Informazione


EVOLUZIONE POLITICA

...e noi che lo credevamo in fin di vita, condizioni irreversibili in seguito all'ennesimo sciopero della fame...
no, Pannella è più in forma che mai, ed ha finalmente confermato quanto da noi sospettato negli anni in cui sdoganava l'estrema destra dando la possibilità ai terroristi assassini confessi Mambro e Fioravanti di uscire di galera lavorando presso le strutture collaterali del Partito radicale e poi lasciando che Mambro divenisse dirigente del Partito stesso...
così tesserando altri terroristi neri, da Pierluigi Concutelli a Marco Affatigato, al triestino Livo Lai, assieme a fuoriusciti della lotta armata "di sinistra", come Vesce o D'Elia...
quando si vestiva con l'uniforme croata per solidarizzare con il governo genocida di Tudjman mentre scatenava l'offensiva contro le Krajine nel 1991...
quando a Trieste la rappresentante radicale Sponza sponsorizzava politicamente l'organizzazione Popoli del neofascista veronese Franco Nerozzi, all'epoca in attesa di patteggiare traffici d'armi e mercenari per un ventilato golpe alle isole Comore...

oggi Pannella si allea con la Destra di Storace, il partito intorno a cui si raccolgono personaggi del calibro di Adriano Tilgher ed i triestini Claudio Scarpa e Franco Neami.

Non v'è nulla di nuovo sotto il sole (Ecclesiaste 1,9)

Claudia 


(si veda anche, sulla ipotesi di Marco Pannella senatore a vita:
PER MERITI DI GUERRA




Giornata della Memoria: iniziative segnalate

1) Este (PD) 26/1: per la salvaguardia del Memoriale degli Italiani ad Auschwitz
2) Vittorio Veneto (TV) 26/1: incontro con Sandi Volk
3) San Giustino (PG) 26/1: sulle vittime dimenticate dello sterminio nazifascista
4) Roma 26/1: AKTION T4 - lo sterminio nazista delle persone con disabilità
5) Trieste/Trst 26/1: fiaccolata alla Risiera
6) Anghiari (AR), 27/1: dalla Stazione al campo di concentramento di Renicci, 
4 chilometri e 400 metri
7) Treviso, 27/1: sul campo di concentramento di Treviso (Monigo)
8) Trieste / Trst 30/1: inaugurazione della mostra sul processo della Risiera di San Sabba


=== 1 ===

Per la salvaguardia del Memoriale degli Italiani ad Auschwitz

Sabato 26 gennaio 2013
dalle 11.00 alle 18.00
ad Este (Padova)

Patrocinati dalla Regione Veneto, Comunità Ebraica di Padova e dal Comune di Este, l'associazione culturale giovanile "L'Angolo Giro" propone:

ORE 11.00 al teatro Farinelli, per le scuole superiori:
Convegno sulla salvaguardia della Memoria con la presenza del Presidente del Comitato per la Salvaguardia del Memoriale degli Italiani ad Auschwitz, architetto Gregorio Carboni Maestri.

ORE 17.00 in Pescheria Vecchia per la cittadinanza:
Intervento dell'architetto Gregorio Carboni Maestri a "Wahrheit macht frei. AUSCHWITZ: la verità rende liberi", mostra fotografica di Elisa Mortin e Giancarlo Soncin, giovani fotografi padovani.

Il monumento italiano di Auschwitz racconta la storia della deportazione e dello sterminio degli ebrei italiani. Situato nel blocco 21 del campo, l’opera è progettata dal gruppo di architetti razionalisti BBPR (Belgiojoso, Banfi, Peresutti, Rogers) e viene portata a compimento nel 1980. La grafica della spirale del memoriale voluto dall’ANED è lasciata a Pupino Samonà seguendo la traccia di uno scritto di Primo Levi. Ora versa in uno stato di abbandono ed è chiuso al pubblico dal 2011. Attualmente esiste un progetto a cura della Scuola di Restauro di Brera ma, a causa dei tagli di spesa, il Governo italiano non ha messo a disposizione i fondi necessari. Il Comitato si propone di sensibilizzare l’interesse da parte delle Autorità italiane competenti per un ripristino dei luoghi.

(evento FB: http://www.facebook.com/events/505881152767939 )


=== 2 ===

ANPI Sez. di Vittorio Veneto - Div. N. Nannetti - promuove:

Giornata della Memoria 2013 a Vittorio Veneto – Incontro con Sandi Volk

Vittorio Veneto (TV)
Sabato 26 gennaio 2013
ore 15.00

I campi di Chiesanuova, Arbe, Monigo, Gonars e Visco, i numerosi campi del centro italia, lo stato fascista italiano si è avvalso di diversi strumenti e luoghi per imprigionare, segregare e deportare popolazioni straniere, oppositori politici, ebrei, omosessuali e rom. Dai campi di concentramento per i civili sloveni e croati, a quelli dove furono deportati migliaia di eritrei, etiopi e libici, dalle località di internamento per ebrei stranieri, fino ai luoghi di confino per oppositori politici.

Per la Giornata della Memoria 2013 la Sezione di Vittorio Veneto organizza un incontro con il noto storico triestino Sandi Volk.

Volk si occupa di storia contemporanea della Venezia Giulia, in particolare di Trieste e della storia degli sloveni della regione. Ha svolto ricerca sulla nascita del movimento operaio sloveno a Trieste, sul movimento nazionale sloveno nel periodo precedente alla prima guerra mondiale, sulla seconda guerra mondiale nella memoria degli sloveni di Trieste e sulla storia del lager nazista della Risiera di S. Sabba. Ha lavorato e collaborato con numerosi istituti e musei italiani e sloveni, tra cui l’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia di Trieste. È inoltre membro della Commissione consultiva del Comune di Trieste per il Civico Museo della Risiera di S. Sabba – Monumento nazionale. Oltre a numerosi saggi e articoli, in italiano e sloveno, sul problema degli esuli istriani e dalmati ha già pubblicato anche due libri, sul tema dell'esodo delle popolazioni dalmate ed istriane nel dopoguerra. 
Grazie al suo percorso di ricerca storica é in grado oggi di illustrare la realtà del sistema repressivo fascista, spesso allo stesso livello, in termini di brutalità, del ben più indagato sistema concentrazionario nazista.

Vi aspettiamo quindi SABATO 26 GENNAIO 2013 alle ore 15 presso la Biblioteca Civica di Vittorio Veneto.

NON RIMANERE INDIFFERENTE, DIVENTA PARTIGIANO!

Sezione Mandamentale di Vittorio Veneto.
“Divisione Garibaldi Nino Nannetti”
Piazza del Popolo 13, 31029
Vittorio Veneto (TV).
E-mail: vittorioveneto@...
Orari sede: sabato ore 16-18

Pagine facebook: www.facebook.com/anpivittorioveneto


=== 3 ===

Invito

San Giustino (Perugia), 26 gennaio 2013
ore 16:30 - presso il Museo Storico-scientifico del Tabacco

La memoria batte nel cuore del futuro
Storie di Resistenza e di deportazione

presentazione del libro:

VITTIME DIMENTICATE

Incontro con l'autore Giorgio Giannini

Interverranno:
Fabio Buschi - sindaco di San Giustino
Francesco Innamorati - presidente ANPI provinciale di Perugia
Maria Pizzoni - presidente ANED regionale Umbria
Mari Franceschini - presidente ANPI San Giustino - Citerna
Andrea Guerrini - Moderatore

promuovono: Comune di San Giustino, ANPI sez. San Giustino - Citerna

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Giorgio Giannini
VITTIME DIMENTICATE 
Lo sterminio dei disabili, dei Rom, degli omosessuali e dei Testimoni di Geova

Ed. Stampa Alternativa, 2012
COLLANA: Eretica speciale
pp. 120 - 11,90 euro
ISBN: 978-88-6222-274-7


=== 4 ===

GIORNO DELLA MEMORIA 2013. 

AKTION T4: Lo sterminio nazista delle persone con disabilità

Roma, Sabato 26 gennaio 2013
Dalle 10.00 alle 13.00

presso: Museo Storico della Liberazione
via Tasso 145

proiezione del film
VITE INDEGNE- Aktion T4: l’eliminazione dei corpi disabili

intervengono: SILVIA CUTRERA, Presidente Agenzia per la Vita indipendente; DINO BARLAM Vice Presidente della Federazione italiana superamento dell’handicap - Lazio 
Saluti di Elena Improta, vicepresidente ANPI-Roma 
e di Eugenio Iafrate, vicepresidente ANED-Roma
Coordina Antonio Parisella, presidente del Museo
promossa da ANPI-Roma, ANED-Roma e Museo storico della Liberazione

PREMIO PER LA PACE E I DIRITTI UMANI
Nell’intervallo il presidente Antonio Parisella, per conto del Museo, riceverà dalla cantautrice Agnese Ginocchio, presidente dell’organismo promotore, il Premio internazionale per la pace e i diritti umani 2013 promosso dall' Associazione tra Movimento ambasciatori per la pace e Movimento internazionale III Millennio per la pace e la salvaguardia del Creato della Provincia di Caserta.

Il giorno 27 gennaio il Museo sarà aperto: 9,30-12.30 e 15,30-19.30

SALVIAMO DAL MACERO Il nazismo e i Lager di Vittorio Emanuele Giuntella
Nell’occasione dell’incontro del 26 e nella giornata del 27 gennaio, gli intervenuti potranno contribuire a salvare dal macero Il nazismo e i Lager di Vittorio Emanuele Giuntella (edizioni Studium, Roma), l’importante opera del grande storico nato cento annia fa e che settanta anni fa conobbe direttamente il Lager come internato militare. Uno dei classici della letteratura concentrazionaria, come "I sommersi e i salvati" di Primo Levi. 



=== 5 ===

Trieste / Trst

Tržaški partizanski pevski zbor PINKO TOMAŽIČ 
Vabi, 
v SOBOTO, 26. januarja 2013, 
na “BAKLADO ZA SPOMIN, MIR IN SOŽITJE”

zbirališče ob 17.00, stadion Grezar,
odhod sprevoda ob 17.30.
Zaključek v Rižarni,s kratkim nastopom TPPZ.
Vse udeležence vabimo da prinesejo s seboj cvet, v poklon žrtvam Rižarne.

Il Coro Partigiano Triestino PINKO TOMAŽIČ 
Invita 
i cittadini ad intervenire alla
“FIACCOLATA PER LA MEMORIA, LA PACE E LA CONVIVENZA”
che si svolgerà SABATO 26 gennaio 2013

con ritrovo alle ore 17.00.
Piazzale antistante lo stadio Grezar
Partenza del corteo alle 17.30.
Conclusione in Risiera con una breve esibizione del C.P.T. 
Tutti i partecipanti sono invitati a portare un fiore da deporre in ricordo delle vittime della Risiera. 


=== 6 ===

----- Original Message -----
Sent: Saturday, January 19, 2013 3:33 PM
Subject: 70 anni dopo: marcia dei deportati verso Renicci (Campo d'internamento fascista e badogliano n. 97)
  
 
Marcia dei prigionieri deportati dalla ex-Jugoslavia
e dalle isole di confino del Mediterraneo
 (inverno 1942-'43)
 
70 anni dopo:
 
LA STAZIONE DI ANGHIARI - RENICCI
4 chilometri e 400 metri
 
Domenica 27 Gennaio 2013, ore 11

 

 

Programma:

 

1.     Adunata/Partenza dalla Vecchia STAZIONE del treno di Anghiari, dove scendevano gli internati prima di essere trasferiti, a piedi, verso il Campo d'Internamento Fascista e Badogliano n.97 di Renicci

 

2.     Camminata con due soste intermedie, con testimonianzedispacci del Ministero della Guerramusiche e canti

 

3.     Arrivo al Giardino della Memoria (Località Renicci, La Motina). Messa in riga dei partecipanti per degustare il "rancio dell'internato" (*) (realizzato secondo la circolare del Ministero della Guerra del 23 febbraio 1942). Performance finale (ore 14.00 circa)

 

4.     Saluto delle Autorità

 

La partecipazione è gratuita. Si consiglia tuttavia di prenotare la camminata e successivo rancio, al numero 339 2464939 (Rossano Ghignoni) o per mail agli indirizziinformagiovani@... oppure teatrodianghiari@...

 

Presso il Giardino della Memoria, verranno raccolti fondi da destinare al Museo della Resistenza (fondato da Odilio Goretti), per sostenere la ricerca sulle azioni di resistenza non-violenta in Valtiberina, in collaborazione con l'Associazione Cultura della Pace, che da anni si occupa della promozione e della divulgazione della Cultura della Non-Violenza.

 

Testi e performance: Andrea Merendelli
Percorso: Rossano Ghignoni
Musiche: Mario Guiducci e la Compagnia dei Ricomposti
Pasto degli internati: Sergio Cappetti
Assistenza: Stefan Schweitzer

 

 

(*) Il "rancio dell'internato", è il pranzo ordinario distribuito secondo la Circolare del Ministero della Guerra del 23 febbraio 1943 (n.2064/2595) per civili internati a scopo repressivo, prevedeva giornalmente:
 
-         150 gr di pane (diviso in due somministrazioni giornaliere)
-         66 gr di pasta o riso (diviso in due somministrazioni giornaliere)
-         10 gr di carne con osso (2 volte la settimana)
-         20 gr di legumi secchi o verdure (diviso in due somministrazioni giornaliere)
-         7 gr di surrogato di caffè (diviso in due somministrazioni giornaliere)
-         15 gr di zucchero (diviso in due somministrazioni giornaliere)
-         13 gr di lardo oppure olio (diviso in due somministrazioni giornaliere)
-         15 gr di conserva di pomodoro (diviso in due somministrazioni giornaliere)
-         40 gr di formaggio (per 5 volte la settimana)
 
Secondo il Rapporto Americano JOINT (1943), il vero pasto a Renicci era un po' diverso da quello ufficiale:
 
-         40 gr di pane
-         20 gr di riso
-         Mezzo litro di brodo di cavoli o altri vegetali
-         30 gr di carne (solo la domenica)


SCARICA LA LOCANDINA:  https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/Renicci2013.jpg


=== 7 ===

Treviso, domenica 27 gennaio 2013 - Giorno della Memoria

Il campo di concentramento di Treviso [Monigo] (1942-43)

ore 10.30 – Chiesa di Santa Croce
ex ospedale San Leonardo – Università

Il campo di concentramento di Treviso (1942-43)
Scoprimento di un bassorilievo in memoria delle vittime

ore 15.00 – Chiesa Museo di Santa Caterina
Musei Civici – Treviso

Concerto della Banda Musicale di Treviso “Domenico Visentin”
Organizzato dall’Amministrazione Comunale di Treviso

Organizzazione: 
Liceo Artistico Statale di Treviso
Liceo Scientifico Statale “Leonardo da Vinci”

intervengono
Nevenka Grdinić - Console generale della Repubblica di Croazia a Trieste
Leonardo Muraro - Presidente della Provincia di Treviso
Stefano Pimpolari - Assessore alla Cultura del Comune di Treviso
Col. Antonio Attanasio - Comandante della Caserma Cadorin
Metka Gombač e Jože Dežman - Archivio di Stato Slovenia
Ernesto Brunetta - Presidente ISTRESCO
Francesca Meneghetti - Autrice del volume "Di là del muro"

Partecipano sopravvissuti alla deportazione, testimoni e una rappresentanza del Liceo di Novo mesto


=== 8 ===

Trieste / Trst

mercoledì 30 gennaio alle ore 17:30
nel Civico museo della Risiera di San Sabba - Monumento nazionale
a Trieste, in Via Palatucci 5
avrà luogo l'inaugurazione della mostra

TESTIMONI GIUDICI SPETTATORI
Il processo della Risiera di San Sabba
Trieste 1976

La mostra resterà aperta fino al 2 giugno 2013
orario feriale e festivo: 9--19
ingresso libero

Promuovono:
Comune di Trieste
ANED
IRSML
Narodna in Studijiska Knjiznica

info: +39 040 826202




(sui risultati del censimento 2011 in Croazia)


JUGOSLAVENI O POPISU STANOVNIŠTVA U HRVATSKOJ

Nakon 20 mjeseci Državni Zavod za statistiku Republike Hrvatske je u prosincu 2012. godine objavio rezultate popisa stanovništva provedenog u toku mjeseca travnja 2011. godine.
Udruženje "Naša Jugoslavija" (u čijem sastavu djeluje i Savez Jugoslavena) je sa posebnim nestrpljenjem čekalo da ti rezultati budu konačno objavljeni. Ono što nas je posebno interesiralo je pitajne koliko ima Jugoslavena u Republici Hrvatskoj?
Prema tabeli "Stanovništvo prema narodnosti - detaljna klasifikacija - popis 2011" Jugoslavenima se izjasnio 331 stanovnik Republike Hrvatske. To je gotovo dvostruko više nego prije deset godina kada nas je bilo 176. Nažalost, u cijelom tom prikazu nedostaju podaci o broju Jugoslavena po općinama i županijama (mi taj podatak nismo mogli pronaći). To je podatak koji bi bio vrlo interesantan.
Nije to slučaj samo sa Jugoslavenima. Nedostaju i druge narodnosti, kao i stanovnici regionalne pripadnosti: Dalmatinci, Istrani, Primorci, Slavonci... Interesantno je da su statističari i ovaj put objavili samo rezultate onih narodnosti, odnosno nacionalnih manjina koje su navedene u Ustavu RH. Pri tome su svi drugi narodi i nacionalnosti svrstane u grupu - i ostali. Prema istoj tabeli zapaženo je relativno veliki broj neraspoređenih (731), onih koji se ne izjašnjavaju (26763) i nepoznatih (8877) - što god da to znači.
S obzirom da pouzdano znamo da je prilikom popisa u nekim općinama bilo problema prilikom izjašnjavanja kao Jugoslaven (nije nam poznato da li su takve probleme imali i Istrani, Slavonci, Dalmatinci...) lako je pretpostaviti da među onim djelom stanovništva koji se nisu izjasnili ima i jedan određeni broj Jugoslavena. Ali sa time ne želimo špekulirati. Popis stanovništa je objavljen. Pitanje je što može Udruženje "Naša Jugoslavija" učiniti sa rezultatima istog.
Opće je poznato da je Udruženje "Naša Jugoslavija" prvo i trenutno jedino zvanično registrirano udružejne koje se službeno zalaže za priznavanje Jugoslavenske nacije. Na tu temu su do sada održani okrugli stolovi, o čemu smo već izvještavali u medijima. Jugoslavenska nacija postoji - to je činjenica. Ustavom Republike Hrvatske omogućeno je priznavanje Jugoslavenske nacije. To proizlazi iz odgovora Odbora za Poslovnik i politički sustav hrvatskog Sabora zaprimljenog pod sljedećom oznakom:

Klasa: 050-01/12-24/11 
Urbroj: 6521-1-12-03 
12. studeni 2012. godine, potpisano od Predsjednika Odbora g. Peđe Grbina.

Isti je objavljen na službenoj stranicu Udruženja www.nasa-jugoslavija.org, u Biltenu Udruženja kao i na internet stranicama. Koristimo ovu priliku da pozovemo sve Jugoslavene da nam se jave kako bismo udruženim snagama istrajali na putu ka priznavanju Jugoslavenske nacije. Put do tog cilja je dugačak. Moguće ga je preći samo zajedničkim snagama. Pridružite nam se.
Javiti se možete na: zajedno @ nasa-jugoslavija.org ili pismom na adresu:

Udruženje "Naša Jugoslavija" 
Pazinska 35 
52100 Pula

Zlatko Stojković dipl.ing. 
Predsjednik Udruženja u Hrvatskoj




NON VOTARE I GUERRAFONDAI

1) MUOS
* Sostegno ai No MUOS: Sabato 19 gennaio Mobilitazione nazionale
* Comunicato del Coordinamento regionale dei Comitati No Muos

2) MALI 
* Tutto è possibile: anche entrare in guerra in piena campagna elettorale (F. Rambaldi)
* Il doppiopesismo imperialista (T. Bellone)
* Mali, a disposizione le basi aeree italiane (A. Mazzeo)

3) SIRIA
* Giù le mani dai popoli arabi, giù le mani dalla Siria! Il ministro Terzi è un guerrafondaio pericoloso per il paese (Rete dei Comunisti)


=== 1: MUOS ===


Mercoledì 16 Gennaio 2013 09:38

Fermare la militarizzazione. Sostegno ai No Muos



La Rete dei Comunisti esprime solidaietà agli attivisti No Muos che si oppongono alla militarizzazione della Sicilia e all'arroganza del governo. Il 19 gennaio giornata di mobilitazione nazionale.

 

 

La Commissione Ambiente dell'ARS deve andare oltre il provvedimento di sospensione annunciato dal Presidente della Regione Sicilia, con cui, si è segnato, comunque, una prima vittoria delle forze NO-MUOS. Bisogna, infatti, salutare con soddisfazione l'attuale blocco dei lavori per la realizzazione della Stazione Satellitare Usa a Niscemi ma prendere le distanze da qualunque tentazione 'autonomista' di retroguardia e continuare ad incalzare per puntare, invece, alla revoca definitiva di un progetto che, ancora una volta  (con buona pace dei vertici NATO e del Ministro Cancellieri), subordina la salute e i legittimi interessi pubblici a una logica imperialista che impone colonie ammantandole di alleanze.
Esprimiamo la nostra piena solidarietà con la resistenza dei Comitati No Muos e degli abitanti dei centri interessati e invitiamo a sostenerne le iniziative previste, anche di fronte alle minacce del ministro Cancellieri che ha dichiarato inaccettabile l'opposizione dichiarando la zona del Muos di "interesse strategico" con un apposito decreto.

 

Rete dei Comunisti-Catania

---------------------------

Qui di seguito il Comunicato del Coordinamento regionale dei Comitati No Muos

“Quello del Muos è un sito di interesse strategico per la difesa militare della nazione e dei nostri alleati. Non sono accettabili comportamenti che impediscano l’attuazione delle esigenze di difesa nazionale e la libera circolazione connessa a tali esigenze”. La minaccia della ministra tecnica Cancellieri si è tradotta in pochi giorni in una feroce repressione dei blocchi che gli attivisti NoMuos, dopo oltre 50 giorni e notti di presidio permanente, hanno fatto l'11 gennaio, nonostante l'assedio militare di tutte le vie d'accesso alla base della morte.

La tardiva decisione del presidente dell'ARS Crocetta di voler revocare le autorizzazioni, che finora hanno permesso l'esecuzione dei lavori, non garantirà lo stop all'installazione delle micidiali antenne di guerra se non crescerà la mobilitazione popolare a livello locale, regionale e nazionale.

Se i pareri attesi sull’impatto elettromagnetico da Crocetta dovessero dirci che il Muos non farebbe male ai cittadini, noi ribadiamo che questo è soprattutto un’arma da guerra e comunque non lo vogliamo in qualsiasi parte del pianeta. Contestiamo le ridicole affermazioni dell’ambasciatore U.S.A a Roma che dichiara che i Paesi membri della Nato, come l’Italia, ne trarranno beneficio come sicurezza e pace internazionale; inoltre l’Us Navy di Niscemi non è una base Nato ma una base ad uso esclusivo della marina statunitense.

