbia, in particolare sfruttando (come tante altre compagnie italiane) la politica del “red carpet” seguita per anni dal governo di Belgrado: bassa tassazione ed esenzione in alcuni campi, generosi incentivi fiscali, sostegno alle imprese che avrebbero creato occupazione, free tax zone. Generosi aiuti sono arrivati anche da Bruxelles in particolare dalla BEI, la Banca Europea per gli Investimenti, che erogò alcune centinaia di milioni di euro in favore della riqualificazione del complesso industriale Zastava a Kragujevac, seriamente danneggiata durante i bombardamenti NATO del 1999.

Da quel momento iniziarono gli investimenti e l’ammodernamento dell’impianto e nel marzo del 2012 la nuova 500L, ovvero una versione più “allungata” del modello 500, venne presentata al Salone internazionale dell’auto di Ginevra, alla presenza dell’amministratore delegato del gruppo torinese e del presidente serbo, il quale avrebbe giocato (come già fece nel 2008) la carta Kragujevac per attirare consensi (questa volta senza successo) in vista dell’imminente tornata elettorale di maggio.

Ad aprile fu lo stesso Marchionne che, apponendo la propria sigla con pennarello indelebile ad una delle prime 500L uscite dallo stabilimento serbo, disse: “Il fatto che abbiamo deciso di operare qui è il chiaro riconoscimento dell'affidabilità della Serbia”.

Da poche settimane è iniziata la produzione di massa e a metà agosto il primo carico di autovetture è stato imbarcato al porto montenegrino di Bar diretto verso Bari. Secondo i dati forniti dalla FIAT, ad oggi la capacità produttiva degli impianti di Kragujevac si aggira attorno alle 700 autovetture al giorno e si prevede di raggiungere la quota di 30.000 esemplari prodotti prima della fine del 2012 ed impiegare almeno 2.400 operai. Il prezzo di questa monovolume, destinata principalmente al mercato italiano, partirà da circa 15.500 € e sarà disponibile con tre diverse motorizzazioni: benzina 1.4 da 95 CV, Twinair 0.9 da 105 CV e diesel 1.3 Multijet da 85 CV.

Irritazione della Fiat ai ritardi della Serbia

Tutto sembra far pensare ad un “success case”, a un caso di successo di investimenti stranieri in Serbia che avrebbero portato nuova occupazione e una boccata d’ossigeno all’economia in affanno di questo Paese. Molti dubbi invece sono sorti negli ultimi mesi tra gli investitori stranieri, soprattutto dopo la vittoria della coalizione di centro destra alle elezioni di maggio. Le divergenze tra Torino e Belgrado sono state rese pubbliche dal quotidiano serbo Press, durante la prima metà di agosto. Secondo il giornale di Belgrado, mentre la FIAT stava rispettando gli impegni presi e regolarmente effettuando gli investimenti pianificati, il precedente governo serbo non aveva neppure iscritto a bilancio la prima tranche di 90 milioni di euro stabilita, su un totale di 200 milioni di investimenti previsti.

Ma i motivi di irritazione di Torino non finivano qua: fortissimi ritardi si stavano registrando anche nella costruzione di due nuovi tratti stradali, infrastrutture fondamentali per evitare che la piccola cittadina di Kragujevac vada in tilt quando la produzione dell’impianto sarà a pieno regime e per garantire il necessario trasporto di componenti e materiale da parte di decine di TIR giornalieri. E proprio da Kragujevac c’è chi soffiava sul fuoco, in particolare il suo primo cittadino, Verko Stevanović, il quale ha più volte dichiarato che la FIAT aveva tutto il diritto ad essere irritata col governo di Belgrado.

Il motivo principale di questi ritardi non sembrava essere una deliberata volontà politica da parte del nuovo governo serbo bensì le difficoltà economiche. Gli investimenti esteri in Serbia nel 2012 sono drasticamente diminuiti e la politica economica inaugurata dal nuovo esecutivo certamente non ha contribuito a migliorare la situazione. I primi di agosto il governatore della Banca Nazionale Serba è stato sostituito in quanto contrario ad assecondare i piani economici del presidente Nikolić mentre la stessa legge che regola il funzionamento dell’istituto centrale è stata stravolta per permetterne un ampio controllo politico da parte del parlamento. Le istituzioni finanziarie internazionali, da parte loro, si stanno mostrando sempre più reticenti a firmare nuovi accordi con Belgrado e pongono condizioni sempre più stringenti per la concessione di nuovi fondi.

Accordi e rassicurazione del nuovo governo

Lo scalpore suscitato da queste rivelazioni e l’irritazione registrata al di qua dell’Adriatico hanno dato i loro frutti: la settimana scorsa una delegazione guidata da Alfredo Altavilla, Head of Business Development Fiat S.p.A. e membro del Group Executive Council, ha incontrato a Belgrado il ministro dell’Economia Mlađan Dinkić, per cercare di trovare una soluzione condivisa. Alla fine, i delegati FIAT hanno accettato la proposta serba di dilazionare il pagamento in due tranche: la prima di 50 milioni da pagare entro quest'anno e i rimanenti 40 milioni nel 2013. Rassicurazioni sono state date anche riguardo le infrastrutture, in particolare riguardo gli ultimi chilometri mancanti dei nuovi tratti stradali necessari per garantire la regolare fornitura di materiali alle fabbriche di Kragujevac, i quali dovrebbero essere terminati rapidamente. A mettere la parola fine (per adesso) sulla questione ci ha pensato lo stesso Marchionne che si è recato il 4 settembre scorso in Serbia per una visita lampo agli impianti di Kragujevac dove ha incontrato il neo eletto Presidente Nikolić, in quello che è stato definito un normale incontro di routine per conoscere il nuovo esecutivo.

D'altronde Marchionne può solo rallegrarsi degli investimenti fatti in Serbia. Oltre agli incentivi elargiti dal governo di Belgrado, FAS ha ricevuto l’appoggio da parte dei sindacati i quali non hanno fatto troppe resistenze alla proposta del gruppo torinese di introdurre, per un periodo di prova di sei mesi, i nuovi turni giornalieri da 10 ore (e un giorno di riposo alla settimana in più), una “rivoluzione” decisa dal gruppo torinese al fine di aumentare la produttività. Ciò può essere spiegato facilmente dal fatto che oggi la disoccupazione in Serbia è endemica e costituisce il primo problema del Paese. Non sono mancate però le critiche: alcuni sindacati serbi hanno criticato l’accordo evidenziando quanto questo nuovo metodo possa diventare stancante e non più tollerabile quando la produzione avverrà a pieno regime.

Anche il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, aveva avuto occasione di tastare l’affidabilità della Serbia durante la visita a Belgrado di metà agosto. Diversamente da quanto ci si sarebbe potuto aspettare, al suo ritorno il ministro ha lanciato accorati incoraggiamenti a fare nuovi investimenti in Serbia, assieme ad affermazioni rassicuranti circa la grande affidabilità della nuova coalizione di governo di centro destra, la stessa che aveva sollevato non pochi timori in alcune cancellerie europee all'indomani dei risultati elettorali di maggio.

Dunque, nonostante la crisi, la mancanza di fondi e le nuove linee politiche di Belgrado, la Serbia continua ad essere considerata un interlocutore affidabile. Almeno fino a quando Belgrado continuerà a garantire condizioni economiche favorevoli agli investitori esteri.


Commenti
strategia
Venerdì, 14 Settembre 2012 09:00:01
milica

La Serbia deve pagare 200 milioni per 33% della fabbrica??????? E "bassa tassazione ed esenzione in alcuni campi, generosi incentivi fiscali, sostegno alle imprese che avrebbero creato occupazione, free tax zone". Ecco il motivo perchè il contratto con la Fiat era il segreto nazionale! Per pagare agli investitori stranieri la Serbia ha spremuto le PMI fino a perdere 680.000 posti di lavoro dal 2008 e 66.000 negli ultimi 6 mesi. Il risultato: lo stato sta facendo la bancarotta. Grande strategia economica!



CONTRO LA GUERRA SEMPRE! GIU' LE MANI DALLA SIRIA!  

GIOVEDI' 20
SETTEMBRE ore 18
PRESIDIO-MANIFESTAZIONE in Piazza S.BABILA  

E' in
atto una grande campagna di disinformazione fondata su menzogne per
farci accettare la partecipazione dell'Italia ad una aggressione
criminale contro un Paese sovrano come la Siria.   Le potenze della
NATO (Italia compresa) alleate alla monarchia dell' Arabia Saudita e
del Qatar, stanno cercando per motivi economici e geopolitici di
ridisegnare la mappa del Medio Oriente, questo non ha niente a che fare
con la "democratizzazione" come ci insegna la situazione in cui si
trovano Afghanistan, Iraq, Libia, dove ora regna povertà e violenza,
una grande parte della popolazione è morta o rimasta ferita sotto le
bombe, e tutto questo per arricchire alcuni Paesi dell'occidente come
durante il vecchio colonialismo.   Lo schema collaudato per raggiungere
questi obiettivi prevede la creazione del consenso popolare attraverso
la disinformazione in TV e sui giornali, per avvalorare la necessità di
un intervento armato dovuto a ragioni "umanitarie". Il cosiddetto
"intervento militare umanitario" ha sempre portato ad imponenti
violazioni dei diritti umani e all'azzeramento del fondamentale diritto
di autodeterminazione dei popoli.   Si mira ad insediare governi
fantoccio, come in Afghanistan o in Iraq, ancora più oppressivi dei
precedenti, anche contro le donne e le istanze di progresso,
l'importante è che siano leali e subordinati agli interessi
occidentali. Per ottenere questo risultato le potenze imperialiste
fomentano la violenza finanziando e armando i conflitti
interni  addirittura  inviando consiglieri militari, mercenari e
armamenti sofisticati.   Per la guerra all'IRAQ i cui motivi sono stati
completamente inventati sono morte centinaia di migliaia di civili
iracheni, si sono spesi centinaia di milioni di euro che avrebbero
dovuto essere spesi per la sanità, la scuola, i servizi sociali,  per
garantire il diritto alla casa e una vita più dignitosa per tutti.  


NON UN SOLDO PER LA GUERRA !  
"L'Italia ripudia la guerra come
strumento d'offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali" questo recita l'Art. 11
della nostra Costituzione nata dalla Resistenza.   Ci opponiamo fin da
ora alla "no fly zone" che è un intervento militare diretto, con
distruzioni e massacri di civili, come ben sappiamo. Vogliamo dal
Governo Monti, che ha tagliato le pensioni e i diritti dei lavoratori e
dei cittadini aumentando invece le spese militari, e dai Partiti che lo
sostengono in Parlamento, la cessazione immediata di qualsiasi appoggio
esterno ai belligeranti; da subito taglino le spese militari e  pongano
fine a tutte le missioni all'estero.   Noi organizzazioni e cittadini
di diverso orientamento e differenti sensibilità sentiamo il dovere di
chiamare alla mobilitazione contro la minaccia di guerra aperta alla
Siria e anche all'Iran, con grave pericolo di estensione del conflitto
difficile da prevedere.

Comitato contro la guerra Milano

Comitatocontrolaguerramilano@...  cell. 3383899559 http:
//comitatocontrolaguerramilano.blogspot.it/

E' IN CORSO LA RACCOLTA
ADESIONI, ad ora sono pervenute: Ass. "La Casa Rossa"; BDS Milano; CNJ
(Coord. Naz. Per la Jugoslavia); Centro Culturale Concetto Marchesi;
sito"Il Dialogo"; M. Gemma Dir. Rivista Online Marx21; Ass.ne Rachel
Corrie per la pace; Peacelink (Italia); Rete No War (Italia); Prof.
Domenico Losurdo; Sergio Ricaldone; Red por ti America (Italia); ALBAss.
ne per l'amicizia e sol. tra i popoli; Proletari Comunisti (Milano); A.
Catone Rivista Marx21; Forum Palestina; Centro di Iniziativa Proletaria
"G. Tagarelli"; Ass.ne di Amicizia Italia -Cuba (Milano); Sindacato USB
Lombardia; PdCI Milano;




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Ancora sugli onori al criminale nazifascista Graziani

1) Su queste cose non si gioca: Graziani è stato un criminale (R. Renzetti)
2) Affile, imbrattato mausoleo di Graziani (Il Messaggero, 12/9/2012)
3) Flashback: IL PIANO GRAZIANI (C. Cernigoi)

VIDEO: Mausoleo a Graziani, grande criminale di guerra

Sulla scandalosa vicenda del monumento eretto ad Affile (Roma) per celebrare il criminale di guerra nazifascista Rodolfo Graziani si vedano anche gli articoli precedentemente segnalati: 

Italian right wing honours fascist war criminal

Visnjica broj 896: ITALIANI BRAVA GENTE


=== 1 ===


di Roberto Renzetti

È molto grave che a 70 anni di distanza si debba ancora discutere delle responsabilità criminali di un personaggio come Rodolfo Graziani. Eppure è così. Il tutto inizia con la notizia che in un paesino della provincia di Roma, Affile, si è inaugurato l’11 agosto 2012 un monumento ("Onore e Ordine"), con parco di Radimonte annesso, dedicato alla memoria del suddetto criminale che aveva scelto per adozione quel piccolo centro. Per sommo sfregio, il tutto è costato alla comunità tra i 130 ed i 180 mila euro.

Da chiarire fino in fondo come sono arrivati i soldi alla giunta di destra di Affile. Il sindaco dice che i soldi per il parco sarebbero stati deliberati dalla ex giunta della Regione Lazio presieduta da Marrazzo (resta da capire se per il solo parco o anche per il monumento) con determinazione del febbraio 2010 per il «completamento del Parco Radimonte». Alcuni quotidiani hanno sostenuto invece che il finanziamento sia stato deliberato dall'attuale giunta Polverini.

Il sindaco è un furbetto perché avrebbe chiesto fondi per un monumento al Soldato senza specificare che ad Affile il Soldato è Graziani. Il sindaco è anche un nostalgico che ignora i trascorsi del truce Graziani affermando che è stato pluridecorato. E poiché coloro che ignorano in Italia sono la maggioranza, ogni tanto occorre rinfrescare la memoria a cominciare dal perché Graziani non è stato impiccato come i suoi sodali a Norimberga.

Infatti se in Germania qualcuno si azzardasse a commemorare appena con una lapide Goering o Rommel, verrebbe subito arrestato e gettato in prigione. Perché? Perché in quel Paese, finita la guerra si fece chiarezza con il Processo di Norimberga: da una parte i nazisti assassini, criminali da impiccare e dall’altra i cittadini che dovevano sapere quali erano i crimini di chi li aveva guidati per 12 anni.

In Italia niente Norimberga. Eppure di criminali ne abbiamo avuti! Caspita se ne abbiamo avuti! Ma chiarezza, appunto, non è stata mai fatta così che le italiche genti, ignoranti e smemorate, non sanno proprio cosa è accaduto, chi fu il criminale persecutore, chi il perseguitato. Ma perché da noi non si è fatta, non dico una Norimberga ma almeno una Frascati o una Valmontone? Perché i prodi e vigorosi americani avevano rapporti stretti con il Fascismo e con la Mafia.

Lo sbarco in Sicilia fu possibile senza gravi perdite perché guidato da Lucky Luciano. L’esercito USA avanzava preceduto da un carro armato su cui sventolava una bandiera azzurra. Era il segno di riconoscimento di Luciano ai picciotti. Gli yankee debbono passare e basta. E la mafia siciliana si organizzò perché nessuno si azzardasse a reagire. Per altri versi gli USA ebbero stretti rapporti con il fascista Junio Valerio Borghese, il comandante della X MAS (quel delinquente golpista del 1970, ricordate?). Doveva essere la testa di ponte che legava esercito USA e Fascisti.

Ma perché? Perché in Italia, contrariamente a quanto avvenne in Germania, vi era un forte movimento di resistenza a maggioranza comunista. Se l’Italia fosse stata liberata in queste condizioni e con i fascisti impiccati, come si sarebbe dovuto fare (come in Germania del resto), il Paese sarebbe diventato quasi certamente a guida comunista. Gli USA, prevedendo questo scenario e protetti dalla spartizione di Yalta, hanno difeso, sostenuto, foraggiato i fascisti (questo è il motivo della fucilazione immediata di Mussolini e gerarchi ... gli USA volevano quel prigioniero ma i partigiani sapevano di losche manovre che prevedevano addirittura un Mussolini reintegrato al potere).

