Informazione

(english / italiano)

Moldavia e Romania

1) La nazista “Guardia di Ferro” torna in Moldavia
2) Moldavia: proibito ai comunisti l'utilizzo del simbolo con la falce e il martello
3) Il voluto disastro dell'industria petrolifera rumena
4) FLASHBACK: 2011, Romanian President Basescu "Would Have Joined Hitler's Invasion Of Russia"; Moldavian Communist Voronin is the only one to condemn the statements


ALTRI LINK:

La NATO si appresterebbe ad aprire una base militare in Moldavia. Una nuova provocazione contro la Russia? 
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/7808-la-nato-si-appresterebbe-ad-aprire-una-base-militare-in-moldavia-una-nuova-provocazione-contro-la-russia.html

2011: Manifestazioni contro il nuovo governo liberista e filo-occidentale della Moldavia
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/557-grande-manifestazione-contro-il-governo-liberista-e-filo-occidentale-della-moldavia.html



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La “Guardia di Ferro” torna in Moldavia

20 Dicembre 2012
a cura della redazione

Il 17 dicembre scorso, Vitali Kolun, sindaco della città di Orhei, in Moldavia, ha autorizzato un monumento che prenderà la forma della croce (triplice croce o “griglia”) simbolo della “Guardia di Ferro”, l'organizzazione dei legionari fascisti romeni negli anni 1930-1940.

La “Croce di Ferro” si rese responsabile non solo di assassini politici dei combattenti antifascisti, ma anche dell'organizzazione dei pogrom degli Ebrei che risiedevano in Bessarabia. L'antisemitismo del suo fondatore Codreanu fu particolarmente violento.

L'insegna della “Guardia di Ferro” è stata adottata ora dall'organizzazione “Nuova Destra” (Noua Dreapta), che si pone come obiettivo (in assoluta corrispondenza con i piani della NATO) l'unificazione della Moldavia alla Romania. La “Nuova Destra”, come altre organizzazioni neofasciste europee, utilizza come simbolo anche la croce celtica.

Questo avvenimento, inquietante segnale della deriva reazionaria e fascista delle pulsioni nazionaliste (e filo-imperialiste) presenti in alcune repubbliche dell'ex URSS, si registra non casualmente nello stesso momento in cui il parlamento moldavo vota per l'interdizione dei simboli comunisti.

Sui rigurgiti fascisti in Moldavia:

http://fr.wikipedia.org/wiki/Noua_Dreaptă

http://www.lenta.ru/news/2012/12/18/cross/


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Moldavia: proibito ai comunisti l'utilizzo del simbolo con la falce e il martello

12 Novembre 2012
a cura della redazione

La Corte di Appello di Kishinev ha respinto il ricorso presentato dal Partito Comunista della Repubblica di Moldova contro la decisione della Commissione Elettorale Centrale di vietare ai suoi candidati l'utilizzo della “falce e martello” nelle consultazioni elettorali, in conseguenza di una legge liberticida votata dalla maggioranza di destra al governo del paese. Ricordiamo che il Partito Comunista è considerato dagli analisti come il probabile vincitore delle prossime elezioni.

Secondo il legale del partito, Sergiu Sirbu, la decisione, dettata esclusivamente da considerazioni politiche, rappresenta una grave violazione del diritto internazionale.

“In pratica – ha dichiarato il giurista, sono stati ignorati tutti gli argomenti relativi all'adozione delle norme internazionali a riguardo e sono state applicate, in modo restrittivo solo disposizioni di legge interne e non la Convenzione Europea. Noi definiamo questa decisione del tutto politica, dal momento che non è stato presentato un solo argomento in grado di contrastare la nostra richiesta”.

Naturalmente l'ennesima misura restrittiva dell'iniziativa politica di un partito comunista in un paese europeo non ha provocato, come era del resto prevedibile, alcuna reazione da parte di quei “difensori dei diritti dell'uomo”, così solerti quando si tratta di indignarsi (per vere o presunte violazioni) nei paesi sgraditi ai “grandi” del nostro continente.

La decisione delle autorità moldave ha però suscitato l'energica protesta di alcuni partiti comunisti europei, tra cui AKEL di Cipro (http://grenada.md/post/kiprioty_dlea_moldovyy), che ha anche denunciato le sanzioni prese nei confronti del leader della gioventù comunista moldava, “reo” di avere contravvenuto alla disposizione.

Fonte http://www.pcrm.md/main/index.php?action=news&;id=7889


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www.resistenze.org - popoli resistenti - romania - 07-10-12 - n. 424

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
L'industria petrolifera rumena: dal secolo XIX all'autosufficienza energetica socialista, per terminare con la catastrofe capitalista attuale
 
di Jose Luis Forneo
 
27/09/2012
 
Quella peterolifera è una delle più vecchie industrie della Romania e il petrolio è anche stato una delle sue principali risorse naturali dalla scoperta dei primi giacimenti nella prima metà del XIX secolo. È stato il primo paese del mondo dove si è estratto petrolio e la sua abbondanza ha avuto come conseguenza che molte delle grandi potenze economiche affondassero loro artigli in quella terra per controllarne la produzione. Il primo pozzo petrolifero della Romania risale al 1840, nella provincia di Bacau, nell'est del paese. A quel tempo l'estrazione era completamente artigianale e la produzione scarsa, ma nel corso della seconda metà del XIX secolo sono entrate in funzione le prime raffinerie industriali.
 
In relazione al petrolio, la Romania è riconosciuta al primo posto a livello internazionale per tre importanti motivi:
 
- E' stato il primo paese del mondo a produrre petrolio registrato nelle statistiche internazionali. "The Science of Petroleum" attestava nel 1938 che la Romania era il primo paese al mondo con una produzione ufficiale di petrolio registrata. Nel 1857 era di 275 tonnellate, seguita nel 1859 dagli Stati Uniti, dall'Italia nel 1860, dal Canada nel 1862 e dalla Russia nel 1863.
 
- In Romania si è costruita la prima raffineria del mondo, nel 1856. Dal 1840 esistevano già piccole distillerie artigianali, come quella di Lucacesti-Bacau, che utilizzavano distillatori simili a quelli utilizzati per l'alcool. Nel 1856 inizia a funzionare una raffineria moderna, la prima al mondo, nella città di Ploeshti.
 
- Infine Bucarest è stata la prima città al mondo illuminata con lampade a petrolio. Il 1° aprile del 1857 mille lampade con il petrolio di Ploeshti, illuminavano la capitale della Romania. Dall'aprile 1858 lo stesso sistema sarà utilizzato a Iasi e nel 1859 sarà esportato nella prima città fuori dalla Romania che avrebbe utilizzato tale sistema, Vienna.
 
Occorre ricordare che in quegli anni la Romania non esisteva ancora come tale e che soltanto nel 1859 avverrà l'unione dei principati di Valacchia e Moldavia, conosciuti come Principati Danubiani, tuttavia senza sovranità propria, perché formalmente ancora dipendenti dall'Impero Ottomano, benché, forse grazie alla loro ricchezza petrolifera, già erano stati disputati tanto dall'impero russo, quanto dall'imperialismo francese. Infatti, i grandi patrocinatori dell'unione dei due principati sono stati i francesi, sempre più influenti nei governi di Bucarest. La scoperta del petrolio in Romania avrebbe potuto trasformare questo paese in una potenza economica dalla fine del secolo XIX, ma gli interessi delle grandi potenze esistenti allora hanno evitato che i rumeni disponessero liberamente della propria ricchezza naturale e delle risorse energetiche della propria terra (cosa che avverrà soltanto dal 1948, quando i rumeni daranno vita alla Repubblica Popolare Rumena che durerà fino al 1989, quando un colpo di stato fascista metterà termine alla Repubblica Socialista della Romania per instaurare un regime capitalista).
 
Agli inizi del XX secolo, Henry Berenger scriveva una nota diplomatica a Clemenceau, datata 12 dicembre 1919, a margine della conferenza franco-britannica di Londra sul futuro dell'Europa orientale e del Medio Oriente dopo la prima guerra mondiale, che diceva così: "Il controllo dei mari grazie al petrolio, il controllo dell'aria grazie ad un combustibile a buon mercato, dei continenti grazie alla benzina, il dominio del mondo grazie al potere finanziario... il popolo che controlla questo prezioso combustibile otterrà migliaia di milioni....".
 
Da ciò si capisce che la ricchezza petrolifera scoperta quando la Romania non era neanche un paese, bensì due principati indipendenti spinti ad unirsi da interessi altrui, a quei tempi principalmente l'Impero Ottomano in decadenza ed i poderosi Imperi Russo e Francese, saranno causa del fatto che i lavoratori rumeni non potranno godere per molto tempo della ricchezza del loro sottosuolo e che sarebbero state altre potenze ad accaparrarsi i benefici con la complicità dell'oligarchia capitalista locale che, come si sa, non mette né bandiera, né patria al di sopra dell'arricchimento economico personale.
 
L'avanzata della produzione di petrolio rumeno è stata rapida, benché dopo la scoperta del pozzo petrolifero Drake negli Stati Uniti, in soli 10 anni (1859-1869) fu superata dai nordamericani, la cui concorrenza provocò il crollo del prezzo in Europa colpendo l'industria rumena emergente. Fino alla seconda guerra mondiale, le raffinerie rumene si sono concentrate soprattutto intorno a Ploeshti, trasformatasi in un importante centro petrolifero, con un'importanza strategica enorme. Per questa ragione, è stato grande l'interesse delle potenze dell'Intesa nell'attirare la Romania neutrale nella guerra contro le Potenze centrali nella prima guerra mondiale. La partecipazione della Romania alla guerra si rivelò un disastro economico per il giovane paese che, benché compensato dopo la fine della contesa attraverso concessioni territoriali come Transilvania, Banat e Basarabia, ha visto diminuire brutalmente la sua industria petrolifera. Occorre ricordare che dopo l'entrata della Romania nella prima guerra mondiale, Germania e Bulgaria hanno praticamente invaso tutto il paese, obbligando il re ed il governo a rifugiarsi a Iasi. Questi, per evitare che le Potenze centrali beneficiassero delle ricchezze petrolifere della zona di Ploeshti, decisero di distruggere gran parte degli impianti dell'ex Valacchia. Nelle province di Prahova, Dambovita e Buzau sono state distrutti più di 2.500 fra pozzi e sonde. Sono state fatti saltare dei serbatoi con una capacità totale di 150.000 m3 e distrutte più di 70 raffinerie. Sono state anche incendiate 830.000 tonnellate di prodotti petroliferi, per la gioia soprattutto degli Stati Uniti (stranamente, un alleato della Romania - nel senso che gli USA hanno da sempre chiaro il concetto d'alleato, cioè, uno strumento al loro servizio).
 
Dopo avere preso il controllo della maggior parte della Romania, la Germania ha riaperto alcuni importanti centri petroliferi e nel 1917 le raffinerie Steaua Romana, Standard e Vega erano nuovamente in attività. Nel novembre 1918, dopo la sconfitta delle Potenze centrali, i giacimenti furono nuovamente sotto il controllo della Romania o piuttosto dei suoi "alleati". Dopo il 1924 la Romania si è posizionata nuovamente tra i grandi produttori di petrolio, con gli USA, il Venezuela, l'URSS, il Messico e le Antille Olandesi. In Romania esistevano allora 60 raffinerie, la maggioranza piccole, 52 delle quali disponevano di una capacità annuale massima di 4000 tonnellate ciascuna. La maggioranza di esse, tuttavia, apparteneva già a società straniere: Vega, Astra Romana, Romano-Americana o Colombia.. Precedentemente alla seconda guerra mondiale l'industria petrolifera rumena era in chiara decadenza, perché la sua oligarchia locale non aveva nessun interesse nell'ammodernamento della produzione ed apriva semplicemente le tasche alle briciole che lasciavano le società straniere che sfruttavano l'industria. Benché le relazioni raccomandassero al governo un ammodernamento efficace delle raffinerie e dello sfruttamento, nulla è stato fatto.
 
Tuttavia, i siti petroliferi di Ploeshti erano ancora i più grandi d'Europa e la seconda guerra mondiale ha ricordato nuovamente alla Romania l'importanza del petrolio nella lotta per l'egemonia mondiale. In questa occasione, la Romania non ha avuto alternative ed Hitler, dopo avere restituito una parte di Transilvania agli ungheresi senza che la Romania muovesse un dito per difendere i suoi compatrioti, si impadronì del controllo del governo rumeno, attraverso il suo fantoccio, il maresciallo Antonescu, e poi del petrolio di Ploeshti. Ploeisti si convertì, cosa che dimostra l'importanza del controllo della Romania per Hitler, in una vera fortezza militare, con più di 40 batterie antiaeree nascoste nei dintorni, ciascuna dotata di 88 cannoni, centinaia di mitra, quattro squadriglie di "Messerschmidt" per un totale di 52 apparecchi, più 60 apparecchi di altro tipo disposti negli aerodromi dei dintorni, anche quelli di Bucarest. Tuttavia e nonostante la protezione, gli alleati hanno sferrato diversi attacchi contro i presidi di petrolio di Ploeshti, uno dei più devastanti fu quello del 1° agosto 1943, quando 178 bombardieri partirono da Bengasi (Libia), distruggendo quasi il 50% delle raffinerie. Nonostante la grande distruzione, soltanto 88 bombardieri poterono tornare alla base e i rimanenti distrutti. Dopo l'arrivo delle truppe sovietiche alla frontiera rumena ed il cambiamento diretto dal re Mihai, sostenuto dal Partito Comunista Rumeno, il 23 agosto 1944, la situazione è completamente cambiata e l'inizio della costruzione di un sistema socialista da parte del popolo rumeno ha fatto si che, per la prima volta nella storia, il petrolio rumeno fosse nelle mani dei lavoratori stessi del paese ed al servizio del loro progresso economico e sociale. Nel 1948 tutte le raffinerie furono nazionalizzate, avviando un processo di centralizzazione che ha dato luogo a grandi piattaforme industriali.
 
Fino al 1953 si è vissuto un periodo di ricostruzione, dopo i danni sofferti con la seconda guerra mondiale e fino al 1956 una parte della produzione petrolifera fu re-indirizzata verso l'Unione Sovietica, come una parte concordata delle compensazioni di guerra, tramite la società rumeno-sovietica SovRom. Ma dopo i primi anni, i lavoratori rumeni riescono ad aumentare vertiginosamente la produzione e moltiplicare il numero di raffinerie, raggiungendo una produzione totale di più di 34 milioni di tonnellate all'anno, molto al di sopra delle necessità interne del paese. Lo sviluppo dell'industria petrolifera della Romania Socialista è stato enorme, come quello del resto dell'industria produttiva e dell'agricoltura meccanizzata e nel 1989, al momento del colpo di stato fascista che imporrà ai rumeni un selvaggio sistema di sfruttamento capitalista, i lavoratori rumeni disponevano di dieci grandi complessi petroliferi, ciascuno con la propria raffineria, di cui cinque concentravano l'85% della produzione nazionale: Petrobrazi Ploiesti, Arpechim Pitesti, Petrotel Ploiesti, Petromidia y RAFO Onesti. Il resto della produzione, il 15%, era a carico di Astra Ploiesti, Vega Ploiesti, Steaua Romana Campina, Rafinaria Darmanesti e Petrolsub Surplacu di Barcau. Occorre sottolineare che in quel momento la Romania si era trasformata in un paese energicamente autosufficiente, che oltre a soddisfare la propria produzione di petrolio e gas, esportava in decine di paesi del mondo.
 
Il disastro provocato nell'economia rumena dall'instaurazione del sistema neo-liberale ha anche causato la distruzione della rete di raffinerie petrolifere e, in generale, dell'industria estrattiva. Cosicché attualmente la maggioranza di quelle raffinerie sono state privatizzate per dopo chiudersi (nel tipico processo sofferto da tutta l'industria rumena di distruzione di tutto il tessuto produttivo per trasformare il paese in una colonia dipendente da risorse e merci delle potenze economiche capitaliste). Il risultato è che la produzione di petrolio e gas rumeno attuale non soddisfa neanche le necessità interne, questo perché la Romania deve comperare combustibili da altri paesi. Curiosamente ed al contrario di ciò che normalmente dicono gli anti-comunisti, i quali insistono sul mito che durante gli anni del socialismo la Romania era sottomessa all'Unione Sovietica, è sotto la tirannia capitalista che i rumeni si trovano a dipendere dall'acquisto di gas russo, che devono comperare abbastanza caro. In sintesi, di queste 10 grandi raffinerie petrolifere che garantivano l'indipendenza energetica nel 1989, soltanto 4 restano in funzione: Vega Ploiesti, Petromidia, Petrobasi e Petrote, tutte in mani di grandi imprese private.
 
Si tratta, dunque, delle stesse conseguenze causate dalla distruzione metodica di tutta la ricchezza che avevano costruito i lavoratori rumeni durante quattro decenni di socialismo e che hanno causato l'emigrazione massiccia di più di tre milioni di Rumeni, dopo aver distrutto quattro milioni di posti di lavoro e che ha insegnato ai lavoratori della Romania il significato del concetto di "disoccupazione", a loro sconosciuto fino al dicembre 1989. Come è successo con il resto dei risultati economici e sociali del popolo rumeno, l'industria del petrolio, che dopo il 1948 per la prima volta è passata nelle mani degli stessi lavoratori, dopo la nascita della Repubblica Popolare Rumena, e che con le loro mani l'hanno trasformata in una di quelle più produttive al mondo, è stata convertita, come il paese, in una grande rovina che, ciò nonostante, continua a lasciar trasparire lo splendore di un passato ancora non troppo distante.


=== 4: FLASHBACK ===

Source: Stop NATO e-mail list 
Home page with archives and search engine:
http://groups.yahoo.com/group/stopnato/messages
Website and articles:
http://rickrozoff.wordpress.com

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http://www.nineoclock.ro/voronin-urges-eu-to-publicly-denounce-basescu%e2%80%99s-wwii-statements/

Nine O'Clock News (Romania) - July 7, 2011

Voronin urges EU to publicly denounce Basescu’s WWII statements

The head of the Republic of Moldova’s Communist Party, former President Vladimir Voronin, yesterday criticised President Traian Basescu’s recent comments about the Second World War and demanded that the EU publicly denounce the Romanian head of state for his words, Pro TV Chisinau reported. 
In a TV show on June 22, President Basescu said he would have done the same as Marshal Ion Antonescu did during the war, when joining Germany in invading the Soviet Union. “We had an ally and we had a territory to recover (e.n. Moldova). If I had faced the same conditions I would have done it,” Basescu argued.
“The president of a EU member state labelled as correct the actions of a war criminal and Nazi executioner, Antonescu, by whose actions more than 300,000 people were exterminated,” Voronin said yesterday. 
Basescu’s comments were fiercely criticised by the opposition and large parts of the public, but also by Russia, which said the head of state was practically trying to justify his country’s decision to join the war against the Soviet Union on Hitler’s side. Moreover, it was reported that Russian President Dmitry Medvedev also had some very tough comments on Basescu during the NATO-Russia council earlier this week. Asked to comment on the reports, NATO chief Anders Fogh Rasmussen refused.
“President Medvedev talks about this matter in a confidential diplomatic framework and in the terms appropriate for this framework. The Romanian envoy to NATO replied in the same framework and the same terms,” he said. NATO envoy Sorin Ducaru too refused to make any comments.

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http://www.itar-tass.com/en/c154/181545_print.html

Itar-Tass - July 8, 2011

Moldova’s former Pres urges EU to condemn Romanian Pres statement. 

CHISINAU: Moldova’s former President Vladimir Voronin on Thursday expressed surprise over the absence of reaction on the part of the European Union to the remarks made by Romanian President Trajan Basescu regarding Hitler’s aggression against the USSR in 1941. 
Basescu said earlier this week he would have sent Romanian soldiers to take part in the occupation of the USSR along with Hitler’s forces in 1941. 
Romanian dictator Ion Antonescu did send Romanian troops to war against the Soviet Union in June 1941. 
‘We’re indignant over Basescu’s statement,” Vladimir Voronin said Thursday as he met in Chisinau with European Council President Herman van Rompuy. “In actual fact, Basescu, who is president of an EU member-state, justified the war criminal and butcher Antonescu, whose immediate involvement - in the punitive operations - took away the lives of more than 300,000.” 
“Now Basescu says that if he had been in Antonescu’s position seventy years ago, he, too, would have ordered the troops to cross the river Prut,” Voronin said. 
“We expect condemnation of these statements,” Voronin said. 




Il seguente resoconto del viaggio di solidarietà di Non Bombe ma solo Caramelle - Onlus a Kragujevac si può scaricare nella versione completa (formato Word, corredata di fotografie) al link: https://www.cnj.it/AMICIZIA/Relaz1012.doc 
Anche le precedenti relazioni di Zastava Trieste / Non Bombe ma solo Caramelle - Onlus si possono scaricare alla nuova URL: https://www.cnj.it/NBMSC.htm
Gallerie fotografiche ed ulteriori informazioni sono riportate alla pagina facebook:
http://www.facebook.com/nonbombemasolocaramelle

Per approfondimenti sulla questione FIAT-FAS si vedano:

il report del Sindacato Unitario (JSO) della Zastava datato 22/11/2012, che accenna alle lotte contro i turni di lavoro di 11 ore al giorno:

la rassegna stampa basata sui nostri post recenti sullo stesso argomento:

nonché tutto il nostro archivio della documentazione rilevante sulle questioni economiche e sindacali:


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Da: Gilberto Vlaic <gilberto.vlaic @ elettra.trieste.it>

Oggetto: Relazione su viaggio a Kragujevac e 5 per mille

Data: 01 dicembre 2012


Trieste, 1 dicembre 2012

Care amiche e cari amici solidali, vi inviamo la relazione del viaggio compiuto a Kragujevac a ottobre scorso per la consegna degli affidi e lo sviluppo dei nostri progetti.

Come vedrete la seconda parte della relazione, quella che descrive la situzione economica, e piu’ corta del solito perche’ non abbiamo avuto molti dati nuovi rispetto alla relazione precedente, che vi avevamo inviato a settembre.

Il prossimo viaggio a Kragujevac si svolgera’ nel periodo 28-31 marzo 2013.

(...) Vi informiamo che abbiamo appena inserito nuove gallerie fotografiche e nuove relazioni nella nostra pagina facebook
http://www.facebook.com/nonbombemasolocaramelle

Un cordiale saluto a tutte/i
Per la ONLUS Non bombe ma solo caramelle
Gilberto Vlaic


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ONLUS Non Bombe ma Solo Caramelle - Trieste

DI RITORNO DA KRAGUJEVAC

Viaggio del 18 – 22 ottobre 2012


Introduzione


Vi inviamo la relazione del viaggio svolto circa un mese e fa a Kragujevac per la consegna delle adozioni a distanza che fanno capo alla ONLUS Non Bombe ma solo Caramelle e al Coordinamento Nazionale RSU CGIL.

Questi viaggi servono anche a verificare lo stato dei numerosi progetti che sono stati portati a termine e per la messa in cantiere di nuovi progetti.

Come sempre in questa relazione saranno presenti alcune fotografie per illustrare questi progetti; ne troverete molte di piu’ per ogni singolo progetto sulla nostra pagina facebook

http://www.facebook.com/nonbombemasolocaramelle


Tutte le nostre informazioni vengono pubblicate regolarmente sui due siti che seguono; altri siti di tanto in tanto riportano le relazioni dei nostri viaggi oppure le schede informative che periodicamente inviamo.

Sul sito del coordinamento RSU trovate tutte le notizie sulle nostre iniziative a partire dal 1999 alla pagina, facendola scorrere verso il basso:

http://www.coordinamentorsu.it/guerra.htm


I nostri resoconti sono presenti anche sul sito del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, al nuovo indirizzo:

https://www.cnj.it/NBMSC.htm


Cronaca del viaggio; i progetti in corso


Giovedi’ 18 ottobre 2012; il viaggio e l’arrivo al Sindacato


La partenza e lo svolgimento del nostro viaggio sono ben piu’ complessi del solito; all’abituale pullmino prestato dalla ASIT di Trieste (su cui alla fine viaggeranno sei persone, e sette al ritorno) si affiancano due auto per un totale di undici persone.