Noi non crediamo più ad istituzioni che, a livello locale, regionale e nazionale, sono stati latitanti o complici. Dopo le violente cariche di giorno 11 contro gli attivisti NO MUOS che pacificamente si opponevano al passaggio delle gru, il governo tecnico Monti/Napolitano ha deciso con chi stare: con le forze armate Statunitensi e i loro progetti di dominio planetario.

Richiediamo le dimissioni della ministra Cancellieri !

Il nostro obbiettivo principale è impedire la costruzione del Muos e lo smantellamento delle 41 antenne Usa NRTF , operanti da oltre 20 anni nel cuore della R.N.O. SIC Sughereta a Niscemi. Traendo esempio dal movimento NO TAV in Valsusa i blocchi continuano e continueranno, abbiamo perso una battaglia ma non ci rassegneremo, mai.

Il coordinamento regionale dei comitati NO MUOS pratica dal basso la revoca dei lavori all’interno della base, con la prosecuzione dei blocchi e fa appello alla partecipazione attiva alle prossime iniziative a partire dalla

Giornata nazionale di mobilit/azione No Muos sabato 19 gennaio

con presìdi, azioni ed iniziative in ogni città e paese

Ora e sempre NoMuos

La Sicilia non è zona di guerra, via le basi usa dalla nostra terra

Coordinamento regionale dei Comitati NoMuos

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Sabato 19 gennaio alle ore 9,30 presidio di fronte alla ditta Comina

(c/da Pantano Casazze sp 229 Piano Tavola)

alle ore 12 presidio in via Etnea, angolo via Prefettura)

Comitato di base NoMuos NoSigonella Catania








=== 2: MALI ===



di Francesco Rambaldi

Mali, quattro ore di volo dalle nostre coste. Dopo la Germania, anche l’Italia, senza alcuna discussione e decisione parlamentare, entra in guerra oggi, a fianco della potenza continentale francese, diretta dal socialista Hollande in grave calo di consensi, (e tuttavia riferimento unanime della sinistra nazionale, ivi inclusa Sel), per mettere una toppa alla ennesima catastrofe causata da Sarkozy, Cameron, Berlusconi, Usa, Onu, UE, & C. nella guerra di aggressione alla Libia di Gheddafi. Tuareg e jiadisti, qaedisti e “terroristi”, ecc. hanno conquistato il nord del Mali, grande paese del Sael, destabilizzato da un golpe di pochi mesi fa (con acquiescenza e complicità europea e americana).

La capacità di manovra dei Tuareg provenienti dalla Libia e dei loro alleati del deserto ha sconvolto gli occidentali (rappresentati dal nostro ex presidente Prodi in versione mandato ONU), che evidentemente, non si sono resi conto in tempo utile della capacità militare e tattica delle carovane che attraversano il Sahara sud-occidentale alla ricerca di una propria nuova e tribale identità transnazionale e islamica: ad oltre 1200 km dalla frontiera del Mali, questi gruppi sono stati in grado di circondare un campo petrolifero in territorio algerino (ma molto vicino al confine, mobile come le dune del deserto, con la ex Libia gheddafiana) e di catturare 41 tecnici occidentali ed altri circa 400 operai algerini. (Totale degli ostaggi quasi 500 persone).

E’ uno dei sottoprodotti della sconsiderata aggressione ed eliminazione della Libia di Gheddafi ad opera franco-inglese con supporto USA e avvallo ONU. (Che si aggiunge all’attentato al Console italiano a Bengasi di qualche giorno fa). L’intera regione sahariana è in preda al disordine e i confini tracciati nel secolo scorso diventano permeabili e mutevoli, aprendo una nuova stagione di interventismo neo-coloniale dai caratteri quasi fantascientifici, che mira a ricreare uno spazio controllabile (dall’occidente), mentre tutto ciò che si muove in quelle aree, ha invece i caratteri dell’indeterminatezza, come indeterminato e inconfinabile per sua natura è il deserto.

La Germania, l’altro ieri, è corsa a sostegno della Francia, ed oggi, il nostro Ministro degli Esteri Terzi di Sant’Agata, ha analogamente garantito il supporto logistico alle operazioni francesi di aria e di terra. Ciò avviene, per quanto ci riguarda, in piena campagna elettorale, con un governo che dovrebbe solo assicurare lo svolgimento degli affari correnti; invece il governo Monti, senza alcuna discussione ed autorizzazione parlamentare si arrischia ad assumere decisioni strategiche che possono avere dei gravissimi effetti, dopo quelli già gravi assunti dal governo Berlusconi (con incitazione convinta del Presidente della Repubblica Napolitano) in occasione della guerra alla Libia.

Dove sia finito l’art. 11 della Costituzione è un enigma inquietante. Cosa sia oggi l’Europa, sul piano della politica internazionale, è un quesito senza risposta. Oppure, se si vuole essere realisti, siamo in un momento di tormentata confusione e di disordine globale, dove si è costretti a porre argine continuo agli errori delle decisioni precedentemente assunte, in un fluire di azioni di guerra a 4-5.000 km dalle nostre frontiere, senza alcun progetto, senza alcuna visione organica che non sia la guerra e il conflitto permanente, mentre il continente europeo è stretto nella morsa della recessione e getta nella recessione tutte le aree adiacenti, grazie alle politiche imposte dalla finanza internazionale che oramai determina tristemente le decisioni dei singoli paesi.

In piena campagna elettorale, per quanto ci riguarda, ci si lancia in una operazione di guerra dagli esiti incerti, sulla cui natura, legittimità giuridica e costituzionale, di interessi politici e strategici nazionali, è richiesta urgentemente una valutazione delle forze di centro-sinistra e di sinistra che si accingerebbero a governare il paese: cosa dice il PD, cosa dice Sel su questa decisione del Ministro Terzi e di Monti ?

Dal disordine globale e dalla nuova guerra infinita in Africa è, obiettivamente, difficile pensare di costruire qualcosa di buono. E in ogni caso, questo scenario, salvo smentite, non pare dover rientrare negli obiettivi di un futuro governo di centro-sinistra.


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Il socialista Hollande è intervenuto pesantemente in Mali, approfittando anche delle basi in Costa d’Avorio, in cui il suo predecessore era a suo tempo già intervenuto.
E’ curioso come i fili conduttori delle propagande di guerra occidentali si intreccino in nodi insolubili. Uno di questi è la libertà dei popoli o diritto di autodeterminazione: è stato usato innumerevoli volte, ci ricordiamo della guerra alla Jugoslavia per l’indipendenza del Kosovo, ormai albanesizzato, ma sappiamo quanto stia a cuore a USA e Europa la indipendenza del Tibet, al punto che il Dalai Lama è divenuto un’icona intoccabile sul modello di Teresa di Calcutta. Anche la libertà della Cecenia è a tal punto importante, che persino di fronte alla strage di Beslan, i nostri media hanno suggerito che potrebbero considerarsi una ritorsione alle nefandezze dei Russi.
Ma in altri casi si ricorre alla repressione violenta per impedire rivendicazioni simili: basti pensare ai Paesi Baschi, alla Corsica, all’Alto Adige, e ovviamente alle istanze di popoli appartenenti alle ex Repubbliche dell’Unione Sovietica, che non godono negli stati indipendenti su base nazionalistica dei diritti che possedevano in precedenza (l’Ossezia ma non solo).
I ribelli sono considerati in certi casi combattenti per la libertà, in altri terroristi e si sa uno dei cavalli di battaglia della propaganda di guerra è stata la lotta al terrorismo, possibilmente islamico.
Un altro tema emblematico è la lotta per la democrazia, intesa naturalmente nel significato comunque ristretto di possibilità di libere elezioni: ma anche in questo caso, si tratta di condizione non sufficiente, infatti il risultato delle elezioni nella striscia di Gaza non fu gradito, e neppure quello in Venezuela.
Inneggiando ipocritamente alla primavera araba, in Libia si è intervenuti a favore di una fazione armata all’interno di uno Stato sovrano, e analogamente, anche se per adesso con minor successo, si sta facendo in Siria.
In Mali dunque, le popolazioni Tuareg che vorrebbero uno stato indipendente sono considerate alleate dei terroristi islamici, e vengono bombardate dagli aerei francesi.
Ormai sono decenni che subiamo questa guerra permanente, a volte sotterranea, dei governi occidentali di destra e di sinistra contro i Paesi di quello che un tempo era considerato Terzo Mondo, i cosiddetti Paesi in via di sviluppo, a partire dai “Non Allineati” (Iraq, Jugoslavia, Libia,…), e sembra che sia subentrato allo stupore, all’indignazione, alla lotta, una apatica indifferenza.
15 Gennaio 2013
Tamara Bellone

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GIOVEDÌ 17 GENNAIO 2013

Mali, a disposizione le basi aeree italiane

La Sicilia è in prima linea. Forniremo il supporto logistico. Pronti una ventina di consiglieri e addestratori

L’Italia è pronta a fornire il proprio appoggio alle operazioni di guerra francesi in Mali. Ad annunciarlo il ministro Giulio Terzi a conclusione di un consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell’Unione europea a Bruxelles. “Non è previsto nessuno spiegamento di forze militari italiani nel teatro operativo ma forniremo le basi per un supporto logistico al trasferimento militare”.

Sarà il consiglio dei ministri convocato per stamani a definire i particolari della nuova avventura italiana in terra d’Africa. “C’è un orientamento positivo all’interno del governo a sostegno dell’operazione militare avviata dalla Francia con un altro gruppo di paesi, in linea con la risoluzione 2085 del 20 dicembre scorso del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma sarà comunque necessario il sostegno delle forze politiche in Parlamento”, ha aggiunto il ministro Terzi.

Le forze armate italiane dovrebbero mettere a disposizione degli alleati d’oltralpe le principali basi aeree nazionali (Sigonella e Trapani Birgi in Sicilia, Gioia del Colle in Puglia, Decimomannu in Sardegna, ecc.), i velivoli da trasporto truppe e mezzi C-130J “Hercules” e C-27J della 46^ Brigata Aerea di Pisa e i velivoli cisterna KC-767 “Boeing” del 14° Stormo dell’Aeronautica militare di Pratica di Mare (Roma) per rifornire in volo i cacciabombardieri francesi.

Come già avvenuto nel corso del conflitto in Libia nel 2011, le forze armate italiane potrebbero utilizzare i velivoli senza pilota MQ-1C “Predator” ed MQ-9 “Reaper” per svolgere missioni d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento dei potenziali obiettivi “nemici” sui cieli del Mali e del nord Africa, mettendo poi a disposizione degli alleati tutte le informazioni necessarie per i raid aerei. Il comando dei droni italiani opera dallo scalo aereo di Amendola (Foggia) con il 28° Gruppovelivoli teleguidati del 32° Stormo, lo stesso reparto che ha già diretto centinaia di operazioni a supporto della Nato nel teatro di guerra afgano. I velivoli senza pilota dell’Aeronautica verranno presto armati con i missili aria-superficie AGM-114 Hellfire (fuoco infernale), acquistati negli Stati Uniti d’America al costo di 13,7 milioni di euro.

Decollano invece ininterrottamente da Sigonella i grandi aerei-spia a pilotaggio remoto “Global Hawk” dell’US Air Force che assistono le forze d’attacco francesi nell’individuazione dei target “nemici” (campi d’addestramento, infrastrutture logistiche e depositi munizioni delle milizie anti-governative) nelle regioni settentrionali del Mali. Secondo quanto dichiarato dal ministro degli esteri Laurent Fabius, Washington sta progressivamente accrescendo il proprio sostegno operativo alle truppe francesi nei settori dell’intelligence e del trasporto aereo.

La Sicilia sarà in prima linea anche grazie a Trapani-Birgi, la base aerea più utilizzata durante la guerra in Libia per i raid della forza multinazionale a guida Nato. A Trapani, dove sono divenuti pienamente operativi da meno di una paio di mesi i cacciabombardieri Eurofighter del 37° Stormo dell’Aeronautica militare italiana, l’Alleanza Atlantica potrà schierare per la “sorveglianza integrata” del Mediterraneo e del nord Africa uno o due aerei radar E-3A “Awacs”. Dalla seconda metà degli anni ‘80, lo scalo siciliano è una delle basi operative avanzate “Awacs” nell’ambito del programma multinazionale NATO Airborne Early Warning Force il cui comando generale è ospitato a Geilenkirchen (Germania). I velivoli, oltre a ricercare ed identificare gli obiettivi da colpire, hanno una rilevanza strategica nella conduzione delle operazioni di attacco aereo.

Secondo quanto trapelato a Bruxelles, i comandi della Nato avrebbero espresso però “l’assoluto bisogno” di inviare a Bamako non meno di 250 uomini per contribuire alla formazione e all’addestramento delle forze armate del Mali. Nonostante il ministro Terzi abbia negato il diretto coinvolgimento di militari italiani in territorio maliano, perlomeno una ventina di consiglieri e addestratori dovrebbero essere inviati dal nostro paese. L’Italia non è nuova in queste missioni addestrative a favore di forze armate africane impegnate in operazioni belliche. Sponsor ancora una volta il ministro degli esteri, è stato avviato a Mogadiscio un corso dei carabinieri finalizzato ad addestrare un’unità somala “con un ampio mandato, dalle attività di contrasto al terrorismo a quelle anti-pirateria a terra”, come ha spiegato lo stesso Giulio Terzi a conclusione dei lavori del Gruppo internazionale di contatto sulla Somalia, tenutosi a Roma nel luglio 2012. 

Con l’appoggio finanziario e logistico di U.S. Army Africa, il comando delle forze terrestri degli Stati Uniti d’America destinato agli interventi nel continente nero, l’Arma dei carabinieri ha attivato nella caserma “Chinotto” di Vicenza uncentro d’eccellenza per la formazione dei quadri militari dei paesi africani e mediorientali partner (Coespu). Una scuola di guerra al “terrorismo” su cui potranno sicuramente contare in futuro i generali del Mali e del Sahel.

 
Articolo pubblicato in Il manifesto, 18 gennaio 2013


=== 3: SIRIA ===


Martedì 08 Gennaio 2013 14:49

Giù le mani dai popoli arabi, giù le mani dalla Siria!



Respingere la richiesta di trattativa da parte del governo siriano equivale a una dichiarazione di guerra! Il ministro Terzi è un guerrafondaio pericoloso per il paese. Un documento della Rete dei Comunisti.

 

La Rete dei Comunisti denuncia la gravità delle dichiarazioni guerrafondaie del Ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi di Sant’Agata che in accordo con le altre forze della NATO, ha sbrigativamente respinto l’ennesima proposta del governo Siriano. Il rifiuto di qualsiasi trattativa con il governo di Damasco ora in carica, manifesta chiaramente gli intenti aggressivi perseguiti dai governi dell’UE, dagli USA e dai Paesi della Cooperazione del Golfo (GCC) e altro non è che una reiterata dichiarazione di guerra.

Questo ennesimo rifiuto, segue i sabotaggi e le bocciature dei tentativi di dialogo, seppure parziali, fatti dalla commissione ONU, da Kofi Annan e più recentemente dal delegato delle Nazioni Unite Ibrahimi.

Anche l’invito ad aprire un confronto tra le parti promosso dall’Iran, è stato bocciato con motivazioni assurde e precostituite, da quegli stessi paesi NATO che finanziano le formazioni armate in Siria.

Solo le pressioni di Cina, Russia e Iran, unitamente agli sforzi di molti paesi non allineati come Cuba e il Venezuela, hanno evitato che la destabilizzazione della Siria sfociasse in un conflitto più vasto.

In maniera colpevole e criminale anche quest’ultima proposta del Presidente Siriano Assad è stata bocciata nel giro di pochi minuti, non appena questa è stata resa pubblica attraverso i canali televisivi. La proposta è stata respinta senza entrare nel merito, confermando che da parte delle forze della Nato, dei paesi del Golfo e dei ribelli non c’è alcuna volontà di avviare un processo di pace, che guardi positivamente al futuro della Siria e dei popoli della regione.

Si sta ripetendo lo stesso copione dell’aggressione alla Libia, quando Hilary Clinton rifiutò al governo libico la figura d’interlocutore, pretendendo una resa senza condizioni che anticipava il linciaggio di Gheddafi. Analogamente anche in quell’occasione i paesi del Golfo e con diversi accenti i paesi dell’Unione Europea si unirono alla dichiarazione di  guerra dell’amministrazione Obama.

Nel caso della Siria la contrapposizione tra la via della guerra e quella della trattativa, rimanda alla conflitto, che oppone i paesi imperialisti alla Russia e alla Cina, nel controllo delle aree strategiche.

In questa situazione complessa i paesi Nato e le petro monarchie preferiscono evitare l’intervento militare diretto.

Al momento la tattica scelta sembra puntare al lento deterioramento dello scenario siriano, attraverso il sostegno agli insorti dell’ESL, il rifiuto di qualsiasi soluzione politica e l’imposizione dell’embargo economico contro il popolo siriano.

Da anni l’alleanza che vede collaborare, non senza contrasti, GCC, USA e UE, sta perseguendo un’impressionante politica di riarmo con il chiaro scopo di voler imporre i propri interessi con la diplomazia delle armi. Oggi questa coalizione dopo le guerre all’Iraq e alla Libia è intenzionata a spartirsi le ricchezze della Siria e a destabilizzare l’Iran.

Al progetto di pacificazione e normalizzazione del Grande Medio Oriente si aggiunge l’obiettivo di mettere sotto controllo i quadranti decisivi del Golfo Persico, del mar Arabico e dei confini meridionali della Russia.

Si tratta di un’area di cerniera, su cui si stanno concentrando le attenzioni dell’Amministrazione USA come riportano gli studi del Pentagono e dei neocons legati alla lobby del nuovo secolo americano.

Alle basi statunitensi, britanniche e francesi presenti nei loro paesi, le petro-monarchie hanno associato circa 120 miliardi di forniture militari provenienti per lo più dagli USA. Sia Doha, sia Riad non potendo per ragioni demografiche valersi di eserciti numerosi attingono alla vasta e consolidata rete di mercenari o stabiliscono accordi di cooperazione militare come quello siglato il 21 novembre scorso e che prevede il distacco di unità dell’esercito tunisino all’interno dell’esercito del Qatar.

L’utilizzo dei mercenari e del network terrorista islamico, circa 15000 combattenti secondo diverse fonti internazionali, con il corollario di autobombe e violenze contro la popolazione inerme, sta sviluppando  una drammatica spirale tra azione e reazione da parte dell’Armata Araba Siriana. Uno scenario che favorisce la scelta di un intervento militare esterno in soccorso di una presunta sollevazione popolare.

Nonostante le migliaia di turchi, scesi in piazza contro la guerra alla Siria, il governo Erdogan continua con la sua politica di aggressione contro il popolo siriano installando, sotto l’egida della NATO le batterie dei missili Patriot.

In quanto membro Nato, Ankara ospita la sede della forza di intervento rapido dell’Alleanza Atlantica, una partnership che rende l’ingerenza del governo islamico liberale turco, suscettibile di una pericolosa escalation.

Dai confini turchi oltre agli approvvigionamenti militari,  partono le azioni dell’esercito siriano libero e delle milizie islamiche che più di una volta si sono scontrate sia con l’Armata Araba Siriana che con la guerriglia curda che controlla alcune di confine tra la Siria e la Turchia. La NATO è coinvolta nel sostenere militarmente la politica egemonica dell’UE e degli USA nel mediterraneo fornendo mezzi, uomini e strumenti di intelligence alla destabilizzazione della Siria e alla pressione militare contro l’Iran.

La collaborazione militare è speculare agli interessi economici e alle relazioni politiche che i paesi del Golfo, come la Turchia e l’Egitto intrecciano con l’UE e con gli Stati Uniti. Nel caso dei paesi del Golfo queste relazioni si riflettono nella stipula di accordi di cooperazione economica e nell’acquisizione di asset industriali e di quote di debito pubblico dei paesi occidentali. L’Egitto e la Turchia oltre ad essere due paesi chiave dell’area, grazie alla delocalizzazione oggi costituiscono la periferia produttiva dei centri imperialisti, in primo luogo quello europeo.

 

La chiusura a qualsiasi piano di trattativa è quindi una scelta deliberata e pianificata dalle forze imperialiste, lo confermano le azioni e le dichiarazioni dei governi europei e statunitensi, e dello stesso Ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi.

La Rete dei Comunisti denuncia l’ignavia di quanti persino nella sinistra radicale si ostinano a non vedere il pericoloso evolversi degli eventi e la minaccia contro la pace. A questo si aggiunge il sostegno delle forze politiche come il PD e SEL alla politica neocoloniale perseguita dalla borghesia italiana e dal polo imperialista europeo.

In questi ultimi decenni, le guerre contro il terrorismo sono state lo strumento grazie al quale Washington, Londra, e Bruxelles hanno imposto gli interessi delle multinazionali, facendone  crescere i profitti a scapito dei popoli dei paesi sconvolti dalle guerre. E’ il caso dell’ENI in Libia e Iraq, della Shell e delle multinazionali militari cui si aggiunge la nuova frontiera delle compagnie di mercenari (come l’ex Blackwater e oggi Academy) quotate in borsa e assoldate dai governi di Washington e Doha.

La Rete dei comunisti insieme con altre strutture politiche della sinistra di classe, e del pacifismo più conseguente, ha aperto una battaglia politica, e sta lavorando alla costruzione di iniziative di controinformazione e di lotta, sulla base dell’appello “Giù e Mani dalla Siria”. Questa denuncia contro l’aggressione imperialista è tuttora motivo di scontro con quanti, e non sono pochi, all’interno della sinistra sposano la tesi della guerra umanitaria e sostengono le opposizioni armate libiche e siriane. Abbiamo più volte denunciato come il carattere oscurantista delle leadership delle opposizioni armate, i loro legami al blocco della NATO e del GCC, indichino chiaramente che queste hanno come scopo la restaurazione di regimi reazionari e neocoloniali. La campagna di destabilizzazione nei confronti della Siria e le pressioni contro l’Iran sono parte di un più ampio attacco contro l’intero fronte antimperialista. Una normalizzazione dell’area che renderebbe più forti Israele, e le petro monarchie, mettendo in una condizione di oggettiva debolezza i palestinesi e le forze laiche, progressiste e di classe dell’intera regione. La nostra posizione contro l’aggressione alla Siria, all’Iran e alla Libia non significa il sostegno, ieri a Gheddafi, e oggi ad Assad o ad Ahmadinejad, ma è la coerente riproposizione di un punto di vista internazionalista, antimperialista e anticapitalista.

 

L’approfondirsi della crisi sistemica accentua la competizione tra i poli imperialisti e tra questi e le economie emergenti come i BRICS. E’ l’imposizione della ragione del profitto sulla vita di milioni di uomini e donne, che si traduce in guerra per appropriarsi delle ricchezze naturali nei paesi in via di sviluppo e nell’attacco ai diritti e alle condizioni vita della classe lavoratrice su scala mondiale.

Nei prossimi mesi l’Italia ospiterà l’ennesimo incontro degli amici della Siria, quest’alleanza composta dagli incaricati dell’UE, degli USA, della Lega Araba, e cui sono stati invitati a partecipare i rappresentanti delle fazioni armate islamiche presenti sul territorio siriano. La Rete dei Comunisti denuncia come la riunione dei cosiddetti “amici della Siria”, sia invece un momento di sviluppo della politica d’ingerenza e aggressione nei confronti del popolo siriano, e invita le organizzazioni della sinistra di classe, dei veri pacifisti e degli antimperialisti a rafforzare la campagna di mobilitazione contro l’ennesima guerra coloniale.