Ebbene, tra i criminali fascisti, militari, da impiccare vi era Graziani (insieme a vari altri, come Roatta, Robotti, Badoglio, ...). Per quanto detto si salvarono, occorreva mantenere personaggi che avessero esperienza militare da usare eventualmente contro una sollevazione comunista.

Ma chi era Rodolfo Graziani? Molto in breve si può definire un macellaio con i deboli e dette sfoggio delle sue abilità a partire dalla Libia tra il 1921 ed il 1930 arrivando ad essere nominato da Mussolini in persona governatore della Cirenaica nel 1930 (incarico che mantenne fino al 1934). Si distinse per le deportazioni di massa e per sistemare centinaia di migliaia di libici, sospetti di collaborazione con la resistenza, in campi di concentramento (qui morirono decine di migliaia di persone per malattie e stenti e qui Graziani fu battezzato il macellaio di Fezzan.

Passò quindi a macellerie superiori durante la guerra d’Etiopia e la repressione della resistenza di quel Paese tra il 1935 ed il 1937. Utilizzò contro popolazioni inermi l’iprite, un gas micidiale, antesignano del napalm, del fosgene ed altri aggressivi chimici. Per titoli da carnefice conquistati sul campo fu nominato Maresciallo d’Italia e fu promosso viceré e comandante dell’esercito in Etiopia. Purtroppo scampò ad un attentato ma la sua tempra di valoroso si scatenò contro un monastero in cui presumeva si fossero rifugiati alcuni attentatori. Il risultato fu il massacro di circa 1500 monaci che seguì quello di varie migliaia di etiopi.

Tornato in Italia, nel 1938 firmò, insieme a Padre Agostino Gemelli e a tanti altri imbecilli, il Manifesto della Razza. Nel 1939 fu nominato da Mussolini Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ed in questa veste inviato in Libia da dove ebbe l’ordine di invadere l’Egitto. Qui non si trattava più di combattere contro popolazioni male armate ma contro l’Esercito inglese. Ed infatti, nel 1940, fu duramente sconfitto per i suoi gravissimi errori tattici (oltre alle ingenti perdite, 130 mila dei nostri soldati furono catturati e tutto il materiale militare fu perduto).  Nel 1941 fu destituito per incapacità e codardia. Fu messo sotto processo (che in Italia non porta mai a nulla se è contro i potenti) e dimenticato per due anni.

La sua vita pubblica si concluse nel modo più inglorioso possibile: fu nominato Ministro della Guerra della Repubblica Sociale Italiana (RSI). Impose l’arruolamento obbligatorio pena la fucilazione per chi non si fosse subito presentato e firmò un manifesto di condanna a morte per ogni partigiano. Si arrese a Milano al IV Corpo d’Armata USA alla fine di aprile del 1945. Fu fatto prigioniero e vagò per varie carceri gestite da alleati. Nel 1948 fu condannato da un Tribunale italiano a 19 anni di reclusione (accusa solo di collaborazionismo con i tedeschi) con un condono spettacolare di 17 anni! Ciò gli permise di uscire subito dal carcere. Gli americani  e gli inglesi non fecero invece nulla contro Graziani perché non tennero in alcun conto tutta l’enorme quantità di documenti portati dal governo etiopico con particolare riferimento all’uso dei gas asfissianti (iprite).

Intanto Graziani aveva aderito al Movimento Sociale Italiano (MSI) costituitosi come erede del Fascismo nell’immediato dopoguerra. Nel 1953 divenne Presidente onorario di questo movimento ed in questa veste ricevette ad Affile, come no?, Andreotti, allora collaboratore di De Gasperi. I due si abbracciarono pubblicamente dando anche visiva mostra della continuità con il Fascismo.

In ogni caso le vicende del criminale Graziani meritano attenzione. Ho raccolto diversi articoli di vari storici e li propongo agli interessati: http://www.fisicamente.net/MEMORIA/index-1945.pdf.

(6 settembre 2012)


=== 2 ===


Affile, imbrattato mausoleo di Graziani
Montino: giusta espressione di dissenso


Rampelli: delinquenti. Per le scritte individuati e denunciati tre ragazzi


ROMA - Tre giovani di Subiaco sono stati denunciati con l'accusa di danneggiamento aggravato per aver imbrattato con vernicespray il mausoleo dedicato dal comune di Affile, in provincia di Roma, al generale repubblichino Rodolfo Graziani. Il sacrario dedicato al generale fascista, inaugurato lo scorso 11 agosto, aveva provocatopolemiche e sdegno in tutto il mondo.

Gli autori delle scritte sul sacrario dedicato al ministro della Guerra di Salò, noto anche per aver usato i gas contro libici ed etiopi e aver firmato il Manifesto della razza, sono stati hanno individuati i carabinieri della Compagnia di Subiaco. I militari dell'Arma, che hanno avviato indagini dopo una denuncia del sindaco di Affile, Ercole Viri, informa una nota dei militari, «sono riusciti in poche ore a scoprire gli autori delle scritte vandaliche fatte la notte scorsa con vernice spray sulle pareti del mausoleo e anche sugli scalini d'accesso. I tre - continua la nota - vestiti tutti di scuro, sono stati identificati mentre si stavano aggirando nei pressi di una via secondaria. Messi alle strette dai carabinieri hanno ammesso le proprie responsabilità. Tutti e tre sono stati denunciati con l'accusa di danneggiamento aggravato».

«La vergognosa campagna contro il Parco pubblico di Affile ha prodotto i primi suoi effetti. Un gruppo di delinquenti, coperto dalla notte, ha danneggiato il parco con vernici e scritte ingiuriose contro la Patria, il sindaco di Affile e Rodolfo Graziani», afferma in una nota il deputato del Pdl Fabio Rampelli. «Ognuno - prosegue - può avere le sue posizioni politiche, ma è necessario e doveroso condannare ogni forma di violenza e atti intimidatori, specie se compiuti contro rappresentanti pubblici e opere pubbliche. Siamo certi che il lavoro d'indagine che i carabinieri stanno conducendo in queste ore saprà rapidamente assicurare alla giustizia i responsabili».

«Prendo atto, e con piacere, che nel paese di Affile i giovani 
non la pensano come il Sindaco che ha voluto un sacrario per il generale fascista e repubblichino Rodolfo Graziani - commenta invece il capogrupo Pd in Regione, Esterino Montino -. Non mi pare che siamo di fronte ad atti di violenza, come dice il senatore Rampelli evidentemente d'accordo con questa opera della vergogna di cui hanno parlato i giornali di tutto il mondo oltre che quelli nazionali, ma ad una vivace e giovanile espressione di dissenso e rivendicazione dei valori della Costituzione italiana. Nulla di violento nemmeno nelle frasi scritte sul mausoleo con la bomboletta spray - continua Montino -. Penso che nei prossimi giorni mi recherò nel paese in Provincia di Roma per incontrare i cittadini. Quei ragazzi sono una speranza , non hanno imbrattato un luogo pubblico, non hanno usato violenza verso nessuno, ma rivendicato che la Costituzione prevede il reato di apologia del fascismo. Quel mausoleo questo è».

Mercoledì 12 Settembre 2012


=== 3 ===

Riproponiamo questo importante articolo, già messo in diffusione nel novembre dello scorso anno.


Claudia Cernigoi

IL PIANO GRAZIANI

Nel 1985 il giornalista Gaetano Contini pubblicò un “documento inedito” (1) redatto presumibilmente verso la fine del 1945 e firmato in calce da Aldo Gamba, all’epoca comandante del 1° Squadrone autonomo, un reparto della Polizia militare segreta sottoposto agli ordini del servizio segreto britannico FSS (Field Security section), con sede a Brescia (2).
Tale documento sarebbe stato scritto da un “informatore” di Gamba, che evidentemente lo ritenne attendibile se decise di inoltrarlo con la propria firma, ed è intitolato “Il piano Graziani per la resurrezione del fascismo”. 
L’informatore parte da una serie di circostanze: i documenti rinvenuti nell’archivio di Barracu (sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri della RSI, fucilato il 28/4/45 a Dongo) che fanno riferimento ad una organizzazione segreta costituita “per la salvezza del fascismo”; un considerevole deposito di armi trovato nello stabile di piazza San Sepolcro dove aveva avuto sede il Partito fascista; un altro arsenale scoperto pochi giorni prima a Trezzo d’Adda e quanto risultava da un processo svoltosi a Pavia “per documenti falsi” dove veniva confermata la “strabiliante offerta” avanzata dal maresciallo Rodolfo Graziani (allora ministro della guerra della RSI, già macchiatosi di crimini di guerra in Libia e in Africa Orientale) nel dicembre 1944 ai Comitati di liberazione (qui l’informatore non entra nei particolari ma si presume intenda parlare dei tentativi di collaborazione che delineeremo nell’esposizione successiva). 
L’informatore sostiene che questi dati “non hanno aperto che un sottile spiraglio di luce su un vasto diabolico progetto da lungo tempo predisposto e in esecuzione anche in tutto il periodo di lotta clandestino” ed a questo punto parla di una “riunione segreta” che si sarebbe svolta nell’ottobre del 1944 presso la sede della Legione Muti a Milano, riunione tenuta dal maresciallo Rodolfo Graziani alla quale presero parte “elementi politici” della RSI, che non erano “prefetti, gerarchi e pubblicisti”, ma i comandanti della legione Muti, delle Brigate nere, della GNR e due questori (uno dei due era il questore di Milano Larice, colui al quale Mussolini avrebbe consegnato una borsa prima di fuggire verso la Svizzera, con l’incarico di darla al comando della Brigata Garibaldi (3)), oltre ai capi dei servizi di spionaggio, i “torturatori e gli aguzzini”.
Graziani avrebbe loro delineato il progetto che intendeva realizzare, data ormai per sicura la sconfitta militare del fascismo, per la sopravvivenza politica del medesimo: le truppe germaniche si sarebbero ritirate, seguite dal grosso dell’esercito italiano, ma i “politici” (cioè i partecipanti alla riunione) sarebbero rimasti, “celandosi e camuffandosi per fare azione di sabotaggio nelle retrovie, opera di disgregazione all’interno dell’Italia” (sostanzialmente un progetto stay behind, ovvero la resistenza dietro le linee “nemiche”) perché (e qui l’informatore dice di riferire le parole di Graziani, da lui definito “iena”) “non è necessario vincere la guerra perché il fascismo e i fascisti possano, sia pure dietro altre bandiere, salvarsi”.
“Immettere il maggior numero di strumenti fascisti entro le nostre organizzazioni clandestine, mandando in galera gli antifascisti veri, scompigliando le loro trame, creare fino da allora forti posizioni fasciste entro le fila dell’antifascismo, preparare ingenti quantitativi di armi e denaro e poi, dopo il crollo del fascismo iscriversi in massa ai partiti antifascisti, sabotare ogni opera di ricostruzione, diffondere il malcontento, fomentare moti insurrezionali e preparare sotto qualsiasi insegna la resurrezione degli uomini e dei loro metodi fascisti”, scrive l’informatore. E poi riferisce le “particolareggiate, minutissime disposizioni” di Graziani: “organizzare delle bande armate che funzionino segretamente e che aggiungano altre distruzioni a quelle che prima di andarsene effettueranno i tedeschi, che esercitino in tutto il Paese il brigantaggio, che si mescolino alle manifestazioni popolari per suscitare torbidi. Ma soprattutto mimetizzati, penetrare nei partiti antifascisti e introdurvi fascisti a valanga, propugnare le tesi più paradossalmente radicali ed il più insano rivoluzionarismo, sabotare e screditare l’opera del governo e soffiare a più non posso in tutto il malcontento inevitabile”, in modo da suscitare “il rimpianto del fascismo” e permetterne il ritorno al potere.
Graziani avrebbe parlato anche delle “trattative che taluni elementi della corrente più moderata del fascismo, ed altri in malafede, cercavano di allacciare con gli esponenti della lotta clandestina, per addivenire ad un modus vivendi” che ponesse “tregua alla cruenta lotta fratricida”. Tali trattative, disse Graziani “vanno benissimo”, perché “dobbiamo avvicinare gli antifascisti, illudendoli con vaghi progetti di pace separata, di ritorno alla legalità ed alla libertà, di rivendicazioni socialiste, stabilire così molti contatti , scoprire le loro file ed i loro covi”, per poi arrivare ad una “notte di San Bartolomeo, con il preventivo sterminio dei preconizzati nostri successori” precisando però che “i tribuni” e “gli agitatori” andavano lasciati in pace perché “possono servire pure a noi”, ma per “decapitare il nemico” bisognava colpire “gli intellettuali veri, le competenze tecniche, le reali capacità politiche ed amministrative”.
Nel febbraio successivo, conclude l’informatore, si svolsero altre riunioni durante le quali Graziani avrebbe impartito gli stessi ordini a tutti gli iscritti, “raccomandando soprattutto la più vasta penetrazione entro i partiti antifascisti”. Di queste “tenebrose manovre”, aggiunge, sarebbe stato “tempestivamente” informato il SIM, invitato inoltre ad avvisare i partiti per sventare questo “tranello che si tendeva loro”. Ma i partiti invece “spalancarono senza alcuna precauzione le porte” ed il 25 aprile si videro “frotte di squadristi e di ex militari repubblichini tra i volontari della libertà”.

Fin qui il testo riportato nell’articolo di Contini. Altri dati in merito comparirebbero in un rapporto inviato a Mussolini dal Ministero dell’Interno (della RSI) il 21/3/45, con oggetto “costituzione di centri di spionaggio e di operazioni”, dove sarebbe scritto (4):
“il servizio politico della GNR ha creato nel suo seno un organismo speciale che funziona già e la cui potenza sarà accresciuta”. Questo servizio sarebbe composto da un ufficiale superiore (...) 16 osservatori corrieri, 18 agenti informatori per il territorio della RSI e 43 per “l’Italia invasa” (altri avrebbero detto “liberata”, ndr). “Ognuno di essi vive sotto una falsa identità scelta in modo da non destare alcun sospetto”. Il lavoro in atto al momento della redazione del rapporto sarebbe stato “l’insediamento di un gruppo incaricato della fabbricazione di carte e documenti falsi e alla creazione a Padova di un ufficio commerciale che assicuri la copertura ai nostri agenti”.
Gli autori di questo ultimo articolo commentano che Padova e il Veneto “venticinque anni dopo saranno al centro della strategia della tensione e dei suoi complotti, ed aggiungono che il rapporto avrebbe raccomandato, come coperture, “l’infiltrazione nel Partito comunista e nel CLN”. 
Sarebbe a questo punto necessario rileggere, tenendo presenti queste relazioni, tutta la storia della Resistenza e di quei fatti “strani” che accaddero a lato di essa, ma ci riserviamo di farlo in altra sede, più articolata. Ricordiamo soltanto che nell’Italia liberata dagli Alleati operarono da subito con attentati ed altre azioni armate, per destabilizzarne l’ancora precario equilibrio raggiunto, gli NP (Nuotatori Paracadutisti) della Decima Mas di Nino Buttazzoni, che nel dopoguerra fu contattato da agenti dei servizi statunitensi che gli offrirono una copertura (era ricercato per crimini di guerra) se avesse collaborato in funzione anticomunista.
Tornando alle infiltrazioni, ricordiamo la vicenda del “conte rosso”, Pietro Loredan, “partigiano” della zona di Treviso, i cui “occasionali rapporti con i partigiani erano guidati direttamente dai servizi segreti di Salò in piena applicazione, dunque, delle direttive contenute nel Piano Graziani” (5). 
Pietro Loredan, militante dell’ANPI e del PCI, risultò, in un appunto del SID del 1974, avere fatto parte di Ordine Nuovo nel periodo 1960-62 ed essersi iscritto nel 1968 al Partito comunista marxista leninista d’Italia, ed assieme al suo amico conte Giorgio Guarnieri (altro ex partigiano membro di una missione militare americana durante la guerra di liberazione) ebbe dei rapporti di affari con Giovanni Ventura ed i due “partigiani” utilizzarono le loro qualifiche per accreditare Ventura nell’ambiente della sinistra e favorirne la sua opera di infiltrazione (Ventura si iscrisse proprio al PC m-l per darsi una copertura a sinistra) (6). Inoltre alcune “voci” dissero che la villa di Loredan presso Treviso fosse servita come punto di ritrovo in preparazione del poi rientrato “golpe” di Borghese, ed in essa nel 1997, nel corso di lavori di restauro commissionati dal nuovo proprietario (l’industriale Benetton), fu trovato un deposito di armi.