Ci sono poi il pullmino della Misericordia della Bassa Friulana di San Giorgio di Nogaro, che sara’ donato alla associazione malati di distrofia, ed un ulteriore mezzo della Misericordia che sara’ usato per il ritorno dai quatto volontari di questa associazione.

Ed e’ il furgone da donare che determinera’ inciampi e ritardi continui.

Si comincia all’uscita dall’Italia, con la necessita’ di denunciare in dogana l’esportazione; aspettiamo un’ora e mezzo alla Dogana di Fernetti per avere il relativo documento.

Poi c’e’ la sosta alla frontiera tra la Slovenia e la Croazia, dove il documento di esportazione deve essere timbrato per dimostrare l’uscita dall’Unione Europea.

L’inghippo successivo e’ rappresentato dall’ingresso in Croazia, dove e’ necessario ottenere un certificato di transito per dimostrare il percorso seguito.

L’inizio della sosta in Croazia e’ catastrofico: alcuni doganieri vorrebbero che cambiassimo strada e passassimo dall’Ungheria, in modo da non aver bisogno di questo documento.

Molto fortunosamente otteniamo il certificato, ed il viaggio cosi’ puo’ proseguire fino alla frontiera di ingresso in Serbia, dove un’altra ora e mezza viene persa per ottenere il documento di importazione nel Paese, che ci servira’ poi il giorno successivo per svolgere le formalita’ burocratiche finali per poter fare la donazione di questo mezzo.

Alla frontiera serba decidiamo di separarci: un’auto e i due pullmini della Misericordia aspetteranno il documento, gli altri proseguiranno in modo da arrivare ad un’ora ragionevole (verso le otto di sera, con tre ore di ritardo rispetto al solito) cosi’ da poter preparare le buste degli affidi da consegnare durante l’assemblea del sabato.

Finalmente incontriamo i nostri amici del sindacato nella loro sede. L’atmostera e’ come sempre festosa, come se ci si fosse lasciati il giorno prima, anche se si sente la tensione dovuta alla liquidazione della Zastava Automobili, avvenuta il 5 gennaio 2011, con la conseguente perdita del posto di lavoro per quasi 1600 lavoratori, tra cui tre delle persone (su cinque) che lavorano per il Sindacato e che si occupano dell’ufficio adozioni.

E’ chiaro che senza di loro la nostra campagna di solidarieta’ materiale con i lavoratori di Kragujevac, in piedi ormai da 13 anni, sarebbe destinata a finire molto presto, tra l’altro in una fase come questa, in cui il modesto ma concreto aiuto che periodicamente portiamo diventa ancor piu’ indispensabile.

Vi ricordo a questo proposito che tutte le associazioni italiane che intervengono a Kragujevac (una decina) hanno deciso di creare un apposito fondo, SENZA toccare il denaro destinato agli affidi, che integra almeno in parte il sussidio di disoccupazione per queste tre persone (Rajka, Dragan e Delko) permettendo quindi di continuare l’attivita’ dell’ufficio.

Prepariamo tutte le buste con gli affidi che saranno consegnati durante l’assemblea pubblica di sabato 20 ottobre, organizziamo gli appuntamenti che avremo nei tre giorni successivi ed infine consegnamo le tre buste con i contributi per l’ufficio adozioni, per le quali ci viene rilasciata una regolare ricevuta.


E cosi’ quasi alle dieci di sera ci ritroviamo tutti a cena, molto stanchi ma finalmente senza piu’ problemi e incubi di documenti vari.

Una bella notizia: le previsioni del tempo dicono che avremo tre giorni di tempo spendido, con temperature quasi estive.


[FOTO: Il responsabile dei nostri problemi...]


Venerdi’ 19 ottobre; la verifica dei progetti


Inizia una lunghissima giornata, densa di incontri ma soprattutto di emozioni.

Alle 9 il primo incontro e’ con il direttore della Zastava Veicoli.

Si tratta della parte del gruppo Zastava che non e’ ancora stata privatizzata e che non e’ stata assorbita dalla Fiat.

Ne fanno parte 1880 lavoratori; le realta’ piu’ grandi sono rappresentate dalle seguenti fabbriche:

Zastava Kamioni (775 lavoratori) in coproprieta’ tra governo serbo (70 per cento) e la italiana IVECO (30 per cento).

La parte italiana si disinteressa totalmente di questa realta’, che ha produzioni minime; malgrado una riduzione continua del personale il Governo non riesce a venderla.

La seconda fabbrica e’ Zastava INPRO, con 315 dipendenti di cui 215 invalidi, sia mentali che fisici.

E’ una fabbrica protetta dalla legislazione sul lavoro degli invalidi; la avevamo visitata un anno fa; produce sostanzialmente carrelli rimorchio per auto, ed esporta quasi tutta la produzione.

E’ una fabbrica strana, dove a fianco di macchinario moderno si trovano strumentazioni antidiluviane.

E poi c’e’ il Centro Medico della Zastava con 280 dipendenti, di cui 90 medici; ha un bacino di utenza di 40.000 persone, la strumentazione a disposizione e’ vetusta; anni fa, in una collaborazione con la ONLUS Cooperazione Odontoiatrica Internazionale avevamo fornito quattro poltrone dentistiche e molto materiale sia strumentale che di consumo, rinnovando completamente il reparto stomatologia, che in questa maniera, tra l’altro, si era salvato da chiusura quasi certa.

Attualmente forniamo a questo centro quantita’ significative di medicinali in ognuno dei viaggi che facciamo.

Il Sindacato Pensionati Italiani di Brescia sta iniziando un nuovo progetto in questo centro, allo scopo di ristrutturare completamente il reparto fisioterapia con un investimento di circa 12.000 euro.


Subito dopo, alle 10, ci riceve in Comune la nuova assessora ai Servizi Sociali Sladjana Boskovic, con la quale ci auguriamo di poter collaborare in modo positivo fin da subito.

Conosce bene tutto cio’ che abbiamo fatto in questi anni, e ci tiene a ringraziarci.

L’incontro soprattutto verte sulla sua presentazione del nuovo programma poliennale che il suo assessorato, insieme a quello per la Istruzione, vuole portare avanti per sviluppare processi di inclusione sociale per gli alunni delle scuole di Kragujevac con handicap fisici. Ci presenta con ricchezza di particolari cio’ che desiderano fare per il superamento delle barriere architettoniche, e su questo chiede il nostro aiuto, perche’ non hanno sufficienti risorse economiche. Si tratta di intervenire su 6 scuole, prevalentemente in periferia.

L’intervento economico dovrebbe aggirarsi su 13-14 mila euro; e’ una cifra ingente, ma se troveremo altre associazioni disposte a collaborare dovremmo essere in grado di portare avanti il progetto.

A queste scuole poi si aggiunge l’associazione Centar da Samostalni Zivot (Centro per la Vita Autonoma) che ha 58 soci, di cui 43 in carrozzina, e che nella propria sede non possiede una servizio igienico utilizzabile dagli invalidi.


Alle 11 e 30 FESTA GRANDE! inauguriamo la sede dei Tetraplegici che e’ stata completamete rifatta.

Avevamo visitato per la prima volta questa associazione a luglio scorso; la loro sede era in condizioni disastrose ed era bastata una occhiata per decidere che dovevamo intervenire per fornire a queste sfortunate persone una sede piu’ dignitosa, con servizi igienici adatti ai loro problemi fisici.

SIamo felici di vedere tutto ricostruito; ecco alcune foto che ci mostrano il tipo di intervento eseguito.

[FOTO: Prima... / ...e dopo i lavori / Altre viste / I servizi, prima / e dopo]


Questa sede e’ stata intitolata alla memoria di Vittorio Tranquilli, uno dei fondatori della Associazione ABC, Solidarieta’ e Pace di Roma e che tanto ha dato al popolo serbo in questi lunghi anni.


Oltre noi, hanno contribuito ai lavori la ONLUS Associazione Zastava Brescia per la Solidarieta’ Internazionale e le due associazioni romane ABC e Un ponte per

[FOTO: La targa in memoria di Vittorio Tranquilli]


Questa lunghissima mattinata ha termine alla Scuola Primaria Dragisa Mihajlovic, nel quartiere di Male Pcelice, dove gli alunni vogliono offrirci un piccolo spettacolo, in ringraziamento dei lavori di restauro che abbiamo realizzato nella loro Scuole, dove sono stati rifatti i pavimenti e tutti i servizi igienici.

A luglio, quando avevamo visitato la Scuola dopo i lavori, era tempo di vacanze e cosi’ questa festa e’ stata rimandata ad ottobre.

Moltissimi bambini si esibiscono, tutti con molta buona volonta’, e si va dalla recita delle poesie alle danze acrobatiche per finire, come in ogni festa che si rispetti a Kragujevac, al ballo in costume della Sumadija.


Si ricomincia il pomeriggio, ed e’ di nuovo FESTA GRANDE!

C’e’ la consegna alla associazione Distrofici di Kragujevac del pullmino della Misericordia della Basa Friulana di San Giorgio di Nogaro che avventurosamente e’ riuscito ad arrivare in Serbia.

L’associazione distrofici ha circa 140 membri di cui la meta’ bambini, sono persone quasi tutte disoccupate, molte di loro ormai legate alla carrozzina e hanno bisogno di aiuto anche per le necessita’ piu’ semplici. Spesso sono persone molto povere e ai margini della societa’.

La loro sede e’ un locale di proprieta’ pubblica; ricevono dal Comune un aiuto economico con cui far fronte alle spese per elettricita’, riscaldamento e telefono.


E’ presente sul piazzale davanti alla sede anche un altro pullmino, che era stato donato quattro anni fa, nel 2008, ad un’altra associazione, quella dei malati di Sclerosi Multipla; il suo trasporto in Serbia era stato altrettanto tormentato; quattro anni fa era stato reimmatricolato a Kragujevac e fa un certo effetto ora vedere il logo della Misericordia di San Giorgio sulle sue fiancate (compreso il numero di telefono), e le targhe che sono serbe!

Sono presenti giornali e televisioni e si fanno molte interviste.

I membri della associazione provano e riprovano con grande felicita’ la piattaforma che carica le carrozzine nel pullmino. Un mezzo del genere per loro rappresenta un vero salto qualitativo.

[FOTO: Una prova di carico; a sinistra si intravede il secondo pullmino / I volontari della Misericordia con il pullmino donato]


La festa poi prosegue all’interno della sede, tra discorsi e consegne di regali.

Sul muro esterno, vicino alla porta, e’ stata recentemente apposta una targa a ricordo del fatto che durante l’estate abbiamo rifatto il tetto della sede.

[FOTO: La targa / Lavori (estivi) in corso per la ricostruzione il tetto]


La giornata si conclude alle 17, con la visita alla associazione Invalidi civili di guerra.

Ci riceve il loro presidente, insieme all’impiegata del Comune distaccata in questa sede.

Hanno a disposizione da quaranta anni un locale in pienissimo centro citta’, che non ha mai ricevuto alcuna manutenzione, e si vede...; e’ di proprieta’ pubblica, il comune paga le bollette.

Ci chiedono un pressante aiuto per costruire un servizio igienico (che attualmente manca, anche se ci sono i possibili allacci) e per restaurare pareti, soffitto e porta di ingresso.

Prenderemo una decisione in merito insieme alle altre associazioni in Italia.


Sabato 20 ottobre 2012


E’ la giornata dell’assemblea della consegna degli affidi a distanza.

Prima, pero’ abbiamo un lungo incontro con i delegati sindacali della Fiat Auto Serbia, per fare il punto della situazione di questa fabbrica. Incontriamo Zoran Markovic, attuale segretario sindacale in FAS e Zoran Mihajlovic, che lo ha preceduto in questo incarico e che attualmente ricopre la carica di Vicesegretario generale del Samostalni a Belgrado.

Inseriremo le cose che ci hanno raccontato nella seconda parte, quella economica, di questa relazione.

Centinaia di persone ci stanno pazientemente davanti all’ingresso della grande sala dove si distribuiranno le quote, nella storica palazzione della dierione della Zastava.

Queste persone probabilmente non leggono i giornali serbi e italiani che descrivono Kragujevac perche’ altrimenti non sarebbero qui, ma a festeggiare il magnifico Eldorado in cui l’arrivo della Fiat ha trasformato la loro citta’.

No, per loro, i nostri amici e le loro famiglie, la realta’ e’ un’altra: vivono si’ a Kragujevac, ma nella citta’ reale, dove la disoccupazione e’ quasi al trenta per cento, e se invece hanno la fortuna di lavorare il loro salario non arriva a 300 euro al mese; sono senza lavoro e resteranno per sempre ai margini della sopravvivenza e nessuna vaghissima (e sempre rimandata) promessa di ingresso nella comunità europea riuscirà a tramutare in condizioni di vita dignitose le loro speranze. E tutto questo in un paese europeo che poteva aspirare ad un futuro normale, prima di essere distrutto dai bombardamenti dei civilissimi Paesi aderenti alla NATO. Tra cui, non dimentichiamolo mai, l’Italia.


Durante questa assemblea distribuiamo 161 quote di affido (per la maggior parte quote pari ad un semestre) per un totale di 26680 e euro; malgrado le difficolta’ legate ad alcune rinuncie, alle quali fa fronte la ONLUS con i fondi propri (che pero’ si assottigiano sempre piu’) riusciamo anche questa volta a aprire 3 nuovi affidi da tre nuovi sottoscrittori.

Inoltre consegniamo quattordici quote annuali di 310 euro provenienti dalla Associazione Aiutiamo la Jugoslavia di Bologna e un contributo (200 euro) proveniente da un sottoscrittore della Associazione Most Za Beograd di Bari.

E cosi’ si chiude l’anno 2012, con 14 nuovi affidi aperti a marzo scorso e due aperti a luglio.


Da tutti i nostri amici c’e’ un saluto, un abbraccio, una stretta di mano, regali da portare alle famiglie italiane; molti vogliono raccontarci dei loro problemi e vogliono sapere notizie sulle famiglie italiane donatrici.

Qui termina il nostro viaggio tra i nostri (quasi tutti ex) lavoratori serbi nel cuore dell’Europa civile...



Domenica 21 ottobre


E’ il giorno dell'anniversario della terribile strage nazista di Kragujevac, del 21 ottobre 1941.

Tra il 14 e il 19 ottobre 1941 vi furono nei dintorni della citta’ durissimi scontri tra soldati tedeschi e partigiani, durante i quali vi furono dieci morti e ventisei feriti tra le truppe occupanti.

Le agghiaccianti regole di rappresaglia imponevano il rapporto di 100 fucilati per ogni tedesco morto e 50 per ogni ferito. In realta’ tra il 19 e il 21 ottobre furono fucilate 7300 persone, quasi tutti maschi, rastrellati in tutta la citta’ e nei villaggi contadini circostanti; trovarono la morte anche gli studenti e i professori del Ginnasio, prelevati direttamente dalle aule. E furono poi uccisi anche i piccoli rom della citta’ che facevano tradizionalmente i lustrascarpe, perche’ rifiutarono di pulire gli stivali dei fucilatori.

I fucilati vennero gettati in trentatre fosse comuni, disseminate in 380 ettari di terra che oggi costituiscono il Parco della Rimembranza. Nel territorio del Parco sono stati eretti molti monumenti, il piu’ imponente dei quali ricorda gli studenti del Ginnasio ed e’ chiamato le Ali Spezzate, ed e’ il simbolo della citta’.

Ogni anno da piu’ di 60 anni nell’anniversario della strage si tiene una imponente commemorazione, che viene chiamata ‘’La grande lezione di Storia’’ a cui prendono parte decine di migliaia di persone.

Quest’anno la cerimonia si svolge durante una giornata di sole quasi estivo. Prima vi e’ una cerimonia religiosa, con molti canti liturgici pieni di fascino, ed una lunga deposizione di corone e fiori provenienti da mezzo mondo. Fa particolare impressione vedere una corona con i colori nazionali tedeschi.

Di seguito si svolge nel prato antistante al monumento delle Ali Spezzate una rapppresentazione teatrale, recitata da un gruppo di attori del teatro di Kragujevac, molto interessante ed emotivamente molto coinvolgente; anche senza capire le parole si possono intuire i significati e le forti tensioni delle singole scene.

[FOTO: Il monumento delle Ali Spezzate]


Il giorno dopo rientriamo in Italia, e inizieremo a preparare il prossimo viaggio con la stessa determinazione e convinzione con cui abbiamo preparato tutti i precedenti.

Grazie a tutte/i voi per il sostegno che date a questa campagna solidale!



ALCUNI INDICI ECONOMICI GENERALI SULLA SERBIA


I dati contenuti in questa relazione sono stati ricavati per la maggior parte dai bollettini periodici dell’Ufficio Centrale di Statistica; qualora la fonte sia diversa viene esplicitamente indicata.

Non ci sono molte novita’ rispetto alla relazione del viaggio di luglio 2012, ed un lettore attento notera’ che per alcuni capitoli si tratta di una riproposizione di cio’ che e’ stato scritto a luglio, non avendo trovato nuovi dati.


Cambio dinaro/euro (fonte: comunicati periodici della Banca Nazionale)

La Serbia e’ un Paese con un fortissimo deficit commerciale (come vedremo tra poco) e piu’ della meta’ del commercio con l’estero si svolge con la Unione Europea, Italia e Germania in primis.

Il cambio del dinaro con l’euro ha quindi una immediata e fortissima influenza sui prezzi delle merci e sulle (scarsissime) capacita’ di acquisto delle famiglie.

Ripercorriamo la variazione del cambio negli ultimi tre anni.

Al 22 ottobre 2009 era di 93.2 dinari per euro.

Un anno dopo, il 4 novembre 2010 il cambio era arrivato a a 107.5 dinari per euro.

Dopo questa data c’era stato per circa sei mesi un rafforzamento progressivo del dinaro che era giunto al valore di 96.5 dinari per un euro il 22 maggio 2011 per poi iniziare nuovamente a calare.

Questo rafforzamento momentaneo e’ stato dovuto esclusivamente a ragioni politiche interne; ha avuto vantaggi solo per chi ha aperto mutui in euro, ma ha penalizzato fortemente le gia’ scarse esportazioni, mentre i prezzi dei beni di prima necessita’ e le tariffe hanno continuato ad aumentare.

Fino alla fine del 2011 il cambio e’ poi oscillato intorno a 100-102 dinari per un euro.

Poi per tutto il 2012 la moneta ha subito un indebolimento continuo, dai 103 dinari per un euro a gennaio fino ai 119 dinari per un euro a fine agosto, malgrado la Banca Nazionale abbia speso almeno 1500 milioni di euro per sostenere il dinaro, per attestarsi a circa 113 dinari per un euro a ottobre-novembre.


Prodotto interno lordo (PIL) e indice della produzione industriale

Il PIL nel primo trimestre del 2012 e’ diminuito del 1.3 % rispetto allo stesso periodo del 2011; nel secondo trimestre il calo e’ stato dello 0.6 % rispetto allo stesso periodo del 2011.

L’indice della produzione industriale nel periodo gennaio-settembre 2012 e’ diminuito del 3.8% rispetto a quello dello stesso periodo del 2011, mentre se si confronta settembre 2012 con settembre 2011 il calo e’ stato di 1.6%, con un caduta del 5.9% nel settore manifatturiero.


Commercio con l’estero.

Anche nel 2011 la Serbia ha avuto un un deficit commerciale altissimo,

Ecco il consuntivo dell’anno: le esportazioni sono state pari a 8441.4 milioni di euro, con un aumento del 14.2% rispetto al 2010; le importazioni invece sono state pari a 14250.0 milioni di euro, con un aumento del 12.9% rispetto al 2010.

Il deficit della bilancia commerciale e’ stato dunque di 5808.6 milioni di euro, in crescita dell’11.1% in confronto al 2010.

Il rapporto tra esportazioni ed importazioni lo scorso anno e’ stato del 57.4%.

Per quanto riguarda il 2012, tra gennaio e settembre le esportazioni sono state pari a EUR 6399.3 milioni di euro con un incremento del 1.9%, in confronto allo stesso periodo del 2011, mentre il vavore delle importazioni e’ stato di 10778.5 milioni di euro, con un incremento di 4.5% in confronto allo stesso periodo del 2011,

Il deficit e’ stato quindi di 4379.1 milioni di euro, con un aumento di 8.4% rispetto agli stessi mesi del 2011.

Il rapporto tra esportazioni ed importazioni e’ dunque di 59.3% ed e’ piu’ basso di quello rilevato nello stesso periodo del 2011, quando aveva raggiunto il valore di 60.9%.


Prezzi

I prezzi continuano a salire.

Il grafico [ https://www.cnj.it/AMICIZIA/grafico_rel1012.jpg ] riporta la variazione mensile dei prezzi al consumo rispetto allo stesso mese dell’anno precedente posto uguale a 100.

Si nota come dopo un periodo di discesa, da circa l’11 al 3% , l’inflazione ha ripreso a correre arrivando all’8% ad agosto; essa e’ attesa a circa il 10% alla fine dell’anno, circa il doppio di quella programmata.

Per quanto riguarda i bisogni delle famiglie si conferma il dato che per una famiglia di 4 persone, per poter vivere dignitosamente, servirebbero 100.000 dinari al mese (circa 900 euro), cioe’ circa 2.5 volte uno stipendio medio.

Per questo motivo, con le poche risorse a disposizione, devono essere privilegiati i consumi assolutamente essenziali, e cosi’ le spese delle famiglie sono per il 45% destinate alla alimentazione e se si aggiungono le bollette delle utenze domestiche si arriva per queste due voci ad una spesa di circa il 60% del reddito disponibile.


Livelli occupazionali e salari

I livelli occupazionali continuano a scendere.

Gli occupati ad agosto 2012 erano 1.726.000 con una diminuzione di circa 18.000 unita’ rispetto all’agosto dell’anno precedente.

I lavoratori autonomi e loro dipendenti erano 391.000; i lavoratori dell’indusria manifatturiera sono rimasti stabili a 288.000.

I disoccupati sempre ad agosto erano 752.000, con un tasso di disoccupazione superiore al 26%.

Il salario netto medio ad agosto e’ stato di 42122 dinari, corrispondenti a circa 370 euro.

C’e da sottolineare che ci sono tra alcune decine di migliaia di lavoratori che lavorano SENZA percepire un salario.

Le famiglie di operai o peggio di ex operai che sono al centro delle nostre azioni solidarieta’ e della nostra amicizia sono lontani anche da questi redditi medi, come potrete vedere nelle successive informazioni che riguardano direttamente la Zastava, o cio’ che resta di questa grande realta’ industriale.


Informazioni sulla situazione di Fiat Auto Serbia (FAS)


I dipendenti FAS al 20 ottobre 2012 sono 2300, di cui 270 impiegati ed il resto operai.

I lavoratori che provengono dalla vecchia Zastava, sono 720, gli altri sono neo-assunti.

Gli iscritti al Samostalni Sindikat sono attualmente 860.


Stipendi netti mensili (in dinari)

Ricordiamo che negli ultimi mesi 2012 il cambio dinaro/euro e’ oscillato mediamente intorno a 114 dinari per un euro:


Neo-assunti in periodo di prova 30.000

Operai 34.000

Impiegati (compresi capireparto) 40.000


Vi sono poi circa 50 dirigenti che contrattano personalmente lo stipendio con l’azienda. I dati sui loro stipendi sono sconosciuti.


Produzioni in FAS


Linea di montaggio della vecchia Punto

La linea di montaggio della Punto era giunta a Kragujevac alcuni anni fa, ed e’ stata utilizzata per montare il modello Punto 188 con pezzi in arrivo da Mirafiori.

E’ ancora presente, ma e’ del tutto inattiva; ci sono ancora circa 1500 vetture invendute. I lavoratori eddetti a questa linea sono stati tutti spostati sulla linea della 500L.


Linea della 500L

I reparti sono tutti funzionanti; vi sono difficolta’ nel ricevere i pezzi dai fornitori.

Nei circa tre mesi trascorsi dalla nostra ultima relazione la produzione e’ aumentata gradualmente, da alcune vettture al giorno fino a circa 150 per turno, a fronte di una produzione programmata di 240 vetture.

Le auto prodotte vengono spedite al porto di Bar in Montenegro due volte alla settimana via treno (206 vetture per ogni treno) da dove poi partono per Bari ed una volta la settimana verso la Germania.

Le restanti auto vengono esportate via camion.


