Informazione

(srpskohrvatski / italiano)

Revisionismo di Stato in Serbia

1) Stevan Mirkovic: I Karadjordjević
2) Protiv emitovanja serije "Ravna gora"- Peticija
3) СУБНОР: Поводом наставка снимања серије РТС / ЈОШ  ЈЕДАН  ФАЛСИФИКАТ! Тако то ради РТС
4) In Serbia serial storico tv su partigiani e cetnici (Il Piccolo)

DRUGI LINKOVI:
Девиза РТС: „Ваше право да знате све“ – изузев истине. Реаговање
http://www.subnor.org.rs/reagovanje-3
ДРАЖА И ЧЕТНИЦИ БИЛИ КВИСЛИНЗИ. Други пишу
http://www.subnor.org.rs/drugi-pisu


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(Sullo stesso argomento della riabilitazione della figura del principe Pavle Karadjordjević, simpatizzante del nazismo, si veda anche al link:
Si veda anche il video: Adolf Hitler visits Belgrade, Serbia to meet Knez Pavle and other Serbian Nazi supporters, 01.-08.1939

Originalni tekst na s-h-om "Karadjordjevići" (Stevan Mirković), i drugi tekstovi o istom temu, na sajtu:


Stevan Mirković

I Karadjordjević

Belgrado, 6 ottobre 2012

Ripensando ai serbi in questi giorni, ai loro aspetti, quelli positivi e quelli negativi, constato che prevalgono i secondi. (Altrimenti, come sarebbero sopravvissuti alle tante Scilla e Cariddi della loro storia?).
Ancor più il pensiero va ai nostri “liberi e democratici” media, al Governo, al Presidente, al SPC, che in questi tempi difficili per i serbi fanno di tutto per mettere in evidenza la loro parte negativa nascondendo quella positiva, seguendo così la strategia politica delle grandi potenze occidentali. Perchè l’obiettivo dell’Occidente è di ammassarci, rinchiuderci tutti nel “Beogradski pašaluk “, cioè nel Distretto belgradese di una volta. Giacchè continuando le tradizioni dell’allora RSF di Jugoslavia siamo un ostacolo e una minaccia (e non piccola) ai loro piani sui Balcani e ancor più verso il Sud-est europeo.
Così si spinge al tradimento, alla viltà, alla sudditanza, alla paura del combattimento, della resistenza, alla diserzione, con la solita solfa:  “è il nostro destino”, “la forza non prega Iddio” e così via.

Tutto questo si è potuto notare nel comportamento dei media e del governo, durante la traslazione dei resti della salma di Pavle dalla Svizzera alla Serbia.

L’evento è stato accompagnato soltanto da un poemetto armoniosamente recitato in coro: “Il Principe è tornato a casa”.
Quale casa?! Non è casa sua questa! Se lo fosse stata, l’avrebbe difesa, insieme ai suoi figli - difesa dal nemico, anziché aprirgli la porta perchè potesse entrare liberamente, per poi svignarsela, infischiandosene di quel che sarebbe successo con il popolo.
Che faceva il Principe durante la Lotta Popolare di Liberazione 1941-1945? E poi durante la ricostruzione del Paese distrutto dalla II Guerra mondiale? Se ne stava in giro per la Svizzera e tra le varie Regge europee, fregandosene anche di questi che oggi, da pappagalli, ripetono: “Il Principe è tornato...”.
Il Principe allora abbracciava Hitler, e questi oggi, da ipocriti, si fanno il segno la croce nella Cattedrale davanti al Patriarca Irinej. La stessa cosa la fanno anche dinanzi alla Merkel e agli altri capipopolo planetari.
La cosa più tragicomica che ho visto è stata quando sullo schermo in prima fila nella Cattedrale è apparso un politico che conoscevo come comunista, poi socialista e adesso è diventato nazionalista!

D’altronde, due sono le caratteristiche che denotano la dinastia Karadjordjević: sono stati i primi a svignarsela verso un posto sicuro di fronte al pericolo, respingendo poi ogni suggerimento e richiesta di tornare nel paese e combattere per la libertà. Sono scappati nel momento della rivolta del Primo Risorgimento serbo, nella I e nella II Guerra Mondiale.
Dopo i primi insuccessi nella prima rivolta serba, Karadjordje nel 1813 scappò in Austria. Ritornò in Serbia nel 1917. Venne ucciso il 13 luglio su ordine del condottiero di Serbia Miloš Obrenović.
Durante la I Guerra Mondiale, l’audace vojvoda Zivojin Misić, alla riunione del Comando supremo dell’Esercito reale serbo a Kosovo Polje, in cui si discuteva di come ritirarsi in Grecia (se lungo il fiume Vardar oppure attraverso l’Albania), propose invece di attaccare il nemico e nella sua retrovia iniziare la guerriglia. Il voivoda Vuk Popović (tenente colonnello dell’Esercito serbo, morto poi nello scontro contro i bulgari a Gruniste il 16 novembre 1916) dimostrò la efficacia di questa concezione del combattimento già nel 1912-1916, con attacchi delle unità cetniche volontarie nelle retrovie turche, austriache, tedesche e bulgare.
L’allora Re Alessandro I respinse invece il suggerimento e ordinò il ritiro attraverso l’Albania, lasciando il popolo in balia di tedeschi, austriaci e bulgari.

In quella guerra perirono oltre un milione di serbi. Ma il culmine della codardia della dinastia Karadjordjević si è raggiunto nella II Guerra Mondiale. Il re, il governo, i politici, i generali, scappano dal Paese. Abbiamo avuto occasione di sapere che il re Pietro II e il principe Tomislav, figlio del principe Paolo, hanno finito la scuola di pilotaggio in Inghilterra; ma non abbiamo avuto notizie di loro vittorie in azioni belliche... Churchill ha più volte proposto al giovane Re di paracadutarsi in Jugoslavia, oppure di essere trasportato lì con l’aereo per prendere il comando del suo Esercito jugoslavo in patria (JVuO) - ma “ l’eroe” si è rifiutato. Churchill allora ha inviato suo figlio al Comando del maresciallo Tito.

Non c'è allora da meravigliarsi se oggi in pochi credono che il Kosovo si possa liberare soltanto col fucile in mano, invece del dialogo e degli accordi.
Thaci non è tanto stupido da restituire gratis il regalo fattogli da Clinton e dalla Albright nel 1999.

Il Kosovo lo possiamo soltanto strappare! Perciò, ripeto di aver ragione quando dico: serbi oggi ce ne sono solamente in Kosovo.   


(Stevan Mirković, presidente del centro Tito, è generale JNA in pensione. 


=== 2 ===

(petizione contro la realizzazione della serie televisiva filo-cetnica "Ravna gora" per la radiotelevisione serba)

http://www.peticije24.com/protiv_emitovanja_serije_ravna_gora

Protiv emitovanja serije "Ravna gora"

Mi, potpisnici ove peticije, Antifasisti, zahtevamo da se serija "Ravna gora" autora Radosa Bajica koja je trenutno u pripremi, ne prikazuje na javnom medijskom servisu Srbije!

Dana 24.07.2012. na pruzi Sarganska osmica, zapoceto je snimanje dramske trilogije "1941-1945", cije je emitovanje u planu za kraj 2013. godine. Iza navodne zelje za "nacionalnim pomirenjem" koje poslednjih godina aktivno pokusavaju da u praksu sprovedu potomci porazenih kvislinskih snaga iz Drugog Svetskog rata, stoji nista drugo nego pokusaj grube revizije istorijskih cinjenica i relativizacije antifasisticke borbe naroda Jugoslavije. Ovakva praksa izjednacavanja antifasisticke borbe jugoslovenskih Partizana sa sramnom ulogom rojalistickih snaga, rezultovala je gubljenjem antifasisticke tradicije koja se javlja kao temelj svake moderne i demokratski uredjene drzave Evropske unije, ka cijem clanstvu tezi i drzava Srbija. U svom obracanju medijima, Nebojsa Glogovac, glumac koji tumaci ulogu Dragoljuba Draze Mihajlovica, ocenio je glavni lik kao "zanimljivog, dragog i cenjenog coveka". Sa druge strane, autor same serije, navodi da mu je zelja da "isprica pricu u kojoj smo svi izgubili", dok je vodju rojalistickih snaga okarakterisao kao "velikomucenika pukovnika Mihajlovica". Uzevsi u obzir izjave samog autora, kao i ostalih angazovanih na ovom projektu, neozbiljno je govoriti o bilo kakvoj objektivnosti i nepristrasnosti sa njihove strane. Ono sto se svakako moze ocekivati, jeste da se emitovanjem ove serije konacno stavi tacka na dugogodisnje pokusaje potomaka kvislinga i njihovih pristalica da na svaki moguci nacin degradiraju stvarne antifasisticke snage, uz istovremeno glorifikovanje kvislinga. Iz najdubljeg postovanja prema svim zrtvama cetnickog terora, kao i prema svim stvarnim Antifasistima palim u borbi protiv Fasista i njihovih slugu, apelujemo na vasu savest da se planirano emitovanje serije ne  sprovede. Ukoliko je moguce, obustaviti dalje snimanje serije!!!


Antifasisticki front

potpisi: http://www.peticije24.com/protiv_emitovanja_serije_ravna_gora


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(comunicato di protesta della Ass. Partigiani della Serbia sul serial filo-cetnico in programmazione sulla radiotelevisione del paese)



ПЕЧАТ И ПОТПИС ЗА ЛАЖ


Такозвани јавни сервис грађана Србије и дуговечно присутног Александра Тијанића, уже познатих под именом РТС и по непрестаној кукњави како нема довољно новца од харача званог обавезна претплата, настављају да снимају – о томе смо свакодневно затрпани информацијама у медијима – мамутску и скупоцену серију у обради и извођењу породице свезналице Радоша Бајића.

Недавно је из Бајићевог клана обнародован крунски аргумент да на крају сваке странице сценарија „Равна гора“ стоје печат и потпис Института за савремену историју, што треба да значи да је то, наводно, историјска истина, потврда како је у питању доказ да је само тако и никако другачије било.

Кад се не би знало да је установа из Београда под поменутим именом, у ствари, филијала СПО и да су јој идеолошки, политички и финансијски ментори Дана и Вук Драшковић, онда бисмо могли и да се замислимо над причом коју ће нам о Србији у Другом светском рату сервирати накнадни филмски и остали експерти. Оваква научна мисао и истина су, међутим, одавно испричана улична наклапања потомака и поштовалаца појединачне српске издаје и сарадника фашистичких окупатора.

Није, онда, чудно што су за 20.октобар ове године вероватно ти исти „потомци и поштоваоци“ звали Београђане на црквено окупљање и парастос жртвама крвавог комунистичког терора и, како су рекли, такозваног ослобођења за дан кад је нашим главним градом, после више од четири године бруталне окупације нацистичке Хитлеровске армаде, уз садејство покорних квислинга, завиорила поносна застава слободе захваљујући партизанским јединицама и Народноослободилачкој војсци и Црвеној армији.

Имајући у виду све оно што раде и што су урадили наводни стручњаци за савремена збивања, посебно везана за Други светски рат и искључиво једини и јединствени антифашистички покрет који је без зазора прихваћен у заједеничкој савезничкој борби, часна историја народа Србије од 1941. до 1945. не може се фалсификовати.  И још мање преуређивати по идеолошкој ћуди разноразних политиканата и шићарџија. То је и Србији, а свакако и светској јавности, већ одавно јасно.

 

                                                                         Републички одбор СУБНОР Србије


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Тако то ради РТС

Објављено 29. октобар 2012. | Од СУБНОР

ЈОШ  ЈЕДАН  ФАЛСИФИКАТ!


Пред вама је, уважени читаоци портала СУБНОР-а, оригинални приказ  медијског јавног сервиса Србије (РТС) о реаговању Републичког одбора СУБНОР-а Србије поводом наставка снимања телевизијске серије под именом ”Равна гора”.

РТС је наше саопштење објавио на свом сајту 25.октобра, а уз то и неколико коментара својих читалаца и, вероватно, гледалаца.



Право је сваке редакције, дакако, да одлучује шта ће и колико да публикује, не мешамо се, према томе, у уобичајено признавану уређивачку слободу, али морамо, као Информативна служба СУБНОР-а, да скренемо свеколикој јавности пажњу на начин како се још једном, по ко зна који пут, у Србији фалсификује истина и то још у медију који упорно тврди да је ”право сваког грађанина да све зна” ваљда и због тога што је РТС издржавана захваљујући наметнутој месечној претплати и осталим благодетима.

Не можемо, наиме, да верујемо да су уредници у РТС, па и сам њихов директор, толико професионално неуки да из саопштења СУБНОР-а Србије, које су из тобожње објективности хтели да пренесу, избаце баш кључне констатације о начину како се код нас, у Београду, свесно користе народним буџетом издашно финансиране званично научне установе, као што је Институт за савремену историју, да би се силом на срамоту доказала њихова ревидирано нашминкана истина у прилог снимања мамутске серије која ће још више унети раздор и посејати нову лаж о измишљеном садејству квинслиншких групација са широким, јединим и јединственим, партизанским и народноослободилачким покретом заједно са антифашистичком победничком савезничком коалицијом у Другом светском рату.

Наша опажања, о томе шта стоји иза славодобитног аргумента манифактуре глумца Бајића да на свакој страници сценарија за серију ”Равна гора” чуче као камен станац печат и параф поменутог Института, свесно је прекрижило уредништво РТС да би, фалсификујући речи СУБНОР-а, дало некакав, макар и на такав фабриковани начин, допунски алиби за снимање које је, без утемељености чињеницама које читава планета поштује, оправдала мегаломанско трошење новца и онако ојађеног народа доведеног до просјачког штапа.

На овом порталу имате, уважени читаоци, оригинално реаговање Републичког одбора СУБНОР-а Србије, али га још једном преносимо да бисте могли да упоредите са оним што је објавила Радио телевизија Србије.

Погледајте шта је ваше право да о свему будете обавештени.

И о томе како то РТС упорно ради. У чијем интересу и због чега?




=== 4 ===

(ovviamente, a "Il Piccolo" non dispiace il taglio revisionista della "nuova" TV serba...)

In Serbia serial storico tv su partigiani e cetnici

La televisione serba si appresta a mandare in onda una serie tv che tratta la storia del Paese tra il 1941 e il 1945 quindi del conflitto di allora tra partigiani e cetnici, un punto molto delicato che il regista Radoš Bajić sostiene di voler affrontare secondo una metodologia narrativa in grado di superare pregiudizi e ataviche contrapposizioni. «Con il massimo rispetto verso tutte le vittime del fratricidio - ha spiegato il regista - senza guardare da che parte stavano, mi sono deciso a raccontare le vicende subite dal popolo serbo a causa di storiche divisioni. Non intendiamo difendere una o l’altra parte o giudicarla, racconteremo una vicenda in cui tutti sono sconfitti cercando di ribadire che simili fatti non devono mai più ripetersi».
Bajić ha scritto la serie televisiva su invito del direttore della Tv nazionale serba, Aleksandr Tijanić. I primi otto dei quindici episodi sono stati girati sulla Ravna Gora dove è nato il movimento cetnico di Draža Mihailovic. Altre scene saranno girate anche sul fiume Drina a Belgrado e e a Kragujevac. La serie sarà conclusa entro la fine del 2012 e dovrebbe giungere sugli schermi serbi entro la fine del prossimo anno. L’attore Dragan Bjelogrlić sarà Tito mentre Nebojša Glogovac interpreterà Mihailovic.
 
da "Il Piccolo" del 6 agosto 2012




(srpskohrvatski / italiano.

Sulla giornata NO MONTI del 27/10/2012 segnaliamo anche i commenti, le foto e i video raccolti al sito:
ed il comunicato degli Attivisti contro la Guerra:




NOMONYDAY – MANIFESTACIJA U RIMU PROTIV AKTUALNE VLADE


piše Claudia Cernigoj
Posted by Novi Plamen on October 31, 2012

Pišem polemički u odnosu na sve one novinare, koji s indignacijom neprestano govore o mogućoj cenzuri ili prijetnjama cenzurom od strane vlasti, no nikad ne oklijevaju da sami cenzuriraju vijesti, kad im se ove ne dopadaju (i vidi slučaja, uvijek im se ne dopadaju, kad su protiv konstituirane vlasti). Jučer je ulicama Rima prošlo na desetke hiljada osoba (možda ne baš 150.000 kako je javio Cremaschi, ali svakako jako puno), a kako su na to reagirali mediji? Ostavivši po strani činjenicu da dnevni listovi grupe Espresso nisu uopće izašli zbog štrajka i da je listFatto Quottidano dao pristojan prikaz, preletavajući tekstove dnevnih vijesti na netu i prevrčući vijesti novinskih listova, mogu kazati sljedeće.
Data je samo pokoja sporadična vijest, gurnuta na kraj strane o unutrašnjim događajima, no jako je naglašena moguća «opasnost» manifestanata (jer se očekivalo «socijalne centre» i pokret protiv brzog vlaka za Francusku «no tav» -no treno alta velocità, a svi su oni, kako je opće poznato, ružni, opasni i zli, ali činjenica, da su manifestaciju sazvali sindikati i to sindikati iz baze, tako zvani Cobas – Comitati di base, o tome nigdje ni jedne jedine riječi). Zatim javljaju o jajima pobacanim po zidovima, o natpisima i o jednom (jedinom – slovom i brojem!) zapaljenom sanduku za smeće, te o kraku ogromne manifestacije, što se izdvojio na kraju i htio provocirati sukobe (do kojih uopće nije došlo). Il  Gazzettino di Venezia navodi parolu, a bilo ih je na stotine, koju je nosio neki manifestant iz Toscane, a na kojoj je stajalo «Monti, osvijetli nas, daj va…»(tre, što je naravno list protumačio kao poziv Predsjedniku Montiju, da sam sebe zapali. O stotinama i hiljadama ostalih slogana i parola baš ništa).
Ni jedne jedine riječi o Savezu Sindikata iz baze, koji su došli u Rim iz cijele Italije, počevši od onih iz željezare Ilva iz Taranta pa do studentskih sindikata iz baze, ni riječi o sindikatima iz baze građana, o onima koji se bore za zaštitu prirodnog ambijenta, o svima onima, koji su došli da zahtijevaju bolji život, da kažemo u dvije riječi, bolji život za kojim težimo i na koji smatramo da imamo pravo u ovim godinama velikog progresa, u kojima, po riječima sopstvenih vlada, živimo.
Šteta što se po njima progres mjeri u slapovima cementa što padaju na gradove, a ne napretkom u zdravstvenom osiguranju, te u investicijama, ali ne u kulturu, već u podivljalu građevinsku djelatnost, u ponovno dovođenje gasa i otvaranje gasnih pogona, a ne u štednji energije, pa zato treba biti strpljiv, i ništa ne mari što će se u takvom projektu progresa snaći k’o riba u vodi (jer se snalazi i pliva k’o riba u vodi već decenijama)  niko drugi do mafija odnosno organizirani kriminal, što će novci otići na vojne troškove, a ne na socijalnu zaštitu, a još manje na stvaranje eko kompatibilnih i društveno korisnih radnih mjesta.
Zato onaj koji se protivi od vlasti nametnutom modelu treba da bude kriminaliziran, pa ako ne uspiju infiltracije i ako ne dadu rezultat provokacije te u glavni grad dođe 100.000 osoba, koje u potpunom redu manifestiraju, u tom slučaju o tome najbolje ni glasa, treba prešutjeti, treba minimizirati, o tome se ne smije govoriti.
Ako se režim (da, režim, jer ova vlast nije izabrana na slobodnim izborima) tako ponaša to kod mene ne izaziva neki naročiti utisak, jer je institucionalna dužnost vlasti cenzurirati opoziciju. Ali da se svi organi štampe tako nisko spuste i da se toliko dodvoravaju režimu, koji i njima ukida financijska sredstva, jest stvar, koja me još uvijek može indignirati, ne samo kao građanku i političku aktivistkinju, već i kao nekog ko pripada kategoriji novinara, kojoj sam se odlučila pripadati prije više od trideset godina, čim sam završila gimnaziju, jer sam smatrala da je nužno proizvoditi informacije, a ne propagandu, te da ljudi moraju biti upoznati sa činjenicama više i dublje no što to dozvoljava vlast svojom cenzurom, jer je to bio jedini put za stvaranje javnog mnjenja, koje bi bilo u stanju da odlučuje i u čije se ruke moglo staviti upravljanje zemljom.
Bila je to utopija generacije koja je stala na životnu pozornicu sedamdesetih godina prošlog vijeka imajući pred očima američki analitički žurnalizam (sjaćate li se još Watergatea?), ali i talijanske novinare -istraživače kao što je bioNozza, koji je pucao k’o iz puške i sve one novinare analitičare, koji su otkrili u kaontra-istragama, što su ustvari značili «državni pokolji».
Ta se novinarska kultura izgubila i danas imamo informacije (istinske, a ne propagandu) jedino zahvaljujući volonterima odnosno onima koji žive događaje i o njima govore na mreži, ali nažalost doseg takvog novinarstva dopire jedva do nešto više publike od onih, koji se tim stvarima bave.
Zato ne čudi, što imamo takve političare, kakve imamo, što najveći dio populacije pada ničice pred vlašću i pasivno i bez otpora prima ono što joj politička klasa nameće, a to čini zato, jer alternative –nema.
Sumnjiv zavšetak; jako lijepa manifestacija, toliko ljudi, toliko poruka, dobro sam se osjećala i uvijek sam optimist, ali ostaje problem: šta da se radi? A naročito kako raditi, jer na kraju krajeva jest, bilo nas je mnogo, ali malo, ako se uzme u  obzir ukupno aktivno stanovništvo zemlje, jer važni sindikati, oni s kojima se mora računati,  nisu toga dana izišli na ulice, a radnici slijede sindikate s kojima se mora računati, a ne avangardu, čak i kad se slažu s avangardom, a isto vrijedi i za partije, pa se treba začuditi nad činjenicom da su bili prisutni i Talijanski komunisti i Savez ljevice, iako su se u zadnji čas, u predvečerje manifestacije od nje disocirali Partito democratico comunisti italiani i cijeli Savez ljevice, ali ostaje problem, kako će istupiti Savez ljevice na sljedećim izborima.
Naglašavam potpunu otsutnost pristaša Beppe Grilla (glumca koji vodi mase protiv svih postojećih partija i za odustajanje od politike, prim. prev.), koji bi trebali pokazati svoj odnos prema aktualnoj vladi. List «La Repubblica»definirao je našu manifestaciju vintage pokretom. Šteta što se vintage odnosi na najbolji period Italije, period socijalnih dostignuća i priznavanja prava, onih prava koje je «moderna» Montijeva vlada već potpuno izbrisala i skinula s dnevnog reda, u ime «rigoroznosti», koja uvijek i jedino pogađa one najslabije.
Očekujem rezultate sicilijanskih izbora.
Cladia Cernigoi koja danas nosi borbeno ime Vintege.