Anche il ricercatore Giuseppe Casarrubea ha parlato del Piano Graziani, in relazione però alla vicenda di Salvatore Giuliano. Prima di essere ucciso, il “bandito” Gaspare Pisciotta aveva accennato ad un religioso, il frate benedettino Giuseppe Cornelio Biondi, che si sarebbe fatto pagare dalle autorità per la cattura di Giuliano ma “li avrebbe utilizzati per una colossale truffa a danno di un commerciante siciliano”. Biondi dipendeva da un monastero di Parma ma per un periodo aveva vissuto a Padova e Casarrubea scrive “Padova, ambiente frequentato dal monaco benedettino, era un centro di eversione anticomunista. Qui, il 21 marzo del 1945, in attuazione del piano Graziani, si era costituito il coordinamento della rete clandestina destinata ad operare dopo la sconfitta (...)” (7).

Facciamo ora un passo indietro, all’epoca in cui operava in Italia, come capo delle operazioni dell’OSS, il ventiduenne italo americano Max Biagio Corvo, che già dalla fine del 1942 aveva pianificato, con un dettagliato piano d’intelligence, l’occupazione della Sicilia dell’estate del ‘43 e la successiva liberazione dell’Italia. Corvo aveva arruolato i suoi più stretti collaboratori tra la cerchia di amici della propria città, Middletown, nel Connecticut, e tra essi vi era “Emilio Q. Daddario, atleta di eccezionali capacità della Wesleyan University” (8). L’università “wesleyana” fa riferimento alla chiesa metodista, all’interno della quale vi era una forte presenza massonica (9). 
Daddario, nome in codice “Mim”, arrivò a Palermo nel dicembre del 1943 ma rimase poco tempo negli uffici siciliani dell’Oss, dopo alcune settimane venne trasferito nel nuovo comando operativo di Brindisi con l’incarico di vice di Corvo. Nell’aprile del 1945 si trovava in Svizzera alle dirette dipendente di Allen Dulles, direttore dell’Oss per l’Europa e futuro capo della Cia. Corvo però lo richiamò in Italia per affidargli un compito assai delicato: la cattura di Mussolini e di alcuni ministri della Repubblica sociale di Salò in fuga sulle montagne piemontesi (10).
Lo storico Franco Fucci scrive che Daddario era stato reclutato “probabilmente per partecipare alle trattative di resa dei tedeschi in Italia” (e qui si inserisce l’Operazione Sunrise, cioè la trattativa condotta da Dulles, i servizi segreti svizzeri ed il comandante della SS Karl Wolff, che servì a mettere in salvo moltissimi criminali di guerra in cambio della rinuncia tedesca alla resistenza nel ridotto alpino); infatti il 27/4/45 fu tra coloro che presero in consegna a Como “tre importanti prigionieri di guerra il maresciallo Graziani, il generale Bonomi, dell’aviazione e il generale Sorrentino dell’esercito” e li portarono a Milano (11). 
Rodolfo Graziani fu posto in salvo da Daddario, con il consenso del generale Raffaele Cadorna (comandante in capo del CVL), leggiamo, e fu trasferito il 29/4/45 al comando del IV corpo d’armata corazzato americano di stanza a Ghedi (12) . 
Dopo la guerra Graziani scrisse una lettera direttamente a Daddario dal suo campo di prigionia ad Algeri il 15 giugno 1945, che riportiamo di seguito: 

Caro Capitano Daddario, 
le scrivo da questo campo. Desidero ringraziarti dal più profondo del cuore per quello che lei fece per me in quei momenti molto rischiosi. Non vi è alcun dubbio che io devo a lei la mia salvezza, durante i giorni del 26, 27, e 28 aprile. Per questo il mio cuore è pieno di ringraziamenti e gratitudine e non la dimenticherò mai per tutto il tempo che mi rimarrà di vivere, io sto bene in questo campo e vengo trattato con molto rispetto. Spero che Iddio mi assista per il futuro e che l’Umana Giustizia consideri il mio caso e lo giudichi con equità. La prego di scrivermi e assicurarmi che quanto le lasciai in consegna venne consegnato a destinazione. Mi faccia anche sapere se ha con lei il mio fedele Embaie (13) che la prego di proteggere e assistere. L’abbraccio caramente e non mi dimentichi. 
Vostro molto affettuosamente, Rodolfo Graziani.

A questo punto viene da chiedersi se tra le cose che Graziani “lasciò in consegna” a Daddario ci fossero anche le direttive del suo “piano”.


NOTE.
1) Documento pubblicato nella rivista “Storia Illustrata”, novembre 1985, dove leggiamo che è conservato nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma, fondo Polizia Militare di Sicurezza, busta 2.
2) Contini scrive che la Fss era “dell’Oss” (la futura CIA), ma questo dato non è corretto.
3) In http://www.stampalternativa.it/wordpress/2007/06/04/tigre-dal-diario-in-poi-2/ ma si tratta di un dato senza conferma.
4) Usiamo il condizionale perché il testo che riportiamo è trascritto senza l’indicazione della posizione archivistica del documento in Italia Libera Civile E Laica = Italia Antifascista 21/3/11, “21 marzo 1945 – Salò, importantissimo documento dei servizi segreti della RSI da conoscere e condividere!!!”.
5) Così scrive Carlo Amabile nel sito www.misteriditalia.com.
6) “Del conte Guarnieri si era molto parlato durante l’inchiesta sulla cosiddetta pista nera, ed era stato indicato come il finanziatore di Freda e Ventura (...) si era poi accertata l’amicizia con Loredan, un nobile veneto che con i due neofascisti aveva avuto contatti diretti e frequenti”, leggiamo nel “Meridiano di Trieste” del 21/6/72. Guarnieri aveva anche una residenza a Trieste, e “il 14 maggio 1972, tre giorni prima di essere ucciso, il commissario Calabresi andò a Trieste per far visita al conte Guarnieri. L’accompagnava l’ex questore di Milano, Marcello Guida. Subito dopo i funerali, Guida tornò a Trieste da Guarnieri e stavolta si fece accompagnare dal prefetto di Milano, Libero Mazza” (M. Sassano, “La politica della strage”, Marsilio 1972, p. 168). Calabresi si fece accompagnare, oltre che da Guida, anche dal senatore democristiano Giuseppe Caron di Treviso, che era stato segretario del CLN della sua città.
7) https://casarrubea.wordpress.com/page/45/
8) Ezio Costanzo “Uno 007 in Sicilia”, “Repubblica” 20 luglio 2010.
9) In http://www.cassibilenelmondo.it/Max_Corvo.htm
10)Ezio Costanzo “Uno 007 in Sicilia”, “Repubblica” 20 luglio 2010.
11)F. Fucci, op. cit. p. 75.
12)http://www.treccani.it/enciclopedia/rodolfo-graziani_(Dizionario-Biografico)/ 
12)Embaie era un ascaro al servizio di Graziani.

novembre 2011




(Una rassegna dei finanziamenti NED in Serbia, diretti a 20 organizzazioni per una cifra totale che si aggira sul milione di dollari... Sullo stesso argomento si vedano anche i numerosi documenti e link raccolti alla pagina: https://www.cnj.it/documentazione/eversione.htm )


НЕД 20 невладиних организација у Србији финансирао са милион долара

СРБИЈА МЕЂУ 90 ЗЕМАЉА У КОЈИМА САД РЕАЛИЗУЈУ 1000 ПРОЈЕКАТА ПРЕКО НЕД ФОНДАЦИЈЕ


[PHOTO: Председник НЕД-а, Карл Гершман, уручује награду Џамелу Бетајебу, једном од вођа „арапског пролећа”]

  • У чему је логика ако се НУНС помаже са 31 500 долара, а НДНВ (Независно друштво новинара Војводине) са 289 800 долара?
  • Пешчаник 397 700 долара и Центар за међународно прививатно предузетништво (ЦИПЕ) са 256 569 долара - „тешкаши” по сумама којима је НЕД  помогао њихове активности

         ПРЕМА годишњем изваштају америчког НЕД (Национална задужбина за демократију) за 2011.годину, 20 невладиних организација у Србији примило је укупно милион долара за промоцију посебности „регија у Србији“, као што су Војводина и „Санџак“, за утицање на доношење закона, усмеравање новинара, борбу за децентрализацију, отварање форума о евро-атлантским интеграцијама.

         Ко финансира Независно удружење новинара Србије – НУНС, Истиномер, Пешчаник, Е-новине, НИП Врањске или ЈУКОМ - и зашто? Одговор стиже директно из пера америчких оснивача овог приватног фонда Конгреса САД.

         Асоцијација локалних независних медија „локал прес“

         40 000 долара

         Да настави са извештавањем о изазовима који су пред Србијом на путу демократске транзиције – на локалном нивоу. Зато ће 15 чланица Асоцијације произвести, разменити и објавити серију од 17 чланака у којима ће се разматрати различити аспекти процеса децентрализације у Србији и информисати грађане како (де)централизација утиче на њихове заједнице.

         Размена чланака, јавни округли сто и телевизијски програм ће проширити домет пројекта на целу земљу.

         Центар за развој цивилних ресурса

         40 586 долара

         Да настави да промовише слободу изражавања и поштовање различитости и људских права на југу Србије. Дата средства ће покрити оперативне трошкове алтернативног културног центра ове организације, који ће организовати серију од 16 дискусионих панела, округлих столова, изложби, радионица и јавних догађаја на тему људских права и недавних конфликата на Балкану.

         Центар за међународно прививатно предузетништво (ЦИПЕ)

         256 569 долара

         Да ојача „глас бизниса“ у „јавно – приватном дијалогу“ и да повећа капацитет српске пословне заједнице да учествује у процесу доношења закона.

         ЦИПЕ и његов партнер ће консултовати чланове регионалних трговинских комора о препрекама за обављање пословних активности и њиховим предлозима за реформе, помоћи ће им да се ангажују у лобистичким кампањама код владе и помоћи у надзирању статуса законодавних предлога.

         Центар за истраживање, транспарентност и одговорност

         48 750 долара

         Да промовише транспарентност и одговорност српског парламента.

         Центар ће надзирати заседања парламента, анализирати извештаје и ток рада парламента, пратити општи законодавни процес и трендове и бележити иступања индивидуалних посланика.

         Резултати надзора ће бити представљени на посебном сајту који ће бити повезан са револуционарним вебсајтом „Истиномер“ те организације.

         Центар ће такође организовати промотивне догађаје, држати прес-конференције и објављивати билтен ради даљег промовисања њених резултата у надзору.

         Центар је добио још 47 000 да настави да развија и промовише свој револуционарни веб сајтwww.istinomer.rs који служи као свеобухватна база података за проверу тачности политичких чињеница. Сајт пружа непартијска поређења и процене изјава  званичника и њихове наступе у Србији.

         Веб сајт ће бити проширен тако да укључи анализе које ће подносити НВО активисти и новинари у десет градова, које ће Центар обучити да надгледају рад и изјаве власти и званичника на локалном нивоу.

         Е новине

         41 850 долара

         Да промовишу више професионалне и етичке стандарде у новинарству у Србији и региону.

         Током девет месеци особље Е новина и новинари сарадници ће производити око 15 аналитичких текстова месечно за on line дневник www.e-novine.com како би подигли свест о улози медија током ратова деведесетих година, и како би охрабрили јавну дебату о тренутној медијској ситуацији у региону.

         Пешчаник

         397 700 долара

         Да настави да охрабрује јавну дебату о најважнијим друштвеним, политичким и економским темама везаним за српску демократску транзицију, као део популарног мултимедијалног програма који представља форум за отворену дискусију истакнутих законодаваца, грађанских и политичких лидера, новинара и академика. Пешчаник ће за ово користити НЕД фондове да настави са производњом свог највише рангираног недељног радио-програма и свог интерактивног политичког е–часописа: www.pescanik.net

         Отприлике 32 радио програма и 75 чланака ће бити произведени и објављени.

         НУНС

         31 500 долара

         Да настави да омогућава независно извештавање у Србији.

         Кроз свој Центар за истраживачко новинарство (ЦИНС), Удружење ће наставити да промовише концепт независног извештавања и повећати вештине младих новинара да производе квалитетне истраживачке чланке.

         ЦИНС ће огранизовати семинар, у трајању од 12 недеља, за истраживачко новинарство за 30 и приправништво за групу од 10 одабраних младих новинара. Најбољих пет ће добити стипендије да произведу истраживачке чланке.

         НДНВ (Независно друштво новинара Војводине)

         289 800 долара

         Да настави да обезбеђују форум за јавни дијалог о кључним питањима са којима се суочава српска демократска транзиција.

         НДВД ће организовати 6 панела о децентрализацији у Србији и одржаће тренинг-семинар за новинаре и уреднике који се баве овим темама.

         Додатно, НДВД ће надоградити и наставити да одржава веб сајт www.autonomija.info , важан извор вести и форум за јавну дебату.

         ЈУКОМ (Комитет правника за људска права)

         44 700 долара

         Да отвори дебату и промовишу идеје уставне реформе у Србији. ЈУКОМ ће анализирати недостатке актуелног устава у погледу владавине, владавине закона и људских права и предлагати амандмане који су неопходни да се устав поравна са ЕУ стандардима.

         Са партнерским организацијама, ЈУКОМ ће јавно промовисати своје закључке и заговарати усвајање препоручених амандмана.

         Миленијум

         29 900 долара

         Да настави промоцију демократских вредности и да настави да подстиче јавну дебату међу грађанима централне Србије о најважнијим социјалним, економским и политичким темама у вези са евро-атлантским интегацијама Србије.

         Миленијум ће организовати серију од 15 филмских пројекција и ТВ дебата у 9 различитих српских градова, што ће омогућити форум за отворену дискусију истакнутих законодаваца, грађанских и политичких лидера, новинара и интелектуалаца пред живом публиком.

         Национална коалиција за децентрализацију

         43 950 долара

         Да настави да унапређује процес децентрализације у Србији изграђујући подршку јавности за реформу локалне власти и децентрализацију.

         Користећи моћ нових и традиционалних медија, коалиција ће организовати мултимедијалну кампању, осмишљену да мотивише обичне грађане да учествују у процесу унапређивања децентрализације.

         Кампања ће укључити серију ТВ програма „он лајн“ такмичење, штампане и електронске билтене и друге форме отварања ка грађанима и њиховим изабраним представницима.

         НИП Врањске

         20 000 долара

         Да истраже, произведу и објаве 24 велике теме односно чланке који се тичу кључних политичких, социјалних и економских питања од значаја за етничке заједнице на југу Србије.

         Нудећи висококвалитетне, избалансиране и актуелне информације од општег интереса за све грађане, Врањске ће наставити да подстичу дијалог и граде поверење између албанске и српске заједнице у овој проблематичној регији.

         Школа новинарства Нови Сад

         58 000 долара

         Да спроведе широку кампању која има за циљ подизање јавне свести о превази корупције у кључним јавним аренама – као што су политика, здравство и образовање.

         Кампања, која ће бити спроведена у 4 земље југоисточне Европе ће циљати на омладину и у њу ће бити укључене креативне студентске акције, медијске продукције и регионални форуми.

         У оквиру ширег, вишегодишњег пројекта, средства НЕД ће бити искоришћена за спровођење активности у Србији.