Orario, pause e straordinari

Ci sono due turni di lavoro, dalle 6 alle 16 e dalle 20 alle 6 del mattino successivo.

Attualmente molti lavoratori restano ancora una o due ore al lavoro in straordinario.

Si lavora quattro giorni alla settimana, dal lunedi’ al giovedi’.Le pause: una prima pausa di 10 minuti, poi mezz’ora per la mensa, una ulteriore di 10 minuti e infine un’ultima di 15 minuti.

Nonostante la precarieta’ della loro situazione i lavoratori FAS si sono mobilitati ed hanno iniziato a protestare contro le durissime condizioni di lavoro a cui sono sottoposti e alla miseria dei salari che percepiscono.

Sembra che al momento la FIAT sia disponibile a concedere aumenti salariali dell’orine del 10-13 per cento, mentre non e’ disponibile a entrare nel merito degli orari di lavoro.


I debiti del Governo con la Fiat

Dopo le recenti elezioni politiche e per la presidenza della Repubblica Il governo della Serbia ha cambiato la sua composizione politica, ma ci sono dei ministri inossidabili e per adatti a tutte le stagioni...

Mladjan Dinkic era Ministro dell’Economia nel passato governo fino alla primavera del 2011, ed e’ stato uno dei piu’ grandi sostenitori del progetto FAS.

Adesso di nuovo e’ Ministro dell’Economia nel nuovo Governo; il 24 agosto scorso ha comunicato che il Governo serbo non sara’ in grado di far fronte ai suoi periodici obblighi contrattuali con la Fiat, che prevedono un versamento di 90 milioni di euro entro il 2012 per il completamento delle infrastrutture stradali cittadine che servono per gli stabilimenti FAS, soprattutto il tronco autostradale da Kragujevac all’autostrada Belgrado-Grecia e della zona industriale di Grosnica, dove sono installati i fornitori della Fiat.

Il MInistro ha affermato che questo ritardo e’ dovuto alle cattive condizioni del bilancio dello Stato ed al fatto che il precedente governo (di cui aveva fatto parte...) aveva messo a bilancio solo una parte di questo denaro.

La Fiat ha accettato la proposta il ritardo dei pagamenti, per circa 50 milioni da versare entro la fine dell’anno e 40 entro il marzo del 2013, ma ammonendo per bocca di Sergio Marchionne (volato subito a Belgrado) il governo serbo che deve mantenere le sue obbligazioni sul progetto di joint venture.


CONCLUSIONI

In Serbia l’occupazione complessiva e’ sempre in discesa, il potere di acquisto dei salari e soprattutto delle pensioni e’ in costante diminuzione, non si vedono speranze per i giovani che sono costretti ad emigrare, soprattutto se dotati di una buona formazione scolastica.

La nostra ONLUS tiene duro, consapevole della responsabilita’ che si e’ assunta insieme alle altre associazioni italiane con cui collaboriamo ed al Sindacato dei lavoratori Zastava.

Riusciamo a mantenere pressoche’ inalterato il numero di affidi in corso, mentre abbiamo ampliato il numero di progetti che vanno incontro a reali bisogni sociali della popolazione di Kragujevac, e che lo stato di poverta’ della citta’ non permette di soddisfare, nel campo della scuola, della sanita’, del disagio fisico e mentale, in tutto cio’ che puo’ regalare una piccola speranza alle nuove generazioni.

Sappiamo bene che le condizioni materiali stanno deteriorandosi sempre

(Message over 64 KB, truncated)


(english / srpskohrvatski / francais. 

Sulle ignobili sentenze di assoluzione recentemente promulgate dal "Tribunale ad hoc" dell'Aia si vedano anche i nostri altri post:


La Haye et le cercueil de la justice internationale

1) La Haye : Les deux derniers clous dans le cercueil de la justice internationale ? (G. Berghezan)
2) Ad Hoc Tribunals Public Debate in the UN Scheduled for April 2013
3) Kusturica: Gotovini da daju Nobela / Kusturica: Gotovina the Next Nobel Peace Prize Laureate?
4) HARADINAJ JE ZLOČINAC – ODMAH RASPUSTITI IMPERIJALISTIČKI HAŠKI SUD (Sekretarijat SKOJ-a)


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La Haye : Les deux derniers clous dans le cercueil de la justice internationale ?

Georges Berghezan


12 décembre 2012

En l’espace de moins de quinze jours, le Tribunal de La Haye, jugeant les crimes commis pendant les guerres d’ex-Yougoslavie, a fait preuve d’une clémence inhabituelle en acquittant cinq prévenus. Point commun : ils étaient tous accusés d’avoir commis des crimes de guerre ou des crimes contre l’humanité à l’encontre de civils serbes.



Le premier verdict, ayant acquitté le 16 novembre les généraux croates Ante Gotovina et Mladen Markač, a résulté d’un procès en appel, les deux accusés ayant été condamnés, en première instance, à – respectivement – 24 et 18 ans de prison. Gotovina, ancien de la légion étrangère, disposant de la nationalité française, avait dirigé l’Opération Tempête. En août 1995, celle-ci avait permis à la Croatie de reprendre le contrôle d’environ un quart de son territoire, la Krajina serbe, où la population avait pris les armes et fait sécession après que la république croate se soit elle-même séparée de la fédération yougoslave. Parfois qualifiée de plus grand nettoyage ethnique en Europe après la Seconde guerre mondiale, cette opération avait provoqué l’exode de quelque 220 000 Serbes et la mort de près de 2 000, en majorité des civils. La plupart des exilés ne sont jamais revenus en Croatie, où la proportion de Serbes est actuellement d’environ d’un quart de ce qu’elle était avant la guerre.
 
 
Plus de « responsabilité de commandement » pour les généraux croates
 
Contrairement à ce qu’il avait jugé en première instance, le Tribunal a estimé que les deux généraux n’étaient pas responsables de ces crimes – dont il n’a pas nié la réalité – car n’étant pas leurs auteurs directs. Cependant, ce Tribunal défendait jusqu’à présent le principe de « responsabilité de commandement », qui a permis la condamnation à de lourdes peines de plusieurs dizaines de dirigeants politiques et militaires serbes, arguant qu’ils étaient automatiquement responsables des crimes commis par leurs subordonnés. Malgré des déclarations sans équivoque des plus hauts responsables politiques croates de l’époque, le Tribunal a aussi estimé que les deux hommes ne participaient pas une « entreprise criminelle commune » visant à nettoyer la Croatie de sa population serbe. Enfin, il a usé d’oiseuses considérations balistiques pour estimer qu’il n’était pas prouvé que les bombardements qui ont détruit plusieurs bourgades serbes visaient particulièrement des objectifs civils, ceci alors que les autorités croates ont toujours refusé de livrer les carnets de tirs d’artillerie de l’Opération Tempête, soi-disant perdus.
 
S’il a suscité la surprise des juristes – car il est rare que des accusés, condamnés à de lourdes peines, soient acquittés en appel –, le verdict a également divisé les juges qui l’ont prononcé, puisque seuls trois d’entre eux s’y sont rallié. Les deux autres l’ont dénoncé en des termes peu habituels, l’Italien Pocar déclarant qu’il « contredit le sens même de la justice », que 1300 pages de preuves ont été ignorées et que ses trois collègues ont commis de « nombreuses erreurs et constructions fausses dans leur prise de décision », tandis que le dernier, le Maltais Agius, considérait que le verdict était basé sur « une approche étroite, artificielle, déficiente, confuse et problématique » menant à des « résultats incorrects ». Si le Procureur du Tribunal, le Belge Brammertz, s’est simplement dit « déçu », son prédécesseur, la médiatique Carla Del Ponte, s’est dite « stupéfaite » et « choquée » par le verdict et affirmé qu’il avait été influencé « par la politique, l’argent ou quelque chose n’ayant rien à voir avec le tribunal ».
 
En Serbie, où l’acquittement des deux généraux a été accueilli avec colère, dégoût ou résignation, plusieurs hommes politiques ont évoqué un jugement « politique » qui viserait à blanchir la Croatie de tout crime de guerre à quelques mois de son entrée dans l’Union européenne. De possibles pressions des Etats-Unis sont moins évoquées et on semble oublier que l’Opération Tempête a été organisée par des officiers américains « à la retraite » employés par une firme de sécurité, privée mais dépendant du Pentagone, la Military Professional Resources Inc (MPRI). Bien entendu, Washington a refusé toute coopération avec le Tribunal durant ce procès, en net contraste avec les tonnes de documents livrés à l’encontre d’accusés du camp d’en face. Ce verdict tombe donc assurément bien pour les Etats-Unis, dont le rôle actif dans les guerres des Balkans continue d’être partiellement occulté. Néanmoins, l’hypothèse d’un achat des trois juges reste la plus vraisemblable, tant leur verdict semble défier toute logique humaine et juridique.
 
 
Liquidation des témoins
 
Le second verdict, prononcé le 29 novembre, a acquitté Ramush Haradinaj, ancien chef de l’Armée de libération du Kosovo (UCK), ainsi que deux de ses acolytes, Idriz Balaj et Lahi Brahimaj, accusés de torture et de meurtre de civils serbes et roms au Kosovo en 1998. Il s’agissait ici d’un nouveau procès, le premier ayant déjà abouti, en 2008, à l’acquittement des deux premiers et à la condamnation à 6 ans de prison du troisième. La nouvelle procédure avait été décidée en raison des nombreuses intimidations subies par des témoins lors du premier procès ; des « intimidations » allant jusqu’à l’assassinat. Selon Vladimir Vukčević, procureur de Serbie pour les crimes de guerre, ce ne sont pas moins de 19 témoins potentiels de l’accusation, tous des Albanais du Kosovo, qui ont été tués ces dernières années. Quant aux témoins survivants, ils ont bien entendu modifié leurs déclarations ou refusé de répondre aux juges lors des audiences. De toute évidence, le Tribunal n’a pas réussi à fournir une protection adéquate aux témoins. L’an passé, un témoin protégé, vivant secrètement en Allemagne, a été retrouvé pendu dans un parc près de son domicile. En outre, le Tribunal a autorisé Haradinaj à revenir périodiquement au Kosovo, où il a pu exercer des activités politiques et – vraisemblablement – mettre au point des méthodes visant à faire taire ses accusateurs.
 
Dans ces conditions, comme le nouveau procès n’a permis que de causer la mort de nouveaux témoins, on n’a guère été surpris que Haradinaj soit à nouveau acquitté. A Belgrade, le porte-parole du gouvernement a déclaré que le tribunal « a légalisé la loi de la mafia au Kosovo, en particulier l’omerta ». Ce gouvernement pourrait bientôt devoir avaler une couleuvre supplémentaire en devant s’asseoir à une même table que Haradinaj, car l’ancien videur de boîte de nuit ambitionne de retrouver rapidement le poste de Premier ministre du Kosovo qu’il occupait au moment de son inculpation et de diriger les pourparlers en cours avec Belgrade. Notons cependant que le nouveau Premier ministre serbe, Ivica Dačić, a déjà rencontré trois fois à Bruxelles son homologue du Kosovo, Hashim Thaçi, accusé – notamment par un rapport du Conseil de l’Europe – d’avoir dirigé une « bande surpuissante d’entrepreneurs criminels » s’étant livrée au meurtre à des fins d’extraction d’organes de prisonniers serbes en 1999-2000.
 
 
Tribunal de la justice sélective et de l’impunité
 
Ainsi, alors que le Tribunal de La Haye est en train de clôturer ses travaux, pratiquement aucun responsable d’ex-Yougoslavie n’aura été condamné pour crimes contre des Serbes[1]. Parmi les 161 inculpés du Tribunal, les trois-quarts sont des Serbes, et encore davantage si l’on compte le nombre de condamnés[2]. Pourtant, plus de 40 000 tués des guerres des Balkans et plus d’un million de déplacés et réfugiés sont des Serbes des diverses république ex-yougoslaves. Toutes ces victimes demeurent non-reconnues par La Haye, qui a officialisé de son sceau les principes de justice sélective et d’impunité.
Tout ceci ne favorisera bien entendu pas les principes de réconciliation que les partisans du Tribunal n’ont cessé de brandir depuis deux décennies pour justifier les milliards de dollars qui y ont été investis. Les frustrations, la culpabilisation des uns et le sentiment d’impunité des autres, laissent la porte ouverte à d’autres crises et déchaînements de violence. En ostracisant à ce point une nation, reconnaissons cependant au Tribunal pour l’ex-Yougoslavie d’être sur la même ligne que son homologue rwandais, qui n’a condamné que des Hutu [3], et que la plus récente Cour pénale internationale, qui n’a – à ce jour – inculpé que des Africains. La mission première de ces institutions ne semble pas être le châtiment des coupables ou la défense des victimes, mais de conforter les visions manichéennes des conflits de l’histoire contemporaine suscitées par les grandes puissances et véhiculées par les médias à leur service. Dans ces conditions, la notion de « justice internationale » se révèle être une bien nocive illusion.
 
Georges Berghezan

N.B. : Une version raccourcie de cet article est publiée simultanément dans Le Drapeau Rouge n° 38 de décembre 2012 (dr@belgi.net).


[1] À l’exception du général Rasim Delić, commandant des forces musulmanes bosniaque pendant la guerre, condamné à 3 ans de prison, mais dont il purgea moins de la moitié à la suite de ses problèmes de santé.
[2] Selon l’actuelle ministre de la Justice de Serbie, 96,8 % des condamnés sont des Serbes. Ce chiffre semble néanmoins faire abstraction de quelques responsables croates de Bosnie condamnés pour des atrocités à l’encontre de Musulmans bosniaques durant la guerre qui a opposé les deux communautés (1992-94).
[3] A l’exception d’un Belge rallié aux extrémistes hutu.


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Public UN Debate About The Hague Tribunal


Nov 20th, 2012 | By De-Construct.net

Ad Hoc Tribunals Public Debate in the UN Scheduled for April 2013

United Nations General Assembly (UNGA) President Vuk Jeremić has called a public debate for April 10, 2013 on the role and performance of international ad hoc criminal tribunals founded by the UN in achieving justice and reconciliation among nations.

Acquittal of Croat War Criminals Blow to the UN Reputation

The debate is a reaction to the decision of the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY) Appeals Chamber to acquit former Croatian generals Ante Gotovina and Mladen Markač. In Jeremić’s opinion, the acquittal struck a blow to the UN’s reputation.

The decision of the Appeals Chamber of the Hague Tribunal related to Operation Storm understandably caused indignation in many parts of the world. It is an undeniable fact that about a quarter of a million Serbs were driven out of their homes in the space of only several days, and that the court, set up to investigate such misdeeds, in effect decided that no one was guilty or responsible. This could lead to a conclusion that no crime in fact took place, which evidently stands in contrast with reality, Jeremić said in the release.

Jeremić believes that a full understanding of the work of the ICTY and its consequences must be accessible to the wide international public, so that history can have the final say, and so that it never happens anywhere again that evil deeds are pardoned and declared a virtue.

He said that considering that the UN was the founder of ad-hoc courts, he had decided to schedule the public debate to discuss their performance and the level to which they fulfill their original purpose.

It is my personal opinion that the decision of the Appeals Chamber of the Hague Tribunal has dealt a blow to the reputation of the United Nations, but I allow for the possibility that as a member of the nation whose expulsion was legalized by this act, I may be somewhat subjective on this issue, said the UNGA president.

UN Debate Open to International Law Experts and Associations

The debate will be open not only to states, but also to the academic community, distinguished individuals and civil associations, Jeremić said.

Jeremić said he was strongly convinced that reconciliation and a fresh start in relations between feuding nations cannot be based on denial and glorification of crime, because that essentially represents an incentive for crimes to be repeated.

This is why I have scheduled a debate entitled ‘The role of the international judiciary in achieving reconciliation’ for April 10, 2013 at the UNGA in New York, concluded Jeremić.

Integral Text of Jeremić’s Release

The decision of the Hague Tribunal’s Appeals Chamber in regards to the Operation Storm caused understandable indignation in many parts of the world. It is an undeniable fact that about a quarter of a million Serbs were driven out of their homes in the space of only several days, and that the court, set up to investigate such crimes, in effect decided that no one was guilty or responsible for this act.

Subsequently, this could lead to a conclusion that in fact no crime took place, which evidently stands in contrast with reality.

I believe that the full insight in the workings of the Hague tribunal and its consequences must be accessible to the wide international public, in order to enable history to reach its final conclusion, and so that it never happens anywhere again that evil deeds are pardoned and declared a virtue.

This is why I have decided to exercise the powers of the President of the UN General Assembly and schedule a public debate about the role of the international ad hoc crime tribunals in attaining justice and reconciliation among the nations. Considering that the UN itself was the founder of ad hoc tribunals, I believe it is appropriate to discuss their performance right here, as well as debate about the degree to which such tribunals have fulfilled their initial purpose.

It is my personal opinion the decision of the Hague Tribunal’s Appeals Chamber has struck a blow to the UN reputation, but being a member of the nation whose expulsion from their homesteads was legalized by this act, I allow the possibility that I may be somewhat subjective on this issue.

For this reason, I will open the UN General Assembly Debate for the wide public and allow not only states, but also the academic community, distinguished individuals and civic associations to take part.

I am strongly convinced true reconciliation and turning a new page in relations between the feuding nations cannot be established upon denial and glorification of crimes, because that essentially represents an incentive for crimes to be repeated. This is why I have scheduled a debate entitled ‘The role of the international judiciary in achieving reconciliation’ for April 10, 2013 at the UNGA in New York.


Links to Related Articles in Serbian Media

Being that the information about the upcoming public UN debate doesn’t seem to deserve attention of the Western mainstream media, here is some of the coverage from the Serbian press (in English), including the early attempts to prevent the debate taking place:

Pocar: Fatal errors of ICTY - http://www.tanjug.rs/news/66648/pocar--fatal-errors-of-icty.htm
UNGA to hold public debate in wake of Hague ruling - http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2012&mm=11&dd=19&nav_id=83229
Jeremić: Pressure will not make me cancel debate - http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2012&mm=11&dd=20&nav_id=83248
Vuk Jeremić schedules debate on Hague Tribunal at UN - http://english.blic.rs/News//9223/Vuk-Jeremic-schedules-debate-on-Hague-Tribunal-at-UN
Hague judge says justice has not been served - http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2012&mm=11&dd=17&nav_id=83206

Malta News, Judge Carmel Agius
Judge hits out at ‘confusing, extremely problematic’ acquittal of Gotovina, Markac - http://www.maltatoday.com.mt/en/newsdetails/news/courtandpolice/Judge-hits-out-at-confusing-extremely-problematic-acquittal-of-Gotovina-Markac-20121117

Related PDF Documents, ICTY

Prosecutor v Ante Gotovina Mladen Markac, integral ICTY Appeals Chamber document - http://de-construct.net/e-zine/e-zine/wp-content/uploads/2012/11/Prosecutor-v-Ante-Gotovina-Mladen-Markac.pdf

Dissenting Opinion of Judge Fausto Pocar - http://de-construct.net/e-zine/e-zine/wp-content/uploads/2012/11/Dissenting-Opinion-of-Judge-Fausto-Pocar.pdf

Dissenting Opinion of Judge Carmel Agius - http://de-construct.net/e-zine/e-zine/wp-content/uploads/2012/11/Dissenting-Opinion-of-Judge-Carmel-Agius.pdf



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Kusturica: Gotovini da daju Nobela


Emir Kusturica | 29. novembar 2012. 20:59 | Komentara: 366
Varaju se oni koji misle da je na priču o generalu Gotovini stavljena tačka. Bojim se da nam se mogu desiti nova iznenađenja

VARAJU se oni koji misle da je na priču o generalu Gotovini stavljena tačka. Bojim se da nam se mogu desiti nova iznenađenja. Najviše zbog humanističkog karaktera međunarodne zajednice. Navikavala nas je na humanističke bombe, anđeoska ratovanja, na kraju, ona i njene organizacije su znale da nagrade čuvare svetskog mira.

Kada je u pitanju Gotovina, u Srbiji su, čak, i nevladine organizacije uzbuđene. Ali ne zbog Srba. Njih brine princip. Meni padaju na um ideje koje, siguran sam, nisu ideje međunarodne zajednice. Ja sam uveren da je tih 200.000 Srba počišćenih sa teritorije multietničke Hrvatske, završni čin delovanja dueta Starčević-Pavelić. Teoretičar i koljač nisu do kraja, u Drugom svetskom ratu, sproveli svoju ideju o uništenju srpskih civila. Starčević je stvorio ideju: trećinu Srba u Hrvatskoj pobiti, trećinu prevesti na katoličku veru i trećinu proterati. Ko se danas bavi trećinama. Ljudi su se okrenuli celinama, a među Hrvatima skoro da nema jedan koji misli da mi i ostatak sveta preterujemo sa brojevima. Engleske enciklopedije kažu da je u Jasenovcu ubijeno preko sedam stotina hiljada civila, uglavnom Srba. Ali, malo koji Hrvat u to veruje. I malo ko od njih može da poveruje da ovo što se desilo u ”Oluji” liči na završni akt delovanje tandema Starčević-Pavelić! Jer, sud je presudio da Gotovina nije kriv. Zašto bi neko razbijao glavu. U razmatranju ove odluke jedan od odlučujućih argumenata da je isterivanje Srba sa teritorije Hrvatske bilo neizbežno i da se time bavila međunarodna zajednica jeste ispovest američkog ambasadora Galbrajta iz vremena ”Oluje”. On kaže da je ”Oluja” morala doći na red zbog Srebrenice! Među Srbima ima onih koji idu tako daleko da čitavu stvar obrću naopačke. Sve suprotno od ovog Galbrajta. Kažu da je Srebrenica napravljena da bi se medijski pokrilo proterivanje Srba iz Hrvatske. Svašta nama Srbima pada na um. Čudan smo mi narod. I logika nam nikako ne miruje! Evo jednog primera! Šta može da bude komplikacija u donošenju odluke o dodeljivanju Nobelove nagrade Gotovini.

Ne znamo šta je sve okačio o vrat sudija koji je onomad odrapio generalu Gotovini 24 godine zatvora. Mora da je bilo teško delo, ali ovaj što ga je raskačio sigurno ima viziju. Što je gore, on ništa nije uradio ako se sada čitava stvar zaustavi na oslobađanju. Lako se može desiti da odu dalje rukovodeći se svojim humanističkim idejama. Jer, ako je u ”Oluji” proterano više od 200.000 Srba sa teritorije Hrvatske, i to nije zločin i general je slobodan, onda mora da je u pitanju neko humano delo koje nam čini međunarodna zajednica. General nije u ”Oluji” pobio sve što je mrdalo ispred njega, a mogao je?! U tom slučaju, jasno je da ima materijala za Nobelov komitet za mir! Trebalo bi da ga nagrade za ono što je mogao da uradi, a nije. Davno su prošla vremena Majke Tereze i tipova koji trtljaju o humanosti i na terenu pomažu gubavim, leproznim i bolesnim. Mnogo je ljudi na planeti. Valja to počistiti! Nema više vremena za humanistička i egzistencijalistička naglabanja kao što su to činili sedamdesetih i osamdesetih. Sada je na snazi novi koncept. Kada si u prilici da pobiješ stotine hiljada ljudi, ubiješ samo par hiljada, odmah se kvalifikuješ za neku nagradu. Najbolje ako ti daju za mir. Zašto bi, onda, Nobelov komitet za mir čekao u slučaju Gotovine? Američki predsednik Obama, tek što je stupio na dužnost, poslao je samo 30.000 novih američkih vojnika u Avganistan i tako izrazio suzdržanost, državničku mudrost. Zbog toga mu Nobel nije mogao izmaći. Zamislite koliko je on ljudi mogao da pobije, a nije. Istina, u Avganistanu je bilo sporadičnih incidenata. Neko je snimio kako marinci ubijaju civile i pevaju ”baj baj ameriken paj”, ali to su samo izuzeci.

U zatvoru leži Milan Martić, srpski policajac koji se u Krajini borio za opstanak Srba u Hrvatskoj. On se opirao ideji etničkog čišćenja ali je, na kraju, optužen za etničko čišćenje! Eh, sada, pošto je Gotovina očistio Hrvatsku od Srba, Martić je optužen za etničko čišćenje Hrvata koji čine devedeset pet posto stanovništva Hrvatske?! Malo je nelogično. Verovatno će međunarodna zajednica posegnuti za novom logikom koju mi Srbi ne razumemo. Evropa je katolički projekat i cena ulaska u to društvo je visoka. Ona podrazumeva mnoštvo stvari koje mi nikada nećemo razumeti. Uostalom, neka mudre glave Nobelovog komiteta misle i donose svoje odluke bez pritisaka sa strane!