Inizio messaggio inoltrato:

Da: Claudia Cernigoi <nuovaalabarda  @  yahoo.it>
Data: 28 ottobre 2012 11.52.14 GMT+01.00
Oggetto: nomontyday a Roma the day after


... Intervento polemico nei confronti di tutti i giornalisti che si indignano parlando di censure possibili o minacciate dagli organi del potere, ma non si tirano indietro dal censurare loro le notizie, quando non piacciono (e, guarda caso, non piacciono di solito quando sono contrarie al potere costituito).
Ieri c'erano in piazza a Roma decine di migliaia di persone (forse non le 150.000 di Cremaschi, ma comunque tantissime), e come hanno reagito gli organi di informazione? tralasciando il fatto che i quotidiani del gruppo Espresso non sono usciti per lo sciopero, ed il Fatto quotidiano che ha fatto un servizio decente, navigando qua e là sui notiziari in rete e spulciando qualche quotidiano, posso dire questo.
la notizia relegata in trafiletti nelle pagine interne, grande risalto alla possibile "pericolosità" dei manifestanti (erano attesi, diceva La7, "centri sociali" e "movimento Notav", brutti cattivi e pericolosi, ma che la manifestazione fosse indetta da sindacati, sia pure di base, nulla) e poi alle uova lanciate contro i muri, le scritte un (dicasi uno di numero) cassonetto bruciato, uno spezzone che ha proseguito dopo la fine del corteo innescando un tentativo di scontri (che non sembra siano avvenuti). Il Gazzettino di Venezia ha citato, unico tra centinaia di messaggi, il cartello di un toscano che diceva "Monti illuminaci, datte foo" (naturalmente tradotto in "datti fuoco". 
Delle decine di migliaia di altri contenuti, nulla.
Non una parola sugli striscioni delle federazioni USB di tutta Italia, a partire da quello dell'Ilva di Taranto che recitava "vogliamo morire di salute", sulle parole d'ordine per i diritti dei lavoratori, degli studenti, dei cittadini, per la difesa dell'ambiente, per una vita migliore, tanto per dirla in due parole, una vita migliore alla quale possiamo pretendere anche di avere diritto in questi tempi di progresso, in cui, stando a quanto dicono i nostri governanti, viviamo.
Peccato che secondo loro il progresso si misura in colate di cemento e non in assistenza sanitaria, gli investimenti non nella cultura ma nell'edilizia selvaggia, nei rigassificatori e non nel risparmio energetico, e pazienza se in questo progetto di progresso chi ci sguazzerà sicuramente (come sguazza da decenni) sarà ancora una volta la criminalità organizzata, nelle spese militari e non nell'assistenza sociale e nella creazione di posti di lavoro eco e socio compatibili.
Perciò chi parla contro va criminalizzato, e se non riescono le infiltrazioni e le provocazioni e si arriva a centomila persone che sfilano ordinatamente nella capitale, allora bisogna zittire, censurare, minimizzare, non parlare.
Che il regime (sì, regime, perché questo governo non è stato deciso da libere elezioni) si comporti in questo modo, non mi fa particolare specie, è il suo compito istituzionale censurare l'opposizione.
Che gli organi di stampa si appiattiscano a tal punto ad un regime che taglia anche i finanziamenti a loro, è cosa che invece può ancora indignarmi, non solo come cittadina e militante, ma anche come appartenente alla categoria giornalistica, alla quale ho scelto di appartenere più di trent'anni fa, appena finito il liceo, perché ritenevo necessario produrre informazione e non propaganda, permettere alla gente di conoscere i fatti andando oltre le censure del potere, perché solo in tale modo si poteva creare un'opinione pubblica in grado di decidere a chi affidare il governo del Paese.
L'utopismo di chi era cresciuto negli anni 70 con il modello del giornalismo d'inchiesta USA (ricordate il Watergate?), ed anche italiano, basti pensare ai "pistaroli" come Nozza, ed a coloro che diedero corpo alla controinchiesta sulla "Strage di stato".
Una cultura che si è persa, oggi l'informazione (quella vera, non la propaganda) si ha solo grazie al volontariato di chi vive gli avvenimenti e ne parla sulla rete, ma purtroppo raggiunge poco più che non gli addetti ai lavori.
Così non possiamo stupirci se abbiamo la classe politica che abbiamo, se la maggior parte della popolazione accetta supinamente quello che la classe politica gli impone, perché tanto non c'è alternativa.

Chiusura dubbiosa: una bella manifestazione, tanta gente, tanti messaggi, mi sono trovata bene e sono sempre ottimista, ma rimane il problema del che fare, e soprattutto come farlo, perché alla fine eravamo in tanti, ma pochi rispetto al totale della popolazione attiva, perché i sindacati che contano non sono quelli che erano in piazza, ed i lavoratori seguono i sindacati che contano, non le avanguardie, anche se magari sarebbero d'accordo con loro, stesso discorso per i partiti, ammirevole il fatto che Comunisti italiani e Federazione della sinistra siano stati presenti nonostante la dissociazione dell'ultimo momento del Pdci che ha coinvolto la Federazione in toto, ma rimane il problema di cosa sarà della Federazione nel prossimo futuro elettorale.
Rilevo la completa assenza dei "grillini", per valutare il loro ruolo rispetto alla politica del governo in carica. Movimento vintage, ci ha definiti la Repubblica: peccato che il vintage si riferisca al periodo migliore dell'Italia, quello delle conquiste sociali e dei diritti, quelli che il "moderno" governo Monti ha ormai completamente cancellato, in nome di un "rigore" che colpisce solo le fasce più deboli.
Aspettando con trepidazione il risultato delle elezioni siciliane

Claudia Cernigoi, che come nome di battaglia da oggi si chiamerà Vintage




L'arma del silenzio mediatico

1) L'Unione Europea è talmente democratica che impedisce la pubblica fruizione delle trasmissioni della TV siriana
2) L'arma del silenzio mediatico (Manlio Dinucci)


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L'UNIONE EUROPA OSCURA LA TV SIRIANA         

Spiacevole sorpresa lunedi' per tutte le persone che seguono in Europa la tv siriana. Per ordine dell' Unione Europea il satellite Hotbird ha interrotto le trasmissioni di vari canali siriani nella cornice delle sanzioni contro la Siria. Quindi le persone di origine siriana che vivono nei paesi europei non possono piu' avere informazioni dirette su quanto avviene nel loro paese se non da qualche sito o telefonando. L' alternativa e' ascoltare la propaganda di Al Jazeera e Al Arabya o comprare una parabola speciale per ricevere i canali russi. Una cattiveria unica non tanto verso lo stato siriano, ma soprattutto verso i siriani in Europa che oltre ad essere lontani dal loro paese sono in ansia per i loro familiari in Siria e vorrebbero seguire quanto sta avvenendo nel loro paese. Ora temono anche che questo "simpatico" stratagemma venga esteso ad altre forme di comunicazione come Skype o altri server siriani. Non e' la prima interruzione per i canali di questo paese. Lo scorso giugno la Lega Áraba ha chiesto ai proprietari dei satelliti Arabsat y Nilesat la sospensione delle trasmissioni siriane via satellite in tutto il mondo.
Il 15 ottobre inoltre il satellite Eutelsat ha interrotto i servizi a 19 canali e stazioni radio trasmessi dall' Iran; un' altra decisione dell' UE presa insieme ad altre misure nel settore finanziario, commerciale, energetico e dei trasporti. In questa occasione sono stati oscurati PressTV e altri canali televisivi oltre a varie stazioni radio.

(fonte: Siria, le notizie della settimana dal 21 al 28 ottobre 2012
a cura di Marco Palombo
http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1060 )


=== 2 ===


Il Manifesto 30/10/2012

L'ARTE DELLA GUERRA

L'arma del silenzio mediatico

Si dice che il silenzio è d'oro. Lo è indubbiamente, ma non solo nel senso del proverbio. È prezioso soprattutto come strumento di manipolazione dell'opinione pubblica: se sui giornali, nei Tg e nei talk show non si parla di un atto di guerra, esso non esiste nella mente di chi è stato convinto che esista solo ciò di cui parlano i media. Ad esempio, quanti sanno che una settimana fa è stata bombardata la capitale del Sudan Khartum? L'attacco è stato effettuato da cacciabombardieri, che hanno colpito di notte una fabbrica di munizioni. Quella che, secondo Tel Aviv, rifornirebbe i palestinesi di Gaza. Solo Israele possiede nella regione aerei capaci di colpire a 1900 km di distanza, di sfuggire ai radar e provocare il blackout delle telecomunicazioni, capaci di lanciare missili e bombe a guida di precisione da decine di km dall'obiettivo. Foto satellitari mostrano, in un raggio di 700 metri dall'epicentro, sei enormi crateri aperti da potentissime testate esplosive, che hanno provocato morti e feriti. Il governo israeliano mantiene il silenzio ufficiale, limitandosi a ribadire che il Sudan è «un pericoloso stato terrorista, sostenuto dall'Iran». Parlano invece gli analisti di strategia, che danno per scontata la matrice dell'attacco, sottolineando che potrebbe essere una prova di quello agli impianti nucleari iraniani. La richiesta sudanese che l'Onu condanni l'attacco israeliano e la dichiarazione del Parlamento arabo, che accusa Israele di violazione della sovranità sudanese e del diritto internazionale, sono state ignorate dai grandi media. Il bombardamento israeliano di Khartum è così sparito sotto la cappa del silenzio mediatico. Come la strage di Bani Walid, la città libica attaccata dalle milizie «governative» di Misurata. Video e foto, diffusi via Internet, mostrano impressionanti immagini della strage di civili, bambini compresi. In una drammatica testimonianza video dall'ospedale di Bani Walid sotto assedio, il Dr. Meleshe Shandoly parla dei sintomi che presentano i feriti, tipici degli effetti del fosforo bianco e dei gas asfissianti. Subito dopo è giunta notizia che il medico è stato sgozzato. Vi sono però altre testimonianze, come quella dell'avvocato Afaf Yusef, che molti sono morti senza essere colpiti da proiettili o esplosioni. Corpi intatti, come mummificati, simili a quelli di Falluja, la città irachena attaccata nel 2004 dalle forze Usa con proiettili al fosforo bianco e nuove armi all'uranio. Altri testimoni riferiscono di una nave con armi e munizioni, giunta a Misurata poco prima dell'attacco a Bani Walid. Altri ancora parlano di bombardamenti aerei, di assassinii e stupri, di case demolite con i bulldozer. Ma anche le loro voci sono state soffocate sotto la cappa del silenzio mediatico. Così la notizia che gli Stati uniti, durante l'assedio a Bani Walid, hanno bloccato al Consiglio di sicurezza dell'Onu la proposta russa di risolvere il conflitto con mezzi pacifici. Notizie che non arrivano, e sempre meno arriveranno, nelle nostre case. La rete satellitare globale Intelsat, il cui quartier generale è a Washington, ha appena bloccato le trasmissioni iraniane in Europa, e lo stesso ha fatto la rete satellitare europea Eutelsat. Nell'epoca dell'«informazione globale», dobbiamo ascoltare solo la Voce del Padrone.

Manlio Dinucci






MARCELLO SPACCINI, AGENTE DEL SIM

Marcello Spaccini, sindaco democristiano di Trieste negli anni 70, è stato recentemente ricordato a Trieste in un convegno cui hanno partecipato storici ed esponenti politici, convegno probabilmente propedeutico (stando al fatto che successivamente sulla stampa locale si sono succeduti alcuni interventi in merito) ad un riconoscimento pubblico della sua figura (un monumento o l’intitolazione di una via).

Nel corso del convegno sopra citato (svoltosi l’8 ottobre scorso) sia il giornalista Guido Botteri (che di Spaccini ha ricordato il ruolo avuto nella Resistenza), sia lo storico Roberto Spazzali (che ha trattato dell’attività dell’esponente democristiano nel periodo in cui Trieste era amministrata da un Governo militare alleato), hanno evidenziato il fatto che Spaccini non ha lasciato detto o scritto granché del suo operato nei periodi da loro descritti.

In effetti, la ricostruzione da parte dei due relatori dell’attività politica di Spaccini nel decennio 1943-1954, non ha considerato un particolare fondamentale: il fatto che il futuro sindaco nel 1945 avesse lavorato per il Servizio Informazioni Militari (SIM) badogliano, e più specificamente, fosse stato assunto, sia pure temporaneamente, nella Sezione Calderini, la branca “offensiva” del ricostituito servizio segreto militare (buona parte degli ufficiali che avevano prestato servizio nella Calderini diedero poi vita alla struttura Gladio). Leggiamo infatti nella sentenza ordinanza redatta dal dottor Carlo Mastelloni, giudice istruttore nel processo su Argo 16 (Sentenza ordinanza n. 318/87 A. G.I., Procura di Venezia, d’ora in poi Argo 16) che alla fine degli anni ’40 l’attività di Spaccini era “tenuta in notevole considerazione dall’Ufficio Zone di Confine” (dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri), in quanto era stato “impiegato quale agente collaboratore, con compiti d’informatore, da parte di una missione operativa della Sezione Calderini del SIM attiva all’epoca della lotta di Liberazione e “fu anche munito, per interessamento della Presidenza del Consiglio”, di “un’autovettura di supporto alla sua attività”, dal SIM attraverso il C.S. di Venezia (Argo 16, p. 1.870).

Facciamo ora un passo indietro per tracciare la biografia dell’ingegner Marcello Spaccini, che dal Lazio era giunto a Trieste come dirigente delle Ferrovie. Quanto segue è tratto da “l’Italia chiamò” di Roberto Spazzali, Leg 2004, dal capitolo “La liberazione di don Marzari” dello stesso Spaccini ne “I cattolici triestini nella Resistenza, Del Bianco 1960 e da altri documenti che citeremo di volta in volta.

Secondo i suoi biografi Spaccini sarebbe stato l’animatore della Brigata Ferrovieri del non ancora costituito Corpo volontari della libertà subito dopo l’8 settembre 1943 (ma, da quanto ci consta, i ferrovieri antifascisti si erano organizzati per sabotaggi ed attentati alle linee ferroviarie in collaborazione con l’Osvobodilna Fronta, il Fronte di Liberazione da prima che Spaccini si attivasse). Va detto per inciso che il comandante della Ferrovieri al momento dell’insurrezione di Trieste fu Antonino Cella, che compare nell’elenco “ufficiale” dei “gladiatori” reso noto da Andreotti nel 1991, assieme ad altri dirigenti del CVL triestino, Giuliano Dell’Antonio, Ernesto Carra, Vasco Guardiani.

In ogni caso Spaccini fu ufficiale di collegamento con la Divisione Osoppo friulana, e nel febbraio del 1945 subentrò, quale rappresentante democristiano all’interno del CLN giuliano, a Paolo Reti (arrestato e rinchiuso a San Sabba, dove fu ucciso nell’aprile successivo). Fu poi artefice della fusione tra la Brigata Ferrovieri e la Brigata Venezia Giulia, che formarono la Divisione Rossetti, collegata alla Osoppo, e comandata da Carra (nome di battaglia Monti).

Spaccini fu autore del noto colpo di mano che portò alla liberazione dal carcere del Coroneo del presidente del CLN, il sacerdote Edoardo Marzari che era stato tratto in arresto l’8 febbraio precedente, pochi giorni prima di Reti, azione che narrerà egli stesso nel citato capitolo “La liberazione di don Marzari” (“I cattolici, cit, p. 134 e seguenti). La sera del 29/4/45 si recò, con “quattro gatti” alla sede dell’Ispettorato Speciale di via Cologna (il famigerato corpo di polizia collaborazionista di cui faceva parte la Squadra speciale diretta dal commissario torturatore Gaetano Collotti) e prese possesso della struttura assieme al commissario Ottorino Palumbo Vargas, dirigente della Polizia ferroviaria (ma risulta anche in forza alla Brigata Timavo del CVL), che il CLN nominò questore di Trieste al momento dell’insurrezione. I due chiesero di parlare con i funzionari rimasti in sede (Collotti era scappato due giorni prima assieme ad alcuni membri della sua squadra, ed era stato catturato e giustiziato da partigiani trevigiani) Gustavo Scocchera (funzionario medico) e Mariano Perris (dirigente la squadra giudiziaria), il quale affermò nel corso del processo contro il dirigente dell’ispettorato (l’ispettore generale Giuseppe Gueli) che “la squadra giudiziaria nulla ha a che vedere con la squadra politica”; ma va detto che un altro testimone affermò che la macchina per la tortura elettrica “passava qualche volta” anche nell’ufficio di Perris (le citazioni sono tratte dal Carteggio processuale Gueli, in archivio Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste n. 914). Nel corso dell’occupazione della sede dell’Ispettorato Spaccini e Palumbo Vargas presero in consegna le armi e l’archivio, disarmarono tutti gli agenti tranne quelli dipendenti dalla squadra giudiziaria (che probabilmente parteciparono poi all’insurrezione assieme agli armati del CVL) e poi Spaccini e Perris andarono al Coroneo a liberare don Marzari.