 

La commissione internazionale della Rete dei Comunisti





Da: Alessandro Di Meo <alessandro.di.meo @ uniroma2.it>
Data: 19 gennaio 2013 12.31.36 GMT+01.00

cari tutti,
nell'augurarvi un buon 2013 (sono ancora in tempo?) vi segnalo "Un viaggio per capire", breve racconto dopo l'ultima esperienza in Serbia, Kosovo e Metohija, che troverete, corredato di foto, sul mio blog:
http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.it/

Inoltre, alla pagina:
http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.it/2012/12/lappuntamento_26.html
vi presento il mio ultimo libro, "L'appuntamento".

Per richiederlo o per avere ulteriori informazioni potete mandarmi un messaggio.
Buona lettura e grazie per la vostra sempre cortese attenzione.

Alessandro

p.s. chi non volesse più ricevere messaggi del genere, è pregato si segnalarmelo con una mail. Verrà immediatamente rimosso dalla lista.

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                "Deve esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto 
                       dove non soffriremo e tutto sarà giusto...

                               (francesco guccini - cyrano)

Un ponte per... associazione di volontariato per la solidarietà internazionale
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venerdì 18 gennaio 2013

UN VIAGGIO PER CAPIRE

Un viaggio per capire è un viaggio per fare chiarezza, per diradare nuvole, per riuscire a distinguere, fra le nebbie quotidiane, le cose che hanno valore nella vita. Un viaggio per capire, è anche un viaggio con e per “Un Ponte per…”, a raggiungere luoghi e persone dimenticate che noi, però, non sappiamo dimenticare. 


A Belgrado mi incontro con padre Andrej, del monastero di Visoki Dečani. E’ a Belgrado per dare esami di Filosofia per i suoi studi teologici all’università.
Siamo davanti a un momento davvero difficile per la chiesa ortodossa serba e per tutti i serbi del Kosovo e Metohija. La loro libertà, la loro indipendenza, la loro stessa sopravvivenza è fortemente a rischio. Le trattative fra Belgrado e Priština vanno avanti ma la sensazione è che, passo dopo passo, la Serbia dovrà piegarsi al volere della Comunità Internazionale e riconoscere, di fatto, il Kosovo attuale. Potranno forse spostare il confine doganale sul fiume Ibar, lasciando i serbi a nord di Mitrovica attaccati alla madre patria, ma per quelli rimasti nei villaggi all’interno sarà duro il futuro che si prospetta.
Io espongo le mie preoccupazioni legate alla sempre più forte presenza, nella terra sacra dell’Ortodossia Serba, di moschee musulmane ma pure di chiese cattoliche. Molti soldi investiti e mi chiedo perché. La storia non ha segreti. Queste terre, questo patrimonio culturale e architettonico interessa molti. Nei programmi delle scuole albanesi da tempo si insegna come questo patrimonio sia, in realtà, una sorta di intrusione in un patrimonio pre-esistente. Qualcuno lo fa derivare, insieme all'origine della stessa popolazione albanese ma senza alcuna fonte certa, dimostrata o dimostrabile, dagli Illiri e dai Dardani; qualcuno dagli antichi romani, la cui presenza è stata comunque documentata, altri dalla chiesa cristiana prima dello Scisma del 1054. In mezzo, secoli e secoli che sembrano solo una parentesi della storia, da chiudere senza stare troppo a pensarci su.

Dopo veri e propri tentativi di plagio di una nostra iniziativa, quella sui pozzi, ci teniamo, come associazione, a prendere le distanze da certe Onlus che si affacciano solo ora in Serbia, legate a doppio filo con i settori più reazionari della chiesa Cattolica ma anche con l’estrema destra, xenofoba e razzista, specchietto per le allodole per ingenui e ignari che si accostano al problema, attratti dalla apparentemente umanitaria attività di tali Onlus che, in realtà, altro non fanno che da paravento al connubio reazionario, creando confusione e disorientamento anche tra chi le idee le aveva chiare fin dall’inizio. Come con la Libia, come con la Palestina, come con la Siria attuale, come con l’Iraq in passato, le attività trasversali di queste organizzazioni hanno sempre altri scopi e sempre molto oscuri.

Andrej sostiene che la chiesa ortodossa Serba è, invece, ancora molto forte, determinata a contrastare con la sua opera e la sua capacità di dialogo le derive naziste, razziste, violente e a proseguire nel suo ruolo che, attualmente, è anche e soprattutto quello di non lasciare soli i serbi nel “nuovo” Kosovo. Che soli, però, sembrano esserlo sempre di più. E indifesi. E preda di ingiustizie, soprusi, prepotenze.

Come nel caso del grave episodio dei dieci serbi arrestati a Gračanica dalla polizia albanese perché festeggiavano, forse troppo rumorosamente, il Natale ortodosso. Ammanettati, con la testa infilata nella latrina del cesso, sono stati picchiati e sottoposti a violenze di stampo razzista. Uno di loro è ancora grave in un ospedale di Belgrado per le percosse subite ai genitali.
“Ti impediremo di fare figli!”, gridavano in quella cella dove la polizia kosovara lo aveva rinchiuso. Il ragazzo, di origini albanesi, era troppo amico dei “serbi cattivi”. Prima della guerra umanitaria del ’99, molti albanesi sono stati ammazzati dagli stessi miliziani dell’Uck, attuali poliziotti del Kosovo “indipendente”, proprio perché amici e solo per questo considerati collaborazionisti dei serbi. Gli è pure andata bene. Hanno rischiato di fare la fine di ragazzi italiani come Federico Aldrovandi o Stefano Cucchi, ammazzati perché “troppo irrequieti” per la pazienza dei servitori dell’ordine e dello stato in cui si sono fatalmente imbattuti. Insomma, questi episodi nel nuovo Kosovo, voluto fortemente dalle diplomazie occidentali, sembrano davvero “prove generali di democrazia”. 
 
Il 6 gennaio è il "Badnji dan", la vigilia del Natale Ortodosso. In strada, rami secchi di quercia con ancora le foglie attaccate da bruciare nel grande falò davanti le chiese. Ne puoi prendere uno, di quei rami e gettarlo sul falò, esprimendo un desiderio. Davanti la chiesa grande di Kraljevo, sveti Sava, c’è molta gente che arriva solo per vedere il fuoco, gettare un ramo di quercia, esprimere un desiderio. In chiesa c’è fila, si va per accendere candele per il Natale, fuori si offrono vino e rakija. Io e Marko ci torneremo, più tardi, quando il grande fuoco si sarà ridotto a un cumulo di cenere, dove poter bruciare i ciocchi di legno ancora buoni. Non c’è più gente, siamo in pochi, ma tutto è anche più intimo.
 
La mattina dopo, alle cinque e mezza, ci si sveglia perché il “polažajnik”, l’amico di famiglia designato da sempre, verrà ad augurare salute e felicità gettando un rametto di badnjak nel fuoco (uno si conserverà fino al prossimo Natale). Dopo, si mangia carne, tutti insieme, mettendo fine al digiuno. Senza posate, con le mani, ché coltelli e forchette sono banditi dalla tavola per l’occasione. Solo pace e amicizia, nella mattina del Natale. A mezzogiorno, la famiglia intera, riunita davanti alla tavola pronta per il pranzo, col pavimento cosparso di paglia a simboleggiare la mangiatoia sacra dove nasce Gesù, berrà vino a giro dallo stesso bicchiere e mangerà il pane che il capofamiglia avrà segnato a croce, bagnato di vino e spezzato insieme a tutti i presenti, dopo che tutti lo avranno fatto girare con le mani, insieme, come fa il prete nella chiesa. Chi troverà la moneta nascosta nel pane, avrà fortuna e soldi tutto l’anno.

In Kosovo e Metohija mi incontro con Ilarion, abate del monastero di Draganac. Siamo a Novo Brdo, nei pressi di Gnjilane. Qui è Kosovo orientale. Siamo felici di riabbracciarci e lui mi offre subito da mangiare, dopo avermi mostrato la cappella dove si svolgono le funzioni in questo periodo di inverno, quando nella chiesa del monastero è troppo freddo. Ci sono altri visitatori. Justine, monaco del monastero, ci mostra un pezzo di tronco di albero la cui sezione riproduce la croce ortodossa in maniera straordinaria. Dopo poco arrivano soldati Usa della Kfor. Entrano ma non dicono buongiorno. Se ne andranno allo stesso modo. Del resto, sono venuti in questa terra senza invito, sono consapevoli del loro saper prendere senza chiedere.
 
Cason, il maggiore… White, il driver… Crowe il più giovane. Cason dice di suonare la chitarra, gli chiedo se suona anche “Blowin’ in the wind” di Bob Dylan. Ma lui preferisce la chitarra classica… White, allora, dal suo cellulare mi fa sentire la sua musica preferita: Bruce Springsteen, il boss! Ma allora sei un democratico, mister White! Certamente avrai votato per Obama. Rifiuta una seconda rakija, perché dice che dovrà guidare. “Quale autorità potrà mai fermarti per questo?” gli chiedo ironicamente… ridono. Crowe è più taciturno, ha origini scozzesi, ha fatto il portiere in una partitella organizzata dai soldati contro una rappresentativa locale. Hanno perso e mi chiedono se mi piace il calcio. Vorrei rispondere “Almeno quanto a voi piace la guerra!”, ma dopo che Ilarion mi presenta come un pacifista, dico solo che non lo sono, che dentro sento tanta rabbia contro la guerra e chi la fa. E ribadisco, visto che questi soldati raccontano di stare ad aiutare anche la povera gente degli sperduti villaggi serbi, che un soldato se conoscesse prima chi sarà colpito dalla guerra che andrà a fare, forse se ne starebbe a casa e rifiuterebbe. Fondamentalmente, un soldato deve restare ignorante. Cason annuisce, si dice davvero d’accordo. Il dubbio che mi stia prendendo in giro mi viene. Ma i suoi occhi si abbassano sempre, come un bambino davanti a chi sa quanto l’abbia fatta grossa! Allora, forse così ignorante non lo è. Forse, tutta questa buona fede non c’è. Forse, è molto consapevole di quello che fa.
 
Con Ilarion restiamo a parlare delle iniziative in corso. C’è una scuola a Gornj Makreš da riscaldare, dovremo riuscire a realizzare quanto prima l’impianto completo di riscaldamento. Lui mi da le schede del progetto da portarmi dietro. Ci sono altre scuole di villaggi vicini, Jasenovik, Bostane, Prekovce da sostenere con l’acquisto di un pulmino e di un piccolo fuoristrada per permettere ai ragazzini, piccoli studenti, di arrivarci anche nelle situazioni più difficili e in assoluta sicurezza. Inoltre, parliamo di famiglie che andrebbero sostenute, alcune delle quali piene di iniziativa ma senza mezzi. Allora si pensa di coinvolgere i sostegni in atto col monastero di Dečani, dove ci sono casi che andranno sostituiti e altri il cui sostegno potrebbe essere dimezzato. Tutto va bene, pur di essere di aiuto a famiglie che hanno figli da crescere in situazioni di vita così difficili.
Al monastero di Dečani, in piena Metohija, trovo solo qualche monaco. Molti sono via o stanno riposando dopo le fatiche delle celebrazioni del Natale. Petar mi accoglie con calore e amicizia nel salone al piano superiore, offendo rakija e caffè. Poi, arrivano anche Nifont e Isaja coi quali parliamo dei nostri progetti di sostegno a distanza per venti famiglie serbe dei villaggi. Loro chiedono se possono dimezzare il sostegno di 300 euro annuale, raddoppiando così le famiglie aiutate. Non ci sono problemi, importante sarà sostenere più casi possibili bisognosi di una mano. Come con Ilarion, pianifichiamo anche con loro una missione in primavera prossima, proprio per andare a visitare direttamente queste famiglie beneficiarie del nostro sostegno e raccogliere materiale informativo direttamente sul posto e da divulgare ai nostri sostenitori.
Poi parliamo del progetto di realizzazione di pozzi artesiani. Ne hanno già finiti cinque, acquisteranno tutte le pompe necessarie per portare acqua nelle case. Sono molto impegnati dalla cosa, cercheranno di continuare nella prossima primavera, tempo permettendo. Ribadiamo la nostra disponibilità di fondi, chiediamo solo di fare attenzione a non sovrapporre la nostra con altre iniziative di altre associazioni, per evitare confusione fra i nostri sostenitori e finanziatori. Per loro è un impegno gravoso, si scusano per malintesi passati, ma si dicono disponibili a continuare nel progetto, perché lo ritengono davvero meritevole e utile.
Regalo loro alcune copie del libro “L’Urlo del Kosovo”, sono contenti, stanno imparando tutti l’italiano e la cosa, forse, li aiuterà. Poi, prima di mangiare, è doverosa una visita in chiesa, per rendere omaggio a quel luogo sacro, accendere ceri, sentire quell’atmosfera sempre coinvolgente nel suggestivo silenzio del monastero. Acquisterò vino, rakija e oggetti sacri vari nel piccolo negozio del monastero, per farne regali, sempre molto apprezzati o per esaudire richieste di amici.
Il rapporto con questi monaci è forte, la loro presenza è quanto di più necessario per la gente dei villaggi, sanno che non resteranno soli, ci sperano, come sperano che sempre ci possa essere da qualche parte una campana e i suoi rintocchi a ricordare che nel Kosovo odierno, dove è proibita la parola Metohija, che significa “terre che appartengono ai monasteri, i serbi continueranno a esistere e a vivere sulla loro terra.
 
Al ritorno, nessuno chiederà documenti alla frontiera. L’Eulex qui è ritenuta una violenta forzatura, una imposizione inaccettabile, l'ennesima di tante altre ingoiate negli anni. A Kosovska Mitrovica tutto sembra andare avanti in modo tranquillo, ma a far sembrare tranquilla la situazione è il carattere di queste persone che riescono ad affrontare ogni sorta di difficoltà e di sofferenza senza battere ciglio. Abituati a difficoltà estreme, sanno farsi bastare il necessario.
 
Con Sonja, del villaggio di Osojane, parlo di queste difficoltà e di come anche per loro esistano i desideri. Ma sono così diversi dai nostri, che non riesco a continuare a parlare quando mi dice che un suo desiderio di vita sarebbe, ad esempio, quello di…
“Viaggiare in pullman da casa mia, a Osojane, fino a Belgrado senza che si rompa durante il tragitto impiegandoci un giorno intero!” – “Stare in casa senza la paura che qualcuno venga a provocare tirando sassi alle finestre o facendo il prepotente con le auto” – “La sera, passeggiare nelle strade del mio villaggio in tranquillità, senza paura di incontrare fanatici violenti e razzisti, che non vogliono che i serbi continuino a esistere in quella che da sempre è anche la loro terra.”.
 
Io tornerò e riprenderò la mia vita. Scriverò di ciò che ho visto e incontrato, ma avrò anche i miei momenti di tranquillità e serenità. Mi attiverò affinché le iniziative solo pensate possano realizzarsi. Potrò anche sentirmi felice, qualche volta. O fare finta. Ma senza dimenticarmi mai di queste persone, di questi luoghi dove, a volte, è difficile anche fingere.
Questo è stato il mio viaggio per capire. Un viaggio dove incontri chi si nutre dell’essenziale, dove ti rigiri nei pensieri senza trovare risposte, perché semplicemente non esistono. Dovrai vivere, dovrai lasciar passare il tempo, dovrai andare avanti, senza dimenticare cosa c’è che ti lega a questa terra.
 
Ma un viaggio per capire è anche un viaggio dove senti la fatica dentro. E’ un viaggio che ti porta altrove, con la testa, con i piedi, con lo sguardo. A cercare di comprendere cosa ci sia, nascosto dentro te, che ti comprime così forte il cuore e gli occhi, portandoti a camminare su strade sconnesse e impervie, dove poter viaggiare senza fretta, ma con attenzione. Cercando, davvero, solo di capire.



(espanol / english.

Reazioni demenziali all'ONU per la esecuzione - da parte del coro Viva Vox di Belgrado in un concerto alla Assemblea Generale nell'ambito dei festeggiamenti del Capodanno Ortodosso - della "Marcia sulla Drina", nota splendida melodia la cui origine risale alla I Guerra Mondiale. Una lettera di protesta spedita al Segretario Generale da parte di ambienti bosgnacchi, che lamentavano l' "offesa" per l'esecuzione della melodia tradizionale serba, ha indotto il portavoce del Segretario Generale a scusarsi - non si sa di cosa - ed il quotidiano Washington Post a scrivere amenità dipingendo la "Marcia sulla Drina" come una specie di inno nazionalista o fascista. E' stato fatto giustamente notare, però, che con la vittoria nella I Guerra Mondiale - pagata a carissimo prezzo dai serbi con la morte di un terzo della popolazione maschile - essi poterono sedere assieme agli altri paesi e popoli vincitori fornendo il loro importante contributo proprio alla creazione della Società delle Nazioni! Davvero l'ignoranza storica e la fobìa antiserba dominano e dettano l'agenda di quel poco che della Società delle Nazioni ancora rimane. [I.Slavo])


March to Drina


Newspaper "The Washington Post" published a story yesterday with an interpretation of the Serbian patriotic song "March on the Drina" as a nationalist and fascist, just because of the protests of Bosnian Muslims who had sent a protest letter to the UN saying that this song insults the victims of the war from the 90's. We'd just like to remind "The Washington Post", but also all those who have forgotten, "March on the Drina" is a song written over a century ago and which occupies a central place in the memory of the Serbs of the defense from the Austro-Hungarian invaders in World War I, during which Serbia has lost a third of its male population in many battles in which they fought on the side of the Allies. In World War I the Drina river was the site of major battles between Serbia and Austria-Hungary in which Serbia defended its freedom. Serbia is proud of its great and rich history and its centuries-old struggle for freedom in which it has always been on the side of goodness and justice, no matter the high cost it had to pay. Our message to the reporters of these newspapers is - take a book and try to educate yourself a little before writing about something you don't know nothing about! Read the article and write your opinion about it in the comment.


Link: 
UN apologizes for ovation given to Serb militant song “March on the Drina” at UN concert
By Associated Press, January 17, 2013

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LA ONU REESCRIBIENDO “LA MARCHA SOBRE DRINA”

18/01/2013

El presidente de la Asamblea General de Naciones Unidas, Vuk Jeremic (Serbia), defendió hoy la interpretación de la Marcha de Drina durante un concierto celebrado el lunes en el plenario del máximo órgano de la ONU.

El también excanciller serbio rechazó los intentos de falsear el significado de la presentación de esa obra por parte del coro Viva Vox de Belgrado y los consideró como una profunda ofensa al pueblo de Serbia.

Destacó la importancia de la pieza musical que rinde tributo a quienes defendieron la libertad frente a los agresores durante la Primera Guerra Mundial, que costó la vida a la tercera parte de la población masculina serbia.

Estamos muy orgullosos de ella y queremos unirla al mundo con un mensaje de reconciliación para la presente y futuras generaciones, apuntó Jeremic.

La declaración del presidente de la Asamblea General fue emitida poco después que el vocero oficial de la ONU, Martin Nesirky, pidió disculpas porque el secretario general, Ban Ki-moon, aplaudió la obra tras su interpretación por el coro visitante.

Lamentamos sinceramente que hubiera gente que se ofendiera con esta canción, que no estaba incluida en el programa oficial, precisó.

Dijo que el titular de Naciones Unidas “no era consciente del uso que ha sido dado al himno”, en referencia a (dudosas y nunca comprobadas) versiones sobre su utilización por parte de grupos nacionalistas vinculados a la masacre de Srebrenica en 1995.

original AQUI: http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1021981&Itemid=1

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"MARCH TO DRINA RIVER" AND BAN KI-MOON APPOLOGY


The Honorable Ban Ki-Moon
Secretary General
760 United Nations Plaza
United Nations
New York, NY 10017

REF: The Drina March apology

Your Excellency,

The first Allied victory of the World War I, The Battle of Cer [Mountain], opened the door towards the end of The Great War and creation of The League of Nations, predecessor of The UN.

That is exactly what The Drina March represents, fighting for freedom regardless of the odds. Individuals who objected to The Drina March belong to a group that fought against the Allies in both World Wars.

UN apology for The Drina March being performed in The UN is an affront to millions of Allies who gave their lives in WWI for freedom.

Serbs as people never demographically recovered from the loss of 56% of male population in WWI, leading to the additional loss of up to one million in WWII. By UN Genocide Convention, it is Genocide by attrition. That is what the complaint about The Drina March was all about - the fear that the truth will come out.

Media battle cry "Serben Muss Sterben" (The Serbs must die) in 1914 announced this genocide and such racist cries continue to the present day. UN apology is creating a new wave of anti-Serb media reports bordering on racism.

Living behind barbed wire is already reality for the Serbs in UN-governed Kosovo. After this apology, what Serbs can expect next from The UN, a new text of The Universal Declaration of Human Rights that adds "except Serbs" to all articles?

Your Excellency, UN apology to anti-Serb racists who prefer to goose step to the tune of Die Fahne Hoch was misguided, factually inaccurate and morally wrong.
You owe an apology. To the Serbs and all Allied nations.

Yours Sincerely,
Bob Petrovich, Canada


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Orthodox New Year Celebration in UN

Jan 18th, 2013 | By De-Construct.net

Orthodox New Year in United Nations

Belgrade’s Viva Vox choir, performing a capella – without instruments, ushered the New 2013 Year with a concert in United Nations General Assembly in New York, on January 14, the first day of the New Year according to the Julian calendar.

An arrangement of traditional Serbian songs, mixed with world pop/rock and classical music was greeted with standing ovations. Among the best received was the famous Serbian First World War March to Drina.

The glorious March was composed by Stanislav Binički in 1914, in honor of the bravery of the Serbian Army, after winning a triumphal Battle of Cer, the first victory for the Allied forces in WWI.


VIDEOS: 

UN New Year concert by the Viva Vox choir from Belgrade

MARCH TO DRINA, A CAPELLA
Viva Vox choir, UN

MARCH TO DRINA, THE ORIGINAL: BELGRADE SYMPHONY ORCHESTRA
New Year concert at Belgrade Kolarac University, frula (traditional Serbian flute) Bora Dugić, conductor Boban Prodanović

MARCH TO DRINA, POP/ROCK STYLE
British pop group The Shadows, guitar Cliff Richard

MARCH TO DRINA, ROCK & ROLL
Guitar Radomir Mihajlović Točak, bas Lola Andrijić, drums David Moss, keyboards Laza Ristovski

MARCH TO DRINA, JAZZ
James Last Big Band

MARCH TO DRINA, TRUMPETS
100 Trumpets Concert, Belgrade Central Square







17 Gennaio 2013

di Michel Chossudovsky* | da www.globalresearch.ca

Squadroni della morte in Iraq e in Siria
 
Il reclutamento degli squadroni della morte fa parte di una ben consolidata agenda militar-spionistica degli Stati Uniti. Degli Stati Uniti, esiste una storia lunga e macabra, di finanziamenti clandestini e di sostegno di brigate del terrore e di omicidi mirati, risalente alla guerra del Vietnam (link). Nel momento in cui le forze governative della Siria continuano a contrastare l'auto-proclamatosi "Libero Esercito Siriano" (FSA), le radici storiche della guerra segreta dell'Occidente contro la Siria, che ha prodotto come risultato atrocità senza pari, devono essere pienamente portate alla luce. Fin dall'inizio del marzo 2011, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno sostenuto la formazione di squadroni della morte e l'incursione di brigate terroristiche in un'impresa attentamente pianificata. Il reclutamento e l'addestramento di brigate del terrore, sia in Iraq che in Siria, sono stati improntati sull'"Opzione Salvador", un "modello terrorista" per uccisioni di massa da parte di squadroni della morte sponsorizzati dagli Stati Uniti nell'America Centrale.
La sua prima applicazione ha visto la luce in El Salvador, nel periodo di maggior successo della resistenza salvadoregna contro la dittatura militare, con la produzione conseguente di circa 75.000 decessi.
La formazione di squadroni della morte in Siria si fonda sulla storia e l'esperienza delle brigate terroristiche sponsorizzate dagli Stati Uniti in Iraq, secondo il programma di "contro-insurrezione" del Pentagono.
 
