Informazione
dalle 11.00 alle 18.00
ad Este (Padova)
Patrocinati dalla Regione Veneto, Comunità Ebraica di Padova e dal Comune di Este, l'associazione culturale giovanile "L'Angolo Giro" propone:
ORE 11.00 al teatro Farinelli, per le scuole superiori:
Convegno sulla salvaguardia della Memoria con la presenza del Presidente del Comitato per la Salvaguardia del Memoriale degli Italiani ad Auschwitz, architetto Gregorio Carboni Maestri.
ORE 17.00 in Pescheria Vecchia per la cittadinanza:
Intervento dell'architetto Gregorio Carboni Maestri a "Wahrheit macht frei. AUSCHWITZ: la verità rende liberi", mostra fotografica di Elisa Mortin e Giancarlo Soncin, giovani fotografi padovani.
(evento FB: http://www.facebook.com/events/505881152767939 )
I campi di Chiesanuova, Arbe, Monigo, Gonars e Visco, i numerosi campi del centro italia, lo stato fascista italiano si è avvalso di diversi strumenti e luoghi per imprigionare, segregare e deportare popolazioni straniere, oppositori politici, ebrei, omosessuali e rom. Dai campi di concentramento per i civili sloveni e croati, a quelli dove furono deportati migliaia di eritrei, etiopi e libici, dalle località di internamento per ebrei stranieri, fino ai luoghi di confino per oppositori politici.
Per la Giornata della Memoria 2013 la Sezione di Vittorio Veneto organizza un incontro con il noto storico triestino Sandi Volk.
Volk si occupa di storia contemporanea della Venezia Giulia, in particolare di Trieste e della storia degli sloveni della regione. Ha svolto ricerca sulla nascita del movimento operaio sloveno a Trieste, sul movimento nazionale sloveno nel periodo precedente alla prima guerra mondiale, sulla seconda guerra mondiale nella memoria degli sloveni di Trieste e sulla storia del lager nazista della Risiera di S. Sabba. Ha lavorato e collaborato con numerosi istituti e musei italiani e sloveni, tra cui l’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia di Trieste. È inoltre membro della Commissione consultiva del Comune di Trieste per il Civico Museo della Risiera di S. Sabba – Monumento nazionale. Oltre a numerosi saggi e articoli, in italiano e sloveno, sul problema degli esuli istriani e dalmati ha già pubblicato anche due libri, sul tema dell'esodo delle popolazioni dalmate ed istriane nel dopoguerra.
Grazie al suo percorso di ricerca storica é in grado oggi di illustrare la realtà del sistema repressivo fascista, spesso allo stesso livello, in termini di brutalità, del ben più indagato sistema concentrazionario nazista.
Vi aspettiamo quindi SABATO 26 GENNAIO 2013 alle ore 15 presso la Biblioteca Civica di Vittorio Veneto.
NON RIMANERE INDIFFERENTE, DIVENTA PARTIGIANO!
Sezione Mandamentale di Vittorio Veneto.
“Divisione Garibaldi Nino Nannetti”
Piazza del Popolo 13, 31029
Vittorio Veneto (TV).
E-mail: vittorioveneto@...
Orari sede: sabato ore 16-18
VITTIME DIMENTICATE
Lo sterminio dei disabili, dei Rom, degli omosessuali e dei Testimoni di Geova
Ed. Stampa Alternativa, 2012
COLLANA: Eretica speciale
pp. 120 - 11,90 euro
Roma, Sabato 26 gennaio 2013
proiezione del film
VITE INDEGNE- Aktion T4: l’eliminazione dei corpi disabili
intervengono: SILVIA CUTRERA, Presidente Agenzia per la Vita indipendente; DINO BARLAM Vice Presidente della Federazione italiana superamento dell’handicap - Lazio
Saluti di Elena Improta, vicepresidente ANPI-Roma
e di Eugenio Iafrate, vicepresidente ANED-Roma
Coordina Antonio Parisella, presidente del Museo
promossa da ANPI-Roma, ANED-Roma e Museo storico della Liberazione
PREMIO PER LA PACE E I DIRITTI UMANI
Nell’intervallo il presidente Antonio Parisella, per conto del Museo, riceverà dalla cantautrice Agnese Ginocchio, presidente dell’organismo promotore, il Premio internazionale per la pace e i diritti umani 2013 promosso dall' Associazione tra Movimento ambasciatori per la pace e Movimento internazionale III Millennio per la pace e la salvaguardia del Creato della Provincia di Caserta.
Il giorno 27 gennaio il Museo sarà aperto: 9,30-12.30 e 15,30-19.30
SALVIAMO DAL MACERO Il nazismo e i Lager di Vittorio Emanuele Giuntella
Nell’occasione dell’incontro del 26 e nella giornata del 27 gennaio, gli intervenuti potranno contribuire a salvare dal macero Il nazismo e i Lager di Vittorio Emanuele Giuntella (edizioni Studium, Roma), l’importante opera del grande storico nato cento annia fa e che settanta anni fa conobbe direttamente il Lager come internato militare. Uno dei classici della letteratura concentrazionaria, come "I sommersi e i salvati" di Primo Levi.
Vabi,
v SOBOTO, 26. januarja 2013,
na “BAKLADO ZA SPOMIN, MIR IN SOŽITJE”
zbirališče ob 17.00, stadion Grezar,
odhod sprevoda ob 17.30.
Zaključek v Rižarni,s kratkim nastopom TPPZ.
Vse udeležence vabimo da prinesejo s seboj cvet, v poklon žrtvam Rižarne.
Il Coro Partigiano Triestino PINKO TOMAŽIČ
Invita
i cittadini ad intervenire alla
“FIACCOLATA PER LA MEMORIA, LA PACE E LA CONVIVENZA”
che si svolgerà SABATO 26 gennaio 2013
con ritrovo alle ore 17.00.
Piazzale antistante lo stadio Grezar
Partenza del corteo alle 17.30.
Conclusione in Risiera con una breve esibizione del C.P.T.
Tutti i partecipanti sono invitati a portare un fiore da deporre in ricordo delle vittime della Risiera.
ore 10.30 – Chiesa di Santa Croce
ex ospedale San Leonardo – Università
Scoprimento di un bassorilievo in memoria delle vittime
Musei Civici – Treviso
Organizzato dall’Amministrazione Comunale di Treviso
Nevenka Grdinić - Console generale della Repubblica di Croazia a Trieste
Leonardo Muraro - Presidente della Provincia di Treviso
Stefano Pimpolari - Assessore alla Cultura del Comune di Treviso
Col. Antonio Attanasio - Comandante della Caserma Cadorin
Metka Gombač e Jože Dežman - Archivio di Stato Slovenia
Ernesto Brunetta - Presidente ISTRESCO
Francesca Meneghetti - Autrice del volume "Di là del muro"
Nakon 20 mjeseci Državni Zavod za statistiku Republike Hrvatske je u prosincu 2012. godine objavio rezultate popisa stanovništva provedenog u toku mjeseca travnja 2011. godine.
Udruženje "Naša Jugoslavija" (u čijem sastavu djeluje i Savez Jugoslavena) je sa posebnim nestrpljenjem čekalo da ti rezultati budu konačno objavljeni. Ono što nas je posebno interesiralo je pitajne koliko ima Jugoslavena u Republici Hrvatskoj?
Prema tabeli "Stanovništvo prema narodnosti - detaljna klasifikacija - popis 2011" Jugoslavenima se izjasnio 331 stanovnik Republike Hrvatske. To je gotovo dvostruko više nego prije deset godina kada nas je bilo 176. Nažalost, u cijelom tom prikazu nedostaju podaci o broju Jugoslavena po općinama i županijama (mi taj podatak nismo mogli pronaći). To je podatak koji bi bio vrlo interesantan.
Nije to slučaj samo sa Jugoslavenima. Nedostaju i druge narodnosti, kao i stanovnici regionalne pripadnosti: Dalmatinci, Istrani, Primorci, Slavonci... Interesantno je da su statističari i ovaj put objavili samo rezultate onih narodnosti, odnosno nacionalnih manjina koje su navedene u Ustavu RH. Pri tome su svi drugi narodi i nacionalnosti svrstane u grupu - i ostali. Prema istoj tabeli zapaženo je relativno veliki broj neraspoređenih (731), onih koji se ne izjašnjavaju (26763) i nepoznatih (8877) - što god da to znači.
S obzirom da pouzdano znamo da je prilikom popisa u nekim općinama bilo problema prilikom izjašnjavanja kao Jugoslaven (nije nam poznato da li su takve probleme imali i Istrani, Slavonci, Dalmatinci...) lako je pretpostaviti da među onim djelom stanovništva koji se nisu izjasnili ima i jedan određeni broj Jugoslavena. Ali sa time ne želimo špekulirati. Popis stanovništa je objavljen. Pitanje je što može Udruženje "Naša Jugoslavija" učiniti sa rezultatima istog.
Opće je poznato da je Udruženje "Naša Jugoslavija" prvo i trenutno jedino zvanično registrirano udružejne koje se službeno zalaže za priznavanje Jugoslavenske nacije. Na tu temu su do sada održani okrugli stolovi, o čemu smo već izvještavali u medijima. Jugoslavenska nacija postoji - to je činjenica. Ustavom Republike Hrvatske omogućeno je priznavanje Jugoslavenske nacije. To proizlazi iz odgovora Odbora za Poslovnik i politički sustav hrvatskog Sabora zaprimljenog pod sljedećom oznakom:
Klasa: 050-01/12-24/11
Javiti se možete na: zajedno @ nasa-jugoslavija.org ili pismom na adresu:
Zlatko Stojković dipl.ing.
Fermare la militarizzazione. Sostegno ai No Muos
La Rete dei Comunisti esprime solidaietà agli attivisti No Muos che si oppongono alla militarizzazione della Sicilia e all'arroganza del governo. Il 19 gennaio giornata di mobilitazione nazionale.
Rete dei Comunisti-Catania
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Qui di seguito il Comunicato del Coordinamento regionale dei Comitati No Muos
“Quello del Muos è un sito di interesse strategico per la difesa militare della nazione e dei nostri alleati. Non sono accettabili comportamenti che impediscano l’attuazione delle esigenze di difesa nazionale e la libera circolazione connessa a tali esigenze”. La minaccia della ministra tecnica Cancellieri si è tradotta in pochi giorni in una feroce repressione dei blocchi che gli attivisti NoMuos, dopo oltre 50 giorni e notti di presidio permanente, hanno fatto l'11 gennaio, nonostante l'assedio militare di tutte le vie d'accesso alla base della morte.
La tardiva decisione del presidente dell'ARS Crocetta di voler revocare le autorizzazioni, che finora hanno permesso l'esecuzione dei lavori, non garantirà lo stop all'installazione delle micidiali antenne di guerra se non crescerà la mobilitazione popolare a livello locale, regionale e nazionale.
Se i pareri attesi sull’impatto elettromagnetico da Crocetta dovessero dirci che il Muos non farebbe male ai cittadini, noi ribadiamo che questo è soprattutto un’arma da guerra e comunque non lo vogliamo in qualsiasi parte del pianeta. Contestiamo le ridicole affermazioni dell’ambasciatore U.S.A a Roma che dichiara che i Paesi membri della Nato, come l’Italia, ne trarranno beneficio come sicurezza e pace internazionale; inoltre l’Us Navy di Niscemi non è una base Nato ma una base ad uso esclusivo della marina statunitense.
Noi non crediamo più ad istituzioni che, a livello locale, regionale e nazionale, sono stati latitanti o complici. Dopo le violente cariche di giorno 11 contro gli attivisti NO MUOS che pacificamente si opponevano al passaggio delle gru, il governo tecnico Monti/Napolitano ha deciso con chi stare: con le forze armate Statunitensi e i loro progetti di dominio planetario.
Richiediamo le dimissioni della ministra Cancellieri !
Il nostro obbiettivo principale è impedire la costruzione del Muos e lo smantellamento delle 41 antenne Usa NRTF , operanti da oltre 20 anni nel cuore della R.N.O. SIC Sughereta a Niscemi. Traendo esempio dal movimento NO TAV in Valsusa i blocchi continuano e continueranno, abbiamo perso una battaglia ma non ci rassegneremo, mai.
Il coordinamento regionale dei comitati NO MUOS pratica dal basso la revoca dei lavori all’interno della base, con la prosecuzione dei blocchi e fa appello alla partecipazione attiva alle prossime iniziative a partire dalla
Giornata nazionale di mobilit/azione No Muos sabato 19 gennaio
con presìdi, azioni ed iniziative in ogni città e paese
Ora e sempre NoMuos
La Sicilia non è zona di guerra, via le basi usa dalla nostra terra
Coordinamento regionale dei Comitati NoMuos
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Sabato 19 gennaio alle ore 9,30 presidio di fronte alla ditta Comina
(c/da Pantano Casazze sp 229 Piano Tavola)
alle ore 12 presidio in via Etnea, angolo via Prefettura)
Comitato di base NoMuos NoSigonella Catania
di Francesco Rambaldi
Mali, quattro ore di volo dalle nostre coste. Dopo la Germania, anche l’Italia, senza alcuna discussione e decisione parlamentare, entra in guerra oggi, a fianco della potenza continentale francese, diretta dal socialista Hollande in grave calo di consensi, (e tuttavia riferimento unanime della sinistra nazionale, ivi inclusa Sel), per mettere una toppa alla ennesima catastrofe causata da Sarkozy, Cameron, Berlusconi, Usa, Onu, UE, & C. nella guerra di aggressione alla Libia di Gheddafi. Tuareg e jiadisti, qaedisti e “terroristi”, ecc. hanno conquistato il nord del Mali, grande paese del Sael, destabilizzato da un golpe di pochi mesi fa (con acquiescenza e complicità europea e americana).