--- english ---


Kusturica: Gotovina the Next Nobel Peace Prize Laureate?


Nov 30th, 2012 | By De-Construct.net


Those who think general Gotovina story ends here are mistaken. I’m afraid we are in for new surprises. Mostly due to the humanitarian character of the international community.

Humanitarian Character of the International Community

The international community has been accustomizing us to humane bombs and angelic forms of war. In the end, the international community and its organizations knew how to reward guardians of the world peace.

We don’t know what was all that for which the judge earlier blasted general Gotovina with 24 years in prison. It must have been a heavy crime. But this one who unblasted him now surely has a vision. What’s worse, he’s done nothing if the whole thing ends with acquittal. It can easily happen that they go further, guided by their humanitarian ideas.

Nobel for Gotovina: He could Have Killed 250,000 Serbs, but Killed Only Few Thousand

Because, if in [the Operation] Storm more than 200,000 Serbs were driven out from the territory of Croatia, and if that is not a crime and the general is free, then that must be some humane act bestowed to us by the international community. During The Storm the general didn’t wipe out everything that moved in front of him and he could have?! In that case, there is clearly material for the Nobel Peace Prize Comity! They should award him for what he could have done and didn’t do.

Long are gone the times of Mother Teresa and some guys gibbering about humanity, helping the leprous, plague-ridden and sick on the ground. There’s a lot of people on the planet. That needs to be cleansed. There’s no more time for the humanistic and existentialist prattle the way it was done in the seventies and eighties. A new concept is now in place: When you get a chance to kill hundreds of thousands of people and you kill only few thousand, you immediately qualify for some award. It’s best if they give you the one for peace. Why, then, would Nobel Comity for Peace wait in the case of Gotovina?

Why Obama Deserved His Nobel

As soon as he took over the office, American President Obama sent only 30,000 fresh American soldiers to Afghanistan, therefore demonstrating his restraint, a statesman wisdom. That is why the Nobel couldn’t have escaped him. Imagine how many people he could have killed, and didn’t. Indeed, there were sporadic incidents in Afghanistan. Someone taped marines killing civilians while singing Bye, bye American pie, but those are mere exceptions.

When it comes to Gotovina, even the NGOs in Serbia are roused. But not because of the Serbs, they are worried over the principle.

Operation Storm, the Final Act of Starčević-Pavelić Endeavor

I’m coming up with notions which, I’m sure, are not the notions of the international community. I am convinced that those 200,000 ethically cleansed Serbs from the territory of the multiethnic Croatia are the final act of the endeavor of Starčević-Pavelić duo.

The theorist and the slaughterer didn’t get to carry their idea of annihilation of the Serb civilians through to the end during the Second World War. Starčević created the concept: third of Serbs in Croatia to be killed, third to be converted to Roman Catholicism, and third to be driven out. Who can be bothered with thirds nowadays? Men have turned to the wholes. And there is hardly a single Croat today who doesn’t believe we and the rest of the world are exaggerating the numbers.

British encyclopedias say that over seven hundred thousand civilians, mainly Serbs, were killed in Jasenovac. But there is hardly a Croat who believes that. And very few of them think that what took place in The Storm looks like the final act of the work of Starčević-Pavelić twosome. Because the court decided Gotovina is not guilty. Why would anyone break their head trying to think it through?

Srebrenica Manufactured to Shift Media Attention from The Storm

In the consideration of this decision, one of the decisive arguments for the theory that expulsion of Serbs from the territory of Croatia was inevitable, which the international community was involved in, was the reminiscence of American ambassador Galbraith from the time Storm took place. He says that The Storm had to happen because of Srebrenica.

There are those among Serbs who go as far as turning the whole thing upside down. All contrary to this Galbraith. They say Srebrenica was manufactured in order to shift the media attention from the expulsion of Serbs from Croatia. The things we Serbs come up with! We are indeed a strange nation. And our logic never rests.

Martić Convicted for Ethnic Cleansing Committed by Gotovina

Here is one example: What could possibly complicate the decision to award Gotovina Nobel Peace Prize?

Milan Martić, Serb policeman who in Krajina fought for survival of Serbs in Croatia, is lying in prison. He resisted the ethnic cleansing, but in the end he was convicted for ethnic cleansing. So, now that Gotovina has cleansed Croatia of Serbs, Martić is convicted for ethnic cleansing of Croats who comprise ninety five percent of Croatia’s population. It’s kinda illogical. The international community will probably reach for the kind of logic we Serbs can’t comprehend.

High Price for Joining the Roman Catholic EU Project

Europe is a Roman Catholic project and the price of entering that club is high. It incorporates plenty of things we shall never understand.

After all, let the wise heads of the Nobel Comity ponder and make their decisions without interference from the outside.

Editor’s note

In 2008, a year before Barack H. Obama was awarded the Nobel Peace Prize, Nobel Comity’s Laureate was an obscure Finish politician Martti Ahtisaari, whose only mention-worthy act in the entire career was breaking up of Serbian state and gifting southern Serbian province of Kosovo and Metohija to Albanians. He was given the highest award despite the evidence provided by the German BND that he received over 40 million Euros in bribe from Albanians to create the infamous ‘Ahtisaari Plan’, which was meant to finalize amputation of the Serbian province.

The Hague has been faithfully goose-stepping in tune in regards to the war crimes committed by Albanians as well, and has yesterday acquitted Ramush Haradinaj too, an Albanian war criminal.


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http://www.skoj.org.rs/110.html

HARADINAJ JE ZLOČINAC – ODMAH RASPUSTITI IMPERIJALISTIČKI HAŠKI SUD

Savez komunističke omladine Jugoslavije (SKOJ) najoštrije protestuje protiv skandalozne odluke imperijalističkog Haškog tribunala da oslobodi osvedočenog ratnog zločinca Ramuša Haradinaja.

Pored toga što je ratni zločinac, Haradinaj je terorista, pro-imperijalistički kvisling, antijugosloven i izdajnik sopstvenog albanskog naroda na Kosovu i Metohiji koga je u sadejstvu sa

(Message over 64 KB, truncated)


Aggiornamenti dalla Slovenia

1) L’austerity non si tocca, vietati referendum su banche e privatizzazioni (Contropiano.org)

2) "Mazzette" per i carri armati? (Italintermedia.globalist.it)


LINK: Il Coro partigiano triestino alla TV slovena (VIDEO)


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Mercoledì 19 Dicembre 2012 16:28

La Corte Suprema slovena ha deciso: il popolo non potrà votare sui soldi pubblici regalati alle banche e sulla privatizzazione delle aziende pubbliche. E ora il premier di destra Jansa vuol far proibire anche il referendum sui tagli agli stipendi. E' la democrazia, bellezza!


La Corte costituzionale slovena ha deciso oggi di vietare i referendum che miravano ad abrogare due leggi che fanno parte del cosiddetto “pacchetto anti-crisi” del governo conservatore di Janez Jansa, quelle sul risanamento delle maggiori banche (alla quale il governo ha già regalato ingenti finanziamenti pubblici) e sulla gestione unificata delle aziende pubbliche (che comporterà tagli e licenziamenti). A parere del massimo organo legislativo del paese i referendum in questione “potrebbero avere conseguenze anticostituzionali”. 
I due quesiti erano stati promossi dai deputati del partito Slovenia Positiva (maggiore formazione dell'opposizione di centro-sinistra), guidato dal sindaco di Lubiana Zoran Jankovic, secondo cui le due leggi non gioverebbero affatto alla ripresa dell'economia slovena e invece aprirebbero le porte a una veloce privatizzazione di molte società pubbliche di importanza strategica per lo sviluppo del Paese. 
La legge sul risanamento delle banche, che dopo il pronunciamento di oggi della Corte costituzionale potrà entrare subito in vigore, prevede invece l'istituzione di una ''banca debole'' pubblica, una bad bank che si addosserebbe i crediti inesigibili e altre ''proprietà finanziarie tossiche'' delle maggiori banche commerciali del Paese. Tutto ciò naturalmente a spese dei contribuenti. Ed in attesa della completa privatizzazione delle banche pubbliche ancora esistenti, annunciata per il 2013. 
Ma il governo di destra di Jansa non è ancora soddisfatto per aver ottenuto un no della Corte Suprema all’esercizio di democrazia del popolo sloveno. Il premier ha detto che intende chiedere alla Corte il parere sulla possibile anticostituzionalità di un terzo referendum, promosso questa volta dai sindacati, contro la legge di bilancio per il 2013 e il 2014. I sindacati si oppongono agli ulteriori tagli degli stipendi dei dipendenti pubblici, previsti nei bilanci per i prossimi due anni, e per fermarli hanno avviato una raccolta di firme per indire il referendum abrogativo. Chi sa se almeno questo la ‘democratica’ Slovenia glie lo lascerà fare…


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Lubiana, "mazzette" per i carri armati?

Un'indagine dei giudici finlandesi mette sotto accusa il premier Janez Jansa, che per una fornitura militare da 160 milioni avrebbe incassato una percentuale del dieci per cento

giovedì 20 dicembre 2012

La procura finlandese ha aperto un procedimento per corruzione e spionaggio industriale a carico di 6 nuovi imputati nel caso della fornitura di armi da parte del gruppo «Patria» al governo sloveno, avvenuta nel 2006. La procura sospetta un passaggio di “mazzette” intascate da alcuni politici sloveni ed elargite dalla ditta finlandese, con l’intento di aggiudicarsi il contratto per la costruzione di 135 carri armati destinati a Lubiana. Il contratto risale al 2006, e fra i politici coinvolti c’è anche il premier Janez Jansa, che al tempo era al suo primo mandato in qualità di primo ministro. Fra i sei indagati ci sono l’ex direttore esecutivo del «Patria group» e della sua controllata «Patria Vehicles». 
La partita di carri armati faceva parte del programma di Lubiana di adattamento del proprio equipaggiamento militare agli standard richiesti dalla Nato, dopo l’entrata del Paese nell’Alleanza atlantica nel 2004. «Gli imputati - si legge nel comunicato della magistratura finlandese - sono sospettati di aver partecipato alla promessa o concessione di tangenti in forma di commissioni di pagamento attraverso intermediari, in cambio dell’azione di alcuni pubblici ufficiali sloveni e di alcuni militari. Tra questi - prosegue il comunicato - compaiono il primo ministro e il vicecapo dell’esercito sloveno, poiché si ritiene abbiano influito nella procedura di acquisizione dei veicoli». 
La tangente sarebbe corrisposta al 10 per cento del valore della vendita, «che superava i 160 milioni di euro». Jansa è attualmente già sotto processo, e fino ad ora ha negato ogni accusa. L’ordine di 135 veicoli militari si è ridotto nel frattempo a 30. Durante le indagini da parte della procura finlandese, è emerso anche che «alcuni documenti segreti appartenenti a un concorrente austriaco di Patria sono stati trovati in possesso dei sospettati», da cui la seconda accusa di spionaggio industriale.
 
(fonte http://italintermedia.globalist.it 20 dicembre 2012)





(Cronaca di una iniziativa jugoslavista tenutasi a Subotica, Serbia, lo scorso 29 Novembre - Giornata della Repubblica. Sulla ricorrenza si vedano anche i nostri post recenti:
La scintilla nell'occhio: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7507 /
Iskra u oku: http://www.vreme.com/cms/view.php?id=1085468


Svečana akademije u Subotici za Dan Republike, 29. novembra 2012. godine
 
Za jugoslovensko zajedništvo u Republici Srbiji
 
Na Dan Republike u punoj Sali amfiteatra Otvorenog univerziteta u Subotici održana je svečana akademija , kulturno-prosvetna manifestacija susreta sa Jugoslavijom, njenim ljudima i stvaraocima.
Velelepnom skupu jugoslovenskog zajedništva, organizaciji Komunista Srbije iz Subotice i Centra–Tito–Központ, pored građana Subotice prisustvovali su i: desetočlana delegacija učenika iz Srednje tehničke škole "Ivan Sarić", Ljuben Hristov, pomoćnik gradonačelnika grada Subotice, Žiga Tamaš,  predsednik GK Radničke partije Mađarske iz Segedina, delegacija KP (Joške Broza) iz Bajmoka i Subotice, delegacija Pokreta Mini Jugoslavije iz Bačkog Gračaca i Subotice, grupe Jugoslovena i antifašista iz Sombora, Novog Sada i Apatina, kao i predstavnici sredstava javnog informisanja (ceo snimak prikazala je lokalna TV K23, dok su petominutne reportaže prikazali RTV Vojvodine i Drugi program RTS-a). Svečani skup su pozdravili Gabrić Blaško i Dane Poznić iz VI Mini Jugoslavije, Petar Šušnjar, predsednik Pokrajinskog odbora NKPJ, Simjanovski Dušan – Makedonac koji već duže vreme živi u Subotici. Pismom, telegramom, skupu su se obratili i komunisti sa svečane sednice GK Komunista Srbije Beograd, drugarica Sabo Ida iz Novog Sada, koja je sa svojih 98 godina i dalje član KS i koja je učesnicima svečanosti poručila: "Boriti se mora!",  kao i Prof. Dr Slavko Mrkić, istoričar i pisac poznatih knjiga o Titu.
Program je počeo sa himnom "Hej Sloveni", a zatim su sledili kratki osvrti na srpskohrvatskom i mađarskom jeziku o "Danu Republike – Da se ne zaboravi!". Omladinski hor Subotice izveo je četiri pesme: "Od Vardara pa do Triglava", "Volim Suboticu", "Egri ménes" (Ergela iz Egera), "Jedne blage vojvođanske zime…". Kmezić Mihajlo, učesnik NOB-a je recitovao svoju pesmu "Eho II-og AVNOJ-a", Katica Bačić je recitovala svoju "Pismu Bačkoj", pionirka Natalija Mišović izvela ja na violini Preludijum Georga Fridriha Hendla, Sofija Gardijan recitovala je svoju pesmu "Pismo Fadilu", Kiš Ereš Marta recitovala je pesmu Jožefa Atile "Socijalisti", Geza Babijanović iz Društva za negovanje  tradicija NOB recitovao je svoje pesme "Majka domovina" i "Grob u travi", učiteljica Suzana Krivokapić  je izvela dve svoje pesme iz zbirke pesama za decu "Nisam više klinka", Zdravko Demirović je na harmonici odsvirao i otpevao tri pesme: "Sa Ovčara i Kablara", "Poji Mile volove a reci" i "Ja sam čovek Jugosloven".
Nakon akademije prisutni su se poslužili domaćim kolačima koje su spremile naše drugarice.
Jednom rečju, naš program je bio skroman, primeren uslovima i stanju u društvu – ali je bio poklonjen od srca!
Srž našeg programa i  pogleda na Dan Republike najbolje odslikavaju govor studentkinje Maje Jenovai i recitacija ličkog partizana  iz Subotice Miše Kmezića "Eho II AVNOJ-a", koje dajemo u prilogu:
 

                                                                                                

Drugarice i drugovi, poštovani prijatelji, dragi gosti,
 
Danas, sa ovom svečanom akademijom pod nazivom "Dan Republike – Da se ne zaboravi!" obeležavamo 29. novembar 1943. godine, rođendan socijalističke Jugoslavije. Danas je i 70 godina od održavanja Prvog zasedanja AVNOJ-a u Bihaću, gde se ovih dana okupljaju mnogi antifašisti iz čitave Jugoslavije, u organizaciji Lige antifašista jugoistočne Evrope, čiji smo i mi članovi.
O istorijatu ne bismo puno, ali je neophodno naglasiti da je socijalistička Jugoslavija, domovina ravnopravnih naroda i narodnosti, rođena u borbi protiv fašizma, u borbi za socijalno i nacionalno oslobođenje. Koliko danas o tom datumu, kamenu međašu naše istorije, uče naša deca i omladina u osnovnim i srednjim školama? Zbog toga smo direktorima i profesorima srednjih škola u Subotici uputili poziv da po jedna delegacija iz njihovih škola prisustvuje ovom našem času o prošlosti i  sadašnjosti, o vrednostima AVNOJ-evske Jugoslavije. Drago nam je da je danas tu delegacija učenika  Srednje tehničke škole "Ivan Sarić".Istorija, pa i AVNOJ – bez obzira ko i kako ga ocenjuje – ne sme se falsifikovati, jer ćemo onda ići krivim putem i danas i sutra. Sve to, uslovi i odnosi, to kako danas čovek jedva preživljava, posledica su nasilja nad istorijom i udaljavanja od civilizacijskih vrednosti stvorenih u AVNOJ-evskoj Jugoslaviji.
Zašto obeležavamo Dan Republike ako nema Jugoslavije? Zbog toga – da se ne zaboravi! Zbog toga što smo mi Subotičani iz grada u kojem živi 27 nacionalnosti – to je Jugoslavija u malom. Zbog vrednosti i tekovina stvorenih za tih kratkih 50 godina. Zbog toga što nemamo čega da se stidimo zbog AVNOJ-a i Jugoslavije. Jedino moramo stideti se što smo dozvolili da sile mraka,  da grupe i nosioci zločina i duhovne unazađenosti nadvladaju nad željom da se živi u Jugoslaviji, po meri Čoveka, zajedno – a ne jedni pored drugih. Vrednosti za koje se vredi boriti i negovati ih i razvijati u novim uslovima jesu: antifašizam, borba za mir i slobodu, ravnopravnost svih nacionalnih zajednica i međusobna tolerancija,nezavisnost i nesvrstanost, samouprava, besplatno obrazovanje i vaspitanje, besplatno zdravstvo, sloboda duhovnog i svih drugih oblika stvaralaštva, ugled i imidž naše domovine, i drugi. Mi nemamo kome da se dodvoravamo, menjamo istorijsku istinu u laž, jer odgovaramo jedino građanima Subotice, Srbije,  Jugoslavije. Zato kažemo:
-        raspirivanje, podsticanje ma kog veliko–… šovinizma i sprovođenje tih projekata vojnom silom, po cenu oduzimanja života, uništavanja imovine, prisvajanja teritorija, projekt su i delo neofašizma;
-        saradnik okupatora koji je ubijao decu, žene, starce, partizane samo zato što su bili komunisti, nije bio niti može biti antifašista;
-        etničko čišćenje, proterivanje stanovništva iz Hrvatske, Bosne i Hercegovine, Kosova i Metohije – uz političko i fizičko nasilje je genocid i holokaust novijeg doba;
-        legitimno je, ako građani o tome odluče, da sve novostvorene države hrle ka Evropskoj Uniji, ali po nama Beograd, Zagreb, Ljubljana, Sarajevo, Skoplje i Podgorica morali bi imati bolju međusobnu ekonomsku, političku, kulturnu i duhovnu saradnju nego što je imaju sa Briselom ili ma kojom prestonicom sveta;
-        ako čovek ne može da ostvari pravo na rad, onda to nije demokratija, niti je sloboda, jer nema egzistenciju svoje porodice, niti može da uživa ostala ljudska prava;
-        ako samo deca bogatih mogu da se školuju i studiraju, ako samo bogati mogu platiti zdravstvene usluge, onda ćemo imati državu prvorazrednih i drugorazrednih građana;
-        Srbija je pod ekonomskim kolapsom između ostalog i zato što je privatizacijom kompletna industrija prodata za sitne pare ili uništena. Korupcija i pljačka u privatizaciji bili su sistematski, a ne pojedinačni, a odgovornost za to snosi država (i njeni čelnici) koja ih je omogućila, tolerisala i podsticala. Hvala svima vama koji ćete sutra u većem broju i svugde podržavati ispravne zahteve radničkih grupa iz "Sever"-a, "Mladost"-i, Crevare, Azotare, Agrokombinata, "Vagar"-a, "Peščare", Udruženja građana Subotice "Solidarnost" i drugih. Njihovi zahtevi su  realni i argumentovani, sa ciljem da se poništi privatizacija i pokrene proizvodnja tržišno kredibilnih proizvoda za izvoz i domaće tržište;
-        Radnika danas u Srbiji gazi čizma koruptivnog kapitala čiji je jedini cilj profit i dok je to "normalno" nema budućnosti Srbije. Nećemo više dozvoliti igru tipa: maksimalni profit za stranca a minimalna plata za radnika! Nećemo tajkunske ni gazdačke sindikate, trebaju nam naši sindikati!
Ove godine se skromno i radno obeležava i 120-ta godišnjica rođenja Josipa Broza Tita. O Titovom vremenu i dostignućima delovanja komunista do 1988. godine, odnosno do 8. sednice CK Saveza komunista Srbije valja objektivno suditi, a ne na osnovu dve krajnosti: da je to bila  diktatura –ili da se o Jugoslaviji govori samo u superlativu. Ni jedno ni drugo nije tačno! Kako smo živeli, kako smo razvijali opšteljudske vrednosti, o tome govore činjenice, ekonomski pokazatelji, i prvenstveno to kako je većina građana živela, razvoj nauke, obrazovanja i zdravstva, razmah i nivo slobode kulturnog stvaralaštva.
Poruka naše današnje svečane akademije povodom Dana Republike je da se vredi boriti za vrednosti AVNOJ-evske Jugoslavije. Niko nam ništa nije i neće ni danas niti sutra pokloniti. Vredi se boriti zbog naše dece, zbog jedne lepše Srbije – za ljude.
 
Neka živi Dan Republike!
Neka žive i razvijaju se vrednosti AVNOJ-evske Jugoslavije!
U povoljnim uslovima NOB-a 29.XI 1943. II zasedanje AVNOJ-a – čiji odjek mi Jugosloveni i danas osećamo. Moje sećanje ja pretvorih u pesmu:
 
Eho II AVNOJ-a
 
Pre 69 leta – ' četrdeset treće
Posle Neretve, Sutjeske i ljutoga boja
NOB vojska u nove pobede kreće
Fašističke horde izbacuje iz stroja.
 
Slobodne oblasti sve su nam veće
Sloboda zrači dejstvom NOV i POJ-a
Svet priznaje Antifašističko veće
Danas je II zasedanje AVNOJ-a.
 
Stižu delegati povelikog broja
Pod borbom, peške, na konjima žure
Članovi Partije, omladine, SKOJ-a
Slivaju se u Jajce, u dom kulture.
 
Stigli su od Triglava, Pohorja, Istre
Sa Papuka, Fruške Gore i Morače bistre
Sa Goča, Jadrana, iz Like i Drvara
Ljube se Jastrebac, Kozara i Šara.
 
Sala dupke puna, ukrašena bina
Zastave, parole, svečana tišina
Stari Ivan Ribar u očinskom bolu
– izgubio sinove Juricu i Lolu.
U prvom je redu, pored druga Tita
Otvoriće zasedanje, referat da čita.
 
Za govornicom smenjuju se delegati
Najavljuju borbe i bitke žilavije
I svetlu budućnost – zbore referati –
Nove, slobodne, zemlje Jugoslavije:
na temelju ratnih odluka AVNOJ-a
gradićemo državu socijalističkog kroja
i nova vojska – sve kako valja
Federacija republičkog uređenja
Ukidanje monarhije i povratka kralja.
 
Jaki smo i važni – iako zemlja mala
Odluka je AVNOJ-a: Tita za maršala.
 
Uspomene slavne – a Jugosloveni pate
Rasturiše nam JUGU, druže moj i brate,
svetski moćnici i domaće akrobate.
Molim se Bogu – i Marksu, čitave sate:
Globalisti greh svoj debelo da plate!
 
Ješću tvrdu koru, piću hladnu vodu
al' ću da viknem jugoslovenskom rodu:
SMRT FAŠIZMU – SLOBODA NARODU!
 
ŽIVELI!
 