Mariano Perris non fu epurato perché il CVL triestino lo inserì tra i propri collaboratori  e nel dopoguerra proseguì la carriera in polizia: diresse la Squadra politica a Milano e a Torino (il suo nome comparve nell’elenco dei funzionari di PS pagati da Agnelli per controllare i “politici” all’interno della fabbrica); fu questore di Pisa nel 1972, quando agenti di polizia picchiarono a morte un ragazzo di vent’anni, Franco Serantini, durante una manifestazione antifascista.

Tra i documenti raccolti da Mastelloni (Argo 16, p. 1.725, 1726) troviamo i ringraziamenti a Spaccini da parte del “vice capo ufficio” dello SMRE, per “la volontaria, disinteressata collaborazione che Ella ha voluto offrire” ad una missione del SIM composta, tra gli altri, dal capitano Giuliano Girardelli, dal tenente dei Carabinieri Armando Lauri (che negli anni ‘60 fu comandante del Centro di controspionaggio di Milano e risulta al n. 588 dell’elenco degli aderenti alla Loggia P2), dal colonnello del Genio Mario Ponzo e dal capo furiere della Marina Arturo Bergera (questi ultimi due furono arrestati dagli Jugoslavi assieme all’emissario del SIM Luigi Podestà nel maggio ‘45, perché si erano appropriati della cassa del comando Marina).

Ponzo risulta ufficialmente scomparso dopo l’arresto (Bergera e Podestà rientrarono a Trieste nel 1947), ma sempre in Argo 16 leggiamo che Armando Lauri “nell’estate del 1945 fungeva da collaboratore della sezione Calderini del SIM unitamente al colonnello Genio navale Ponzo Mario” (p. 204), come se Ponzo nell’estate del 1945 fosse vivo e a piede libero.

Torniamo a Spaccini che il 7/5/45 partì clandestinamente a bordo di un furgone funebre della “Legnano”, con una delegazione (composta da don Marzari, dagli azionisti Isidoro Marass e Giovanni Paladin ed all’indipendente Antonio de Berti, successivamente “organizzatore dell’esodo da Pola”) che si recò dapprima a Venezia (per incontri con i servizi di informazione italiani, con ufficiali angloamericani e con il CLN del Veneto, assieme al quale fu costituito il Comitato giuliano di Venezia, in Argo 16, p. 1.725, 1.726) e poi a Roma. Qui la delegazione fu ricevuta dal Presidente del consiglio Bonomi e da altri ministri, ma dei risultati dei colloqui di Spaccini a Roma parleremo più avanti. Il 12/6/45 la 2^ Sezione dell’Ufficio Informazioni dello SMRE (cioè la Calderini) richiese al Quartier generale dell’aeronautica alleata un trasporto aereo da Roma a Milano per Spaccini, “in servizio temporaneo per la 2^ Sezione”, motivando come “rientro per ultimata “missione” (In Archivio Ufficio Stato Maggiore Esercito, busta 314 n. 179163).

Spaccini risulta tra i firmatari di una lettera, pubblicata l’1/8/45 su “Libera Stampa” ed indirizzata alle autorità alleate, assieme ad altri “componenti del CLN in rappresentanza di tutti i partiti antifascisti: prof. Savio Fonda, Ercole Miani, Spaccini, prof. Paladin, Michele Miani, prof. Schiffrer e dott. Bartoli”, nella quale si denunciava che “nelle giornate del 2-3-4-5- maggio numerose centinaia di cittadini vennero trasportati nel cosiddetto Pozzo della miniera in località prossima a Basovizza e fatti precipitare nell’abisso profondo circa 240 metri”, lettera che chiudeva chiedendo al comando Interalleato di provvedere al recupero delle salme. Alcuni giorni dopo, però, tre dei componenti del CLN (Ercole e Michele Miani e Carlo Schiffrer) scrissero negando l’autenticità della loro firma sul documento.

Dunque Spaccini fu tra i membri del CLN giuliano che diedero il via alla creazione della mistificazione sullafoiba di Basovizza (coinvolgendo anche altre personalità estranee alla manovra) comunicando notizie false alle autorità alleate, che, dopo avere proceduto alle ispezioni per diversi mesi, nel febbraio 1946 ordinarono la sospensione delle ricerche perché non avevano trovato alcun resto umano, ma con l’indicazione di addurre motivi tecnici per questa sospensione, dato che non si doveva smentire quanto asserito dal CLN (in Archivio NARA Washington, anche in Pokrajini arhiv Koper, ae 648).

Nel suo intervento dell’8/10 Spazzali spiega l’oggetto dei colloqui di Spaccini con l’allora ministro degli Esteri Alcide De Gasperi: egli ottenne l’autorizzazione ed i finanziamenti per un’emittente radiofonica “clandestina” che avrebbe trasmesso da Venezia verso Trieste diffondendo notizie diverse da quelle ufficiali e, così chiosa Spazzali, “siamo nell’ambito di una guerra di propaganda e di un agguerrito fronte contro il comunismo jugoslavo, mentre i comunisti italiani erano ancora al governo, che sembrano anticipare i futuri scenari della guerra fredda”.

La sicurezza dell’emittente, il cui trasmettitore fu sistemato in una struttura della Marina militare fu garantita dall’allora Capo di stato maggiore della marina, Raffele De Courten.

Tale emittente perse importanza, spiega Spazzali, dopo la firma del trattato di pace del 10/2/47, così Spaccini ricevette dei finanziamenti per un’altra iniziativa, l’agenzia giornalistica Astra, da lui diretta (strano ruolo per un ingegnere), dove per i servizi economici il dirigente era il Giuliano Dell’Antonio precedentemente citato. L’Astra fu immediatamente finanziata con un importo di 40 milioni di lire (altri 25 furono stanziati per l’ammodernamento dell’emittente radiofonica, e Spazzali afferma che in totale il costo dell’Astra fu di 128 milioni e 800mila lire fino al giugno 1949; in Argo 16 risulta che la Presidenza del Consiglio tramite l’Ufficio per le Zone di Confine erogò, tra il 1948 ed il 1949, rispettivamente 33 e 27 milioni di lire a Spaccini ed alla Astra.

Non possiamo fare a meno di considerare l’entità di questa spesa in anni in cui l’Italia era ancora economicamente in ginocchio.

Spazzali descrive l’Agenzia Astra, che aveva a disposizione mezzi tecnici all’avanguardia, traduttori da una decina di lingue, collegamenti giornalieri con agenzie di stampa statunitensi e britanniche e la possibilità di rinviare il notiziario della Press Wireless di New York; fu pertanto vista come punto di riferimento per l’informazione di tutto il sud est europeo all’epoca in cui operò. Spazzali aggiunge che lo scopo di questa operazione non sarebbe stato il “solo fatto di sostenere la causa italiana sul confine orientale l’indomani del Trattato di pace”, ma anche “l’imminente appuntamento con le elezioni politiche italiane previste il 18 aprile 1948”, in quanto si “profilava uno scontro politico tra i partiti democratici occidentali e quelle del blocco social comunista”. Ed ancora che era essenziale per il governo italiano avere un’agenzia di stampa fuori dalla sovranità temporanea che avrebbe potuto operare l’informazione in situazione di stay behind (cioè oltre le linee “nemiche”), ma dopo il 1950 non furono più necessarie le funzioni dell’agenzia né della radio, il cui scopo era l’italianità di Trieste, prima da difendere contro lo jugoslavismo, poi contro il comunismo e poi contro l’indipendentismo. Infine Spazzali ci spiega che il referente diretto di Spaccini era Giulio Andreotti.

Il dottor Mastelloni, da parte sua, ipotizza una “funzione di copertura” dell’Astra per i finanziamenti versati dalla Presidenza del Consiglio “per conto della quale l’ingegnere fungeva da elemento operativo nella città di Trieste” (Argo 16, p. 1.875) ed in quanto “impiegato come elemento di riferimento per le attività dell’Ufficio Zone di Confine nella Venezia Giulia quale organizzatore colà delle strutture clandestine anticomuniste (Argo 16, p. 1.725). Vediamo alcune testimonianze raccolte dal magistrato.

Diego de Castro, rappresentante diplomatico italiano a Trieste sotto il GMA, dichiarò di essere stato “avvicinato da un gruppo di persone aderenti ai vari partiti politici”, e fa il nome del comunista Vidali, dei democristiani Spaccini e Redento Romano, e del liberale Forti che “in relazione all’addensarsi sulla linea di confine di truppe dell’Esercito jugoslavo che minacciavano di occupare Trieste, mi rappresentarono l’opportunità di armare un gruppo di uomini controllati dai citati esponenti dei partiti al fine di difendere la città qualora si fosse verificata l’invasione” (Argo 16, p. 1.871).

Renzo Di Ragogna, che partecipò alle esercitazioni delle squadre armate a Trieste negli anni del GMA (denominate Gruppi di difesa triestini), testimoniò di essere stato avvicinato da Ernesto Carra nel 1947 per “riunioni nelle quali venivano istruiti all’uso di armi e sulle tecniche di guerriglia”, mentre nel 1953 Carra lo “informava che bisognava creare vari depositi di armamento, bene celati e nascosti da impiegarsi in caso di necessità dettata dall’invasione di Trieste da parte delle truppe jugoslave”, così Di Ragogna si occupò di costruire 6 nascondigli (Argo 16, p. 1.859).

Nell’estate del 1954 fu rinvenuto in un locale della Stazione centrale di Trieste un deposito di armi e “come si rileva dal rapporto della Polizia Civile di Trieste lo Spaccini fu immediatamente sospettato come intraneo alla vicenda del deposito stesso” (Argo 16, p. 1.875), in quanto impiegato alle Ferrovie. E Galliano Fogar così rese testimonianza a Mastelloni: “Ritengo che competente per quella zona della città fosse l’ing. Marcello Spaccini che faceva parte dell’Organizzazione” (Argo 16, p. 1.866).

Infine un cenno a Renzo Apollonio, in forza al SIM tra il 1945 ed il 1946 (negli elenchi della P2 consegnati nel 1976 alla magistratura) il quale ha dichiarato che il suo incarico all’Ufficio Stampa del Ministero era una copertura in quanto in realtà si occupava “del problema della Venezia Giulia con incarico di sollevare l’attenzione dell’opinione pubblica italiana sul problema del territorio libero” (Argo 16, p. 1.859).

Questa in brevissima sintesi la struttura alla quale collaborò Spaccini fino al 1954. Il resto è un’altra storia.

Claudia CERNIGOI

ottobre 2012





Monument for Sinti and Roma victims of Nazis highlights German government hypocrisy


By Bernd Reinhardt 
29 October 2012


On October 24, a central memorial for the 500,000 Sinti and Roma murdered by the Nazis was unveiled in Berlin. The monument is sited immediately next to the Bundestag (parliament) building. It is also close to the Holocaust memorial for the Jews murdered during Nazi rule.

The ceremony to unveil the monument was attended by representatives of the Sinti and Roma communities, a representative of the Central Council of Jews in Germany, and the vice president of the International Auschwitz Committee. Top representatives of the German political establishment were present, including Federal President Joachim Gauck, Chancellor Angela Merkel, Culture Minister Bernd Neumann and Bundestag President Nobert Lammert.

Also in attendance were various party representatives such as Gregor Gysi and Petra Pau (Left Party), Renate Künast (Greens), Berlin Mayor Klaus Wowereit (Social Democratic Party), and former federal president Richard von Weizsäcker. The ceremony was transmitted live on television.

Israeli artist Dani Karavan created the monument in accordance with guidelines provided by the Sinti and Roma communities designed to point to their common history of persecution. The monument consists of a circular black basin filled with water, twelve metres in diameter, with a triangle-shaped column at its centre representing the piece of fabric that Sinti and Roma were forced to wear in the concentration camps.

Every evening, the column will retract, appearing again the following day bearing a fresh flower. This stands for recurring sorrow, recurring life and a constant reminder to keep alive the memory of the crimes committed against the Sinti and Roma.

The poem “Auschwitz” by the Italian Roma musician and poet Santino Spinelli is worked into the edge of the basin. A glass wall near the basin provides information about the history of the Nazi persecution of the Sinti and Roma in Europe.

The chair of the Central Council of German Sinti and Roma, Romani Rose, and the Dutch Sinto Zoni Weisz delivered moving speeches. Last year, Weisz was the first Sinto to address the German Bundestag, where he called upon deputies to make public the “forgotten Holocaust”. As a child he escaped deportation to the camps but lost his entire family.

Romani Rose, who lost 13 family members in the camps, has long been active in the Sinti and Roma civil rights movement in Germany. He held a hunger strike at the Dachau concentration camp in 1980 to draw attention to the genocide against the Sinti and Roma.

Both speakers visibly struggled with their emotions. Many of the Sinti and Roma present cried when Weisz recounted the history of his family. Practically every family has lost members. The memory of the nightmare of the Third Reich and the fear of its repetition remain tangible today.

In the background but very present at the ceremony was a sense of the hypocrisy of unveiling a memorial over half a century after the crimes were committed, compounded by the escalating persecution of Sinti and Roma today in Germany and throughout Europe.

Following the speech by Chancellor Merkel, one angry audience member demanded to know what was happening to the Sinti currently being deported from Germany to Eastern Europe. A speaker on the platform simply talked over the objection, declaring, “That is not the issue here today.”

This arrogant response underscores the fact that the German government has no interest in documenting and exposing the crimes of the Nazis against the Sinti and Roma, providing restitution for these crimes, or looking honestly and objectively at Germany’s postwar history.

Following the Second World War, old Nazis were able to continue their careers. Practically the entire judicial and civil service apparatus of the Third Reich was taken over by the “democratic” Federal Republic of Germany.

The size of the pensions received after the war by such officials and judges included their service under the Nazis, while their victims were often treated as outcasts. The documentary film Django’s Song by Tom Franke and Kuno Richter depicts a Sinto from Oldenburg, who describes how Sinti visiting the doctor’s surgery after the war were often confronted with the very medics who had sent them to the concentration camp.

In 1956, just seven years after the establishment of the Federal Republic of Germany, the Supreme Court rejected a compensation case benefiting Sinti and Roma, declaring that they had not been persecuted in the Third Reich on racist grounds, but because they displayed criminal tendencies. “They often lack the moral instinct to respect the property of others, and like primitives are driven by an unbridled cupidity”, the verdict read.

The Sinti and Roma fought up to the 1980s without success for moral and financial compensation for the crimes committed against them by the Nazis.

There are many hair-raising stories. The above-mentioned hunger strike in 1980 was directed against the Bavarian state Interior Ministry, which refused to allow Sinti to view the files of the “Landfahrerzentrale” (Central Agency for Vagrants), the immediate successor to the fascist “Reichszentrale zur Bekämpfung des Zigeunerunwesens” (Reich Headquarters to Combat the Gypsy Pest). The Landfahrerzentrale had relied on files created by the Nazis. Some of those working in the agency had been so-called “Gypsy specialists” in the Third Reich.

In the 1920s, the crisis-ridden Weimar Republic, with its many unemployed and homeless, had already set up “Zigeunerzentralen” (Police Gypsy Bureaus), which gathered intelligence on Sinti, Roma and “other Gypsy-like itinerant persons”. Bavaria was the pioneer with its 1926 law to “combat Gypsies, vagrants and the work-shy”. In Hesse, following the Bavarian model, the Social Democratic state interior minister and trade union leader Wilhelm Leuschner introduced the “law to combat the Gypsy menace”, which was passed in 1929.

It was only in 1982, more than thirty years after the establishment of the Federal Republic of Germany, that Sinti and Roma were recognised to have been persecuted by the Nazi regime on racist grounds, and their mass elimination recognized as genocide. But this was not made public.

The German Democratic Republic (East Germany) also condescended merely to erect an unobtrusive monument at the Marzahn Cemetery on the outskirts of East Berlin. Sinti and Roma were never recognised as national minorities in either of the postwar German states.

It took another ten years, at the behest of the Sinti and Roma communities, before the Bundestag relented and agreed to erect a central memorial. It then took a further twenty years before it was actually unveiled. During this entire time, Sinti and Roma have been confronted with the claim that their persecution could not be compared to the Holocaust of the Jews. In the meantime, many victims have died.

Despite their expressions of gratitude to Chancellor Merkel, the bitter tone of the two Sinti speakers could not be missed. The oft-used word “hope” could only partially hide their disappointment.

In his speech, Rose warned of the growth of racism in Europe and Germany, which was not restricted to far-right groups, but was increasingly found in the midst of society. According to Rose, the political and judicial response to the right-wing ideology of violence is a touchstone as to whether lessons are drawn from the war and the Holocaust.

Rose mentioned the victims of the neo-Nazi terrorist group from Zwickau, which for all those present brought to mind recent press reports on the involvement of the secret service in the far-right scene. He greeted from the podium the representatives of Berlin’s Muslim community, who are also increasingly confronted with racist attacks.

In her long-winded speech, Chancellor Merkel did not have much to say other than to repeat a few platitudes about human dignity and civil courage. She spoke of the “incomprehensible” that had knocked Germany off its course and from which one had to learn. How one can learn from something that is incomprehensible, she did not say. Merkel then promised that Germany would continue to pursue the rights of the Sinti and Roma in the European Union.

The opposite is the case. Immediately following the unveiling, Merkel’s interior minister, Hans-Peter Friedrich (Christian Social Union—CSU), gave out with a tirade in the media against refugees from Serbia and Macedonia, whence come the majority of Roma, who are fleeing from unbearable living conditions and racist persecution. One day following the unveiling, he proposed that benefits paid to these refugees be cut. The human rights organisation Pro Asyl accused him of launching a “populist campaign against Roma from the Balkan states.”

Sinti and Roma are also systematically persecuted in Italy and France. The French government has dispersed them from their camps and deported them en masse to Romania and Bulgaria.

In Eastern Europe, the terror faced by Roma and Sinti recalls the Nazi era. In the Czech Republic and Hungary, uniformed fascist gangs organise regular marches in Roma neighbourhoods, encouraged and tolerated by the authorities. Attending school and getting access to medical care have become increasingly difficult.

The Merkel government, which is mercilessly driving forward austerity measures throughout Europe, bears the main responsibility. German calls for financially drained governments to protect the “human rights” of the Roma are hypocritical to the core.

Friedrich’s predecessor as interior minister had also proceeded against Sinti and Roma. In 2002, Otto Schily (Social Democratic Party—SPD) negotiated a so-called readmission treaty with Albania and Yugoslavia, which included “combating illegal migration from the Balkan region.”

Many of those affected had fled to Germany in the 1990s as a result of the civil war in Yugoslavia. In April 2010, Thomas de Maiziere (Christian Democratic Union—CDU) signed an agreement that obliged Kosovo to take back 14,000 refugees. Some 10,000 were Roma who had fled the terror being carried out by the German-supported Kosovo Liberation Army (KLA).

Recently, if one listened carefully, the long plaintiff sounds of a violin could be heard coming from a small park near the Brandenburg Gate. Refugees had set up a camp and begun a hunger strike protesting their persecution and demanding the right to stay and work in Germany. On the eve of the unveiling of the monument, police forcibly dismantled and closed down the camp.