La capacità di manovra dei Tuareg provenienti dalla Libia e dei loro alleati del deserto ha sconvolto gli occidentali (rappresentati dal nostro ex presidente Prodi in versione mandato ONU), che evidentemente, non si sono resi conto in tempo utile della capacità militare e tattica delle carovane che attraversano il Sahara sud-occidentale alla ricerca di una propria nuova e tribale identità transnazionale e islamica: ad oltre 1200 km dalla frontiera del Mali, questi gruppi sono stati in grado di circondare un campo petrolifero in territorio algerino (ma molto vicino al confine, mobile come le dune del deserto, con la ex Libia gheddafiana) e di catturare 41 tecnici occidentali ed altri circa 400 operai algerini. (Totale degli ostaggi quasi 500 persone).
E’ uno dei sottoprodotti della sconsiderata aggressione ed eliminazione della Libia di Gheddafi ad opera franco-inglese con supporto USA e avvallo ONU. (Che si aggiunge all’attentato al Console italiano a Bengasi di qualche giorno fa). L’intera regione sahariana è in preda al disordine e i confini tracciati nel secolo scorso diventano permeabili e mutevoli, aprendo una nuova stagione di interventismo neo-coloniale dai caratteri quasi fantascientifici, che mira a ricreare uno spazio controllabile (dall’occidente), mentre tutto ciò che si muove in quelle aree, ha invece i caratteri dell’indeterminatezza, come indeterminato e inconfinabile per sua natura è il deserto.
La Germania, l’altro ieri, è corsa a sostegno della Francia, ed oggi, il nostro Ministro degli Esteri Terzi di Sant’Agata, ha analogamente garantito il supporto logistico alle operazioni francesi di aria e di terra. Ciò avviene, per quanto ci riguarda, in piena campagna elettorale, con un governo che dovrebbe solo assicurare lo svolgimento degli affari correnti; invece il governo Monti, senza alcuna discussione ed autorizzazione parlamentare si arrischia ad assumere decisioni strategiche che possono avere dei gravissimi effetti, dopo quelli già gravi assunti dal governo Berlusconi (con incitazione convinta del Presidente della Repubblica Napolitano) in occasione della guerra alla Libia.
Dove sia finito l’art. 11 della Costituzione è un enigma inquietante. Cosa sia oggi l’Europa, sul piano della politica internazionale, è un quesito senza risposta. Oppure, se si vuole essere realisti, siamo in un momento di tormentata confusione e di disordine globale, dove si è costretti a porre argine continuo agli errori delle decisioni precedentemente assunte, in un fluire di azioni di guerra a 4-5.000 km dalle nostre frontiere, senza alcun progetto, senza alcuna visione organica che non sia la guerra e il conflitto permanente, mentre il continente europeo è stretto nella morsa della recessione e getta nella recessione tutte le aree adiacenti, grazie alle politiche imposte dalla finanza internazionale che oramai determina tristemente le decisioni dei singoli paesi.
In piena campagna elettorale, per quanto ci riguarda, ci si lancia in una operazione di guerra dagli esiti incerti, sulla cui natura, legittimità giuridica e costituzionale, di interessi politici e strategici nazionali, è richiesta urgentemente una valutazione delle forze di centro-sinistra e di sinistra che si accingerebbero a governare il paese: cosa dice il PD, cosa dice Sel su questa decisione del Ministro Terzi e di Monti ?
Dal disordine globale e dalla nuova guerra infinita in Africa è, obiettivamente, difficile pensare di costruire qualcosa di buono. E in ogni caso, questo scenario, salvo smentite, non pare dover rientrare negli obiettivi di un futuro governo di centro-sinistra.
Mali, a disposizione le basi aeree italiane
La Sicilia è in prima linea. Forniremo il supporto logistico. Pronti una ventina di consiglieri e addestratori
L’Italia è pronta a fornire il proprio appoggio alle operazioni di guerra francesi in Mali. Ad annunciarlo il ministro Giulio Terzi a conclusione di un consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell’Unione europea a Bruxelles. “Non è previsto nessuno spiegamento di forze militari italiani nel teatro operativo ma forniremo le basi per un supporto logistico al trasferimento militare”.
Sarà il consiglio dei ministri convocato per stamani a definire i particolari della nuova avventura italiana in terra d’Africa. “C’è un orientamento positivo all’interno del governo a sostegno dell’operazione militare avviata dalla Francia con un altro gruppo di paesi, in linea con la risoluzione 2085 del 20 dicembre scorso del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma sarà comunque necessario il sostegno delle forze politiche in Parlamento”, ha aggiunto il ministro Terzi.
Le forze armate italiane dovrebbero mettere a disposizione degli alleati d’oltralpe le principali basi aeree nazionali (Sigonella e Trapani Birgi in Sicilia, Gioia del Colle in Puglia, Decimomannu in Sardegna, ecc.), i velivoli da trasporto truppe e mezzi C-130J “Hercules” e C-27J della 46^ Brigata Aerea di Pisa e i velivoli cisterna KC-767 “Boeing” del 14° Stormo dell’Aeronautica militare di Pratica di Mare (Roma) per rifornire in volo i cacciabombardieri francesi.
Come già avvenuto nel corso del conflitto in Libia nel 2011, le forze armate italiane potrebbero utilizzare i velivoli senza pilota MQ-1C “Predator” ed MQ-9 “Reaper” per svolgere missioni d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento dei potenziali obiettivi “nemici” sui cieli del Mali e del nord Africa, mettendo poi a disposizione degli alleati tutte le informazioni necessarie per i raid aerei. Il comando dei droni italiani opera dallo scalo aereo di Amendola (Foggia) con il 28° Gruppovelivoli teleguidati del 32° Stormo, lo stesso reparto che ha già diretto centinaia di operazioni a supporto della Nato nel teatro di guerra afgano. I velivoli senza pilota dell’Aeronautica verranno presto armati con i missili aria-superficie AGM-114 Hellfire (fuoco infernale), acquistati negli Stati Uniti d’America al costo di 13,7 milioni di euro.
Decollano invece ininterrottamente da Sigonella i grandi aerei-spia a pilotaggio remoto “Global Hawk” dell’US Air Force che assistono le forze d’attacco francesi nell’individuazione dei target “nemici” (campi d’addestramento, infrastrutture logistiche e depositi munizioni delle milizie anti-governative) nelle regioni settentrionali del Mali. Secondo quanto dichiarato dal ministro degli esteri Laurent Fabius, Washington sta progressivamente accrescendo il proprio sostegno operativo alle truppe francesi nei settori dell’intelligence e del trasporto aereo.
La Sicilia sarà in prima linea anche grazie a Trapani-Birgi, la base aerea più utilizzata durante la guerra in Libia per i raid della forza multinazionale a guida Nato. A Trapani, dove sono divenuti pienamente operativi da meno di una paio di mesi i cacciabombardieri Eurofighter del 37° Stormo dell’Aeronautica militare italiana, l’Alleanza Atlantica potrà schierare per la “sorveglianza integrata” del Mediterraneo e del nord Africa uno o due aerei radar E-3A “Awacs”. Dalla seconda metà degli anni ‘80, lo scalo siciliano è una delle basi operative avanzate “Awacs” nell’ambito del programma multinazionale NATO Airborne Early Warning Force il cui comando generale è ospitato a Geilenkirchen (Germania). I velivoli, oltre a ricercare ed identificare gli obiettivi da colpire, hanno una rilevanza strategica nella conduzione delle operazioni di attacco aereo.
Secondo quanto trapelato a Bruxelles, i comandi della Nato avrebbero espresso però “l’assoluto bisogno” di inviare a Bamako non meno di 250 uomini per contribuire alla formazione e all’addestramento delle forze armate del Mali. Nonostante il ministro Terzi abbia negato il diretto coinvolgimento di militari italiani in territorio maliano, perlomeno una ventina di consiglieri e addestratori dovrebbero essere inviati dal nostro paese. L’Italia non è nuova in queste missioni addestrative a favore di forze armate africane impegnate in operazioni belliche. Sponsor ancora una volta il ministro degli esteri, è stato avviato a Mogadiscio un corso dei carabinieri finalizzato ad addestrare un’unità somala “con un ampio mandato, dalle attività di contrasto al terrorismo a quelle anti-pirateria a terra”, come ha spiegato lo stesso Giulio Terzi a conclusione dei lavori del Gruppo internazionale di contatto sulla Somalia, tenutosi a Roma nel luglio 2012.
Con l’appoggio finanziario e logistico di U.S. Army Africa, il comando delle forze terrestri degli Stati Uniti d’America destinato agli interventi nel continente nero, l’Arma dei carabinieri ha attivato nella caserma “Chinotto” di Vicenza uncentro d’eccellenza per la formazione dei quadri militari dei paesi africani e mediorientali partner (Coespu). Una scuola di guerra al “terrorismo” su cui potranno sicuramente contare in futuro i generali del Mali e del Sahel.
Articolo pubblicato in Il manifesto, 18 gennaio 2013
Giù le mani dai popoli arabi, giù le mani dalla Siria!
Respingere la richiesta di trattativa da parte del governo siriano equivale a una dichiarazione di guerra! Il ministro Terzi è un guerrafondaio pericoloso per il paese. Un documento della Rete dei Comunisti.
La Rete dei Comunisti denuncia la gravità delle dichiarazioni guerrafondaie del Ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi di Sant’Agata che in accordo con le altre forze della NATO, ha sbrigativamente respinto l’ennesima proposta del governo Siriano. Il rifiuto di qualsiasi trattativa con il governo di Damasco ora in carica, manifesta chiaramente gli intenti aggressivi perseguiti dai governi dell’UE, dagli USA e dai Paesi della Cooperazione del Golfo (GCC) e altro non è che una reiterata dichiarazione di guerra.
Questo ennesimo rifiuto, segue i sabotaggi e le bocciature dei tentativi di dialogo, seppure parziali, fatti dalla commissione ONU, da Kofi Annan e più recentemente dal delegato delle Nazioni Unite Ibrahimi.
Anche l’invito ad aprire un confronto tra le parti promosso dall’Iran, è stato bocciato con motivazioni assurde e precostituite, da quegli stessi paesi NATO che finanziano le formazioni armate in Siria.
Solo le pressioni di Cina, Russia e Iran, unitamente agli sforzi di molti paesi non allineati come Cuba e il Venezuela, hanno evitato che la destabilizzazione della Siria sfociasse in un conflitto più vasto.
In maniera colpevole e criminale anche quest’ultima proposta del Presidente Siriano Assad è stata bocciata nel giro di pochi minuti, non appena questa è stata resa pubblica attraverso i canali televisivi. La proposta è stata respinta senza entrare nel merito, confermando che da parte delle forze della Nato, dei paesi del Golfo e dei ribelli non c’è alcuna volontà di avviare un processo di pace, che guardi positivamente al futuro della Siria e dei popoli della regione.
Si sta ripetendo lo stesso copione dell’aggressione alla Libia, quando Hilary Clinton rifiutò al governo libico la figura d’interlocutore, pretendendo una resa senza condizioni che anticipava il linciaggio di Gheddafi. Analogamente anche in quell’occasione i paesi del Golfo e con diversi accenti i paesi dell’Unione Europea si unirono alla dichiarazione di guerra dell’amministrazione Obama.
Nel caso della Siria la contrapposizione tra la via della guerra e quella della trattativa, rimanda alla conflitto, che oppone i paesi imperialisti alla Russia e alla Cina, nel controllo delle aree strategiche.
In questa situazione complessa i paesi Nato e le petro monarchie preferiscono evitare l’intervento militare diretto.
Al momento la tattica scelta sembra puntare al lento deterioramento dello scenario siriano, attraverso il sostegno agli insorti dell’ESL, il rifiuto di qualsiasi soluzione politica e l’imposizione dell’embargo economico contro il popolo siriano.
Da anni l’alleanza che vede collaborare, non senza contrasti, GCC, USA e UE, sta perseguendo un’impressionante politica di riarmo con il chiaro scopo di voler imporre i propri interessi con la diplomazia delle armi. Oggi questa coalizione dopo le guerre all’Iraq e alla Libia è intenzionata a spartirsi le ricchezze della Siria e a destabilizzare l’Iran.
Al progetto di pacificazione e normalizzazione del Grande Medio Oriente si aggiunge l’obiettivo di mettere sotto controllo i quadranti decisivi del Golfo Persico, del mar Arabico e dei confini meridionali della Russia.
Si tratta di un’area di cerniera, su cui si stanno concentrando le attenzioni dell’Amministrazione USA come riportano gli studi del Pentagono e dei neocons legati alla lobby del nuovo secolo americano.
Alle basi statunitensi, britanniche e francesi presenti nei loro paesi, le petro-monarchie hanno associato circa 120 miliardi di forniture militari provenienti per lo più dagli USA. Sia Doha, sia Riad non potendo per ragioni demografiche valersi di eserciti numerosi attingono alla vasta e consolidata rete di mercenari o stabiliscono accordi di cooperazione militare come quello siglato il 21 novembre scorso e che prevede il distacco di unità dell’esercito tunisino all’interno dell’esercito del Qatar.
L’utilizzo dei mercenari e del network terrorista islamico, circa 15000 combattenti secondo diverse fonti internazionali, con il corollario di autobombe e violenze contro la popolazione inerme, sta sviluppando una drammatica spirale tra azione e reazione da parte dell’Armata Araba Siriana. Uno scenario che favorisce la scelta di un intervento militare esterno in soccorso di una presunta sollevazione popolare.
Nonostante le migliaia di turchi, scesi in piazza contro la guerra alla Siria, il governo Erdogan continua con la sua politica di aggressione contro il popolo siriano installando, sotto l’egida della NATO le batterie dei missili Patriot.
In quanto membro Nato, Ankara ospita la sede della forza di intervento rapido dell’Alleanza Atlantica, una partnership che rende l’ingerenza del governo islamico liberale turco, suscettibile di una pericolosa escalation.
Dai confini turchi oltre agli approvvigionamenti militari, partono le azioni dell’esercito siriano libero e delle milizie islamiche che più di una volta si sono scontrate sia con l’Armata Araba Siriana che con la guerriglia curda che controlla alcune di confine tra la Siria e la Turchia. La NATO è coinvolta nel sostenere militarmente la politica egemonica dell’UE e degli USA nel mediterraneo fornendo mezzi, uomini e strumenti di intelligence alla destabilizzazione della Siria e alla pressione militare contro l’Iran.