L'istituzione di squadroni della morte in Iraq
 
Squadroni della morte sponsorizzati dagli USA sono stati reclutati in Iraq a partire dal 2004-2005 in un'iniziativa lanciata sotto la guida dell'ambasciatore statunitense John Negroponte, inviato a Baghdad dal Dipartimento di Stato nel giugno 2004.
 
Come ambasciatore degli Stati Uniti in Honduras dal 1981 al 1985, Negroponte aveva svolto un ruolo fondamentale nel sostenere e supervisionare i Contras del Nicaragua di base in Honduras, nonché nel sovrintendere alle attività degli squadroni della morte dell'esercito honduregno.
 
"Sotto il governo del generale Gustavo Alvarez Martinez, l'amministrazione militare dell'Honduras era una stretta alleata dell'amministrazione Reagan e responsabile della "scomparsa" di decine e decine di oppositori politici attraverso il modo classico degli squadroni della morte."
 
Nel gennaio 2005, il Pentagono, confermava che questo era oggetto di valutazione:
"La formazione di squadre di azione terroristica di combattenti Curdi e Sciiti per prendere di mira i leader rivoltosi della Resistenza irachena, come risorsa strategica, è stata presa a prestito dalla lotta degli Stati Uniti di 20 anni fa contro i guerriglieri di sinistra nell'America Centrale".
 
Sulle linee della cosiddetta "Opzione El Salvador", elementi armati iracheni e statunitensi sarebbero stati inviati ad assassinare o rapire leader rivoltosi, anche raggiungendoli in Siria, dove alcuni di costoro pensavano di trovarsi al sicuro. ...
 
Queste squadre di azione avrebbero sollevato notevoli perplessità, e probabilmente per questo sono state tenute segrete.
L'esperienza dei cosiddetti "squadroni della morte" nell'America Centrale rimane ancora per molti una ferita aperta e ha contribuito a macchiare di disonore l'immagine degli Stati Uniti nella regione.
In buona sostanza, l'amministrazione Reagan finanziava e addestrava gruppi di forze nazionaliste per neutralizzare i leader ribelli salvadoregni e i loro simpatizzanti...
 
In quel periodo, dal 1981 al 1985, John Negroponte, l'ambasciatore usamericano a Baghdad, svolgeva un ruolo di primo piano come ambasciatore in Honduras.
Gli squadroni della morte erano una caratteristica brutale della politica latino-americana del tempo. Nei primi anni ‘80, l'amministrazione del Presidente Reagan finanziava, e contribuiva alla loro formazione, i Contras del Nicaragua con le loro basi in Honduras, con l'obiettivo di spodestare il regime sandinista del Nicaragua.
I Contras venivano equipaggiati con il denaro proveniente da vendite illegali di armi dagli Stati Uniti verso l'Iran, uno scandalo che avrebbe potuto rovesciare il signor Reagan.
 
L'essenza della proposta del Pentagono in Iraq, ... era di seguire questo modello ...
 
Non era chiaro se l'obiettivo principale di queste missioni in Iraq sarebbe stato quello di assassinare i ribelli o di rapirli, per poi interrogarli sotto tortura. Probabilmente, ogni missione in territorio siriano doveva essere effettuata da forze speciali statunitensi.
 
Nemmeno era chiaro chi avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di un tale programma - il Pentagono o la CIA, Central Intelligence Agency. Tali operazioni segrete venivano tradizionalmente gestite dalla CIA, che doveva assicurare come un alibi all'amministrazione al potere l'estraneità delle decisioni, fornendo ai funzionari e ai dirigenti degli Stati Uniti la possibilità di negare la conoscenza delle operazioni stesse. (El Salvador-style ‘death squads' to be deployed by US against Iraq militants - Times Online, January 10, 2005 - "Squadroni della morte" sul modello El Salvador vengono messi in campo dagli Stati Uniti contro militanti iracheni - Times on-line, 10 gennaio 2005)
 
Mentre l'obiettivo dichiarato della "Opzione Salvador in Iraq" era di "neutralizzare la ribellione", in pratica le brigate terroristiche sponsorizzate dagli USA venivano coinvolte in uccisioni sistematiche di civili, al fine di fomentare la violenza settaria fra le fazioni.
A loro volta, la CIA e il servizio britannico MI6 facevano da supervisori delle unità "Al Qaeda in Iraq" impiegate in omicidi mirati direttamente contro la popolazione sciita.
 
Significativamente, gli squadroni della morte venivano integrati da "consiglieri" sotto copertura appartenenti alle Forze Speciali degli Stati Uniti.
Robert Stephen Ford , successivamente nominato ambasciatore degli Stati Uniti in Siria, faceva parte della squadra di Negroponte a Baghdad nel 2004-2005.
 
Nel gennaio 2004, era stato inviato come rappresentante degli Stati Uniti presso la città sciita di Najaf, la roccaforte dell'esercito del Mahdi, con cui prendeva contatti preliminari. [Muqtada al-Sadr, politico e religioso iracheno, leader del Movimento Sadrista, nel giugno del 2003 fondava una milizia, denominata Esercito del Mahdi, per combattere le forze di occupazione in Iraq.]
 
Nel gennaio 2005, Robert S. Ford veniva nominato rappresentante diplomatico Consigliere per gli Affari Politici presso l'ambasciata degli Stati Uniti sotto la guida dell'ambasciatore John Negroponte.


(Una intervista a Primož Krašovec sulla situazione politica e le lotte in Slovenia, e sulla crisi sistemica legata alla insufficiente valorizzazione del capitale. Secondo il sociologo sloveno, nel capitalismo "un periodo di barbarie è la condizione necessaria per una nuova fase di accumulazione". La versione originale, in lingua slovena:

Primož Krašovec: »Obdobja barbarizma so nujni pogoj za nadaljnjo akumulacijo kapitala.«
Klemen Košak  -  Mladina 46  -  16. 11. 2012




U intervjuu objavljenom u ljubljanskom tjedniku Mladina u studenom 2012., Primož Krašovec, teoretičar i član Delavsko-punkerske univerze iz Ljubljane, analizira ekonomsko i socijalno stanje u Sloveniji u trenutku provedbe mjera štednje koalicijske vlade Janeza Janše koje su bile i okidač velikih prosvjeda i buna tijekom zadnja dva mjeseca usmjerenih prema sprezi političkih i ekonomskih elita na lokalnoj i centralnoj razini.


Zašto moramo rezati plaće, smanjivati zaposlenost, socijalnu pomoć i javni sektor? Kakva će naša država biti nakon toga? Odgovori Primoža Krašovca, doktora sociologije i člana Delavsko-punkerske univerze, završili su njegovim pitanjem upućenim svima nama. Zašto ne pružimo otpor?

Kažu da je Sloveniju stvarnost udarila u glavu. Sada nam svima treba biti jasno da ne možemo više živjeti kao što smo živjeli do sada.

Najbogatiji sloj stanovništva, urbana srednja klasa, prije pet godina zaista je mogla naći posao i sl. Ali opravdano je da ljudi očekuju da će se nakon završetka studija zaposliti i urediti si život vrijedan čovjeka u Europi 21. stoljeća. Sporno je što se ljudima pokušava dokazati da dostojan građanski život više nije legitiman. Ne govori se da je upravo taj barbarizam koji još ne doživljavamo u Sloveniji kao u mediteranskim zemljama - onaj na koji je prije sto godina upozoravala Rosa Luxemburg - nužan uvjet za omogućavanje daljnje akumulacije kapitala. Da bi kapitalizam izašao iz recesije mora uništiti podosta neproduktivnog ili zaostalog fizičkog kapitala, razoriti razinu življenja, socijalna i radnička prava te stvoriti fleksibilno tržište rada kako bi povisio profit koji omogućuje daljnja ulaganja, rast i razvoj.

U Sloveniji popriličan broj ljudi još uvijek živi razmjerno dobro. Mlade koji rade u najfleksibilnijim radnim uvjetima spašava npr. imovina roditelja. Mijenja li se to?

Moramo razlikovati Ljubljanu od ostalih dijelova Slovenije. Uništenje standarda u devedesetima i kasnije u manjim mjestima i na selu bilo je znatno. Ali i u Ljubljani prosperitet mladih nestaje jer se temelji na kreditu koji nije bankarski, već vremenski kredit - imovini njihovih roditelja. U onom trenutku kada budu morali založiti ili prodati stan ili kuću kako bi unucima mogli platiti školarine, srušiti će se i ta iluzija o dobrom životu.

Ali kao što kažu, pogledajte one koji su već patili zbog krize, obrtnike, radnike u graditeljstvu… Nije li pošteno da i ostali stegnu remen?

Naravno da su zaposleni u privatnom sektoru do ovog trenutka bili veće žrtve krize nego zaposleni u javnom sektoru. Pitanje je kako to staviti u političke okvire. Prevladavajuća ideologija je: ako pati jedan, neka pate i ostali. Nasuprot toj ravnomjernoj raspodjeli patnje možemo postaviti obrnutu političku ideologiju: svaki radnik, bez obzira na to u kojem je poduzeću ili instituciji zaposlen, trebao bi imati ista prava i sindikalnu potporu kao i najbolje organizirani radnici u javnom sektoru. U novinama puno čitamo o diktatu Trojke o rezovima u javnom sektoru, njenoj autoritarnoj politici u Grčkoj, neposrednom pritisku na grčku vladu ili na vlade perifernih zemalja. Ali i u Grčkoj su najpogođeniji bili radnici u privatnom sektoru i to zato jer je taj sektor već proveo mjere štednje.

U privatnom sektoru lakše je štediti.

Privatni sektor autokratski je već po definiciji, pod definicijom tu mislimo na ono što Marx naziva despotizmom u proizvodnji. U tom sektoru teže je provoditi mjere štednje jer ipak vrijede neka minimalna pravila, minimalni civilizacijski standardi.
Štednju u javnom sektoru ograničavaju zakoni.
I kolektivni ugovori su jači. Zbog toga štednju u tom sektoru mora diktirati neka diktatorska Trojka. U privatnom sektoru u kojem vrijedi sloboda kapitala i poduzetnička inicijativa te u kojem se nad radnicima provodi despotizam, mjere štednje puno su lakše i zato su već provedene. Zbog toga je važno zaustaviti taj trend ne samo u javnom nego i u privatnom sektoru.

Vlada tvrdi da jedino gospodarstvo može stvoriti radna mjesta i dodatnu vrijednost kako bi država bila sposobna funkcionirati. Država gospodarstvu mora samo omogućiti da stvara radna mjesta i da pošteno plaća zaposlenike.


Dok god je kapitalizam dominantan način proizvodnje, nova se vrijednost stvara samo komercijalnim djelatnostima. Zdravstvene, obrazovne i ostale nekomercijalne proračunom financirane usluge društveno su korisne i neophodne ljudima, ali prema Marxu nemaju razmjensku vrijednost. Nije to obrana kapitalizma; to je njegov temeljni problem, ta podjela na produktivni i neproduktivni sektor. Po prirodi kapitalističkog sustava zdravstvo je npr. ovisno o komercijalnoj proizvodnji kozmetičkih proizvoda. Zbog toga kapitalizam treba eliminirati i zamijeniti ga nekim društvenim uređenjem u kojemu su sve čovječanstvu korisne djelatnosti izravno produktivne. Ali tu vlada i većina liberalnih ekonomista, intelektualaca i novinara brka uzrok i posljedicu krize. Kriza nije nastala jer je, kao što bi Milton Friedman rekao, javni sektor ugušio mogućnost investiranja u privatnom sektoru. Privatni sektor, najprije financijski, kasnije i industrijski, uslužni i trgovački, slomio se zbog svojih unutarnjih proturječnosti. Nakon toga računao je na državu koja se zbog toga zadužila. Sada još od nje zahtijeva da poveća proračunski dio subvencija za gospodarstvo i proporcionalno smanji dio za socijalne i ostale „neproduktivne“ djelatnosti.

Ali kao što kaže Egon Zakrajšek, kojeg svi rado citiraju, u Sloveniji uopće nemamo kapitalizam, već „pajdaški kapitalizam“.

To je klasična moralistička pozicija koja proizlazi iz neke idealne zamisli o tome kako bi slobodno tržište i idealni kapitalizam trebali djelovati. Proizlazi iz zamislî o tržištu koje su odvojene od realne povijesti, koje bi samo trebalo voditi u neku vrstu ravnoteže, prosperiteta i punog zaposlenja za sve. Povijest pokazuje da to nikako ne stoji. U svih dobrih dvjesto godina kapitalizma nakon industrijske revolucije, postojalo je samo jedno razdoblje blagostanja, i to vrlo kratko i na jako malenom geografskom području: nakon Drugog svjetskog rata u Zapadnoj Europi, Skandinaviji, SAD-u i, djelomično, u Japanu. Većini ljudi većinu vremena pod kapitalizmom nije bilo baš dobro. Istodobno, slobodno tržište nije nikad funkcioniralo bez velike državne pomoći i velikih državnih intervencija. Silicijska dolina u Kaliforniji koja se danas navodi kao primjer poduzetničke inicijative novoga kapitalizma, u kojoj se ideje automatski pretvaraju u zlato, osnovana je zahvaljujući Pentagonovom financiranju. Američko Ministarstvo obrane željelo je stvoriti visoku tehnologiju za potrebe Hladnog rata, za prisluškivanje i špijuniranje. Tek nakon što je već sva infrastruktura pripremljena državnim novcem, Dolinu se prepustilo poduzetničkoj inicijativi. Glavno političko pitanje nije "država ili tržište" zato što država uvijek jeste isprepletena s tržištem pa i u najneoliberalnijim oblicima. Pitanje je koji udio proračuna je namijenjen socijalnim uslugama, a koji je udio subvencija kapitalu.

Argument da u Sloveniji ne postoji pravi kapitalizam ide pod ruku s argumentom da su Sloveniju oteli „kumovi iz sjene“, koji npr. preko javnih natječaja kradu državni novac, zbog čega je potrebno više uzeti gospodarstvu što, pak, guši poduzetnike.

To je klasična teorija paranoje koju je izumila američka krajnja desnica i koju ustrajno upotrebljava kao argument protiv parlamentarne demokracije i za stvaranje nečega što možemo uvjetno nazvati republikom tržišta. Temelj neoliberalne socijalne i političke filozofije teza je da će demokraciju, javne natječaje i slične stvari istog trena kada ih budemo dobili, zloupotrebljavati neke fantomske interesne skupine. Naravno, rješenje je eliminacija javnih natječaja ili čak i parlamentarne demokracije te vlast prosvjećene tehnokratske, meritokratske elite.

Za neke od mjera koristi se argument konkurentnosti države Slovenije, 
koju hitno treba povećati. Primjerice, fleksibilizacijom tržišta radne snage.


Čak ako i pristanemo na parametre kapitalističkog razvoja postoje dva modela. Jedna od mogućnosti je privlačiti investitore visoko obrazovanom radnom snagom i dobrom državnom infrastrukturom. Druga je mogućnost smanjivanje troškova radne snage i smanjivanje države koja se u tom slučaju ne bi razvijala, već bi se šivalo Nike tenisice ili sastavljalo elektroničke komponente. Veliki problem, koji neki analitičari nazivaju luđačkom košuljom arhitekture EU, kruta je monetarna politika koja nije dostupna demokratskom utjecaju, nego je skoncentrirana u Europskoj centralnoj banci, a i fiskalna politika sve se više prenosi na razinu cijele Europe. Tako da je cijena radne snage jedina prilagodljiva pratiteljica koja ostaje državama na rubu EU kako bi održavale konkurentnost s gospodarski stabilnijim državama: Njemačkom, skandinavskim državama, Nizozemskom. Ako i prihvatimo okvire kapitalizma, potrebno je odbiti fiskalno pravilo i omogućiti neki manevarski prostor kako bi opsežne državne investicije poticale tehnološki iskorak.

Ali neće li poduzetnici više zapošljavati ako im olakšamo otpuštanje i smanjimo troškove rada?

Istina, poduzetnici će imati veće profite ako će moći lakše otpuštati, ako će plaće biti manje i ako će biti smanjeni i socijalni doprinosi. No time se smanjuje potražnja. Njemačka to, primjerice, rješava pritiskom na plaće i gušenjem unutarnje potražnje dok se istodobno usmjerava na izvoz. Njemačka industrija ostvaruje profit u inozemstvu te se zbog toga ne opterećuje domaćom potražnjom i stagnacijom plaća. Nastanak novih radnih mjesta smanjivanjem plaća jer bi se tako novac raspodijelio na veći broj ljudi, argument je koji empirijski ne stoji. U posljednjih 30 godina, koje mnogi nazivaju razdobljem neoliberalizma, plaće su stagnirale ili se smanjivale u svim razvijenim kapitalističkim državama, u SAD-u, u Europi pa i u Skandinaviji. Istodobno, zaposlenost se nije povećala, nego se smanjivala. Strategija kapitalista kao klase pojedinačnih poduzetnika, bila je održavanje idealne stope nezaposlenosti za vlastite interese, koja se sad na europskoj razini zadržala na nekih 12%.

Tako postoji rezervna armija radne snage koja vrši vanjski pritisak na plaće?

Više nije potrebno da poduzetnici budu zlobnici koji smanjuju plaće jer taj pritisak provodi sama konkurentnost na tržištu radne snage. To je jedan od argumenata zašto smanjivanje radničkih prava i niže plaće neće dovesti do veće zaposlenosti. Drugi je argument da kapitalisti, zato što jesu kapitalisti, uvijek ulažu tamo gdje je trenutno najveći profit. Ako to nije država u kojoj su ostvarili profit, ili ako to uopće nije njihova osnovna djelatnost koja je produktivna i stvara nova radna mjesta, recimo proizvodnja, ulagat će u financije, u egzotične financijske instrumente ili dugove perifernih država - jer njihove kamate rastu. Dok poduzetnici, tj. kapitalisti, imaju potpunu slobodu u tome što rade s profitima, ne postoji nikakva garancija da će ih upotrijebiti za stvaranje novih radnih mjesta.

Promjena ima i u sustavu socijalnih transfera. Prijašnja vlada ga je, kao što je objasnila, učinila pravednijim. Kod dodjeljivanja socijalne pomoći više se uzima u obzir imovinsko stanje ljudi. Nova vlada kritično smanjuje iznose transfera, opet s obrazloženjem da novca nema.

Društveni život i život ljudi pretvara se u robu. Smanjivanjem perioda primanja naknade za nezaposlenost, zaoštravanjem kriterija za dobivanje socijalne pomoći i smanjivanjem iznosa te pomoći, ljude se tjera u ovisnost o tržištu radne snage. I to u vrijeme rastuće nezaposlenosti. Ljudi, koji su već i ovako na društvenoj periferiji, dovedeni su u položaj u kojemu je tržište rada njihova jedina mogućnost za preživljavanje. Isto to tržište rada koje ih je već prije odbacilo, prema tome ne želi ili nije sposobno apsorbirati ih. Tako ljude discipliniraju i istodobno stvaraju pritisak na plaće onih koji su dovoljno sretni što još uvijek imaju posao.

Logika preuzimanja individualne odgovornosti za život pojedinca prisutna je i drugdje. Za obrazovanje se npr. tvrdi da je ono investicija u osobni ljudski kapital kojom će pojedinac lakše naći posao i neće biti na teret državi.

To je možda od svih koje smo dotaknuli - najperverznije cinična ideologija. O osobnoj odgovornosti krene se pričati na onoj točki kada svi mi - bili kapitalist, državni činovnik ili radnik u javnom ili privatnom sektoru - osjećamo pritisak smanjivanja gospodarske aktivnosti u svakodnevnom životu. Za što bi točno pojedinac trebao preuzeti odgovornost? Za bezveznu akumulaciju drugorazrednih hipoteka na Wall Streetu? Za slom svjetske trgovine koji je uslijedio? Za pad njemačkog izvoza, zbog kojeg je Njemačka stavila pritisak na zemlje-dužnice kako bi kompenzirala ono što je nestalo većim kamatama na dug? Imamo strukturno smanjivanje standarda, a istodobno bi trebali oplemenjivati ljudski kapital kako bi se lakše zaposlili. U nekom perverznom obratu, potpuno su se zamijenili krivci i žrtve, uzroci i posljedice. U posljednje vrijeme kriv je školski sustav jer ne nudi dovoljno gospodarsko iskoristivih znanja, a zapravo imamo strukturnu nezaposlenost. Europa je stagnirala već i prije krize, ako ne ubrajamo kreditno poticajne države. Najveća zaposlenost vladala je u vrijeme najvećeg kolektivizma u Europi, u razdoblju kejnzijanske socijaldemokratske države. U to su vrijeme sveučilišta bila autonomna i humboldtovska. Nisu nudila ljudski kapital, na njima nisu postojali centri za karijere, na njih se nije vršio pritisak da se podrede gospodarstvu, a svejedno je bila moguća puna zaposlenost koja danas djeluje kao znanstvena fantastika.

Tvrdite da financijalizacija društva i politika ljudskog kapitala vode u formalno discipliniranje duše. Što to točno znači?

Zbog fleksibilizacije tržišta radne snage sve je veći broj ljudi u prekarnim radnim odnosima, rade honorarno ili samostalno, zbog čega su odvojeni od suradnika i kao takvi sve su više atomizirani. Istodobno se radi o dekompoziciji temeljnih društvenih veza i uništavanju socijalne države. To je također i depolitizacija. Sve više osjećamo kako nemamo nikakvu političku moć, a što utječe na naš život, na razvojnu politiku, na to kako radimo, kakve su naše šanse za preživljavanje, kakva je naša moć. Kada je Margaret Thatcher govorila o promjeni duše, sanjala je o osnaživanju pojedinaca, o tome kako svaki čovjek postaje poduzetnik, investitor. Svi bi postali dio srednje klase, a proletarijat bi nestao. Njena se očekivanja nisu ostvarila. Uistinu smo postali individualniji, pojedinci, ali u smjeru veće depresije i nemoći. Spinoza definira tugu kao odvojenost od vlastite sposobnosti za djelovanjem. Tuga i depresija, koje pripadaju u ključne simptome kasnog kapitalizma, javljaju se u trenutku kada više ne možemo - ni kao pojedinci ni kolektivno - utjecati na vlastiti život. Jednostavno nam se stvari događaju. To je ta promjena duše.

Neke od vladinih mjera barem su naoko u neskladu s financijalizacijom društva, odnosno s uvođenjem neoliberalizma koji zagovara sklanjanje države s puta tržištu. Kako razumjeti širenje utjecaja politike na visoko školstvo ili sudstvo?

