Informazione


Giorno del Ricordo 2013

1) All'Università di Verona i nazisti sono al servizio del Rettore
2) Il giorno del Ricordo e la nota del MIUR (Marco Barone)
3) In difesa di Ivan Motika, accusato di essere un infoibatore (Claudia Cernigoi)
4) Un “infoibato” in meno, un partigiano trucidato dai nazifascisti in più: la vicenda di Antonio Ruffini (Alessandro -Sandi- Volk)
5) Resistenza al confine orientale e questione “foibe”: ricerca storica o disinformazione strategica? (Germano Raniero)
6) Le foibe sono un falso storico propagandato dai fascisti e usato dalla borghesia (Salvatore Vicario)
7) A Cervia, l'ANPI commette un errore che insulta le vittime dell’occupazione fascista della Slovenia


ALTRI LINK CONSIGLIATI: 

LA GIORNATA DELLA MENZOGNA 
Con una bellissima esposizione la storica Alessandra Kersevan dipinge un quadro completo dell’opera di revisionismo storico che la nostra classe politica, e non solo, porta ogni anno avanti attorno al tema dell’occupazione fascista in Jugoslavia e delle foibe.
trasmesso il 3 febbraio u.s., ora in podcast: 
http://www.radiazione.info/2013/02/la-giornata-della-menzogna/

IRREDENTIST ORGANIZATIONS
Pubblichiamo un capitolo del libro di Ive Mihovilović “Italian expansionist policy towards Istria, Rijeka, and Dalmatia (1945-1953) – Documents” pubblicato dall’Istituto di economia e politica internazionale di Belgrado nel 1954  riguardante le organizzazioni irredentiste italiane. Il libro è la traduzione in lingua inglese dell’originale in serbocroato “Italijanska ekspanzionistička politika prema Istri, Rijeci i Dalmaciji (1945-1953) – Dokumenti” Beograd, Institut za medunarođnu politiku i privredu, 1954.
SCARICA IN PDF IL CAPITOLO "IRREDENTIST ORGANIZATIONS":
http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/05/Org.-Irredent.4MB1_wm.pdf


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Maggiori informazioni sullo squadrismo fascista al servizio del Rettore di Verona si trovano alla pagina internet:

Si veda in particolare il video:
http://www.youtube.com/watch?v=4H80voa9zhc

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13 febbraio 2013

una lezione di Storia tra l’ostruzionismo dell’ateneo e l’irruzione di Casa Pound. Che fine ha fatto la cultura?

di Luca Romeo

Penso che quanto successo ieri, 12 febbraio 2013, all’Università di Verona sia una gravissima interruzione di democrazia e che l’ateneo veneto abbia confezionato una pessima figura agli occhi del mondo universitario nazionale e non solo.

Un incontro-lezione di Storia Contemporanea, è terminato con un irruzione violenta tra le pareti dell’edificio, un clima di tensione e paura e l’arrivo della polizia a circondare l’ateneo e permettere l’uscita alla relatrice e agli studenti che stavano seguendo il dibattito.

Andiamo con ordine.

Da circa un mese un collettivo studentesco interno all’università ha organizzato un incontro con la storica Alessandra Kersevan, dal titolo “Foibe: tra mito e realtà“. Un titolo di per sé provocatorio per quanto riguarda la vicenda che ha visto migliaia di italiani morire nelle fosse scavate nelle terre slave confinanti al Friuli, ma che va contestualizzato. Nessuna apologia dei crimini di Tito: la lezione storica ha portato alla luce alcuni dei fatti precedenti all’8 settembre 1943, giorno del secondo armistizio italiano durante la seconda guerra mondiale e – nella pratica – momento in cui l’Italia è passata da paese aggressore (della popolazione slava) a paese aggredito (dai partigiani slavi unitisi ai comunisti di Tito).

La sera precedente l’incontro – ripeto, organizzato da circa un mese – il rettore dell’ateneo decide di revocare il permesso dell’aula e di annullare l’incontro considerato “revisionista” e “negazionista”, trovando ampi consensi dai quotidiani locali L’arena e Il corriere del Veneto e il plauso del sindaco di Verona Tosi(Lega Nord).

Increduli, i ragazzi che hanno organizzato l’incontro, decidono di svolgere ugualmente la lezione. Io tra loro, puntuale alle 16, mi trovo tra i corridoi dell’ateneo a cercare di capire dove portare la storica Kersevan e dove assistere a questa lezione. Le aule, sono quasi tutte chiuse a chiave.

Piccola precisazione: il sottoscritto è a Verona da pochi mesi e non appartiene ad alcun collettivo studentesco, né a particolari partiti politici. La mia unica colpa, ieri pomeriggio, era quella di essere appassionato di Storia Contemporanea e di conoscere in modo parziale la vicenda delle foibe (in realtà, molto di quanto detto dalla storica sono notizie reperibili in diversi manuali in materia).