La collaborazione militare è speculare agli interessi economici e alle relazioni politiche che i paesi del Golfo, come la Turchia e l’Egitto intrecciano con l’UE e con gli Stati Uniti. Nel caso dei paesi del Golfo queste relazioni si riflettono nella stipula di accordi di cooperazione economica e nell’acquisizione di asset industriali e di quote di debito pubblico dei paesi occidentali. L’Egitto e la Turchia oltre ad essere due paesi chiave dell’area, grazie alla delocalizzazione oggi costituiscono la periferia produttiva dei centri imperialisti, in primo luogo quello europeo.
La chiusura a qualsiasi piano di trattativa è quindi una scelta deliberata e pianificata dalle forze imperialiste, lo confermano le azioni e le dichiarazioni dei governi europei e statunitensi, e dello stesso Ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi.
La Rete dei Comunisti denuncia l’ignavia di quanti persino nella sinistra radicale si ostinano a non vedere il pericoloso evolversi degli eventi e la minaccia contro la pace. A questo si aggiunge il sostegno delle forze politiche come il PD e SEL alla politica neocoloniale perseguita dalla borghesia italiana e dal polo imperialista europeo.
In questi ultimi decenni, le guerre contro il terrorismo sono state lo strumento grazie al quale Washington, Londra, e Bruxelles hanno imposto gli interessi delle multinazionali, facendone crescere i profitti a scapito dei popoli dei paesi sconvolti dalle guerre. E’ il caso dell’ENI in Libia e Iraq, della Shell e delle multinazionali militari cui si aggiunge la nuova frontiera delle compagnie di mercenari (come l’ex Blackwater e oggi Academy) quotate in borsa e assoldate dai governi di Washington e Doha.
La Rete dei comunisti insieme con altre strutture politiche della sinistra di classe, e del pacifismo più conseguente, ha aperto una battaglia politica, e sta lavorando alla costruzione di iniziative di controinformazione e di lotta, sulla base dell’appello “Giù e Mani dalla Siria”. Questa denuncia contro l’aggressione imperialista è tuttora motivo di scontro con quanti, e non sono pochi, all’interno della sinistra sposano la tesi della guerra umanitaria e sostengono le opposizioni armate libiche e siriane. Abbiamo più volte denunciato come il carattere oscurantista delle leadership delle opposizioni armate, i loro legami al blocco della NATO e del GCC, indichino chiaramente che queste hanno come scopo la restaurazione di regimi reazionari e neocoloniali. La campagna di destabilizzazione nei confronti della Siria e le pressioni contro l’Iran sono parte di un più ampio attacco contro l’intero fronte antimperialista. Una normalizzazione dell’area che renderebbe più forti Israele, e le petro monarchie, mettendo in una condizione di oggettiva debolezza i palestinesi e le forze laiche, progressiste e di classe dell’intera regione. La nostra posizione contro l’aggressione alla Siria, all’Iran e alla Libia non significa il sostegno, ieri a Gheddafi, e oggi ad Assad o ad Ahmadinejad, ma è la coerente riproposizione di un punto di vista internazionalista, antimperialista e anticapitalista.
L’approfondirsi della crisi sistemica accentua la competizione tra i poli imperialisti e tra questi e le economie emergenti come i BRICS. E’ l’imposizione della ragione del profitto sulla vita di milioni di uomini e donne, che si traduce in guerra per appropriarsi delle ricchezze naturali nei paesi in via di sviluppo e nell’attacco ai diritti e alle condizioni vita della classe lavoratrice su scala mondiale.
Nei prossimi mesi l’Italia ospiterà l’ennesimo incontro degli amici della Siria, quest’alleanza composta dagli incaricati dell’UE, degli USA, della Lega Araba, e cui sono stati invitati a partecipare i rappresentanti delle fazioni armate islamiche presenti sul territorio siriano. La Rete dei Comunisti denuncia come la riunione dei cosiddetti “amici della Siria”, sia invece un momento di sviluppo della politica d’ingerenza e aggressione nei confronti del popolo siriano, e invita le organizzazioni della sinistra di classe, dei veri pacifisti e degli antimperialisti a rafforzare la campagna di mobilitazione contro l’ennesima guerra coloniale.
La commissione internazionale della Rete dei Comunisti
Da: Alessandro Di Meo <alessandro.di.meo @ uniroma2.it>Data: 19 gennaio 2013 12.31.36 GMT+01.00cari tutti,
nell'augurarvi un buon 2013 (sono ancora in tempo?) vi segnalo "Un viaggio per capire", breve racconto dopo l'ultima esperienza in Serbia, Kosovo e Metohija, che troverete, corredato di foto, sul mio blog:
http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.it/
Inoltre, alla pagina:
http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.it/2012/12/lappuntamento_26.html
vi presento il mio ultimo libro, "L'appuntamento".
Per richiederlo o per avere ulteriori informazioni potete mandarmi un messaggio.
Buona lettura e grazie per la vostra sempre cortese attenzione.
Alessandro
p.s. chi non volesse più ricevere messaggi del genere, è pregato si segnalarmelo con una mail. Verrà immediatamente rimosso dalla lista.----------------------- ooooooooOOOOOOOOoooooooo -----------------------
visita: http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.com/
"Deve esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
dove non soffriremo e tutto sarà giusto..."
(francesco guccini - cyrano)
Un ponte per... associazione di volontariato per la solidarietà internazionale
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A Belgrado mi incontro con padre Andrej, del monastero di Visoki Dečani. E’ a Belgrado per dare esami di Filosofia per i suoi studi teologici all’università.
Siamo davanti a un momento davvero difficile per la chiesa ortodossa serba e per tutti i serbi del Kosovo e Metohija. La loro libertà, la loro indipendenza, la loro stessa sopravvivenza è fortemente a rischio. Le trattative fra Belgrado e Priština vanno avanti ma la sensazione è che, passo dopo passo, la Serbia dovrà piegarsi al volere della Comunità Internazionale e riconoscere, di fatto, il Kosovo attuale. Potranno forse spostare il confine doganale sul fiume Ibar, lasciando i serbi a nord di Mitrovica attaccati alla madre patria, ma per quelli rimasti nei villaggi all’interno sarà duro il futuro che si prospetta.
Io espongo le mie preoccupazioni legate alla sempre più forte presenza, nella terra sacra dell’Ortodossia Serba, di moschee musulmane ma pure di chiese cattoliche. Molti soldi investiti e mi chiedo perché. La storia non ha segreti. Queste terre, questo patrimonio culturale e architettonico interessa molti. Nei programmi delle scuole albanesi da tempo si insegna come questo patrimonio sia, in realtà, una sorta di intrusione in un patrimonio pre-esistente. Qualcuno lo fa derivare, insieme all'origine della stessa popolazione albanese ma senza alcuna fonte certa, dimostrata o dimostrabile, dagli Illiri e dai Dardani; qualcuno dagli antichi romani, la cui presenza è stata comunque documentata, altri dalla chiesa cristiana prima dello Scisma del 1054. In mezzo, secoli e secoli che sembrano solo una parentesi della storia, da chiudere senza stare troppo a pensarci su.
Dopo veri e propri tentativi di plagio di una nostra iniziativa, quella sui pozzi, ci teniamo, come associazione, a prendere le distanze da certe Onlus che si affacciano solo ora in Serbia, legate a doppio filo con i settori più reazionari della chiesa Cattolica ma anche con l’estrema destra, xenofoba e razzista, specchietto per le allodole per ingenui e ignari che si accostano al problema, attratti dalla apparentemente umanitaria attività di tali Onlus che, in realtà, altro non fanno che da paravento al connubio reazionario, creando confusione e disorientamento anche tra chi le idee le aveva chiare fin dall’inizio. Come con la Libia, come con la Palestina, come con la Siria attuale, come con l’Iraq in passato, le attività trasversali di queste organizzazioni hanno sempre altri scopi e sempre molto oscuri.
Andrej sostiene che la chiesa ortodossa Serba è, invece, ancora molto forte, determinata a contrastare con la sua opera e la sua capacità di dialogo le derive naziste, razziste, violente e a proseguire nel suo ruolo che, attualmente, è anche e soprattutto quello di non lasciare soli i serbi nel “nuovo” Kosovo. Che soli, però, sembrano esserlo sempre di più. E indifesi. E preda di ingiustizie, soprusi, prepotenze.
Come nel caso del grave episodio dei dieci serbi arrestati a Gračanica dalla polizia albanese perché festeggiavano, forse troppo rumorosamente, il Natale ortodosso. Ammanettati, con la testa infilata nella latrina del cesso, sono stati picchiati e sottoposti a violenze di stampo razzista. Uno di loro è ancora grave in un ospedale di Belgrado per le percosse subite ai genitali.
“Ti impediremo di fare figli!”, gridavano in quella cella dove la polizia kosovara lo aveva rinchiuso. Il ragazzo, di origini albanesi, era troppo amico dei “serbi cattivi”. Prima della guerra umanitaria del ’99, molti albanesi sono stati ammazzati dagli stessi miliziani dell’Uck, attuali poliziotti del Kosovo “indipendente”, proprio perché amici e solo per questo considerati collaborazionisti dei serbi. Gli è pure andata bene. Hanno rischiato di fare la fine di ragazzi italiani come Federico Aldrovandi o Stefano Cucchi, ammazzati perché “troppo irrequieti” per la pazienza dei servitori dell’ordine e dello stato in cui si sono fatalmente imbattuti. Insomma, questi episodi nel nuovo Kosovo, voluto fortemente dalle diplomazie occidentali, sembrano davvero “prove generali di democrazia”.
Il 6 gennaio è il "Badnji dan", la vigilia del Natale Ortodosso. In strada, rami secchi di quercia con ancora le foglie attaccate da bruciare nel grande falò davanti le chiese. Ne puoi prendere uno, di quei rami e gettarlo sul falò, esprimendo un desiderio. Davanti la chiesa grande di Kraljevo, sveti Sava, c’è molta gente che arriva solo per vedere il fuoco, gettare un ramo di quercia, esprimere un desiderio. In chiesa c’è fila, si va per accendere candele per il Natale, fuori si offrono vino e rakija. Io e Marko ci torneremo, più tardi, quando il grande fuoco si sarà ridotto a un cumulo di cenere, dove poter bruciare i ciocchi di legno ancora buoni. Non c’è più gente, siamo in pochi, ma tutto è anche più intimo.
La mattina dopo, alle cinque e mezza, ci si sveglia perché il “polažajnik”, l’amico di famiglia designato da sempre, verrà ad augurare salute e felicità gettando un rametto di badnjak nel fuoco (uno si conserverà fino al prossimo Natale). Dopo, si mangia carne, tutti insieme, mettendo fine al digiuno. Senza posate, con le mani, ché coltelli e forchette sono banditi dalla tavola per l’occasione. Solo pace e amicizia, nella mattina del Natale. A mezzogiorno, la famiglia intera, riunita davanti alla tavola pronta per il pranzo, col pavimento cosparso di paglia a simboleggiare la mangiatoia sacra dove nasce Gesù, berrà vino a giro dallo stesso bicchiere e mangerà il pane che il capofamiglia avrà segnato a croce, bagnato di vino e spezzato insieme a tutti i presenti, dopo che tutti lo avranno fatto girare con le mani, insieme, come fa il prete nella chiesa. Chi troverà la moneta nascosta nel pane, avrà fortuna e soldi tutto l’anno.
In Kosovo e Metohija mi incontro con Ilarion, abate del monastero di Draganac. Siamo a Novo Brdo, nei pressi di Gnjilane. Qui è Kosovo orientale. Siamo felici di riabbracciarci e lui mi offre subito da mangiare, dopo avermi mostrato la cappella dove si svolgono le funzioni in questo periodo di inverno, quando nella chiesa del monastero è troppo freddo. Ci sono altri visitatori. Justine, monaco del monastero, ci mostra un pezzo di tronco di albero la cui sezione riproduce la croce ortodossa in maniera straordinaria. Dopo poco arrivano soldati Usa della Kfor. Entrano ma non dicono buongiorno. Se ne andranno allo stesso modo. Del resto, sono venuti in questa terra senza invito, sono consapevoli del loro saper prendere senza chiedere.
Cason, il maggiore… White, il driver… Crowe il più giovane. Cason dice di suonare la chitarra, gli chiedo se suona anche “Blowin’ in the wind” di Bob Dylan. Ma lui preferisce la chitarra classica… White, allora, dal suo cellulare mi fa sentire la sua musica preferita: Bruce Springsteen, il boss! Ma allora sei un democratico, mister White! Certamente avrai votato per Obama. Rifiuta una seconda rakija, perché dice che dovrà guidare. “Quale autorità potrà mai fermarti per questo?” gli chiedo ironicamente… ridono. Crowe è più taciturno, ha origini scozzesi, ha fatto il portiere in una partitella organizzata dai soldati contro una rappresentativa locale. Hanno perso e mi chiedono se mi piace il calcio. Vorrei rispondere “Almeno quanto a voi piace la guerra!”, ma dopo che Ilarion mi presenta come un pacifista, dico solo che non lo sono, che dentro sento tanta rabbia contro la guerra e chi la fa. E ribadisco, visto che questi soldati raccontano di stare ad aiutare anche la povera gente degli sperduti villaggi serbi, che un soldato se conoscesse prima chi sarà colpito dalla guerra che andrà a fare, forse se ne starebbe a casa e rifiuterebbe. Fondamentalmente, un soldato deve restare ignorante. Cason annuisce, si dice davvero d’accordo. Il dubbio che mi stia prendendo in giro mi viene. Ma i suoi occhi si abbassano sempre, come un bambino davanti a chi sa quanto l’abbia fatta grossa! Allora, forse così ignorante non lo è. Forse, tutta questa buona fede non c’è. Forse, è molto consapevole di quello che fa.