Ne slažem se da se politika ne bi trebala miješati u ništa. Ako se govori o profesionalnim političkim kastama tehnokrata opsjednutih mjerama štednje, i ako to ruši autonomiju sveučilišta, zdravstva, sudstva, naravno da to treba odlučno odbiti i boriti se protiv toga. Možemo i reći da su ljudi zaposleni u zdravstvu i školstvu isto tako politički subjekti koji se mogu lagano organizirati i politički djelovati. To je politika koju bih podupirao.Vlada politiku u visoko školstvo uvodi tako da politizacija kontrole nad visokim školstvom služi osobnim interesima onih koji jesu političari i koji uvode te promjene. To je zloupotreba riječi politika i takvi ljudi nisu političari. Politika je po definiciji javno djelovanje u javnom interesu. Ako je riječ o osobnoj koristi, to je po Kantu patološko ponašanje. Ako izjednačimo politiku s Borutom Rončevićem, Dimitrijem Rupelom ili drugima koji na takav ili drugačiji financijski način izvlače osobnu korist preko političkog utjecaja, odričemo se vlastite političke moći i ostaju nam samo depresija i cinizam.

Pripada li u taj kontekst i zapošljavanje rodbine vodećih u SDS-u (Slovenska demokratska stranka)?I Građanska lista, koja je najliberalnija stranka u vladi, brzo je sredila zaposlenje supruzi Rada Pezdirja u Ministarstvu financija. 

To bi bilo smiješno, da nije tužno. Najprije imamo vrlo koncentriranu, ideološku, neoliberalnu kampanju s geslima da će smanjivanje javnog sektora i države dovesti do vladavine meritokracije, što će uništiti nepotizam i klijentizam. Čim propagatori te ideologije dođu na položaj na kojemu mogu postavljati ljude, krenu s provođenjem upravo tog klijentizma i nepotizma. No nije dovoljno moralizirati. Strukturni razlozi klijentizma i nepotizma opće su smanjivanje opsega zapošljavanja koje nije tako intenzivno u javnom, ali je veoma intenzivno u privatnom sektoru. Liberali će uvijek govoriti, pogledajte privatni sektor, tamo nema klijentizma i nepotizma. Naravno da to nije istina jer su tamo upravo oni temeljni način djelovanja. Pogledajte recimo Benetton koji je sada ostarjeli otac ostavio sinu. To je normalno, to u novinama nije skandal. Ako bi ministar, vođa kliničkog centra ili rektor sveučilišta nakon završetka mandata položaj prepustio sinu, nastao bi skandal. U javnom sektoru postoji barem osnovno osiguranje protiv klijentizma i nepotizma. Što su nezaposlenost i očaj kod ljudi jači - ako radno mjesto djeluje kao dobitak na lutriji, a ne kao automatsko pravo nekoga s odgovarajućim obrazovanjem, stupnjem pripremljenosti i sposobnosti za rad, to se više smanjuje moć meritokratskih pravila i jača ona klijentističkih, patoloških, bez obzira na to radi li se o javnom ili privatnom sektoru. Privatizacija neće smanjiti klijentilizam i povećati meritokraciju. To može jedino puna zaposlenost. Ako više ne bude međusobne konkurencije za radna mjesta, neće biti potrebno ni da se oni s položaja najprije pobrinu za vlastitu obitelj.

Naizgled je u suprotnosti s neoliberalnom ideologijom i slovenski državni holding koji uvodi centralizirano upravljanje državnom imovinom na koje će utjecaj imati vlada. Je li to istina?

Ne. Čitajte Friedricha Hayeka. Neoliberalizam ima dvije verzije, populističku i elitnu. Hayek kaže da je znanje po definiciji raspršeno, subjektivno, te zbog toga nijedna supstanca, ma koliko dobronamjerna bila, ne može znati što je javni interes. Pobija se koncept javnog zdravstva u smislu da nijedna skupina ljudi, organizacija ili institucija ne može znati što je stvarno dobro. To je populistička verzija neoliberalizma, čija je nenadmašna majstorica bila Margaret Thatcher. To što danas slušamo u Sloveniji samo je razvodnjena i retorički nespretna verzija njezinih argumenata iz osamdesetih: osnaživanje pojedinaca, ekspanzija privatne inicijative, povlačenje državne dadilje, što bi pojedincu omogućilo slobodu i osobni prostor. Istodobno Hayek u dijalogu s ostalim elitnim neoliberalima piše opće filozofske i povijesne traktate o društvu i ekonomiji. Čovječanstvo tapka u mraku nekih subjektivnih, idiosinkratičnih -Grci bi rekli - idiotskih napora za ostvarivanje vlastitih individualnih interesa, a vrhunski neoliberalni intelektualci mogu prosuđivati o društvu, ekonomiji, tržištu i državi kao o nekim agregatnim cjelinama. I povijesni je razvoj neoliberalizma - prvenstveno u začetku, u 1970-ima - vezan uz državu, osobito u Čileu nakon Pinochetovog državnog udara. Snažan državni nadzor nad gospodarstvom oduvijek je bio prisutan. Država se nikada u nijednom neoliberalnom uređenju nije povukla. Povijesno, kapitalizam poznaje dva načina regulacije: socijaldemokratski, u kojemu država regulira u korist rada, i neoliberalni, u kojemu država regulira u korist kapitala. To je to. Obmanjujuće je postavljati dilemu država ili tržište jer se tu još uvijek radi o klasičnoj dilemi, rad ili kapital. Holding je samo koncentriranje nadzora nad poduzećima u državnoj vlasti s namjenom racionalizacije tih poduzeća i pritiska na radnu snagu - u korist kapitala.

Kako se onda mijenja slovensko društvo?

Kao što se mijenja i cijela periferija, dakle rub država oko političko i ekonomski najmoćnijih država u EU, na državnoj razini sve više klizimo u neki ovisni položaj, u utrkivanje u konkurentnosti, dok unutar države smanjujemo socijalne i radničke standarde na svim frontama. Istodobno privatni sektor ne pokazuje nikakve znakove oporavka.

Ali ako svi stegnemo remene, privatni sektor će opet zapošljavati.

Da, kapital se može prikupiti, ali za to je potrebno dostatno uništenje radničkih prava, plaća i zaostalih neproduktivnih, nekonkurentnih kapitala. Recesija u Europi trajat će najmanje deset godina. Pitanje je, zašto i dalje uzdržavati taj sustav, ako nužno mora proći kroz desetljeće barbarstva kako bi se moglo pokrenuti razdoblje iluzornog blagostanja koje bi trajalo nekoliko desetljeća da bi se zatim opet ponovio cijeli ciklus.

                                                                                                 preuzeto iz Mladine br. 46, 16.11.2012.
                                                                                                                               prevela: Ivana Brklje






Da: Dieci Febbraio <diecifeb(a)diecifebbraio.info>

Oggetto: Lettera Aperta sulla Sezione storia della Biblioteca nazionale slovena e degli studi di Trieste

Data: 14 gennaio 2013 21.12.45 GMT+01.00

A: redakcija(a)primorski.eu, redazione(a)primorski.eu, trst(a)primorski.eu

Cc: trst(a)knjiznica.it, urednistvo(a)slomedia.it, skgz-ts(a)skgz.org, redazione-slovena(a)rai.it, sso(a)mladika.com, editors(a)primorske.si, segreteria.redazione(a)ilpiccolo.it, redazione(a)lavoceditrieste.info, urednistvo(a)delo.si, suzana.rankov(a)dnevnik.si, Porocila.Radio-Koper(a)rtvslo.si, Spela.Lenardic(a)rtvslo.si, stefano.lusa(a)rtvslo.si


Lettera Aperta

al Primorski Dnevnik 

e p.c. agli altri media e giornalisti triestini e sloveni in Cc


Oggetto: Chiusura della Sezione storia della Biblioteca nazionale slovena e degli studi di Trieste e messa in cassa integrazione del personale


Vogliamo esprimere il nostro più forte stupore e biasimo per la situazione che si è venuta a creare con la Sezione storia della Biblioteca nazionale slovena. L’archivio è diventato accessibile per una sola mattina alla settimana ed i lavoratori sono stati messi in cassa integrazione. Come è possibile che non si trovino i pochi fondi necessari per garantire la fruibilità dei materiali ed il lavoro degli storici e archivisti qualificati, in una città in cui invece trovano posto e denari a palate un Museo della civiltà istriana fiumana e dalmata che presenta innumerevoli falsi storici, ed il centro studi Panzarasa, agiografico della Decima Mas?
La chiusura della Sezione storia è un colpo inferto in generale alla cultura della città di Trieste, ed in particolare alla possibilità di fare ricerca e divulgare la conoscenza storica sulle vicende dolorose ed importanti del confine orientale italiano. E' perciò un colpo inferto anche al carattere multinazionale della città ed alla possibilità di un dialogo tra le componenti nazionali italiana e slovena, che sia fondato sulla conoscenza reciproca e presa d'atto delle vicende storiche reali, al di là delle propagande e delle "buone intenzioni" professate. E' soprattutto sorprendente che un colpo simile venga inferto dagli stessi personaggi che si prodigano in iniziative ed incontri "pacificatori" con gli esponenti più in vista del nazionalismo e del neo-irredentismo italiano. Ci riferiamo ad esempio agli incontri recentemente avvenuti tra Livio Semolic, che della Biblioteca è vicepresidente (oltre ad essere presidente provinciale per Gorizia del SKGZ, segretario dell'attuale senatrice e candidata del PD per la Camera alle prossime elezioni politiche Tamara Blazina, eccetera), e Rodolfo Ziberna, esponente di spicco della Lega Nazionale e della ANVGD.

La Biblioteca si è sempre distinta per l'attivo contrasto alla falsificazione della storia ad uso e consumo del nazionalismo: forse è questo che dà fastidio? E' noto ad esempio che tra i ricercatori ed archivisti licenziati figura Alessandro Volk, le cui ricerche storiche sui temi dell'"esilio" istriano-dalmata e delle "foibe" rivestono una estrema importanza in un contesto dove impera invece l'approssimazione storiografica ad uso e consumo delle propagande. Sarebbe un ben meschino obiettivo quello di "liberarsi" di uno storico di grande coraggio e prestigio, ed ingraziarsi così certi ambienti neo-irredentisti italiani, mentre si introduce anche in questa istituzione lo strumento ricattatorio della precarizzazione del lavoro. Questo sistema di precarizzazione nel comparto della conoscenza sta creando danni gravi in tutto il sistema culturale, bibliotecario ed accademico italiano, ma nel caso specifico andrebbe a colpire un punto nevralgico dell'identità storico-culturale slovena arrecando grave danno agli interessi storici della componente nazionale ed alla cittadinanza intera di Trieste. La questione peraltro non ha solo rilevanza cittadina o nazionale, ma internazionale. Scelte masochistiche di questo tipo gettano pesanti ombre sulla possibilità di costruzione di una Europa che sia veramente dei popoli che la abitano, e non solo la sede di conciliazione tra gli interessi, spesso inconfessabili, delle sue classi dirigenti. Per Trieste, per gli sloveni ma anche per gli italiani, per un futuro diverso di coesistenza pacifica tra i popoli, la Sezione storia della Biblioteca nazionale slovena e degli studi di Trieste deve essere riaperta, i suoi addetti vanno confermati nei loro incarichi, e ad essa devono andare i fondi ed il sostegno necessario, a tutti i livelli, perché possa proseguire e rilanciare le attività cui è istituzionalmente deputata.

La Redazione del sito Diecifebbraio.info

Hanno sottoscritto anche:

Susanna Angeleri, Coordinamento Antifascista Antirazzista Toscano - Arezzo
Piero Bevilacqua, storico - Roma
Giovanni Caggiati, Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma
Claudia Cernigoi, giornalista e ricercatrice storica - Trieste
Paolo Consolaro, saggista - Vicenza
Davide Conti, storico - Roma
Angelo D'Orsi, storico - Torino
Claudio Del Bello, edizioni Odradek - Roma
Alexander Hobel, storico - Roma
Alessandra Kersevan, casa editrice Kappa Vu - Udine
Andrea Martocchia, saggista - Bologna
Paolo Modesti, docente di informatica - Vicenza
Guido Panico, storico - Salerno
Vito Francesco Polcaro, presidente Comitato Provinciale dell'ANPI - Roma
Piero Purini, storico e musicista - Trieste
Vito Santoro, italianista e critico cinematografico - Trani
Claudio Venza, docente di storia contemporanea - Trieste



(srpskohrvatski / italiano)

Antipacifismo

1) Annie Lacroix- Riz: EU nije projekat mira

2) Jean Bricmont: Diffidare della sinistra anti-anti guerra


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Le texte originelle:
Annie Lacroix-Riz, historienne, éclaire l’absurdité du Prix Nobel de la paix attribué à l’UE
http://www.michelcollon.info/Une-historienne-eclaire-l.html?lang=fr

Questa intervista in lingua italiana:
La storica Annie Lacroix-Riz spiega l'assurdità del Nobel per la pace all'UE
su http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/custcn12-012050.htm

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EU NIJE PROJEKAT MIRA


Posted by Novi Plamen on January 10, 2013

”Annie Lacroix- Riz, historičarka,  je profesor emeritus suvremene hostorije na Paris VII – St Denis Diderot. Autorica je mnogobrojnih djela, a posebno se bavila nastankom i kumstvima Evropske Zajednice (osobito je važno djelo: Evropska integracija Francuske: tutorstvo Njemačke i Sjedinjenih Država , Paris, Les temps des Cerises, 2007) . Kada je komisija za Nobelovu nagradu za mir ove godine istu dodijelila Evropskoj Unijii prošlog 12 oktobra, mjesečnik Bastille-République-Nations poželio je objaviti njeno mišljenje i njeno objašnjenje”.

BRNEvropskoj Uniji je ove godine dodijeljenjana Nobelova nagrada za mir. Kakva je bila vaša prva reakcija na odluku žirija u Oslu?
ALR: Vijest se mogla isprava uzeti kao poruga. U apsurdnom svijetu u kojem živimo takav izbor  je sukladan s linijom dodijeljivanja Nobelove nagrade u posljednje vrijeme. Time ta vijest nije ništa manje smiješna s obzirom na aktualnu politiku, niti s obzirom na nastanak same EU.
BRN – Aktualnu političku praksu smatrate ratnohuškačkom…
ART  – Za sada je ona u ulozi malog poslušnog vojničića NATO pakta, kako je to uostalom EU činila od svog nastanka. Sama EU i veliki broj njenih članica upletene su gotovo sve u povremene ratove, već punih dvadeset godina.
BRN – Ipak, kao historičarka vi neprestano inzistirate na nastanku, koji uopće nije bio mirotvorački, EU. Možete li precizirati ovu analizu?
ARL – Arhivi, koji su najbolji izvori historijskog istraživanja, jedini nam dozvoljavaju da se ogole istinski izvori i ciljevi te zajednice, a oni isključuju takve «pravce» i pobude, kakvi se odnedavna pripisuju EU i kojima nam probijaju uši.
 
BRN – Vi neprestano podsjećate na takozvanu «deklaraciju Schumana» od 9. maja 1960, koja se često uzima za fundamentalni akt, od koje je počelo stvaranje «evropske avanture»…
ARL- Da, i te precizne okolnosti zaslužuju podrobno ispitivanje. Upravo sutradan nakon te Schumanove  izjave – 10 maja 1950 -  imala se održati u Londonu značajna konferencija još tada mladog NATO-a (Atlanske Alianse, koja će službeno biti osnovana tek za godinu dana). Na dnevnom redu bilo je službeno davanje zelenog svjetla, koje je  dozvoljavalo ponovno naoružavanje Savezne Republike Njemačke (BRD), što je uporno već pune dvije godine zahtijevao Washington (od 1948 godine). Struktura i oficiri Wermachta bili su sačuvani u različitim organizacijama, koje su tada ustvari predstavljale fasadu iskorištenu za tu svrhu. No svega četiri godina nakon uništenja nacizma davanje zelenog svijetla za atlantski savez bilo je vrlo teško postići od evropske populacije, prvenstveno u Francuskoj. Stvaranje Zajednice za Ugljen i Čelik (ECSC engl. ili franc. CECA), koji je nagovijestio francuski ministar inostranih poslova Robert Schuman na taj je način dozvoljavalo eskiviranje odnosno odlaganje službene objave te odluke, koju su zahtijevali američki vođe, i prikrilo je ono što je stvarno bilo u toku.
 
BRN- Što je motiviralo tu američku strategiju?
ARL – Od marta 1947, u svom slavnom «govoru u Kongresu» predsjednik Truman je zatražio kredite, da bi spasio Grčku i Tursku od «napadaja», naravno od strane SSSR-a (u tom govoru nije spomenut SSSR). Na taj način započeo je veliko političko-vojno zaokruživanje te zone. Ustvari, već od 1942 Washington je pripremao sučeljavanje s SSSR-om, koji je u tom času bio njegov vojni saveznik, kako bi zajedno vojno savladali Njemačku. Najveću ulogu u tom sučeljavanju trebala je dobiti Zapadna Evropa, koja je imala biti politički integrirana.
BRN- Znači li to da su američki politički vođe zahtijevali evrosku integraciju?
ALR – Da. Washington je u tom času nametao ujedinjenu Evropu pod tutorstvom Savezne Republike Njemačke, zemlje čije su kapitalističke strukture bile najkoncentriranije, najsuvremenije i najtješnje povezane sa Sjedinjenim Državama (koje su u njih investirale milijarde dolara između dva svjetska rata) i najmanje razorene (80% industrijskog potencijala Njemačke bilo je netaknuto 1945!). Takva Evropa bila je potpuno bez obrane u odnosu na amarički izvoz i na američki kapital: motivi američkih političara nisu bili samo geostrateške prirode već isto toliko i ekonomske prirode.
BNR – Kako su to evropski vođe i političari doživjeli?
ARL- Amerikanci su na to natjerali svoje saveznike u Zapadnoj Evtopi, koji zaista nisu bili nimalo oduševljeni da se tako brzo ujedine s dojučerašnjim neprijateljem. Amerikanci su se, bez imalo ustezanja, poslužili financijskom ucjenom, odnosno oktroirali su «Marshallov plan» tim uslovom;  prisilili su ih da prihvate izvjesnu političku «zajednicu» integrirane Evrope, koja je jasno bila formulirana, kao nezaobilazan uvjet u govoru održanom na Harvardu 5 juna 1947.
BRN – Kakvo je bilo stanje duha političkih vođa Zapadne Njemačke?
 
ALR- Od 1945 do 1948, čak i prije službenog stvaranja BRD – Savezne Republike Njemačke – oni su se u svakoj prilici pokazivali kao «najbolji učenici u Evropi», prema zrelo promišljenoj strategiji: svako napredovanje evropske integracije bilo je jednako postepenom brisanju pretrpljenog poraza, ono se pretvaralo u zalog kako će povratiti izgubljenu moć. Tako se ponovo pojavio termin «jednakih u pravima», koji je već prethodio poratnom razdoblju.
BRN – To je vrlo smjela tvrdnja…
ALR – To proizlazi iz analiza tadašnjih francuskih diplomataa to su oni lucidno postavljali  kao problem još od predratnog razdoblja i to su osjećali kao opasnost, kao što to potvrđuju njihove diplomatske note i poluslužbena upozorenja. Jer, službeno, morali su pozdravljati sjajan evropski horizont.
BRP- Možete li pojasniti kako je «postepeno brisanje poraza» bilo dočekano od političkih elita Bonna?
ALR- One su vrlo brzo postigle ukidanje ograničenja proizvodnje oružja, koje im je bilo nametnuto dogovorima na Jalti u Potsdamu: ustvari, već od 1945 ono je ukinuto u zapadnim zonama Njemačke, a pravno je počelo vrijediti od časa proglašavanja Marshallovog plana, u ljeto 1947. Njemački politički vođe počeli su govoriti jezikom kakvim su se služili između dva rata, jezikom Gustava Stresmanna (ministra vanjskih poslova od 1923 do 1929) i Kölnskog gradonačelnika Adenauera: «dogovori iz Locarna» (1925) garantirali su – na papiru – njemačke zapadne granice (ali ne i istočne), motivirajući ih time što je njihovo definiranje bilo  pripisano Stresemannu, po dogovoru iz godine 1926, i njegovom francuskom kolegi, Briandu… dobitniku Nobelove nagrade za mir.
Berlin je u tom slučaju zapjevao poznatu pjesmicu približavanja Evropi, izraženu uvjetom jednakosti u pravima («Glaicheberechtigung»). To je značilo odustajanje od teritorijalnih i vojnih klauzula Versajskog mira: povratak teritorija izgubljenih 1918 (i tobožnji «evropski» Anschlus Austrije), kao i odustajanje od zabrane obnove ratne industrije.
 