         Регионални центар за мањине

         29 800 долара

         А подигне јавну свест и охрабри адекватну примену антидискриминаторног законодавства у Србији. Центар ће организовати тренинге да изгради капацитете локалних организација за људска права који ће покретати питања дискриминаторног понашања и праксе, надгледати рад релевантних регулаторних тела, промовисати препоруке за унапређену примену закона,

         Истаживачки центар Лесковац

         38 000 долара

         Да настави да изграђује вештине студената активиста на југу Србије и да им омогући да играју значајнију улогу у промовисању питања који се односе на омладину у овом неразвијеном региону. Пројекат ће бити спроведен у две јужне општине Јабланица и Пчиња, укључиће три тренинга, 15 радионица, шестодневни семинар, серију средњошколских дебата, допуњених месечном публикацијом коју припреме учесници.

         Урбан ин

         38 000 долара

         Да охрабри јавну дебату о најважнијим политичким, економским и социјалним темама које се односе на проблематичну регију Санџака.

         Урбан ин ће организовати 8 јавних дебата, које ће бити ТВ емитоване и које ће омогућити форум за оторену дискусију власти, цивилних и политичких лидера, новинара и интелектуалаца пред живом публиком.

         Урбан ин ће организовати три догађаја за промоцију регионалног дијалога  и сарадње са активистима из суседних држава.

         Војвођанка – регионална женска иницијатива

         50 000 долара

         Да настави да подстиче јавну дебату о људским правима и да подижу свест о људским правима. Шесте године, Војвођанка ће организовати Фестивал људских права – VIVISECTfest у 13 градова у Србији.

         Храбрим коришћењем фотографија и документараца, фестивал даје јединствен оквир за дебату о питањима која су важна за демократизацију западног Балкана.

         Очекује се да ће више од 6000 људи посетити фестивал „Освајање слободе“ у 2011.

         Омладински центар ЦК 13

         26 986 долара

         Да спроведе мултимедијални програм едукације који промовише омладински активизам и поштовање различитости у српској покрајини Војводини.

         ЦК13 ће организовати серију од најмање 40 радионица, наступа, публикација и других активности, представљајући младим људима другачија средства за изражавање и обезбеђује им вештине да обликују јавну дебату на нов и креативан начин..

         Центар ће, такође, обезбедити форум за јавни дијалог о осетљивим питањима са којима се суочава омладина у Војводини.

         Иницијатива Зајечар

         48 900 долара

         Да настави да промовише омладински активизам у јужној Србији оснажујући средњошколске парламенте и омладинске НВО, омогућавајући им да играју значајнију улогу у питањима која се односе на омладину.

         Иницијатива ће организовати тренинге  да помогне младима да се више укључе у своју заједницу и дати мале донације до 3000 долара за око пет организација у тимочкој регији.

         Србија је, иначе, међу чак 90 земаља у којима САД реализују 1000 пројеката преко НЕД фондације.

 

           Диана Милошевић




Inizio messaggio inoltrato:

Da: "Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma" <comitatoantifasc_pr @ alice.it>
Data: 11 settembre 2012 12.01.33 GMT+02.00
Oggetto: un altro 11 settembre


l'11 settembre 1973 in Cile il golpe fascista sostenuto dall'amministrazione USA, dal segretario di stato Henry Kissinger, che col massacro di migliaia di cileni pose fine al Governo di sinistra, democraticamente eletto, di Unidad Popular guidato da Salvador Allende. Un'esperienza politica avanzata di democrazia e socialismo, quella di Unidad Popular, che avrebbe potuto cambiare il corso della storia del Cile, avere ripercussioni internazionali, essere d'esempio per diversi altri Paesi del mondo.  
Nel gennaio '78 il Comune di Parma ha conferito la cittadinanza onoraria a Kortensia Bussi De Allende,  vedova del Presidente Allende, Luis Corvalan Lepe, segretario del Partito Comunista Cileno, Bernardo Leighton Guzman, dirigente antifascista della Democrazia Cristiana cilena.

Inti Illimani  "Ya parte el galgo terrible" (YouTube):  http://www.youtube.com/watch?v=6m_AotV9X1M

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Ma gli 11 settembre, entrambi, sono lontani


Posted By Gennaro Carotenuto On 11 settembre 2012

A 39 anni di distanza dall’11 settembre 1973 e 11 da quello del 2011 è oramai consolidato un dannoso antagonismo tra le due ricorrenze. Il ricordo dell’11 settembre 1973, l’abominio di un colpo di stato contro il governo democratico cileno presieduto da Salvador Allende, eterodiretto dagli Stati Uniti (nella foto il sicario Pinochet stringe la mano al mandante Kissinger), è osteggiato dal complesso mediatico-industriale fino a rappresentarne la volontà di commemorarlo come una provocazione, un’offesa alle vittime dell’11 settembre ‘ufficiale’.

Il ricordo del più grande singolo atto terroristico della Storia, quello di New York, continua intanto a essere rappresentato come il più straordinario esempio di “uso pubblico della Storia”. Appare sempre più chiaro che invece i due eventi sono intimamente legati e fondativi della nostra contemporaneità.

Un’ideologia iniqua, razzista e criminale, il neoconservatorismo, fu infatti capace di usare gli atti terroristici dell’11 come il nascente Terzo Reich fece con l’incendio del Reichstag nel 1933. Il terrorismo, come spesso accade, fu stabilizzante. Furono demonizzate, col pretesto di questo (Genova ne fu illuminante antefatto), le ragioni dei critici di un modello economico e sociale i guasti del quale erano già sotto gli occhi di tutti. Il delirio millenarista dei neoconservatori ebbe il pretesto per mettere a ferro e fuoco mezzo mondo. Ben peggio avrebbe fatto, basta ricordare l’allucinante “Asse del male latinoamericano da colpire” o i 40-50 paesi da attaccare millantati da Donald Rumsfeld, se ne avesse avuto il tempo.

Nel giro di pochi anni non un solo leader di quella stagione politica (Bush, Rumsfeld, Tony Blair, José María Aznar, Silvio Berlusconi), a dimostrare in che mani fossimo, mantiene un minimo di credibilità e onorabilità. Riuscirono solo, a prezzo d’inenarrabili tragedie, a dare ancora un po’ di benefit ai loro grandi elettori, stringendoci a coorte nella solidarietà a quel modello che ergevano a simbolo stesso di un Occidente sotto attacco, e che in quella identificazione veniva umiliato. Era così forte, stridente, volgare, la correlazione tra quegli attentati e l’uso pubblico di questi da essere per molti sospetta. Un decennio dopo, i fondamentalismi contrapposti, quello islamico e quello protestante, entrambi oscurantisti e suprematisti, sono impantanati. L’esportazione della Jihad attraverso le bombe non ha prosperato come non ha prosperato la pretesa di usare la supremazia militare per imporre il predominio degli Stati Uniti e dei satelliti di questo sul mondo.

In particolare per il fondamentalismo protestante la nemesi fu feroce. Pretendevano di usare l’11 settembre addirittura per far finire la Storia e imporre a tutto il pianeta il loro modello sociale ed economico e disporre, attraverso l’imposizione con la forza di governi servili (come col fallito golpe in Venezuela dell’11 aprile 2002), di risorse per un altro giro di giostra. Ancora questa settimana un povero cristo è morto a Guantanamo, la base militare statunitense in territorio cubano occupato illegalmente da più di mezzo secolo. Stava lì da oltre dieci anni e non era mai stato incriminato di alcunché, a dimostrazione che al neoconservatorismo di esportare democrazia e stato di diritto non importasse affatto.

La realtà li ha smentiti nelle loro frenesie da dottor Stranamore. Intere regioni del pianeta non rispondono più e quelle che rispondono, come l’Europa, sono in affanno. Neanche i talebani afghani sono stati sconfitti con le armi. I regimi rovesciati, dall’Iraq alla Libia, hanno lasciato spazio a simulacri di democrazia. L’Occidente, nel breve volgere di un decennio, non è più il centro del mondo ma un frammento del mondo multipolare. La Cina, l’India, interi continenti come l’America latina, concertano cammini autonomi senza riconoscere primogeniture. Di “nuovo secolo americano” non parla più nessuno. L’FMI, lungi dall’aver smesso di fare disastri, non è più egemone. Perfino il G8, che ancora a Genova si atteggiava a governo del mondo, è stato di fatto sostituito dal G20, istanza imperfetta ma più rappresentativa, in attesa che le Nazioni Unite cambino o periscano. Soprattutto, la crisi strutturale del modello neoliberale morde lo stesso Occidente. I tecnocrati chiamati al governo applicano le stesse ricette che hanno portato al disastro. Nelle periferie di questo, dal Messico alla Grecia, si palesa come incubo la fine del lavoro evocata da Jeremy Rifkin come sogno meno di vent’anni fa.

Lo spettro della fine del lavoro, che vuol dire fine dell’aspettativa di vita degna per moltitudini di persone, ci riporta al punto di partenza. Fu per risolvere armi alla mano il conflitto tra capitale e lavoro che fu bombardato il palazzo della Moneda a Santiago del Cile quell’11 settembre di 39 anni fa. Arrivarono i Chicago Boys, gli economisti neoliberali venuti dal Nord, che poterono sperimentare sulla carne viva dei lavoratori cileni torturati le loro teorie. Non risolsero ma pretesero di cancellare tale conflitto, incarnato dalla figura alta di Salvador Allende, come cancellarono le libertà sindacali e i diritti umani. Fu con le bombe alla Moneda che si aprì la stagione che portò al delirio d’onnipotenza neoconservatore, attraverso il reaganismo, il thatcherismo, il neoliberismo reale. Proprio in America latina arrivò a indurre carestie in paesi ricchissimi come l’Argentina. Infine, attraverso l’uso strumentale dell’11 settembre 2001, vollero le “guerre infinite” e seminarono la gramigna del nostro presente di declino.

Oggi, nonostante la figura di Allende si stagli ancora per etica, statura politica, visione della complessità, è lontano il Cile dell’Unidad Popular, il Cile dei sindacati e delle organizzazioni di classe, il Cile dell’universalità dei diritti al quale davamo il nome di Socialismo. È lontano ma è allo stesso tempo vicino, come testimoniano i governi integrazionisti latinoamericani e nello stesso Cile gli enormi movimenti studenteschi. È vicino perché, con quel golpe ignominioso, non fu messa fine a un’esperienza di governo in un paese periferico, ma si cancellò una possibilità concreta di progresso per sperimentare e imporre il modello che portò a infinite ingiustizie. È lontano l’11 settembre 1973, ma il Cile popolare ha ancora molto da insegnare. Al contrario il modello dell’11 settembre è davvero al capolinea.



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Skull and bones e la Massoneria contro il Cile?

Ricordando l’11 settembre 1973

di Claudia Cernigoi

La mattina dell’11 settembre 1973 a Santiago del Cile un colpo di stato militare, foraggiato dal governo degli Stati Uniti d’America, mise fino al sogno cileno, al governo progressista e riformista di Salvador Allende, che stava cercando di realizzare il socialismo con mezzi democratici.
Non gli fu permesso: nazionalizzare i mezzi di produzione sottraendoli ai capitalisti, soprattutto stranieri, per ridistribuire la ricchezza a tutto il popolo cileno in modo da garantire una vita decente a ciascuno, fu osare troppo. Allende fu ucciso dai golpisti mentre difendeva il proprio posto al palazzo presidenziale, migliaia di cittadini furono uccisi sommariamente in quei giorni, decine di migliaia imprigionati, torturati, internati in campi di detenzione. Erano sindacalisti, militanti, studenti, lavoratori, intellettuali, casalinghe, contadini. Ed il Cile precipitò in un incubo che durò per vent’anni.

I servizi statunitensi iniziarono a preparare la deposizione di Allende subito dopo la sua vittoria elettorale, (settembre 1970), dopo non essere riusciti ad impedirla. Il capo della stazione della Cia a Santiago nel 1970 era Dino Pionzio, un italo-americano membro dell’associazione Skull & Bones (letteralmente Teschio e Ossa, infatti il loro simbolo sembra quello dei pirati), una sorta di confraternita creata presso l’Università di Yale nel 1832, e della quale si dice sia il luogo in cui vengono formati coloro che sono destinati a determinare la politica degli Stati Uniti. Moltissimi dirigenti della Cia furono membri della Skull & Bones, così come ne fanno parte sia l’ex presidente George Bush, sia il suo concorrente democratico alle elezioni nel 2004, John Kerry.
Heinz Duthel, autore tedesco di una storia della Massoneria cita Pionzio come massone, particolare che ci ricorda che anche Allende era massone, così come era massone Pinochet, e che a questo proposito si dice che la responsabilità del golpe sarebbe da attribuire a Fidel Castro, iscritto alla stessa loggia di Allende e Pinochet, e che avrebbe detto ad Allende che poteva fidarsi del generale (teoria di Pierre Kalfon, più volte smentita).
In realtà noi abbiamo trovato che Allende era Maestro della Loggia Hiram 66 di Santiago (in “la Massoneria” delle edizioni Demetra) mentre Pinochet avrebbe aderito alla Loggia Vittoria n. 5 tra il 1941 ed il 1942 (“il Mastino” in http://www.papalepapale.com/develop/controstoria-imbarazzante-di-allende-massone-e-nazicomunista-parte-2/, articolo peraltro molto poco condivisibile), quindi se siano appartenuti alla stessa loggia può anche essere dubbio, però rimane il problema del ruolo che la massoneria ebbe nel golpe, considerando che alcuni fratelli massoni cospirarono per eliminare un altro fratello massone.
O forse furono proprio le scelte politiche ed economiche di Allende ad essere viste dai suoi confratelli come un tradimento nei confronti della comune consociazione, ed a provocare quindi una reazione così violenta ed efferata nei suoi confronti? 
Ricordiamo qui l’intervento di Allende alle Nazioni Unite nel 1972: 
“Ci troviamo davanti a un vero scontro frontale tra le grandi corporazioni internazionali e gli Stati.
Questi subiscono interferenze nelle decisioni fondamentali, politiche, economiche e militari da parte di organizzazioni mondiali che non dipendono da nessuno Stato.
Per le loro attività non rispondono a nessun governo e non sono sottoposte al controllo di nessun Parlamento e di nessuna istituzione che rappresenti l'interesse collettivo.
In poche parole la struttura politica del mondo sta per essere sconvolta.
Le grandi imprese multinazionali non solo attentano agli interessi dei Paesi in via di sviluppo, ma la loro azione incontrollata e dominatrice agisce anche nei paesi industrializzati in cui hanno sede.
La fiducia in noi stessi che incrementa la nostra fede nei grandi valori dell'umanità, ci da la certezza che questi valori dovranno prevalere e non potranno essere distrutti.”
Questo il motivo per cui Allende fu assassinato. Perché le “organizzazioni mondiali che non dipendono da nessuno Stato” non potevano permettere che la sua politica prendesse piede, non potevano permettere che si minassero i loro interessi.
Abbiamo voluto riproporre il discorso di Allende a distanza di quarant’anni perché ci sembra ancora del tutto attuale e condivisibile e per non perdere la memoria di un uomo coraggioso ed altruista, che il poeta uruguayano Mario Benedetti definì “uomo della pace”.

Settembre 2012





(The original version of this article, in english:
Manufacturing Failed States - by Edward S. Herman, Z Magazine, septembre 2012




9 septembre 2012

Pendant la Guerre du Vietnam, au-dessus de l’entrée d’une base américaine on pouvait lire : « Killing Is Our Business, and Business Is Good. » (« Tuer c’est notre affaire, et les affaires marchent fort »). Et en effet, les affaires marchaient vraiment très fort au Vietnam (de même qu’au Cambodge, au Laos ou en Corée), où on comptait par millions le nombre de civils tués. D’ailleurs elles se sont plutôt bien maintenues aussi après la Guerre du Vietnam.