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Lupi nella nebbia
Editore Jaca Book - 2010 - Pagine 160 - € 14,00 - EAN 9788816409620.

Un articolo di sintesi su L'Espresso:
la Recensione di T.d.F. su Il Manifesto:
Il VIDEO di presentazione degli autori, a cura della redazione del blog di Beppe Grillo:


Neuerscheinung:

Giuseppe Ciulla, Vittorio Romano

KOSOVO
Die UNO als Geisel der Mafia und der USA
  
224 Seiten - ISBN 978-3-88975-203-1 - 12 Euro
 
Zambonverlag 2012

Zambonverlag 
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Giuseppe Ciulla und Vittorio Romano beschreiben unbefangen das Land, wie sie es vorfinden. Ihre Unbefangenheit mag sie auch zu einer manchmal etwas naiven Sichtweise führen, deren Ursprung sicher in der einseitigen Beeinflussung durch die italienischen Medien liegt, die vollkommen einseitig als Hofberichterstatter der NATO arbeiten. Z. B. unterstellen Ciulla und Romano Milošević, dass er Kosovaren vertrieb. Albaner wollten nur vor dem NATO Bombenteppich flüchten, manche nach Süden (Albanien) andere gingen dagegen nach Norden (Serbien) und stellten sich somit unter Miloševićs Schutz, da sie als Flüchtlinge einfach den kürzesten Weg zur Rettung suchten, wie es üblicherweise Menschen auf der Flucht machen. 
Alle Interviewten haben ihre persönliche Sichtweise, oft um ihre Interessen zu verteidigen. Wir meinen, dass besonders jene Einschätzungen der historischen Wahrheit am Nächsten kommen, die selbstkritisch und ohne eigenes Interesse die Widersprüche und Konflikte im Interview darstellen. Z. B. tun dies die italienischen Funktionäre, die selbstkritisch feststellen, dass sie sich im Kosovo wohl „am falschen Ort“ befinden.
Giuseppe Ciulla und Vittorio Romano gelingt es auf diese Art und Weise einen differenzierten Blick auf einen Kosovo zu werfen.
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Im Vielvölkerstaat Jugoslawien lebten die unterschiedlichen Ethnien meist friedlich mit- und auch nebeneinander. Natürlich machte ein Serbe seine groben Scherze über einen Albaner und umgekehrt sowie ein Bayer über einen Preußen. Ein Kroate reiste ohne Probleme nach Montenegro, ein Bosnier nach Novisad. Ich fuhr von Ljubljana über Zagreb, Belgrad, Skopje nach Griechenland. Ich arbeitete für eine US-amerikanische Firma in Zagreb, Belgrad, Dubrovnik und Sarajewo. Wir planten die Winterolympiade in Sarajewo. Wir arbeiteten friedlich mit Kroaten, Slowenen, Kosovaren, Serben etc. Und alle waren voller Stolz, dass ihr Land, dass Jugoslawien in Sarajewo die Winterolympiade durchführen konnte. Es gab keinen Hass, keine Gehässigkeit. Ein derber Scherz eines katholischen Kroaten über einen Moslem in Sarajewo, ja oder umgekehrt ein Flachs eines Bosniers über einen serbischen Popen. Aber Krieg, Völkermord, wer hätte jemals auf diesen Gedanken kommen können.
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Der Kosovo erinnert eher an ein Bild nach dem 30jährigen Krieg denn an eine europäische Region zu Beginn des 21. Jahrhunderts. Nach dem Sturz von Slobodan Milosevic sind nun alle Republiken des ehemaligen Jugoslawien zum Tummelplatz ausländischer Militärs, Politiker und NGO-Vertreter geworden. Den geopolitischen Interessen der USA stehen die wirtschaftlichen Begierden des deutsch geführten EU-Europa gegenüber


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22.10.2012 / Politisches Buch / Seite 15

»Wir haben die Falschen bombardiert«
Ein Band zum Kosovo

Buchrezension

Von Gerd Bedszent
 
Das Buch »Kosovo. Die UNO als Geisel der Mafia und der USA« ist nur indirekt eine Abrechnung mit dem NATO-Krieg von 1999 gegen Jugoslawien. Die beiden italienischen Journalisten Giuseppe Ciulla und Vittorio Romano haben die Region mehrfach bereist, Kosovaren, Serben, italienische Beamte und Militärs interviewt. Die so entstandenen Artikel und Reportagen haben sie hier zusammengefaßt.
 
Die Beiträge sind von unterschiedlicher Qualität. Die Autoren gingen zunächst von einer Kriegsschuld serbischer Nationalisten aus, die die angestammte albanische Bevölkerung aus dem Land vertreiben wollten. Je tiefer sie in das Gewirr politischer Kämpfe, Familienfehden und krimineller Bandenkriege eintauchten, die bis heute die kosovarische Gesellschaft entscheidend prägen, wich dies einer differenzierten Einschätzung.
 
Ciulla und Romano dokumentieren zahlreiche Fälle von Folter und Mord von seiten ehemaliger UCK-Kämpfer, denen auch zahlreiche Anhänger des damaligen kosovarischen Präsidenten Ibrahim Rugova zum Opfer fielen. Das Buch enthält viele Belege wie z.B. Auszüge aus dem Bericht eines UN-Zweigbüros, in dem UCK-Leuten Entführung und Mord zum Zwecke illegalen Organhandels nachgewiesen wurde. Zunächst diente dieser Kannibalismus der Finanzierung eines »Befreiungskrieges«, wurde dann aber zur persönlichen Bereicherung weitergeführt. Andere Dokumente belegen Verwicklungen einer erheblichen Zahl kosovarischer Politiker in kriminelle Aktivitäten, z.B. Schmuggel, Rauschgift- und Frauenhandel sowie in Auftragsmorde an ermittelnden Polizeibeamten.
 
Eine Ursache für die Eskalation der Kriminalität sehen die Autoren in den fortdauernden Auseinandersetzungen zwischen der albanischen Bevölkerungsmehrheit und den Einwohnern der serbischen Enklaven. Da jede Festnahme von Kriminellen jeweils als Parteinahme zugunsten der »feindlichen« Bevölkerung interpretiert werde, rufe sie sofort einen Aufstand hervor. Die westlichen Besatzungstruppen blieben weitgehend untätig. Auf diese Weise wurde die in eine serbische und eine albanische Hälfte gespaltene Stadt Mitrovica zum wichtigsten Umschlagplatz für Drogen, Waffen, Organe und Medikamente auf dem Balkan.
 
Das Buch enthält nur wenige Aussagen zur wirtschaftlichen Situation. Klar wird allerdings, daß die (ohnehin nur schwache) Industrie des Kosovo seit der Sezession von 1999 brachliegt. Die von UNO und EU ins Land gepumpten Mittel verschwinden komplett in den Taschen der Mafia. Kriminelle Unternehmungen sind für große Teile der Bevölkerung einziger Erwerbszweig. Da kein kapitalistisches Unternehmen dieser Welt freiwillig in ein Paradies des organisierten Verbrechens ohne nennenswerte Infrastruktur investiert, wird sich daran schwerlich etwas ändern. Die Autoren zitieren einen namentlich nicht genannten italienischen Beamten in Priština: » (Die UNO) hat die Voraussetzungen dafür geschaffen, daß dieses Land seine Unabhängigkeit ausrufen konnte. Sie hat es in einen Mafiastaat verwandelt. Wir haben die Falschen bombardiert.«
 
Die Bilanz der Autoren ist desillusionierend: Eine funktionierende Justiz gibt es im Kosovo nicht. Die Führungsriege der Mafia ist mit der aus der UCK hervorgegangenen politischen Elite weitgehend identisch und wird von UN und EU gedeckt. Anklageschriften verstauben in den Archiven, Ermittlungen verlaufen im Sande. »Welchen Zweck hat es, ein Fleckchen Erde als ›friedlich‹ zu definieren, während die Mafiosi mit gelben Lamborghinis die Straßen von Priština auf- und abfahren?«

 
Giuseppe Ciulla/Vittorio Romano: Kosovo - Die UNO als Geisel der Mafia und der USA. Zambon Verlag, Frankfurt am Main 2012, 228 Seiten, 12 Euro





The Federal State - A Loss-Making Business (II)
 
2012/10/17

MADRID/BARCELONA/BERLIN
 
(Own report) - Driven by the Euro crisis and the German austerity dictate, secessionist aspirations in the Spanish province of Catalonia are becoming accentuated. Following a major demonstration demanding the founding of a sovereign nation, the region's parliament and prime minister have announced intentions to table a referendum on secession in the course of the next legislative period. New - pre-term - elections have been scheduled for late November. According to Barcelona, the break with Spain must come, even if it means violating prevailing law. Catalan separatists have been receiving German support for a long time. The German Green Party is in the same European Parliamentary caucus as the secessionist parties. Their umbrella organization has published maps in which the majority of European nations have been broken up into smaller entities - including a nation Catalonia. According to their map, Germany had annexed Austria, the German-speaking region of Switzerland and several other territories. Cooperation with Catalonia as the "Partner Nation" in 2007, at the prestigious Frankfurt Book Fair, provided the separatists with an appreciable boost. German federal state Baden Wuerttemberg's special cooperation with Catalonia provides economic support for its secessionist efforts - and points to Europe's breakup into an economically successful core and poverty-stricken, hopeless marginalized zones, just as has crystallized under Euro zone pressure.

A New Nation

The secessionist efforts in the Spanish region of Catalonia have been greatly accentuated since September 11 - the day Catalan nationalists celebrate as their "national holiday" - when about 1½ million people (approx. one-fifth of the region's population) demonstrated in Barcelona under the slogan "Catalunya, Nou Estat d'Europa" ("Catalonia, Europe's New Nation"). Following a hefty dispute with Madrid, the region's Prime Minister, Artur Mas, scheduled new Catalan elections for late November, coupled with the prospect of a referendum on secession. Two-thirds of the incumbent Catalan parliament supports his plan. European parliamentarians of various Catalan parties recently addressed a petition to the President of the European Commission, asking for a "democratic and transparent timeline in case a process of Catalan independence" is initiated.[1] Even though Spanish officials have unanimously determined that a referendum can only be a decision of the central government and that it is unconstitutional in Spain to unilaterally pursue secession, Mas has announced that Catalonia would secede, even if in violation of the Spanish Constitution. "We must attempt this within the framework of the law, and when that is unsuccessful, we'll do it anyway."[2]

Prosperity Chauvinism

The current intensification of secessionist efforts can largely be traced back to the Euro crisis. Efforts to achieve Catalonia's wide-ranging autonomy, based on its economic prosperity, are not new. During the Franco dictatorship, this was partially associated with a democratic resistance. However, since democracy has been re-established, the efforts to put through comprehensive special rights for Catalonia have mainly been concentrated on defending the prosperity of the region - it is the richest region in the country - against the national government's redistribution of part of its wealth to impoverished areas in the south.[3] The Euro crisis, under Berlin's austerity dictate - has forced also Barcelona to make drastic budget cuts - has provided the basis for mass acceptance of secessionist demands. Catalonia, it is assumed, could better protect its own prosperity, if it no longer has to share it with the Spanish state. The same train of thought has fueled separatism, for example in northern Belgium's Flanders and in northern Italy's South Tyrol. (german-foreign-policy.com reported.[4])

Ethnic Chauvinist Europe

Germany has repeatedly promoted Catalan chauvinism in the past. For example, the German Green MEPs are in the same European caucus as other European Green parties, but also with MEPs from the European Free Alliance (EFA). The EFA includes the separatist Esquerra Republicana de Catalunya (Republican Left of Catalonia - ERC) and separatist parties from other regions of Spain. With a map on its website, for years EFA has been propagating the breakup of numerous European nations along ethnic lines into obscure small and minute entities. EFA would, for example, divide Spain up into seven fully independent mini-states, two of which - Catalonia and the Basque Country - would include French territory. According to EFA, France would lose large portions of its national territory to a nation "Bretagne" and a strange construction called "Occitania," but would acquire the Belgian Wallonia territory. Belgium, in turn, would no longer exist as a nation. According to the map, Germany is the only country, whose territory would increase. The EFA's map depicts it as having annexed Austria, the German-speaking regions of Switzerland, South Tyrol as well as Eastern Belgium and would dominate the continent by virtue of its sheer size. Great Britain would also be dismembered. The Scottish National Party, which is currently pushing for the breakup of Britain as a nation, is an EFA member. Two of its activists are closely working with the German Green Party - in their European Parliamentary caucus. (german-foreign-policy.com documented two segments of the EFA map.[5])

Partner Nation

In the fall of 2007, Germany gave Catalan separatism a boost, when the Frankfurt Book Fair selected not a country as its "Partner Nation" - as is its tradition - but rather the region of Catalonia. Not all the writers working in Catalonia were being honored in Frankfurt, but only those working in the Catalan language. Authors, whose works had been composed in Spanish, were strictly barred. At the book fair, maps had been distributed that - similar to EFA's pipe dream - depicted a Catalonia nation, which had annexed an area of southern France as well as Andorra. The Frankfurt Book Fair provided welcomed global publicity for the region's separatists - as well as an assurance that, in principle, their efforts to achieve independence enjoy sympathy with the strongest EU power. As usual, the German Foreign Ministry had officiated as the book fair's partner.[6]

Motors for Europe

It is significant that for decades Catalonia has maintained special economic relations with the Federal Republic of Germany. The regions of Catalonia, Lombardy (Italy), and Rhône-Alpes (France) had signed the "Four Motors for Europe" cooperation agreement [7] in 1988 with the German federal state Baden Wuerttemberg. This agreement formed the basis for the successful expansion of economic cooperation. German economic relations are much closer with Catalonia than with other regions in Spain. These twenty-five years of cooperation have also reinforced Barcelona's efforts to expand its predominating economic position on the Iberian Peninsular -thereby, also the basis for its secessionist efforts.

Economic Cultures

Baden Wuerttemberg's special relationship with Catalonia, the Lombardy and Rhône-Alpes is an indication of Europe's economic formation. A powerful economic core, which a German economic historian found to be centered on Germany and neighboring regions - "from Scandinavia to Northern Italy and from the Seine to the Oder" and to which he also ascribed "a relatively uniform economic culture,"[8] is surrounded by impoverished, hopeless countries, such as Spain and Italy, whose few economically attractive zones (Catalonia, Lombardy) are linked, by way of special mechanisms, to the German core. This is currently happening within the framework of the EU. Should Greece - and possibly other southern European countries - be expelled from the Euro zone, the question of Catalonia's secession and its integration into a "Northern Euro" zone, would again be on the agenda. Sectors of the German establishment would be in favor.[9] In any case, Spain's dismemberment and the founding of a new country in the northeast of the Iberian Peninsular is not being rejected by the German media. "From the European point of view," according to a leading German daily, "a sovereign Catalonia would be tolerable."[10]

[1] Juan Carlos warnt Separatisten vor "Hirngespinsten"; Frankfurter Allgemeine Zeitung 20.09.2012
[2] Sparen bis zur Zerreißprobe; Frankfurter Allgemeine Zeitung 27.09.2012
[3] see also Language Struggle
[4] see also Der Zentralstaat als Minusgeschäft
[5] Das Original ist einsehbar unter www.e-f-a.org./kaartje.php
[6] see also Language Struggle and Ethnic Europe
[7] see also Zukunft als Volk
[8], [9] see also Wirtschaftskulturen
[10] In höchster Not; Frankfurter Allgemeine Zeitung 20.09.2012




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L'asse Washington - Pristina – Damasco

1) Progetti di destabilizzazione: l'asse Pristina – Damasco (sibialiria.org)
2) Kosovo: Tutti gli affari degli americani. Una colonia a stelle e strisce (eastjournal.net)


=== 1 ===

Sullo stesso argomento dei rapporti tra ceto mafioso pan-albanese in Kosovo e banditi anti-Assad in Siria si veda anche:

Market Economy for Syria
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58308

DALJE RUKE OD SIRIJE! (italiano / english / srpskohrvatski)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7368
spec.:
La Russia protesta contro l'addestramento di fazioni siriane in Kosovo
http://www.voltairenet.org/La-Russia-protesta-contro-l
Rebel groups in Syria backed by NATO?
http://english.ruvr.ru/2012_06_09/77630671/

USA torpedieren friedliche Lösung in Syrien
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7360

Fascisti anti-siriani in tour dal Kosovo a Miami (english / francais / italiano)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7354

Terroristi anti-siriani addestrati dalla NATO in Kosovo (english / italiano)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7350

NATO terrorism in Kosovo and Syria (italiano / english)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7339

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http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1046