BRN- Može li se dakle u tim pitanima povući  paralela između BDR – Savezne Republike Njemačke – i Njemačke odmah nakon svjetskog rata?
ARL- Francuski diplomat Armand Bérard poslao je kablogram Schumanu u februaru 1952 tvrdeći da će Konrad Adenauer (prvi kancelar Savezne republike Njemačke od 1949-1963) moći, «računajući na nadmoć (postojećih) rasploživih snaga» Amerikanaca protiv SSSR-a, prisiliti Sovjete »na takvo poravnavanje računa po kojem će oni biti prisiljeni napustiti njemačku teritoriju u Centralnoj i IstočnojEvropi, koju sada drže pod kontrolom» (uključujući i Saveznu Republiku Njemačku i Austriju). Radi se o izvanrednom predviđanju, koje će biti ostvareno tek četrdeset godina kasnije…
 
BRN- Ako bi se prihvatila vaša analiza, Evropska Unija je dakle nastala pod američkim pritiskom, a bila je odlučno podržavana od strane zapadnonjemačkih političara zbog njihovih vlastitih ciljeva…
ARL – Da, i ta nas konstatacija odvodi na udaljenost koja se može izreći godinama svjetlosti od današnjih ružičastih pričica, sada u velikoj modi, o «ocima Evrope», koje je neprestano progonila i šarafila misao «da se rat nikad više ne ponovi» i koji su bili isključivo opsjednuti pitanjem, kako da ostvare «prostor mira», a zbog čega su suci za dodjelu Nobela smatrali sve to vrijednom nagrade. Što se toga tiče, treba uzeti u obzir i ostale aktere na sceni, koji su imali presudnu ulogu u stvaranju evropskih integracija…
BRN – Vatikan?
ARL- O geopolitičkoj ulozi Vatikana se malo govori kad je riječ o «evropskoj konstrukciji» u XX stoljeću, ali nakon Drugog svjetskog rata američki politički vođe su Vatikan, još više nego nakon Prvog svjetskog rata, smatrali svojim krucijalnim pomoćnikom. Osim toga, nakon XIX stoljeća i još više nakon Prvog svjetskog rata, s papom Benediktom XV (papom od 1914 do 1922) veze između Reicha i Vatikana dale su konačan oblik evropskom kontinentu ( i prvenstveno istoku Evrope) , kako sam to pokazala u knjizi Vatikan, Evropa i Reich. Globalno uzevši, sve se to događalo  uz potvrdu i pristanak Sjedinjenih Država – osim kad su germano-američka (ekonomska) rivalstva bila isuviše jaka. I zaista, odnosi postaju jako komplicirani uvijek kada se interesi političkih vođa preko Atlantskog oceana  i onih preko Rajne počinju jako razilaziti. U tim slučajevima Vatikan će se uvijek stavljati na stranu Reicha. Najveća je tenzija dakle bila dostignuta tokom dva svjetska rata.
BRN- Precizno rekavši vi opisujete Evropu po žalji Washntona i Bonna (a zatim Berlina). No te dvije političke snage nemaju nužno istovjetne interese…
ARL – Apsolutno točno. A ta njihova razmimoilaženja, jako uočljiva u ratu na Balkanu od 1992 do 1999, intenzificiraju se, kad se kriza pojačava. To je još jedan razlog više da se posumnja u «pacifističke» efekte evropskih integracija.
BRN – Ali Evropske integracije promoviraju i ostale zemlje, kao što to čini i Francuska.
ARL – François Bloch–Lainé visoki državni funkcioner u Francuskoj, koji je postao veliki bankar, grdio je 1974 krupnu buržoaziju, koja je uvijek spremna iskoristiti «nesreću domovine». Od Bečkog Kongresa 1815 pa sve do perioda Kolaboracije u Francuskoj, preko Versaillais-a i Versajaca, ona se bila povezivala sa pruskim kancelarom Bismarckom protiv Parišeke Komune, kao što se vezala  s njemačkim predratnim i američkim poslijeratnim modelom, jer ta upravljačka klasa traga za «društveno političkom zaštitom» protiv svog vlastitog naroda.
BRN- Da  li je to jedna od funkcija Evropske Unije?
ALR- To je njena suštinska funkcija i iz te njezine potrebe proističe porijeklo zajednice. Za vrijeme stvaranja  Zajednice za Ugljen i Čelik 1954 godine, jedan se francuski visoki funkcioner radovao što će «Evropa» konačno omogućiti Ministarstvu financija da  se likvidiraju subvencije za reduciranje cijena neophodno potrebne robe. Ovo oduševljenje vrijedi citirati:»suštinska razlika krije se u činjenici da se evropska politika sada može oslanjati na alibi, koji nasuprot partikularističkih interesa, ima da predstavlja postojanje «nadnacionalnog» organa, dok tradicionalna politika pretendira da se vlade nameću i da one nameću vlastite interese putem nužne discipline. To je bilo jako teško sprovoditi, sve dok ministarstvo nije bilo u mogućnosti da odgovornost za to  prebaci na neki nad-nacionalni organ, koje je u izvjesnoj mjeri nezavisan i u odnosu na samu vladu».
I nakon 60 godina Evropa i dalje pruža «alibi» svojim tobože «nezavisnim» institucijama – kao što je to Centralna Evropska Banka – kako bi mogla svaku pojedinu nacionalnu odluku u cilju interesa krupnog kapitala izvući i udaljiti od kontrole i od gnijeva vlastitog naroda. Značajan kontinuitet, koji baš ne potiče na optimizam i ne daje neke velike «evropske» garancije za mir…


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Le texte originelle en FRANCAIS: 
Réponse à la gauche anti-anti-guerre - par Jean Bricmont

ENGLISH: Beware the Anti-Anti-War Left
Why Humanitarian Interventionism is a Dead End - by JEAN BRICMONT
http://www.counterpunch.org/2012/12/04/beware-the-anti-anti-war-left/
http://www.voltairenet.org/article176896.html 

DEUTSCH:  
http://www.voltairenet.org/article176895.html

РУССКИЙ:  
http://www.voltairenet.org/article177009.html

ESPAÑOL:
http://www.voltairenet.org/article177016.html

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Diffidare della sinistra anti-anti guerra


di Jean Bricmont


Sin dagli anni ’90, e soprattutto dopo la guerra del Kosovo nel 1999, chiunque si opponga agli interventi armati delle potenze occidentali e della NATO deve confrontarsi con quella che può essere definita una sinistra anti-anti-guerra (compreso il suo segmento dell’estrema sinistra). In Europa, e in particolare in Francia, questa sinistra anti-anti-guerra è costituita dalla  socialdemocrazia tradizionale, dai partiti Verdi e dalla maggior parte della sinistra radicale. La sinistra anti-anti-guerra non è apertamente a favore degli interventi militari occidentali e a volte non risparmia loro critiche (ma di solito solo per le loro tattiche o per le presunte motivazioni – l’Occidente sta sostenendo una giusta causa, ma goffamente e per motivi legati al petrolio o per ragioni geo – strategiche). Ma la maggior parte della sua energia la  sinistra anti-anti-guerra la spende nell’emettere  ”avvertimenti” contro la presunta pericolosa deriva di quella parte della sinistra che continua ad opporsi fermamente a tali interventi. La sinistra anti-anti-guerra ci invita ad essere solidali con le “vittime” contro “i dittatori che uccidono il loro stesso popolo” e a non cedere all’ istintivo anti-imperialismo, anti-americanismo o anti-sionismo, e, soprattutto, a non finire dalla stessa parte dell’estrema destra. Dopo gli albanesi del Kosovo nel 1999, ci è stato detto che “noi” dobbiamo proteggere le donne afgane, i curdi iracheni e, più recentemente, il popolo libico e siriano.

Non si può negare che la sinistra anti-anti-guerra sia stata estremamente efficace.

La guerra in Iraq, che è stata venduta al pubblico come una battaglia contro una minaccia immaginaria, ha effettivamente suscitato una opposizione fugace, mentre poca o nulla opposizione è giunta dalla sinistra contro quegli interventi presentati come “umanitari“, come ad esempio il bombardamento della Jugoslavia per separare la provincia del Kosovo, il bombardamento della Libia per sbarazzarsi di Gheddafi  o come l’attuale intervento in Siria. Eventuali obiezioni alla rinascita dell’imperialismo o in favore di mezzi pacifici per affrontare questi conflitti sono state semplicemente spazzate via invocando la “Responsabilità di Proteggere” (“R2P”) o il dovere di andare in soccorso di un popolo in pericolo .

L’ambiguità fondamentale della sinistra anti-anti-guerra sta nella questione di chi siano i “noi” che dovrebbero intervenire e proteggere. Si potrebbe porre alle sinistre occidentali, ai movimenti sociali o alle organizzazioni per i diritti umani,  la stessa domanda che Stalin rivolse al Vaticano: “Quante divisioni avete?

Resta però un dato di fatto che tutti i conflitti in cui si presume che “noi” dobbiamo intervenire siano conflitti armati. Intervenire significa intervenire militarmente e per far questo si devono possedere mezzi militari adeguati. E’ del tutto evidente che la sinistra occidentale non possiede questi mezzi.  Potrebbe sollecitare che siano gli eserciti europei ad intervenire, al posto degli Stati Uniti. Ma gli eserciti europei non sono mai intervenuti senza un sostegno massiccio da parte degli Usa. Quindi il messaggio reale  che la sinistra anti-anti-guerra lascia passare  è: “Per favore americani, fate la guerra non l’amore“. Anzi, poiché a partire dalla loro sconfitta in Afghanistan e in Iraq, gli americani sono diffidenti ad inviare truppe di terra, il messaggio equivale a niente altro che chiedere alla Air Force americana di andare a bombardare tutti quei paesi che in cui si segnalano violazioni dei diritti umani.

Naturalmente, chiunque è libero di affermare che i diritti umani devono d’ora in poi essere affidati alla buona volontà del governo degli Stati Uniti, ai suoi bombardieri, ai suoi lanciamissili e ai suoi droni. Ma è importante rendersi conto che è questo il significato concreto di tutti quegli appelli alla “solidarietà” e al “sostegno” verso i movimenti ribelli o secessionisti coinvolti nelle lotte armate. Questi movimenti non hanno bisogno di slogan cantati durante le “manifestazioni di solidarietà” a Bruxelles o a Parigi, e  non è neanche questo che vogliono. Vogliono armi pesanti e veder bombardati i loro nemici.

La sinistra anti-anti-guerra, se fosse onesta, dovrebbe essere sincera riguardo questa opzione, e chiedere apertamente agli Stati Uniti di andare a bombardare ovunque i diritti umani siano violati. Poi, però, deve accettarne le conseguenze. In realtà, la classe politica e militare che dovrebbe salvare le popolazioni “massacrate dai loro dittatori” è la stessa che ha condotto la guerra del Vietnam, che ha ha imposto sanzioni e le guerre contro l’Iraq, che impone sanzioni arbitrarie su Cuba, sull’Iran e su qualsiasi altro paese a loro sgradito; la stessa classe politica e militare che fornisce sostegno incondizionato a Israele, che utilizza tutti i mezzi, compresi colpi di Stato, per opporsi ai riformatori sociali in America Latina, da Arbenz a Chavez passando per Allende, Goulart e altri, e che sfrutta spudoratamente i lavoratori e le risorse di tutto il mondo. Ci vuole davvero un sacco di buona volontà per vedere in quella classe politica e militare lo strumento di salvezza delle “vittime“. Ma alla fine è esattamente questo che la sinistra anti-anti-guerra va sostenendo in quanto, dati i rapporti di forze nel mondo, non vi è altra forza militare in grado di imporre la propria volontà.

Naturalmente, il governo degli Stati Uniti è  a malapena a  conoscenza dell’esistenza della sinistra anti-anti-guerra. Gli Stati Uniti decidono se fare o non fare una guerra in base alle proprie probabilità di successo e  in base a quelli che, secondo le loro valutazioni, sono i propri interessi strategici, politici ed economici. E una volta che la guerra è iniziata, vogliono vincerla a tutti i costi. Non ha senso chiedergli di effettuare interventi benevoli, rivolto solo contro i veri cattivi, usando metodi gentili che risparmino i civili e gli innocenti.

Per esempio, quelli che invocano di “salvare le donne afgane” stanno in realtà chiedendo agli Stati Uniti di intervenire e, tra le altre cose, di bombardare i civili afghani e di inviare droni in Pakistan.Non ha senso chiedergli di proteggere ma di non bombardare, semplicemente perché gli eserciti agiscono sparando e bombardando. [ 1 ]

Un dei temi preferiti della sinistra anti-anti-guerra è quello di accusare coloro che rifiutano l’intervento militare di “sostenere il dittatore“, cioè il leader del paese attaccato. Il problema è che ogni guerra è giustificata da una massiccia propaganda che si basa sulla demonizzazione del nemico, in particolare del leader nemico. Per contrastare efficacemente tale propaganda è necessario contestualizzare i crimini attribuiti al nemico e confrontarli con quelli della parte che dovremmo sostenere. Tale compito è necessario ma rischioso. Il minimo errore sarà continuamente usato contro di noi, mentre tutte le menzogne ​​della propaganda a favore della guerra saranno presto dimenticate.

Già durante la prima guerra mondiale, Bertrand Russell e i pacifisti britannici sono stati accusati di “sostenere il nemico“. Ma se hanno denunciato la propaganda alleata, non è stato per amore del Kaiser tedesco, ma per la causa della pace. La sinistra anti-anti-guerra ama denunciare i “doppi standard” dei pacifisti coerenti che criticano i crimini del proprio proprio schieramento più marcatamente rispetto a quelli attribuiti al nemico del momento (Milosevic, Gheddafi, Assad, e così via), ma questa è solo la conseguenza necessaria di una scelta deliberata e legittima: contrastare la propaganda di guerra dei nostri mezzi di comunicazione e dei leader politici (in Occidente), propaganda  basata sulla costante demonizzazione del nemico sotto attacco accompagnata dalla idealizzazione dell’attaccante.

La sinistra anti-anti-guerra non ha alcuna influenza sulla politica americana, ma questo non vuol dire che non abbia alcun effetto. La sua insidiosa retorica è servita a neutralizzare qualsiasi movimento pacifista o contro la guerra. Ha anche reso impossibile per qualsiasi paese europeo di prendere una posizione indipendente come fece la Francia sotto De Gaulle, o anche sotto Chirac, o come fece la Svezia con Olof Palme. Oggi una tale posizione sarebbe immediatamente attaccata dalla sinistra anti-anti-guerra, che gode del sostegno dei media europei, come “appoggio ai dittatori“, un’ altra “Monaco” o di “reato di indifferenza“.

Quello che la sinistra anti-anti-guerra è riuscita a compiere è stato di distruggere la sovranità dei cittadini europei nei confronti degli Stati Uniti e di eliminare qualsiasi posizione indipendente riguardo la guerra e l’imperialismo. Ha anche portato la maggior parte della sinistra europea ad adottare posizioni in totale contraddizione con quelle della sinistra latino-americana e di considerare come avversari la Cina e la Russia, che cercano invece di difendere il diritto internazionale. Quando i media annunciano che un massacro è imminente, a volte sentiamo dire anche che  “è urgente” agire per salvare le presunte vittime future, e che non si può perder tempo a verificare i fatti. Questo può essere vero quando un edificio è in fiamme in una certa zona, ma tale urgenza, per quanto riguarda gli altri paesi, ignora la manipolazione delle informazioni e gli errori e la confusione che dominano l’informazione estera dei mezzi di informazione. Qualunque sia la crisi politica all’estero, l’istantaneo “dobbiamo fare qualcosa” fa trascurare alla sinistra le serie riflessioni di quello che potrebbe essere fatto al posto di un intervento militare. Quale tipo di indagine indipendente potrebbe essere condotta per comprendere le cause del conflitto e le potenziali soluzioni? Quale può essere il ruolo della diplomazia? Le immagini prevalenti dei ribelli immacolati, tanto care alla sinistra dalla sua romanticizzazione dei conflitti del passato, in particolare la guerra civile spagnola, bloccano la riflessione. Bloccano una valutazione realistica dei rapporti di forze e delle cause della ribellione armata nel mondo di oggi, molto diverse da quelle degli anni ’30 del novecento, fonte preferita delle leggende care alla sinistra occidentale.

Ciò che è anche degno di nota è che la maggior parte della sinistra anti-anti-guerra condivide una condanna generale delle rivoluzioni del passato, poiché guidate da Stalin, Mao, Pol Pot ecc… Ma ora che i rivoluzionari sono gli islamici (appoggiati dall’Occidente), dovremmo presumere che tutto andrà bene. Che dire poi, a proposito dell’ “imparare la lezione dal passato“, che le rivoluzioni violente non sono necessariamente il migliore o l’unico modo per ottenere un cambiamento sociale?

Una politica alternativa dovrebbe allontanarsi di 180°  da quanto attualmente sostenuto dalla sinistra anti-anti-guerra. Invece di invocare sempre maggiori interventi , dovremmo chiedere ai nostri governi il rigoroso rispetto del diritto internazionale, la non interferenza negli affari interni di altri Stati e la cooperazione invece che lo scontro. La non interferenza non significa solo un   intervento militare. Si applica anche alle azioni diplomatiche ed economiche: niente sanzioni unilaterali, niente minacce durante i negoziati e parità di trattamento di tutti gli Stati. Invece di continuare a “denunciare” i leader di paesi come Russia, la Cina, l’Iran e Cuba per violazioni dei diritti umani, qualcosa che la sinistra anti-anti-guerra ama fare, dobbiamo ascoltare quello che hanno da dire, dialogare con loro e aiutare i nostri concittadini a comprendere i diversi modi di pensare nel mondo, comprese le critiche che gli altri paesi possono muovere riguardo il nostro modo di fare le cose. Coltivare tale comprensione reciproca potrebbe, alla lunga, essere il modo migliore per migliorare i “diritti umani” in tutto il mondo.

Questo non porterebbe soluzioni immediate per le violazioni dei diritti umani o per i conflitti politici in paesi come la Libia o la Siria. Ma cosa significa? La politica di interferenza aumenta le tensioni e la militarizzazione del mondo. I paesi che si sentono bersaglio di tale politica, e sono numerosi, si difendono come possono. Le campagne di demonizzazione impediscono le relazioni pacifiche tra i popoli, gli scambi culturali tra i cittadini e, indirettamente, il fiorire delle idee molto liberali che i sostenitori delle interferenza sostengono promuovere. Una volta che la sinistra anti-anti-guerra ha abbandonato qualsiasi programma alternativo, ha di fatto abbandonato la possibilità di avere la minima influenza sugli affari del mondo. Non “aiuta le vittime“, come afferma. Fatta eccezione di distruggere qui ogni resistenza all’imperialismo e alla guerra, non fa nulla. Gli unici che stanno davvero facendo qualcosa sono, infatti, le amministrazioni che si succedono negli Stati Uniti. Contare su di loro per prendersi cura del benessere dei popoli del mondo è un atteggiamento di disperazione totale. Questa disperazione è un aspetto del modo in cui la maggior parte della sinistra ha reagito alla “caduta del comunismo“, abbracciando le politiche che erano l’esatto opposto di quelle dei comunisti, in particolare negli affari internazionali, dove l’opposizione all’imperialismo e la difesa della sovranità nazionale sono state sempre più demonizzate come “avanzi di stalinismo“.

L’interventismo e la costruzione europea sono entrambe politiche di destra. Una è collegata all’impulso americano per l’egemonia mondiale. L’altra rappresenta l’intelaiatura portante delle politiche economiche neoliberali e della distruzione della protezione sociale. Paradossalmente, entrambe sono state in gran parte giustificate da idee della “sinistra“: diritti umani, internazionalismo, antirazzismo e anti-nazionalismo. In entrambi i casi, una sinistra che ha perso la sua strada dopo la caduta del blocco sovietico, si è aggrappata per sopravvivere ad un  discorso ”generoso, umanitario“, che manca totalmente di qualsiasi analisi realistica dei rapporti di forze nel mondo. Con una tale sinistra, la destra non ha bisogno di alcuna propria ideologia, si può arrangiare  con i diritti umani.

Tuttavia, queste politiche, l’interventismo e la costruzione europea, sono oggi in un vicolo cieco. L’imperialismo degli Stati Uniti si trova ad affrontare enormi difficoltà, sia economiche che diplomatiche. La sua politica interventista è riuscita a unire gran parte del mondo contro gli Stati Uniti. Oramai quasi nessuno crede più ad un’ “altra” Europa, un’Europa sociale, e l’Unione Europea realmente esistente (l’unica possibile) non suscita molto entusiasmo tra i lavoratori. Naturalmente, di tali fallimenti ne beneficia attualmente solo la destra e l’estrema destra, dato che la maggior parte della sinistra ha smesso di difendere la pace, il diritto internazionale e la sovranità nazionale, come condizione preliminare della democrazia.

 
[1] In occasione del recente vertice della NATO a Chicago, Amnesty International ha lanciato una campagna di manifesti che chiedono alla NATO di “mantenere il progresso” nell’interesse delle donne dell’Afghanistan senza però spiegare, e nemmeno sollevando la questione, come un’organizzazione militare possa realizzare tale obiettivo.
LINK:  Beware the Anti-Anti-War Left




(Di Alexander Dorin è disponibile adesso anche in lingua italiana il volume, corredato da ampia documentazione spec. fotografica, sulle manipolazioni mediatiche a proposito dei fatti di Srebrenica: https://www.cnj.it/documentazione/Srebrenica/srebrenica_dorin.htm )


Da: Y.&K.Truempy <trumparzu  @  bluewin.ch>

Oggetto: Interview mit Alexander Dorin zu Srebrenica

Data: 18 settembre 2012 19.56.48 GMT+02.00



Interview mit Alexander Dorin zu Srebrenica
 
KT. Das  UN-Kriegsverbrechertribunal bewertete die Ereignisse von 1995 um Srebrenica offiziell als Völkermord, bei dem die bosnisch-serbischen Armee 8‘000 Kriegsgefangene umgebracht haben soll. Noch immer üben die Westmächte eine starke Dominanz über der UNO aus, seit der weltweiten Wirtschafts- und Finanzkrise und dem teilweisen Wiedererstarken Russlands und dem Zusammengehen mit China jedoch in weniger grossem Umfang als in den 90er Jahren. So erinnert den aufmerksamen Beobachter vieles vom aktuellen Geschehen in Syrien an die damaligen Ereignisse in Jugoslawien. Gestützt auf ein umfangreiches und detailliertes Wissen, stellten Sie von Beginn an die offiziellen - die Interventionen des Westens im Jugoslawischen Bürgerkrieg rechtfertigenden - Erzählungen radikal in Frage. In der bis heute anhaltenden, von den meisten Medien (insbesondere auch den sogenannten "Qualitäts-Medien" NZZ u.a.) aufgeheizten, antiserbischen Stimmung ein schwieriges aber notwendiges Unterfangen!
 
AD. Während der letzten Jahre steigerte sich die Zahl jener Leute weltweit, die in ihren Analysen und Büchern die offizielle Version der Ereignisse von Srebrenica infrage stellen. Darunter z.B. Prof. Edward S. Herman, George Pumphrey, Germinal Civikov, Jonathan Rooper. Jürgen Elsässer, Gregory Copley, Emil Vljaki, Michael Mandel, George Bogdanich, Philip Corwin, Diana Johnstone, Jared Israel, Dr. Peter Priskil u.a.
 
Zuerst einmal müssten wir die Frage beantworten, welche Kreise im Zusammenhang mit Srebrenica mit dem Etikett „offiziell“ versehen wurden. Da hätten wir z.B. die bosnisch-moslemische Regierung aus den Kriegsjahren, angeführt von dem zwischenzeitlich verstorbenen bosnischen Präsidenten Alija Izetbegović. Herr Izetbegović veröffentlichte im Jahr 1970 sein Buch „Eine islamische Deklaration“, in dem er u.a. schrieb, dass es zwischen dem Islam und dem Christentum weder Frieden noch ein Zusammenleben geben kann. Während des Zweiten Weltkriegs war Izetbegović Mitglied der faschistischen Organisation „Junge Moslems“, die auch mit den deutschen Nazianalsozialisten kollaborierten. Zur Erinnerung: unter deutscher Aufsicht wurden zwischen 1941 und 1945 im grosskroatischen Staat, dem nebst Kroatien auch Bosnien und Teile Serbiens angehörten, Hunderttausende Serben getötet. Vor allem im kroatischen Konzentrationslager Jasenovac wurde dermassen brutal gemordet, dass sich sogar einige Nazi-Kommandanten befremdet zeigten, und das will etwas heissen! An diesem Völkermord an den Serben beteiligten sich damals auch zahlreiche bosnisch-moslemischen Kreise, darunter auch die Ideologen von Alija Izetbegović.
 
1983 wurde Herr Izetbegović vom jugoslawischen Staat wegen dem Schüren von ethnischem und religiösem Hass zu einer vierzehn jährigen Haftstrafe verurteilt, von der er knapp die Hälfte tatsächlich absass. 1989, also unmittelbar nach seiner Freilassung, liess Izetbegović eine Neuauflage seines Buches drucken. Drei Jahre später wurde er Präsident Bosniens, obwohl während der Wahlen der als gemässigt geltende Industrielle Fikret Abdić die meisten Stimmer erhielt. Es heisst heute, dass Abdić von Izetbegovićs Partei aus dem Parlament vertrieben wurde. Die ursprüngliche Version der Ereignisse von Srebrenica stammt nun von ebendiesem Alija Izetbegović. Könnte man ihn jedoch als vertrauenswürdige Person bezeichnen? Wohl kaum.
 