Con Ilarion restiamo a parlare delle iniziative in corso. C’è una scuola a Gornj Makreš da riscaldare, dovremo riuscire a realizzare quanto prima l’impianto completo di riscaldamento. Lui mi da le schede del progetto da portarmi dietro. Ci sono altre scuole di villaggi vicini, Jasenovik, Bostane, Prekovce da sostenere con l’acquisto di un pulmino e di un piccolo fuoristrada per permettere ai ragazzini, piccoli studenti, di arrivarci anche nelle situazioni più difficili e in assoluta sicurezza. Inoltre, parliamo di famiglie che andrebbero sostenute, alcune delle quali piene di iniziativa ma senza mezzi. Allora si pensa di coinvolgere i sostegni in atto col monastero di Dečani, dove ci sono casi che andranno sostituiti e altri il cui sostegno potrebbe essere dimezzato. Tutto va bene, pur di essere di aiuto a famiglie che hanno figli da crescere in situazioni di vita così difficili.
Al monastero di Dečani, in piena Metohija, trovo solo qualche monaco. Molti sono via o stanno riposando dopo le fatiche delle celebrazioni del Natale. Petar mi accoglie con calore e amicizia nel salone al piano superiore, offendo rakija e caffè. Poi, arrivano anche Nifont e Isaja coi quali parliamo dei nostri progetti di sostegno a distanza per venti famiglie serbe dei villaggi. Loro chiedono se possono dimezzare il sostegno di 300 euro annuale, raddoppiando così le famiglie aiutate. Non ci sono problemi, importante sarà sostenere più casi possibili bisognosi di una mano. Come con Ilarion, pianifichiamo anche con loro una missione in primavera prossima, proprio per andare a visitare direttamente queste famiglie beneficiarie del nostro sostegno e raccogliere materiale informativo direttamente sul posto e da divulgare ai nostri sostenitori.
Poi parliamo del progetto di realizzazione di pozzi artesiani. Ne hanno già finiti cinque, acquisteranno tutte le pompe necessarie per portare acqua nelle case. Sono molto impegnati dalla cosa, cercheranno di continuare nella prossima primavera, tempo permettendo. Ribadiamo la nostra disponibilità di fondi, chiediamo solo di fare attenzione a non sovrapporre la nostra con altre iniziative di altre associazioni, per evitare confusione fra i nostri sostenitori e finanziatori. Per loro è un impegno gravoso, si scusano per malintesi passati, ma si dicono disponibili a continuare nel progetto, perché lo ritengono davvero meritevole e utile.
Regalo loro alcune copie del libro “L’Urlo del Kosovo”, sono contenti, stanno imparando tutti l’italiano e la cosa, forse, li aiuterà. Poi, prima di mangiare, è doverosa una visita in chiesa, per rendere omaggio a quel luogo sacro, accendere ceri, sentire quell’atmosfera sempre coinvolgente nel suggestivo silenzio del monastero. Acquisterò vino, rakija e oggetti sacri vari nel piccolo negozio del monastero, per farne regali, sempre molto apprezzati o per esaudire richieste di amici.
Il rapporto con questi monaci è forte, la loro presenza è quanto di più necessario per la gente dei villaggi, sanno che non resteranno soli, ci sperano, come sperano che sempre ci possa essere da qualche parte una campana e i suoi rintocchi a ricordare che nel Kosovo odierno, dove è proibita la parola Metohija, che significa “terre che appartengono ai monasteri, i serbi continueranno a esistere e a vivere sulla loro terra.
Al ritorno, nessuno chiederà documenti alla frontiera. L’Eulex qui è ritenuta una violenta forzatura, una imposizione inaccettabile, l'ennesima di tante altre ingoiate negli anni. A Kosovska Mitrovica tutto sembra andare avanti in modo tranquillo, ma a far sembrare tranquilla la situazione è il carattere di queste persone che riescono ad affrontare ogni sorta di difficoltà e di sofferenza senza battere ciglio. Abituati a difficoltà estreme, sanno farsi bastare il necessario.
Con Sonja, del villaggio di Osojane, parlo di queste difficoltà e di come anche per loro esistano i desideri. Ma sono così diversi dai nostri, che non riesco a continuare a parlare quando mi dice che un suo desiderio di vita sarebbe, ad esempio, quello di…
“Viaggiare in pullman da casa mia, a Osojane, fino a Belgrado senza che si rompa durante il tragitto impiegandoci un giorno intero!” – “Stare in casa senza la paura che qualcuno venga a provocare tirando sassi alle finestre o facendo il prepotente con le auto” – “La sera, passeggiare nelle strade del mio villaggio in tranquillità, senza paura di incontrare fanatici violenti e razzisti, che non vogliono che i serbi continuino a esistere in quella che da sempre è anche la loro terra.”.
Io tornerò e riprenderò la mia vita. Scriverò di ciò che ho visto e incontrato, ma avrò anche i miei momenti di tranquillità e serenità. Mi attiverò affinché le iniziative solo pensate possano realizzarsi. Potrò anche sentirmi felice, qualche volta. O fare finta. Ma senza dimenticarmi mai di queste persone, di questi luoghi dove, a volte, è difficile anche fingere.
Questo è stato il mio viaggio per capire. Un viaggio dove incontri chi si nutre dell’essenziale, dove ti rigiri nei pensieri senza trovare risposte, perché semplicemente non esistono. Dovrai vivere, dovrai lasciar passare il tempo, dovrai andare avanti, senza dimenticare cosa c’è che ti lega a questa terra.
Ma un viaggio per capire è anche un viaggio dove senti la fatica dentro. E’ un viaggio che ti porta altrove, con la testa, con i piedi, con lo sguardo. A cercare di comprendere cosa ci sia, nascosto dentro te, che ti comprime così forte il cuore e gli occhi, portandoti a camminare su strade sconnesse e impervie, dove poter viaggiare senza fretta, ma con attenzione. Cercando, davvero, solo di capire.
El presidente de la Asamblea General de Naciones Unidas, Vuk Jeremic (Serbia), defendió hoy la interpretación de la Marcha de Drina durante un concierto celebrado el lunes en el plenario del máximo órgano de la ONU.
El también excanciller serbio rechazó los intentos de falsear el significado de la presentación de esa obra por parte del coro Viva Vox de Belgrado y los consideró como una profunda ofensa al pueblo de Serbia.
Destacó la importancia de la pieza musical que rinde tributo a quienes defendieron la libertad frente a los agresores durante la Primera Guerra Mundial, que costó la vida a la tercera parte de la población masculina serbia.
Estamos muy orgullosos de ella y queremos unirla al mundo con un mensaje de reconciliación para la presente y futuras generaciones, apuntó Jeremic.
La declaración del presidente de la Asamblea General fue emitida poco después que el vocero oficial de la ONU, Martin Nesirky, pidió disculpas porque el secretario general, Ban Ki-moon, aplaudió la obra tras su interpretación por el coro visitante.
Lamentamos sinceramente que hubiera gente que se ofendiera con esta canción, que no estaba incluida en el programa oficial, precisó.
Dijo que el titular de Naciones Unidas “no era consciente del uso que ha sido dado al himno”, en referencia a (dudosas y nunca comprobadas) versiones sobre su utilización por parte de grupos nacionalistas vinculados a la masacre de Srebrenica en 1995.
original AQUI: http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1021981&Itemid=1
"MARCH TO DRINA RIVER" AND BAN KI-MOON APPOLOGY
The Honorable Ban Ki-Moon
Secretary General
760 United Nations Plaza
United Nations
New York, NY 10017
REF: The Drina March apology
Your Excellency,
The first Allied victory of the World War I, The Battle of Cer [Mountain], opened the door towards the end of The Great War and creation of The League of Nations, predecessor of The UN.
That is exactly what The Drina March represents, fighting for freedom regardless of the odds. Individuals who objected to The Drina March belong to a group that fought against the Allies in both World Wars.
UN apology for The Drina March being performed in The UN is an affront to millions of Allies who gave their lives in WWI for freedom.
Serbs as people never demographically recovered from the loss of 56% of male population in WWI, leading to the additional loss of up to one million in WWII. By UN Genocide Convention, it is Genocide by attrition. That is what the complaint about The Drina March was all about - the fear that the truth will come out.
Media battle cry "Serben Muss Sterben" (The Serbs must die) in 1914 announced this genocide and such racist cries continue to the present day. UN apology is creating a new wave of anti-Serb media reports bordering on racism.
Living behind barbed wire is already reality for the Serbs in UN-governed Kosovo. After this apology, what Serbs can expect next from The UN, a new text of The Universal Declaration of Human Rights that adds "except Serbs" to all articles?
Your Excellency, UN apology to anti-Serb racists who prefer to goose step to the tune of Die Fahne Hoch was misguided, factually inaccurate and morally wrong.
You owe an apology. To the Serbs and all Allied nations.
Yours Sincerely,
Bob Petrovich, Canada
Orthodox New Year Celebration in UN
Jan 18th, 2013 | By De-Construct.netOrthodox New Year in United Nations
Belgrade’s Viva Vox choir, performing a capella – without instruments, ushered the New 2013 Year with a concert in United Nations General Assembly in New York, on January 14, the first day of the New Year according to the Julian calendar.
An arrangement of traditional Serbian songs, mixed with world pop/rock and classical music was greeted with standing ovations. Among the best received was the famous Serbian First World War March to Drina.
The glorious March was composed by Stanislav Binički in 1914, in honor of the bravery of the Serbian Army, after winning a triumphal Battle of Cer, the first victory for the Allied forces in WWI.
Klemen Košak - Mladina 46 - 16. 11. 2012
Kažu da je Sloveniju stvarnost udarila u glavu. Sada nam svima treba biti jasno da ne možemo više živjeti kao što smo živjeli do sada.
Najbogatiji sloj stanovništva, urbana srednja klasa, prije pet godina zaista je mogla naći posao i sl. Ali opravdano je da ljudi očekuju da će se nakon završetka studija zaposliti i urediti si život vrijedan čovjeka u Europi 21. stoljeća. Sporno je što se ljudima pokušava dokazati da dostojan građanski život više nije legitiman. Ne govori se da je upravo taj barbarizam koji još ne doživljavamo u Sloveniji kao u mediteranskim zemljama - onaj na koji je prije sto godina upozoravala Rosa Luxemburg - nužan uvjet za omogućavanje daljnje akumulacije kapitala. Da bi kapitalizam izašao iz recesije mora uništiti podosta neproduktivnog ili zaostalog fizičkog kapitala, razoriti razinu življenja, socijalna i radnička prava te stvoriti fleksibilno tržište rada kako bi povisio profit koji omogućuje daljnja ulaganja, rast i razvoj.
U Sloveniji popriličan broj ljudi još uvijek živi razmjerno dobro. Mlade koji rade u najfleksibilnijim radnim uvjetima spašava npr. imovina roditelja. Mijenja li se to?
Moramo razlikovati Ljubljanu od ostalih dijelova Slovenije. Uništenje standarda u devedesetima i kasnije u manjim mjestima i na selu bilo je znatno. Ali i u Ljubljani prosperitet mladih nestaje jer se temelji na kreditu koji nije bankarski, već vremenski kredit - imovini njihovih roditelja. U onom trenutku kada budu morali založiti ili prodati stan ili kuću kako bi unucima mogli platiti školarine, srušiti će se i ta iluzija o dobrom životu.
Ali kao što kažu, pogledajte one koji su već patili zbog krize, obrtnike, radnike u graditeljstvu… Nije li pošteno da i ostali stegnu remen?
Naravno da su zaposleni u privatnom sektoru do ovog trenutka bili veće žrtve krize nego zaposleni u javnom sektoru. Pitanje je kako to staviti u političke okvire. Prevladavajuća ideologija je: ako pati jedan, neka pate i ostali. Nasuprot toj ravnomjernoj raspodjeli patnje možemo postaviti obrnutu političku ideologiju: svaki radnik, bez obzira na to u kojem je poduzeću ili instituciji zaposlen, trebao bi imati ista prava i sindikalnu potporu kao i najbolje organizirani radnici u javnom sektoru. U novinama puno čitamo o diktatu Trojke o rezovima u javnom sektoru, njenoj autoritarnoj politici u Grčkoj, neposrednom pritisku na grčku vladu ili na vlade perifernih zemalja. Ali i u Grčkoj su najpogođeniji bili radnici u privatnom sektoru i to zato jer je taj sektor već proveo mjere štednje.
U privatnom sektoru lakše je štediti.
Privatni sektor autokratski je već po definiciji, pod definicijom tu mislimo na ono što Marx naziva despotizmom u proizvodnji. U tom sektoru teže je provoditi mjere štednje jer ipak vrijede neka minimalna pravila, minimalni civilizacijski standardi.
Štednju u javnom sektoru ograničavaju zakoni.
I kolektivni ugovori su jači. Zbog toga štednju u tom sektoru mora diktirati neka diktatorska Trojka. U privatnom sektoru u kojem vrijedi sloboda kapitala i poduzetnička inicijativa te u kojem se nad radnicima provodi despotizam, mjere štednje puno su lakše i zato su već provedene. Zbog toga je važno zaustaviti taj trend ne samo u javnom nego i u privatnom sektoru.
Vlada tvrdi da jedino gospodarstvo može stvoriti radna mjesta i dodatnu vrijednost kako bi država bila sposobna funkcionirati. Država gospodarstvu mora samo omogućiti da stvara radna mjesta i da pošteno plaća zaposlenike.
Dok god je kapitalizam dominantan način proizvodnje, nova se vrijednost stvara samo komercijalnim djelatnostima. Zdravstvene, obrazovne i ostale nekomercijalne proračunom financirane usluge društveno su korisne i neophodne ljudima, ali prema Marxu nemaju razmjensku vrijednost. Nije to obrana kapitalizma; to je njegov temeljni problem, ta podjela na produktivni i neproduktivni sektor. Po prirodi kapitalističkog sustava zdravstvo je npr. ovisno o komercijalnoj proizvodnji kozmetičkih proizvoda. Zbog toga kapitalizam treba eliminirati i zamijeniti ga nekim društvenim uređenjem u kojemu su sve čovječanstvu korisne djelatnosti izravno produktivne. Ali tu vlada i većina liberalnih ekonomista, intelektualaca i novinara brka uzrok i posljedicu krize. Kriza nije nastala jer je, kao što bi Milton Friedman rekao, javni sektor ugušio mogućnost investiranja u privatnom sektoru. Privatni sektor, najprije financijski, kasnije i industrijski, uslužni i trgovački, slomio se zbog svojih unutarnjih proturječnosti. Nakon toga računao je na državu koja se zbog toga zadužila. Sada još od nje zahtijeva da poveća proračunski dio subvencija za gospodarstvo i proporcionalno smanji dio za socijalne i ostale „neproduktivne“ djelatnosti.