Progetti di destabilizzazione: l'asse Pristina – Damasco

di Gianmarco Pisa
25 ottobre 2012

Per alcuni aspetti sembra tornare una vecchia storia. Le motivazioni della guerra della NATO e della "santa alleanza" euro-occidentale contro la Serbia e per la separazione del Kosovo avevano molto poco a che vedere con la protezione dei diritti umani dei cittadini kosovari (non solo albanesi kosovari, ma anche serbi, rom, gorani etc.) e molto, invece, a che vedere con gli interessi strategici che si concentravano e si concentrano tuttora su quel quadrilatero a crocevia tra i Balcani Occidentali e l'Europa Orientale e il Medio Oriente.
Interessi economici, come si vede dalla rotta del South Stream, uno dei più importanti investimenti russi nel mercato della distribuzione del gas, in compartecipazione ENI – Gazprom, nel continente europeo. Ed interessi militari, come si vede da una rapida ricognizione sulla base di Camp Bondsteel, grande quanto una città, una delle basi USA più grandi di tutta Europa e la più grande in tutti i Balcani, capace di ospitare fino a settemila (settemila) soldati (più risorse, macchinari, strumenti, munizioni, equipaggiamenti).
Dunque, il Kosovo come una gigantesca piattaforma militare per gli interessi USA e NATO? Le informazioni, circolate (poco) nel corso dell'estate e più recentemente tornate a galla con il precipitare della crisi siriana e le nuove proposte negoziali del nuovo mediatore internazionale (Lakhdar Brahimi), circa l'arrivo di membri dell'opposizione siriana armata a Pristina, capoluogo del Kosovo, al fine di ricevere consigli, sostegni e aiuto nella battaglia sul campo contro il governo siriano di Bashar al-Assad, non sembrano avere sorpreso più di tanto il pubblico serbo (né hanno scosso più di tanto il pubblico kosovaro), e tuttavia la notizia dei membri dell'ex formazione terrorista UCK (il cosiddetto "Esercito di Liberazione del Kosovo", ex testa di ponte dell'intervento NATO contro la Serbia) impegnati nella preparazione di un campo internazionale per la formazione dei ribelli armati ha destato e continua a destare preoccupazione, nei Balcani e non solo.
Come è facile intuire, la Russia è stata la prima a reagire alla notizia di connessioni di ispirazione jihadista tra l'opposizione armata siriana e le autorità politiche e militari della auto-proclamata (e non internazionalmente riconosciuta) "Repubblica del Kosovo" e ha dichiarato che la formazione, la preparazione e l'addestramento di ribelli armati siriani è in netto contrasto con gli sforzi delle Nazioni Unite per calmare la situazione in Siria, con il lavoro della mediazione internazionale alla ricerca di una soluzione negoziale alla guerra civile e per procura in corso nel Paese, nonché, vale la pena di aggiungere, con il rilancio di un tavolo politico e negoziale per il dialogo tra Belgrado e Pristina, nella comune strada verso l'integrazione europea.
La Federazione Russa, di conseguenza, ha nuovamente invitato le forze internazionali presenti in Kosovo (la supervisione internazionale dell'indipendenza kosovara è formalmente cessata, ma restano attive sia la missione militare della NATO, KFOR, sia la missione giuridica della UE, EULEX) ad intervenire per fermare la formazione di una opposizione armata siriana in Kosovo, aggiungendo che fare della provincia una base internazionale per la formazione di eserciti irregolari e paramilitari potrebbe diventare il principale fattore di destabilizzazione nei Balcani e, in prospettiva, dell'intera Europa centro-orientale. Fonti di informazione russe hanno infine accreditato la versione secondo la quale la delegazione dei ribelli siriani armati sarebbe giunta a Pristina direttamente dagli Stati Uniti, dove, presumibilmente, avrebbero ricevuto assistenza, consigli e istruzioni funzionali a tale "missione". Non è stata fatta piena luce su questo aspetto, particolarmente torbido ed inquietante, della vicenda. Se se ne dimostrasse la veridicità, sarebbe l'ennesima conferma della gravità e della carica destabilizzatrice del cosiddetto "precedente kosovaro" e l'ennesima attestazione dell'ormai ampia e consolidata internazionalizzazione del conflitto siriano con questi "ribelli" armati ed etero-diretti da potenze straniere e ben inseriti nei circuiti (politici e militari) dell'imperialismo euro-atlantico.
E Pristina? Le autorità albanesi-kosovare hanno ufficialmente negata l'esistenza dei campi di addestramento militare. E' stata riportata, tuttavia, dalla stampa locale, una dichiarazione di un "attivista siriano", che, a quanto si apprende, risponde al nome di Ammar Abdulhamid (il cui curriculum su wikipedia è davvero di tutto interesse:en.wikipedia.org/wiki/Ammar_Abdulhamid), il quale ha riferito che riceveranno da ex membri del KLA o UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo) "istruzioni" su come unire i diversi gruppi armati presenti in Siria, sviluppare un vero e proprio coordinamento logistico e militare e condurre una guerriglia sistematica contro il regime di Bashar al-Assad. Le sue dichiarazioni valgono per tutte: "L'esempio del Kosovo può essere fonte di ispirazione per noi. I militanti dell'UCK hanno già percorso quella strada e hanno la necessaria esperienza che può rivelarsi utile anche per noi. Siamo particolarmente interessati a imparare a riunire in un unico esercito i nostri gruppi armati". Vale la pena riportare, a proposito, anche il commento della stampa serba, secondo la quale: "Il pubblico esperto non è sorpreso di fronte a tali eventi. Gli analisti ricordano che per molti anni ci sono stati legami solidi tra gli estremisti albanesi in Kosovo e vari Paesi islamici. La formazione si terrà probabilmente nei vecchi campi dell'UCK al confine con l'Albania e in altri luoghi dove non ci sono ormai più serbi da diversi anni". Vengono persino menzionati i luoghi deputati per una tale "formazione", dalle montagne Prokletije, viste le somiglianze morfologiche con la situazione sul terreno in Siria, alle vecchie basi dell'UCK a Kukes e Tropoja, nel nord dell'Albania.
Gli analisti sottolineano inoltre che nel contesto della situazione attuale della regione balcanico-occidentale e la minaccia di destabilizzazione continua non solo in Kosovo ma anche in Macedonia settentrionale e Serbia meridionale, il tutto potrebbe avere ripercussioni gravi e minacciose – non solo per i Balcani, ma su una scala più ampia. Il torneo delle ombre sembra ripreso e la giostra del "Big Game" accelera sempre di più.

=== 2 ===

http://www.eastjournal.net/kosovo-tutti-gli-affari-degli-americani-una-colonia-a-stelle-e-strisce/21974

KOSOVO: Tutti gli affari degli americani. Una colonia a stelle e strisce


Posted 2 OTTOBRE 2012 in BALCANI OCCIDENTALI, KOSOVO


di Matteo Zola


E gli americani tornano in Kosovo, se mai se ne sono andati, per fare affari. Madeleine Albright, già Segretario di Stato americano, è in procinto di accaparrarsi la Ptk (Pošta i Telekomunikacije Kosova), principale compagnia kosovara di telecomunicazioni, finora a maggioranza pubblica. Questo è senz'altro il caso più eclatante ma la Albright è in buona compagnia. Wesley Clark, già comandante delle forze Nato in Europa, alla testa della società canadese Envidity, ha presentato alle autorità kosovare una licenza per sfruttare le risorse di carbone e lignite del paese per ottenerne carburante. Clark fu l'uomo che diede l'ordine di bombardare Belgrado, il 24 marzo 1999, al fine di abbattere il regime di Milosevic all'epoca impegnato nella guerra in Kosovo [In realtà non c'era alcuna guerra in Kosovo fino alla aggressione NATO, ndCNJ], con un'operazione militare che non ricevette l'avallo Onu e che vide l'Italia in prima linea. La Bechtel Group sta intanto costruendo l'autostrada che collegherà Pristina a Skopje. Il gruppo Bechtel è il quinto gruppo americano per importanza nel settore delle costruzioni e dell'ingegneria. E' quello – per intenderci – che ha costruito il tunnel sotto la Manica. Bechtel sta lavorando al progetto insieme alla Enco, società turca alla cui poltrona di amministratore delegato siede Jock Covey, già esponente dell'Unmik.

Quello della privatizzazione della Ptk è stato presentato dal quotidiano croato Jutarnji List come "l'affare del secolo", e frutterà circa 400 milioni di dollari al giovane Stato. Sotto la pressione di Bruxelles, il governo kosovaro ha lanciato un'offerta d'acquisto pubblica ma fonti ufficiose riportate dal quotidiano zagrebese suggeriscono come tutto sia stato organizzato in modo che la Albright Capital Management vincesse la gara. Come si è detto, si tratta della società dell'ex Segretario di Stato americano, Madalaine Albright, responsabile della diplomazia durante l'amministrazione Clinton, che ha giocato un ruolo chiave nel processo di indipendenza del Kosovo ed oggi ne raccoglie i frutti.


Che il Kosovo fosse terra di conquista per gli Stati Uniti era un sospetto che si covava già da qualche anno, quando si apprese del progetto Ambo, un oleodotto transabalcanico, in fase di ultimazione, il cui consorzio, con sede negli Stati Uniti, è direttamente collegato alla società dell'ex vice-presidente Dick Cheney, Halliburton Energy. Secondo Michel Chossudovsky, importante economista canadese, la politica Usa di "proteggere le rotte degli oleodotti" provenienti dal bacino del Mar Caspio (e che attraversano i Balcani) era stata espressa dal Segretario all'Energia di Clinton, Bill Richardson, appena pochi mesi prima dei bombardamenti sulla Jugoslavia del 1999. Le dichiarazioni di Richardson furono riprese dal Guardian (A Discreet Deal in the Pipeline, 15 febbraio 2001): "Qui si tratta della sicurezza energetica dell'America. Si tratta anche di prevenire incursioni strategiche da parte di coloro che non condividono i nostri valori. Stiamo cercando di spostare questi Paesi, da poco indipendenti, verso l'occidente. Vorremmo vederli fare affidamento sugli interessi commerciali e politici occidentali, piuttosto che prendere un'altra strada. Nella regione del Mar Caspio abbiamo fatto un investimento politico consistente, ed è molto importante per noi che la mappa degli oleodotti e la politica abbiano esito positivo".

Per quanto riguarda l'oleodotto Ambo, apparirebbe che l'Ue sia stata ampiamente esclusa dalla programmazione e dalle negoziazioni. Con i governi di Albania, Bulgaria e Macedonia furono firmati "memorandum d'intesa" che spogliano quei paesi della sovranità nazionale sui corridoi dell'oleodotto e dei trasporti fornendo "diritti esclusivi" al consorzio anglo-americano.

La Halliburton Energy avrebbe ottenuto anche importanti commesse per le forniture militari americane in Kosovo, dove ha sede la base militare a stelle e strisce più grande d'Europa, quel camp Blondsteel costruito proprio dalla Hulliburton tramite la sua sussidiaria Kellogg, Brown and Root.

Insomma, dalle telecomunicazioni alle risorse minerarie, dall'oleodotto a camp Blondsteel, quella kosovara sembra sempre più una colonia americana data in gestione a una banda di criminali di guerra prima osteggiati (l'Uck era tra le organizzazioni terroristiche osteggiate da Washington fino al 1998 e alcuni suoi leader sono sotto processo all'Aja) e poi asserviti al nobile scopo della sicurezza a stelle strisce. Una sicurezza che per molti, europei compresi, è sinonimo di sopruso e violenza. Alla luce di questi elementi, l'indipendenza tanto voluta e sbandierata dai kosovari, è un'illusione quando non una truffa. Una truffa cui l'esercito italiano, impegnato in Kosovo per operazioni peacekeeping, partecipa volente o nolente. Cosa ne viene alle tasche del Belpaese, però, è un'altra storia.

(italiano / srpskohrvatski)


DANAS KADA SE FAŠIZAM PONOVO I PERFIDNO UVLAČI U NAŠA DRUŠTVA U KOME VLASTODRŠCI POKUŠAVAJU REHABILITOVATI NjEGOVE KOLABORANTE I DOMAĆE KVISLINGE TREBA SE SETITI ŽRTAVA TOG ISTOG FAŠIZMA.....

POKUŠAJ REVIZIJE ISTORIJE U KOME SE TVRDI DA BI BILO BOLjE DA SMO PRISTUPILI TROJNOM PAKTU JE SAMO OGAVNI POKUŠAJ SKRIVANjA ISTINE U KOME SE PERFIDNO PREĆUTKUJU ČINjENICE O SAMOM KARAKTERU HITLERA I NjEGOVOJ RASNOJ IDEOLOGIJI VIŠIH I NIŽIH RASA U KOJOJ NIJE BILO MESTA ZA SLOVENE KAO ŠTO TO NIJE BILO ZA JEVREJE I ROME ! 

ISTORIJSKI REVIZIONIZAM JE DANAS POTREBAN IZDAJNIČKO-POLTRONSKOM PRINCIPU OVDAŠLjIH VLASTODRŽACA NA KOJEM ONI ZASNIVAJU SVOJ OPSTANAK NA VLASTI UZ POMOĆ ONIH KRUGOVA U INOSTRANSTVU KOJI SU POKUŠALI OKUPIRATI SVET PRE STO GODINA !

DANAS I SUTRA OVA FB GRUPA ODAJE POŠTU STRELJANJIMA U KRAGUJEVCU ......20-21. 10.1941.


........SEĆAMO SE SVIH STRATIŠTA POČINJENIH NAD GRAĐANIMA JUGOSLAVIJE OD OKUPATORA I DOMAĆIH IZDAJNIKA U SVIM NAŠIM KRAJEVIMA JER JE TO I JEDAN OD CILJEVA OVE GRUPE ALI I UPOZORENJE DA SE ZLO NE ZABORAVI JER KADA SE ZABORAVI UVEK NAM SE PONAVLJA U JOŠ GOREM OBLIKU KAO ŠTO SE PONOVILO DEVEDESETIH GODINA PROŠLOG VEKA OD ISTIH IDEOLOGIJA DOMAĆIH IZDAJNIKA ČETNIKA,USTAŠA,BALISTA.HANDŽARLIJA KOJI SU BILI PROTERANI I POBEĐENI 1945. OD PARTIZANSKIH SNAGA POD VODSTVOM MARŠALA TITA !

FAŠIZAM JOŠ NIJE POBEĐEN,ON SE JAVLJA UVEK U NEKOM NOVOM I ČESTO SKRIVENOM OBLIKU ALI MU JE SUŠTINA UVEK ISTA.....NAŠA JE DUŽNOST DA GA PREPOZNAMO I UKAŽEMO NA NJEGA 

★ SMRT FAŠIZMU- SLOBODA NARODU ★



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20-21 ottobre 1941: 
La strage delle "Šumarice" presso Kragujevac

Il monumento e la tradizionale Grande Lezione di Storia / Spomenik i Veliki  školski  čas

Desanka Maksimović: Krvava bajka (Fiaba cruenta)

* la traduzione italiana della poesia di Desanka Maksimović 
* AUDIO: la lettura di Monica Ferri
* la stessa poesia in una diversa traduzione in italiano

P. Diroma: Occupazione nazista, stragi e collaborazionismo in Serbia

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Il seguente articolo e' tratto da "Storia Illustrata" del gennaio 1979

STERMINIO NAZISTA IN SERBIA

In un solo giorno 7300 morti nella città martire. È l'autunno del 1941. Pochi mesi dopo la dissoluzione del regno di Jugoslavia, la penisola balcanica è insorta contro l'occupante nazifascista. Alla rivolta partigiana i tedeschi rispondono facendo strage della popolazione civile.

   di ANTONIO PITAMITZ

Il 20 ottobre 1941, sei mesi dopo l'invasione tedesca della Jugoslavia, nei due Ginnasi di Kragujevac (leggi Kragujevaz), la città serba posta nel centro della regione della Šumadija, le lezioni iniziano alle 8.30, come di consueto. Sono in programma quel giorno la sintassi della lingua serbocroata, matematica, la poesia di Goethe, la fisica. In una classe, un professore croato, un profugo fuggito dal regime fascista instaurato in Croazia da Ante Pavelic, sottolinea il valore della libertà. Poco lontano, un altro spiega l'opera di un poeta serbo del romanticismo risorgimentale. La mente rivolta alle secolari lotte sostenute dai serbi per la loro indipendenza e a quella presente che cresce irresistibilmente, anch'egli parla di libertà. La voce calma e profonda che illustra i versi del poeta: "La libertà è un nettare che inebria / Io la bevvi perché avevo sete", ne nasconde a fatica la tensione, che aleggia anche nell'aula, che grava su tutti, sulla cittadina, sui suoi abitanti, e che l'eco strozzata di fucilerie lontane da alcuni giorni alimenta.

Dal 13 ottobre 1941 Kragujevac e la sua regione sono teatro di una vasta azione di rappresaglia, che i tedeschi stanno conducendo con spietata decisione contemporaneamente anche nel resto della Serbia. La ferocia di cui essi in quei giorni danno prova ha una ragione specifica contingente. La rapida vittoria dell'Asse ha dissolto uno Stato, il regno dei Karadjordjevic, ma non ha prostrato i popoli della Jugoslavia. L'illusione tedesca di una comoda permanenza in quella terra è stata presto delusa. Sin dai primi giorni dell'occupazione, i tedeschi hanno avuto filo da torcere. La guerra, che anche in Šumadija i resistenti fanno, è senza quartiere. Sabotaggi sensazionali e diversioni in grande stile si registrano sin dal mese di maggio. Linee telefoniche e telegrafiche vengono tagliate, ponti e strade ferrate saltano. Il movimento di resistenza cresce così rapidamente, ben presto è così ampio che i tedeschi e le truppe collaborazioniste del quisling serbo Milan Nedic abbandonano il presidio dei villaggi. Gli invasori si sentono troppo esposti, isolati, preferiscono arroccarsi in città. La lotta contro i patrioti la organizzano dai centri urbani, e la conducono secondo il metro nazista che misura in tutti gli slavi una razza inferiore, da sterminare. La traduzione pratica di questo principio è all'altezza della fama che si guadagnano. A Belgrado, una moto incendiata della Wehrmacht vale la vita di 122 serbi. Solo nella capitale, in sette mesi fucilano 4700 ostaggi.

Incredibilmente, gli hitleriani ritengono di poter coprire con la propaganda questo pugno di ferro che calano sul paese. Le argomentazioni che diffondono sono quelle care alla "dottrina" nazifascista dell'Ordine Nuovo Europeo. Ai contadini serbi dicono di averli salvati dagli ebrei e dai capitalisti, e promettono anche di salvarli dal bolscevismo semita, che sta per essere sicuramente sconfitto sul fronte orientale.

L'itinerario di questa vittoria, a Kragujevac può essere seguito sulla grande carta geografica che campeggia nel centro della città. Una croce uncinata segna la progressione delle forze dell'Asse in direzione di Mosca. Però, come altrove, nemmeno a Kragujevac terrore, repressione, lusinghe, denaro fatto circolare per corrompere, valgono a indebolire il sostegno alla lotta partigiana, a ridurne il seguito. A dare contorni netti alla situazione, le risposte alla propaganda tedesca non mancano. La carta geografica dell'Asse viene bruciata in pieno giorno. Il fuoco divora anche una delle fabbriche militari della città. Un treno di quaranta vagoni viene distrutto sulla linea Kragujevac-Kraljevo, provocando la morte di cinquanta tedeschi. Da vincitori e occupanti, i tedeschi si trovano nella condizione di assediati.

È Kragujevac, città da sempre ribelle, che prende il suo nome da kraguj, dal rapace grifone che popolava i sui boschi, che alimenta la Resistenza della zona. È questa città di antiche tradizioni nazionali e socialiste che guida la lotta della Šumadija, il cuore della Serbia. Gli operai comunisti che costituiscono il nerbo delle formazioni partigiane vengono dal suo arsenale militare. Dalle sue case dai cento nascondigli, che hanno già ingannato turchi e austroungarici, escono le armi, le munizioni, il materiale sanitario, i libri che donne, bambini e ragazzi portano quotidianamente ai combattenti del bosco. 
   
Per contenere la sua iniziativa, per fronteggiare questa lotta di bande, che è lotta di popolo e che sconvolge gli schemi bellici dei signori nazisti della guerra, già alla fine dell'agosto 1941 Kragujevac conta la guarnigione tedesca più forte di tutta la Serbia centrale. Ma i due battaglioni e i mezzi corazzati di cui i tedeschi dispongono non sono sufficienti ad arrestare lo slancio delle tre compagnie partigiane che operano fuori della città. Né tantomeno la Gestapo è in grado di bloccare i gruppi clandestini che si annidano dentro. La loro azione anzi si fa sempre più audace, punta sul risultato militare, ma ricerca anche l'effetto psicologico. Per i partigiani, importante è non soltanto colpire il nemico, ma aiutare anche i serbi oppressi a sperare, a vivere. Una notte d'agosto, cento metri di ferrovia vengono fatti saltare in città, proprio sotto il naso dei tedeschi.

È una sfida, che ha sapore di beffa. In questa situazione, la rabbia e il desiderio di vendetta dei tedeschi crescono quotidianamente. Quando nel settembre 1941, la ribellione guadagna tutta la Serbia, e conseguentemente mette radici ancora più profonde in Šumadija, il generale Boehme, comandante delle forze tedesche nel Paese, considera che la misura è colma. Il prestigio dei suoi soldati deve essere risollevato, una dura lezione deve essere somministrata ai serbi. Una spietata repressione, da condurre senza esitazione, è decisa. A rendere più chiara la direttiva che passa ai subalterni, e che precisa la "filosofia" del comando tedesco, Boehme ricorda che "una vita umana non vale nulla", e che perciò per intimidire bisogna ricorrere a una "crudeltà senza eguali". A metà settembre i tedeschi passano all'azione. La macchina si mette in moto.

Per un mese la Serbia centrale è trasformata in un campo di sterminio. 
A decine villaggi grandi e piccoli sono bruciati, spesso, come a Novo Mesto o a Debrc, con dentro gli abitanti. I serbi muoiono a migliaia, uccisi, massacrati. A Šabac, il 26 settembre, sono 3000 gli uomini dai 14 ai 70 anni che rimangono vittime della razzia tedesca. Cinquecento muoiono durante una marcia fatta fare al passo di corsa per 46 chilometri. Gli altri sono fucilati. Una sorte analoga hanno, il 10 ottobre, a Valjevo, 2200 ostaggi: finiscono al muro. "Pagano" 10 tedeschi uccisi e 24 feriti. Cinque giorni dopo, il 15, è "sentenziata" la punizione di Kraljevo, un'altra città che resiste. I plotoni di esecuzione lavorano per cinque giorni, le vittime sono 5000. Sembra impossibile immaginare una strage ancora più grande. Eppure, l'allucinante escalation non ha toccato la sua punta di massimo orrore. 
Lo farà a Kragujevac, e nel suo circondario. La "spedizione punitiva" comincia il 13 ottobre. Quel giorno, nel quartiere operaio di Kragujevac, i tedeschi prendono 30 uomini. Per 3 giorni se li trascinano dietro nella puntata che fanno contro il paese vicino, Gornji Milanovac. Affamati, percossi, costretti a rimuovere tronchi d'albero e a tirare fuori dal fango carri armati, adoperati come scudo contro i partigiani, sono testimoni della sorte del piccolo paese di pastori. Vivono un'agonia che ha fine solo con il grande massacro, nel quale scompaiono anche i 132 ostaggi di Gornji Milanovac. In quanto al paese, anche questo viene bruciato. I tedeschi saldano così un vecchio conto che avevano in sospeso. Anche per questa impresa però devono pagare uno scotto. Trentasei uomini vengono messi fuori combattimento dai partigiani, che attaccano senza sosta.