Die zweite treibende Kraft hinter der sogenannten offiziellen Version der Ereignisse von Srebrenica ist der ehemalige US-amerikanische Präsident Bill Clinton. Das dürfte kein Zufall sein wie wird gleich sehen werden. Hakija Meholić, ehemaliger moslemischer Polizeichef Srebrenicas, erzählte während diversen Interviews eine brisante Geschichte. Alija Izetbegović habe ihm gegenüber gestanden, dass Bill Clinton ihm bereits 1993 das „Srebrenica-Massaker“ vorschlug! Clinton habe ihm gesagt, dass die USA nur dann intervenieren würden, wenn die Serben in Srebrenica eindringen und mindestens 5000 Menschen töten würden. Wie kann nun Clinton bereits 1993 von einem Srebrenica Massaker geredet haben? Ist er etwa ein Hellseher? Hakija Meholić sagte aus, dass diese Aussage von Alija Izetbegović noch von acht weiteren moslemischen Politikern bezeugt werden kann, die damals anwesend gewesen sind.
 
Wie ist es nun zu erklären, dass die serbische Armee im Juli 1995 genau das ausgeführt haben soll, was Bill Clinton bereits zwei Jahre zuvor dem bosnisch-moslemischen Präsidenten vorschlug? Ist man nun ein Verschwörungstheoretiker oder Völkermordleugner, wenn man auf solche Merkwürdigkeiten hinweist? Laut der Logik unserer Monopolpresse schon. So behauptete z.B. der Schweizer Journalist Daniel Foppa im Tagesanzeiger, ich sei ein Völkermordleugner. Interessanterweise ist auch der Journalist Stephan Israel ein Mitarbeiter beimTagesanzeiger. Herr Israel hat vor Jahren behauptet, ich sei ein Rassist. Der Grund: damals schrieb Stephan Israel für die Basler Zeitung Berichte über die Konflikte im ehemaligen Jugoslawien. Mehrere hundert Menschen unterschrieben eine Protestpetition gegen Herrn Israel, in der gegen seine einseitige und verzerrte Berichterstattung protestiert wurde. Ich schickte diese Petition an die Basler Zeitung. Daraufhin hetzte Stefan Israel seine Bekannten vom Basler Fernsehkanal Tele Basel auf mich, die in einer Sendung mein Bild einblendeten über dem geschrieben stand „Rassismus?“. Glücklicherweise ging dieser Diffamierungsversuch von Herrn Israel in die Hose, denn ich schaltete die Staatsanwaltschaft ein, die mich von den Vorwürfen freisprach. Übrigens berichtete vor Jahren auch die Berliner Zeitung  junge Welt über Herrn Israels antiserbische Berichterstattung. Aber die Logik von Stefan Israel ist der reine Wahnsinn. Wenn man einen Journalisten, der Israel heisst, wegen seiner einseitigen Jugoslawien-Berichterstattung kritisiert, so soll man ein Rassist sein. Zum Glück ist dieser Journalist mit seiner Hetze nicht durchgekommen.
 
Aber auch die Hetze von Herrn Foppa ging aus seiner Sicht voll daneben, denn einige Zeit nach dem Hetzartikel gegen mich im Tagesanzeiger waren die Erstauflagen meiner beiden Srebrenica-Bücher ausverkauft, wofür ich mich bei ihm in einer E-Mail ausdrücklich bedankt habe.
Auch der Journalist Christian Mensch, der u.a. Ebenfalls für den Tagesanzeiger und die Basler Zeitung arbeitete (Zufall?), versuchte in der Weltwoche gegen mich zu hetzten, doch auch dieser Diffamierungsversuch war nicht von Erfolg gekrönt. Offensichtlich war das Trio Foppa/Israel/Mensch nicht darauf vorbereitet, dass sich jemand von ihren Einschüchterungsversuchen unbeeindruckt zeigte.
 
Doch nun zurück zu Bill Clinton. 1997 berichtete der US-Senat darüber, dass Bill Clinton während des Bosnienkrieges in Iranische Waffenlieferungen an die moslemische Bürgerkriegspartei verstrickt war und grünes Licht für dieselbigen gab. Das erinnert an die schmutzige Rolle welche die USA kurz vor Ausbruch des Krieges in Bosnien im März 1992 spielten. Am 18. März 1992 unterschrieben in Lissabon Vertreter aller drei bosnischer Volksgruppen, Serben, Moslems und Kroaten, einen Friedensplan, der den drohenden Ausbruch des Krieges hätte verhindern können. Kurz danach reiste der amerikanische Botschafter Warren Zimmermann nach Sarajevo um mit Alija Izetbegović ein Gespräch zu führen. Nach dem Gespräch, genauer am 28. März 1992, zog Izetbegović seine Unterschrift wieder von dem Abkommen zurück – wenige Tage später bracht der Krieg aus.
 
Kroatische Medien berichteten darüber, dass die „Operation Storm“ (Oluja) in Kroatien damals von mehreren von Bill Clintons Generälen geführt worden war. Zur Erinnerung: während der „Operation Storm“ wurden im Sommer 1995 innerhalb von 48 Stunden ca. 250'000 Serben aus einem Gebiet namens „Krajina“ gebombt, wobei fast 2000 Menschen, meist Zivilisten, getötet wurden. Die Serben siedelten in diesem Gebiet nachweislich seit dem sechzehnten Jahrhundert. Aber das war ja kein Völkermord – oder?
 
Und es war schliesslich der gleiche Bill Clinton, der 1999 den Befehl zur Bombardierung Jugoslawiens gab. Während dieser NATO-Bombardierungen wurden mehrere tausend Menschen getötet und verletzt. Besondern schlimm sind, nebst dem materiellen Schaden, die ökologischen Folgen für die Region. Durch die Verwendung von Munition mit abgereichertem Uran wurde Serbien auf nahezu ewige Zeit verseucht. Seit diesen Bombardements mit dieser hochgiftigen Munition stieg die Krebsrate in Serbien bisher um ein Vielfaches an. All diese Fakten zeigen auf, dass Bill Clinton vor allein eins ist: ein Kriegsverbrecher. Könnte Bill Clinton demnach für einen unabhängig denkenden Menschen eine seriöse Informationsquelle darstellen? Vielleicht in etwa gleich wie George Bush und seine Geschichte von den „irakischen Massenvernichtungswaffen“. Interventionslügen scheinen unter gewissen US-Amerikanischen Politikern eben sehr beliebt zu sein.
 
Als letzte Instanz bliebe da noch die UNO, die sich ab einem bestimmten Punkt der Srebrenica-Version von Alija Izetbegović und Bill Clinton bedingungslos angeschlossen hat. Wann und wo aber hat die UNO das letzte Mal als unabhängige Instanz fungiert? Während der letzten Jahre und Jahrzehnte betätigte sich die UNO regelmässig als Vorbereiter für diverse US-Aggressionen weltweit. Wenn die USA irgend ein Land zum Schurkenstaat erklären, so zieht die UNO sofort nach. Vor praktisch jedem US-Bombardement gegen fremde Staaten verhängt die UNO zuerst Sanktionen, um das jeweilige Land bereits im Voraus zu schwächen. Ist das etwa die Aufgabe der UNO? Und was hat das alles noch mit einer angeblichen Neutralität und Friedenssicherung zu tun? Und wann hat die UNO auf der anderen Seite jemals Sanktionen gegen die USA wegen diverser völkerrechtswidriger Angriffskriege verhängt? Nie. Und hat die UNO irgendwo ein Tribunal zur Aburteilung von US-Kriegsverbrechen gegründet? Nein. Ist die UNO demnach eine unabhängige Organisation? Ebenfalls nein.
 
Aus welchem Grund sollte demnach ein unabhängiger Mensche Alija Izetbegović, Bill Clinton und der UNO ein blindes Vertrauen entgegenbringen? Was oder wer verpflichtet Jemanden dazu, diesen Leuten und Organisationen alles vorbehaltlos und unhinterfragt zu glauben? Im Artikel 19 'Allgemeine Erklärung der Menschenrechte', welche die UN-Vollversammlung am 10. Dezember 1948 verabschiedete, wurde folgendes festgehalten:
 
Jeder hat das Recht auf Meinungsfreiheit und freie Meinungsäußerung; dieses Recht schließt die Freiheit ein, Meinungen ungehindert anzuhängen sowie über Medien jeder Art und ohne Rücksicht auf Grenzen Informationen und Gedankengut zu suchen, zu empfangen und zu verbreiten.
 
Momentan arbeiten politisch einflussreiche Kreise und Interessengruppen daran, dieses Menschenrecht wieder ausser Kraft zu setzen, was ein bezeichnender Skandal und symptomatisch für die heutige Zeit ist.
 
KT. Was können Sie und nun konkret zu den einzelnen Punkten ihrer Aufdeckungen im Zusammenhang mit Srebrenica sagen?
 
AD. Ich kann hier nur ganz kurz auf die wichtigsten Punkte eingehen. Aus Platzgründen kann ich hier natürlich nicht auf alle Details eingehen, die ich in meinen beiden Srebrenica-Büchern veröffentlicht habe.
 
So steht z.B. auf dem Gedenkstein in Potočari (nahe Srebrenica) geschrieben, dass es in Srebrenica mindestens 8372 Genozidopfer gegeben habe. Da hätten wir bereits die erste Lüge, da die ursprüngliche Vermisstenliste die Namen von ca. 7400 Menschen umfasste. Wie kann es nun fast 1000 Opfer mehr gegeben haben als überhaupt vermisst wurden? Solche Fragen scheint niemand zu stellen. Stelle ich die Frage irgendwo, so kriege ich oft zu hören, dass es auf 1000 Opfer mehr oder weniger nicht ankäme – was für eine Antwort! Mit der gleichen Logik hatte die Bosnisch-Moslemische Regierung bis vor wenigen Jahren Hunderttausende Tote erfunden. So hinterfragte bis vor einigen Jahren kaum jemand die Behauptung der moslemischen Regierung, dass in Bosnien während des Krieges mindestens 250'000 Angehörige der moslemischen Volksgruppe umgekommen seien. Jedoch tauchte vor zwei Jahren der moslemische Bosnier Mirsad Tokača, der Präsident der Organisation „Research and Documentation Center“ (RDC) ist, mit ganz anderen Zahlen auf. Herr Tokača behauptet nun, dass während des Krieges auf allen Seiten, also auf moslemischer, serbischer und kroatischer, insgesamt ca. 97'000 Menschen umgekommen seien, davon etwa auch 20'000 Serben. Die Serben kritisieren aber auch diese „neue“ Zahl, da die von serbischer Seite angegeben Zahl umgekommener Serben bis zu 35'000 umfasst. Nimmt man noch die Tatsache dazu, dass sich während des Krieges in Bosnien auch Moslems und Moslems, Kroaten und Moslems, und Kroaten und Serben gegenseitig bekämpften, so wird vor allem eines ersichtlich: das in Bosnien ein Bürgerkrieg tobte, während dem alle Volksgruppen in etwa gleich viel litten. Nimmt man jedoch Herrn Tokačas Zahlen ernst, was ja mittlerweile allgemein der Fall ist, obwohl es auch in seiner Arbeit diverse fragwürdige Punkte gibt, so würde das bedeuten, dass die moslemische Regierung jahrelang ca. 200'000 getötete moslemische Bosnier ganz einfach erfunden hat! Sollte es nun jemanden tatsächlich verwundern, wenn nun auch die Geschichte von den 7000 – 8000 exekutierten moslemischen Männern aus Srebrenica nicht ganz stimmen würde? Und sollte man nun etwa Herrn Tokača wegen Völkermordleugnung anzeigen, nur weil er einen Fall von Kriegspropaganda aufklärte? Denn immerhin behaupteten die UNO, wie auch die Bosnische-Moslemische und Amerikanische Regierungen, bis vor kurzem, dass in Bosnien während des Krieges mindestens 250'000 Angehörige der moslemischen Volksgruppe umgekommen seien. Weshalb darf man diese Zahl nun nachträglich widerlegen und korrigieren, jene von Srebrenica aber nicht?
 
So haben z.B. über 30 moslemische Männer Angaben über die Flucht von Srebrenica nach Tuzla gemacht. Nach dem Fall Srebrenicas schlugen sich bekannterweise 8000 moslemische Soldaten und 4000 Zivilisten, darunter ein Grossteil ebenfalls bewaffnet, von Srebrenica nach Tuzla durch. Laut den Zeugenaussagen dieser Männer ist es an über zwanzig Orten zu Gefechten mit der serbischen Armee gekommen. Schätzungen über die dabei entstandenen Gefechtstoten reichen von 2000 bis 3000! Wieso wird in der Öffentlichkeit heute über diese Gefechtstoten geschwiegen? Nehmen wir einmal die untere Schätzung von 2000 Gefechtstoten und ziehen diese von den ursprünglich 7400 angeblich Vermissten ab, so gelangen wir zur Zahl 5400. Ich spreche bewusste von angeblichen Vermissten, da niemand eine genaue Kontrolle darüber hat, wen die moslemischen Behörden damals alles auf die Vermisstenliste gesetzt haben. Rein theoretisch können auf dieser Liste auch Namen von Menschen gelandet sein, die mit Srebrenica nichts zu tun haben oder gar nicht umgekommen sind. Und genau das ist zum Grossteil auch passiert.
 
Im Sommer 1996 tauchten auf Bosnischen Wählerlisten die Namen von ca. 3000 Männern auf, die ebenfalls auf der Vermisstenliste enthalten waren. Seltsam, dass das der „Organisation für Sicherheit und Zusammenarbeit in Europa“ (OSZE) nicht aufgefallen ist, denn diese überwachte damals die Wahlen. Milivoje Ivanišević aus Belgrad ist es jedoch aufgefallen, nachdem er die Wählerlisten mit der Vermisstenliste verglich. Der englische Journalist Jonathan Rooper verlangte von der OSCE eine Erklärung für den Vorfall. Er wurde jedoch mit der Erklärung (oder besser Ausrede) abgespiesen, man komme momentan nicht an die Wahlunterlagen von 1996 ran, weil diese angeblich irgendwo weggesperrt seien. Später liessen sich die gleichen Kreise eine neue Ausrede einfallen: die moslemischen Behörden hätten alte Wahlunterlagen aus dem Jahr 1991 für die Wahlen von 1996 verwendet. Das kann jedoch aus folgenden Gründen ebenfalls nicht wahr sein: Milivoje Ivanišević stellte fest, dass auf der Wählerliste auch Namen von Männern drauf waren, die 1991 noch gar nicht das wahlberechtigte Alter besassen. Also konnten diese 1991 auch nicht gewählt haben. Zudem würde es sich um Wahlbetrug handeln, wenn moslemische Behörden für die Wahlen von 1996 tatsächlich alte Wählerlisten aus dem Jahr 1991 verwendet hätten. In diesem Fall müsste die OSCE Ermittlungen wegen Wahlbetruges einleiten. Das geschah aber nie, wieso nicht? Der Grund scheint offensichtlich: man wollte von einem Skandal ablenken.
 
Es gibt ein weiteres Indiz dafür, dass 1996 tatsächlich 3000 Männer gewählt haben, deren Namen auf der sogenannten Vermisstenliste enthalten sind. Der bereits erwähnte Mirsad Tokača gab 2010 während einer Pressekonferenz in der Bosnisch-Serbischen Stadt Banja Luka bekannt, dass er und seine Mitarbeiter in der Umgebung von Srebrenica ca. 500 Menschen ausfindig machen konnten, deren Namen ebenfalls auf der Vermisstenliste von 1995 drauf waren. Zwischen 1996 und 2010 liegen ganze fünfzehn Jahre. Es ist klar, dass ein Teil der Wähler von damals heute nicht mehr lebt, während ein anderer Teil aus wirtschaftlichen Gründen in andere Teile Bosniens oder ins Ausland gezogen ist. Kommt noch dazu, dass sich an den Wahlen von 1996 auch viele moslemische Bosnier beteiligten, die als Flüchtlinge in einigen Europäischen Staaten lebten. Das Auftauchen der 500 lebenden Menschen von der Vermisstenliste im Jahr 2010 legt den Schluss nahe, dass sich vierzehn Jahre zuvor tatsächlich 3000 Menschen an den Wahlen beteiligten, obwohl auch ihre Namen auf der Vermisstenliste enthalten sind. Damit schrumpft die Zahl der möglichen Exekutionsopfer bereits auf ca. 2400.
 
Der Bosnische-Moslemische Journalist Šefko Hodzić schrieb in seinem Buch „Bosanski ratnici“, dass es während des Krieges Geheimkanäle zwischen Srebrenica und Serbien gab (Srebrenica liegt in der Nähe zu Serbien), über die wiederholt Gruppen von Menschen geflüchtet seien. Allein während einer Gelegenheit seien so 150 Bewohner aus Srebrenica nach Serbien gegangen. Auch Jürgen Elsässer zitierte moslemische Quellen, laut denen allein nach dem Fall Srebrenica etwa 800 Menschen aus Srebrenica die Grenze nach Serbien überquert hätten. Viele dieser Menschen – so die moslemischen Quellen – seien anschliessend in diverse andere Staaten ausgewandert. Ein Hinweis darauf gibt z.B. auch das Buch „After the fall: Srebrenica survivors in St. Louis von Patrick McCarthy. In dem Buch schreibt McCarthy, dass allein in St. Louis 20'000 Flüchtlinge aus Bosnien leben würden, darunter auch ein Teil aus Srebrenica. Es liegt auf der Hand, dass die moslemische Regierung aus propagandistischen Gründen auch die Namen jener Leute auf die Vermisstenliste gesetzt hat, die vor und nach dem Fall Srebrenicas ins Ausland ausgewandert sind. Laut moslemischen Quellen handelt es sich dabei um mindestens eintausend und paar hundert Menschen.
 
Zusätzlich verglich Milivoje Ivanišević die Deserteurslisten der moslemischen Armee mit der Vermisstenliste aus dem Jahr 1995. Dabei entdeckte er, dass auf der Vermisstenliste auch die Namen von ca. 500 Männern drauf sind, die bereits vor dem Fall Srebrenica aus der moslemischen Armee geflüchtet sind. Rechen Sie nun jetzt mal alles zusammen. Es bleibt kaum noch eine grössere Zahl von Menschen übrig, die nach dem Fall Srebrenicas hätten erschossen werden können.
 
KT. Aber was ist mit den Massengräbern, die in der Umgebung von Srebrenica von Haager Ermittlern gefunden wurden?
 
AD. Diese sogenannten Ermittler suchten im Umkreis von 50 Km um Srebrenica fast fünf Jahre lang nach Massengräbern. Im Abschlussbericht des Chefermittlers Dean Manning wurde festgehalten, dass dabei ca. 2000 Tote gefunden wurden. Bei kaum einem Toten konnten Exekutionsverletzungen nachgewiesen werden. Im Gegenteil: die im Bericht erwähnten Verletzungen lassen praktisch alle auf Gefechtsverletzungen schliessen. Zudem passt die Zahl der gefundenen Toten ziemlich genau zu den ausgerechnet von moslemischen Zeugen angegebenen Gefechtsverlusten. Jedoch gaben die Haager Ermittler an, zwischen den Toten habe man auch etwas mehr als 400 Augenbinden gefunden. Damit wollte man wohl beweisen, dass zumindest eine gewisse Zahl der Toten tatsächlich Exekutionsopfer sind. Während des Prozesses gegen Radovan Karadžić in Den Haag 2012 machte der Angeklagte jedoch auf eine Tatsache aufmerksam, der bisher niemand Beachtung geschenkt hat. Karadžić wie darauf hin, dass viele moslemische Kämpfer während des Krieges diverse Stirnbänder trugen. Eine Analyse von Fotos aus den Kriegsjahren bestätigen Karadžić Angaben. Auf vielen Fotos sind tatsächlich moslemische Soldaten zu sehen, die verschiedenfarbige Stirnbänder trugen. Diese Stirnbänder dienten im Krieg dazu, die eignen Soldaten von denen der feindlichen Armee unterscheiden zu können. Es ist logisch, dass die serbischen Soldaten den gefechtstoten moslemischen Kämpfern nicht die Stirnbänder abzogen, bevor sie diese vergruben. Aus diesem Grund konnten diese Stirnbänder zu Augenbinden uminterpretiert werden. Das Vergraben von gefallenen Soldaten der feindlichen Armee gehört übrigens zur normalen Prozedur jeder Armee. Damit soll nicht zuletzt der Ausbruch von Seuchen verhindert werden.
 
KT. Und die DNA-Analysen? Es sollen bisher bereits über 6000 Srebrenica-Opfer per DNA-Analyse identifiziert worden sein.
 
AD. Das ist eine reine Behauptung, die von der Organisation „International Commission on Missing Persons“ (ICMP) aufgestellt wurde. Der Gründer dieser Organisation ist übrigens kein geringerer als Bill Clinton! Zum Vorsitzenden des ICMP wurde ursprünglich ausgerechnet der ehemalige Vietnamkriegs-Veteran James Kimsey ernannt, der auch bei der US-Invasion in der Dominikanischen Republik mit bis zu 10 000 geschätzten zivilen Opfern aktiv war. George Bushs ehemaliger Außenminister Colin Powell persönlich stellte Kimsey auf diesen Posten. Mit andere Worten: eine Clique von Kriegsverbrechern. Wer könnte solchen dubiosen Gestalten vorbehaltlos Glauben schenken? Vor allem dann, wenn diese Leute ihre Behauptung nicht beweisen können.
 
So verlangte Radovan Karadžić in Den Haag Einsicht in die angeblichen DNA-Identifizierungen dieser Organisation. Am 10. Februar 2010 schickte die Anklägerin Hildegard Uertz-Retzlaff jedoch einen Brief an Karadzić Verteidigungsteam, in dem sie zu erklären versuchte weshalb man die gewünschten Dokumente nicht aushändigen könne. Die berauschende Antwort lautete folgendermassen:
 
Das ICMP ist in juristischer Hinsicht eine unabhängige dritte Körperschaft
mit eigenen Befugnissen. Die Anklagevertretung sieht sich außerstande,
einfach Kontakt zum ICMP aufzunehmen und der Verteidigung von Herrn Karadžić
sämtliche Familien-DNA-Profile zu übermitteln, die sich auf den Datenbanken
des ICMP befinden. Außerdem hat die Anklagevertretung keinen Zugriff auf
diese Datenbanken und ist deshalb nicht in der Lage, sie zu Verfügung zu
stellen.
Zweitens hat es das ICMP unserem Kenntnisstand zufolge bis jetzt abgelehnt,
irgendeiner Seite die Gesamtheit' seiner Familien-DNA-Profile zur Einsicht
freizugeben, da dies einen Bruch der Garantien darstellen würde, die in
einvernehmlicher Form vertraglich geregelt und von den Blutspendern der
Familien unterzeichnet worden sind. Wie wir es mit Ihrem beigeordneten
Anwalt Herrn Sladojević bereits erörtert haben, kann es nicht einfach darum
gehen, Daten 'ohne Namen' zur Verfügung zu stellen, da den Spendern
versprochen wurde, daß ihre DNA nicht veröffentlicht wird, keineswegs aber,
daß bloß ihre Namen verschwiegen oder DNA-Daten anonym weitergegeben würden.
 
Was soll man dazu noch sagen? In welchem richtigen Gericht dieser Erde würde die Anklage mit solch lächerlichen Geschichten durchkommen? In Den Haag scheinen die Uhren eben ein wenig anders zu ticken, was den aufmerksamen Beobachter der dortigen Ereignisse auch nicht weiter zu verwundern mag. Diesbezüglich kann ich auch die Bücher von John Laughland und Germinal Civikov über den Prozess gegen Slobodan Milošević in Den Haag empfehlen. In den Büchern dieser beiden Prozessbeobachter werden Zahlreiche Manipulationen und Farcen des Jugoslawientribunals in Den Haag offengelegt.
 