 


Izvor: Komunisti Subotice <ok @ komunistisubotice.org.rs>



(srpskohrvatski / italiano)

Enrico Vigna premiato in Serbia / Vinja dobitnik priznanja


Enrico Vigna, della associazione S.O.S. Yugoslavia, ed il francese Arno Gujon hanno ottenuto per il 2012 il riconoscimento "per la migliore impresa umanitaria", che il quotidiano serbo “Vecernje novosti” organizza ogni anno. La cerimonia è stata organizzata nel Palazzo municipale di Belgrado, alla presenza del Patriarca della Chiesa serba ortodossa e di tanti personaggi pubblici e della sfera sociale e umanitaria.
Vigna, come rappresentante in Italia del “Forum di Belgrado per un mondo degli eguali”, è stato accolto ed ha ricevuto le congratulazioni della dirigenza del Forum per questo alto riconoscimento. Con Zivadin Jovanovic, presidente del Forum, ha parlato delle future attività, della collaborazione con associazioni simili in Italia e Europa, nonché delle iniziative che saranno in programma per il 15-esimo anniversario dei bombardamenti dei paesi NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia.

(a cura di AM e DK)



Podvig godine: Enriko Vinja i Arno Gujon godinama pomažu Srbe na KiM


B. HADŽIĆ - V. MIJATOVIĆ | 18. decembar 2012. 20:52 | Komentara: 5
Među nagrađenima za najplemenitiji podvig 2012. i Italijan Enriko Vinja i Francuz Arno Gujon. Vinja: Shvatio sam, moja misija je da kažem istinu. Gujon: O prijateljstvu sa Srbima slušao sam od dede

NAMETNUTE granice oni su rušili humanošću. Nisu prihvatili da postoji "tuđa" nesreća, jer istinske ljude boli nepravda, ma kome da se događa. Gledali su dalje od slike koju su ponudili mediji i nisu prihvatali samo ono što su videli. A videli su nesreću Srba na Kosovu koju su želeli da promene.

Jedan Italijan i jedan Francuz godinama pomažu naš narod na Kosovu i Metohiji. Arno Gujon i Enriko Vinja nagrađeni su specijalnim plaketama za najplemenitiji podvig godine koje su "Novosti" dodelile jubilarni pedeseti put.

ITALIJANSKI publicista Enriko Vinja poslednjih deset godina posvetio je pomaganju Srbima sa Kosova. Nebrojano puta je perom ustajao u odbranu srpskog dostojanstva, pravde i istine, govorio u ime obespravljenog naroda na Kosmetu.

Duboko ganut patnjom Srba iz kosovskih enklava i njihovim stradanjima, u Italiji je osnovao humanitarnu organizaciju "S.O.S. Kosovo i Metohija". Mnogo puta su zahvaljujući ovom novinaru na Kosovo stizali hrana, novac, garderoba, školska oprema... Njegovo udruženje trenutno novčano pomaže pedeset srpskih porodica.

- Na Kosovu sam video nepravdu koja je učinjena prema Srbima. Ne znam koliki je uticaj onoga što radim, ali moja misija je da kažem istinu - kaže za "Novosti" Vinja posle svečanosti na kojoj mu je dodeljena specijalna plaketa za najplemenitiji podvig godine.

- Pre skoro 11 godina bio sam jedan od prvih italijanskih novinara koji je kročio na Kosovo posle NATO agresije - priča ovaj publicista. - Po pričama koje sam do tada slušao očekivao sam da naletim na, sa jedne strane krvoločne Srbe, kasapine i ubice i uplašene, obespravljene i potlačene Albance sa druge.

Međutim, situacija na terenu brzo ga je naterala, kaže, da promeni mišljenje. Tragom novinarske priče Enriko je iz dana u dan nailazio na potresna svedočenja Srba, upoznao porodice kidnapovanih, porodice ubijenih i proteranih.

Istina, kaže, ponekad seče oštrije nego dvosekli mač.

- Osećao sam se grozno kada sam shvatio da sam nasamaren. Rešio sam da dam sve od sebe da makar pokušam da pomognem ovim ljudima - priča Enriko. - U Italiji ljudi o Kosovu već deset godina slušaju istinu koja im se servira iz istog štaba. Roditelji odvode svoju decu u Avijano na mesta odakle su poletali avioni koji su bombardovali SR Jugoslaviju i gde im vodiči pričaju kako je to bila blistava pobeda demokratije, ljudskih prava i slobode.

Enriko je napisao knjigu "Od rata do opsade". Prvi je novinar koji je stigao u Goraždevac kada su iz zasede Albanci na reci Bistrici ubili dvoje srpske dece, a ranili petoro dok su se kupala. U Orahovcu i Velikoj Hoči snimio je film o životu srpskih mališana. Zarađeni novac poklonio je Srbima.

- Srbi na Kosovu su sistematski uništavani, godinama proterivani, pljačkani i ubijani, ali su i dalje dostojanstveni. Mnogo njih su postali moji bliski prijatelji sa kojima se družim, smejem, proživljam lepe, ali i teške životne trenutke.

Svestan je Enrike da hoda po vrlo tankoj kosovskoj žici, Zbog prijateljstva sa Srbima i zbog svojih stavova za tih deset godina stekao je mnogobrojne neprijatelje na Kosovu. U međuvremenu je od kosovskih vlasti proglašen i za "personu non grata". Svaki put kada dolazi na Kosovo mora da traži vojnu pratnju KFOR.

Šta je to što jedan pojedinac može da uradi u borbi za istinu, protiv medijske mašinerije sa Zapada, pitamo ga na kraju?

- Peter Handke je uradio mnogo dobroga za Srbe sa Kosova, njegov glas se daleko čuje, daleko dopire. Posle mojih gostovanja na televizijama u Italiji, zovu me razni ljudi, žele da pomognu. Pojedinac može da pobedi, ali samo ako je istina na njegovoj strani.

ARNO Gujon definitivno ide protiv glavnog toka. Dok se hiljade mladih iseljava iz Srbije i traži bolji život na zapadu, ovaj mladu Francuz rodni Pariz zamenio je nedavno za Beograd. Dok su mediji u njegovoj zemlji izveštavali o proglašenju nezavisnosti Kosova, on je pokušavao da ukaže na patnje tamošnjih Srba. Zapanjen pred slikama pogroma srpskog stanovištva 2004. godine zajedno sa bratom osnovao je humanitarnu organizaciju za pomoć kosovskim Srbima.

Za osam godina njegova organizacija "Solidarnost za Kosovo" sakupila je humanitarnu pomoć vrednu više od milion evra. "Novosti" su mu, u svojoj tradicionalnoj akciji, uzvratile specijalnom plaketom za najplemenitiji podvig godine.

- Da mi je pre osam godina, kada sam imao svega 19 i osnovao "Solidarnost za Kosovo", neko rekao da ću govoriti pred toliko uvaženih ljudi, i to na srpskom, ne bih mu poverovao - rekao je dvadesetsedmogodišnji Gujon na svečanosti povodom dodele priznanja. - Ali kako kaže naš prijatelj Emir Kusturica - život je čudo. Ja bih još dodao - ko ne veruje u čuda, čuda mu se nikada neće dogoditi.

A čuda se Arnu dešavaju. Kako drugačije nazvati to što je svoju verenicu Ivanu Gajić upoznao u Malom Zvorniku, iako su tada oboje živeli u istom kraju u Parizu. Ona je bila u poseti rođacima, a on je u Zvorniku u to vreme radio kao inženjer zaštite na radu. Upoznali su se, zavoleli, i odlučili da se presele u Beograd.

- Već dva meseca živimo u Beogradu - kaže Arno. - Kada sam ovde bliži sam Kosovu i lakše mogu da organizujem humanitarne akcije. Osim toga oboje smo oduševljeni Beogradom. Zaista je prelep i uživamo u njemu. Sada želim i da usavršim srpski jezik.

Ljubav prema Srbiji nije ništa novo u porodici Gujon. O našem narodu Arno je slušao od svog dede koji je bio oduševljen pričama o prijateljstvu Srbije i Francuske tokom Prvog i Drugog svetskog rata.

- Moja porodica nije poverovala u priče koje su glavni mediji prenosili 1999. tokom bombardovanja Srbije - kaže Arno. - Trudili su se da promene sliku o Srbima koja je tada bila dominantna u Francuskoj.

Dan koji je promenio život tada devetnaestogodišnjeg Arnoa Gujona bio je 17. mart 2004. Dok je na televiziji gledao snimke martovskog pogroma, ubijanja Srba, uništavanja njihove imovine, rušenja svetinja shvatio je da ne može to posmatra sa strane. Zajedno sa bratom Bertranom osnovao je organizaciju "Solidarnost za Kosovo". Organizacija je do danas imala 6.000 donatora. Pomogali su škole, narodne kuhinje, delili namirnice i potrepštine ugroženim Srbima u enklavama, vodili mališane na letovanje. Organizovali su 23 konvoja pomoći iz Francuske, a 24. će za nekoliko dana krenuti prema Kosovu i Metohiji. 


PRIMER ZA SVEŽELIM ovo priznanje da posvetim donatorima iz Francuske - rekao je Arno na dodeli priznanja za najplemenitiji podvig.
- Njih 6.000 nije zaboravilo staro prijateljstvo koje vezuje naša dva naroda. Ovo priznanje želim da posvetim i Srbima koji žive u enklavama i monasima širom Kosova i Metohije. Svi ti ljudi su primer hrabrosti i dostojanstva uprkos teškoj situaciji u kojoj žive. Oni su primer za sve nas, kako Srbe, tako i Francuze.

HAG NIJE SUDPOSLE poslednjih presuda u Haškom sudu mislim da je svima jasno da je to politički instruisan, pristrasan sud. Nisam ni verovao da će Haradinaj biti optužen, jer je Haški sud finansiran od SAD. Iste zemlje koja je finansirala OVK, dovela mafijaše na čelo Kosova, skinula im krvave rukavice i obukla ih u skupa odela - kaže Vinja.


http://www.beoforum.rs/saopstenja-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/430-enriko-vinja-dobitnik-priznanja-najplemenitiji-podvig-godine.html


Енрико Виња, новинар и хуманиста из Торина, представник Београдског форума за Италију, добитник је овогодишњег признања „Најплеменитији подвиг „Вечерњих новости“. 
Више од 15 година Енрико Виња обезбеђује хуманитарну помоћ за избеглице и расељена лица у Србији, посебно оне са Косова и Метохије. Новчану и другу помоћ током 2012. године Виња је обезбеђивао и за стотине српских породица у енклавама на Косову и Метохији.
Ово традиционално  признање „Вечерњих новости“ Енрику Вињи уручио је директор и главни и одговорни уредник Манојло Вукотић, на свечаности одржаној 17. децембра 2012. године у Градској скупштини Београда. На челу жирија за доделу овог признања је Академик Матија Бећковић.
Свечаности у Градској скупштини присуствовао је Патријарх српски господин Иринеј, представници државних институција, као и велики број јавних личности и хуманитарних радника.

После свечаности у Градској скупштини Енрико Виња је посетио Београдски форум, где су му представници Форума изразили честитке на овом високом признању и жеље за његов успешан рад на хуманитарном плану и у јавном животу. Вињи је такође одато признање за успешно уређивање web странице Београдског форума на италијансом језику „Belgrade Forum- Italia“. Посебно је разговарано о будућим активностима Београдског форума, сардњи са сличним удружењима у Италији и Европи, као и о плановима за обележавање 15. годишњице агресије НАТО на Србију (СРЈ).


ФОТО ГАЛЕРИЈА / LE FOTOGRAFIE PRESSO LA SEDE DEL FORUM DI BELGRADO: 






BASOVIZZA: “STORY FROM TRIESTE UNTRUE”


<< A proposito di una “buca della morte”. Falsa notizia da Trieste >>

Così titolava il quotidiano neo-zelandese Evening Post del 6 agosto 1945, riferendosi alle voci incontrollate sulla “foiba” di Basovizza... 


Più precisamente, il testo è all’incirca quello dell’intervista a Cecil Sprigge apparsa su “Risorgimento Liberale” il 5 agosto 1945 (riportata a pag. 170 del libro Operazione “Foibe” tra storia e mito di Claudia Cernigoi, ed.2005). E’ probabile dunque che lo “Special P.A. Correspondent” del “Manchester Guardian”, citato come fonte diretta dall’Evening Post del giorno dopo, fosse lo stesso Sprigge.
Il ritaglio dall'Evening Post, Volume CXL, Issue 31, 6 August 1945, Page 4 (fonte: http://paperspast.natlib.govt.nz/cgi-bin/paperspast?a=d&cl=search&d=EP19450806.2.21 ), è riportato alla pagina: http://www.diecifebbraio.info/2012/12/story-from-trieste-untrue/




(srpskohrvatski / deutsch.
Peter Handke, il più grande drammaturgo di lingua tedesca vivente, ha ripetutamente scandalizzato negli ultimi venti anni l'intellettualità europeista "perbene" a causa delle sue posizioni apertamente contrarie allo squartamento della Jugoslavia, alla demonizzazione del popolo serbo ed alla instaurazione del regime coloniale e razzista pan-albanese in Kosovo. Nell'occasione del 70.mo compleanno di Handke, il quotidiano berlinese Junge Welt - unico quotidiano antimperialista del panorama editoriale europeo - gli ha dedicato un lungo ritratto; qui lo celebriamo anche con la traduzione in lingua serbocroata di una intervista rilasciata un anno e mezzo fa al quotidiano austriaco Der Standard. 
Numerosi materiali e link sulle posizioni e le opere "jugoslave" di Handke sono raccolti alla nostra pagina:
https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm )


Zum 70.Geburtstag von Peter Handke


1) Porträt. Noch einmal Jugoslawien oder: Auch »Menschenrechtskriege« sind zuallererst Kriege (Gerd Schumann)

2) ИНТЕРВЈУ Петера Хандкеа „Стандарду“, 30. априла 2011. 


=== 1 ===


http://www.jungewelt.de/2012/12-06/019.php

junge Welt (Berlin) - 06.12.2012 / Thema / Seite 10

Träumer, Sorger, Mensch


Porträt. Noch einmal Jugoslawien oder: Auch »Menschenrechtskriege« sind zuallererst Kriege. Peter Handke zum 70. Geburtstag

Gerd Schumann

In seinem jüngsten Werk »Versuch über den Stillen Ort« erzählt Peter Handke eher nebenbei, was ihn »Zeit des Aufschreibens« plagte. Ihm habe ein Bild zugesetzt, »ein ganz und gar gegenläufiges von dem, was ich mit dem Versuch über den Stillen Ort zu umreißen im Sinne hatte«. Das Bild zeigt jenes kleine Mädchen, »welches im Frühjahr neunzehnhundertneunundneunzig, während des westeuropäischen Bombenkriegs gegen die Bundesrepublik Jugoslawien, spätabends die Toilette des Mietshauses in der Stadt Batajnica nordwestlich von Belgrad aufsuchte und dort – sämtliche Haus- und Stadtbewohner, in der fraglichen Nacht zumindest, heil – von einem Bombensplitter, quer durch die Klosettwand, getötet worden ist«.

Auf immer, so scheint es, wird den Dichter beschäftigen, was er sah. Niemals wird er aufhören zu erzählen von dem, was erzählt werden muß. Er bringt zu Papier, was niemand so kann wie er. Ohne zu »ideologisieren« – das war ihm immer suspekt. Sein Ansatz ist die Aufklärung. Also wurde Handke in den Neunzigern zum ersten Literaten überhaupt, der inmitten einer gespenstisch anmutenden, entfesselten Kampagne zur Etablierung von »Menschenrechtskriegen« Sachlichkeit im Umgang mit der Wahrheit verlangt. Er kennt sie selbst nicht, aber er sucht sie. Dafür landet er am Pranger, wird isoliert und mit ihm die Vernunft. Er sei »jugophil« und ein »Serbenfreund«, so der mediale Massenkanon, in den eigenartigerweise mancher einfällt, der Handkes große Reiseerzählungen sogar gelesen haben müßte. Kriegszeiten sind Zeiten der Verblendung.


Blei oder Filz


Peter Handke, geboren am 6. Dezember 1942 im österreichischen Griffen/Kärnten, war immer auch Reisender. Er schrieb darüber, und er schrieb darüber durchweg hochkarätig. Einmal, das war 1976, hatte ihn eine schwere Sinnkrise erwischt, Schreibblockade eingeschlossen. Es ging an die Existenz. Erst nach Jahren überwand er sie –wobei: Bis heute ist er sich dessen noch nicht ganz sicher. »Sorger«, wie er den Protagonisten seiner Erzählung »Langsame Heimkehr« nennt, mit der er seine Probleme peu à peu überwindet und zurückkehrt, bleibt »zu leicht kränkbar von den übermächtigen Tatsachen«. Er erkannte »die Verlorenheit, wollte die Verantwortung und war durchdrungen von der Suche nach Formen, ihrer Unterscheidung und Beschreibung (…)«.

Ab dann, also 1979, schrieb Handke, der zuvor am stakkatohaften Wortbilden seiner Schreibmaschine (»Das knallt so schön«) Gefallen hatte, mit spitzen Stiften, mittels Blei oder Filz, zeichnete zudem in seine Notizblöcke oder Hefte, die er immer und bis heute auf Reisen bei sich trägt. Nun käme ihm »auch seine Sprache weicher vor«, wird ein namenloser Freund in Malte Herwegs Biographie von 2010 (»Meister der Dämmerung«) zitiert.

Sei es drum: Handkes Sprache unterschied sich immer von der anderer, ragte heraus, wurde unverwechselbar und allzeit erkennbar. Schon in frühen Jahren hatte er darum gekämpft, anerzogene Klischees, sprachliche Wendungen, Allerweltsweisheiten zu vermeiden und durch Genauigkeit der Beschreibung eine neue, zumindest andere Sicht auf die Dinge zu gewinnen. Es sei die Möglichkeit gegeben, »für das, was geschieht und geschehen ist, gleichsam einen neuen Sinn zu gewinnen, einen Zeitsinn, einen Sinn für das, was man gemeinhin Geschichtlichkeit nennt« (1965). Ebendas versuchte der Dichter durch die Jahrzehnte und deren Wenden und Wirren hindurch.


»Beatle-Frisur«


1965 durchgestartet mit dem Erstling »Die Hornissen« erschien kurz darauf sein Stück »Publikumsbeschimpfung«, das die verstaubte westdeutsche Theaterszenerie 1966 in hellen Aufruhr versetzte – ebenso wie etwa zeitgleich sein spektakulärer Auftritt in Princeton/USA das, so der Akteur, satte Schriftsteller-Establishment der Gruppe 47. Dieser wirft Handke »Beschreibungsimpotenz« vor und wird medial – auch wegen seiner »Beatle-Frisur« und der getönten Brillengläser – als Popliterat und »Enfant terrible« abgetan. Doch kann der Shootingstar der deutschsprachigen Literatur von der bürgerlichen Kritik in Zeit, Welt und Spiegel auch deswegen nicht dauerhaft in die Schmuddelecke gestellt werden, weil die von ihm vertretene Meinung aus vielen Mündern kommt: Er steht nicht allein da, wenn er gegen den Freispruch des Mörders von Benno Ohnesorg spricht. Oder gegen Waldheim, den österreichischen Bundespräsidenten mit der Nazivergangenheit. Oder gegen die braun eingefärbte bessere Gesellschaft Wiens. Ja, er äußerst sich politisch, jedoch wird er sich nicht parteipolitisch festlegen lassen, bespöttelt Handke besonders diejenigen, die von der Kulturszene trendige Bekenntnisse zur Arbeiterklasse verlangen. Unter denen befinden sich manche, die ihn später wegen seines Engagements für Jugoslawien der Psychiatrie anempfehlen, oder die versuchen werden, ihn in eine Reihe mit Antisemiten und Faschisten zu quetschen. »The times they are a-changin’«, hatte Bob Dylan prophezeit –sie änderten sich tatsächlich, nur leider in die falsche Richtung.

Die Kronzeugen

Also nennt der »neue Philosoph Alain Finkielkraut« (Handke) den Schriftsteller im Zuge des Jugoslawien-Krieges ein »ideologisches Monster«; der österreichische Autor Michael Scharang fragt doch allen Ernstes, freischwebend im luftleeren Raum: »Handke hält die NATO für verbrecherisch. Tangiert das die NATO? Ich halte Milosevic für verbrecherisch. Tangiert das Milosevic?« Hans Christoph Buch, ein inzwischen notorischer Eiferer gegen links, möchte Handke am liebsten in einen Käfig sperren und öffentlich ausstellen, derweil es Altachtundsechziger Peter Schneider bereits Jahre zuvor als »bedrückend« empfunden hatte, daß Handke »den Bosniern ausgerechnet als Interpret ihrer Belagerer« entgegentrete.

Der allseits Beschimpfte, nicht schlecht im Nehmen, aber auch nicht im Austeilen, kontert mit einer netten Anekdote, die zugleich die beklagenswerte Konformität Schneiders wie deren wohlformulierte L’art-pour-L’art-Sicht auf das Thema »Krieg« bitterböse karikiert. Der »Genosse Peter Schneider« habe ihm mal erzählt, daß er immer ganz enge Jeans anlege, um beim Schreiben sein Geschlecht zu spüren. Handke: »Immer wenn ich seine Sachen lese, sehe ich ihn in diesen engen Jeans und mit nacktem muskulösen Oberkörper an seinen gewaltigen Werken sitzen.«


Mars attacks


Indem er das kalkulierte Wortgeklingel der Kritik an seiner Person bloßstellt, warnt Handke. Der an genauer Beschreibung geschulte Meister des Worts benennt die gefährliche Lage und nennt Roß und Reiter. »Mars greift an«, formuliert er in Anlehnung an Tim Burtons Filmkomödie »Mars Attacks« von 1996 und an H. G. Wells’ »Krieg der Welten«, dieser düster-satirischen Analogie von 1898 auf die britischen Kolonialkriege, durch die London mit seiner zigfach überlegenen Militärmaschinerie Völker unterwirft. Ein Jahrhundert später, überfielen unsichtbare Piloten in Tarnkappenungeheuern das unterlegene Land im europäischen Südosten.

Die Attacke auf Jugoslawien markiert den Beginn einer Ära neuartiger kriegerischer Interventionen, die das bisher verbindliche Völkerrecht mehr und mehr aushöhlen. Bei der vorgeblichen Verteidigung von Menschenrechten werden territoriale Integrität und Nichteinmischung zur Strecke gebracht, zunächst über Jahre auf den innerjugoslawischen Schlachtfeldern, dann auch offiziell von außen. Am 24. März 1999 bricht mit der Bombardierung Belgrads der Angriffskrieg offen aus. Die »Masters of war« (Dylan), bisher in den Lobbys von Politik und Rüstungsindustrie verortet, erhalten Verstärkung von ihren einstigen Gegnern. Umgekehrt setzen die, historisch betrachtet, schon immer aggressiven Kräfte des Imperiums auf einen engen Schulterschluß mit einflußreichen Teilen der vormaligen Friedensbewegung – und nicht nur mit den sozialdemokratischen wie 1914.

Die Kriegsampel springt auf Grün, unfaßbar angesichts der Hunderttausenden ermordeten Bewohner Jugoslawiens während der deutsch-italienisch-österreichischen Okkupation (1941–1944). Eine agitatorisch-propagandistische Einheitsfront aus Medien und Politik reproduziert in krassem Schwarzweiß das überkommene rassistische Bild vom Feind, jenes unkultivierten, antizivilisatorischen, womöglich kommunistischen Serben. Der Rest ist Schweigen daheim. Es begleitet zunächst die Parteinahme Berlins für die kroatischen und muslimischen Unabhängigkeitsarmeen in der Krajina und in Bosnien-Herzegowina, dann den NATO-Krieg.

Peter Handke erklärt, kurz nachdem die ersten Luftschläge die »Weiße Stadt« an Donau und Save erschüttert haben: »Seit dem 24. März sind Serbien, Montenegro, die Republik Srpska und Jugoslawien das Vaterland für alle, die keine Marsianer und grünen Schlächter geworden sind.« Eine Woche danach verwirklicht der Schriftsteller seine Ankündigung und reist nach Belgrad. Er habe sich »entschlossen, zu kommen und hier, in Serbien, mit euch zu sein«, zitiert ihn die Belgrader Zeitung Politika.