Già dal primo pomeriggio, il clima intorno all’ateneo è teso. Alcuni professori e un amministratore dell’università fanno di tutto per far desistere gli organizzatori dell’incontro, i quali sono decisi a permettere alla Kersevan di parlare. La storica, dal canto suo, non si china all’assurdità imposta dall’alto: che cosa può esserci di male in un dibattito sulla Storia? Tutt’al più si può ascoltare senza essere d’accordo e porre domande alla relatrice sulle questioni che si ritengono più spinose. Da amante della Storia Contemporanea, mi preparo all’incontro con questo spirito: prendere appunti, pormi dei dubbi e cercare di scioglierli facendo domande pertinenti alla professoressa improvvisata.

Il clima di tensione, però, si alimenta quando fuori dall’ateneo comincia un piccolo siparietto di alcuni esponenti di Casa Pound e Blocco Studentesco (gli studenti di estrema destra), i quali espongono uno striscione contro l’attività proposta in ateneo (compare la scritta “Non farti infoibare dall’ignoranza“) e una ‘mostra’ fotografica che presenta alcuni degli italiani maltrattati dai partigiani slavi dopo l’8 settembre 1943.

Inizialmente penso che ognuno sia libero di pensarla come meglio crede, che in fondo anche questi esponenti di estrema destra (che non sembravano studenti, ma persone di età maggiore) avessero il diritto di non voler partecipare all’incontro, in quanto strenui difensori di un patriottismo italiano che vede nelle foibe un simbolo di martirio. Poi però penso che l’incontro non si basa affatto su temi negazionisti, nessuno mette in discussione la vicenda delle foibe, ma che gli studenti – come me – appassionati di Storia Contemporanea, abbiano tutto il diritto di sapere per quale motivo gli slavi operarono con tanta ferocia sugli italiani e che cosa fosse successo prima di quell’armistizio. Ignoranza sarebbe non porsi queste domande: tutt’al più – come dicevo prima – si può non essere d’accordo. In fondo, è solo una lezione di storia.

Alle 16.30 circa, si trova finalmente un’aula nella quale seguire l’incontro. I professori e l’amministratore, per tutta risposta, cercano di ostacolarci in ogni modo. Ben tre volte viene tolta la corrente all’aula, in modo che la Kersevan non potesse proiettare le fotografie raccolte e costringendoci a seguire la lezione nel buio totale. Visto che alcuni studenti riescono in qualche modo a ripristinare la corrente (agganciando una prolunga all’elettricità fornita alla macchinette del caffè), qualcuno decide di far saltare la corrente dell’intero piano terra dell’edificio. Faccio presente che a questo piano c’è anche l’aula degli studenti diversamente abili, anch’essi rimasti senza luce e computer.

Trovo assurdo che un’università e un rettore ‘magnifico’ possano consentire tutto questo. In fondo, si tratta solo di una lezione di storia, senza apologie di macellai, senza scuse per nessuna atrocità, ma incentrata sull’esposizione di fatti spesso occultati, relativi all’occupazione italiana in Jugoslavia e Slovenia nei primi anni ’40.

Ma – non l’avrei mai detto – il peggio doveva ancora arrivare.

Quando l’interessante lezione è ormai al termine e quando ho già raccolto due pagine di appunti e ho pronte alcune domande che potessero sciogliere i miei dubbi, le parole della Kersevan vengono interrotte da un’irruzione degli esponenti di Casa Pound in università. Parte un fuggi fuggi generale, in aula la paura è tanta, tutti scappano verso il cortile interno. Molte ragazze perdono il controllo, alcune piangono, alcuni cadono nel tentativo di fuggire. Le porte dell’aula vengono sbarrate, purtroppo noi appassionati di Storia Contemporanea non siamo assolutamente portati allo scontro fisico e la paura di un aggressione è davvero forte.

A un certo punto, da un’altra uscita, gli esponenti di Casa Pound raggiungono il cortile dove ci eravamo rifugiati, scandendo slogan come “Tito boia! Tito boia!“. Questo mi fa pensare a come non avessero nemmeno idea sul tema del nostro dibattito. Nessuno, in quell’aula ha mai parlato di Tito come un santo, si cercava solo di approfondire le ragione dell’odio slavo nei confronti degli occupatori italiani.

Ci precipitiamo di nuovo dentro e stavolta sbarriamo anche le porte che danno al cortile. Regna il caos. Ci sentiamo topolini in trappola. Fortunatamente, qualcuno avverte la polizia che interviene disperdendo gli esponenti di estrema destra e ci permette di uscire per strada, scortando la storica Kersevan, che non solo ha dovuto subire il danno e la beffa di tenere una lezione universitaria al buio totale, ma che si è vista interrompere da un’irruzione che puzza di squadrismo fascista degno del Ventennio.

Avete capito come funziona l’università? Gli studenti appassionati di Storia non hanno i permessi di svolgere una pacifica lezione su temi assolutamente non negazionisti, ma di puro approfondimento. I rettori hanno la facoltà di proibire senza motivo tali incontri. I sindaci applaudono le decisioni. I funzionari dell’ateneo, anziché proteggere gli studenti, staccano loro la corrente elettrica. Agli esponenti di Casa Pound è permesso fare irruzione all’interno dell’università per ostacolare una lezione di storia.

I giornali locali stanno dalla parte dell’università, del sindaco – ça va sans dire – e di chi ha staccato l’elettricità e in definitiva dei contestatori di estrema destra.