Ali kao što kaže Egon Zakrajšek, kojeg svi rado citiraju, u Sloveniji uopće nemamo kapitalizam, već „pajdaški kapitalizam“.
To je klasična moralistička pozicija koja proizlazi iz neke idealne zamisli o tome kako bi slobodno tržište i idealni kapitalizam trebali djelovati. Proizlazi iz zamislî o tržištu koje su odvojene od realne povijesti, koje bi samo trebalo voditi u neku vrstu ravnoteže, prosperiteta i punog zaposlenja za sve. Povijest pokazuje da to nikako ne stoji. U svih dobrih dvjesto godina kapitalizma nakon industrijske revolucije, postojalo je samo jedno razdoblje blagostanja, i to vrlo kratko i na jako malenom geografskom području: nakon Drugog svjetskog rata u Zapadnoj Europi, Skandinaviji, SAD-u i, djelomično, u Japanu. Većini ljudi većinu vremena pod kapitalizmom nije bilo baš dobro. Istodobno, slobodno tržište nije nikad funkcioniralo bez velike državne pomoći i velikih državnih intervencija. Silicijska dolina u Kaliforniji koja se danas navodi kao primjer poduzetničke inicijative novoga kapitalizma, u kojoj se ideje automatski pretvaraju u zlato, osnovana je zahvaljujući Pentagonovom financiranju. Američko Ministarstvo obrane željelo je stvoriti visoku tehnologiju za potrebe Hladnog rata, za prisluškivanje i špijuniranje. Tek nakon što je već sva infrastruktura pripremljena državnim novcem, Dolinu se prepustilo poduzetničkoj inicijativi. Glavno političko pitanje nije "država ili tržište" zato što država uvijek jeste isprepletena s tržištem pa i u najneoliberalnijim oblicima. Pitanje je koji udio proračuna je namijenjen socijalnim uslugama, a koji je udio subvencija kapitalu.
Argument da u Sloveniji ne postoji pravi kapitalizam ide pod ruku s argumentom da su Sloveniju oteli „kumovi iz sjene“, koji npr. preko javnih natječaja kradu državni novac, zbog čega je potrebno više uzeti gospodarstvu što, pak, guši poduzetnike.
To je klasična teorija paranoje koju je izumila američka krajnja desnica i koju ustrajno upotrebljava kao argument protiv parlamentarne demokracije i za stvaranje nečega što možemo uvjetno nazvati republikom tržišta. Temelj neoliberalne socijalne i političke filozofije teza je da će demokraciju, javne natječaje i slične stvari istog trena kada ih budemo dobili, zloupotrebljavati neke fantomske interesne skupine. Naravno, rješenje je eliminacija javnih natječaja ili čak i parlamentarne demokracije te vlast prosvjećene tehnokratske, meritokratske elite.
Za neke od mjera koristi se argument konkurentnosti države Slovenije,
koju hitno treba povećati. Primjerice, fleksibilizacijom tržišta radne snage.
Čak ako i pristanemo na parametre kapitalističkog razvoja postoje dva modela. Jedna od mogućnosti je privlačiti investitore visoko obrazovanom radnom snagom i dobrom državnom infrastrukturom. Druga je mogućnost smanjivanje troškova radne snage i smanjivanje države koja se u tom slučaju ne bi razvijala, već bi se šivalo Nike tenisice ili sastavljalo elektroničke komponente. Veliki problem, koji neki analitičari nazivaju luđačkom košuljom arhitekture EU, kruta je monetarna politika koja nije dostupna demokratskom utjecaju, nego je skoncentrirana u Europskoj centralnoj banci, a i fiskalna politika sve se više prenosi na razinu cijele Europe. Tako da je cijena radne snage jedina prilagodljiva pratiteljica koja ostaje državama na rubu EU kako bi održavale konkurentnost s gospodarski stabilnijim državama: Njemačkom, skandinavskim državama, Nizozemskom. Ako i prihvatimo okvire kapitalizma, potrebno je odbiti fiskalno pravilo i omogućiti neki manevarski prostor kako bi opsežne državne investicije poticale tehnološki iskorak.
Ali neće li poduzetnici više zapošljavati ako im olakšamo otpuštanje i smanjimo troškove rada?
Istina, poduzetnici će imati veće profite ako će moći lakše otpuštati, ako će plaće biti manje i ako će biti smanjeni i socijalni doprinosi. No time se smanjuje potražnja. Njemačka to, primjerice, rješava pritiskom na plaće i gušenjem unutarnje potražnje dok se istodobno usmjerava na izvoz. Njemačka industrija ostvaruje profit u inozemstvu te se zbog toga ne opterećuje domaćom potražnjom i stagnacijom plaća. Nastanak novih radnih mjesta smanjivanjem plaća jer bi se tako novac raspodijelio na veći broj ljudi, argument je koji empirijski ne stoji. U posljednjih 30 godina, koje mnogi nazivaju razdobljem neoliberalizma, plaće su stagnirale ili se smanjivale u svim razvijenim kapitalističkim državama, u SAD-u, u Europi pa i u Skandinaviji. Istodobno, zaposlenost se nije povećala, nego se smanjivala. Strategija kapitalista kao klase pojedinačnih poduzetnika, bila je održavanje idealne stope nezaposlenosti za vlastite interese, koja se sad na europskoj razini zadržala na nekih 12%.
Tako postoji rezervna armija radne snage koja vrši vanjski pritisak na plaće?
Više nije potrebno da poduzetnici budu zlobnici koji smanjuju plaće jer taj pritisak provodi sama konkurentnost na tržištu radne snage. To je jedan od argumenata zašto smanjivanje radničkih prava i niže plaće neće dovesti do veće zaposlenosti. Drugi je argument da kapitalisti, zato što jesu kapitalisti, uvijek ulažu tamo gdje je trenutno najveći profit. Ako to nije država u kojoj su ostvarili profit, ili ako to uopće nije njihova osnovna djelatnost koja je produktivna i stvara nova radna mjesta, recimo proizvodnja, ulagat će u financije, u egzotične financijske instrumente ili dugove perifernih država - jer njihove kamate rastu. Dok poduzetnici, tj. kapitalisti, imaju potpunu slobodu u tome što rade s profitima, ne postoji nikakva garancija da će ih upotrijebiti za stvaranje novih radnih mjesta.
Promjena ima i u sustavu socijalnih transfera. Prijašnja vlada ga je, kao što je objasnila, učinila pravednijim. Kod dodjeljivanja socijalne pomoći više se uzima u obzir imovinsko stanje ljudi. Nova vlada kritično smanjuje iznose transfera, opet s obrazloženjem da novca nema.
Društveni život i život ljudi pretvara se u robu. Smanjivanjem perioda primanja naknade za nezaposlenost, zaoštravanjem kriterija za dobivanje socijalne pomoći i smanjivanjem iznosa te pomoći, ljude se tjera u ovisnost o tržištu radne snage. I to u vrijeme rastuće nezaposlenosti. Ljudi, koji su već i ovako na društvenoj periferiji, dovedeni su u položaj u kojemu je tržište rada njihova jedina mogućnost za preživljavanje. Isto to tržište rada koje ih je već prije odbacilo, prema tome ne želi ili nije sposobno apsorbirati ih. Tako ljude discipliniraju i istodobno stvaraju pritisak na plaće onih koji su dovoljno sretni što još uvijek imaju posao.
Logika preuzimanja individualne odgovornosti za život pojedinca prisutna je i drugdje. Za obrazovanje se npr. tvrdi da je ono investicija u osobni ljudski kapital kojom će pojedinac lakše naći posao i neće biti na teret državi.
To je možda od svih koje smo dotaknuli - najperverznije cinična ideologija. O osobnoj odgovornosti krene se pričati na onoj točki kada svi mi - bili kapitalist, državni činovnik ili radnik u javnom ili privatnom sektoru - osjećamo pritisak smanjivanja gospodarske aktivnosti u svakodnevnom životu. Za što bi točno pojedinac trebao preuzeti odgovornost? Za bezveznu akumulaciju drugorazrednih hipoteka na Wall Streetu? Za slom svjetske trgovine koji je uslijedio? Za pad njemačkog izvoza, zbog kojeg je Njemačka stavila pritisak na zemlje-dužnice kako bi kompenzirala ono što je nestalo većim kamatama na dug? Imamo strukturno smanjivanje standarda, a istodobno bi trebali oplemenjivati ljudski kapital kako bi se lakše zaposlili. U nekom perverznom obratu, potpuno su se zamijenili krivci i žrtve, uzroci i posljedice. U posljednje vrijeme kriv je školski sustav jer ne nudi dovoljno gospodarsko iskoristivih znanja, a zapravo imamo strukturnu nezaposlenost. Europa je stagnirala već i prije krize, ako ne ubrajamo kreditno poticajne države. Najveća zaposlenost vladala je u vrijeme najvećeg kolektivizma u Europi, u razdoblju kejnzijanske socijaldemokratske države. U to su vrijeme sveučilišta bila autonomna i humboldtovska. Nisu nudila ljudski kapital, na njima nisu postojali centri za karijere, na njih se nije vršio pritisak da se podrede gospodarstvu, a svejedno je bila moguća puna zaposlenost koja danas djeluje kao znanstvena fantastika.
Tvrdite da financijalizacija društva i politika ljudskog kapitala vode u formalno discipliniranje duše. Što to točno znači?
Zbog fleksibilizacije tržišta radne snage sve je veći broj ljudi u prekarnim radnim odnosima, rade honorarno ili samostalno, zbog čega su odvojeni od suradnika i kao takvi sve su više atomizirani. Istodobno se radi o dekompoziciji temeljnih društvenih veza i uništavanju socijalne države. To je također i depolitizacija. Sve više osjećamo kako nemamo nikakvu političku moć, a što utječe na naš život, na razvojnu politiku, na to kako radimo, kakve su naše šanse za preživljavanje, kakva je naša moć. Kada je Margaret Thatcher govorila o promjeni duše, sanjala je o osnaživanju pojedinaca, o tome kako svaki čovjek postaje poduzetnik, investitor. Svi bi postali dio srednje klase, a proletarijat bi nestao. Njena se očekivanja nisu ostvarila. Uistinu smo postali individualniji, pojedinci, ali u smjeru veće depresije i nemoći. Spinoza definira tugu kao odvojenost od vlastite sposobnosti za djelovanjem. Tuga i depresija, koje pripadaju u ključne simptome kasnog kapitalizma, javljaju se u trenutku kada više ne možemo - ni kao pojedinci ni kolektivno - utjecati na vlastiti život. Jednostavno nam se stvari događaju. To je ta promjena duše.
Neke od vladinih mjera barem su naoko u neskladu s financijalizacijom društva, odnosno s uvođenjem neoliberalizma koji zagovara sklanjanje države s puta tržištu. Kako razumjeti širenje utjecaja politike na visoko školstvo ili sudstvo?
Ne slažem se da se politika ne bi trebala miješati u ništa. Ako se govori o profesionalnim političkim kastama tehnokrata opsjednutih mjerama štednje, i ako to ruši autonomiju sveučilišta, zdravstva, sudstva, naravno da to treba odlučno odbiti i boriti se protiv toga. Možemo i reći da su ljudi zaposleni u zdravstvu i školstvu isto tako politički subjekti koji se mogu lagano organizirati i politički djelovati. To je politika koju bih podupirao.Vlada politiku u visoko školstvo uvodi tako da politizacija kontrole nad visokim školstvom služi osobnim interesima onih koji jesu političari i koji uvode te promjene. To je zloupotreba riječi politika i takvi ljudi nisu političari. Politika je po definiciji javno djelovanje u javnom interesu. Ako je riječ o osobnoj koristi, to je po Kantu patološko ponašanje. Ako izjednačimo politiku s Borutom Rončevićem, Dimitrijem Rupelom ili drugima koji na takav ili drugačiji financijski način izvlače osobnu korist preko političkog utjecaja, odričemo se vlastite političke moći i ostaju nam samo depresija i cinizam.
Pripada li u taj kontekst i zapošljavanje rodbine vodećih u SDS-u (Slovenska demokratska stranka)?I Građanska lista, koja je najliberalnija stranka u vladi, brzo je sredila zaposlenje supruzi Rada Pezdirja u Ministarstvu financija.
To bi bilo smiješno, da nije tužno. Najprije imamo vrlo koncentriranu, ideološku, neoliberalnu kampanju s geslima da će smanjivanje javnog sektora i države dovesti do vladavine meritokracije, što će uništiti nepotizam i klijentizam. Čim propagatori te ideologije dođu na položaj na kojemu mogu postavljati ljude, krenu s provođenjem upravo tog klijentizma i nepotizma. No nije dovoljno moralizirati. Strukturni razlozi klijentizma i nepotizma opće su smanjivanje opsega zapošljavanja koje nije tako intenzivno u javnom, ali je veoma intenzivno u privatnom sektoru. Liberali će uvijek govoriti, pogledajte privatni sektor, tamo nema klijentizma i nepotizma. Naravno da to nije istina jer su tamo upravo oni temeljni način djelovanja. Pogledajte recimo Benetton koji je sada ostarjeli otac ostavio sinu. To je normalno, to u novinama nije skandal. Ako bi ministar, vođa kliničkog centra ili rektor sveučilišta nakon završetka mandata položaj prepustio sinu, nastao bi skandal. U javnom sektoru postoji barem osnovno osiguranje protiv klijentizma i nepotizma. Što su nezaposlenost i očaj kod ljudi jači - ako radno mjesto djeluje kao dobitak na lutriji, a ne kao automatsko pravo nekoga s odgovarajućim obrazovanjem, stupnjem pripremljenosti i sposobnosti za rad, to se više smanjuje moć meritokratskih pravila i jača ona klijentističkih, patoloških, bez obzira na to radi li se o javnom ili privatnom sektoru. Privatizacija neće smanjiti klijentilizam i povećati meritokraciju. To može jedino puna zaposlenost. Ako više ne bude međusobne konkurencije za radna mjesta, neće biti potrebno ni da se oni s položaja najprije pobrinu za vlastitu obitelj.