Les massacres ont continué sur tous les continents, aussi bien directement que par l’entremise de « proxies » (1), partout où la « sécurité nationale » américaine avait besoin de bases, de garnisons, d’assassinats, d’invasions, de campagnes de bombardements, ou de sponsoriser des régimes assassins et d’authentiques réseaux et programmes terroristes trans-nationaux, pour répondre à la « menace terroriste » qui ne cesse de défier le pauvre « géant pitoyable » (2). Dans son excellent ouvrage sur l’ingérence des États-Unis au Brésil (United States Penetration of Brazil, Pennsylvania University Press, 1977), Jan Knippers Black montrait déjà il y a des années, combien l’acception merveilleusement élastique du concept de « sécurité nationale » peut être élargie, en fonction de ce qu’une nation, une classe sociale ou une institution estime qu’elle devrait pouvoir recouvrir. Au point que ce sont précisément « ceux dont la richesse et la puissance devraient en principe garantir la sécurité, qui sont en fait les plus paranoïaques et qui, par leurs efforts effrénés pour assurer leur sécurité, engendrent eux-mêmes leur propre [lot de] destruction ». (Son ouvrage traitait du risque d’apparition d’une démocratie sociale au Brésil dans les années 1960, et de son élimination grâce au soutien américain à une contre-révolution et à l’établissement d’une dictature militaire). Ajoutez à cela le besoin des entrepreneurs liés au complexe militaro-industriel, de favoriser des missions justifiant l’augmentation des budgets de défense, et la pleine et entière coopération des médias de masse à cette activité, et vous obtenez une terrifiante réalité.


En réalité ledit géant faussement paranoïaque s’est démené comme un beau diable pour produire des semblants de menaces à peu près crédibles, surtout depuis la chute de « l’empire du mal » que ce pays avait toujours prétendu « contenir ». Dieu merci, après quelques tentatives sporadiques de cristalliser l’attention sur le narco-terrorisme, puis sur les armes de destruction massive de Saddam Hussein, le terrorisme islamique tomba littéralement du ciel pour offrir à cette défunte menace un digne successeur, découlant tout naturellement de l’hostilité du monde arabe aux libertés américaines et de son refus de laisser à Israël la possibilité de négocier la paix et de régler pacifiquement ses désaccords avec les Palestiniens.


En plus d’optimiser les massacres et les ventes d’armes qui en découlent, les États-Unis devenaient ausside facto le premier producteur d’États ratés (3), à l’échelle industrielle. Par État raté, j’entends un État qui, après avoir été écrasé militairement ou rendu ingérable au moyen d’une déstabilisation économique ou politique et du chaos qui en résulte, a presque définitivement perdu la capacité (ou le droit) de se reconstruire et de répondre aux attentes légitimes de ses citoyens. Bien sûr, cette capacité de production des États-Unis ne date pas d’hier – comme le montre l’histoire d'Haïti, de la République Dominicaine, du Salvador, du Guatemala ou de ces États d’Indochine où les massacres marchaient si bien. On a d’ailleurs pu constater récemment une prodigieuse résurgence de cette production d’États ratés, occasionnellement sans hécatombes, comme par exemple dans les ex-républiques soviétiques et toute une kyrielle de pays d’Europe de l’Est, où la baisse des revenus et l’accroissement vertigineux du taux de mortalité découlent directement de la « thérapie de choc » et de la mise à sac généralisée et semi-légale de l’économie et des ressources, par une élite appuyée par l’Occident mais aussi plus ou moins organisée et soutenue localement (privatisation tous azimuts, dans des conditions de corruption optimales).


Une autre cascade d’États ratés découlait par ailleurs des « interventions humanitaires » et changements de régime menés par l’OTAN et les USA, plus agressivement que jamais depuis l’effondrement de l’Union Soviétique (c'est à dire depuis la disparition d’une « force d’endiguement » extrêmement importante bien que très limitée). Ici, l’intervention humanitaire en Yougoslavie a servi de modèle. La Bosnie, la Serbie et le Kosovo furent changés en États ratés, quelques autres s’en sortirent chancelants, tous assujettis à l’Occident ou à sa merci, avec en prime la création d’une base militaire US monumentale au Kosovo, le tout érigé sur les ruines de ce qui avait jadis été un État social démocrate indépendant. Cette belle démonstration des mérites d’une intervention impériale inaugura la production d’une nouvelle série d’États ratés : Afghanistan, Pakistan, Somalie, Irak, République Démocratique du Congo, Libye – avec un programme similaire déjà bien avancé aujourd’hui en Syrie et un autre visiblement en cours dans la gestion de la dite « menace iranienne », visant à renouer avec l’heureuse époque de la dictature pro-occidentale du Shah.


Ces échecs programmés ont généralement en commun les stigmates caractéristiques de la politique impériale et d’une projection de puissance de l’Empire. Ainsi par exemple l’émergence ou/et la légitimation (ou la reconnaissance officielle) d’une rébellion ethnique armée qui se pose en victime, mène contre les autorités de son pays des actions terroristes visant parfois ouvertement à provoquer une réaction violente des forces gouvernementales, et qui appelle systématiquement les forces de l’Empire à lui venir en aide. Des mercenaires étrangers sont généralement amenés à pied d’œuvre pour aider les rebelles ; rebelles indigènes et mercenaires étant généralement armés, entraînés et soutenus logistiquement par les puissances impériales. Ces dernières s’empressent bien sûr d’encourager et soutenir les initiatives des rebelles pour autant qu’elles leur paraissent propres à justifier la déstabilisation, le bombardement et finalement le renversement du régime cible.


Le procédé était flagrant durant toute la période du démantèlement de la Yougoslavie et dans la production des États ratés qui en sont issus. Les puissances de l’OTAN ayant alors pour objectif l’éclatement de la Yougoslavie et l’écrasement de sa composante la plus importante et la plus indépendante, à savoir la Serbie, elles encouragèrent à la rébellion les éléments nationalistes des autres républiques de la fédération, pour lesquelles le soutien voire l’engagement militaire de l’OTAN sur le terrain était naturellement acquis. Le conflit n’en fut que plus long et vira au nettoyage ethnique, mais pour ce qui est de la destruction de la Yougoslavie et de la production d’États ratés, ce fut une réussite (Cf. Herman et Peterson, « The Dismantling of Yugoslavia  », [Le démantèlement de la Yougoslavie], Monthly Review, octobre 2007). Assez curieusement, c’est avec l’aval et la coopération de l’administration Clinton et de l’Iran qu’on importa entre autres mercenaires, des éléments d’Al-Qaïda en Bosnie puis au Kosovo, pour aider à combattre le pays cible : la République Serbe (4). Mais Al-Qaïda comptait aussi parmi les rangs des « combattants de la liberté » engagés dans la campagne de Libye, et elle est aussi une composante notoire (même le New York Times le reconnaît désormais, fut-ce avec un peu de retard) du changement de régime programmé en Syrie (Rod Nordland, « Al Qaeda Taking Deadly New Role in Syria Conflict  », New York Times, 24 juillet 2012). Bien sûr, Al-Qaïda avait aussi été auparavant une pièce maîtresse du changement de régime [de 1996] (5) en Afghanistan, puis un élément clé du retournement de situation du 11 septembre (Ben Laden, leader rebelle saoudien de premier rang, d'abord sponsorisé par les États-Unis, puis lâché par ses sponsors, se serait ensuite retourné contre eux avant d’être diabolisé puis éliminé par ces derniers).


Ces programmes impliquent toujours une habile gestion des atrocités commises, qui permet de pouvoir accuser le gouvernement agressé d’avoir commis des actes de violence graves à l’encontre des rebelles et de leurs partisans, et ainsi de le diaboliser efficacement afin de pouvoir justifier une intervention plus massive. Cette méthode a joué un rôle clé pendant les guerres de démantèlement de la Yougoslavie, et probablement bien davantage encore dans la campagne de Libye et dans celle de Syrie. Elle doit d’ailleurs beaucoup à la mobilisation d’organisations internationales, qui prennent activement part à cette diabolisation en dénonçant les atrocités imputables au dirigeant visé, voire en le poursuivant et condamnant d’office au pénal. Dans le cas de la Yougoslavie, le Tribunal Pénal International pour l’ex Yougoslavie (TPIY), mis en place par l’ONU, travailla main dans main avec les puissances de l’OTAN pour s’assurer que la seule mise en accusation des autorités serbes suffirait à justifier toute action que les USA et l’OTAN décideraient d’entreprendre. Magnifique illustration cette mécanique, la mise en examen de Milosevic par le Procureur du TPIY fut lancée précisément au moment où (en mai 1999) l’OTAN décidait de bombarder délibérément les infrastructures civiles serbes pour accélérer la reddition de la Serbie – alors que ces bombardements mêmes étaient des crimes de guerre caractérisés menés en totale violation de la Charte des Nations Unies. Or c’est précisément le procès de Milosevic qui permit aux médias de détourner l’attention du public des exactions désobligeantes et illégales de l’OTAN.


De même, à la veille de l’agression de la Libye par l’OTAN, le procureur de la Cour Pénale Internationale (CPI) s’empressa de lancer des poursuites contre Mouammar Kadhafi sans même avoir jamais demandé le lancement d’une investigation indépendante, et alors qu’il était notoire que la CPI n’avait jusqu’ici jamais poursuivi personne d’autre que des chefs d’États africains non alignés sur l’Occident. Ce curieux mode de « gestion de la légalité » est un atout inestimable pour les puissances impériales et s’avère extrêmement utile dans la perspective d’un changement de régime comme dans la production d’États ratés.


Interviennent aussi des organisations humanitaires ou de « promotion de la démocratie », soi-disant indépendantes, à l’instar de Human Rights Watch, de l’International Crisis Group ou de l’Open Society Institute, qui régulièrement se joignent au cortège impérial en dressant l’inventaire des seuls crimes possiblement imputables au régime cible et à ses dirigeants, ce qui contribue notablement à radicaliser la polarisation des médias. L’ensemble permet la production d’un environnement moral favorable à une intervention plus agressive au nom de la défense des victimes.


S’ajoute ensuite le fait que, dans les pays occidentaux, les dénonciations ou allégations d’atrocités commises – que viennent renforcer les images de veuves éplorées et de réfugiés démunis, les preuves apparemment patentes d’exactions odieuses et l’émergence d’un consensus sur la « responsabilité de protéger » les populations victimes du conflit – émeuvent profondément une bonne partie des milieux libertaires et de gauche. Nombre d'entre eux en viennent alors à hurler avec les loups et à s’en prendre eux aussi au régime cible, pour exiger une intervention humanitaire. Les autres s’enfoncent généralement dans le mutisme, rendus perplexes, certes, mais craignant surtout de se voir accusés de « soutenir des dictateurs ». L’argument des interventionnistes est que, au risque de sembler soutenir l’expansion de l’impérialisme, on se doit de faire exception lorsque des choses particulièrement graves ont lieu et que tout le monde chez nous s’indigne et demande qu’on intervienne. Mais on se doit aussi, pour se montrer authentiquement de gauche, de tenter une micro-gestion de l’intervention pour contenir l’attaque impériale – en exigeant par exemple qu’on s’en tienne à une interdiction de survol en Libye (6).


Mais les États-Unis eux-mêmes ne sont pas l’une des moindres réussites de cette production d’États ratés. A l’évidence, aucune puissance étrangère ne les a jamais écrasés militairement, mais la base même de leur propre population a payé un tribut extrêmement lourd à leur système de guerre permanente. Ici, l’élite militaire, de même que ses alliés du monde de l’industrie, de la politique, de la finance, des médias et de l’intelligentsia, a très largement contribué à l’aggravation de la pauvreté et de la détresse généralisée, à la désintégration des services publics et à l’appauvrissement du pays, en maintenant la classe dirigeante, paralysée et compromise, dans l’incapacité de répondre correctement aux besoins et attentes de ses citoyens ordinaires, malgré l’augmentation constante de la productivité par tête et du PNB. Les excédents y sont intégralement captés par le système de guerre permanente et par la consommation et l’enrichissement d’une petite minorité qui – dans ce que Steven Pinker dans Better Angels of Our Nature appelle une période de « recivilisation » – combat agressivement pour pouvoir mener sa captation bien au-delà de la simple monopolisation des excédents, jusqu’au transfert direct des revenus, biens et droits publics de la vaste majorité de ses concitoyens (qui se démènent). En tant qu'État raté comme dans bien d’autres domaines, les États-Unis sont incontestablement une nation d’exception !



Traduit de l’Anglais par Dominique Arias pour Investigaction.

 

Notes :

(1) Ndt : Proxies, groupes paramilitaires ou mercenaires formés, armés, financés et soutenus ou dirigés par une ou plusieurs Grandes puissances pour déstabiliser un pays cible. Les conflits dits « de basse intensité » ou « dissymétriques » menés ainsi indirectement sont appelés « proxy wars  ». bien que souvent présentée comme telle, une proxy war est tout sauf une guerre civile.

(2) Ndt : Dans les médias et le cinéma américain, les États-Unis sont fréquemment représentés comme un pauvre « géant pitoyable », malhabile et balourd. Cette représentation permet de minorer les crimes de guerre et crimes contre l’humanité commis délibérément et sciemment par ce pays, en les faisant passer pour autant de bourdes et de maladresses parfaitement involontaires. Le terme « casualties »(négligences) désigne par exemple les victimes civiles d’exactions militaires, lorsque celles-ci sont commises par les USA ou leurs alliés.

(3) Ndt : États ratés (failed states), terme de diplomatie internationale qui désigne les États incapables de maintenir ou développer une économie saine, fait écho à « rogue states » (États voyous) et à « smartstates » (États malins : en l’occurrence ceux qui, à l’instar des États-Unis, évitent de déclencher et de mener officiellement eux-mêmes les guerres qui leur profitent.

(4) Cf. : Unholy Terror [terreur impie ou invraisemblable ou contre nature, l'acception de Unholy étant très large], de John Schindler, article particulièrement démonstratif sur ce sujet et qui, de fait, n’apparaît plus nulle part, sauf sur Z-Magazine ! Voir ici mon « Safari Journalism : Schindler’s Unholy Terror versus the Sarajevo Safari’s Mythical Multi-Ethnic Project  »Z Magazine, avril 2008.

(5) Ndt : Afghanistan :

  • Renversement de la monarchie 1978
  • Invasion soviétique en soutien au nouveau régime : 1979-1989
  • Guerre civile pro/anti-islamistes :1990-1996
  • Coup d’État et prise de pouvoir des Talibans : 1996
  • Début de l'intervention de Ben Laden dans le conflit : 1984
  • Création d’Al-Qaïda : 1987

(6) Cf. Gilbert Achcar, « A legitimate and necessary debate from an anti-imperialist perspective » [Un débat légitime et nécessaire à partir d’une perspective anti-impérialiste], ZNet, 25 mars 2011 ; et ma réponse dans « Gilbert Achcar’s Defense of Humanitarian Intervention  » [Gilbert Achar prenant la défense d’une intervention humanitaire], MRZine, 8 avril 2011, concernant « les finasseries de la gauche impérialiste ».

 

Edward S. Herman est Professeur Émérite de Finance à la Wharton School, Université de Pennsylvanie. Économiste et analyste des médias de renommée internationale, il est l’auteur de nombreux ouvrages dont : Corporate Control, Corporate Power (1981), Demonstration Elections (1984, avec Frank Brodhead),The Real Terror Network (1982), Triumph of the Market (1995), The Global Media (1997, avec Robert McChesney), The Myth of The Liberal Media : an Edward Herman Reader (1999) et Degraded Capability : The Media and the Kosovo Crisis (2000). Son ouvrage le plus connu, Manufacturing Consent (avec Noam Chomsky), paru en 1988, a été réédité 2002 aux USA puis en 2008 au Royaume Uni.

 

Source : Z Magazine, septembre 2012.