Che cosa leggo ora sui giornali? Che verrà chiesta la revoca dello spazio autogestito dagli studenti dei collettivi, quelli che hanno organizzato l’incontro. Uno spazio di quattro metri per quattro di per sé insufficiente e per il quale esiste un contratto che non ha motivo di essere sciolto. Quale sarebbe il motivo? Avere organizzato un incontro culturale?

Stiamo freschi, questa è l’università italiana. Poi piangiamo se ci sono 50 mila iscritti in meno rispetto agli anni scorsi.

Cosa racconterò ai miei genitori? Loro mi dicevano: “Vai all’università e fregatene dei voti che prenderai, bada solo a imparare tutto quello che puoi, segui ogni corso possibile, partecipa ai convegni, ascolta tutte le campane e poniti sempre dei dubbi. In seguito fatti un’idea”.

Me ne sono fregato dei voti, sto cercando di imparare il più possibile, sto seguendo tutti i corsi che riesco e partecipando a ogni convegno che sembra interessante, ascoltando ogni campana disponibile e ponendomi innumerevoli dubbi.

Da ieri, un’idea me la sono fatta: l’università italiana, forse, non è pronta per ospitare studenti come me, che vogliono imparare. Che pessima figura. Quante assurdità, quante contraddizioni.

Che vergogna.



=== 2 ===

Da: Marco Barone <marcusbarone@...>
Date: 31 gennaio 2013 15:35
Oggetto: [15-O Trieste] Il giorno del Ricordo e la nota del MIUR

 
Il 10 febbraio è il giorno del ricordo, come previsto dalla LEGGE 30 marzo 2004, n.92 , la quale all'articolo 1 afferma che la Repubblica riconosce il 10 febbraio quale "Giorno del ricordo" al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della piu' complessa vicenda del confine orientale.
Il comma 2 invece rileva in particolar modo che nella giornata di cui al comma 1 sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado.
Come si evince dal testo di questa legge si dedica grande attenzione in via prevalente alla questione delle foibe e successivamente alla vicenda degli esuli.
E' giusto condannare le violenze contro ogni libertà di ogni persona, ma il giorno del ricordo è spesso “usato” per fini strumentali politici e nostalgici, affidando la memoria storica, che verrà tramandata alle nuove generazioni, ad una verità parziale, che dunque non è verità. Perché fino a quando non si parlerà compiutamente degli orroricommessi dal fascismo in Jugoslavia , fino a quando lo Stato Italiano non ricorderà e riconoscerà a dovere le fucilazioni di massa e distruzione di villaggi in Slovenia e Croazia avvenute sulla base di semplici sospetti di collusione con la Resistenza, fino a quando luoghi come il campo di concentramento di Visco (Ud), continueranno a rimanere nell'oblio, quale verità nel giorno del ricordo?
In questa società non si nasce liberi, lo si può però diventare. E per essere liberi si deve conoscere la verità.
Per condurre l'umanità verso la realizzazione della reale verità, si dovrà rifiutare ogni strumentalizzazione, ogni velo di ipocrisia, ogni parzialità per conquistare l' essenza dell'oggi utopica libertà. E' curioso notare come la  nota del MIUR n° 664 del 30 gennaio 2013, firmata dal Ministro Profumo, che invita le scuole ad intraprendere iniziative su tale giorno, sia integralmente, se non in via assoluta, incentrata sulla questione dell’esodo degli Istriani, Fiumani e Dalmati come avvenuta nel secondo dopoguerra, dimenticandosi in sostanza di "tutte le vittime" delle foibe.



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http://www.diecifebbraio.info/2013/02/in-difesa-di-ivan-motika-accusato-di-essere-un-infoibatore/

IN DIFESA DI IVAN MOTIKA, ACCUSATO DI ESSERE UN INFOIBATORE



Claudia Cernigoi

Febbraio 2013

INTRODUZIONE.