Di fronte a questo "smacco" la logica tedesca della ritorsione non tarda a scattare. Sarà Kragujevac a pagare, con la vita di 100 cittadini ogni tedesco morto, e con quella di 50 ogni tedesco ferito. Duemilatrecento persone sono condannate a morte.

La rappresaglia punta per primo sui "nemici storici" del Reich: comunisti e ebrei. Gli ebrei maschi, e un certo numero di comunisti, 66 persone in tutto, vengono arrestati sulla base delle liste che i collaborazionisti forniscono. Ma questo non basta. Il giorno successivo, il 19 ottobre, una massiccia operazione ha luogo nell'immediata periferia della città. Tre paesi, posti nel giro di tre chilometri, sono travolti della furia tedesca. Grošnica, Meckovac, Maršic bruciano, 423 uomini muoiono. A Meckovac, donne e bambini sono costretti ad assistere all'esecuzione. Lo stesso macabro rituale è imposto a Grošnica, dove si distinguono i Volontari Anticomunisti di Dimitrjie Ljotic. Il paese quel giorno celebra la festa del patrono. I fascisti serbi strappano il pope dall'altare con il vangelo ancora in mano, i fedeli vanno a morire stringendo i pani benedetti della comunione ortodossa. Vengono falciati tutti lì vicino, con le mitragliatrici. Così, intorno a Kragujevac si è fatto un cerchio di morte. La prova generale è compiuta. Ora si passa al "grande massacro".

L'azione inizia la mattina del 20 ottobre. Alle prime luci dell'alba, gli accessi a Kragujevac vengono bloccati. Mitragliatrici sono postate nei punti nevralgici. Nessuno può più uscire dalla città, nessuno può più entrarvi. Chi, ignorando il dispositivo, si avvicina, viene ucciso. È quanto accade a uno zingaro, che arriva dalla campagna, a un vecchio che in città muove verso il mercato. Agli ordini del maggiore Koenig, tedeschi e collaborazionisti aprono la caccia all'uomo. Nessuno sfugge, nessuno è "dimenticato". Il gruppo di operai che lavora tranquillamente a un torrente, i tre popi di una chiesa, che sperano di trovare la salvezza dietro le icone. I razziatori entrano a stanare ovunque. Gli impiegati sono portati fuori dal municipio; giudici, scrivani, pubblico, dal tribunale. Dalle abitazioni vengono tratti anche gli ammalati. Un barbiere è prelevato dal negozio insieme al suo cliente, che con altri disgraziati marcia verso il suo destino, una guancia insaponata, l'altra no.

Alle dieci i tedeschi irrompono anche nei due ginnasi. L'apparizione di quelle uniformi verdi armate di fucili e parabellum, infrange la normalità forzata che da tre giorni nelle due scuole vige. Il barone Bischofhausen, il comandante tedesco della piazza, il 17 ha minacciato presidi, professori e genitori di severe sanzioni se i ragazzi non frequentavano la scuola. Lo ha fatto ripetere anche per le vie della città, a suon di tamburo, dal banditore pubblico. Li vuole tutti in aula, sempre. L'ufficiale tedesco, che da civile è insegnante, combatte l'assenteismo degli studenti non certo perché mosso da passione pedagogica. Chiedendo che proprio per quel giorno 20 tutti siano presenti, egli fa apparire di voler esercitare un controllo; che però si trasforma in una trappola. In realtà, egli non dimentica che i ginnasiali di Kragujevac hanno manifestato sin dai primi giorni la più violenta opposizione all'occupante. Un giovane è finito impiccato dopo uno scontro con la polizia. Il barone sa pure che anche in quelle aule la Resistenza attinge, per alimentare i suoi "gruppi d'azione", i suoi propagandisti e sabotatori.

L'ispezione annunciata per quel giorno è arrivata. I registri chiesti dal barone sono pronti. Arrivando quella mattina a scuola, i ragazzi hanno cancellato i loro nomi dall'elenco. Precauzione inutile. Non c'è appello. I tedeschi entrano direttamente nelle aule, e rastrellano. Hinaus, fuori tutti quelli dai 16 anni in su. Anche il ragazzo invalido che si trascina con la stampella, per il quale invano una professoressa intercede. Anche la classe che il professore di tedesco tenta di salvare. Ai soldati che si affacciano, il professore dice, per rabbonirli, che stanno facendo lezione di tedesco. Mente. E mente una seconda volta quando gli chiedono quanti anni hanno i suoi ragazzi. Quindici dice. I tedeschi, convinti, fanno per andarsene. Ma in quel momento un alunno si alza dall'ultimo banco. È lo spilungone della classe. I tedeschi, dalla soglia si girano, capiscono, e sbattono fuori tutti.

I ginnasiali raggiungono le file dei razziati, i professori in testa. Con loro, ci sono anche Mile Novakovic, insegnante di chimica, celibe, e Djordje Stefanov, di letteratura croata, anche lui rifugiato in Serbia con la moglie e le due figlie per sfuggire ai fascisti della Croazia. Quel giorno i due professori non hanno lezione. Ma quando hanno visto che in città i tedeschi rastrellavano, certi che la scuola non sarebbe stata risparmiata, sono venuti lo stesso, per essere insieme ai loro ragazzi. Li vogliono seguire fino in fondo. Andranno insieme a loro alla fucilazione. Del corpo insegnante, solo le donne non sono razziate. Dalle finestre della scuola vedono sfilare i professori e gli alunni, e "cento berretti levarsi in segno di saluto". I ragazzi credono ancora che torneranno.

Pochi sono i fortunati che riescono a filtrare tra le maglie di quella immensa rete gettata sulla città. Chi vi riesce, va a unirsi ai partigiani. Avrà sicuramente qualcuno da vendicare. Gli altri, a migliaia, ingrossano le colonne che tutto il giorno scorrono per Kragujevac dirette ai luoghi di raccolta. I razziati sono quasi 10.000, su meno di 30.000 abitanti che conta la città. I tedeschi non hanno tralasciato nemmeno il carcere. Ultimi ad arrivare, quei detenuti sono, con comunisti ed ebrei, i primi ad essere fucilati.

Dai luoghi dove sono concentrati in attesa di conoscere la loro sorte, la sera di quel 20 ottobre i prigionieri sentono le prime scariche di fucileria. È l'avvio della grande carneficina. Contando sulla sorpresa, e sulla iniziale "distrazione" dei fucilatori, alcuni dei condannati riescono a salvarsi. Qualcuno fugge appena messo in riga. Altri, come Zivotjin Jovanovic, alla scarica si getta a terra anche se non è colpito, poi balza e corre. Viene ricatturato a un posto di blocco. Tenta di nuovo la fuga, e il suo guardiano gli spara a bruciapelo. Gli sfiora l'inguine. Poi dopo avergli dato il colpo di grazia nella spalla invece che in testa, lo lascia a terra credendolo morto. L'uomo striscia tutta la notte a palmo a palmo finché arriva alla casa di un amico. È soccorso, si crede in salvo. Arrivano i fascisti serbi, che lo riprendono. Dopo averlo picchiato decidono che, essendo ormai in fin di vita, tanto vale lasciarlo morire. Ma l'uomo non muore.

Altri ancora devono la vita alla fortuna, alla professione, al sangue freddo che riescono ad avere anche in un tale frangente. A mano a mano che inquadrano i gruppi per condurli alla fucilazione, i tedeschi fanno la selezione. Alcuni criteri non sono molto chiari. Risparmiano, per esempio, gli elettricisti, gli idraulici, i panettieri. Altri lo sono di più. Ai loro collaboratori fascisti concedono di tirare fuori i loro amici e parenti. In questo mercato i fascisti serbi sono generosi. Arrivano a offrire dei ragazzi di 10/12 anni in cambio dei loro protetti. Viene risparmiato anche chi è cittadino di un paese alleato dell'Asse. O che lo faccia credere. Escono romeni, ungheresi. Un dalmata si dichiara italiano. Forse lo è davvero, forse è solo un croato acculturato italiano, bilingue. Ma riesce a salvarsi, e a salvare il ragazzo che gli è accanto, affermando alla guardia, con la sua "autorità" di "alleato", che non ha ancora 16 anni. Un serbo, invece, mostra un certificato bulgaro qualunque, rilasciato dalle truppe di Sofia che occupano il suo Paese di origine, e viene messo da parte.

Non fa nulla invece per salvarsi Jovan Kalafatic, professore, insegnante di religione, che invece potrebbe. Tutti sanno che è un fascista convinto. A scuola sospettano anche che sia un delatore, che alcuni professori progressisti siano finiti in galera per opera sua. Basterebbe che dica chi è. Kalafatic invece tace. Tace anche quando passano i fascisti serbi per la "loro" selezione. Forse, nelle lunghe ore della tragedia passate con il suo popolo, deve aver capito la vera natura dell'Ordine Nuovo nel quale crede. Va, volontariamente, alla fucilazione con gli altri. Vanno volontari anche due vecchi genitori che non vogliono abbandonare i figli. Alla fucilazione vanno, divisi in due gruppi, anche i 300 studenti ginnasiali e i loro professori. Alla testa di un gruppo vi è il preside del ginnasio. L'altro gruppo marcia verso la morte in fila indiana, le mani sulle spalle, come dovessero danzare il kolo, la danza nazionale serba. Poi, cantano. Intonano "Hej Slaveni!", l'inno antico e comune a tutti gli slavi. Cadono cantando.

Il massacro dura a lungo. Su un fronte di morte lungo oltre dieci chilometri, fuori della città le armi crepitano fino alle 14 del giorno 21 ottobre. Settemilatrecento uomini di Kragujevac dai 16 ai 60 anni cadono divisi in 33 gruppi. Dovevano essere 2300. I tedeschi hanno più che triplicato il "coefficiente dichiarato" di rappresaglia. I graziati sono circa 3000. Molti di questi sopravvissuti rientreranno a piangere un morto. Kragujevac onora la memoria dei suoi fucilati il sabato successivo al massacro. Il rito ortodosso per il quale il sabato è il giorno dei morti, vuole anche che per ogni morto sia accesa una candela gialla e per ogni candela, cui si accompagna un pane che è da benedire con il vino santo, il pope reciti la parola dei defunti. I sacerdoti rimasti a Kragujevac sono solo due. Altri sette sono stati fucilati. Ma il rito deve essere compiuto. Mentre le donne piantano le candele, presentano i pani, gridano il nome del defunto, i due preti cantano l'antica preghiera della liturgia veteroslava. Dandosi il cambio pregano per ventiquattro ore, dalle sette alle sette.

Inutilmente i nazisti tentano poi di nascondere la verità sulla strage, alterando registri, imbrogliando le cifre, esumando e cremando cadaveri. Kragujevac ha fatto il "suo" appello. È la prova che Zivotjin Jovanovic, l'uomo sopravvissuto tre volte, porta ai giudici di Norimberga: "...Quell'ottobre del 1941 a Kragujevac furono esposte più di settemila bandiere nere... nella chiesa vennero presentati e benedetti in un giorno più di settemila pani... E furono accese settemila e trecento candele...".



(srpskohrvatski / italiano)

Iniziative segnalate

1) Trieste 20/10: BALKAN BEAT PARTY with NEMA PROBLEMA ORKESTAR & DJ STONER
2) Novi broj NOVOG PLAMENA u knjižarama i na kioscima širom regiona/regije
3) Beograd 24/10: ŠETNJA ZAHVALNOSTI
4) Bihać 23.-24.11.2012: 70 godina AVNOJ-a i Bihaćke republike


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BALKAN BEAT PARTY with NEMA PROBLEMA ORKESTAR & DJ STONER

Evento pubblico · Creato da BALKAN BEAT TRIESTE
Sabato 20 ottobre 2012
dalle 22.30 fino alle 4.00

Sabato 20 ottobre, lo stabilimento Ausonia ospita l’appuntamento mensile con il Balkan Beat Party, come sempre curato da dj Stoner.
Questa volta ci sono degli ospiti d’eccezione: i Nema Problema! Orkestar.
Milano è la città, l'anno il 2004: sette musicisti provenienti dalle più svariate esperienze decidono di dare vita a un progetto di musica di strada, che ruota attorno alle tradizioni musicali dell'est Europa e del bacino del Mediterraneo orchestrando un repertorio originale dal sapore popolare e dai confini molto ampi: si mischiano musiche balcaniche e klezmer alle influenze eurocolte, allo swing in sano
approccio maccheronico.
Sempre ballabile, non meno raffinato all'ascolto attento. 
La ricercata qualità musicale, spinta dall'esuberanza dei fiati e delle percussioni, è tessuta nella trama di un divertente spettacolo
musicale, capace di improvvisare e di rubare tutti i segreti dell'arte di strada.
La formazione conta nove elementi (a volte 7 a volte 12, chi c'è suona, comunque vada: Nema Problema!): tre trombe, sassofoni alto e tenore, il Susafono, un bombardino, una chitarra e la batteria.
L'ultimo Tour PanESTeuropeo 2011 ha toccato città come Berlino, Praga, Brno, Budapest, Belgrado, Dubrovnik e sono stati premiati due volte al 51° Festiva Sabor Trubači di Guča (Serbia), prestigioso tempio della musica Balcanica: terzi classificati alla competizione internazionale di fanfare e insigniti del premio del pubblico istituito dal giornale "Alo".
L'Orchestra Nema Problema! ha suonato in tutta Italia ospite di numerosi concerti, festival e teatri, e all'estero a Londra, Bruxelles, Istanbul, Berlino e Lisbona.
Sono orgogliosi di presentare il loro terzo disco autoprodotto "L'Amo" , lavoro registrato in studio, raffinato e artigianale.
Prima e dopo l’esibizione dei Nema Problema, dj Stoner intratterrà
il pubblico con una selezione di scatenati brani balkan/gypsy,
per arrivare fino a notte fonda.

ingresso 5 euro



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NOVI PLAMEN
Broj 17 - Sadržaj

UVODNE MISLI
3 Pelagius, O bogatstvu

HRVATSKA
4 Jasna Tkalec, Klub Dante i Hrvatska
7 Karolina Leaković, Žene i oskudica

BIH
9 BiH Goran Marković, Kako do promjena u Bosni i Hercegovini?
14 Zlatiborka Popov Momčinović, Neko je rekao veronauka?! Refleksije na bosanskohercegovačka iskustva

SLOVENIJA
18 SLOVENIJA Sonja Lokar, Slovenija: sve se vraća, sve se plaća

SRBIJA
20 Branko Mišović, O kontinuitetu državnih institucija u Jugosferi: slučaj Srbije
25 Miloš Ranković, Reformisani, pa na čelo Vlade

CRNA GORA
29 Filip Kovačević, Proljeće crnogorske pobune

INTERVIEW
32 Richard Jolly, Demilitarizacija zahtijeva vizionarsko vodstvo
37 Franco Cassano, Graditi na pijesku
40 Ivan Ergić, Sport: ideologija u svom čistom obliku

SVIJET U 21. STOLJEĆU
44 10 GODINA terorističkih konc-logora u "ratu protiv terora"
47 Bill Van Auken, Nakon NATO summita: pokolj u Afganistanu i Pakistanu se nastavlja
49 James Cogan i John Walters, Afganistanski glas protiv okupacije predvođene SAD-om
52 Manlio Danucci, Nakon pokolja nevinih
53 Eric Stoner, Zunesova kritika rata sa Libijom i predlog nenasilne alternative
54 Mladen Jakopović, Nenasilnim otporom Palestinaca smirio bi se ekstremizam
56 Anastas Vangeli, Kina: priča dvadeset i prvog vijeka
62 Goran Marković, Uspon i dometi grčke radikalne ljevice
67 Jasna Tkalec, Italija: kako ponovo oživeti Lazara?
76 Friedrich Burschel, Savremena Nemačka: ukratko o ekstremizmu
80 Ivica Mladenović, Socijalističke magle i vidici: istorijsko zaleđe, aktuelno stanje i potencijal za strukturnu transformaciju u Francuskoj

EVROPSKA DEMOKRATSKA LJEVICA
102 Leo Furtlehner, Situacija na levici u Austriji
107 Thomas Kachel, Ljevica u Britaniji: prema novom ustroju
112 Dag Seirstad, Ljevica u Norveškoj: politika vlade lijevog centra
116 Antti Alaja, Progresivni pokret u Finskoj i crveno-zelena agenda
118 Cornelia Hildebrandt, Die Linke u Nemačkoj

SUVREMENA SOCIJALDEMOKRACIJA
124 Vicente Navaro, Postoji alternativa! Kako bi Španija mogla voditi ekspanzionističku politiku
126 Dany Rodrik, Proizvodnja: put do razvijene ekonomije
128 Klaus Mehrens, Učešće zaposlenih u razvojnoj politici
129 Goran Lukić, Nova ekonomija nasuprot starom načinu
131 Andrea Nahles, Obnova partija tiče se demokratije i učešća
132 Markus Roberts i Daniel Elton, Zašto partije treba ponovo da postanu pokreti?

TEMA BROJA: Komercijalizacija obrazovanja i studentski otpor
134 Todor Kuljić, Studentski delatni otpor kapitalizmu
137 Jana Bačević, Konflikti u polju visokog obrazovanja danas: izazov nalaženja alternativa između masifikacije, komodifikacije i neokonzervativizma
140 Emin Eminagić, Direktno-demokratsko društvo: analiza novog vala studentskih protesta u zemljama bivše Jugoslavije
143 Sanja Petkovska, Globalna restrukturacija obrazovnih sistema: neke od pretpostavki procesa
147 Bojan Maričik, Da li demokratizacija studentskog pokreta može pripremiti studente za borbu za bolju poziciju, unatoč komercijaliziranog obrazovanja?
151 Pavluško Imπirović, Omladinski pokret u Jugoslaviji i Srbiji: juče i danas

POGLEDI
160 Darko Suvin, Petnaest teza o komunizmu i Jugoslaviji, ili dvoglavi Janus oslobođenja kroz državu
169 Andrea Martocchia, Intelektualrijat
180 Aleksa Milojević, Razvoj svojine temeljni je faktor ekonomskog napretka
183 Ljubomir Cuculovski, Neki aspekti raspadanja SFRJ
189 Zagorka Golubović, Kriza demokratske tranzicije u Srbiji

SOCIJALNO KRŠĆANSTVO
193 Francis McDonagh, Dom Hélder Câmara: od moći do proročanstva

SINDIKATI
196 Martin Thomas, Politički fondovi sindikata u Britaniji
198 Hilary Wainwright, Novi sindikalizam u nastanku
203 Michael Hurley i Sam Gindin, Napad na javne usluge: hoće li sindikati žaliti zbog napada ili povesti otpor?
196 Martin Thomas, PolitiËki fondovi sindikata u Britaniji
209 Pavle Vukčević, Sindikati kao akteri postizbornih promjena u RH: moć i nemoć sindikata

HISTORIJSKA PITANJA
211 Goran Marković, Talas rehabilitacija u Srbiji

SJEĆANJE
214 Dragoljub Stojanov, Branko Horvat: Čovjek koji je previše znao

DOKUMENTI
215 Prvi Balkanski Forum: drugačiji Balkan je moguć

PRIKAZI
218 Milan Vukomanović, Srbija i moderna (Đokica Jovanović: "Prilagođavanje")
219 Merima Omeragić, Skepsa kao postupak: pad od visokog modernizma u postmodernu (Ranko Marinković, "Kiklop")
223 Zlatko Jelisavac, Kultura sećanja (Todor Kuljić, "Sećanje na titoizam")
224 Srećko Horvat, U zemlji krvi i novca (Angelina Joly, "In tha land og blood and honey")

KULTURA
229 Jasna Tkalec, Ispod mosta Mirabeau
236 Vladan Milanko, Dok čekamo na film o Ratku Mladiću: film i ideologija danas i ovde

POEZIJA
240 Darko Suvin, Političke pjesni za Zagrebom

PRAVA ŽIVOTINJA
244 Umberto Veronesi, Vegetarijanstvo je izbor zdravlja, a ne samo etički izbor
244 Prijatelji životinja, Život svinja
247 Snježana Klopotan, Zakon o zaštiti životinja
249 Hrvoje Jurić, Veliki ciljevi i mali koraci
252 Prijatelji životinja, Saborski zastupnici i zaštita životinja
253 Osjećaju li kukci bol?