Naizgled je u suprotnosti s neoliberalnom ideologijom i slovenski državni holding koji uvodi centralizirano upravljanje državnom imovinom na koje će utjecaj imati vlada. Je li to istina?
Ne. Čitajte Friedricha Hayeka. Neoliberalizam ima dvije verzije, populističku i elitnu. Hayek kaže da je znanje po definiciji raspršeno, subjektivno, te zbog toga nijedna supstanca, ma koliko dobronamjerna bila, ne može znati što je javni interes. Pobija se koncept javnog zdravstva u smislu da nijedna skupina ljudi, organizacija ili institucija ne može znati što je stvarno dobro. To je populistička verzija neoliberalizma, čija je nenadmašna majstorica bila Margaret Thatcher. To što danas slušamo u Sloveniji samo je razvodnjena i retorički nespretna verzija njezinih argumenata iz osamdesetih: osnaživanje pojedinaca, ekspanzija privatne inicijative, povlačenje državne dadilje, što bi pojedincu omogućilo slobodu i osobni prostor. Istodobno Hayek u dijalogu s ostalim elitnim neoliberalima piše opće filozofske i povijesne traktate o društvu i ekonomiji. Čovječanstvo tapka u mraku nekih subjektivnih, idiosinkratičnih -Grci bi rekli - idiotskih napora za ostvarivanje vlastitih individualnih interesa, a vrhunski neoliberalni intelektualci mogu prosuđivati o društvu, ekonomiji, tržištu i državi kao o nekim agregatnim cjelinama. I povijesni je razvoj neoliberalizma - prvenstveno u začetku, u 1970-ima - vezan uz državu, osobito u Čileu nakon Pinochetovog državnog udara. Snažan državni nadzor nad gospodarstvom oduvijek je bio prisutan. Država se nikada u nijednom neoliberalnom uređenju nije povukla. Povijesno, kapitalizam poznaje dva načina regulacije: socijaldemokratski, u kojemu država regulira u korist rada, i neoliberalni, u kojemu država regulira u korist kapitala. To je to. Obmanjujuće je postavljati dilemu država ili tržište jer se tu još uvijek radi o klasičnoj dilemi, rad ili kapital. Holding je samo koncentriranje nadzora nad poduzećima u državnoj vlasti s namjenom racionalizacije tih poduzeća i pritiska na radnu snagu - u korist kapitala.
Kako se onda mijenja slovensko društvo?
Kao što se mijenja i cijela periferija, dakle rub država oko političko i ekonomski najmoćnijih država u EU, na državnoj razini sve više klizimo u neki ovisni položaj, u utrkivanje u konkurentnosti, dok unutar države smanjujemo socijalne i radničke standarde na svim frontama. Istodobno privatni sektor ne pokazuje nikakve znakove oporavka.
Ali ako svi stegnemo remene, privatni sektor će opet zapošljavati.
Da, kapital se može prikupiti, ali za to je potrebno dostatno uništenje radničkih prava, plaća i zaostalih neproduktivnih, nekonkurentnih kapitala. Recesija u Europi trajat će najmanje deset godina. Pitanje je, zašto i dalje uzdržavati taj sustav, ako nužno mora proći kroz desetljeće barbarstva kako bi se moglo pokrenuti razdoblje iluzornog blagostanja koje bi trajalo nekoliko desetljeća da bi se zatim opet ponovio cijeli ciklus.
Da: Dieci Febbraio <diecifeb(a)diecifebbraio.info>
Oggetto: Lettera Aperta sulla Sezione storia della Biblioteca nazionale slovena e degli studi di Trieste
Data: 14 gennaio 2013 21.12.45 GMT+01.00
A: redakcija(a)primorski.eu, redazione(a)primorski.eu, trst(a)primorski.eu
Cc: trst(a)knjiznica.it, urednistvo(a)slomedia.it, skgz-ts(a)skgz.org, redazione-slovena(a)rai.it, sso(a)mladika.com, editors(a)primorske.si, segreteria.redazione(a)ilpiccolo.it, redazione(a)lavoceditrieste.info, urednistvo(a)delo.si, suzana.rankov(a)dnevnik.si, Porocila.Radio-Koper(a)rtvslo.si, Spela.Lenardic(a)rtvslo.si, stefano.lusa(a)rtvslo.si
e p.c. agli altri media e giornalisti triestini e sloveni in Cc
Oggetto: Chiusura della Sezione storia della Biblioteca nazionale slovena e degli studi di Trieste e messa in cassa integrazione del personale
La chiusura della Sezione storia è un colpo inferto in generale alla cultura della città di Trieste, ed in particolare alla possibilità di fare ricerca e divulgare la conoscenza storica sulle vicende dolorose ed importanti del confine orientale italiano. E' perciò un colpo inferto anche al carattere multinazionale della città ed alla possibilità di un dialogo tra le componenti nazionali italiana e slovena, che sia fondato sulla conoscenza reciproca e presa d'atto delle vicende storiche reali, al di là delle propagande e delle "buone intenzioni" professate. E' soprattutto sorprendente che un colpo simile venga inferto dagli stessi personaggi che si prodigano in iniziative ed incontri "pacificatori" con gli esponenti più in vista del nazionalismo e del neo-irredentismo italiano. Ci riferiamo ad esempio agli incontri recentemente avvenuti tra Livio Semolic, che della Biblioteca è vicepresidente (oltre ad essere presidente provinciale per Gorizia del SKGZ, segretario dell'attuale senatrice e candidata del PD per la Camera alle prossime elezioni politiche Tamara Blazina, eccetera), e Rodolfo Ziberna, esponente di spicco della Lega Nazionale e della ANVGD.
La Biblioteca si è sempre distinta per l'attivo contrasto alla falsificazione della storia ad uso e consumo del nazionalismo: forse è questo che dà fastidio? E' noto ad esempio che tra i ricercatori ed archivisti licenziati figura Alessandro Volk, le cui ricerche storiche sui temi dell'"esilio" istriano-dalmata e delle "foibe" rivestono una estrema importanza in un contesto dove impera invece l'approssimazione storiografica ad uso e consumo delle propagande. Sarebbe un ben meschino obiettivo quello di "liberarsi" di uno storico di grande coraggio e prestigio, ed ingraziarsi così certi ambienti neo-irredentisti italiani, mentre si introduce anche in questa istituzione lo strumento ricattatorio della precarizzazione del lavoro. Questo sistema di precarizzazione nel comparto della conoscenza sta creando danni gravi in tutto il sistema culturale, bibliotecario ed accademico italiano, ma nel caso specifico andrebbe a colpire un punto nevralgico dell'identità storico-culturale slovena arrecando grave danno agli interessi storici della componente nazionale ed alla cittadinanza intera di Trieste. La questione peraltro non ha solo rilevanza cittadina o nazionale, ma internazionale. Scelte masochistiche di questo tipo gettano pesanti ombre sulla possibilità di costruzione di una Europa che sia veramente dei popoli che la abitano, e non solo la sede di conciliazione tra gli interessi, spesso inconfessabili, delle sue classi dirigenti. Per Trieste, per gli sloveni ma anche per gli italiani, per un futuro diverso di coesistenza pacifica tra i popoli, la Sezione storia della Biblioteca nazionale slovena e degli studi di Trieste deve essere riaperta, i suoi addetti vanno confermati nei loro incarichi, e ad essa devono andare i fondi ed il sostegno necessario, a tutti i livelli, perché possa proseguire e rilanciare le attività cui è istituzionalmente deputata.
La Redazione del sito Diecifebbraio.info
Annie Lacroix-Riz, historienne, éclaire l’absurdité du Prix Nobel de la paix attribué à l’UE
http://www.michelcollon.info/Une-historienne-eclaire-l.html?lang=fr
Questa intervista in lingua italiana:
La storica Annie Lacroix-Riz spiega l'assurdità del Nobel per la pace all'UE
su http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/custcn12-012050.htm
EU NIJE PROJEKAT MIRA
BRN: Evropskoj Uniji je ove godine dodijeljenjana Nobelova nagrada za mir. Kakva je bila vaša prva reakcija na odluku žirija u Oslu?ALR: Vijest se mogla isprava uzeti kao poruga. U apsurdnom svijetu u kojem živimo takav izbor je sukladan s linijom dodijeljivanja Nobelove nagrade u posljednje vrijeme. Time ta vijest nije ništa manje smiješna s obzirom na aktualnu politiku, niti s obzirom na nastanak same EU.BRN – Aktualnu političku praksu smatrate ratnohuškačkom…ART – Za sada je ona u ulozi malog poslušnog vojničića NATO pakta, kako je to uostalom EU činila od svog nastanka. Sama EU i veliki broj njenih članica upletene su gotovo sve u povremene ratove, već punih dvadeset godina.BRN – Ipak, kao historičarka vi neprestano inzistirate na nastanku, koji uopće nije bio mirotvorački, EU. Možete li precizirati ovu analizu?ARL – Arhivi, koji su najbolji izvori historijskog istraživanja, jedini nam dozvoljavaju da se ogole istinski izvori i ciljevi te zajednice, a oni isključuju takve «pravce» i pobude, kakvi se odnedavna pripisuju EU i kojima nam probijaju uši.BRN – Vi neprestano podsjećate na takozvanu «deklaraciju Schumana» od 9. maja 1960, koja se često uzima za fundamentalni akt, od koje je počelo stvaranje «evropske avanture»…ARL- Da, i te precizne okolnosti zaslužuju podrobno ispitivanje. Upravo sutradan nakon te Schumanove izjave – 10 maja 1950 - imala se održati u Londonu značajna konferencija još tada mladog NATO-a (Atlanske Alianse, koja će službeno biti osnovana tek za godinu dana). Na dnevnom redu bilo je službeno davanje zelenog svjetla, koje je dozvoljavalo ponovno naoružavanje Savezne Republike Njemačke (BRD), što je uporno već pune dvije godine zahtijevao Washington (od 1948 godine). Struktura i oficiri Wermachta bili su sačuvani u različitim organizacijama, koje su tada ustvari predstavljale fasadu iskorištenu za tu svrhu. No svega četiri godina nakon uništenja nacizma davanje zelenog svijetla za atlantski savez bilo je vrlo teško postići od evropske populacije, prvenstveno u Francuskoj. Stvaranje Zajednice za Ugljen i Čelik (ECSC engl. ili franc. CECA), koji je nagovijestio francuski ministar inostranih poslova Robert Schuman na taj je način dozvoljavalo eskiviranje odnosno odlaganje službene objave te odluke, koju su zahtijevali američki vođe, i prikrilo je ono što je stvarno bilo u toku.BRN- Što je motiviralo tu američku strategiju?ARL – Od marta 1947, u svom slavnom «govoru u Kongresu» predsjednik Truman je zatražio kredite, da bi spasio Grčku i Tursku od «napadaja», naravno od strane SSSR-a (u tom govoru nije spomenut SSSR). Na taj način započeo je veliko političko-vojno zaokruživanje te zone. Ustvari, već od 1942 Washington je pripremao sučeljavanje s SSSR-om, koji je u tom času bio njegov vojni saveznik, kako bi zajedno vojno savladali Njemačku. Najveću ulogu u tom sučeljavanju trebala je dobiti Zapadna Evropa, koja je imala biti politički integrirana.BRN- Znači li to da su američki politički vođe zahtijevali evrosku integraciju?ALR – Da. Washington je u tom času nametao ujedinjenu Evropu pod tutorstvom Savezne Republike Njemačke, zemlje čije su kapitalističke strukture bile najkoncentriranije, najsuvremenije i najtješnje povezane sa Sjedinjenim Državama (koje su u njih investirale milijarde dolara između dva svjetska rata) i najmanje razorene (80% industrijskog potencijala Njemačke bilo je netaknuto 1945!). Takva Evropa bila je potpuno bez obrane u odnosu na amarički izvoz i na američki kapital: motivi američkih političara nisu bili samo geostrateške prirode već isto toliko i ekonomske prirode.BNR – Kako su to evropski vođe i političari doživjeli?ARL- Amerikanci su na to natjerali svoje saveznike u Zapadnoj Evtopi, koji zaista nisu bili nimalo oduševljeni da se tako brzo ujedine s dojučerašnjim neprijateljem. Amerikanci su se, bez imalo ustezanja, poslužili financijskom ucjenom, odnosno oktroirali su «Marshallov plan» tim uslovom; prisilili su ih da prihvate izvjesnu političku «zajednicu» integrirane Evrope, koja je jasno bila formulirana, kao nezaobilazan uvjet u govoru održanom na Harvardu 5 juna 1947.BRN – Kakvo je bilo stanje duha političkih vođa Zapadne Njemačke?ALR- Od 1945 do 1948, čak i prije službenog stvaranja BRD – Savezne Republike Njemačke – oni su se u svakoj prilici pokazivali kao «najbolji učenici u Evropi», prema zrelo promišljenoj strategiji: svako napredovanje evropske integracije bilo je jednako postepenom brisanju pretrpljenog poraza, ono se pretvaralo u zalog kako će povratiti izgubljenu moć. Tako se ponovo pojavio termin «jednakih u pravima», koji je već prethodio poratnom razdoblju.BRN – To je vrlo smjela tvrdnja…ALR – To proizlazi iz analiza tadašnjih francuskih diplomata, a to su oni lucidno postavljali kao problem još od predratnog razdoblja i to su osjećali kao opasnost, kao što to potvrđuju njihove diplomatske note i poluslužbena upozorenja. Jer, službeno, morali su pozdravljati sjajan evropski horizont.BRP- Možete li pojasniti kako je «postepeno brisanje poraza» bilo dočekano od političkih elita Bonna?ALR- One su vrlo brzo postigle ukidanje ograničenja proizvodnje oružja, koje im je bilo nametnuto dogovorima na Jalti u Potsdamu: ustvari, već od 1945 ono je ukinuto u zapadnim zonama Njemačke, a pravno je počelo vrijediti od časa proglašavanja Marshallovog plana, u ljeto 1947. Njemački politički vođe počeli su govoriti jezikom kakvim su se služili između dva rata, jezikom Gustava Stresmanna (ministra vanjskih poslova od 1923 do 1929) i Kölnskog gradonačelnika Adenauera: «dogovori iz Locarna» (1925) garantirali su – na papiru – njemačke zapadne granice (ali ne i istočne), motivirajući ih time što je njihovo definiranje bilo pripisano Stresemannu, po dogovoru iz godine 1926, i njegovom francuskom kolegi, Briandu… dobitniku Nobelove nagrade za mir.Berlin je u tom slučaju zapjevao poznatu pjesmicu približavanja Evropi, izraženu uvjetom jednakosti u pravima («Glaicheberechtigung»). To je značilo odustajanje od teritorijalnih i vojnih klauzula Versajskog mira: povratak teritorija izgubljenih 1918 (i tobožnji «evropski» Anschlus Austrije), kao i odustajanje od zabrane obnove ratne industrije.BRN- Može li se dakle u tim pitanima povući paralela između BDR – Savezne Republike Njemačke – i Njemačke odmah nakon svjetskog rata?ARL- Francuski diplomat Armand Bérard poslao je kablogram Schumanu u februaru 1952 tvrdeći da će Konrad Adenauer (prvi kancelar Savezne republike Njemačke od 1949-1963) moći, «računajući na nadmoć (postojećih) rasploživih snaga» Amerikanaca protiv SSSR-a, prisiliti Sovjete »na takvo poravnavanje računa po kojem će oni biti prisiljeni napustiti njemačku teritoriju u Centralnoj i IstočnojEvropi, koju sada drže pod kontrolom» (uključujući i Saveznu Republiku Njemačku i Austriju). Radi se o izvanrednom predviđanju, koje će biti ostvareno tek četrdeset godina kasnije…BRN- Ako bi se prihvatila vaša analiza, Evropska Unija je dakle nastala pod američkim pritiskom, a bila je odlučno podržavana od strane zapadnonjemačkih političara zbog njihovih vlastitih ciljeva…ARL – Da, i ta nas konstatacija odvodi na udaljenost koja se može izreći godinama svjetlosti od današnjih ružičastih pričica, sada u velikoj modi, o «ocima Evrope», koje je neprestano progonila i šarafila misao «da se rat nikad više ne ponovi» i koji su bili isključivo opsjednuti pitanjem, kako da ostvare «prostor mira», a zbog čega su suci za dodjelu Nobela smatrali sve to vrijednom nagrade. Što se toga tiče, treba uzeti u obzir i ostale aktere na sceni, koji su imali presudnu ulogu u stvaranju evropskih integracija…BRN – Vatikan?ARL- O geopolitičkoj ulozi Vatikana se malo govori kad je riječ o «evropskoj konstrukciji» u XX stoljeću, ali nakon Drugog svjetskog rata američki politički vođe su Vatikan, još više nego nakon Prvog svjetskog rata, smatrali svojim krucijalnim pomoćnikom. Osim toga, nakon XIX stoljeća i još više nakon Prvog svjetskog rata, s papom Benediktom XV (papom od 1914 do 1922) veze između Reicha i Vatikana dale su konačan oblik evropskom kontinentu ( i prvenstveno istoku Evrope) , kako sam to pokazala u knjizi Vatikan, Evropa i Reich. Globalno uzevši, sve se to događalo uz potvrdu i pristanak Sjedinjenih Država – osim kad su germano-američka (ekonomska) rivalstva bila isuviše jaka. I zaista, odnosi postaju jako komplicirani uvijek kada se interesi političkih vođa preko Atlantskog oceana i onih preko Rajne počinju jako razilaziti. U tim slučajevima Vatikan će se uvijek stavljati na stranu Reicha. Najveća je tenzija dakle bila dostignuta tokom dva svjetska rata.BRN- Precizno rekavši vi opisujete Evropu po žalji Washntona i Bonna (a zatim Berlina). No te dvije političke snage nemaju nužno istovjetne interese…ARL – Apsolutno točno. A ta njihova razmimoilaženja, jako uočljiva u ratu na Balkanu od 1992 do 1999, intenzificiraju se, kad se kriza pojačava. To je još jedan razlog više da se posumnja u «pacifističke» efekte evropskih integracija.BRN – Ali Evropske integracije promoviraju i ostale zemlje, kao što to čini i Francuska.ARL – François Bloch–Lainé visoki državni funkcioner u Francuskoj, koji je postao veliki bankar, grdio je 1974 krupnu buržoaziju, koja je uvijek spremna iskoristiti «nesreću domovine». Od Bečkog Kongresa 1815 pa sve do perioda Kolaboracije u Francuskoj, preko Versaillais-a i Versajaca, ona se bila povezivala sa pruskim kancelarom Bismarckom protiv Parišeke Komune, kao što se vezala s njemačkim predratnim i američkim poslijeratnim modelom, jer ta upravljačka klasa traga za «društveno političkom zaštitom» protiv svog vlastitog naroda.BRN- Da li je to jedna od funkcija Evropske Unije?ALR- To je njena suštinska funkcija i iz te njezine potrebe proističe porijeklo zajednice. Za vrijeme stvaranja Zajednice za Ugljen i Čelik 1954 godine, jedan se francuski visoki funkcioner radovao što će «Evropa» konačno omogućiti Ministarstvu financija da se likvidiraju subvencije za reduciranje cijena neophodno potrebne robe. Ovo oduševljenje vrijedi citirati:»suštinska razlika krije se u činjenici da se evropska politika sada može oslanjati na alibi, koji nasuprot partikularističkih interesa, ima da predstavlja postojanje «nadnacionalnog» organa, dok tradicionalna politika pretendira da se vlade nameću i da one nameću vlastite interese putem nužne discipline. To je bilo jako teško sprovoditi, sve dok ministarstvo nije bilo u mogućnosti da odgovornost za to prebaci na neki nad-nacionalni organ, koje je u izvjesnoj mjeri nezavisan i u odnosu na samu vladu».I nakon 60 godina Evropa i dalje pruža «alibi» svojim tobože «nezavisnim» institucijama – kao što je to Centralna Evropska Banka – kako bi mogla svaku pojedinu nacionalnu odluku u cilju interesa krupnog kapitala izvući i udaljiti od kontrole i od gnijeva vlastitog naroda. Značajan kontinuitet, koji baš ne potiče na optimizam i ne daje neke velike «evropske» garancije za mir…
Why Humanitarian Interventionism is a Dead End - by JEAN BRICMONT
http://www.counterpunch.org/2012/12/04/beware-the-anti-anti-war-left/
http://www.voltairenet.org/article176896.html
DEUTSCH:
http://www.voltairenet.org/article176895.html
РУССКИЙ:
http://www.voltairenet.org/article177009.html
ESPAÑOL:
http://www.voltairenet.org/article177016.html
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Diffidare della sinistra anti-anti guerra
di Jean Bricmont
Sin dagli anni ’90, e soprattutto dopo la guerra del Kosovo nel 1999, chiunque si opponga agli interventi armati delle potenze occidentali e della NATO deve confrontarsi con quella che può essere definita una sinistra anti-anti-guerra (compreso il suo segmento dell’estrema sinistra). In Europa, e in particolare in Francia, questa sinistra anti-anti-guerra è costituita dalla socialdemocrazia tradizionale, dai partiti Verdi e dalla maggior parte della sinistra radicale. La sinistra anti-anti-guerra non è apertamente a favore degli interventi militari occidentali e a volte non risparmia loro critiche (ma di solito solo per le loro tattiche o per le presunte motivazioni – l’Occidente sta sostenendo una giusta causa, ma goffamente e per motivi legati al petrolio o per ragioni geo – strategiche). Ma la maggior parte della sua energia la sinistra anti-anti-guerra la spende nell’emettere ”avvertimenti” contro la presunta pericolosa deriva di quella parte della sinistra che continua ad opporsi fermamente a tali interventi. La sinistra anti-anti-guerra ci invita ad essere solidali con le “vittime” contro “i dittatori che uccidono il loro stesso popolo” e a non cedere all’ istintivo anti-imperialismo, anti-americanismo o anti-sionismo, e, soprattutto, a non finire dalla stessa parte dell’estrema destra. Dopo gli albanesi del Kosovo nel 1999, ci è stato detto che “noi” dobbiamo proteggere le donne afgane, i curdi iracheni e, più recentemente, il popolo libico e siriano.
Non si può negare che la sinistra anti-anti-guerra sia stata estremamente efficace.
La guerra in Iraq, che è stata venduta al pubblico come una battaglia contro una minaccia immaginaria, ha effettivamente suscitato una opposizione fugace, mentre poca o nulla opposizione è giunta dalla sinistra contro quegli interventi presentati come “umanitari“, come ad esempio il bombardamento della Jugoslavia per separare la provincia del Kosovo, il bombardamento della Libia per sbarazzarsi di Gheddafi o come l’attuale intervento in Siria. Eventuali obiezioni alla rinascita dell’imperialismo o in favore di mezzi pacifici per affrontare questi conflitti sono state semplicemente spazzate via invocando la “Responsabilità di Proteggere” (“R2P”) o il dovere di andare in soccorso di un popolo in pericolo .
L’ambiguità fondamentale della sinistra anti-anti-guerra sta nella questione di chi siano i “noi” che dovrebbero intervenire e proteggere. Si potrebbe porre alle sinistre occidentali, ai movimenti sociali o alle organizzazioni per i diritti umani, la stessa domanda che Stalin rivolse al Vaticano: “Quante divisioni avete?“
Resta però un dato di fatto che tutti i conflitti in cui si presume che “noi” dobbiamo intervenire siano conflitti armati. Intervenire significa intervenire militarmente e per far questo si devono possedere mezzi militari adeguati. E’ del tutto evidente che la sinistra occidentale non possiede questi mezzi. Potrebbe sollecitare che siano gli eserciti europei ad intervenire, al posto degli Stati Uniti. Ma gli eserciti europei non sono mai intervenuti senza un sostegno massiccio da parte degli Usa. Quindi il messaggio reale che la sinistra anti-anti-guerra lascia passare è: “Per favore americani, fate la guerra non l’amore“. Anzi, poiché a partire dalla loro sconfitta in Afghanistan e in Iraq, gli americani sono diffidenti ad inviare truppe di terra, il messaggio equivale a niente altro che chiedere alla Air Force americana di andare a bombardare tutti quei paesi che in cui si segnalano violazioni dei diritti umani.
Naturalmente, chiunque è libero di affermare che i diritti umani devono d’ora in poi essere affidati alla buona volontà del governo degli Stati Uniti, ai suoi bombardieri, ai suoi lanciamissili e ai suoi droni. Ma è importante rendersi conto che è questo il significato concreto di tutti quegli appelli alla “solidarietà” e al “sostegno” verso i movimenti ribelli o secessionisti coinvolti nelle lotte armate. Questi movimenti non hanno bisogno di slogan cantati durante le “manifestazioni di solidarietà” a Bruxelles o a Parigi, e non è neanche questo che vogliono. Vogliono armi pesanti e veder bombardati i loro nemici.
La sinistra anti-anti-guerra, se fosse onesta, dovrebbe essere sincera riguardo questa opzione, e chiedere apertamente agli Stati Uniti di andare a bombardare ovunque i diritti umani siano violati. Poi, però, deve accettarne le conseguenze. In realtà, la classe politica e militare che dovrebbe salvare le popolazioni “massacrate dai loro dittatori” è la stessa che ha condotto la guerra del Vietnam, che ha ha imposto sanzioni e le guerre contro l’Iraq, che impone sanzioni arbitrarie su Cuba, sull’Iran e su qualsiasi altro paese a loro sgradito; la stessa classe politica e militare che fornisce sostegno incondizionato a Israele, che utilizza tutti i mezzi, compresi colpi di Stato, per opporsi ai riformatori sociali in America Latina, da Arbenz a Chavez passando per Allende, Goulart e altri, e che sfrutta spudoratamente i lavoratori e le risorse di tutto il mondo. Ci vuole davvero un sacco di buona volontà per vedere in quella classe politica e militare lo strumento di salvezza delle “vittime“. Ma alla fine è esattamente questo che la sinistra anti-anti-guerra va sostenendo in quanto, dati i rapporti di forze nel mondo, non vi è altra forza militare in grado di imporre la propria volontà.
Naturalmente, il governo degli Stati Uniti è a malapena a conoscenza dell’esistenza della sinistra anti-anti-guerra. Gli Stati Uniti decidono se fare o non fare una guerra in base alle proprie probabilità di successo e in base a quelli che, secondo le loro valutazioni, sono i propri interessi strategici, politici ed economici. E una volta che la guerra è iniziata, vogliono vincerla a tutti i costi. Non ha senso chiedergli di effettuare interventi benevoli, rivolto solo contro i veri cattivi, usando metodi gentili che risparmino i civili e gli innocenti.
Per esempio, quelli che invocano di “salvare le donne afgane” stanno in realtà chiedendo agli Stati Uniti di intervenire e, tra le altre cose, di bombardare i civili afghani e di inviare droni in Pakistan.Non ha senso chiedergli di proteggere ma di non bombardare, semplicemente perché gli eserciti agiscono sparando e bombardando. [ 1 ]
Un dei temi preferiti della sinistra anti-anti-guerra è quello di accusare coloro che rifiutano l’intervento militare di “sostenere il dittatore“, cioè il leader del paese attaccato. Il problema è che ogni guerra è giustificata da una massiccia propaganda che si basa sulla demonizzazione del nemico, in particolare del leader nemico. Per contrastare efficacemente tale propaganda è necessario contestualizzare i crimini attribuiti al nemico e confrontarli con quelli della parte che dovremmo sostenere. Tale compito è necessario ma rischioso. Il minimo errore sarà continuamente usato contro di noi, mentre tutte le menzogne della propaganda a favore della guerra saranno presto dimenticate.