KT. Und was ist mit den Zeugen, die Massenerschiessungen überlebt haben?
 
AD. Solche Zeugen gab es nach dem Fall Srebrenicas zunächst gar nicht. Erst eine gewisse Zeit später tauchte wenige dieser angeblichen Zeugen auf. Mehrere Journalisten analysierten die Aussagen dieser angeblichen Zeugen. So z.B. Thomas Deichman, Lina Ryan und Abe de Vries (zusammen mit Rene Gremaux). Dabei fanden diese Journalisten heraus, dass sich die Geschichten dieser Zeugen nicht nur von Interview zu Interview änderten, sondern dass sie sich z.T. sogar gegenseitig widersprachen. Wer die Wahrheit spricht, der kann seine Version nicht abändern, noch kann es irgendwelche Widersprüche zwischen einigen Zeugen geben.
 
So behauptete z.B. ein Zeuge, er sei zuerst in eine Sporthalle neben der Grundschule in Karakaj nahe der Stadt Zvornik gesteckt worden, bevor man alle 2000 Gefangenen exekutiert habe. Das Problem dabei ist, dass es im Juli 1995 neben der Grundschule in Karakaj gar keine Sporthalle gab.... Aber es gibt noch diverse weitere Beispiele von Absurditäten in den Aussagen solcher „Zeugen“.
 
KT. Hat nicht der ehemalige Soldate Dražen Erdemović in Den Haag ausgesagt, er und seine Einheit hätten auf der Branjevo-Farm beim Dorf Pilica 1200 Gefangene hingerichtet?
 
AD. Es handelt sich dabei um die Behauptung des Kroaten Dražen Erdemović, der eine Zeit lang in der multinationalen zehnten Sabotageeinheit der bosnisch-serbischen Armee gedient hat. In dieser Einheit dienten kurioserweise Kroaten, Slowenen, Serben und sogar ein moslemischer Bosnier. Also kann man zuerst einmal gar nicht von einer serbischen Einheit sprechen. Der Journalist Germinal Civikov hat ein ganzes Buch über den Fall Dražen Erdemović geschrieben, in dem aufgezeigt wird, dass Erdemović ein Lügner ist. So zeigen Dokumente aus den Kriegsjahren z.B., dass diese Einheit am Tag des von Erdemović behaupteten Massakers beurlaubt war, während der Kommandant der Einheit, Milorad Pelemiš, wegen eines Verkehrsunfalls im Spital lag. Kaum vorstellbar, dass einige Mitglieder einer beurlaubten Einheit in Abwesenheit ihres Kommandanten einfach so eine Art Freizeitmassaker verüben. Zudem wurden bei Branjevo 138 Tote gefunden, von denen es sich in einigen Fällen nur um Teile von Toten handelt. Das Grab wurde 1996 entdeckt. Woher können innerhalb eines Jahres plötzlich Teile von Toten verschwunden sein? Der serbische Arzt Dr. Ljubiša Simić wies zudem darauf hin, dass der Grossteil der Toten wahrscheinlich nicht einmal vom Juli 1995 stammt. Dass könne man anhand des Zerfallsstadiums der Toten beurteilen. Wo sind also die angeblichen 1200 Exekutierten? Es ist mehr als offensichtlich, dass Erdemovićs Geschichte so nicht stimmen kann. Dennoch wird Erdemović von der Anklage in Den Haag regelmässig als „Kronzeuge“ präsentiert. Scheinbar sollen die nicht vorhandenen Fakten durch fingierte Zeugenaussagen ersetzt werden.
 
KT. Aber gibt es nicht auch serbische Zeugen?
 
AD. Ja, doch wenn man die genauen Umstände kennt, so kann man aber auch in diesen Fällen kaum von richtigen Zeugen sprechen. In Den Haag wird regelmässig das sogenannte „Plea agreement“ angewendet, ebenfalls bekannt als „Plea bargain“. Das bedeutet in der Praxis folgendes: einem Angeklagten wird eine langjährige Haftstrafe angedroht, fall er mit der Anklage nicht „kooperiert“ und Aussagen im Sinne der Anklage unterschreibt. Damit verschafft sich ein Angeklagter in der Regel eine verkürzte Haftstrafe. Bisher haben bereits über zwanzig Serben zugegeben, dass sie unter grossem Druck der Anklage falsche Aussagen unterschreiben mussten. Darunter z.B. Momir Nikolić, Miroslav Deronjić und Biljana Plavšić. Allein im Fall von Kravica gibt es etwa 17 Zeugen, die zugaben, unter Druck falsche Aussagen unterschrieben zu haben. Die Anklage behauptet bekanntermassen, dass in einem Warenlager im Dorf Kravica am 13. Juli 1995 1000 – 1500 moslemische Gefangene erschossen wurden. Eine Analyse der Filmaufnahmen von Zoran Petrović-Piroćanac, der diese Gefangenen damals auf einer Wiese gefilmt hat, deuten jedoch darauf hin, dass höchstens 200 – 300 Männer gefangen wurden. Serbische Soldaten sagten zudem vor dem Gericht in Sarajevo aus, dass diese Gefangenen für einen Gefangenenaustausch vorgesehen waren. Das ist ja auch logisch, denn wie wollte man gefangene Serben befreien, wenn man alle moslemischen Gefangenen umbrächte?
 
Jedoch ist es am 13. Juli in diesem Magazin zu einem Gefangenenaufstand gekommen, der mit der Ermordung eines serbischen Wächters anfing. Dieser Wächter, Krsto Dragicević , wollte den Gefangenen Zigaretten bringen. Diese entrissen ihm jedoch sein Gewehr und erschossen ihn. Während dieses Vorfall wurde auch auf einen anderen Wächter geschossen (Rade Cuturić), der den Vorfall jedoch verletzt überlebte. Nach dem Aufstand drängte ein Teil der Gefangenen nach draussen und wollte türmen. Dabei schossen die restlichen serbischen Wächter vor dem Magazin, die in Panik gerieten, auf die Gruppe der flüchtenden Männer. Insgesamt wurden dabei ca. 20 Gefangene getötet. Auf den Aufnahmen des Journalisten Zoran Petrović - Piroćanac sieht man diese 20 toten Männer übrigens vor dem Magazin liegen. Diese Aufnahmen wurden bisher als Beweis für die behaupteten Massenerschiessungen präsentiert, obwohl es sich um einen Gefangenenaufstand gehandelt hat. Immerhin musste in der Zwischenzeit auch die Anklage in Den Haag zugeben, dass man nicht mehr als diese 20 Toten beweisen kann, aber dennoch sitzen zahlreiche Angeklagte für viele Jahre im Gefängnis. Jonathan Rooper und Rolf Harzuiker berichteten darüber, dass diese ganze Geschichte von den Massenerschiessungen in diesem Magazin ein Betrug sei. Rolf Hartzuiker stellte 1996 vor Ort fest, dass es im Inneren des Magazins gar keine Spuren von Kugeln gab. Lediglich um den Haupteingang herum gab es Schusslöcher, was jedoch lediglich darauf hinweist, dass auf den Eingang gefeuert wurde als die Aufständischen durch diesen zu flüchten suchten. Überflüssig zu erwähnen, dass man kaum im inneren eines Magazins Gefangenen hinrichten kann, in dem man von draussen durch den Haupteingang feuert.
Zudem kenne ich persönlich ein ehemaliges Mitglied einer serbischen Einheit, das damals selber vor Ort war. Der Mann erzählte mir, dass im Magazin insgesamt 269 Gefangene untergebracht waren. Die zwanzig Toten und die 249 Überlebenden seien später zum vereinbarten Gefangenenaustausch gebracht worden. Der Mann ist gerade noch mit sich am hadern, ob er mir den ganzen Fall schriftlich bestätigen und unterschreiben soll, weil er Repressalien aus Sarajevo und Dean Haag befürchtet. Aber es ist auch so klar, dass die Geschichte von den 1000 – 1500 Exekutierten eine von vielen Manipulationen im Zusammenhang mit Srebrenica ist.
 
KT. In dem allerseits bekannten „Srebrenica-Video“ sind jedoch immerhin die Exekutionen von sechs Gefangenen zu sehen.
 
AD. In dem besagten Video sind wohl tatsächlich Exekutionen mehrerer Gefangener zu sehen. Das Problem dabei ist aber einerseits, dass das Video keine Hinrichtungen von bis zu 8000 Gefangenen zeigt. Also würde es als Beweis für die offizielle Srebrenica-Version so oder so nichts taugen. Auf der anderen Seite stammt das Video weder vom Juli 1995, noch hat es etwas mit Srebrenica zu tun! Beim Video handelt es sich zudem um den Zusammenschnitt von zwei Filmen, die miteinander nichts zu tun haben. In der einen Szene sind Angehörige der serbischen paramilitärisch Einheit „Skorpione“ zusehen, die von einem Priester gesegnet werden. Laut Datum wurde die Szene am 25. Juni 1995 aufgenommen. Srebrenica wurde jedoch am 11. Juli 1995 eingenommen. Was soll diese Szene demnach mit Srebrenica zu tun haben? I
 
In dem anderen Teil des Filmes sind serbische Söldner (angeblich auch Mitglieder der „Skorpione“) zu sehen, als diese auf einer Wiese auf eine Gruppe von sechs Gefangenen schiessen. In diesem Film wurde kein Datum vermerkt, noch geben die Aufnahmen Auskunft darüber, wo dieser Film gedreht wurde. Eine Frau gab später an, dass sie in dem Film ihren Sohn, Safet Fejzić identifiziert habe. Slobodan Milosevic präsentierte während des Prozesses in Den Haag gerichtsmedizinische Beweise dafür, dass der Leichnam von Safet Fejzić am 28. April 1993 in der Nähe von Trnovo exhumiert und identifiziert wurde. Wie kann nun jemand im Juli 1995 umgekommen sein, der bereits 1993 tot aufgefunden wurde? Und was hat Trnovo mit Srebrenica zu tun? In der Umgebung von Trnovo wurden 1992 massive Verbrechen an der serbischen Zivilbevölkerung verübt.
Am 7. Juli 1992 hatten lokale Moslems die serbischen Dörfer Straišta und Gornja- und Donja Presjenica überfallen. Dabei wurden ausschließlich Zivilisten ermordet. Die Familien Cvijetić und Šehovac wurden dabei ganz ausgerottet (den meisten Opfern wurde die Kehle durchgeschnitten). Weitere Zivilisten, darunter sieben Frauen und ein Kind, wurden abgeführt und in eine unbekannte Richtung verschleppt. Die bosnisch-serbische Militärpolizei hat diese Vorfälle dokumentiert. Die aus der kroatischen Krajina stammenden „Skorpione“ waren später bei Trnovo ihren bedrängten Landsleuten zu Hilfe geeilt. Bei den Videoaufnahmen dürfte es sich, jedenfalls deutet alles darauf hin, um Racheakte an moslemischen Gefangenen handeln. So hört man z. B. im Video einen Angehörigen der paramilitärischen Einheit „Skorpione“ einem aus dem Transportwagen aussteigenden moslemischen Gefangenen zurufen: „Mach, mach, als du Serben ermordetest, da hast du auch nicht gezögert.“ Und während einer anderen Szene, als ein Gefangener nach Wasser fragt, da antwortet ihm ein serbischer Kämpfer: „Habt ihr etwa den Serben zu trinken gegeben, bevor ihr sie getötet habt?“.
 
Verbrechen bleibt Verbrechen, denn ein des Verbrechens beschuldigter Kriegsgefangener gehört vor ein Gericht und darf nicht hingerichtet werden. Doch weshalb versucht die Anklage in Den Haag angebliche Massenverbrechen in Srebrenica im Juli 1995 mit einem Videos aus Trnovo aus dem Jahr 1993 zu beweisen? Ganz einfach, weil die Anklage eben an einem akuten Beweismangel leidet.
 
Auf der anderen Seite existieren Videos, in denen tatsächlich Massenverbrechen in der Region Srebrenica zu sehen sind. Das Problem besteht nur darin, dass die Opfer in diesen Videos Serben sind! Man erinnere sich an dieser Stelle an das Interview, das der moslemische Kriegskommandant Naser Orić 1994 einem Reporter des Toronto Star gegeben und in dem er damit geprahlt hat, dass er und seine Männer in einem einzigen Dorf 114 Serben ermordet haben! In der Region Birač, welche die Gemeinden Srebrenica, Bratunac, Vlasenica, Zvornik, Osmaci, Šekovići und Milići umfasst, haben Naser Orić und seine Einheiten zwischen 1992 und 1995 fast 3300 Serben, darunter zahlreiche Frauen, alte Menschen und Kinder, getötet. In Bratunac, Karakaj, Zvornik, Srebrenica, Sekovici, Skelani, Milici und Vlasenica findet man Friedhöfe, Denkmäler und Gedenkräume, die von diesen Opfer zeugen. Die Namensliste dieser Opfer habe ich zudem in meinem Buch „Srebrenica – wie es wirklich war“ veröffentlicht. Wer diese Tote widerlegen kann, der sollte sich umgehend an mich wenden, ich warte gespannt. Aber für serbische Opfer interessiert sich kaum jemand. Lieber versucht man mit manipulierten Videos serbische Massenverbrechen zu beweisen.
 
KT. Können Sie zum Schluss noch auf irgendwelche andere brisanten Fakten verweisen, die wir bisher noch nicht berücksichtigt haben und die ein anderes „Srebrenica“ aufzeigen?
 
AD. Ja sicher. Es gibt z.B. eine moslemische Bevölkerungsstatistik aus der Zeit vor dem Fall Srebrenicas, die heute in der westlichen Öffentlichkeit aus bereits bekannten Gründen totgeschwiegen wird. Diese Statistik, die von Fahrudin Salihović, dem damaligen Präsident des Präsidiums Srebrenica verfasst wurde, informiert darüber, dass sich vor dem Fall Srebrenicas 37'255 Personen in der Stadt aufhielten. Herr Salihović erwähnt in dem Schreiben, das an die Ämter für Statistik in Sarajevo und Tuzla geschickt wurde, dass man diese Statistik internationalen Organisationen nicht zur Einsicht geben sollte, da diese von einer Bewohnerzahl von bis zu 45'000 ausgehen! Aus welchem Grund wohl versuchten moslemische Behörden bereits vor dem Fall Srebrenicas falsche Angaben zu verbreiten? Bill Clinton und Alija Izetbegović werden es wohl gewusst haben.
Ein UN-Dokument informiert uns darüber, dass am 4. August 1995 bei Tuzla insgesamt 35'632 Überlebende aus Srebrenica registriert wurden. Die Rechnung fällt dementsprechend leicht aus. 37'255 – 35'632 = 1623. Das ist die ungefähre Zahl von Menschen aus Srebrenica, die im militärischen Durchbruch nach Tuzla hätten umkommen können. Zu dieser Zahl kann man noch eine gewisse Anzahl von umgekommenen Kämpfern aus der Stadt Žepa zählen. Kurz vor dem Fall Srebrenicas schlossen sich den zum Aufbruch entschlossenen Soldaten und Zivilisten noch eine gewisse Zahl von Kämpfern aus Žepa an. Schätzungen reichen bis zu 2000 Kämpfern. Wenn man davon ausgeht, dass von diesen Kämpfern während des rund einwöchigen Marsches und den damit verbundenen Gefechten noch einige hundert umgekommen sind, so gelangt man zur Zahl von +/- 2000 Kämpfern, die ihr Leben im Durchbruch verloren haben.
 
Ferner möchte ich auf interne Dokumente der moslemischen Armee hinweisen, in denen Auskunft über den Fall Srebrenicas und die Zeit danach gegeben wird. Eines dieser Dokumente stammt vom 27. 07. 1995 und wurde vom moslemischen Kommandant Sead Delić unterzeichnet. Es handelt sich um eine Chronologie der Ereignisse nach dem Fall Srebrenicas. Darin werden verschiedene Ereignisse geschildert. So z.B. der Durchbruch der moslemischen Armee nach Tuzla und die Gefechte. Jedoch wird in dem Dokument kein einziges serbisches Verbrechen geschildert! Hätte es serbische Massenverbrechen gegeben, so hätte das doch eineinhalb Wochen nach dem Fall Srebrenicas irgendjemand mitbekommen haben müssen. Doch tatsächlich wusste damals niemand etwas darüber zu berichten.
 
Dann gibt es noch die Arbeitsversion eines Geheimberichtes der moslemischen Armee vom 28. 07. 1995 über die Ereignisse von Srebrenica. Auch in diesem Bericht wird über alles Mögliche informiert, nur nicht über etwaige serbischen Massenverbrechen. Eine deutsche Übersetzung dieses Dokuments erschien kürzlich in den Ketzerbriefen, dem Monatsmagazin des Ahriman-Verlags in Freiburg.
 
Doch der Hauptpunkt ist ein moslemisches Dokument vom 30. 07. 1996, also etwas mehr als ein Jahr nach dem Fall Srebrenicas. Es handelt si

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Vladimir Kapuralin

Tisuće pristaša Huga Chaveza zauzeli su centar Caracasa sa snagama Velikog patriotskog pola, sastavljenog od Komunističke partije Venezuele, PCV i Ujedinjene socijalističke partije Venezuele, PSUV u znak podrške mandataru, trenutno hospitaliziranom na Kubi.

Od ranih jutarnjih sati sljedbenici iz raznih dijelova zemlje okupljali su se u blizini palače Miraflores da bi izrazili svoju podršku nositelju vlasti i odluci Vrhovnog suda TSJ, kojom se omogućava odgoda predsjedničke inauguracije do Chavezovog oporavka.

“Ja sam Chávez”, “Chávez srce naroda” moglo se isčitati sa mnogih majica ili čuti tokom izvikivanja parola sljedbenika vlasti.

Venecuelanski ministar informacija i komunikacija Ernesto Villegas, potvrdio je ovog četvrtka kako je jedno od najvećih dostignuća Bolivarijanske revolucije upravo kultura informiranja uspostavljena među venecuelanskim građanima, “što je potpuno u skladu” s onim što se događa u njihovoj zemlji.

U ekskluzivnoj izjavi koju je prenijela tele SUR Villegas je komentirao kako građani Venezuele prihvaćaju i poštivaju institucionalnost svoje zemlje; zbog čega ne sumnja da će odluka Vrhovnog suda koja se odnosi na preuzete obaveze inauguracije Huga Chaveza biti ustavno zajamčene.

Također je rekao kako “masovno okupljanje ovog četvrtka u Caracasu govori samo za sebe” i zorno pokazuju kako je “ustav živ, prihvatljiv i branjen od naroda na ulici”.

“Ovdje postoji samo jedan predsjednik čije ime je Hugo Chavez i postoji jedna vlada koja upravlja resursima pod vodstvom Chaveza…… venecuelanski narod izašao je na ulice da bi branio ustav”, nastavio je.

Villegas je ustvrdio kako je ustav dobro poznat jer je pisan od naroda i izabran njihovim glasovima, a masovno okupljanje kvalificirao je “povjesnim događajem” za demokraciju.

Sramotna opozicija

Upitan da komentira ponašanje opozicije i njeno odbijanje da prihvati tumačenje Vrhovnog suda, Villegas je ukazao kako glasnogovornika desnice “treba biti sram”.
“Nema drugog puta osim prihvaćanja odluke Vrhovnog suda. Ako kažu da poštuju ustav, onda ga moraju poštivati u svim njegovim odredbama”, kazao je.

Naglasio je također da kampanja desnice “nije slučajna da način na koji tumače ustav je na tragu onih koji su pred 10 godina pokušali izvršit državni udar”. Osporio je desnoj opoziciji pravo da “analizira” ustav, jer je njihova svrha narušavati ga.

Ukupna informacija

Po pitanju predsjednikovog zdravlja, predstavnik ministarstva informiranja i komunikacija je rekao da nitko nije krio da stanje u kojemu se predsjednik nalazi “predstavlja složenu situaciju” i ustvrdio da će se Chavez vratiti kada mu zdravstvene prilike to budu omogućile. Prema zadnjim saznanjima vlade, Hugo Chavez trpi zbog respiratornih smetnji kao posljedice ozbiljne pulmonalne infekcije i njegovo stanje je “stacionarno” . Istakao je kako je važno da ljudi budu upoznati za bitkom koju mandatar u ovom trenutku vodi i osvrnuo se na rad Bolivarijanske vlade koja redovito izvještava o mandatarevom kliničkom toku.

Latinskoamerički državnici u Venezueli

Predsjednik Urugvaya, Jose Mujica i šefovi Nikarague Danijel Ortega i Bolivije Evo Morales već su u Venezueli i predviđeno je da uzmu učešće u događajima.

18 zemalja udruženja Petrocaribe i Bolivarijanskog saveza za Latinsku Ameriku, ALBA, više predstavnika El Salvadora, Hondurasa, Urugvaya, Argentine potpisalo je “Deklaraciju iz Caracasa” izražavajući svoju podršku Hugu CHavezu i njegovom projektu.

U tekstu je naglašeno, kako će 22 zemlje surađivati na “međunarodnom planu” sa vladom koju vodi podpredsjednik, Nicolas Maduro, radi sprječavanja kako bi zdravlje predsjednika Huga Chaveza poslužilo “kao povod za napad na demokratske institucije”.

Uz to cilj je spriječiti pokušaje “destabilizacije i promicanja intervencije u pitanja o kojima je venecuelanski narod jasno izrazio svoju volju”, podsjećajući na rezultate proteklih izbora, na kojima je Hugo Chavez ponovno izabran za predsjednika.

U deklaraciji se posebno poziva međunarodnu zajednicu na poštivanje odluke Vrhovnog suda donesene ove srijede, kojom se odgađa preuzimanje predsjedničke dužnosti Chaveza za mandat 2013-2019. Dužnost novog mandata se odlaže na neodređeno vrijeme s nadom u predsjednikov oporavak.

Deklaracija ističe “potpuno povjerenje” u vladu i institucije Venezuele i u potpunosti podržava angažmane kojima je cilj “poštivanje demokratske volje venecuelanskog naroda”.

Predstavnici vlasti 22 Latinskoameričke zemlje su zajedno sa venecuelanskim masama okupljenim ovog četvrtka uputili predsjedniku želju za “brz povratak u Venezuelu”.

Istodobno, predsjednik Ecuadora, Rafael Correa, upozorio je “neprijatelje demokracije”, da Amerika i narodi svijeta ostaju solidarno uz Venezuelu, navodi se u pismu koji je na skupu pročitao venecuelanski potpredsjednik Nicolas Maduro.
Caracas, 10 jan. 2013, Tribuna Popular


Appendix:

Socijalistička radnička partija Hrvatske pridružuje se željama venecuelanskog i svih miroljubivih naroda za uspješan oporavak i ozdravljenje predsjednika Huga Chaveza. Također u potpunosti podržava venecuelanski i ostale narode Latinske Amerike u njihovom nastojanju da se odupru svjetskim hegemonima i ovladaju vlastitim resursima u interesu radnog naroda.

Video: Maduro o stanju Hugo Chaveza http://www.youtube.com/watch?v=KETNExAOCSg