Nell’operazione in atto da diversi anni della riscrittura della storia a scopo politico, nella fattispecie nella parte
che concerne la rivalutazione del fascismo operata passando attraverso la criminalizzazione della lotta partigiana, un ruolo di rilievo è ricoperto dalla propaganda costruita intorno alle inchieste per i cosiddetti “crimini delle foibe”.
Nonostante la propaganda sulla “questione foibe” parli di “migliaia di infoibati sol perché italiani”, alla fine la
Magistratura è arrivata ad individuare un numero ristretto di morti che (senza voler mancare di rispetto a chi è stato ucciso), se inseriti nel giusto contesto storico e politico, finiscono col rappresentare una parte molto limitata delle vittime complessive di quell’enorme massacro che fu la seconda guerra mondiale. Quindi un’analisi di queste risultanze processuali dovrebbe porre fine alla canea che da decenni contamina la storia politica delle nostre terre.
Eppure, nonostante si sia più volte dimostrato che gli “infoibati” non furono migliaia, che gli uccisi furono o
persone compromesse col regime fascista e collaborazionisti dei nazisti, oppure vittime di vendette personali che non possono essere imputate al movimento partigiano o all’esercito di liberazione jugoslavo, nonostante questo, dicevamo, la propaganda e la mistificazione continuano.
Tipico in questo contesto il modo di fare disinformazione piuttosto che informazione da parte di molta stampa: titoloni in grassetto ed articoli a tutta pagina nei momenti in cui venivano indicati i nomi dei possibili indagati, dipinti come “feroci infoibatori”, “boia” e via di seguito; mentre nel momento in cui le risultanze processuali sancivano le archiviazioni o le assoluzioni, gli stessi periodici si limitavano a darne notizia in trafiletti di poche righe.
Così è accaduto anche per il cosiddetto “processo per le foibe”, che ha visto un imputato (il fiumano Oskar
Piškulić) processato e prosciolto dall’accusa di tre omicidi commessi nel maggio ‘45 a Fiume (e che nulla avevano quindi a che fare con la questione delle “foibe” istriane), mentre la posizione dell’altra imputata per gli stessi reati, Avjanka Margitić, deceduta prima dell’inizio del dibattimento è stata archiviata per “morte del reo”. La stessa archiviazione è stata fatta per Ivan Motika, che era stato indicato quale responsabile degli “infoibamenti” dell’Istria del 1943, anch’egli morto prima dell’inizio del processo. Ma, mentre la questione di Fiume è stata alla fine in un certo qual senso chiarita in sede giudiziaria (e ad essa andrebbe dedicato uno studio a parte, data la complessità della vicenda), nessuna chiarificazione è stata fatta per quanto concerne le accuse rivolte ad Ivan Motika, morto con la nomea dell’“infoibatore” a causa della campagna stampa condotta sui giornali, nonostante contro di lui non vi fossero, come intendiamo dimostrare in queste pagine, elementi sufficienti per provarne la colpevolezza. Dato che Motika non ha avuto giustizia in vita, lo scopo di questa pubblicazione è di cercare di rendere giustizia quantomeno alla sua memoria, valutando da una parte le testimonianze presentate contro di lui in istruttoria e producendo d’altra parte quali elementi a suo discarico altre testimonianze e documenti storici che abbiamo raccolto. ...


continua a leggere e scarica in pdf      IN DIFESA DI IVAN MOTIKA: http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2013/02/IN-DIFESA-DI-IVAN-MOTIKA..pdf

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http://www.diecifebbraio.info/2013/02/un-infoibato-in-meno-un-partigiano-trucidato-dai-nazifascisti-in-piu-la-vicenda-di-antonio-ruffini/

UN “INFOIBATO” IN MENO, UN PARTIGIANO TRUCIDATO DAI NAZIFASCISTI IN PIÙ

La vicenda di Antonio Ruffini

di Alessandro (Sandi) Volk

Antonio Ruffini è nato a Termoli, in Molise, il 16 aprile 1921. Figlio di Donato, ferroviere, e di Concettina Mucci, nel 1927 rimane orfano del padre, morto in un incidente sul lavoro. La madre rimane sola con tre figli, Antonio, Cleofino e Maria. Antonio è il maggiore e nel 1928 viene accolto presso il Convitto nazionale di Veroli, dove rimane per 12 anni, fino al conseguimento del diploma magistrale (maestro elementare) nell’estate del 1940. Subito dopo si iscrive all’Istituto Universitario Orientale di Napoli, ma già nel febbraio del 1941 viene richiamato alle armi. Pur avversando la guerra Antonio non può che rispondere alla chiamata e viene spedito in zona di guerra con il 31° reggimento fanteria. In settembre viene ammesso al corso ufficiali di complemento a L’Aquila. Nell’aprile del 1942 viene nominato sottotenente di complemento e il 16 aprile giunge al XVI deposito G.a.f. (Guardia alla Frontiera) di Tolmezzo. Nel maggio dell’anno seguente viene trasferito al 153° regg. Fanteria mobilitato a Trieste, che opera in territorio dichiarato in stato di guerra (nella zona tra Divača (Divaccia), Sežana (Sesana), Ilirska Bistrica (Villa del Nevoso) e Pula (Pola)).Nel giugno del 1943 viene trasferito al 53° regg. della divisione »Sforzesca«, in ricostruzione a Trieste dopo le gravissime perdite subite in Russia. Il 31 marzo 1943 la famiglia riceve la sua ultima cartolina, poi arriva l’8 settembre. Antonio, come centinaia di migliaia di soldati del Regio Esercito, si »sbanda«. Nel suo stato di servizio l’ultima annotazione è del 21 febbraio 1947: »Disperso a Capodistria (Istria) durante lo sbandamento nel marzo 1944«.