Novi broj Novog Plamena u knjižarama i na kioscima širom regiona/regije

Drage drugarice i dragi drugari,
Pr(ij)e nekog vremena je na više od 260 str. izašao novi broj Novog Plamena, regionalnog časopisa demokratske l(j)evice za politička, kulturna i društvena pitanja. Novi Plamen je jedini časopis toga tipa na ovim našim prostorima. U telu poruke vam šaljemo gde se časopis tačno može nabaviti u Hrvatskoj, Srbiji, BiH i Makedoniji.

Za dodatne informacije vid(j)eti:
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• Masarykova 28
• Ivana Lučića 3 (Filozofski fakultet)
• Trg bana Josipa Jelačića 14 (zatvorena zbog preuređenja)
BJELOVAR
• Gundulićeva 8
ČAKOVEC
• Kralja Tomislava 6
DUBROVNIK
• Poljana Paska Miličevića 1
GOSPIĆ
• Dr Ante Starčevića 17
KARLOVAC
• Stjepana Radića 7
METKOVIĆ
• Ante Starčevića b.b.
OSIJEK
• Trg A. Starčevića 12
POŽEGA
• Trg Sv. Trojstva 7
PULA
• Forum 6
RIJEKA
• Ignacija Henckea 1B
SINJ
• Trg kralja Tomislava 3
SISAK
• Trg bana Josipa Jelačića 6
SPLIT
• Trg braće Radića 7
VARAŽDIN
• Janka Draškovića 2
• Stanka Vraza 8
VINKOVCI
• Duga ulica 27
VUKOVAR
• Dr Franje Tuđmana 13


=== 3 ===


ŠETNJA ZAHVALNOSTI - Konferencija za štampu
ŠETNJA ZAHVALNOSTI - SEĆANJE NA PONOSNU SRBIJU 1912.
24. OKTOBAR 2012. u 12 č. ispred VLADE REPUBLIKE SRBIJE
Facebook event: https://www.facebook.com/events/480035498693648/

Nikad nam kao danas -- ceo vek posle Kumanovske bitke, koja je rešila Prvi balkanski rat -- iz slavnog primera naših predaka nije dolazilo toliko teških pitanja i, istovremeno, nikad nam se nije nudilo toliko jednostavnih odgovora.

Pošto je, nošena neponovljivim istorijskim poletom, mobilisala vojsku od preko 240 hiljada ljudi -- više od 40 odsto aktivnog muškog stanovništva -- srpska Vrhovna komanda, na čelu sa tada generalom Radomirom Putnikom, ni nedelju dana posle objave rata Turskoj, vodila je 23. i 24. oktobra 1912. (po novom kalendaru) odsudnu bitku. Posle dvodnevnog sudara oružja u okolini Kumanova, neprijatelj je nateran na povlačenje a slavna Srpska vojska oslobodila Kosovo i Makedoniju, do tada više od pola milenijuma pod turskom okupacijom.

Iako u zapadnoj politici nije bilo oduševljenja za srpske oslobodilačke akcije, istorijski trijumf omogućilo je formiranje Balkanskog saveza Srbije, Crne Gore, Grčke i Bugarske, pod pobedničkom devizom -- „Balkan balkanskim narodima". Bio je to najsvetliji primer šta ujedinjeni mogu mali narodi, kada sopstvene interese pretpostave interesima velikih sila.

Vek kasnije, naraštaj naših otaca i naš pokazao se nedostojnim velike misije naših predaka iz Balkanskih ratova. Razjedinjeni i posvađani u spolja i iznutra razorenoj zemlji, uplašeni pretnjama i zavedeni obećanjima zapadnih sila -- vodeći deo ovog naraštaja gotovo je poništio velika postignuća slavnih predaka i svojim istorijskim iluzijama žrtvovo i klicu svakog narodog postojanja -- slobodu.

Ima li danas mesta na svetu pred kojim će se sve srpske omraze, sukobi i iluzije pokazati toliko malim i nedostojnim, ima li mesta koje nas toliko napaja zaboravljenom idejom slobode, kao što je to grob Vojvode Putnika, vojnog stratega velikih srpskih pobeda koji je znao i to koliko solidarnost može da nas ujedini, pa je u tim istim Balkanskim ratovima naredio da dnevnica potporučnika i vojvode bude ista -- tri dinara? Ima li, onda, mesta na svetu pred koje ćemo izaći toliko mali i nedostojni, sa toliko razloga da tražimo oproštaj za istorijski udes za koji smo odgovorni?

Zato naše sećanje na Vojvodu Putnika i veliki naraštaj srpske Vojske koji je predvodio, danas nije samo izraz pijeteta prema velikanu slavnog srpskog oružja već i naš izraz stida sopstvenim naraštajem, koji nedovoljno razume koliko sloboda manje košta kada se čuva nego kada se ponovo osvaja.

Uvereni da taj milenijumski temelj slobode, na kome je čvrsto stajao identitet naših predaka, nije mogao netragom nestati i da je negde duboko zapreten u svima nama, pozivamo sve koji u to veruju, bez obzira na političke stavove i razlike, da u sredu 24. oktobra 2012, na samu stogodišnjicu Kumanovske pobede, zajedno pohodimo grob Vojvode Putnika, na koji ćemo položiti venac i zapaliti sveće.

Okupljanje i „Šetnja zahvalnosti -- Sećanje na ponosnu Srbiju 1912", na koju su pozvani svi i u kojoj će biti mesta za svakog, počeće tačno u podne pred Vladom Republike Srbije, u Nemanjinoj ulici, odakle ćemo se zaputiti prema Aleji velikana na Novom groblju.

Neka nas slavni grob ujedini!
Neka nas ponovo osvoji idejom slobode!
Neka nas nadahne za pregnuća dostojna slavnih predaka!
Živela Slobodna Srbija!

Ana Radmilović
Milo Lompar
Branko Pavlović
Slavoljub Kačarević
Slobodan Antonić
Boris Malagurski
Željko Cvijanović



=== 4 ===

70 godina AVNOJ-a

Evento pubblico · Creato da Antifašistička liga Jugoistočne Evrope

23 novembre alle ore 9.00 fino a 24 novembre alle ore 20.00

Ove godine navšava se 70 godina od osnivanja AVNOJ-a (Antifašističkog vijeća narodnog oslobođenja Jugoslavije) Značaj ovog događaja za sve narode na prostoru Balkana i uopšte daljnjeg vođenja oslobodilaćkog rata pod vodstvom vrhovnog komadanta Partizanskog pokreta u Jugoslaviji je nemjerljiv.

18. oktobra 1942. Vrhovni stab na čelu sa Josipom Brozom Titom naredjuje Vrhovnom stabu NOP i DV za Krajinu da se izvrsi priprema za Bihacku operaciju. Ova naredba morala se sprovesti najkasnije do 05. novembra kako bi se time proslavila 25-godisnjica Oktobarske revolucije... Po naredbi Vrhovnog staba u napadu ce ucestvovati 4 krajiške, 4 licke i 1 proleterska brigada... Istog dana Vrhovni stab izdaje naredjenje Hrvatskom glavnom stabu da sa najmanje dvije brigade koordinira sa Krajisnicima u napadu na Bihac tako sto ce oko 1.novembra preduzeti jednu vecu diverziju na dijelu istocne Banije, a Krajisnicima je naredjeno da u isto vrijeme preduzmu diverzije prema Bosanskom Novom i Kljucu...

04.novembra oslobodjen je Bihac i Licko Petrovo Selo, a partizanske jedinice su nastavile napredovanje u pravcu Slunja, Cazina i Bosanske Krupe. Kompletnom operacijom komandovao je Kosta Nadj, a nakon okoncanja operacije 06. novembra oslobodjen je grad Slunj i Cazin sa okolnim selima, a neprijateljska vojska se nasla u obruču na prostoru izmedju Slunja i Gospica...
Tako su stvoreni uslovi za odrzavanje prvog zasjedanja AVNOJ-a u Bihacu na kojem su prakticno udareni temelji buducoj zajednickoj drzavi Socijalistickoj Federativnoj Republici Jugoslaviji. Slobodni teritorij proglasen je Bihackom Republikom a bio je to tada najveci slobodni teritorij u Evropi kojeg su kontrolisale partizanske snage NOP Jugoslavije...

Program u Bihaću 23.11.2012
(Petak)

9.00 do 12.00 - Doček gostiju ispred Muzeja Prvog zasjedanja AVNOJ-a

13.00 - Polaganje cvijeća na partizansko spomen obilježje Borići.
Organizirani polazak u 12.30 ispred muzeja AVNOJ-a

14.00 - Svečana sjednica povodom 70-te godišnjice AVNOJ-a
Sala Kulturnog centra (Dom Armije)

BIŠĆU BUDI NAM KOLIJEVKOM
Kulturno zabavni program u spomen AVNOJ-u
U okviru programa predviđeno je obraćanje predstavnika
Iz svake Yu-republike po jedan

20.00 Druženje gostiju u ugostiteljskom objektu 
caffe-bar ,,Marshal“ i ,,Paviljon“ uz
PARTIZANSKO PIVO

24.11.2012 godine

8.00 – Organizirani odlazak u Jajce 
71. godišnjica Drugog zasjedanja AVNOJ-a.
Polazak sa Trga M. Tita u Bihaću


Bihaćka republika

Bihaćka republika je simboličan naziv za jedinstvenu oslobođenu teritoriju koja je nastala poslije — bihaćke operacije i oslobođenja Bihaća 4. novembra 1942. spajanjem do tada oslobođenih teritorija Bosanske krajine i susjednih oblasti Hrvatske. Bihać je od tada do kraja januara 1943. bio sjedište CK KPJ (centralnog komiteta Komunističke partije Jugoslavije) i Vrhovnog štaba NOV i POJ Narodno-oslobodilačke vojske i Partizanskih odreda Jugoslavije) i centar te teritorije. Ofanzivnim dejstvom NOVJ, posebno u srednjoj Bosni, ova slobodna teritorija je proširivana do sredine januara 1943. godine. Prostirala se od prilaza Karlovcu i Zagrebu, do rjeke Bosne i Neretve i zahvatala je oko 50.000 km2.
Razvitak Narodno-oslobodilačkog pokreta, dostigao je na ovoj teritoriji najviši stepen. Tu su, u novembru 1942. godine, formirane prve divizije i korpusi NOVJ, čija je dejstva usmjeravao Vrhovni štab. Teritorija republike bila je poprište zimskih operacija okupatorsko-kvinsliških snaga (Vajs 1 i 2) i bitke na Neretvi. (Četvrta neprijateljska ofanziva 1943.).

Onivanjem Privremenog upravnog odsjeka pri Vrhovnom štabu, 22. oktobra, koji je trebao da usmjerava rad NO (Narodnih odbora) i vojno-teritorijalnih organa, a zatim Izvršnog odbora AVNOJ-a. 26/27. novembra 1942., na ovoj tertoriji je bio izgrađen jedinstven sistem vlasti. Na teritoriji 30 srezova sprovedeni su izbori za mjesne, opštinske i sreske, a u nekim krajevima i okružne NOO (Narodno-oslobodilačke odbore) — komandi mjesta i komandi područja. Na inicijativu Izvršnog odbora AVNOJ-a razvijena je politička, privredna i prosjvetna aktivnost. Podstaknut je razvoj proizvodnje, organizovanja razmjena i saobraćaj, sprovedena kampanja prikupljanja dobrovoljnih priloga naroda za snabdjevanje vojnih jedinica, akcija otvaranja osnovnih škola i drugih oblika prosvjećivanja naroda, osnovano je Pozorište narodnog oslobođenja, unapređena zdravstvena služba i razni oblici socijalne zaštite (zbrinjavanje izbeglica, osnivanje domova za nezbrinutu djecu i dr.). Pored ovih aktivnosti NOO i KPJ je radila na razvijanju antifašističke organizacije žena i omladine. Održani su osnovačka konferencija AFŽ (Antifašističkog fronta žena) Jugoslavije u Bosanskom Petrovcu od 6. do 8. decembra i osnivački kongres USAOJ-a u Bihaću, od 27. do 29. decembra 1942.godine.

Kao izraz izvojevanih pobjeda u ratu protiv okupatora i domaćih kolaboracionista i stepena razvitka NOP-a, Bihaćka republika je uticala na jačanje međunarodnog položaja NOP-a. Nastala je u doba prelomnih bitaka na sovjetsko-njemčkom frontu i na frontu u Africi, ona je pobudila zanimanje sila Osovine i sila antihitlerovske koalicije. Računajući s mogućnošću skore invazije anglo-američkih trupa na evropsko Sredozemlje i prije svega na Balkan, Hitler je smatrao da bi NOV mogla da ugrozi odbranu Balkana. Zato je donio odluku o zimskim operacijama Vajs (Weiss) za uništenje „Titove države“ kako je sam nazivao oslobođenu tritoriju sa centrom u Bihaću. Sa istog stanovišta poraslo je i zanimanje za događaje u Jugoslaviji kod vlada antihitlerovske koalicije. To se pokazalo, u pojačanom nastojanju britanske vlade da odvrati četnike Draže Mihailovića od saradnje sa okupatorom i s druge strane, u njenoj odluci da stupi u kontakt sa Vrhovnim štabom NOV i POJ.

Oslanjajući se na izbvojevane pobjede i stepen razvitka NOP-a, u vreme Bihaćke republike, CK KPJ, još odlučnije kreće u borbu za mađunarodno priznanje NOP-a, što je bilo izraženo i osnivanjem AVNOJ-a i posebno prvom notom koju su Izvršni odbor AVNOJ-a i Vrhovni štab NOV i POJ uputili vladama sila antifašističke koalicije iz Bihaća januara 1943. godine. U toj noti su otvoreno postavili pitanje izdajničke aktivnosti vlade Kraljevine Jugoslavije u izbeglištvu.







(italiano / deutsch / english)

The Nobel Peace Prize for War

1) Werner Pirker: Herrenwitze
2) Michael Parenti: The Nobel Peace Prize for War
3) Il Nobel per la Pace e il Premio Lenin per la Pace


=== 1 ===


Herrenwitze

Entscheidung über Nobelpreisverleihung

Von Werner Pirker

Daß der Europäischen Union in der größten Krise ihrer Geschichte der Friedensnobelpreis verliehen wurde, könnte man auch als einen Akt der Barmherzigkeit bezeichnen. Es muß tatsächlich sehr schlecht um sie bestellt sein, daß man ihr einen Trostpreis zukommen ließ. Wie schlecht muß es aber erst um den Frieden bestellt sein, wenn von der EU mitgeführte imperialistische Weltordnungskriege als Friedensengagement gewürdigt werden.

Das Nobelpreiskomitee in Oslo hatte sich offenbar bemüßigt gefühlt, den ramponierten Ruf des Staatenbundes wieder etwas aufzupolieren. Wenn schon der Euro als gemeinsame Währung für Länder mit unterschiedlicher Wirtschaftskraft versagt, wenn schon Kerneuropa und EU-Peripherie immer weiter auseinanderdriften, wenn schon die Bevölkerungen in allen Mitgliedsländern Brüssel zunehmend als Steuerungszentrale des Sozial- und Demokratieabbaus wahrnehmen, wenn schon die deutsche Dominanz über Europa als immer drückender empfunden wird, dann soll wenigstens am Gründungsmythos festgehalten werden, daß die europäische Integration ein Friedensprojekt sei.

Entsprechend lautet auch die Erklärung des Osloer Komitees. Die EU, heißt es, habe über sechs Jahrzehnte entscheidend zur friedlichen Entwicklung in Europa beigetragen. Tatsächlich sind die europäischen Hauptmächte einander seit dem Zweiten Weltkrieg nicht mehr an die Gurgel gegangen und werden das voraussichtlich auch nicht mehr tun. In der Zeit des Kalten Krieges hat Westeuropa unter US-amerikanischer Führung eine gemeinsame Front gegen das sozialistische Lager gebildet. Nach seinem Sieg in der Systemkonfrontation ging der Westen daran, seine Vorherrschaft über die in Unterentwicklung gehaltene Peripherie unumkehrbar zu machen. Das »Friedensprojekt« wurde also von Beginn an von aggressiven Absichten bestimmt.

Es waren Flugzeuge des westlichen Kriegsbündnisses, die 1999 die ersten Bomben über Europa seit 1945 abwarfen, um Jugoslawiens Widerstand gegen das neoliberale Globalisierungsdiktat zu brechen. Das Nobelpreiskomitee hat das keineswegs unberücksichtigt gelassen. In seiner Begründung wird die gewaltsame »Befriedung des Balkans« als besondere Friedensleistung hervorgehoben.

Im Vertrag von Lissabon sehen sich die Mitgliedsländer zur militärischen Aufrüstung verpflichtet. EU-weit werden die Wehrpflichtarmeen zu Berufsheeren transformiert und für »Out of area«-Einsätze fit gemacht. Der EU werden von den Preisverleihern aber nicht nur Verdienste um den Frieden, sondern auch um die Demokratie angedichtet, was angesichts des realen Demokratieverfalls im Zeichen der Brüsseler Austeritätspolitik eine fast schon satirisch anmutende Verzerrung der Wirklichkeit darstellt. Wenn dann in der Begründung auch noch die Troika-Herrschaft als »Förderung der demokratischen Entwicklungen in südeuropäischen Ländern« gewürdigt wird, meint man geradezu in eine Runde von Herrenwitzerzählern geraten zu sein.
 
junge Welt, 13.10.2012


=== 2 ===

The Nobel Peace Prize for War

by   Michael Parenti

 

Those who own the wealth of nations take care to downplay the immensity of their holdings while emphasizing the supposedly benign features of the socio-economic order over which they preside. With its regiments of lawmakers and opinion-makers, the ruling hierarchs  produce a never-ending cavalcade of symbols, images, and narratives to disguise and legitimate the system of exploitative social relations existing between the 1% and the 99%.

The Nobel Peace Prize would seem to play an incidental role in all this. Given the avalanche of system-sustaining class propaganda and ideological scenarios dished out to us, the Nobel Peace Prize remains just a prize. But a most prestigious one it is, enjoying a celebrated status in its anointment of already notable personages.