Demonstrativ tritt er aus der katholischen Kirche aus; der Papst habe in seiner Osterbotschaft »am zwölften Tag des Krieges gegen Jugoslawien« zwar den »Bruderkrieg« verurteilt, »aber nicht den Allrohrüberfall der NATO gegen ein kleines Land«. Handke: »Krieg ahoi, Christ und (!)Mensch guten Willens.« Den ihm 1973 verliehenen Georg-Büchner-Preis gibt er nebst Preisgeld –ironische Randbemerkung des Dichters: »zum Glück waren’s damals nur 10000 DM« – an die Deutsche Akademie für Sprache und Dichtung zurück, was ihm Hohn und Spott ausgerechnet von deren »Präsidenten« einbringt: »Ich weiß auch gar nicht, ob er überhaupt unsere Kontonummer hat. Oder schickt er einen Scheck?« Außerdem seien »ja eine Menge Zinsen und Zinseszinsen angefallen seit 1973«, so Christian Meier, ein offensichtlich außer Rand und Band geratener Historiker, Fachgebiet »Römisches Reich«, der sich einreiht in den von Haß gespeisten Anti-Handke-Mainstream und dem Zeitgeist huldigt.


»Neuntes Land«


Die Angriffe zur Zerschlagung nun auch »Rest-Jugoslawiens« dauerten bis zum 10. Juni 1999 an. Am Ende nimmt das westliche Militärbündnis die serbische Provinz Kosovo unter seine Kontrolle. Die Zahl der Getöteten – überwiegend Zivilisten – wird auf mehr als 3 500 geschätzt, die der Verletzten auf 10 000. »Kollateralschaden« wird – nach »ethnischer Säuberung« – zum zweiten euphemistischen Wortungetüm, das der Kampf gegen Jugoslawien erschafft. Dieser hatte lange vor seiner heißen Phase schleichend eingesetzt: auf ökonomischem Gebiet, als Weltbank und Internationaler Währungsfonds die Daumenschrauben anlegten und Kreditschuldenlasten in Privatisierung und Sozialabbau mündeten; auf Propagandaebene, auf der der jahrzehntelang funktionierende Vielvölkerstaat in ein Unterdrückungsmonstrum mit Belgrad als Zentrum verwandelt wurde.

Handke konstatiert schon 1991: Das »Gespenstergerede von einem Mitteleuropa«, mit dem die Geschichte des »großen Jugoslawien« aus den Köpfen verdrängt werden sollte, begann »nach dem Tod Titos, und es kommt mir jetzt so vor, eine große Zahl, jedenfalls die Mehrheit, innerhalb der nördlichen Völker Jugoslawiens, habe sich den Zerfall ihres Staates von außen einreden lassen«. Das »Neunte Land«, wie er »Slowenien in Jugoslawien, und mit Jugoslawien« nennt, ist verloren, hat sich abgespalten vom multiethnischen Staat, den nicht nur der Spiegel inzwischen zum »Vielvölkergefängnis« erklärt hat. Die Polit- und Medienmeute hat sich nahezu einhellig dessen Zerschlagung verschrieben, betreibt eine Aufsplittung in jeweils »Republik« genannte Einzelteile. Nord und Süd, Religionen, Stadt und Land – Unterschiede aller Art, die in der Idee vom einheitlichen Jugoslawien ein gedeihliches Mit- oder Nebeneinander genossen hatten.

Handke, der dauermobile Autor mit den – mütterlicherseits – slowenischen Wurzeln, verliert einen Teil seiner Identität: Er habe sich in seinem Leben »nirgends auf der Welt als Fremder so zu Hause gefühlt wie in dem Land Slowenien«. Auch verschwindet mit dem Land eine so andere Auffassung von Geschichte, die ihn und Teile seiner Generation geprägt hat. Im »Neunten Land« erspürte er sie hautnah: »Immer wieder habe ich in den slowenischen Dörfern die kleinen Gruppen der alten Männer als Zeugen einer ganz andern als unsrer, der deutschen und österreichischen Geschichte, eben der des großen widerständischen Jugoslawien gesehen und dieses, ich kann’s nicht anders sagen, um seine Geschichte beneidet.«

Mit der Abspaltung Sloweniens bedauert er das sich andeutende Ende Jugoslawiens mit dem ungetrübten Blick von unten auf die Geschichte. Inmitten der besonders von den ehemaligen Achsenmächten, Initiatoren des Zweiten Weltkrieges, betriebenen und herbeigeredeten Zerschlagung des Landes verfaßt der Schriftsteller ein erstes literarisches Statement zur neuen Lage. Er nennt es »Abschied des Träumers vom Neunten Land. Eine Wirklichkeit, die vergangen ist: Erinnerung an Slowenien«. Sein Traum – und der von Millionen Menschen, zudem der Blockfreien Staaten – zerplatzt in nationalistischen Sezessionskriegen. Danach übernimmt die NATO.


Winterliche Reise


Bereits 1996, nachdem sein erster Reisebericht aus dem jugoslawischen Bürgerkrieg gedruckt worden war, stand Handke mit seiner Position in der vielzitierten »Öffentlichkeit« allein da. »Gerechtigkeit für Serbien. Eine winterliche Reise zu den Flüssen Donau, Save, Morawa und Drina« erschien in der ersten Januarhälfte in der Süddeutschen Zeitung, der Suhrkamp Verlag druckte die Reiseerzählung, die in diesem Genre bis heute ihresgleichen sucht, im selben Jahr und in mehreren Auflagen.

Auf die verbliebenen Kriegsgegner wirkten die Texte wie ein Segen. Lesegenuß wegen der Sprache natürlich. Vor allem aber wegen der langersehnten Authentizität der Eindrücke. Originale aus dem Tabuland, gespeist von vielen Zweifeln auch, denen Fragen folgten, die sich viele damals stellten – und die öffentlich nicht vernünftig behandelt werden durften. Was genau geschieht dort? Wie konnte es dazu kommen? »Unter Tränen fragend« (2000) immer wieder, immer weiter, und der Autor schreibt auf, was er sieht und hört und liest. Er sei »proserbisch«, wird in Endlosschleife behauptet, eben weil er sich bei den zu Underdogs und von Beginn an als »schuldig« Abgestempelten umgesehen hat. Er berichtet. Das ist ebensowenig erwünscht wie seine Reflexionen über die sonderbare Einstimmigkeit der Medien. Diese bringt er gar auf die Bühne – und natürlich wird »Die Fahrt im Einbaum oder Das Stück zum Film vom Krieg« (1999) allgemein verrissen.

Um Kritik geht es längst nicht mehr. Auch nicht um Feuilleton. Das Thema »Handke« handelt von Wirkung und Folgen des aufrechten Gangs. Die wütende Heftigkeit der medialen Reaktion betraf zunächst Handkes Position zu Jugoslawien, doch zunehmend auch das – zuvor hochgeachtete – Gesamtwerk des Schriftstellers, eines Aspiranten auf den Literaturnobelpreis. Zu spekulieren, ob er die für ihn einschneidenden Folgen ahnte, als er »Gerechtigkeit für Serbien« forderte, ist müßig. Er tat es und blieb dabei, wozu Courage und die Beharrlichkeit des Suchenden und Aufschreibenden gehören. Das betrifft nicht nur die Reisen ins NATO-Target Belgrad.


Im Widerspruch


Als Handke vom seit 2001 inhaftierten Slobodan Milosevic, ehemals jugoslawischer und serbischer Präsident, gefragt wird, ob er als Zeuge vor dem Haager Jugoslawien-Tribunal auftreten wolle, besucht er den Angeklagten hinter Gittern. Er sagt schließlich nein und begründet das schlüssig (»Die Tablas von Daimiel. Ein Umwegzeugenbericht zum Prozeß gegen Slobodan Milosevic«, 2005). Nachdem der herzkranke Milosevic, dem eine medizinische Spezialbehandlung außerhalb der Scheveninger Mauern verweigert wird, am 11. März 2006 stirbt, folgt Handke dem Wunsch der Familie Milosevic und reist nach Pozarevac in die Heimatstadt des Verstorbenen, voller Zweifel auch später noch. Er weiß, was ihm blüht, wenn er der Beerdigung des als »Schlächter des Balkans« Dämonisierten beiwohnt. »Dann aber habe ich die Zeitungen gelesen, den Haß auf einen Mann, der gerade verstorben war.« Er folgt dem Sarg, und fragt sich doch, ob er dort das Wort ergreifen soll nach den »Popanzreden von Kostümgenerälen«.

Handke spricht. Daß er gewünscht hätte, hier als Schriftsteller nicht allein zu sein, sondern an der Seite eines anderen Schriftstellers, etwa Harold Pinters. Aber Handke ist allein – wieder einmal. Seine Worte markieren generell den Umgang der »so genannte (n) Welt« mit Milosevic. Sie sagen zudem alles über den Dichter und dessen Umgang mit dem Thema »Jugoslawien«. »Die Welt, die so genannte Welt, weiß alles über Slobodan Milosevic. Die sogenannte Welt weiß die Wahrheit. Deswegen ist die sogenannte Welt heute abwesend, und nicht bloß heute, und nicht bloß hier. Ich weiß, daß ich nichts weiß. Ich weiß die Wahrheit nicht. Aber ich schaue. Ich höre. Ich fühle. Ich erinnere mich. Deswegen bin ich heute anwesend, nah an Jugoslawien, nah an Serbien, nah an Slobodan Milosevic.« (Aus: »Meister der Dämmerung«)

Der Nouvel Observateur (6.4.2006) berichtet: »Die serbische Fahne schwenkend zwängte sich Handke nach vorne, um den Leichenwagen zu berühren und seine rote Rose niederzulegen, und gab ein trauriges Bild ab.« Die selbsternannte »internationale Gemeinschaft« stellt Handkes Auftritt in den Zerrspiegel ihrer antijugoslawischen Interessen. Selbst die Provinz plustert sich auf. Der Stadtrat Düsseldorfs kritisiert, daß die Jury des Heinrich-Heine-Preises Handke auszeichnen will. Handke sei der »Barde eines Diktators« (Günter Kunert), »Sänger des serbischen Großreichs« (Gert Kaiser). Der Dichter selbst macht dem unwürdigen Umgang der Rhein-Metropole mit dem Namen Heines, ihres berühmtesten »Sohns«, ein Ende, indem er auf den Preis verzichtet.


Die Heimatfront


Weitere Interventionen im Namen der Humanität folgten seitdem. Kriege heutzutage mit Wirtschaftsinteressen zu begründen, wie es ein Bundespräsident in Sachen Afghanistan tat, kommt nicht gut an. Menschen wegen schnöder ökonomischer Interessen zu töten, wirkt unmoralisch. Moderne Krieger sind so etwas wie moderne Samariter und müssen – leider, lamentieren sie geziert – Gewalt zur Rettung von Menschen einsetzen. Wer das nicht kapiert, steht auf der Seite des Unrechts, des Massenmordes, des Fanatismus – kurz: an der Seite des Bösen. Das grobe Wildwest-Klischee wird kultiviert. Bröckelt erst die Heimatfront, wächst das Risiko einer Niederlage.

Mit Sicherheit lassen sich Jugoslawien und die postjugoslawischen Lagen andernorts nicht vergleichen. Doch sind auch Menschenrechtskriege zuallererst Kriege. In denen genießen »Rebellen« und »Freiheitskämpfer« vielerlei Couleur per se Heldenstatus. Aufklärung über sie sowie darüber, was tatsächlich los war, im ivorischen Ab­idjan 2010, in den libyschen Städten Tripolis, Bengasi und Sirte 2011, bevor und nachdem Frankreich nebst NATO-Getreuen oder Blauhelmen angriff – das wäre schon etwas gewesen.

2011 läßt Wahrheitssucher Handke in »Der Große Fall« seine Hauptperson, den »Schauspieler«, fernsehen. »In den Weltnachrichten immer wieder, in Großaufnahme, nur ein Ansatz der Schultern zu sehen, in einem dunklen Anzug der Präsident, vor einer Bücherwand, in einer feierlichen Erklärung begriffen« – eine Kriegserklärung, die sich nicht so nannte, sondern »Eingriff«, »Intervention«, »Gegenschlag«, »Reaktion«. Der Präsident sagt wörtlich: »Es bleibt uns keine Wahl, als gegen die Feinde unserer Zivilisation und Religion zu intervenieren. Noch heute nacht werden die Operationen anlaufen, damit es nicht eines Tages in unseren Geschichtsbüchern heißt, unsere Landsleute hätten für nichts und wieder nichts ihr Leben gelassen.«

Was folgen wird, ist das Bild jenes kleinen Mädchens, getötet von einem Granatsplitter quer durch die Klosettwand. Es bleibt.

Gerd Schumann ist freier Journalist aus Berlin. Zuletzt war auf den Themaseiten von ihm am 12.10.2012 über Thomas Sankara, Gründer eines antikolonialen Burkina Faso, zu lesen.

=== 2 ===

http://www.beoforum.rs/forum-prenosi-beogradski-forum-za-svet-ravnopravnih/422-peter-handke-kosovo-ce-uvek-ostati-srpsko.html

ПОВОДОМ 70 РОЂЕНДАНА КЊИЖЕВНИКА ПЕТЕРА ХАНДКЕА

6. децембра 2012. велики европски књижевник и осведочени пријатељ српског народа Петгер Хандке, који живи у Француској, напунио је 70 година живота. Тим поводом председник Београдског форума за свет равноправних Живадин Јовановић, упутио је Петеру Хандкеу честитку којом је изразио захвалност Хандкеу за неуморно ширење истине о српском народу, посебно о оном делу српског народа који, лишен основних људских права, живи на Косову и Метохији. Јовановић је пожелео Хандкеу да напише још много књига које ће заувек сведочити о цивилизацији, њним резултатима, али и опасним странпутицама на размеђу два миленијума.
Тим поводом објављујемо интервју Петера Хандкеа „Стандарду“, 30. априла 2011. који је, и даље актуелан.

(Следи текст интервјуа).

Дневна политика је такође корисна за људе, тај дневни хлеб и салата. Али ноћна политика, политика која се сања, неће никада нестати, ни пропасти

Хтео сам да испричам причу о месту о ком нико пре мене није приповедао. Постоји толико написаног о Њујорку, Сао Паолу, Јоханесбургу или Шангају, али зашто приповест о Великој Хочи не би била интересантна, макар зато што је другачија од оне о Менхетну, Лос Анђелесу или о Џорџу Клунију који тамо испија кафу ... Уосталом, и Велика Хоча је свет, као и Њујорк.

Овако у ексклузивном разговору за „Новости“ говори велики писац Петер Хандке, ког затичемо у селу Породин крај Свилајнца приликом посете пријатељу Златку Боцокићу. Управо је Боцокић, у издавачкој кући „Хвосно“ приредио и недавно објавио Хандкеову нову књигу „Кукавице из Велике Хоче“.

Велики европски интелектуалац и осведочени пријатељ нашег народа каже да је његово интересовање за Србију отпочело давно, занимањем за Југославију.
- И кроз пријатељство са Златком Боцокићем, тада Југословеном, с којим се већ три деценије одлично разумем. То што је он био југословенски оријентисан и није био никакав „велики Србин“, није противуречност, јер се може и тако бити добар Србин а жалити за великом земљом, као што је била Југославија. У великој земљи сваки национализам је једна врста игре и свако може да живи свој национализам, али у малој он представља крваву озбиљност.

У новој књизи политика није доминантна. Циљ вам је био - објективност?
- Ја сам приповедач, описивач, а не политичар и идеолог. Писац који је идеолог, осуђен је на избацивање из света књиге. Ја сам једноставно хтео да испричам причу о једној енклави, о једном селу.

А исприповедали сте како сте ви доживели Косово и његове становнике.
- Надам се да је у мојој приповести све добро извагано, јер нисам писао против било кога. Ту су описи странаца, војника КФОР-а, ЕУЛЕКСА или како се већ све зову. И они све виде врло добро, али не смеју то да кажу. И то је судбина Срба на Косову. Било би много интересантније да сви они који су дошли из Аустрије, Немачке, Италије, Француске... кажу шта су заиста доживели на Косову и шта је реалност, од писања страних новина које већ 20 година пишу глупости.

Како је књига настајала, какве су биле прве мисли?
- То заправо и није права књига, већ нешто настало из захвалности. На једно лепо проведено време, тамо, на дружења, на време Ускрса, на награду „Хајнрих Хајне“, која ми је додељена у Великој Хочи...

Да ли сте пој чувене птице тако добро разумели да сте га ставили чак и у наслов књиге?
- Да, разумео сам сву ту природу, шум дрвећа, пупољење, змије, траву, гробље, те људе који су понекад и непријатељски расположени и питају: „Шта ви, странци, тражите овде. Зашто нисте остали код куће, нисмо ми објекти за туристе!“ И то тамошње гостољубље понекад није разговетно, јер много је људи који су несрећни. Све сам то морао да опишем...

Поводом награде „Хајнрих Хајне“ изјавили сте на Западу: „Ову награду не заслужујем ја, него Срби који живе опасани бодљикавом жицом и у гету под отвореним небом“.
- Мислио сам да је Велика Хоча село као на Тибету, једно село под небеском капом. Наравно то је идеализовано. Али идеализовати се може када се интензивно доживи стварност.

Стиче се утисак да сте у Великој Хочи све добро разумели - тишину, пој птица... А људе?
- Верујем да их разумем. Било је момената када сам се осећао као код своје куће, а то је веома ретко. Када ујутро изађем у двориште домаћина код којег сам преноћио, када прођем кроз капију дворишта, и видим да пси трче около, људи шетају, истовремено тужни и насмејани, кад у црквеном дому пијем кафу ... осећао бих да ту припадам... Можда не да припадам, али никако се нисам осећао као странац...

Кажете да сви народи, нису исти, али, додајете, ни све демократије нису исте?
- Лепо је да се народи још увек разликују. Нису ни све демократије исте. Има страшних демократија. Многе функционишу неправедно. А поједине велике демократије се данас показују као диктатуре и то је потпуно ново у свету. А све је почело са Југославијом - са хуманитарним убијањем, у име демократије! Са „колатералном штетом“

Народ вам узвраћа поштујући вас, да ли и наша држава? Јесте ли добили било какав уздар од стране српске државе за оно што сте учинили за Србију?
- Добио сам довољно од људи... Када из Париза летим према Београду, прилазе ми старији људи, пружају руке и захваљују се за све што чиним. И - то је мени довољно.

Како ви видите прилике у вези са Косовом?
- Косово ће остати увек српско! Дневна политика је дневна политика, али политика која следи је трајна. Дневна политика је такође корисна за људе, тај дневни хлеб и салата... Али ноћна политика, политика која се сања, неће никада нестати, ни пропасти.


НОВАК
- Не, не видим никакав национализам у Србији. Ни на телевизији, ни у књигама, ни у новинама ... А ту је и спорт, Новак Ђоковић ... и то је тако лепо, зар не?

МИТ
- Не верујем да Срби имају мит, Срби у основи имају бол, имају историју, своју земљу , своје Косово на коме су њихове генерације одрастале... То није мит, то је историја, то је патња... нема то ништа са (митским) Косовом …

ВИНО И РАКИЈА
- За ракију не знам али тамо праве врло добро вино. Српско вино из Велике Хоче могу само да препоручим, од Сакрамента, Калифорније и Мексика - до Ла Паза.


Аутор Владан РАКИЋ
Извор Вечерње новости, 29. април 2011.


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ATTENTATO ALLA STORIA

Ci piacerebbe sapere cosa ha fatto di male la Storia a questo Paese, per essere una materia tanto bistrattata ed emarginata nei programmi di studio, sia a livello scolastico che di ricerca.
Anni or sono abbiamo sentito un’educatrice esporre le più recenti teorie in tema pedagogico: non ha senso insegnare la storia ai bambini delle elementari perché non sono in grado di capire. 
Al di là del fatto che ai bei vecchi tempi la teoria era che l’importante è sapere spiegare le cose affinché gli altri le comprendano, e se fino ad un certo punto si è insegnata la storia in maniera nozionistica (date e personaggi, che comunque è necessario imparare per un domani quando si studierà la storia in modo più organico, ma già conoscendo la cronologia degli eventi), poi si è deciso di non insegnarla proprio, evidentemente.
A Trieste negli ultimi giorni sono accaduti due fatti che possiamo inserire in questo, a parere nostro, progetto ad alto livello di distruzione della cultura storica.
Il primo è la chiusura di fatto della sezione storica della Biblioteca nazionale slovena. I ricercatori ed archivisti sono stati licenziati e l’archivio è diventato quindi inaccessibile, salvo per una mattina alla settimana. Non ci sono soldi, la motivazione, e noi ci crediamo: quello che troviamo inaccettabile è che per una struttura del genere non si trovino i fondi. Si stanziano soldi per, passateci l’espressione fantozziana, cagate pazzesche, e non c’è modo di trovare i fondi per tenere aperta una struttura di ricerca storica?
Secondo punto, la questione dell’ex caserma dei Carabinieri di via Cologna, dove ebbe sede, tra il 1944 ed il 1945 l’Ispettorato Speciale di PS, corpo di repressione che operò in maniera particolarmente efferata contro le persone arrestate, anche giovanissimi di ambo i sessi e persone anziane. L’immobile è di proprietà della Provincia di Trieste, che pose il 17/10/10, in collaborazione con l’Anpi una targa a ricordo di chi subì torture e violenze e dei morti per mano dell’Ispettorato. Meno di un mese dopo apparve la notizia che la Provincia aveva messo all’asta l’immobile, in quanto “inutilizzato”; a seguito della mobilitazione degli antifascisti (che raccolsero in poche settimane quasi un migliaio di firme) e dopo la dichiarazione della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici del FVG che l’immobile era stato vincolato per interesse culturale (delibera del 26/11/10), il Consiglio provinciale approvò (in data 20/1/11) un ordine del giorno collegato alla delibera di approvazione del Bilancio di Previsione 2011 nel quale si impegnava “la Presidente e gli Assessori competenti a proseguire in accordo con la Soprintendenza, Enti e Associazioni interessate un percorso di conservazione e valorizzazione delle memorie delle persone che hanno subito nel periodo bellico (indipendentemente dalla loro nazionalità) maltrattamenti, torture e umiliazioni da parte dell’Ispettorato Speciale di PS della Venezia Giulia”. E negli stessi giorni fu istituito un Comitato scientifico di storici per redigere un progetto di massima di riuso della struttura: con (da quanto avevamo capito, ma possiamo sbagliare) il benestare della Provincia.
A breve però (ma questo lo abbiamo scoperto solo negli ultimi giorni) la Provincia richiedeva (16/5/11) alla Direzione Regionale l’autorizzazione ad alienare l’immobile, autorizzazione rilasciata dall’Ente il 16/5/11 (pur con l’indicazione all’acquirente di mantenere il prospetto di facciata con la targa commemorativa e l’impegno di “dare immediata notizia” alla medesima Direzione “di eventuali ritrovamenti di scritte e altre testimonianze riconducibili ai tragici fatti del periodo bellico”. Di conseguenza l’Amministrazione provinciale ha nuovamente rimesso all’asta l’immobile di via Cologna (Determinazione n. 3081 dd 22/10/12) ed il termine fissato per la presentazione delle proposte di acquisto è il 18/12/12.
Nel corso di alcuni incontri con i funzionari dell’Amministrazione provinciale sono emersi sostanzialmente questi fattori: che non ci sono soldi, che la Provincia non ha competenza museale, e che probabilmente l’asta andrà deserta anche stavolta.
Il che non risolve il problema: aspettiamo che lo stabile cada a pezzi, con tutte le parti vincolate? Perché non è possibile fare un consorzio di associazioni ed istituti storici che trovino posto in quell’edificio, accorpando i vari archivi, creando un polo didattico, coinvolgendo l’Università ed il Comune, la Regione e la Comunità europea per i finanziamenti? In questa città trovano posto un Museo della civiltà istriana fiumana e dalmata pieno zeppo di falsi storici ed un centro studi agiografico della Decima Mas: però per le vittime del nazifascismo, per la memoria della Resistenza, per la conservazione degli archivi di quel periodo storico non ci sono soldi e non c’è disponibilità. Senza ulteriori commenti. 

Claudia Cernigoi

Dicembre 2012



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Lunedì 10 Dicembre 2012 09:56

Monti e la Siria. Vogliamo parlarne?


di  Francesco Santoianni*

Gli inquietanti sviluppi della guerra in Siria pongono tutti noi di fronte a scelte precise. 
Gli ultimi sviluppi della guerra dell’Occidente e delle Petromonarchie alla Siria (sofisticati armamenti consegnati ai “ribelli”, dispiegamento di missili Patriot in Turchia, invio - ormai alla luce del sole - di “istruttori militari”....) e la recente, agghiacciante, dichiarazione di Napolitano al 
Consiglio supremo della Difesa pongono i compagni e le organizzazioni, che parteciperanno all’assemblea del 15 dicembre a Roma e che promettevano il loro impegno qualora si fosse manifestato un “attacco esterno” alla Siria, di fronte a precise scelte.