Ma perchè quel riferimento a Capodistria e al marzo del 1944? Si tratta del risultato delle ricerche che la madre di Antonio, rimasta sola con la figlia minore Maria (il figlio più giovane, Cleofino, è infatti caduto come armiere della torpediniera “Ciclone” della Regia Marina nell’agosto 1942 venendo insignito della medaglia d’argento al VM), inizia appena le è possibile farlo, all’indomani della liberazione di Termoli (3 ottobre 1943), per sapere che fine avesse fatto il suo figlio maggiore. Nel corso delle sue ricerche la signora Concettina entra in corrispondenza con un certo Carlo Nobile di Capodistria. Il Nobile è una persona importante a Capodistria: possidente, è uno dei maggiorenti della città ed è stato l’ultimo sindaco – socialista – liberamente eletto di Capodistria prima del fascismo. Il 27 luglio 1945 il Nobile manda una cartolina alla vedova Ruffini, in cui scrive tra l’altro: »… Le ripeto che Suo figlio, il 23 marzo 1944, verso le ore 21 fu costretto a lasciare casa mia assieme a Renato Castiglione di Napoli e Arturo Russo di Taranto da una pattuglia di partigiani che li invitarono seco loro. In quel medesimo periodo i partigiani fecero partire anche parecchi giovani del luogo. D’accordo con i partigiani i tre promisero di scriverci a un indirizzo convenuto. Nulla più ricevemmo, né allora né poi. Da informazioni qui attinte sembra che i tre sono stati fatti passare in Friuli con i garibaldini italiani, ma nulla purtroppo abbiamo potuto sapere di positivo. Può anche essere che durante il tragitto siano stati fatti prigionieri dai tedeschi e in quel caso – come nell’altro che siano rimasti con i partigiani in luoghi remoti – le notizie, e loro fatti potrebbero giungere di giorno in giorno. Ciò appunto fervidamente auguro a Lei, Distinta Signora, e a noi tutti….«.

CONTINUA A LEGGERE E SCARICA IL PDF COMPLETO: http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2013/02/UN-INFOIBATO-IN-MENO-UN-PARTIGIANO-T-RUCIDATO-DAI-NAZIFASCISTI-IN-PIÙ-112.pdf


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Da: gcraniero @ libero.it 
Inviato: martedì 12 febbraio 2013 17:51
A: lettere@...
Oggetto: FOIBE..ALCUNE RIFLESSIONI ...SULLA REALTA' E SULLA PROPAGANDA.
 

 

Resistenza al confine orientale e questione “foibe”: ricerca storica o disinformazione strategica?

Nella ricerca storica sulla questione delle “foibe” il primo periodo storico da esaminare è quello dell’immediato dopo 8 settembre 1943, quando, in seguito all’armistizio firmato con gli Alleati, i militari italiani furono abbandonati dai vertici dell’esercito e si trovarono allo sbando. In questo stato di vacanza del potere alcune zone dell’Istria passarono per breve tempo sotto il controllo delle formazioni partigiane; vi furono arresti di persone, in genere compromesse con il regime fascista, ed anche esecuzioni sommarie causate da vendette personali. Le vittime di questo periodo furono circa 300; i corpi di 200 di queste vittime furono riesumati da svariate “foibe”, ma su questi recuperi torneremo più avanti.
Consideriamo ora invece che per riprendere il controllo del territorio i nazifascisti causarono, tra fine settembre ed i primi di ottobre, migliaia di vittime nel territorio istriano: il fatto è che di questi morti non si parla mai, come se non esistessero, nonostante siano almeno dieci volte più numerosi degli “infoibati” nel periodo immediatamente precedente. 
Da subito iniziò l’uso strumentale delle foibe per nascondere i crimini commessi dai nazifascisti: si misero in evidenza esclusivamente le violenze operate dai partigiani tacendo della feroce repressione nazifascista. Esempio di questa manovra è la pubblicazione di un libello dal titolo “Ecco il conto!”, pubblicato sia in lingua italiana che in lingua croata, contenente alcune foto di esumazioni di salme e basato fondamentalmente su slogan anticomunisti. Si volle in tal modo creare un clima di terrore nella popolazione allo scopo di isolare il movimento partigiano, che veniva descritto come feroce e pericoloso per tutti i civili, e che lo scopo del potere era proprio quello di difendere la popolazione dalle violenze dei partigiani.
Per comprendere come iniziò la propaganda nazifascista : < I servizi della X Mas assieme a quelli nazisti organizzarono la riesumazione propagandistica degli uccisi, con ampio uso di foto raccapriccianti dei cadaveri semidecomposti e dei riconoscimenti da parte dei parenti. Le prime pubblicazioni organiche di propaganda sulle foibe sono due: “Ecco il conto!” edita dal Comando tedesco già nel 1943, ed “Elenco degli Italiani Istriani trucidati dagli slavo-comunisti durante il periodo del predominio partigiano in Istria. Settembre-ottobre 1943” redatto nel 1944 per incarico del Comandante Junio Valerio Borghese, capo della X Mas e dell’on. Luigi Bilucaglia, Federale dei Fasci Repubblicani dell’Istria, da Maria Pasquinelli con l’ausilio di Luigi Papo ed altri ufficiali dei servizi della X Mas >.

Un altro documento che dovrebbe servire a mettere fine alla querelle sul numero degli infoibati nel periodo in questione è una nota inviata al capitano Miani dal federale dell’Istria Bilucaglia, nell’aprile 1945, che accompagnava 500 pratiche relative a risarcimenti destinati a parenti di persone uccise dai partigiani dall’8/9/43 fino allora. È quindi una stessa fonte ufficiale fascista a dichiarare che, ad aprile 1945, gli “infoibati” in Istria non erano stati più di 500, comprendendo in questo numero anche gli uccisi per fatti di guerra nei 18 mesi successivi al breve periodo di potere popolare nella zona di Pisino.