RITORNO SUL LUOGO DEL DELITTO

08-SET-12 20:05 

ANSA/ S.EGIDIO: DA DOMANI A SARAJEVO MEETING RELIGIONI, APRE MONTI

MINISTRO RICCARDI E VERTICI COMUNITA' OGGI RICEVUTI DAL PAPA (dell'inviato Fausto Gasparroni) (ANSA) - SARAJEVO, 8 SET - A due decenni dall'inizio dell' assedio che in quasi quattro anni, tra il 1992 e il 1996, lascio' oltre 12 mila morti e provoco' ferite non ancora rimarginate nel cuore dei Balcani, Sarajevo si propone come citta' della pace e del dialogo tra culture e religioni diverse. Si svolge da domani a martedi' nella capitale bosniaca, infatti, il meeting internazionale per la pace ''Vivere insieme e' il futuro - Religioni e culture in dialogo'', ''il piu' grande avvenimento di dialogo religioso e politico dalla guerra ad oggi'', promosso dalla Comunita' di Sant'Egidio in stretta collaborazione con l'arcidiocesi di Sarajevo, col patriarcato serbo ortodosso e con le locali comunita' islamica ed ebraica. E quanto l'incontro internazionale tocchi nodi cruciali del futuro europeo e dell'integrazione sociale e politica del continente nel delicato momento della crisi economica, e' sottolineato anche dal fatto che alla giornata di apertura interverranno personalita' della politica come il premier Mario Monti e il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. Nel pomeriggio di domani, dopo l'assemblea di apertura e dopo l'introduzione del ministro della cooperazione internazionale e dell'integrazione Andrea Riccardi, fondatore della Comunita' di Sant'Egidio, Monti, proveniente dal Forum di Cernobbio, interverra' su ''Crisi e speranza nel mondo della globalizzazione''. Van Rompuy, invece, su ''La civilta' europea del vivere insieme''. Partecipazioni, quelle di Monti e Van Rompuy, che dimostrano che questa ''non e' solo l'Europa dell' euro, ma l'Europa della cultura''. Oggi intanto, alla vigilia dell'incontro che rinnova lo ''spirito di Assisi'' proprio nella citta' martire della guerra dei Balcani, Riccardi, con mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio della Famiglia e assistente spirituale di Sant' Egidio, e il presidente della Comunita' Marco Impagliazzo, e' stato ricevuto a Castel Gandolfo da Benedetto XVI: un'udienza in cui si e' potuto parlare col Papa - peraltro in partenza la prossima settimana per il Libano - dei temi del Meeting, voluto ogni anno da Sant'Egidio sull'onda della storica preghiera di Assisi del 1986 di Giovanni Paolo II con i leader di tutte le religioni mondiali. ''Il dialogo tra i credenti e le religioni - ha detto al Sir Mario Marazziti, portavoce della Comunita' di Sant'Egidio - non ha paura di confrontarsi con il conflitto e con le difficolta' ma si chiede in maniera profonda come le religioni possono contribuire a cambiare il profondo della storia dell'uomo. Siamo in un momento nel Mediterraneo e nei Balcani dove il vivere insieme non sembra possibile ma e' la necessita' di tutti i giorni. Anche se ci sono difficolta', qui da Sarajevo le religioni si prendono la responsabilita' di lanciare un segnale di riconciliazione che in questo momento le classi politiche fanno fatica a fare''. L'incontro di Sarajevo, insomma, vuole riaffermare la cultura del vivere insieme come valore europeo e proposta dell'Europa al mondo intero. Gia' oggi, un evento di valore storico e' stata la partecipazione del patriarca della Chiesa serba ortodossa Irinej alla messa celebrata in cattedrale dal cardinale arcivescovo Vinko Puljic. Irinej, primo rappresentante serbo ortodosso in Bosnia dal periodo della guerra, ha anche pronunciato un saluto. Domani, inoltre, nel primo dei tre giorni che prevedono 30 tavole rotonde sui temi principali del dialogo ecumenico ed interreligioso, della convivenza e della ricerca di pace nelle societa' contemporanee, un atto altamente simbolico sara' la consegna di una copia della celebre Haggadah di Sarajevo (tipo di narrazione del Talmud e di parte della liturgia ebraica, salvato dai musulmani dalla distruzione) da parte della comunita' islamica di Bosnia Erzegovina agli inviati del Gran Rabbinato di Israele e ai rappresentanti della comunita' ebraica mondiale. (ANSA). 

(segnalato da Claudia C.
Sul ruolo delle religioni nello squartamento della Jugoslavia si veda anche la vignetta di Milena Čubraković:



Inizio messaggio inoltrato:

Da: Alessandro Di Meo <alessandro.di.meo  @  uniroma2.it>
Data: 07 settembre 2012 11.01.41 GMT+02.00
A: Recipient list suppressed:;
Oggetto: viaggio Serbia e Kosovo e Metohija


cari tutti, vi allego il report del secondo viaggio in Serbia e in Kosovo e Metohija, dello scorso agosto. Su:  http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.it/ lo stesso report, dal titolo: Oceani di speranza, è corredato di foto. ciao Alessandro  

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            visita: http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.com/

               "Deve esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
                      dove non soffriremo e tutto sarà giusto...
"
                             (francesco guccini - cyrano)

Un ponte per... associazione di volontariato per la solidarietà internazionale
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 (26 agosto-1 settembre 2012)

Viaggio di rientro per i tre ragazzi ospitati a casa mia, Beba, Saša, Andjela. In meno di 15 ore, dall’Umbria a Kraljevo, per circa 1400 chilometri con la macchina. A fine agosto ne avrei percorsi più di 8 mila. Nel bagagliaio, oltre valigie e regali vari, 2 televisori vecchi ma funzionanti per la famiglia di Novka Milanović, a Kraljevo. Ci saranno problemi, risolvibili, di sintonizzazione dei canali.

Il 27 agosto mattina, dopo aver sentito per telefono padre Ilarion del monastero di Draganac, parto per il Kosovo e Metohija, con l’obiettivo di:

incontrare alcune della famiglie che manderanno i figli il 3 settembre in Italia, al mare ad Anzio, in una vacanza organizzata da Un Ponte per...; visitare il monastero di Draganac dove svolge la sua opera padre Ilarion, col quale è iniziata una valida collaborazione e che si sta occupando proprio dei ragazzi che verranno in Italia e di molte famiglie da noi sostenute o sostenibili in futuro...; verificare, con il monastero di Dečani, lo stato dei lavori per la costruzione di pozzi artesiani in alcune zone abitate dai serbi in Kosovo e Metohija...; visitare la zona di Velika Hoča.

Mi accompagna Vesna, amica serba già una volta con me in Metohija per i sostegni, disponibile ad aiutarmi anche in questo tour.

La prima volta che sono stato a Draganac pensavo sarebbe stato impossibile tornarci. Adesso ho imparato e, anche se le strade restano impervie, il luogo lontano e isolato, ce la posso fare da solo. Quando si viaggia soli e con i propri mezzi è più semplice, dopo, ricordare la strada.

Abbiamo appuntamento con Ilarion a Gračanica, splendido monastero, perla dell’architettura medievale e patrimonio dell’Unesco. Il monastero è davvero troppo vicino alla strada e il rumore del quotidiano andirivieni ne mina fortemente l’atmosfera. Nel pomeriggio avverrà una cerimonia che vedrà una novizia prendere i voti come suor Melania. A celebrarla il vescovo Teodosije, che resterà al monastero per la festa della Dormizione di Maria del giorno dopo, 28 agosto (corrisponde all’Assunzione cattolica del 15 agosto).

Ilarion si farà attendere, noi assisteremo a tutta la funzione, prima di incontrarlo. Ma un contrattempo ci costringerà a tornare a Mitrovica, per ritornare poi a Gračanica a notte inoltrata.

Il giorno dopo si va a Draganac dove pure si celebra la Dormizione di Maria. Molti serbi vengono in visita e assistono alla funzione del mattino. Finito tutto, con Ilarion visitiamo una famiglia, quella di Maja Stanojković che sostituirà un’altra ragazzina che non ha ottenuto il passaporto.

C’è da dire che le cose sono molto confuse riguardo i passaporti e, spesso, si creano situazioni in cui è davvero difficile per le famiglie di queste zone ottenerlo. Per le spese, per i viaggi e per le troppo complicate, a volte, pratiche burocratiche da espletare.

Siamo a Šilovo, piccolo villaggio della zona di Gnjilane. Aspettiamo Maja e sua mamma presso la casa di Ivan, detto “Talijan”, perché da piccolo acchiappava le rane (gli italiani erano considerati dei mangia rane!). Ha aperto questo locale dove si mangia e si beve. Prenderemo delle pizze che la moglie prepara nel suo forno, “vera pizza italiana” ci dice (smentita, ovviamente, dal risultato!). Ma la pizza si lascia mangiare, Ilarion la prende per gli altri 3 monaci del monastero e per gli amici Carabinieri che, nel pomeriggio, verranno a consegnargli banchi e sedie per la scuola. Ilarion inizierà presto lezioni di religione presso le scuole dei villaggi per due volte la settimana, per 10 ore al giorno. Ma, intanto, oltre a svolgere la sua funzione, cerca di attivarsi per dare una grossa mano alla comunità. Questo mi piace di questo giovane monaco e questo ci accomuna, perché credo sia anche nello spirito di Un Ponte per..., se qualcosa ho capito in questi anni, proprio l’abbinamento “bene immateriale (preghiera, funzioni, contro-informazione)-bene materiale (le attività concrete a sostegno degli esclusi)”.

Dopo aver inviato dal computer di Ilarion la lista aggiornata dei ragazzi (c’è stata una sostituzione), mentre eravamo nel magazzino a scegliere lenzuola che mi sarei portato dietro per i ragazzi da ospitare ad Anzio, Ilarion se ne esce con un improvviso: “Arrivano i Carabinieri!”, che mi fa sobbalzare, apprensione subito sedata dal suo più rassicurante: “Portano banchi e sedie per la scuola...”. L’episodio, raccontato agli stessi Carabinieri, avrebbe suscitato in loro un certo divertimento...

E così, eccomi a dare una mano, con Ilarion occupato in altro, scaricando banchi e sedie e facendo gli onori di casa fra i Carabinieri Kfor del gruppo MSU di Pristina (Multinational Specialized Unit, Unità Specializzata Multinazionale), che gradiranno cibo, vino e rakija, con Vesna che fungerà da graditissima cameriera.

Partiti i carabinieri, raggiungiamo Bostane, piccolo villaggio dove c’è la chiesa anch’essa medievale di Sveta Bogorodica. C’è la festa e fa effetto sentire musica serba ad alto volume, tanti ragazzini e ragazzi serbi dei villaggi restare a festeggiare in un posto così piccolo, circondato da albanesi. Ma qui il conflitto è arrivato poco o, comunque, se ne è andato presto. Troppi isolati questi villaggi per suscitare interessi nella malavita che detiene il potere reale di questo neoNato narcostato! Ma ci tengono, le istituzioni locali (e ce ne accorgeremo presto), a far sapere che ora è tutto diverso, che non c’è più Jugoslavia, che non c’è più Serbia, che esiste solo la “Kosova” (anche se ci sarebbe da discutere sulla semantica di tante parole che vanno a sostituire le originali serbe. Parole e nomi senza una reale e accertata derivazione storica che, in realtà, trovano la loro origine nella terminologia serbo-croata. Per fare un esempio, il villaggio Petrovka, da sveti Petar, san Pietro, viene mutato in Petrove, giustificandone la derivazione dalla parola: pietra!).

A Bostane incontriamo Ivana e due sue amiche che verranno in Italia. Ivana vive ancora nella vecchia casa fatiscente a Gornje Kušce. Molte delle case di questi ragazzi andrebbero risistemate per meglio affrontare l’inverno. Stufe con un minimo di radiatori nelle stanze, sistemazione dei tetti, eliminazione di infiltrazioni... ma un altro inverno li attende. Speriamo non sia terribile come quello dello scorso anno.

Prima di arrivare a Bostane, con Ilarion siamo andati a visitare la chiesa di Ranilug, a Kosovska Kamenica. Qui Ilarion sta sperimentando con dei ragazzi la posa in opera di un intonaco speciale che riproduce l’effetto del marmo, all’interno della chiesa. Tre prove sono state eseguite sul muro all’interno, ne scelgono una. La chiesa deve essere completamente intonacata all’interno, mentre fuori marmo tipo travertino ricorre con file di mattoncini rossi. Un vecchio, dal terreno vicino, ci chiede acqua perché non ne ha. Ne prendiamo una bottiglia da una vicina fontana privata. La beve, contento.

Torniamo a Gračanica, c’è tanta gente nella strada. Le persone passeggiano, mangiano, bevono nei bar aperti fino a tardi, la festa è molto sentita. Nel monastero incontro suor Irina. Ci mostra le stanze dove dormire. Ma le funzioni e le visite continuano fino a notte fonda, anche se disturbate dalla musica esterna che arriva ad alto volume. Sembra che le autorità albanesi finanzino giovani serbi per organizzare feste in determinate date, come ad esempio quella di oggi. C’è una sfilata da qualche parte, si eleggerà miss Gračanica e si canta, si beve, si balla. E allora, la ricorrenza religiosa viene in qualche modo profanata.

Il giorno dopo, alle 4 e 30, una monaca chiama alla funzione battendo ritmicamente il Klepalo (Toaca). Questa pratica viene dal periodo di dominazione turca quando le campane era vietato suonarle perché infastidivano gli invasori. Ma le campane risuoneranno più tardi, dalle 5 in poi. Ho appuntamento con un certo Siniša che cura le pratiche di richiesta visti per i ragazzi. Alle 10 arriva, ma dobbiamo aspettare comunicazioni per andare in ambasciata. Tardando ad arrivare, decido di andare comunque. Siniša torna e mi lascia tutte le pratiche compresi i passaporti del gruppo. Incontro padre Andrej, del monastero di Dečani, che è in giro a raccogliere anche lui banchi e sedie dai carabinieri di Priština. Mi fissa un appuntamento con padre Isaja per andare a vedere come procede il lavoro di scavo dei pozzi. Ma mi sarà impossibile andare. Perché una volta a Priština, chiedendo di essere ricevuti perché Francesco dell’ass. Amici di Decani ha fissato un appuntamento, ci dicono che non c’è nessun appuntamento e che, se vogliamo parlare con loro, dobbiamo aspettare le 15!

Alle 15 siamo ricevuti dal signor Petani, dell’ufficio visti che, nel vedere quel che è stato prodotto, dice che sarà impossibile ottenere i visti. Siamo al 29 agosto, mercoledì, i ragazzi hanno il biglietto per lunedì 3 settembre. Che fare? Cerco di scusarmi per il disguido, forse qualcuno non si è occupato della cosa nel modo migliore, dico, cercando di ammorbidire il responsabile dell’ufficio, molto freddo e distaccato. Dovremo compilare i formulari, produrre gli atti di assenso, i certificati di nascita, 2 foto per ciascuno dei richiedenti, l’assicurazione per tutto il gruppo. Ma il tutto per domani, giovedì 30 agosto, entro le 15! Altrimenti niente vacanza per i ragazzi e soldi dei biglietti aerei buttati! Non ci voglio neppure pensare...

Noi siamo a conoscenza delle procedure ma pensavamo che si fosse preparato tutto, al monastero, con l’aiuto di chi aveva garantito a Ilarion la collaborazione. Ma è tardi per fare elenco di responsabilità e fraintendimenti, dobbiamo accelerare i tempi, abbiamo solo una sera, una notte, una mattina. Per cui inizia la spola fra Gračanica, con l’incantevole lago Gračaničko jezero ad accompagnarci, Draganac e Bostane, fino nella casa di Emir Ferković, prete ortodosso Rom, parroco della chiesa di Sveta Bogorodica, dove iniziano ad arrivare le famiglie subito avvisate da Ilarion per compilare formulari, produrre le foto (Ilarion ha convocato un ragazzo fotografo che fa foto a chi ne è sprovvisto), portare certificati ( per fortuna tutti li hanno, avendo appena preso il passaporto), firmare atti. Entrando, nel vedere le palačinke preparate da Nada, la figlia del parroco, che verrà in Italia, Ilarion se ne mangia un paio, apprezzando molto e facendo contenta Nada!

La sera, andiamo a casa delle famiglie che non sono state raggiunte telefonicamente o che non sono potute arrivare a Bostane. E così, si piomba in case dove la gente dorme, la si sveglia suonando il clacson della vecchia jeep che Ilarion ha avuto in dono dal comandante Kfor (la mia auto, dopo varie peripezie, l’ho dovuta lasciare perché davvero avrei spaccato tutto proseguendo per quelle strade dissestate e sterrate di campagna), si ottengono firme e si riparte. Andiamo a Makreš, da Aleksandra Trajković, da Andjela Aleksić, da Dragana Antić. Poi, ci dividiamo. Ilarion e il fotografo vanno in altri villaggi, io e Vesna andiamo con un serbo del posto a casa di due famiglie più facilmente (eufemismo!) raggiungibili. Siamo a Koretište dalle famiglie Kovacević, un prete ortodosso e Stojković.