Già durante la prima guerra mondiale, Bertrand Russell e i pacifisti britannici sono stati accusati di “sostenere il nemico“. Ma se hanno denunciato la propaganda alleata, non è stato per amore del Kaiser tedesco, ma per la causa della pace. La sinistra anti-anti-guerra ama denunciare i “doppi standard” dei pacifisti coerenti che criticano i crimini del proprio proprio schieramento più marcatamente rispetto a quelli attribuiti al nemico del momento (Milosevic, Gheddafi, Assad, e così via), ma questa è solo la conseguenza necessaria di una scelta deliberata e legittima: contrastare la propaganda di guerra dei nostri mezzi di comunicazione e dei leader politici (in Occidente), propaganda basata sulla costante demonizzazione del nemico sotto attacco accompagnata dalla idealizzazione dell’attaccante.
La sinistra anti-anti-guerra non ha alcuna influenza sulla politica americana, ma questo non vuol dire che non abbia alcun effetto. La sua insidiosa retorica è servita a neutralizzare qualsiasi movimento pacifista o contro la guerra. Ha anche reso impossibile per qualsiasi paese europeo di prendere una posizione indipendente come fece la Francia sotto De Gaulle, o anche sotto Chirac, o come fece la Svezia con Olof Palme. Oggi una tale posizione sarebbe immediatamente attaccata dalla sinistra anti-anti-guerra, che gode del sostegno dei media europei, come “appoggio ai dittatori“, un’ altra “Monaco” o di “reato di indifferenza“.
Quello che la sinistra anti-anti-guerra è riuscita a compiere è stato di distruggere la sovranità dei cittadini europei nei confronti degli Stati Uniti e di eliminare qualsiasi posizione indipendente riguardo la guerra e l’imperialismo. Ha anche portato la maggior parte della sinistra europea ad adottare posizioni in totale contraddizione con quelle della sinistra latino-americana e di considerare come avversari la Cina e la Russia, che cercano invece di difendere il diritto internazionale. Quando i media annunciano che un massacro è imminente, a volte sentiamo dire anche che “è urgente” agire per salvare le presunte vittime future, e che non si può perder tempo a verificare i fatti. Questo può essere vero quando un edificio è in fiamme in una certa zona, ma tale urgenza, per quanto riguarda gli altri paesi, ignora la manipolazione delle informazioni e gli errori e la confusione che dominano l’informazione estera dei mezzi di informazione. Qualunque sia la crisi politica all’estero, l’istantaneo “dobbiamo fare qualcosa” fa trascurare alla sinistra le serie riflessioni di quello che potrebbe essere fatto al posto di un intervento militare. Quale tipo di indagine indipendente potrebbe essere condotta per comprendere le cause del conflitto e le potenziali soluzioni? Quale può essere il ruolo della diplomazia? Le immagini prevalenti dei ribelli immacolati, tanto care alla sinistra dalla sua romanticizzazione dei conflitti del passato, in particolare la guerra civile spagnola, bloccano la riflessione. Bloccano una valutazione realistica dei rapporti di forze e delle cause della ribellione armata nel mondo di oggi, molto diverse da quelle degli anni ’30 del novecento, fonte preferita delle leggende care alla sinistra occidentale.
Ciò che è anche degno di nota è che la maggior parte della sinistra anti-anti-guerra condivide una condanna generale delle rivoluzioni del passato, poiché guidate da Stalin, Mao, Pol Pot ecc… Ma ora che i rivoluzionari sono gli islamici (appoggiati dall’Occidente), dovremmo presumere che tutto andrà bene. Che dire poi, a proposito dell’ “imparare la lezione dal passato“, che le rivoluzioni violente non sono necessariamente il migliore o l’unico modo per ottenere un cambiamento sociale?
Una politica alternativa dovrebbe allontanarsi di 180° da quanto attualmente sostenuto dalla sinistra anti-anti-guerra. Invece di invocare sempre maggiori interventi , dovremmo chiedere ai nostri governi il rigoroso rispetto del diritto internazionale, la non interferenza negli affari interni di altri Stati e la cooperazione invece che lo scontro. La non interferenza non significa solo un intervento militare. Si applica anche alle azioni diplomatiche ed economiche: niente sanzioni unilaterali, niente minacce durante i negoziati e parità di trattamento di tutti gli Stati. Invece di continuare a “denunciare” i leader di paesi come Russia, la Cina, l’Iran e Cuba per violazioni dei diritti umani, qualcosa che la sinistra anti-anti-guerra ama fare, dobbiamo ascoltare quello che hanno da dire, dialogare con loro e aiutare i nostri concittadini a comprendere i diversi modi di pensare nel mondo, comprese le critiche che gli altri paesi possono muovere riguardo il nostro modo di fare le cose. Coltivare tale comprensione reciproca potrebbe, alla lunga, essere il modo migliore per migliorare i “diritti umani” in tutto il mondo.
Questo non porterebbe soluzioni immediate per le violazioni dei diritti umani o per i conflitti politici in paesi come la Libia o la Siria. Ma cosa significa? La politica di interferenza aumenta le tensioni e la militarizzazione del mondo. I paesi che si sentono bersaglio di tale politica, e sono numerosi, si difendono come possono. Le campagne di demonizzazione impediscono le relazioni pacifiche tra i popoli, gli scambi culturali tra i cittadini e, indirettamente, il fiorire delle idee molto liberali che i sostenitori delle interferenza sostengono promuovere. Una volta che la sinistra anti-anti-guerra ha abbandonato qualsiasi programma alternativo, ha di fatto abbandonato la possibilità di avere la minima influenza sugli affari del mondo. Non “aiuta le vittime“, come afferma. Fatta eccezione di distruggere qui ogni resistenza all’imperialismo e alla guerra, non fa nulla. Gli unici che stanno davvero facendo qualcosa sono, infatti, le amministrazioni che si succedono negli Stati Uniti. Contare su di loro per prendersi cura del benessere dei popoli del mondo è un atteggiamento di disperazione totale. Questa disperazione è un aspetto del modo in cui la maggior parte della sinistra ha reagito alla “caduta del comunismo“, abbracciando le politiche che erano l’esatto opposto di quelle dei comunisti, in particolare negli affari internazionali, dove l’opposizione all’imperialismo e la difesa della sovranità nazionale sono state sempre più demonizzate come “avanzi di stalinismo“.
L’interventismo e la costruzione europea sono entrambe politiche di destra. Una è collegata all’impulso americano per l’egemonia mondiale. L’altra rappresenta l’intelaiatura portante delle politiche economiche neoliberali e della distruzione della protezione sociale. Paradossalmente, entrambe sono state in gran parte giustificate da idee della “sinistra“: diritti umani, internazionalismo, antirazzismo e anti-nazionalismo. In entrambi i casi, una sinistra che ha perso la sua strada dopo la caduta del blocco sovietico, si è aggrappata per sopravvivere ad un discorso ”generoso, umanitario“, che manca totalmente di qualsiasi analisi realistica dei rapporti di forze nel mondo. Con una tale sinistra, la destra non ha bisogno di alcuna propria ideologia, si può arrangiare con i diritti umani.
Tuttavia, queste politiche, l’interventismo e la costruzione europea, sono oggi in un vicolo cieco. L’imperialismo degli Stati Uniti si trova ad affrontare enormi difficoltà, sia economiche che diplomatiche. La sua politica interventista è riuscita a unire gran parte del mondo contro gli Stati Uniti. Oramai quasi nessuno crede più ad un’ “altra” Europa, un’Europa sociale, e l’Unione Europea realmente esistente (l’unica possibile) non suscita molto entusiasmo tra i lavoratori. Naturalmente, di tali fallimenti ne beneficia attualmente solo la destra e l’estrema destra, dato che la maggior parte della sinistra ha smesso di difendere la pace, il diritto internazionale e la sovranità nazionale, come condizione preliminare della democrazia.
[1] In occasione del recente vertice della NATO a Chicago, Amnesty International ha lanciato una campagna di manifesti che chiedono alla NATO di “mantenere il progresso” nell’interesse delle donne dell’Afghanistan senza però spiegare, e nemmeno sollevando la questione, come un’organizzazione militare possa realizzare tale obiettivo.
LINK: Beware the Anti-Anti-War Left
Oggetto: Interview mit Alexander Dorin zu Srebrenica
Data: 18 settembre 2012 19.56.48 GMT+02.00
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Tisuće pristaša Huga Chaveza zauzeli su centar Caracasa sa snagama Velikog patriotskog pola, sastavljenog od Komunističke partije Venezuele, PCV i Ujedinjene socijalističke partije Venezuele, PSUV u znak podrške mandataru, trenutno hospitaliziranom na Kubi.
Od ranih jutarnjih sati sljedbenici iz raznih dijelova zemlje okupljali su se u blizini palače Miraflores da bi izrazili svoju podršku nositelju vlasti i odluci Vrhovnog suda TSJ, kojom se omogućava odgoda predsjedničke inauguracije do Chavezovog oporavka.
“Ja sam Chávez”, “Chávez srce naroda” moglo se isčitati sa mnogih majica ili čuti tokom izvikivanja parola sljedbenika vlasti.
Venecuelanski ministar informacija i komunikacija Ernesto Villegas, potvrdio je ovog četvrtka kako je jedno od najvećih dostignuća Bolivarijanske revolucije upravo kultura informiranja uspostavljena među venecuelanskim građanima, “što je potpuno u skladu” s onim što se događa u njihovoj zemlji.
U ekskluzivnoj izjavi koju je prenijela tele SUR Villegas je komentirao kako građani Venezuele prihvaćaju i poštivaju institucionalnost svoje zemlje; zbog čega ne sumnja da će odluka Vrhovnog suda koja se odnosi na preuzete obaveze inauguracije Huga Chaveza biti ustavno zajamčene.
Također je rekao kako “masovno okupljanje ovog četvrtka u Caracasu govori samo za sebe” i zorno pokazuju kako je “ustav živ, prihvatljiv i branjen od naroda na ulici”.
“Ovdje postoji samo jedan predsjednik čije ime je Hugo Chavez i postoji jedna vlada koja upravlja resursima pod vodstvom Chaveza…… venecuelanski narod izašao je na ulice da bi branio ustav”, nastavio je.
Villegas je ustvrdio kako je ustav dobro poznat jer je pisan od naroda i izabran njihovim glasovima, a masovno okupljanje kvalificirao je “povjesnim događajem” za demokraciju.
Sramotna opozicija
Upitan da komentira ponašanje opozicije i njeno odbijanje da prihvati tumačenje Vrhovnog suda, Villegas je ukazao kako glasnogovornika desnice “treba biti sram”.
“Nema drugog puta osim prihvaćanja odluke Vrhovnog suda. Ako kažu da poštuju ustav, onda ga moraju poštivati u svim njegovim odredbama”, kazao je.
Naglasio je također da kampanja desnice “nije slučajna da način na koji tumače ustav je na tragu onih koji su pred 10 godina pokušali izvršit državni udar”. Osporio je desnoj opoziciji pravo da “analizira” ustav, jer je njihova svrha narušavati ga.
Ukupna informacija
Po pitanju predsjednikovog zdravlja, predstavnik ministarstva informiranja i komunikacija je rekao da nitko nije krio da stanje u kojemu se predsjednik nalazi “predstavlja složenu situaciju” i ustvrdio da će se Chavez vratiti kada mu zdravstvene prilike to budu omogućile. Prema zadnjim saznanjima vlade, Hugo Chavez trpi zbog respiratornih smetnji kao posljedice ozbiljne pulmonalne infekcije i njegovo stanje je “stacionarno” . Istakao je kako je važno da ljudi budu upoznati za bitkom koju mandatar u ovom trenutku vodi i osvrnuo se na rad Bolivarijanske vlade koja redovito izvještava o mandatarevom kliničkom toku.
Latinskoamerički državnici u Venezueli
Predsjednik Urugvaya, Jose Mujica i šefovi Nikarague Danijel Ortega i Bolivije Evo Morales već su u Venezueli i predviđeno je da uzmu učešće u događajima.
18 zemalja udruženja Petrocaribe i Bolivarijanskog saveza za Latinsku Ameriku, ALBA, više predstavnika El Salvadora, Hondurasa, Urugvaya, Argentine potpisalo je “Deklaraciju iz Caracasa” izražavajući svoju podršku Hugu CHavezu i njegovom projektu.
U tekstu je naglašeno, kako će 22 zemlje surađivati na “međunarodnom planu” sa vladom koju vodi podpredsjednik, Nicolas Maduro, radi sprječavanja kako bi zdravlje predsjednika Huga Chaveza poslužilo “kao povod za napad na demokratske institucije”.
Uz to cilj je spriječiti pokušaje “destabilizacije i promicanja intervencije u pitanja o kojima je venecuelanski narod jasno izrazio svoju volju”, podsjećajući na rezultate proteklih izbora, na kojima je Hugo Chavez ponovno izabran za predsjednika.
U deklaraciji se posebno poziva međunarodnu zajednicu na poštivanje odluke Vrhovnog suda donesene ove srijede, kojom se odgađa preuzimanje predsjedničke dužnosti Chaveza za mandat 2013-2019. Dužnost novog mandata se odlaže na neodređeno vrijeme s nadom u predsjednikov oporavak.
Deklaracija ističe “potpuno povjerenje” u vladu i institucije Venezuele i u potpunosti podržava angažmane kojima je cilj “poštivanje demokratske volje venecuelanskog naroda”.
Predstavnici vlasti 22 Latinskoameričke zemlje su zajedno sa venecuelanskim masama okupljenim ovog četvrtka uputili predsjedniku želju za “brz povratak u Venezuelu”.
Istodobno, predsjednik Ecuadora, Rafael Correa, upozorio je “neprijatelje demokracije”, da Amerika i narodi svijeta ostaju solidarno uz Venezuelu, navodi se u pismu koji je na skupu pročitao venecuelanski potpredsjednik Nicolas Maduro.
Caracas, 10 jan. 2013, Tribuna Popular
Appendix:
Socijalistička radnička partija Hrvatske pridružuje se željama venecuelanskog i svih miroljubivih naroda za uspješan oporavak i ozdravljenje predsjednika Huga Chaveza. Također u potpunosti podržava venecuelanski i ostale narode Latinske Amerike u njihovom nastojanju da se odupru svjetskim hegemonima i ovladaju vlastitim resursima u interesu radnog naroda.
Video: Maduro o stanju Hugo Chaveza http://www.youtube.com/watch?v=KETNExAOCSg