II fase: dopo il maggio 1945: le foibe come “contraltare” ai crimini di guerra italiani.

La propaganda sugli infoibamenti e sui crimini che sarebbero stati commessi dai liberatori ricominciò dopo la fine della guerra. In tutta Italia (come del resto negli altri paesi d’Europa che furono occupati dai nazifascisti) si verificarono delle rese dei conti contro chi aveva collaborato con il nemico invasore, però (pur in presenza di operazioni come la corposa produzione letteraria sui “crimini dei liberatori”, della quale Giampaolo Pansa è uno dei capiscuola) la propaganda oggi sembra concentrarsi per la maggior parte sugli avvenimenti del confine orientale.

III fase, anni ’90, grandi manovre.

All’inizio degli anni ‘90, dopo il crollo del muro di Berlino e l’asserita “fine del comunismo”, con il contemporaneo sfascio della Jugoslavia, anche la pubblicistica sulle foibe ha conquistato nuova linfa.
Fondamentale in questa operazione il ruolo del pordenonese Marco Pirina, che negli anni ‘60 e ‘70 era stato un attivista di estrema destra (quale rappresentante del Fronte Delta fu coinvolto nelle indagini sul tentato golpe Borghese, e poi prosciolto), che iniziò una serie di pubblicazioni sulle vicende del confine orientale, finalizzate a dimostrare la “barbarie” dei partigiani, la violenza dei “vincitori”, ma usando a questo scopo metodi poco ortodossi, come il moltiplicare la quantità di “infoibati” inserendo negli elenchi delle “vittime dei titini” anche moltissimi nominativi di persone che non erano state uccise dai partigiani.
 Il dato è che solo una minima parte di coloro che morirono per mano partigiana durante e dopo la guerra furono effettivamente uccisi nelle foibe, mentre la maggior parte di coloro che persero la vita nel dopoguerra morirono nei campi di prigionia o dopo condanna a morte. Ma accettare a livello storicistico una tale definizione, che nell’immaginario collettivo ha sempre richiamato l’immagine di una morte terribile, significa soltanto voler perpetuare una generalizzazione mistificante che non fa certo un buon servizio alla realtà storica.

Punto finale, 2010: “colpire la memoria, riscrivere la storia”.

“Operazione foibe a Trieste” si apriva con la citazione di alcuni versi della canzone “Ruggine” degli Africa Unite: “colpire la memoria, riscrivere la storia”, parole che a distanza di 13 anni appaiono quanto mai appropriate. Nel 2004 fu approvata la legge per l’istituzione del Giorno del ricordo “della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale” (14), da celebrare il 10 febbraio, cioè nell’anniversario della firma del Trattato di pace del 1947. 

Sostanzialmente in tal modo viene lasciato ai propagandisti come Pirina di entrare nel merito concreto della questione (cioè i

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DALLA STIRPE DELLA "BALILLA"


[NB. Il nome "Lussino" richiama la nota isola e dunque l'origine istriano-dalmata di Sergio Marchionne da parte di madre. 
Sul sostegno di Marchionne alle attività della lobby degli "esuli" istriano-dalmati si veda ad esempio: 
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6969
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7281 ]

http://motoriblog.net/auto/7676/fiat-lussino-concept-librida-che-percorre-43-kmlitro

Lunedì 18 febbraio 2013

Fiat Lussino Concept, l'ibrida che percorre 43 km/litro
 
Il designer industriale Joseph Martinez propone la sua idea di vettura ibrida nello stile Fiat. Si nota qualcosa di retrò in questo rendering che mostra una vettura un pò più grande della Fiat 500, con il bagagliaio in cui alloggia la ruota di scorta, che si trova anteriormente ed il motore posizionato al posteriore.  
La piccola vettura ibrida potrebbe essere equipaggiata con un motore elettrico insieme ad un motore termico con sistema TwinAir 0.9 litri da 130 CV. L'unità elettrica è alimentata da un pacco batterie situato sotto i sedili posteriori. La ricarica può essere effettuata presso una stazione di ricarica.
La Fiat Lussino percorre 100 mpg (miglia per gallone americano corrisponde a 1,60 km per 3,79 litri), che sono circa 43 km/litro. Il prezzo della citycar ibrida, se entrasse in produzione, si aggirerebbe sui 26.000 dollari.
 