Torniamo e aspetto Ilarion davanti una casa buia e isolata dove, al piano superiore, c’è una specie di bar dove prendo un succo. Un ragazzo si presenta, gli hanno detto che sono italiano. Vive a Schio, è serbo e torna ad agosto nel villaggio di Straža, qui vicino, da parenti e amici. E’ fantastico sentirlo parlare in veneto e poi in serbo, con gli amici. Si chiama Nemanja e mi chiede cose. Al solito, che ci fai qui e perché e com’è... gli racconto e lui pure mi dice del suo lavoro in una falegnameria del Veneto e del padre, tornato perché al contrario, sempre in Veneto, la sua falegnameria ha chiuso. E della situazione dei villaggi.

Arriva Ilarion, ha completato il giro ma bisogna sviluppare le foto. E’ mezzanotte, raggiungiamo lo studio dove lavora il ragazzo, Marko. Il padrone dello studio raccoglie le foto e le manda in stampa. Nel frattempo saliamo nella bella casa di Marko, che ci vive col fratello, Miloš e con i genitori. Ilaron si addormenta. Al risveglio, sono arrivate le foto... mangia le cioccolate messe sul tavolo da Marko. E ne chiede altre da portarsi. “E’ finito il digiuno per la Dormizione di Maria!”, ci dice con aria allegra.

Arriviamo a Draganac a notte fonda. Ci si arrangia per dormire, la stanza migliore viene data a Vesna, la cavalleria non è solo roba per laici. Il giorno dopo, alle 7, ci si sveglia per ripartire. Ilarion mi invita nella chiesa per una breve visita e, dopo una breve colazione con Justine, monaco da poco tempo, dopo una vita molto movimentata..., Petar, un giovane monaco e Kiril, l’anziano predecessore di Ilarion, andiamo dal sindaco di Novo Brdo dove, ci dice Ilarion, ci firmeranno gli atti di assenso, scritti in italiano ma non timbrati e ritenuti inaccettabili dall’ufficio visti di Priština.

Entriamo in questo palazzetto di 3 piani, fra gente che guarda Ilarion di traverso e gente che lo saluta amichevolmente. Cerca di parlare albanese, Ilarion e la cosa, ovviamente, è apprezzata. Entriamo, dopo breve trafila, nella stanza del sindaco, un uomo ben vestito e apparentemente cortese, dove spicca un bandierone americano alle sue spalle, con stelle e strisce nei quadri alle pareti.

“Sembra de sta n’er Kansas city!” direbbe Alberto Sordi. Invece siamo solo nel Kosovo orientale, in uno sperduto villaggio. E questo sindaco, che crede di appartenere alla 51.a stella degli USA non crede, però, alla parola di Ilarion, perché questo timbro non arriva. Ilarion compila una richiesta che poi non potrà stampare. Ne compilano una loro, con l’elenco dei ragazzini, la timbrano, la firmano, ci allegano le fotocopie degli assensi, salvo perderne tre originali che mai più saranno ritrovati! La solerte segretaria del sindaco li ha fotocopiati tutti ma ne ha perso tre originali. Così, usciamo da questo posto assurdo senza tre originali degli assensi, senza i timbri, con tre ore in meno da poter utilizzare! Abbiamo perso tempo, nonostante l’ottimismo, forse ingenuo o forse rassegnato, di Ilarion.

Ma qualcosa di positivo ci sta guidando. Ci sono gli assensi in serbo, forse andranno bene. Sono tutti, gli ultimi li prendiamo a Gračanica dove ripassiamo. Sono firmati, sono timbrati, sono ufficiali. E abbiamo tutto il resto. Andiamo in fretta a Priština, sono le 13. Ma i funzionari sono appena andati in pausa pranzo... Aspettiamo davanti l’ambasciata lo scorrere lento del tempo, non curandoci delle occhiatacce che ci mandano gli albanesi che passano per la stretta via davanti l’ambasciata. Io a volte rispondo con sguardo altrettanto torvo, mi viene spontaneo, a difesa della tonaca di Ilarion, ovviamente malvista. Ma nessuno farà commenti o altro e così, verso le 14,30, finita questa lunga pausa pranzo, ecco che arriva il signor Petani che accoglie tutta la documentazione. Sembra tutto a posto, stavolta e ci dice che per domani alle 16 ci saranno i visti. Non per tutti, perché 3 passaporti sono serbi e non hanno bisogno di visto. Ma ci dice pure che l’ambasciatore non è stato contento di tutta questa approssimazione. Umilmente mi scuso, do ragione all’ambasciatore e assicuro che le prossime volte saremo più corretti. Ma i ragazzi partiranno...

Sulla strada del ritorno non posso non fermarmi, dopo un semaforo, a riprendere con la videocamera la statua bronzea di Bill Clinton, il “padre della Patria kosovara-albanese”, all’ingresso della Bill Clinton boulevard! Davanti a spettacoli così, come davanti alla statua della libertà su un lussuoso hotel di Priština, non sai mai se ridere o piangere. Forse tutte e due, come sempre si fa in Serbia. Sorrisi e lacrime, matrimoni e funerali. Questo sa più di funerale... e non sembra esserci più molta Serbia, qui.

Dormiamo ancora a Gračanica, dopo aver mangiato e bevuto qualcosa, rilassandoci dopo lo stress, presso una famiglia di amici di Ilarion. Il giorno dopo lo lasciamo e rientriamo a Kraljevo. Ilarion mi avrebbe chiamato alle 17 per dirmi che tutti i visti li aveva con se. Io ero stato poco prima a Gazimestan e, dall’alto della torre che ricorda la battaglia del 26 giugno del 1389, dove l’esercito del principe Lazar fu sconfitto dai turchi, un silenzio glaciale rotto dal vento e una vista magnifica mi riportavano a emozioni lontane. Davvero quell’esercito difendeva il suolo sacro dei monasteri, ma anche la nostra “beneamata, civile, democratica Europa”. Che oggi, sembra aver dimenticato che anche questi serbi umiliati e disprezzati, sono figli suoi.

Il primo settembre, un nuovo ritorno in Italia. Alle 5,30 di mattina si parte. Arriveremo per le 20. Con me, altri tre ragazzi serbi, anche loro nati in Kosovo e Metohija. Ceca e Sonja ospitate per anni presso le nostre case, d’estate e Miloš, in vacanza in Italia solo lo scorso anno, con il primo gruppo dai villaggi della Metohija. Vengono in Italia per studiare. Altre piccole gocce, nell’oceano della speranza.





(italiano / english)

Ancora ricatti in stile mafioso sul Kosovo / More mafia-style blackmails on Kosovo

La crisi economica è stata usata da qualche paese per cercare di imporre alla Grecia il riconoscimento dello "Stato" kosovaro, ma il governo greco non ha ceduto al ricatto mafioso. Contro la Serbia, la questione kosovara è utilizzata come discriminante per lo stesso accesso nella Unione... Ma come pretendono, questi mafiosi, di rappresentare la UE nelle loro richieste alla Serbia, quando viceversa nemmeno all'interno della stessa Unione c'è unanimità sullo status del Kosovo?? Dopo la Grecia, useranno forse il ricatto economico anche contro la Spagna, che è un altro dei cinque paesi UE che non hanno riconosciuto il Kosovo "indipendente"? (a cura di IS)

1) "Crisis used to pressure Greece to recognize Kosovo"
2) ''La Serbia nell’UE se riconosce il Kosovo''


=== 1 ===

http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2012&mm=09&dd=06&nav_id=82117

Beta News Agency - September 6, 2012


"Crisis used to pressure Greece to recognize Kosovo"


BELGRADE: Greece will not recognize Kosovo, Greek Ambassador to Belgrade Dimosthenis Stoidis told Serbian Parliament Speaker Nebojša Stefanović on Thursday in Belgrade.
This, the Greek diplomat explained, is true despite the fact that the economic crisis affecting Greece "was used in order to pressure Athens to recognize the authorities in Priština", Beta news agency is reporting.
Serbia rejected as illegal the unilateral declaration of independence of its southern province, made in early 2008 by Kosovo's ethnic Albanians. Five out of EU's 27 member-states, Greece included, have also not recognized it. 
During the meeting in Belgrade today, Stoidis told Stefanović that his country "would do everything in order for Serbia's remaining path toward full EU integration to be as successful as possible". 
A statement issued by the Serbian parliament also said that the ambassador noted that Greece "still supports Serbia's road toward the EU", and that this country's stance not to recognize Kosovo will not change "although the economic crisis was used to pressure Athens" to do otherwise. 
Stoidis further stated that Greece "encouraged Serbia to continue its dialogue with Priština" - although, as he noted, the term "normalization of relations" was being interpreted differently within the EU itself. 
Stefanović told the ambassador that Serbia will also not change its policy toward Kosovo and Metohija - and "will never recognize it", although it remains "open to negotiations wishing to secure the lives and existence of Serbs in Kosovo". 
The speaker added that Serbia recognized agreements reached thus far in the EU-sponsored Kosovo dialogue, and expressed his expectation that Greece "will continue to have a firm position, and offer assistance in the fight to respect international law". 
Stefanović accepted an invitation relayed by Stoidis to visit the Greek parliament in Athens, it was announced on Thursday.


=== 2 ===

''La Serbia nell’UE se riconosce il Kosovo''

di Stefano Giantin
su Il Piccolo del 5 settembre 2012

Una dichiarazione di facciata, che ribadisce concetti risaputi. Un’altra, assai meno diplomatica, che ha almeno il pregio di essere onesta e diretta. È iniziata ieri la storica visita a Bruxelles del premier serbo, Ivica Dacic. Una visita storica perché suggella il coronamento di una lunga e travagliata carriera, quella del leader socialista, che l’ha portato a trasformarsi da portavoce di Miloševic in premier pro-Europa. Ma storica anche perché, per la prima volta così apertamente, l’Ue ha messo Belgrado davanti a un “aut aut” pubblico, non più sussurrato nel chiuso delle stanze del potere. Un “aut aut” pronunciato dal presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, dopo una «molto franca» conversazione con Dacic. 
Schulz che ha spiegato di aver illustrato alla controparte serba che «le relazioni tra Serbia e Kosovo», nel cammino verso «uno sviluppo pacifico, devono concludersi col mutuo riconoscimento». È questa la principale «pre-condizione», ha detto Schulz, che si para tra Belgrado e l’entrata nell’Ue. Un’entrata che avverrà solo «soddisfacendo tutti i criteri» definiti da Bruxelles e «stabilendo relazioni pacifiche tra i due Paesi», ha specificato il politico tedesco. Ma come aspettarsi che la Serbia riconosca il Kosovo? Si tratta di un obiettivo «fra i più delicati, ma non impossibile», richiesto dall’Ue «nella sua interezza», malgrado le diverse posizioni di alcuni Stati membri, ha suggerito Schulz. La dichiarazione più di facciata, con il ricorso al tradizionale “bastone e carota”, era arrivata invece, in mattinata, dal presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy. Il «futuro» di Belgrado «è in Europa». Ma, alla fine, «la velocità dell’avanzamento» di Belgrado verso la piena integrazione europea è tutta «nelle mani della Serbia». 
Poi, il consueto ammonimento. Bruxelles si attende di «vedere la Serbia fare progressi nel suo percorso verso l’Ue diventando un suo membro». Non prima, naturalmente, che «le ben conosciute e necessarie condizioni siano soddisfatte». Quali? Belgrado dovrà continuare a impegnarsi nel campo delle «riforme politiche, del sistema giudiziario», nella «lotta contro corruzione e crimine organizzato», nel rispetto «dei media e delle minoranze». Non solo. Tenuto conto della grave situazione economica, va migliorato «il business environment», un altro fattore su cui lavorare «per attirare investimenti, migliorare le esportazioni e alleviare la disoccupazione». Senza dimenticare il nodo Kosovo. Ma sul tema valgono le successive e più dirette affermazioni di Schulz. Da parte sua, un accigliato Dacic ha ribadito che i criteri Ue saranno soddisfatti e che il suo governo «vuole fortemente rimanere sulla strada verso l’Ue». Una strada che includerà, ha promesso Dacic, un più intenso dialogo con Pristina, «anche su temi politici e non solo tecnici». Ma del riconoscimento del Kosovo non se ne parla.




Ancora su Il Piccolo e il razzismo geografico

1) L’essenza “balcanica” e lo “strano ordine” (cronachediordinariorazzismo.org)

2) La risposta del Direttore del Piccolo alla lettera di Giorgio Ellero, e la replica

Si vedano le lettere inviate a Il Piccolo da G. Ellero e C. Cernigoi per l'articolo di cronaca nera che alludeva a una presunta innata "ferocia balcanica":


=== 1 ===


6/9/2012

L’essenza “balcanica” e lo “strano ordine”

Nella notte del 19 agosto, a Lignano Sabbiadoro, due coniugi, Rosetta Sostero, 65 anni e Paolo Burgato, 69, sono stati uccisi nella loro villa. Che si sia trattato di un delitto orribile, le cronache locali e nazionali non lasciano alcun dubbio. Quello che però non convince è l’accanimento che emerge in alcuni articoli nel voler rintracciare a tutti i costi una “pista etnica”, prima ancora che vi sia una qualche indicazione sicura da parte degli inquirenti. Così in diversi casi, ci si concentra sulle cosiddette “bande di stranieri”. Dopo aver consultato diverse testate on line, ci siamo resi conto che la “vulgata” della pista straniera e per giunta, diremmo, anche sessista (poi vedremo perché) è presente in diversi articoli. Vediamo come.

Un “illuminante” articolo de Il Piccolo (Lignano, un supertestimone ha visto gli assassini, del 22/8/20012), comincia, dopo alcuni giorni confusionari di ipotesi e smentite, ad elaborare una propria tesi: “Da un lato, infatti, ci sono quei tagli alla gola (chiamati sorriso di Allah), tipiche delle esecuzioni che avvengono nel mondo islamico. Dall’altro un modus operandi in generale che fa pensare a formazioni criminali di estrazione balcanica o dell’Est Europa” (stesse parole riprese anche da “Il Messaggero Veneto”, nello stesso giorno). Il Piccolo ritorna sull’argomento il 25/8/2012 (Lignano, anche una donna nella banda omicida. Secondo gli inquirenti l’ordine lasciato nella villetta dei Burgato farebbe pensare a una presenza femminile all’interno del commando), dove all’ipotesi “etnica” si aggiunge quella “sessista” (vedi il titolo!): “Le persone che stanno dando a quest’indagine un respiro molto ampio che, naturalmente, guarda anche Oltreconfine visto che al momento una delle ipotesi più accreditate è che il massacro porti la firma di una certa criminalità balcanica”. E ancora (Lignano, prelievi di saliva per arrivare ai killer, del 26/8/2012): “Si sonda nel giro delle bande di ladri e di rapinatori che, provenienti da Paesi dell’Europa dell’Est, fanno base nella regione veneta, da dove poi si spostano per compiere reati in zone limitrofe e tornare in regione. Una delle ipotesi, la matrice balcanica, tenuta già in considerazione, valutando le modalità e l’estrema violenza del duplice fatto di sangue, facendo pensare alla totale mancanza di scrupoli e del benché minimo rispetto per la vita umana”.

La stessa tesi è ripresa dal quotidiano.net in due articoli: uno pubblicato il 26/8/2012 (Coniugi uccisi a Lignano, tracce di due estranei nel garage della villetta), dove si precisa che “due testimoni avrebbero visto un furgone con targa di un paese dell’Est parcheggiato davanti alla villetta con accanto un uomo alto, tatuato, a torso nudo, con indosso pantaloni militari e con accento dell’Est”; e l’altro pubblicato il 27/8/2012 (Delitto di Lignano, coniugi torturati: ad agire furono un uomo e una donna): “Sono stati infatti isolati due diversi tipi di dna: uno maschile e uno femminile. Si rafforza, intanto, l’ipotesi che i materiali esecutori possano essere di origine balcanica. Con i risultati del Dna, prende dunque forza l’ipotesi della presenza anche di una donna nella villetta. Elemento che gli investigatori ricavano dall’aver trovato uno ‘strano’ ordine nelle stanze”.