In October 2012, in all apparent seriousness, the Norwegian Nobel Committee  (appointed by the Norwegian Parliament) bestowed the Nobel Peace Prize upon the European Union (EU). Let me say that again: the European Union with its 28 member states and 500 million inhabitants was awarded for having "contributed to the advancement of peace and reconciliation, democracy, and human rights in Europe."  (Norway itself is not a member of the EU. The Norwegians had the good sense to vote against joining.)

Alfred Nobel's will (1895) explicitly states that the peace prize should go "to the person who shall have done the most or the best work for fraternity between nations, for the abolition or reduction of standing armies and for the holding and promotion of peace congresses."  The EU is not a person and has not worked for the abolition or reduction of standing armies or promotion of any kind of peace agenda. If the EU award looked a bit awkward, the BBC and other mainstream news media came to the rescue, referring to the "six decades of peace" and "sixty years without war" that the EU supposedly has achieved.  The following day, somebody at the BBC did the numbers and started proclaiming that the EU had brought "seventy years of peace on the European continent."  What could these wise pundits possibly be thinking?  Originally called the European Economic Community and formed in 1958, the European Union was established under its current name in 1993, about twenty years ago.

The Nobel Committee, the EU recipients, and the western media all overlooked the 1999 full-scale air war launched on the European continent against Yugoslavia, a socialist democracy that for the most part had offered a good life to people of various Slavic nationalities---as many of them still  testify today.

The EU did not oppose that aggression. In fact, a number of  EU member states, including Germany and France, joined in the 1999 war on European soil led largely by the United States. For 78 days, U.S. and other NATO forces bombed Yugoslavian factories, utilities, power stations, rail systems, bridges, hotels, apartment buildings, schools and hospitals, killing thousands of civilians, all in the name of a humanitarian rescue operation, all fueled by unsubstantiated stories of Serbian "genocide." All this warfare took place on European soil.

Yugoslavia was shattered, along with its uniquely designed participatory democracy with its self-management and social ownership system. In its place emerged a cluster of right-wing mini-republics wherein everything has been privatized and deregulated, and poverty has replaced amplitude. Meanwhile rich western corporations are doing quite well in what was once Yugoslavia.

Europe aside, EU member states have sent troops to Afghanistan, Iraq, Libya, and additional locales in Africa, the Middle East, and Central Asia, usually under the tutorship of the U.S. war machine.

But what was I to expect? For years I ironically asserted that the best way to win a Nobel Peace Prize was to wage war or support those who wage war instead of peace.  An overstatement perhaps, but take a look.

Let's start back in 1931 with an improbable Nobel winner:  Nicholas Murray Butler, president of Columbia University. During World War I, Butler explicitly forbade all faculty from criticizing the Allied war against the Central Powers. He equated anti-war sentiments with sedition and treason. He also claimed that "an educated proletariat is a constant source of disturbance and danger to any nation." In the 1920s Butler became an outspoken supporter of Italy's fascist dictator Benito Mussolini. Some years later he became an admirer of a heavily militarized Nazi Germany. In 1933, two years after receiving the Nobel prize, Butler invited the German ambassador to the U.S. to speak at Columbia in defense of Hitler. He rejected student appeals to cancel the invitation, claiming it would violate academic freedom.

Jump ahead to 1973, the year one of the most notorious of war criminals, Henry Kissinger, received the Nobel Peace Prize. For the better part of a decade, Kissinger served as Assistant to the President for National Security Affairs and as U.S. Secretary of State, presiding over the seemingly endless blood-letting in Indochina and ruthless U.S. interventions in Central America and elsewhere.  From carpet bombing to death squads, Kissinger was there beating down on those who dared resist U.S. power.  In his writings and pronouncements Kissinger continually talked about maintaining U.S. military and political influence throughout the world. If anyone fails to fit Alfred Nobel's description of a prize winner, it would be Henry Kissinger. 

In 1975 we come to Nobel winner Andrei Sakharov, a darling of the U.S. press, a Soviet dissident who regularly sang praises to corporate capitalism. Sakharov lambasted the U.S. peace movement for its opposition to the Vietnam War. He accused the Soviets of being the sole culprits behind the arms race and he supported every U.S. armed intervention abroad as a defense of democracy. Hailed in the west as a "human rights advocate," Sakharov never had an unkind word for the horrific human rights violations perpetrated by the fascist regimes of faithful U.S. client states, including Pinochet's Chile and Suharto's Indonesia, and he aimed snide remarks at the "peaceniks" who did. He regularly attacked those in the West who opposed U.S. repressive military interventions abroad.

Let us not overlook Mother Teresa. All the western world's media hailed that crabby lady as a self-sacrificing saint. In fact she was a mean spirited reactionary who gladly welcomed the destruction of liberation theology and  other progressive developments in the world. Her "hospitals" and "clinics" were little more than warehouses for the dying and for those who suffered from curable diseases that went untreated---eventually leading to death. She waged campaigns against birth control, divorce, and abortion. She readily hobnobbed with the rich and reactionary but she was so heavily hyped as a heavenly heroine that the folks in Oslo just had to give her the big medal in 1979.

Then there was the Dalai Lama who was awarded the Nobel Peace Prize in 1989. For years the Dalai Lama was on the payroll of the CIA, an agency that has perpetrated killings against rebellious workers, peasants, students, and others in countries around the world. His eldest brother played an active role in a CIA-front group. Another brother established an intelligence operation with the CIA, which included a CIA-trained guerrilla unit whose recruits parachuted back into Tibet to foment insurgency. The Dalai Lama was no pacifist. He supported the U.S./NATO military intervention into Afghanistan, also the 78 days' bombing of Yugoslavia and the destruction of that country. As for the years of carnage and destruction wrought by U.S. forces in Iraq, the Dalai Lama was undecided: "it's too early to say, right or wrong," said he in 2005. Regarding the violence that members of his sect perpetrated against a rival sect, he concluded that "if the goal is good then the method, even if apparently of the violent kind, is permissible." Spoken like a true Nobel recipient.

In 2009, in a fit of self parody, the folks in Oslo gave the Nobel Peace Prize  to President Barack Obama while he produced record military budgets and presided over three or four wars and a number of other attack operations, followed a couple of years later by additional wars in Yemen, West Pakistan, Libya, and Syria (with Iran pending). Nobel winner Obama also proudly hunted down and murdered Osama Bin Laden, having accused him---without a shred of evidence---of masterminding the 9/11 attacks on the World Trade Center and the Pentagon.

You could see that Obama was somewhat surprised---and maybe even embarrassed---by the award. Here was this young drone commander trying to show what a tough-guy warrior he was,  saluting the flag-draped coffins one day and attacking other places and peoples the next---acts of violence in support of the New World Order,  certainly every bit worthy of a Nobel peace medal.

There are probably other Nobel war hawks and reactionaries to inspect. I don't pretend to be informed about every prize winner. And there are a few worthy recipients who come to mind, such as Martin Luther King, Jr., Linus Pauling, Nelson Mandela, and Dag Hammarskjöld.

Let us return to the opening point: does the European Union actually qualify for the prize? Vancouver artist Jennifer Brouse gave me the last (and best) word:   "A Nobel Prize for the EU? That seems like a rather convenient and resounding endorsement for current cutthroat austerity measures. First, corporations are people, then money is free speech, now an organization of nation states designed to thwart national sovereignty on behalf of ruling class interests receives a prize for peace.  On the other hand, if the EU is a person then it should be prosecuted for imposing policies leading directly to the violent repression of peaceful protests, and to the misery and death of its suffering citizens."

In sum, the Nobel Peace Prize often has nothing to do with peace and too much to do with war. It frequently sees "peace" through the eyes of the western plutocracy. For that reason alone, we should not join in the applause.

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Michael Parenti is the author of  The Face of Imperialism and Contrary Notions. For further information visit his website: www.michaelparenti.org 



=== 3 ===

www.resistenze.org - osservatorio - mondo - politica e società - 13-10-12 - n. 425

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Il Nobel per la Pace e il Premio Lenin per la Pace
 
12/10/2012
 
Nella giornata di oggi è stato annunciato il vincitore del Premio Nobel per la Pace 2012, che come tutti sappiamo non è niente di più e niente di meno che il polo imperialista dell'Unione europea. Non è la prima volta, né l'ultima, che la scelta dei premiati - o dei candidati - sono interessate da un'enorme polemica.
 
I premi Nobel per la Pace sono concessi dal Comitato Nobel norvegese "alla persona che avrà fatto il più grande o il miglior lavoro in favore della fraternità tra le nazioni, per l'abolizione o la riduzione degli eserciti regolari e per il mantenimento e la promozione di congressi di pace nell'anno immediatamente precedente". Il Comitato è composto da cinque membri eletti dallo Storting, il parlamento norvegese.
 
Facciamo un ripasso delle sue decisioni più controverse:
 
Theodore Roosevelt, consegnato nel 1906. XXVI Presidente degli Stati Uniti, assegnato in base al pretesto della mediazione per porre fine alla guerra russo-giapponese. Poco importò che fosse profondamente sessista e razzista, che istigò una rivolta a Panama con l'obiettivo di costruire il canale (1903), che invase e prese il controllo della Repubblica Dominicana (1905), o che inviò truppe a Cuba (1906), oltre a stabilire la base di Guantánamo (1903).
 
Woodrow Wilson, consegnato nel 1919. XXVIII presidente degli Stati Uniti, assegnato in base al pretesto del contributo alla fondazione della Società delle Nazioni. Fedele sostenitore dell'interventismo, invase il Messico per far dimettere Victoriano Huerta (1914), occupò Haiti militarmente ed economicamente (1915) approfittando di una crisi sociale, ed intervenne in due occasioni (1916, 1924) nella Repubblica Dominicana. Fu inoltre profondamente razzista (intensificò le politiche di segregazione razziale) e sostenne il Ku Klux Klan.
 
George Marshall, consegnato nel 1953. Generale dell'esercito degli Stati Uniti, assegnato per il Piano Marshall. Militare che partecipò attivamente alla sanguinosa Prima guerra mondiale, cervello dell'offensiva di Meusse-Argonne (1918), tristemente nota per essere la battaglia con più perdite per gli Stati Uniti, morirono circa 117.000 soldati americani. Dopo la Seconda guerra mondiale, alla quale partecipò con il grado di Capo di stato maggiore, sviluppò il piano imperialista economico conosciuto come Piano Marshall, per intensificare il controllo dell'Europa occidentale.
 
Henry Kissinger, consegnato nel 1973. Controverso politico americano, assegnato congiuntamente al comunista Le Duc Tho (che rifiutò il premio) per il Trattato di Parigi del 1973, nonostante che poco dopo venne rotto per continuare le ostilità. Anche in questo caso poco importò che furono gli Stati Uniti a provocare la guerra del Vietnam (1964-1975) e le operazioni in Cambogia e Laos, che coinvolsero milioni di vite, enormi violazioni dei diritti umani, né tanto meno la sua partecipazione a numerosi colpi di stato in America Latina durante gli anni '70 (Cile, Argentina...) o nell'Operazione Condor, così come in altre manovre imperialiste in tutto il mondo (Angola, Sahara, Indonesia...)
 
Eisaku Sato, consegnato nel 1974. Primo ministro del Giappone, fu assegnato ironicamente per "il suo rifiuto dell'opzione nucleare per il Giappone ed i suoi sforzi per una maggiore riconciliazione regionale". Documenti declassificati confermano che la sua posizione era molto distante dal pacifismo: cercò di negoziare con gli Stati Uniti un attacco nucleare preventivo contro la Repubblica Popolare Cinese.
 
Lech Wałęsa , consegnato nel 1983. Premiato per essere un dissidente anticomunista (fantoccio fedele dell'imperialismo) e fondatore del sindacato Solidarnosc. Successivamente sarà presidente della Polonia, conducendo all'impoverimento del paese. Dopo la controrivoluzione, questo sindacato licenziò in media 3.000 lavoratori al giorno, 30.000 minatori furono gettati sulla strada. Nemmeno un ex roccaforte come la fabbrica di trattori Ursus si salvò: chiusa e 15.000 lavoratori per strada. Solidarnosc aumentò di 6 volte il prezzo del carbone per uso domestico, di 5 volte l'elettricità, di 2,5 il prezzo dei trasporti, del 500% il costo del riscaldamento, dell'acqua e del gas. Il reddito medio diminuì del 27%. Proprio un Nobel per la Pace!
 
Tenzin Gyatso (Dalai Lama), consegnato nel 1989, e premiato per la sua "lotta per la liberazione del Tibet". Preferiscono dimenticarsi di secoli di feudalesimo lamaista, del potere dell'aristocrazia dei lama, della schiavitù, povertà, sessismo e degli abusi sessuali su donne e bambini. Pagato dalla CIA e fedele alleato degli Stati Uniti, è una punta di diamante usata da anni contro la Repubblica Popolare Cinese.
 
Mikhail Gorbaciov, consegnato nel 1990. Capo dello Stato dell'URSS, gli assegnarono il premio per "la sua leadership nel processo di pace che oggi caratterizza parti importanti della comunità internazionale". Oppure, il che è lo stesso, per contribuire a rafforzare la controrivoluzione nel campo socialista e sprofondare nella povertà e nella disperazione milioni di persone, dando il via libera all'imperialismo più guerrafondaio.
 
Shirin Ebadi, consegnato nel 2003, premiato per la sua dissidenza politica in Iran. Perfino settori conservatori criticarono il premio per essere "politicizzato". Attualmente in esilio, si dedica a fare conferenze e colloqui nei paesi imperialisti chiedendo il boicottaggio del suo paese.
 
Al Gore, consegnato nel 2007, premiato per i suoi "sforzi per costruire e diffondere una maggiore conoscenza sui cambiamenti climatici provocati dall'uomo e per porre le basi delle misure necessarie a contrastare tali cambiamenti". L'ex vice presidente degli Stati Uniti, ha incassato 100.000 € per conferenza (assicurandosi in sette anni circa 70 milioni di euro), mentre non realizza alcuna delle sue "raccomandazioni" in difesa dell'ambiente, visto che la sua famiglia consuma fino a 20 volte in più della famiglia media americana.
 
Barack Obama, premiato nel 2009, in base al pretesto di alcuni cambiamenti nella politica degli Stati Uniti e per aver dato "speranza" al suo popolo. Non c'è bisogno di ricordare il suo coinvolgimento nella continuità della politica imperialista e guerrafondaia (Libia, Siria, Yemen, Pakistan, Iraq, Afghanistan...), senza mantenere in questo senso le numerose promesse elettorali.
 
Liu Xiaobo, premiato nel 2010 per difendere i "diritti umani" in Cina, o il che è lo stesso, per essere un dissidente controrivoluzionario. Un'altra "punta di diamante" dell'imperialismo contro il paese asiatico.
 
Un carattere completamente diverso aveva il Premio Lenin per la Pace tra i Popoli, esistente per mezzo secolo (1950-1990). Creato nel 1949 dal Presidium con il nome di "Premio Stalin per la Pace tra i Popoli" e cambiato in "Premio Lenin per la Pace tra i Popoli", dopo il processo revisionista guidato da N. Krusciov.
 
Molotov rilevò il suo obiettivo: "Era necessario un premio di grande importanza politica, non solo per il nostro paese ma per il mondo intero. Qualcosa che riflettesse i pensieri più profondi e le aspirazioni delle masse del momento".
 
Il decreto che disciplinava il premio, indicava a chi doveva essere assegnato: "I premi saranno dati ai cittadini di qualsiasi paese del mondo, indipendentemente dalle loro differenze politiche, religiose e razziali, per gli altissimi meriti nella lotta contro gli istigatori della guerra e la difesa della pace".
 
Così troviamo tra i vincitori personaggi illustri come Pablo Picasso (1962), Pablo Neruda (1953), Bertolt Brecht (1954), Nicolás Guillén (1954), Sukarno (1960), Fidel Castro (1961), Ahmed Ben Bella (1964), Rafael Alberti (1965), Ernst Busch (1972), Salvador Allende (1973), Luis Corvalan (1975), Wilma Espin (1979), Angela Davis (1979), Mikis Theodorakis (1983), o Nelson Mandela (1990) .
 
In totale, più di 150 personalità di tutto il mondo, tra cui presidenti, poeti, scrittori, scienziati, professori, militanti e attivisti sociali, medici, sacerdoti... tutti in un modo o nell'altro promossero la pace e la stabilità mondiale.
 
In un futuro non troppo lontano potremo godere ancora di un premio per la Pace assegnato effettivamente a personalità che lo meritano, e non a organizzazioni imperialiste o personaggi con le mani sporche di sangue innocente. Fino ad allora dovremo assistere all'assurdità dei Nobel...






Mostra fotografica “Il lungo silenzio” sui criminali di guerra fascisti


Sabato 20 ottobre 2012 alle ore 17.00 presso la barchessa di Villa Giustinian Morosini “XXV aprile” verrà inaugurata la mostra promossa dall’Anpi provinciale di Venezia, dall’Anpi di Mirano e dal Comune di Mirano dal titolo “Il lungo silenzio” documenti e testimonianze sui crimini di guerra fascisti.
La mostra resterà aperta fino al 4 novembre.
Orari: sabato e domenica 10-12.30/14.30-17.30. Dal lunedì al venerdì 14.30-17.30.


La mostra è composta di 36 pannelli, 18 fanno parte della sezione curata da Davide Conti e sono il frutto delle ricerche d’archivio che ha effettuato per la pubblicazione del volume “Criminali di guerra italiani. Accuse, processi, impunitàgli altri 18 sono curati da Paolo Consolaro (con la collaborazione di Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi e Sandi Volk) e fanno parte della esposizione intitolata “Testa per dente – crimini fascisti in Jugoslavia. Vengono presentati foto e documenti d’archivio che ripercorrono le fasi dell’occupazione italiana dei Balcani (Jugoslavia, Grecia e Albania) durante la seconda guerra mondiale e dei crimini di guerra commessi dalle truppe del regio esercito nei confronti delle popolazioni civili locali e dei membri delle formazioni partigiane.
Attraverso documenti in gran parte provenienti dall’archivio del Ministero degli Esteri, viene presentata la ricostruzione delle relazioni internazionali e degli equilibri geopolitici che permisero al governo italiano post-fascista di Badoglio e poi a quelli della Repubblica democratica di evitare la consegna a tribunali internazionali o l’estradizione nei paesi ex-occupati di migliaia di militari italiani iscritti nelle liste dei presunti criminali di guerra consegnate alle Nazioni Unite dalla Jugoslavia, dalla Grecia, dall’Albania, dall’Urss, dalla Francia e dagli anglo-americani.
Il lavoro si concentra sulle trattative, gli accordi, le tensioni nazionali e internazionali relative alla questione dei presunti criminali di guerra, cercando di evidenziare come e perché fu possibile assicurare l’impunità a centinaia di militari del regio esercito e di camicie nere dando luogo alla cosiddetta “mancata Norimberga” ed al mito autoassolutorio degli “italiani brava gente”. È bene precisare che nella mostra non c’è nulla che possa essere paragonato a una “fiction”: l’impatto emotivo di alcuni contenuti è legato esclusivamente alla loro funzione documentaria. Le immagini e alcuni testi («in corsivo») sono tratti da pubblicazioni e documenti originali dell’epoca. Senza pretendere una completezza e una profondità di analisi impossibili da ottenere con un tale mezzo divulgativo, la cura nella ricerca e nella scelta del materiale è tale da non temere critiche fondate sul piano storico e metodologico.
Per verifiche, consultazioni e approfondimenti sono disponibili l’elenco puntuale delle fonti e un’ampia bibliografia.

Alla inaugurazione della mostra parteciperanno ed interverranno Renata Cibin (Presidente del Consiglio Comunale di Mirano), Marcello Basso (Comitato Nazionale Anpi) e Davide Conti (storico e curatore della mostra).

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