Una è continuare a far finta che in Siria sia in corso un’altra “primavera araba”, per sostenere la quale la principale (e l’unica) cosa da fare è abbaiare – insieme al Governo Monti, i suoi partiti e i suoi mass media – contro il “regime di Assad”, additando nel contempo come “rossobruni” coloro che non si uniscono al coro; un’altra è aderire ad uno dei tanti ineffabili appelli che si limitano ad invocare per la Siria una generica “fine delle violenze” e/o “l’invio di una delegazione internazionale composta da personalità di alto livello allo scopo di discutere con i principali attori politici per aprire la strada a una soluzione politica del conflitto armato”; l’altra è mobilitarsi contro il Governo Monti anche per quello che sta facendo alla Siria.

Una scelta quest’ultima, ancora oggi, fatta da pochissimi compagni. 

Eppure il Governo Monti ha dapprima rotto le relazioni diplomatiche con Damasco, poi comminato sanzioni (anche per alimenti e apparecchiature medicali!), poi riconosciuto ufficialmente i “ribelli” (prima quelli del CNS ora quelli della Coalizione) quali “legittimi rappresentanti del popolo siriano”, poi – seguendo lo stesso copione della guerra alla Libia – ha inviato, più o meno nascostamente, soldi, armi e mercenari (come i quattro arrestati ad agosto alla frontiera con il Libano), poi ha negato il visto di ingresso a parlamentari siriani venuti ad incontrare loro colleghi italiani, poi ha spalleggiato la Turchia nelle sue provocazioni....

E tutto questo mentre notizie di “armi di distruzioni di massa” in mano ad Assad e di “bombardamenti indiscriminati sulla popolazione” continuano ad inondare i nostri mass media. Quasi a sottacere le ormai centinaia di autobombe fatte esplodere (nei mercati, nelle strade, davanti gli ospedali...) dai “ribelli”; le migliaia di civili inermi assassinati dai “ribelli” per non essersi schierati contro Assad; le centinaia di migliaia di profughi che scappano dalla guerra e dalla pulizia etnica e religiosa imposta dai “ribelli”.

Eppure la denuncia di questo massacro, ordito anche dal Governo Monti, ha trovato poco spazio in manifestazioni come Il NoMontiDay del 27 ottobre, nonostante l’invito rivolto dalla Rete NoWar.

Sarebbe più che mai opportuno uscire da ambiguità, resistenze e reticenze – sostanzialmente, le stesse di quelle che, un anno fa, hanno impedito il nascere di un movimento di massa contro la guerra alla Libia - che trovano il loro essere nella illusione che, in un modo o nell’altro, la distruzione di uno “stato canaglia”, pur se per mano dell’Occidente, può sprigionare un movimento di massa, un’altra “primavera araba”. La sorte toccata alla Libia è sotto gli occhi di tutti.

E sono stati proprio gli orrori della Libia (e dell’Iraq, e dell’Afghanistan...) a cementare, purtroppo, la stragrande maggioranza della popolazione siriana in oceaniche manifestazioni pro Assad. Non a caso per la Siria, il copione imposto dall’Occidente, si è concretizzato subito, (già dal marzo 2011) in assalti militari condotti da mercenari; un ininterrotto crudele stillicidio di attentati, esecuzioni, assalti.... mirante a far collassare la Siria. Altro che “manifestanti, a mani nude, repressi dal regime” idolatrati, in Italia, in qualche manifestazione. 

Fermiamo la guerra di Monti alla Siria. 

Se ci riuscissimo, acquisiremmo nei riguardi del popolo siriano quella credibilità indispensabile per fortificare le istanze di democrazia che hanno animato le vere “primavere arabe”. Se, invece, non facciamo nulla, se fingiamo che la Siria - come ieri la Libia - non esista, la prossima vittima sacrificale sarà l’Iran e poi la Bielorussia, e poi il Venezuela e poi Cuba... E forse, l’intero pianeta, con una nuova guerra mondiale.

Fermiamo la guerra di Monti alla Siria. 

Una guerra di aggressione che è doppiamente funzionale, all'apparato industriale e militare, alla rapina di risorse e a creare intorno a questa  un sistema di consenso funzionale alla democrazia delle bombe.

Fermiamo la guerra di Monti alla Siria. 

P.S. Ovviamente “Monti” o “Bersani”, la cosa non cambia.

* rete No War di Napoli



Lunedì 10 Dicembre 2012 09:26

Accelera l’escalation contro la Siria delle potenze occidentali, che sembrano decise a intervenire direttamente contro il paese dilaniato da una guerra civile che dura da quasi due anni senza che il sostegno internazionale ai ribelli abbia determinato la caduta del regime di Assad.

In particolare la stampa internazionale dà conto, nelle ultime ore, dell’attività frenetica di Gran Bretagna, Stati Uniti e Israele. Ieri il quotidiano britannico Sunday Times, citando fonti israeliane, ha scritto che unità speciali dell’esercito di Tel Aviv stanno agendo come ‘ricognitori’ in Siria con il compito di individuare armi chimiche e biologiche e di seguirne gli eventuali spostamenti. ''Nell'ultima settimana – dice la fonte, rimasta anonima - abbiamo avuto segnali di spostamenti e anche di munizioni che sono già state armate per colpire e abbiamo urgente bisogno di localizzarle''. La stessa fonte afferma che grazie ai suoi apparati di spionaggio – satelliti e droni – Israele è da anni a conoscenza dell’esatta collocazione delle armi chimiche e biologiche siriane. Ad affiancare Israele è il governo della Gran Bretagna, che da giorni ripete il mantra 'del pericolo rappresentato dalle armi chimiche in possesso di Assad'.

Ma un’altra fonte israeliana, questa volta rappresentata dal vicepremier Moshe Yaalon, contraddice questa versione dei fatti, affermando che “Non ci sono segnali che il regime siriano possa usare armi chimiche contro Israele”. Il che vorrebbe dire che i commando israeliani infiltrati in territorio siriano siano stati inviati a preparare una eventuale invasione del paese.

Rivela infatti ancora il Sunday Times che ha già preso il via un'operazione degli Stati Uniti per armare i ribelli siriani. Per la prima volta, secondo il giornale - che cita fonti diplomatiche bene informate - si avrebbero indicazioni precise sull'effettivo invio di armi agli insorti direttamente in territorio siriano. Secondo il domenicale britannico, mortai, granate e missili anti-tank viaggeranno attraverso paesi mediorientali ''amici'' che già sostengono i ribelli. Si tratterebbe per la maggior parte di armi recuperate (acquistate anche) dagli americani dagli arsenali libici di Muammar Gheddafi, deposto e assassinato un anno fa dopo l’intervento della Nato contro la Libia. Tra le armi consegnato all’Esercito Siriano Libero anche i missili anti-aerei portatili di fabbricazione russa Sa-7 'Strela', in grado di cambiare lo scenario sul terreno perché non consentirebbero più alle forze armate governative di colpire indisturbate dall'alto i miliziani ribelli.

L’altro ieri il governo siriano ha denunciato in una lettera all'Onu che ''alcuni Paesi'' potrebbero fornire armi chimiche ai ribelli spingendoli ad utilizzarle, per affermare poi che ''il governo siriano le ha usate''. Così come avvenne per l'Iraq, accusato di possedere armi di distruzione di massa – la famosa fialetta sventolata da Colin Powell all’Onu - che invece non esistevano, proprio per giustificare l'intervento armato contro il paese poi occupato e distrutto.



[ Este artículo en español: Thierry Meyssan: «Terroristas sirios fueron entrenados por el UCK en Kosovo»

Ovaj članak na cirilicom:
ТЈЕРИ МЕЈСАН, АУТОР КЊИГЕ „ВЕЛИ КАЛАЖ“, О 11. СЕПТЕМБРУ, ОСНИВАЧ И АНАЛИТИЧАР МРЕЖЕ „ВОЛТЕР“, ГОВОРИ ЗА ГЕОПОЛИТИКУ
Слободан Ерић - ГЕОПОЛИТИКА децембар 2012.



INTERVISTA ALLA RIVISTA SERBA GEOPOLITIKA

Thierry Meyssan: "I terroristi siriani sono stati addestrati dall’UCK in Kosovo"


Thierry Meyssan risponde alle domande della rivista serba Geopolitika. Ritornando sulla sua interpretazione dell’11 settembre, degli eventi in Siria e della situazione attuale in Serbia

RETE VOLTAIRE | BELGRADE (SERBIE)  | 5 DICEMBRE 2012

Geopolitika : signor Meyssan, siete diventato famoso in tutto il mondo quando è stato pubblicato il libro L’Incredibile Menzogna che mette in discussione la versione ufficiale delle autorità statunitensi sull’attentato terroristico dell’11 settembre 2001. Il suo libro ha incoraggiato altri intellettuali ad esprimere i loro dubbi su questo tragico evento. Potrebbe brevemente dire ai nostri lettori che cosa è realmente accaduto l’11 settembre, cosa è successo o cosa è esploso sul Pentagono: si trattava di un aereo, che vi si è schiantato, o di qualcosa d’altro? Che cosa è successo con gli aerei che si sono schiantati contro le torri gemelle, e in particolare nel terzo edificio vicino alle torri? Qual è il contesto più profondo dell’attacco, che ha avuto un impatto globale e ha cambiato il Mondo?
Thierry Meyssan: E’ sorprendente che la stampa mondiale abbia ripreso la versione ufficiale, da un lato perché è assurdo, dall’altra parte perché non riesce a spiegare alcuni fatti. L’idea che un tossicodipendente, nascosto in una grotta in Afghanistan, e venti individui, armati di taglierini, possano distruggere il World Trade Center e colpire il Pentagono prima che l’esercito più potente del Mondo avesse il tempo di reagire, non è nemmeno degna di un fumetto.
Ma la storia più grottesca è che pochi giornalisti occidentali si pongono delle domande. Inoltre, la versione ufficiale ignora la speculazione sul mercato azionario sulle aziende vittime degli attacchi, l’incendio di un edificio annesso alla Casa Bianca, o il crollo della terza torre del World Trade Center, quel pomeriggio. Tutti eventi che non sono nemmeno menzionati nella relazione finale della Commissione presidenziale d’inchiesta.
Nel merito, non si parla della cosa più importante di quel giorno: dopo l’attacco al World Trade Center, il piano di continuità del governo è stato attivato illegalmente. Esiste una procedura in caso di guerra nucleare. Se vi fosse l’annientamento delle autorità civili e militari, verrebbe instaurato un governo alternativo. Intorno alle 10:30, il piano venne attivato anche se le autorità civili erano ancora in grado di esercitare le loro responsabilità. Il potere passò ai militari che lo restituirono ai civili solo intorno alle 16:30.
Durante questo periodo, dei commando raccolsero quasi tutti i membri del Congresso e i funzionari di governo, per metterli in salvo nei rifugi nucleari. Quindi ci fu un colpo di stato militare di un paio d’ore, giusto il tempo per i golpisti per imporre una propria linea politica: uno stato di emergenza permanente all’interno e l’imperialismo globale all’estero.
Il 13 settembre, il Patriot Act venne presentato al Senato. E non si tratta di una legge, ma di un sostanzioso codice antiterrorismo la cui redazione venne effettuata in segreto per due o tre anni. Il 15 settembre, il presidente Bush approvò il piano della "matrice mondiale", che istituiva un sistema globale di rapimenti, prigioni segrete, torture e omicidi. Nella stessa riunione, venne approvato un piano di attacchi in successione a Afghanistan, Iraq, Libano, Libia, Siria, Somalia, Sudan e Iran. Si può vedere che la metà del programma è già stata completata. Questi attacchi, il colpo di stato e i crimini successivi sono stati organizzati da quello che dovrebbe essere chiamato Stato profondo (questa espressione viene usata per descrivere il potere segreto militare in Turchia o in Algeria).
Questi eventi sono stati progettati da un gruppo molto ristretto: gli straussiani, vale a dire, i discepoli del filosofo Leo Strauss. Queste sono le stesse persone che hanno indotto il Congresso degli Stati Uniti al riarmo nel 1995, e che ha organizzato lo smembramento della Jugoslavia. Dobbiamo ricordare, ad esempio, che Alija Itzetbegovic ebbe come consulente politico Richard Perle, come consigliere militare Usama bin Ladin e come consulente mediatico Bernard-Henri Lévy.
Geopolitika: Il suo libro e il suo atteggiamento anti-americano, espresso liberamente sulla rete indipendente Voltaire, sono stati la fonte di problemi che avete avuto personalmente con l’amministrazione dell’ex presidente francese, Nicolas Sarkozy. Puoi dirci un po’ di più? Infatti, nell’articolo che ha scritto su Sarkozy, dal titolo "Operazione Sarkozy: come la CIA ha messo uno dei suoi agenti alla presidenza della Repubblica francese", ha inserito informazioni sensibili che ricordano dei thriller politico-criminali.
Thierry Meyssan: Non sono antiamericano. Io sono un antiimperialista e penso che anche il popolo degli Stati Uniti sia una vittima dei suoi leader politici. Ho scoperto che Nicolas Sarkozy ha vissuto la sua adolescenza a New York, presso l’ambasciatore Frank Wisner Jr. Questo personaggio è uno dei più grandi dirigenti della CIA, che è stata fondata dal padre, Frank Wisner Sr. Ne consegue che la carriera di Nicolas Sarkozy è stata interamente determinata dalla CIA. Non vi è quindi da stupirsi che, diventato presidente della Repubblica francese, abbia difeso gli interessi di Washington e non quelli francesi.
I Serbi hanno familiarità con Frank Wisner Jr., è lui che ha organizzato l’indipendenza unilaterale del Kosovo come rappresentante speciale del Presidente degli Stati Uniti. Ho spiegato tutto questo in dettaglio nel corso di un discorso al Media Forum Euroasiatico (in Kazakistan) e mi è stato chiesto di svilupparlo in un articolo per Odnako (Russia). Accadde che, per un capriccio del momento, venisse pubblicato durante la guerra in Georgia, quando Sarkozy si recò a Mosca. Il primo ministro Vladimir Putin mise la rivista sul tavolo prima di iniziare a chiacchierare con lui. Questo, ovviamente, non ha migliorato il mio rapporto con Sarkozy.
Geopolitika: signor Meyssan, qual è la situazione attuale in Siria, la situazione sul fronte e la situazione nella società siriana? L’Arabia Saudita e il Qatar, così come i paesi occidentali, che vogliono rovesciare il sistema politico del presidente Bashar Assad con forza, sono vicine a realizzare il loro obiettivo?
Thierry Meyssan: dei 23 milioni di siriani, 2-2,5 milioni sosterrebbero i gruppi armati che cercano di destabilizzare il paese e indebolire il suo esercito. Hanno preso il controllo di diverse città e vaste zone rurali. In ogni caso, questi gruppi armati non saranno in grado di rovesciare il regime. Il piano prevedeva che le prime azioni terroristiche occidentali creassero un ciclo di provocazione/repressione per giustificare un intervento internazionale, sul modello terrorismo dell’UCK e repressione di Slobodan Milosevic, seguito dall’intervento della NATO.
Indichiamo di passaggio, che è stato dimostrato che dei gruppi che combattono in Siria sono stati addestrati al terrorismo dai membri dell’UCK in Kosovo. Questo piano non è riuscito perché la Russia di Vladimir Putin non è quella di Boris Eltsin. Mosca e Pechino non hanno permesso alla NATO di intervenire e da allora la situazione marcisce.
Geopolitika: Che cosa otterrebbero Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Arabia Saudita e Qatar, abbattendo il presidente al-Assad?
Thierry Meyssan: ciascuno Stato membro della coalizione ha un suo interesse in questa guerra, e ritiene di poterlo soddisfare, anche se questi interessi sono talvolta contraddittori.
A livello politico, c’è il desiderio di spezzare l’"Asse della resistenza al sionismo" (Iran-Iraq-Siria-Hezbollah-Palestina). C’è anche il desiderio di continuare il "rimodellamento del Grande Medio Oriente." Ma la cosa più importante è di natura economica: si sono scoperte enormi riserve di gas naturale nella parte sud-orientale del Mediterraneo. Il centro di questo giacimento è vicino Homs in Siria (più precisamente, Qara).
Geopolitika: Puoi dirci un po’ di più della ribellione di al-Qaida in Siria, i cui rapporti con gli Stati Uniti sono in contraddizione, a dir poco, se si guardano le loro azioni sul campo? Lei ha detto in un’intervista che il rapporto tra Abdelhakim Belhadj e la NATO è stato quasi istituzionalizzato. Al-Qaida per chi combatte in realtà?
Thierry Meyssan: Al-Qaida era in origine il nome dei database, dei file di computer, dei mujahidin arabi inviati a combattere in Afghanistan contro i sovietici. Per estensione, si sono denominati al-Qaida gli ambienti jihadisti in cui sono stati reclutati questi mercenari.
Poi con al-Qaida è stata designata la cerchia di bin Ladin e, per estensione, tutti i gruppi che nel Mondo sostengono l’ideologia di bin Ladin. Secondo il momento e le esigenze, questo movimento è stato più o meno numeroso. Durante la prima guerra in Afghanistan, la guerra in Bosnia e le guerre in Cecenia, questi mercenari erano dei "combattenti per la libertà", poiché combattevano contro gli slavi. Poi, durante la seconda guerra in Afghanistan e l’invasione dell’Iraq, erano dei "terroristi" perché stavano attaccando i GI.
Dopo la morte ufficiale di bin Ladin, sono ancora una volta diventati "combattenti per la libertà" durante le guerre in Libia e Siria, perché combattono a fianco della NATO. In realtà, questi mercenari sono sempre stati controllati dal clan Sudeiri, la fazione pro-USA e arci-reazionaria della famiglia reale saudita, e più in particolare, dal principe Bandar bin Sultan. Uno che George Bush padre ha sempre presentato come il suo "figlio adottivo" (vale a dire, il figlio intelligente che il padre avrebbe voluto avere), che non mai smesso di lavorare per conto della CIA.
Anche quando al-Qaida combatteva i soldati in Afghanistan e in Iraq, lo era ancora nell’interesse degli Stati Uniti perché poteva giustificarne la presenza militare. Si scopre che negli ultimi anni, i libici hanno formato l’ossatura di al-Qaida. La NATO naturalmente li ha utilizzati per rovesciare il regime di Muammar al-Gheddafi.
Una volta che questo è stato fatto, hanno nominato il numero due dell’organizzazione, Abdelhakim Belhaj, governatore militare di Tripoli, anche se è ricercato dalla giustizia spagnola per la sua presunta responsabilità negli attentati di Madrid. In seguito, hanno mandato i suoi uomini a combattere in Siria. Per trasportarli, la CIA ha usato le risorse del Commissariato per i Rifugiati di Ian Martin, rappresentante speciale di Ban Ki-Moon in Libia.
I cosiddetti rifugiati sono stati portati in Turchia, nei campi che servono come basi per attaccare la Siria e il cui accesso è stato vietato ai parlamentari e alla stampa turchi. Ian Martin è noto anche ai vostri lettori: è stato il Segretario Generale di Amnesty International e Alto rappresentante del Commissario per i diritti umani in Bosnia-Erzegovina.
Geopolitika: La Siria è al centro non solo di una guerra civile, ma della manipolazione e della guerra mediatica. Vi chiediamo come testimone diretto, presente sul terreno, cosa è realmente accaduto a Homs e Hula?
Thierry Meyssan: Non sono un testimone diretto di ciò che è successo a Houla. Per contro, mi sono fidato di terze parti, nei negoziati tra le autorità siriane e francesi, durante l’assedio dell’emirato islamico di Bab Amr. I jihadisti erano trincerati in questa zona di Homs, da cui avevano cacciato gli infedeli (cristiani) e gli eretici (sciiti). In effetti, solo 40 famiglie sunnite sono state lasciate tra circa 3.000 combattenti. Avevano introdotto la sharia, e un "tribunale rivoluzionario" ha condannato più di 150 persone, che furono uccise in pubblico.
Quest’auto-proclamato emirato era segretamente gestito da ufficiali francesi. Le autorità siriane volevano evitare il bombardamento e negoziarono con le autorità francesi affinché i ribelli si arrendessero. In definitiva, i francesi poterono lasciare la città di notte e fuggire in Libano, mentre le forze lealiste entravano nell’emirato e i combattenti si arrendevano. Lo spargimento di sangue fu evitato, ci furono meno di 50 morti, in ultima analisi, durante l’operazione.
Geopolitika: A parte gli alawiti, anche i cristiani vengono presi di mira in Siria. Puoi dirci un po’ di più sulla persecuzione dei cristiani in questo paese e perché la cosiddetta civiltà occidentale, le cui radici sono cristiane, non si mostra solidale con i propri correligionari?
Thierry Meyssan: I jihadisti per primo aggrediscono coloro che sono più vicini a loro: in primo luogo i sunniti e sciiti (compresi alawiti) progressisti, e solo dopo i cristiani. In generale, torturano e uccidono pochi cristiani. Per contro, li espellono e li derubano sistematicamente. Nella regione in prossimità del confine con il nord del Libano, l’esercito libero siriano ha concesso una settimana ai cristiani per fuggire. C’è stato un esodo di 80.000 persone. Coloro che non sono fuggiti in tempo sono stati massacrati. Il cristianesimo è stato fondato da San Paolo a Damasco. Le comunità siriane sono più antiche di quelle occidentali.
Hanno mantenuto gli antichi riti e una fede molto forte. La maggior parte è ortodossa. Coloro che sono legati a Roma hanno mantenuto i loro riti ancestrali.
Durante le Crociate, i cristiani d’Oriente combatterono con gli altri arabi contro i soldati inviati dal Papa. Oggi, stanno combattendo con i loro compagni contro i jihadisti inviati dalla NATO.
Geopolitika: E’ possibile aspettarsi un attacco contro l’Iran il prossimo anno, e in caso di un intervento militare, quale sarà il ruolo di Israele? Un attacco nucleare è il vero scopo di Tel Aviv, o Israele viene spinto in questa avventura da una struttura globalista, interessata a una ampia destabilizzazione delle relazioni internazionali?
Thierry Meyssan: L’Iran supporta una rivoluzione. Questo è l’unico grande paese che offre un modello alternativo di organizzazione sociale all’American Way of Life. Gli iraniani sono un popolo mistico e perseverante. Ha insegnato agli arabi l’arte della resistenza e dell’opposizione al progetto sionista, non solo nella regione, ma in tutto il Mondo. Detto questo, nonostante la sua furia, Israele non è in grado di attaccare l’Iran. E gli Stati Uniti hanno rinunciato ad attaccarlo. Si tratta di una nazione di 75 milioni di abitanti, dove tutti aspirano a morire per il proprio paese. Mentre l’esercito israeliano è composto da giovani la cui esperienza militare si limita al tormento dei palestinesi, e l’esercito statunitense è composto da disoccupati che non hanno intenzione di morire per una paga misera.
Geopolitika: Come vede il ruolo della Russia nel conflitto siriano e come vede il ruolo del presidente della Russia, Vladimir Putin, che viene ampiamente demonizzato dai media occidentali?
Thierry Meyssan: La demonizzazione del presidente Putin sulla stampa occidentale è l’omaggio del vizio alla virtù. Dopo aver raddrizzato il suo paese, Vladimir Putin intende rimetterlo al suo posto nelle relazioni internazionali. Ha basato la sua strategia sul controllo di quello che dovrebbe essere la principale fonte di energia nel XXI secolo: il gas. Già Gazprom è diventata la prima società gasifera mondiale e la Rosneft è la prima petrolifera. Ovviamente, non ha intenzione di lasciare che gli Stati Uniti mettano le mani sul gas siriano, e non lascerà che l’Iran utilizzi il proprio gas senza controllo. Di conseguenza, è dovuto intervenire in Siria e allearsi con l’Iran. Inoltre, la Russia sta diventando il principale garante del diritto internazionale, mentre gli occidentali sostengono, in nome della paccottiglia moralistica, di poter violare la sovranità delle nazioni.
Quindi non bisogna temere la potenza russa, perché serve la legge e la pace. A giugno, Sergej Lavrov ha negoziato un piano di pace a Ginevra. E’ stato rinviato unilateralmente dagli Stati Uniti, ma in definitiva dovrebbe essere attuato da Barack Obama durante il suo secondo mandato. Esso prevede il dispiegamento di una forza di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, composto prevalentemente da truppe della CSTO. Inoltre, permette la continuazione del potere di Bashar al-Assad, se il popolo siriano lo decide attraverso le urne.
Geopolitika: Cosa ne pensa della situazione in Serbia e del difficile cammino percorso dai serbi negli ultimi due decenni?
Thierry Meyssan: la Serbia è stata esaurita da una serie di guerre che ha affrontato, in particolare la conquista del Kosovo da parte della NATO. E’ davvero una guerra di conquista, in quanto si concluse con l’amputazione del paese e il riconoscimento unilaterale da parte della NATO dell’indipendenza di Camp Bondsteel, vale a dire di una base della NATO. La maggioranza dei serbi ha pensato a un avvicinamento all’Unione europea. Ignorando che l’Unione europea è la faccia civile di un’unica entità di cui la NATO è la faccia militare.
Storicamente l’UE è stata creata in riferimento alle clausole segrete del Piano Marshall, che precedette la NATO, ma è comunque parte dello stesso piano di dominio anglosassone. Può essere che la crisi dell’euro porti alla dissoluzione dell’Unione europea. In questo caso, Stati come Grecia e Serbia si volgeranno spontaneamente verso la Russia, con la quali condividono molti elementi culturali e la stessa domanda di giustizia.
Geopolitika: Si consiglia alla Serbia, in modo più o meno diretto, a rinunciare al Kosovo per poter entrare nell’Unione europea. Lei ha una grande esperienza delle relazioni internazionali, e noi sinceramente Le chiediamo se può darci consigli su cosa dovrebbero fare i serbi in politica interna ed estera?
Thierry Meyssan: Non ho consigli da dare a nessuno. Da parte mia mi dispiace che alcuni Stati abbiano riconosciuto la conquista del Kosovo da parte della NATO. Dal momento che il Kosovo è diventato il fulcro, per lo più, della diffusione in Europa della droga coltivata in Afghanistan sotto la vigile protezione delle truppe statunitensi. Nessun popolo otterrà nulla da questa indipendenza e di certo non i kosovari, ormai ridotti in schiavitù dalla mafia.
Geopolitika: Esisteva tra la Francia e la Serbia una forte alleanza che ha perso senso, quando la Francia ha partecipato al bombardamento della Serbia nel 1999, nel quadro della NATO. Tuttavia, in Francia e Serbia vi sono ancora persone che non hanno dimenticato "l’amicizia delle armi" della prima guerra mondiale, e che pensano che dovrebbero ripristinare la vita spezzata di queste relazioni culturali. Lei condivide questo punto di vista?
Thierry Meyssan: Sapete che uno dei miei amici, con i quali ho scritto Pentagate: L’attacco al Pentagono dell’11 settembre con un missile e non con un aereo fantasma, è il comandante Pierre-Henri Bunel. Venne arrestato durante la guerra della NATO per spionaggio a favore della Serbia. Successivamente, è stato estradato in Francia, processato e condannato a due anni di carcere, invece che a vita. Questo verdetto dimostra che in realtà ha agito su ordine dei suoi superiori.
La Francia, membro della NATO, è stata costretta a partecipare all’attacco alla Serbia. Ma lo ha fatto di malavoglia e spesso aiutando segretamente la Serbia che ha bombardato. Oggi, la Francia è in una situazione ancora peggiore. E’ governata da una élite che per proteggere i propri vantaggi economici, si è posta al servizio di Washington e Tel Aviv. Spero che i miei compatrioti, che hanno una lunga storia rivoluzionaria, alla fine caccino queste élite corrotte. E nello stesso tempo, la Serbia riacquisti un’indipendenza effettiva. Così i nostri due popoli si ritroveranno spontaneamente.
Geopolitika: La ringrazio molto per il tempo concessoci.