[FOTO: http://motoriblog.net/auto/7676/fiat-lussino-concept-librida-che-percorre-43-kmlitro ]


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Iniziative segnalate a Trieste, Roma, Mel

1) Trieste/Trst 18/2: GLI EFFETTI DEL REVISIONISMO STORICO
2) 19 Febbraio, GIORNO DEI MARTIRI in Etiopia. Importante iniziativa a ROMA
3) Mel (BL) 23/2-3/3: QUANDO MORI' MIO PADRE 


=== 1 ===

Trieste/Trst, lunedì 18 febbraio 2013
alle 12.30 presso il Caffè Tommaseo 

Alberto Burgio e Claudia Cernigoi 
candidati alla Camera dei Deputati 
parleranno degli effetti del revisionismo storico

Iniziativa organizzata nell’ambito della campagna elettorale per le prossime elezioni politiche della Lista Rivoluzione Civile – Ingroia


=== 2 ===

Inizio messaggio inoltrato:

Da: "l.candreva @ tiscali.it
Data: 11 febbraio 2013 19.26.50 GMT+01.00
A: <Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>
Oggetto: [storia_e_conflitto] 19 febbraio, giorno dei martiri

 


Ciao, 
allego comunicato stampa sul giorno dei martiri. Gino

“IL GIORNO DEI MARTIRI”
(19 FEBBRAIO 1937 – 19 FEBBRAIO 2013)

La data del 19 febbraio, rappresenta per il popolo etiopico il “Giorno della Memoria” in cui sono state commesse atrocità terribili durante il periodo dell’aggressione e dell’occupazione da parte dell’Italia fascista (1935-1941). 
Questa giornata è stata assunta a simbolo di tutti quegli anni in cui gli etiopi hanno dovuto subire sofferenze, sacrifici e lutti indimenticabili.
Gli accadimenti di quel giorno e di quelli immediatamente successivi riguardano in particolare la spietata e diabolica rappresaglia scatenata dai fascisti per vendetta, in seguito ad un attentato, compiuto dai patrioti etiopi, contro il viceré  Rodolfo Graziani ed altri gerarchi del suo seguito ed avvenuto nella capitale Addis Abeba occupata e martoriata. Il 19–20 e 21 febbraio 1937 sono stati massacrati senza pietà alcuna più di 30.000 cittadini etiopi, quasi tutti civili, anziani, donne, bambini e mendicanti. Alcuni di loro furono addirittura bruciati vivi nelle proprie case, i tradizionali “tucul” di fango, legno e paglia, dove cercavano rifugio nascondendosi dai  scatenati criminali militari e civili italiani che risiedevano nella capitale.
Oltre ad essere ricordata nel nostro Paese, l’Etiopia, la ricorrenza è celebrata nelle maggiori città del mondo dove sono presenti e vivono numerosi cittadini della diaspora etiopica. 
Quest’anno la ricorrenza è particolarmente sentita, in particolare a dimostrazione della più assoluta condanna  da parte delle comunità etiopiche, a causa dell’edificazione ad Affile, un paesino situato sull’altipiano di Arcinazzo, a 60 km circa da Roma, di un monumento in onore di colui che è definito il “macellaio d’Etiopia” e cioè proprio il generale Graziani, riconosciuto anche dalle Nazioni Unite come criminale di guerra e responsabile, al pari di Mussolini e ad altri gerarchi ed ufficiali fascisti.
Fra gli altri atroci e numerosi crimini ordinati dal Graziani, ricordiamo l’assassinio di più di 1.200 monaci e chierici cristiani, alcuni di questi giovani orfanelli, della più importante città conventuale dell’Etiopia, Debre Libanos, distante circa 100km da Addis Abeba.
Vi invitiamo a partecipare ed a promuovere questa iniziativa, per dimostrare come gli onesti e democratici cittadini italiani non tollereranno mai che vengano onorati i criminali ed offese più di un milione di vittime, come i martiri e resistenti patrioti Etiopi.


SCARICA LA LOCANDINA: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/roma190213.jpg


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MEL (Belluno)
Palazzo delle Contesse
23 febbraio 2013 ore 18

Inaugurazione della Mostra 

“Quando morì mio padre”, testimonianze e disegni di bambini sloveni e croati nei campi di internamento italiani tra 1941 e 1943

Saluto: Stefano Cesa, Sindaco di Mel

Introduzione: Roberto Tacca, Presidente Anpi sez. “La Spasema”

Interventi:
Metka Gombac, Archivio di stato della Repubblica di Slovenia
Boris M Gombac, Museo nazionale della Repubblica di Slovenia
Dario Mattiussi, Segretario Centro isontino di ricerca “Leopoldo Gasparini”

La mostra resterà aperta fino al 3 marzo 2013.
Orari: da lunedì a venerdì dalle 18 alle 20 – sabato e domenica dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 19
INGRESSO LIBERO






Kosovo: Schamlose Bereicherung

1) Proteste gehören zum Alltag (Hannes Hofbauer)
2) Wird Tschechien die Kosovo-Frage überdenken? (Timur Blochin)


Auch lesenswert: 

Gewalt im Kosovo: „Ethnische Säuberungen im Beisein der Nato“
Die Nato-Friedensmission im Kosovo ist völlig gescheitert und hat massive ethnische Säuberungen gegen die Kosovo-Serben im März 2004 nicht verhindert, sagte Serbiens damaliger Regierungschef Vojislav Kostunica. Auszüge aus dem Balkan-Tagebuch eines russischen Journalisten. 
Konstantin Katschalin - 7.02.2013

Mit Sternchen und Fußnote
Niemals werde Serbien einen unabhängigen Staat Kosovo anerkennen, verkünden die Regierenden in Belgrad seit Jahren – auch nicht im Tausch für die Aufnahme in die EU. Den EU-Beitritt hat Belgrad inzwischen jedoch zur »Priorität« erklärt. Woraus ein wahrer Eiertanz in der Kosovo-Frage resultiert.
Detlef D. Pries - 15.02.2013