Anche il quotidiano “La Repubblica”, nell’articolo del 28/8/2012, non è da meno (Lignano, una donna tra gli aguzzini della coppia): “La borsa della signora Rosetta era chiusa ma forse, anche in questo caso, qualcuno ci ha rovistato dentro e poi si è preoccupato di richiuderla o l’ha richiusa nel gesto automatico che spesso capita alle donne (…) Qualcuno ha visto un uomo robusto, coi capelli rasati, che si lavava le mani in strada, mentre vengono smentiti altri elementi come i tatuaggi, la tuta mimetica, gli anfibi, la parlata slava (…)” E tuttavia l’articolo prosegue “Una tortura imposta dai malviventi – forse già in fuga verso i vicini Balcani – per scoprire il nascondiglio del tesoro di famiglia”.

Anche “Il Secolo XIX”, il 2/9/2012 commenta la notizia (Giallo di Lignano, indagini su un circo), raccontando di una nuova “pista”, ovvero quella dei circensi passati in città per uno spettacolo in programma nella data del delitto: “Secondo gli investigatori gli assassini potrebbero essere di origine balcanica, e tra i lavoratori del circo non mancano quelli di origine slava. «Un semplice controllo, e tutti i prelievi sono stati spontanei», sottolineano gli investigatori. «I carabinieri in borghese – riprende il suo racconto Attilio Bellucci – si sono messi tutti attorno alle roulotte, mentre quelli in divisa ci hanno chiesto di uscire e di riunirci. Hanno prelevato a tutti, tranne i bambini, le impronte e il Dna: sono stati gentili e abbiamo collaborato. Poi hanno controllato ogni roulotte, senza portare via nulla. Non avevano sospetti su qualcuno in particolare, ci hanno solo chiesto se avevamo un furgone di un certo modello e colore, e noi non l’abbiamo».

Potremmo proseguire riportando altri esempi, ma ci sembra che questi possano bastare per invitare, ancora una volta, la stampa a prestare una maggiore attenzione. Ci sembra infatti che gli articoli sopra citati sconfinino pericolosamente nella stigmatizzazione delle persone che appartengono o provengono a/da una intera area geografica, alle quali viene attribuita una propensione alla devianza, a prescindere. Come d’altronde, sembra assurda l’associazione tra il coinvolgimento di una donna nell’omicidio e “l’ordine” che avrebbe contraddistinto il luogo del delitto.


=== 2 ===

Inizio messaggio inoltrato:

Dice il Direttore - Re: Il Piccolo e il razzismo geografico
 Inviato da: Giorgio Ellero
 Mar 4 Set 2012 7:01 pm
 
 
 La risposta del direttore de Il Piccolo e la mia replica. 
 La sua disponibilità a pubblicare la mia prima lettera, cui non si dà seguito per mere cause tecniche, mi autorizza implicitamente a pubblicare la sua risposta. 
 
 G.E.
 
 ------- 
 
Se queste sono le Vostre motivazioni, che mi sforzo di reputare veritiere e sincere, avete usato degli INDIZI trapelati dagli inquirenti per criminalizzare un'intera regione europea, e  questo va ben oltre il limitatarsi "a raccontare ai nostri lettori tale percorso di indagine". 
Ritengo questa Sua quindi, una ammissione di colpa o dolo, e come tale la accetto e archivio. 
Stento a crederci, però, visto che gli scritti razzisti da me segnalati compaiono nel giornale domenica 26 agosto, dove si annuncia l'AVVIO della raccolta su vasta scala di campioni di DNA presso i giostrai del circo, gli operai della ditta di famiglia in fallimento e nella cerchia di amici-conoscenti delle vittime, per poi confrontarli con ciò che avevate in mano Voi e gli inquirenti domenica scorsa: un capello, una cicca e poco altro, come pure riportato nel giornale di oggi, a 10 gg di distanza. Il che, a meno di essere preveggenti, è molto poco per imputare il tutto ad una fantomatica banda migrante dal Veneto di gentaglia balcanica dalla ferocia inumana, per poi usarlo per criminalizzare una complessa Regione europea vasta, Romania esclusa, due volte l'Italia (A proposito di crudeltà etno-geografica, di cinismo, di scrupoli e di rispetto per la vita umana: si tratta della stessa Italia che bombarda OGGI gli Afghani con gli AMX come ieri i Balcani con i Tornado, ma questo è un altro discorso, scomodo e che non fa vendere e quindi non va scritto su Il Piccolo, vero?). 
Noto inoltre che sul giornale di ieri 3 settembre la "pista balcanica" scompare, e il tenore del pezzo è asciutto e corretto, come pure nell'articolo odierno firmato di nuovo da Laura Borsani: avete cambiato idea Voi oppure gli inquirenti? 
 
 Dist. saluti
 Giorgio Ellero 
 
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 On 4 Sep 2012 at 12:37, Segreteria wrote:
 
Buon giorno signor Ellero. Non avrei alcuna obiezione concettuale a pubblicare la sua lettera, che per tanti versi contiene critiche molto stimolanti. Ma la lunghezza del testo rappresenta un ostacolo oggettivo, poichérichiederebbe all'incirca una intera pagina. 
Detta la premessa, non desidero però sfuggire al nocciolo della sua contestazione e dunque le propongo una succinta replica. I giornali di frequente - in rapporto a vicende di cronaca nera di particolare delicatezza - possonomettere solo in parte per iscritto il complesso dei materiali di cui dispongono. Se altrimenti agissero, va da sè che potrebbero nuocere al processo delle indagini. In questo senso, quando negli articoli da lei stigmatizzati indichiamo che la pista principale degli investigatori ha a che fare con una banda di criminali di origini balcaniche, non formuliamo alcun astratto giudizio o pre-giudizio di carattere razzistico geografico. In buona sostanza, in base ai risultati delle analisi sul Dna dei reperti rinvenuti sul luogo del delitto a Lignano, gli inquirenti ritengono vi sia un ambito da privilegiare. E noi ci siamo limitati a raccontare ai nostri lettori tale percorso di indagine.
 
 Un saluto cordiale
 
 Paolo Possamai
 
 
 Paolo Possamai 
 Direttore

 Il Piccolo
 Quotidiano fondato in Trieste nel 1881
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Sette anni fa moriva Sergio Endrigo

Nell'anniversario della morte del grande Sergio Endrigo, il cantautore nato a Pola nel 1933, vogliamo ricordarlo con le sue canzoni più "jugoslave".


La famiglia di Endrigo aveva optato per l'emigrazione in Italia nel 1947, in base a quanto previsto dal Trattato di Pace (1). Da poeta quale poi divenne, Endrigo seppe tramutare le memorie lontane della sua infanzia nella nostalgia struggente della canzone "1947", dedicata alla sua città natale; ma da amico della pace e della fratellanza fra i popoli (2), e particolarmente amico dei popoli della Jugoslavia, egli continuò a frequentare quelle terre, anche quando era all'apice della sua carriera, partecipando tra l'altro al festival della Canzone di Spalato, e con innumerevoli apparizioni televisive e radiofoniche sui canali jugoslavi. 

Fu amico personale di Arsen Dedić, grande cantante dell'altra sponda adriatica, e con Ivan Pavičevac (3) imparò a pronunciare correttamente i testi in lingua serbocroata delle canzoni che presentava al pubblico jugoslavo.

Da vivo, Endrigo non si definiva "esule". E non si sarebbe mai prestato a quelle strumentalizzazioni di grande squallore sulla sua vicenda personale, iniziate solo di recente da settori revanscisti-irredentisti istriano-dalmati. Le speculazioni su "Endrigo esule" sono possibili solo post-mortem poiché in vita Endrigo fu piuttosto un internazionalista, un antifascista, tra l'altro militante del Partito Comunista Italiano (4), e di sicuro non le avrebbe mai gradite, tantomeno alimentate! Esse sono solamente il segno del cinismo dei tempi in cui viviamo: per un ventennio prima della sua morte, Endrigo era stato quasi dimenticato e pressoché espulso dai palcoscenici "che contano"; dopo la sua morte, qualcuno se ne approfitta perché lui, Endrigo, non può più parlare.

Ma al suo posto parlano le sue canzoni, che vi proponiamo di seguito.

(a cura di I. Slavo per JUGOINFO)

(1) TRATTATO DI PACE CON L’ITALIA (10 FEBBRAIO 1947):
Il testo originale in inglese completo anche degli allegati dal VI al XVII si può scaricare qui:
(2) Fu legato a Cuba - tanto da creare una canzone sui versi della "Rosa bianca" di José Martì - e più in generale all'America Latina.
(3) Pavičevac è attualmente presidente del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus.
(4) Sul tema si veda ad esempio:
Il ricordo di Aldo Garzia su Liberazione del 9 settembre 2005
Il ricordo di Leoncarlo Settimelli su l'Unità dell'8 settembre 2005

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Arsen Dedić i Sergio Endrigo - Spletka pjesama

Sergio Endrigo - Više te volim (1970)

Sergio Endrigo - Kud plovi ovaj brod (1970)

Kemal Monteno i Arsen Dedić - Kud Plovi Ovaj Brod
(il ricordo commosso di Sergio Endrigo da parte dei grandi cantanti jugoslavi Kemal Monteno e Arsen Dedić)


... e ancora:

Sergio Endrigo - La ballata dell'ex
[sul tradimento della Resistenza antifascista]

Sergio Endrigo e Max Manfredi - Il tango rosso

Il sito ufficiale del cantante, creato poco prima della sua morte:

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Da quella volta 
non l'ho rivista più, 
cosa sarà 
della mia città. 

Ho visto il mondo 
e mi domando se 
sarei lo stesso 
se fossi ancora là. 

Non so perché 
stasera penso a te, 
strada fiorita 
della gioventù. 

Come vorrei 
essere un albero, che sa 
dove nasce 
e dove morirà. 

È troppo tardi 
per ritornare ormai, 
nessuno più 
mi riconoscerà. 

La sera è un sogno 
che non si avvera mai, 
essere un altro 
e, invece, sono io. 

Da quella volta 
non ti ho trovato più, 
strada fiorita 
della gioventù. 

Come vorrei 
essere un albero, che sa 
dove nasce 
e dove morirà. 

Come vorrei 
essere un albero, che sa 
dove nasce 
e dove morirà!

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Sergio Endrigo - Ljubica (1971)

Je m' promenais par les Balkans,
De Sarajevo a' Dieu sais ou',
Au milieu d' brumeux palais
Pleins de memoires.
Les boulevards deja' jaunis,
L'hiver se glisse dans mon coeur
Et soudain, sans y songer,
J'ai rencontre' la joie.

Oh, ljepa Ljubica, Ljubica,
Avec tes dix-sept ans
Sur la bouche et tes cheveux,
Odeur de mer et du printemps.
Ljubica, Ljubica,
Ton beau rire dans ta gorge
Est comme un fleuve qui vient a' moi.

Tu dessines mon visage,
Me touchant du bout du doigt,
Tu dis q' ton coeur 
E trop petit pour moi,
Dans la chambre liberty, 
Les rideaux deja' tires,
Ton parfum sur l'oreiller,
Tu peux me croire, j'etais content.

Oh, moja Ljubica, Ljubica,
J'oublie tout mon passe',
Le present, ca m' fait du mal,
Si je pense au lendemain.
Ljubica, Ljubica,
Tu me donnes a' pleines mains
L'illusion d'avoir vingt ans...

C'etait pareil a' la chanson
Que tue les reves au petit jour,
Le soleil fait un p'tit tour
Et fit le soir,
Le train noir qui te prendra
Dernier sourire dans la fumee,
Nous crions: ''on se verra'',
Mais nul n'y croit, ni toi, ni moi.

Souviens toi, Ljubica, Ljubica
Et moi j'essais de rire,
Puis je perds au premier bar
L'illusion d'avoir vingt ans...

Oh, moja Ljubica, Ljubica,
Sur ta bouche et dans ton corps 
Odeur de mer et du printemps.

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In tutti i miei pensieri
di sempre o nati ieri,
insiste.
Uno che ha voglia di cantare,
come un valzer che ti fa girare
la testa.
Come una musica ostinata,
sentita e mai scordata,
Trieste.
Un vento all'improvviso,
che ti bacia forte il viso,
Trieste.
Mare e cielo senza fondo,
ombelico del mio mondo,
Trieste.
Una nave impavesata
di bianco col celeste,
Trieste.
Una rosa in un bicchiere,
due gerani al davanzale,
Trieste floreale.
Canzoni antiche da osteria,
di vino, donne e nostalgia,
Trieste mia .
Foto di gruppo a Miramare
in divisa da marina,
Trieste in cartolina
e i tuoi vecchi in riva al mare,
una sirena per sognare, 
Trieste.
Trieste valzerina,
allegra e boreale,
Trieste imperiale,
favorita del sultano
e dell'imperatore,
Trieste, l'amore.

Come una donna non trovata,
perduta e poi cercata,
Trieste ritrovata,
tricolore a primavera,
bandiera di frontiera,
Trieste bersagliera.
Speranza rifiorita
e subito tradita,
Trieste ferita.
Romana e repubblicana,
vendi cara la sottana,
se devi essere italiana.

Allegra e valzerina,
Trieste imperiale,
favorita del sultano
e dell'imperatore,
Trieste, l'amore.

Speranza rifiorita
e subito tradita,
Trieste ferita.



(slovenščina / italiano)

Basovizza 9/9, Gorizia 12/9: celebrazioni antifasciste

1) Basovizza/Bazovica 9/9: cerimonia in ricordo dei quattro fucilati
2) Gorizia/Gorica 12/9: a ricordo dei Caduti partigiani


=== 1 ===

http://bora.la/2012/09/06/basovizza-domenica-9-settembre-manifestazione-in-ricordo-dei-quattro-fucilati-il-6-settembre-1930/

Basovizza: domenica 9 settembre cerimonia in ricordo dei quattro fucilati il 6 settembre 1930

Il 6 settembre cade l’anniversario della fucilazione dei quattro antifascisti sloveni (Ferdo Bidovec, Fran Marušič, Alojz Valenčič e Zvonimir Miloš) condannati a morte dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato nel 1930 nel corso di quello che è passato alla storia come il “primo processo di Trieste”.  Essi furono condannati dal Tribunale Speciale perché avevano fatto parte di un’organizzazione antifascista.  Appuntamento domenica 9 settembre, alle 15 davanti al monumento di Basovizza.

(inserito giovedì 6 settembre 2012)

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Sulla fucilazione dei quattro antifascisti sloveni (Ferdo Bidovec, Fran Marušič, Alojz Valenčič e Zvonimir Miloš) condannati a morte dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato nel 1930 nel corso di quello che è passato alla storia come il “primo processo di Trieste” si vedano i documenti seguenti:

MARTIRI DI BASOVIZZA, 6 SETTEMBRE 1930
di Claudia Cernigoi - settembre 2012

BIDOVEC - MARUŠIČ - MILOŠ - VALENČIČ
Riproduzione dell'opuscolo della sezione ANPI-VZPI del Coro Partigiano Triestino (1988)


=== 2 ===

Gorizia / Gorica
Mercoledì 12 settembre 2012 ore 18.00

Associazione Nazionale Partigiani d’Italia – Sezione di Gorizia
Vsedržavno Združenje Partizanov Italije - Sekcija Gorica

Nel 69° anniversario della Battaglia partigiana di Gorizia invito la S.V. alla deposizione della corona d’alloro a ricordo dei Caduti che avrà luogo mercoledì 12 settembre 2012 alle ore 18.00 nel Piazzale Martiri per la Libertà d’Italia presso la stazione ferroviaria.

Ob 69. letnici Goriške fronte Vas vljudno vabim na položitev venca v spomin na Padle, v sredo 12.septembra 2012, ob 18.00 uri, na Trgu pred južno železniško postajo.

(fonte: http://www.facebook.com/events/112215952262400/ )