(english / francais / srpskohrvatski.

A proposito del paradossale conferimento del Premio Nobel per la Pace alla Unione Europea, il Consiglio Mondiale per la Pace -WPC- ha emesso un duro comunicato nel quale si stigmatizza il carattere imperialista della stessa UE. Sull'argomento pubblichiamo anche una intervista alla storica Annie Lacroix-Riz ed il secco comunicato del PC d'Irlanda. Rimandiamo inoltre ai nostri post recenti:


Na dodjelu Nobelove nagrade Europskoj Uniji

1) Reakcija Svjetskog Mirovnog Vijeća (WPC) na dodjelu Nobelove nagrade za mir Europskoj Uniji: "EU se ponaša kao imperijalistička sila"
2) Statement of the WPC Regional Meeting, held in Brussels October 29-30, 2012, on the award of the Nobel Peace Prize to the European Union
3) Annie Lacroix-Riz éclaire l’absurdité du Prix Nobel de la paix attribué à l’UE
4) Communist Party of Ireland Statement: Words mean what I want them to mean say EU elites


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Isto procitaj: Kapuralin: Dodjela Nobelove nagrade za mir EU upitna!



Reakcija Svjetskog Mirovnog Vijeća (WPC) na dodjelu Nobelove nagrade za mir Europskoj Uniji: "EU se ponaša kao imperijalistička sila"


advance.hr
vrijeme objave: Ponedjeljak - 10. Prosinac 2012


O DODJELI NOBELOVE NAGRADE ZA MIR EUROPSKOJ UNIJI

U reakciji na najavu o dodjeli Nobelove nagrade za mir Europskoj uniji, članice organizacije Svjetskog mirovnog vijeća WPC (World Peace Council) ne mogu a da ne podsjete:

- Da je tijekom posljednjih nekoliko desetljeća Europska unija sprovodila proces militarizacije, koji je ubrzan 1999.godine, nakon što je odigrala presudnu ulogu u brutalnom raspadu Jugoslavije i kasnije, u brutalnoj vojnoj agresiji protiv nje, koji je kulminirao procesom secesije srpske provincije Kosovo protivno međunarodnom pravu;

- Da je nakon NATO samita održanog u Washingtonu 1999. godine, Europskoj uniji dodijeljena stupna uloga tog vojno-političkog bloka predvođenog Sjedinjenim američkim državama. Ta je uloga od tada učvršćivana i jačana, od 2002. godine primjenom Lisabonskog ugovora. Treba imati na umu da je 21 zemlja Europske unije ujedno i članica NATO saveza;

- Da je tijekom proteklih nekoliko desetljeća Europska unija vodila i potpirala sve vojne agresije NATO-a i/ili njegovih članica protiv suvereniteta i nacionalne neovisnosti raznih zemalja, poput Jugoslavije, Iraka, Afganistana, Libije i Sirije koja je sada u toku, kao i brutalni režim sankcija koji su teško pogodili narode više zemalja;

- Da se Europska Unija zalaže i poduzima akcije, koje su u suprotnosti sa Poveljom Ujedinjenih Naroda o poštivanju suvereniteta i nemješanja u unutarnje poslove zemalja, naprotiv, promiče i jača nemilosrdnu militarizaciju u međunarodnim odnosima, popuštajući pred kršenjem ljudskih prava, poput tzv. "CIA-inih letova" i njihovim kriminalnim otmicama i aktima mučenja; 

U tom kontekstu naša organizacija smatra, u najmanju ruku, upitnom dodjelu Nobelove nagrade za mir Europskoj uniji za njen doprinos unapređenju mira i pomirbe, demokracije i ljudskih prava u Europi, kako što je naveo Norveški Nobelov komitet prilikom objave priznanja.

Štoviše, u vrijeme kad se u Europi suočavamo sa razvojem situacije koja rezultira rastom nejednakosti i socijalne nepravde, a odnosi među državama temelje na ekonomskoj, pa čak i političkoj dominaciji jednih država nad drugima, stvarnost je daleko od bratstva među nacijama ili kongresa mira, o čemu Alfred Nobel govori kao o kriterijima za dodjelu Nobelove nagrade, u svojoj oporuci 1895. Godine. 

Europska Unija je daleko od ostvarenja tzv. misije propagiranog mira,demokracije,ljudskih prava u ostalim dijelovima svijeta, što si pripisuju, upravo suprotno, Europska Unija ponaša se kao imperijalistička sila. 

Mir u Europi uslijedio je nakon pobjede naroda u II sv. ratu, za kojim su čeznuli milijuni ljudi, mnogi od njih uključeni u snažan i široki mirovni pokret, koji je započet i razvijan nakon 1945. Godine.

Stvarnost i svrha objave Europske Unije je daleko od vrijednosti i principa proklamiranih i utvrđenih na historijskoj konferenciji održanoj u Helsinkiju 1975. Godine, kao što su: poštivanje suverenosti, suzdržavanje od prijetnje upotrebe sile, poštivanje teritorijalnog integriteta, mirno rješavanje sukoba, nemiješanje u unutrašnje poslove zemalja, poštivanje ljudskih prava i temeljnih sloboda, pravo samo-opredjeljenja naroda i suradnja među državama zasnovana na vrijednostima i načelima povelje Ujedinjenih Naroda.

Upravo poput 2009. Godine, prilikom predaje Nobelove nagrade za mir Baracku Obami, novoizabranom predsjedniku SAD, sadašnja Nobelova nagrada za mir dodijeljena Europskoj Uniji ne doprinosi vjerodostojnosti i ugledu ove nagrade. 


Apendix:

Izjava je usvojena na regionalnoj konferenciji WPC za Europu, održanoj od 29-30 listopada u Bruxellesu. 

U mnoštvu različitih subjekata koji se suprotstavljaju globalnim hegemonima, koji proizvode i generiraju krize, institucionalni terorizam, nasilna svrgavanja legalnih vlasti u suverenim državama, koje imaju za cilj ovladavanje prirodnih resursa pojedinih zemalja i čitavih regija uz pomoć instaliranih poslušnika, svojom se masovnošću i organiziranošću ističe World Peace Concil – WPC, odnosno Svjetsko mirovno vijeće.
World Peace Concil je međunarodna mirovna anti-imperijalistička organizacija koja se zalaže za mirnu koegzistenciju među državama i narodima, razoružanje, zabranu oružja za masovno uništenje. Dio je međunarodnog mirovnog pokreta i djeluje u suradnji sa drugim međunarodnim i nacionalnim pokretima sa sjedištem u više od 100 država. Pod sadašnjim imenom djeluje od 1950. Godine, mada derivira iz nekoliko mirovnih kongresa održanih u razdoblju od 1948 – 1949 u Wroclawu, Parizu i Pragu.
Prvi predsjednik bio je Jean Frédéric Joliot-Curie, zet Pierra i Marie Curie i dobitnik Nobelove nagrade za kemiju 1935. Godine.
Aktualna predsjednica je Socorro Gomes iz brazilskog Centra za solidarnost među narodima i borbe za mir - CEBRAPAZ. Sjedište organizacije je od 1999. Godine u Grčkoj.

Socijalistička radnička partija jedini je subjekt iz Hrvatske, koji održava tijesnu višegodišnju suradnju sa WPC. Ukoliko postoji još organizacija i udruga u Hrvatskoj ili okruženju koje to žele, voljni smo pomoći pri uspostavi kontakta.

9. XII 2012.
Kapuralin Vladimir


=== 2 ===


Statement of the WPC Regional Meeting, held in Brussels October 29-30,2012 

On the award of the Nobel Peace Prize to the European Union


In reaction to the announcement of the award of the Nobel Peace prize to the European Union, the World Peace Council member organizations, cannot fail to recall:

That during the past decades the European Union has led a process of militarisation, sped up since 1999, after having played a crucial role in the violent breakup of Yugoslavia and, later on, in the brutal military aggression against this country, culminating in a process of secession of the Serbian Province of Kosovo in defiance of international law.

That since the NATO Summit held in Washington, in 1999, the European Union has been given the role of the European pillar of this political­military bloc led by the USA. A role that since then has been asserting itself and strengthening, namely since 2002 and with the adoption of the Lisbon Treaty. It should be remembered that 21 European Union countries are NATO members.

That over the past decades, the European Union has led and supported all military aggressions by NATO and/or its members against the sovereignty and national independence of various States, like Yugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libya and now Syria, as well as violent regimes of sanctions that hit hard the peoples of several countries;

That the European Union has taken stands and actions that go against the principles set down in the United Nations Charter of respect for the sovereignty of the States and non­intervention in their internal affairs, and on the contrary, promote an increasing and relentless militarisation of international relations, being complaisant with the violation of human rights as was the case, for example, of the so­called «CIA flights» ­their criminal kidnappings and acts of torture; In this context, our organizations consider, to call the least, questionable the award of the Nobel Peace prize to the European Union (EU) for its contribution to the advancement of peace and reconciliation, democracy and human rights in Europe, as stated by the Norwegian Nobel Committee when it announced the prize.

Much more so, at a time when in the European Union we have the growth of a number of situations and developments that have resulted in an increase of inequalities and social injustice and of relations among States based on economic, and even, political domination by some States over others a reality far from the proclaimed fraternity among nations or the congress of peace that Alfred Nobel spoke about as a criterion for the Nobel Peace Prize in his 1895 will.

The European Union is far from accomplishing the so­called mission of propagating peace, democracy, human rights in the rest of the world that some claim to attribute, quite the contrary, the European Union behaves as an imperialist force. Peace in Europe was a victory of the peoples following World War II, in which weighed the aspiration for peace of millions of citizens, many of them activists from the strong and broad movement for peace that began and developed after 1945.

The reality and purposes anounced by the European Union are far removed from the values and principles proclaimed and established by the historic Helsinki Conference, held in 1975, such as: respect for sovereignty; refraining from the threat or use of force; respect for the territorial integrity of the States; peaceful settlement of conflicts; non­intervention in the internal affairs of the States; respect for human rights and fundamental freedoms; right to self­determination of the peoples; and cooperation among States values and principles set down in the United Nations Charter.

Just as in 2009, with the handing of the Nobel Peace prize to Barack Obama, then newly elected President of the USA, the Nobel Peace prize now awarded to the European Union does not contribute to give credibility and prestige to this award.


The Organisations of the European section of the WPC voice their protest against the award of the 2012 Nobel Peace Prize to the European Union, and call on all WPC member and friendly organizations to also voice their protest, namely on December 10th when the award is presented.



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Une historienne éclaire l’absurdité du Prix Nobel de la paix attribué à l’UE


Annie Lacroix-Riz, historienne, est professeur émérite d’histoire contemporaine à l’Université Paris-VII – Denis Diderot. Auteur de nombreux ouvrages, elle a notamment étudié les origines et les parrains de la Communauté européenne (lire en particulier : L'intégration européenne de la France : la tutelle de l'Allemagne et des États-Unis, Paris, Le Temps des Cerises, 2007). Lorsque jury Nobel de la paix a annoncé le 12 octobre que son choix se portait cette année sur l’Union européenne, BRN a souhaité recueillir sa réaction et son éclairage.



Interview publiée dans le mensuel Bastille-République-Nations daté du 29/10/12

Informations et abonnements : www.brn-presse.fr

 

BRN – L’Union européenne s’est vu décerner cette année le Prix Nobel de la paix. Quelle a été votre première réaction à l’annonce du jury d’Oslo ?

 

ALR – L’information pouvait d’abord être prise pour un canular. Mais dans notre univers de l’absurde, une telle distinction est dans la droite ligne des choix du jury Nobel dans la dernière période. Cette décision n’en bat pas moins des records de ridicule, tant au regard des pratiques actuelles que des origines de l’UE.

 

BRN – Des pratiques actuelles que vous jugez bellicistes…

 

ALR – Pour l’heure, elle joue le rôle de petit soldat de l’OTAN, comme elle l’a fait dès sa naissance. L’UE en tant que telle ou nombre de ses membres sont impliqués dans quasiment toutes les guerres dites périphériques depuis vingt ans.

 

BRN – Cependant, en tant qu’historienne, vous insistez plus particulièrement sur les origines tout sauf pacifiques de l’UE. Pourriez-vous préciser cette analyse ?

 

ALR – Les archives, sources par excellence de la recherche historique, permettent seules de décortiquer ses véritables origines et objectifs, qui excluent la thèse d’une prétendue « dérive » récente de l’UE, dont on nous rebat les oreilles.

 

BRN – Vous évoquez en particulier la « déclaration Schuman », du 9 mai 1950, souvent décrite comme l’acte fondateur de l’« aventure européenne »…

 

ALR – Oui, et ses circonstances précises méritent examen. Le lendemain même – le 10 mai 1950, donc – devait avoir lieu à Londres une très importante réunion de la jeune OTAN (organisation de l’Alliance atlantique, elle-même fondée un an plus tôt). A l’ordre du jour figurait le feu vert officiel au réarmement de la République fédérale d’Allemagne (RFA), que Washington réclamait bruyamment depuis deux ans (1948). Les structures et officiers de la Wehrmacht avaient été maintenus dans diverses associations de façade. Mais quatre ans après l’écrasement du nazisme, un tel feu vert atlantique était quasi impossible à faire avaler aux populations, en France notamment. La création de la Communauté du charbon et de l’acier (CECA) annoncée par le ministre français des Affaires étrangères Robert Schuman a ainsi permis d’esquiver ou de retarder l’annonce officielle, requise par les dirigeants américains, du réarmement en cours.

 

BRN – Qu’est-ce qui motivait cette stratégie américaine ?

 

ALR – Dès mars 1947, dans son célèbre « discours au Congrès », le président Truman demanda des crédits pour sauver la Grèce et la Turquie « attaquées », forcément par l’URSS (dont le nom n’était pas prononcé). Ce faisant, il entamait en grand l’encerclement politico-militaire de cette dernière. De fait, c’est entre 1942 et 1945 que Washington avait préparé l’affrontement futur contre ce pays, pour l’heure allié militaire crucial pour vaincre l’Allemagne (1). Une pièce majeure de cet affrontement était la constitution d’une Europe occidentale intégrée.

 

BRN – Ce sont donc les dirigeants américains qui ont poussé à l’intégration européenne ?

 

ALR – Oui. Washington entendait imposer une Europe unifiée sous tutelle de la RFA, pays dont les structures capitalistiques étaient les plus concentrées, les plus modernes, les plus liées aux Etats-Unis (qui y avaient investi des milliards de dollars dans l’entre-deux-guerres) et les moins détruites (80% du potentiel industriel était intact en 1945). Cette Europe serait dépourvue de toute protection à l’égard des exportations et des capitaux américains : les motivations des dirigeants d’outre-Atlantique étaient non seulement géostratégiques mais aussi économiques.

 

BRN – Comment ces derniers s’y sont-ils pris ?

 

ALR – Ils ont harcelé leurs alliés ouest-européens, pas vraiment enthousiastes à l’idée d’être aussi vite réunis avec l’ennemi d’hier. Et ils ont sans répit usé de l’arme financière, en conditionnant l’octroi des crédits du « Plan Marshall » à la formation d’une « entité » européenne intégrée, condition clairement formulée par le discours de Harvard du 5 juin 1947.

 

BRN – Mais quel était l’état d’esprit des dirigeants ouest-allemands ?

 

ALR – De 1945 à 1948, avant même la création officielle de la RFA, ils n’ont eu de cesse de se poser en « meilleurs élèves de l’Europe », suivant une stratégie mûrement calculée : toute avancée de l’intégration européenne équivalait à un effacement progressif de la défaite, et constituait un gage de récupération de la puissance perdue. Ainsi ressurgissait le thème de l’« égalité des droits » de l’après-guerre précédent.

 

BRN – Voilà une affirmation audacieuse…

 

ALR – C’était l’analyse des diplomates français d’alors, en poste en général depuis l’avant-guerre et lucides sur ce qu’ils ressentaient comme un péril, comme le montrent leurs notes et mises en gardeofficieuses. Car, officiellement, le discours était de saluer l’horizon européen radieux.

 

BRN – Pouvez-vous préciser cet « effacement progressif de la défaite » attendu par les élites de Bonn ?

 

ALR – Celles-ci ont vite obtenu l’abandon des limitations de production imposées par les accords de Yalta et de Potsdam : en fait, dès 1945 dans les zones occidentales ; en droit, dès le lancement publicitaire du Plan Marshall, à l’été 1947. Les dirigeants ouest-allemands ont repris le discours d’entre-deux-guerres de Gustav Stresemann (ministre des Affaires étrangères de 1923 à 1929) et du maire de Cologne Adenauer : les « accords de Locarno » (1925) garantirent – sur le papier – les frontières occidentales de l’Allemagne (pas les orientales), motivant l’attribution à Stresemann, en 1926, et à son collègue français Briand… du Prix Nobel de la paix. Berlin entonna le refrain du rapprochement européen avec pour condition expresse l’égalité des droits (« Gleichberechtigung »). C’est à dire l’abandon des clauses territoriales et militaires du traité de Versailles : récupération des territoires perdus en 1918 (et Anschluss prétendument « européen » de l’Autriche), et levée de l’interdiction des industries de guerre.

 

BRN – Peut-on pour autant établir le parallèle avec la RFA d’après la seconde guerre mondiale ?

 

ALR – Le diplomate français Armand Bérard câble à Schuman en février 1952 que Konrad Adenauer (premier chancelier de la RFA, de 1949 à 1963) pourra, en s’appuyant sur la « force supérieure (mise…) en ligne  » par les Américains contre l’URSS, contraindre celle-ci « à un règlement dans lequel elle abandonnera les territoires d’Europe centrale et orientale qu’elle domine actuellement » (RDA et Autriche incluses). Extraordinaire prévision de ce qui se réalisa près de quatre décennies plus tard…

 

BRN – Si l’on reprend votre analyse, l’Union européenne a donc été lancée sur injonction américaine, et soutenue avec détermination par les dirigeants ouest-allemands pour leurs objectifs propres…

 

ALR – Oui, ce qui nous place à des années-lumière des contes à l’eau de rose en vogue sur les « pères de l’Europe » taraudés par le « plus jamais ça » et exclusivement soucieux de construire l’« espace de paix » que les jurés Nobel ont cru bon d’honorer. A cet égard, il faut prendre en compte d’autres acteurs, au rôle déterminant dans l’intégration européenne.

 

BRN – Le Vatican ?

 

ALR – On évoque peu son rôle géopolitique dans la « construction européenne » du XXe siècle, mais après la seconde guerre mondiale, les dirigeants américains l’ont, encore plus qu’après la première, considéré comme un auxiliaire crucial. En outre, depuis la fin du XIXe siècle, et plus que jamais depuis la Première Guerre mondiale avec Benoît XV (pape de 1914 à 1922), les liens entre Reich et Vatican ont façonné le continent (Est compris), comme je l’ai montré dans l’ouvrage Le Vatican, l'Europe et le Reich. Globalement avec l’aval des Etats-Unis – sauf quand les rivalités (économiques) germano-américaines devenaient trop fortes. De fait, les relations du trio se compliquent quand les intérêts des dirigeants d’Outre-Atlantique et d’Outre-Rhin divergent trop. Dans ce cas, la préférence du Vatican va toujours à l’Allemagne. Le maximum de tension a donc été atteint au cours des deux guerres mondiales.

 

BRN – Précisément, vous décrivez une Europe voulue par Washington et Bonn (puis Berlin). Mais ces deux puissances n’ont pas nécessairement des intérêts qui coïncident…

 

ALR – Absolument. Et ces contradictions, perceptibles dans les guerres des Balkans de 1992 à 1999 (Michel Collon l’a écrit dans son ouvrage de 1997, Le grand échiquier), s’intensifient avec l’aggravation de la crise. Raison supplémentaire pour douter des effets « pacifiques » de l’intégration européenne.

 

BRN – Celle-ci est également promue par des dirigeants d’autres pays, comme la France.

 

ALR – François Bloch-Lainé, haut fonctionnaire des Finances devenu grand banquier, fustigeait en 1976 la grande bourgeoisie toujours prompte à « exploiter les malheurs de la patrie ». Du Congrès de Vienne (1815) à la Collaboration, en passant par les Versaillais s’alliant avec le chancelier prussien Bismarck contre la Commune, du modèle allemand d’avant-guerre au modèle américain d’après-guerre, cette classe dirigeante cherche à l’étranger un « bouclier socio-politique » contre son peuple.

 

BRN – Ce serait également une fonction de l’Union européenne ?