Weiteres zum Thema: www.free-slobo.de


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Da: "Y.&K.Truempy" <trumparzu  @  bluewin.ch>
Data: 15 febbraio 2013 19.30.04 GMT+01.00
Oggetto: Kosovo: Schamlose Bereicherung

In  http://www.neues-deutschland.de/artikel/812977.proteste-gehoeren-zum-alltag.html [hier unten] wird anlässlich des fünften Jahrestages der einseitige Unabhängigkeitserklärung Kosovos die trostlose wirtschaftliche und politische Situation im EU-Protektorat beschrieben. Auch die persönlichen Bereicherungen vor Ort ehemaliger US-Akteure wie der ehemaligen US-Außenministerin Madeleine Albright und des früheren NATO-Oberkommandierenden Wesley Clark  werden thematisiert. Das wochenlange Bombardement Restjugoslawiens wurde gerade von den Obengenannten mit "Menschenrechts"-Argumeneten begründet. An Veranstaltungen wie etwa den jährlich wiederkehrenden pompösen Srebrenica-"Gedenkfeiern" sollten diese Mafiosi sicher auch noch etwas dazuverdienen können. Nicht zu vergessen die wertvollste Kriegsbeute, die riesige US-Militärbasis Camp-Bondsteel im Kosovo.
Kaspar Trümpy, ICDSM Schweiz

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Von Hannes Hofbauer
 
15.02.2013
 

Proteste gehören zum Alltag

Wirtschaftliche Krise, schamlose Bereicherung: Am Jahrestag der Unabhängigkeit gibt es nichts zu feiern

Am 17. Februar jährt sich zum fünften Mal die einseitige Unabhängigkeitserklärung Kosovos. Zuvor stand das Gebiet ein knappes Jahrzehnt unter UN-Verwaltung, nachdem die NATO 1999 die gewaltsame Abtrennung der mehrheitlich albanisch besiedelten südserbischen Provinz vom damaligen Jugoslawien unterstützt hatte. Umstritten ist die Unabhängigkeit Kosovos nach wie vor, unbestritten bleibt seine andauernde Unselbstständigkeit.

Zum 5. Jahrestag der einseitig ausgerufenen Unabhängigkeit am 17. Februar gibt es in Kosovo nicht viel zu feiern. Selbst hart gesottene albanische Nationalisten sehen ihre Träume in weite Ferne gerückt. Die UN-Resolution 1244, nach der Kosovo ein »integraler Bestandteil Jugoslawiens« bleibt, ist nach wie vor in Kraft, und mit ihr die sogenannte »Statusneutralität« des kleinen Balkanlandes, womit die Weltgemeinschaft ihre Ratlosigkeit in Bezug auf die Lösung der Statusfrage juristisch umschreibt. Immer noch tummeln sich Tausende »Internationale« in allerlei zivilen, rechtlichen und militärischen Missionen und dokumentieren mit dicken Allradautos und fetten Gehältern den kolonialen Charakter ihres Aufenthalts.

Noch nicht einmal eine nationale Telefonvorwahl konnte erreicht werden, weshalb man seit Jahren mit monegassischen Mobiltelefonnummern operiert. Und seit das Parlament in Prishtinë (serbisch Priština) vor eineinhalb Jahren die Einführung von islamischem Religionsunterricht sowie das Tragen von Kopftüchern für Mädchen an den Schulen verboten hat, ist die Zahl der Staaten, die Kosovo anerkennen, sogar zurückgegangen: Das arabische Sultanat Oman interpretierte die religionskritischen Töne offensichtlich als islamfeindlich und zog sein Anerkennungsschreiben »mangels Vollzug«, wie es hieß, zurück.

97 (von 193) UN-Mitgliedstaaten sehen in Kosovo einen unabhängigen Staat, selbst innerhalb der EU herrscht in dieser Frage keine Einigkeit. Die größten Probleme liegen jedoch im wirtschaftlichen und sozialen Bereich. Europaweit führend ist das 1,8 Millionen Einwohner zählende Land bei der Arbeitslosigkeit. Offiziell wird sie mit 44 Prozent ausgewiesen, die Gewerkschaft BSPK spricht von 60 Prozent. Die Armutsstatistik folgt dem Befund vom faktisch nicht existierenden Arbeitsmarkt: Jeder sechste Kosovare hat weniger als einen Euro pro Tag zur Verfügung. Arbeiterlöhne liegen zwischen monatlich 200 und 300 Euro, Renten von 50 Euro sind keine Seltenheit. Ohne regelmäßige Überweisungen von Familienmitgliedern aus der kosovarischen Diaspora, die jährlich mit schätzungsweise 500 Millionen Euro zu Buche schlagen, könnten viele Menschen hier nicht überleben.

Proteste gegen Preiserhöhungen und die korrupte politische Elite gehören mittlerweile zum Alltag. Zuletzt waren am 7. Februar wieder knapp 2000 Menschen auf den Straßen, um gegen die Verdoppelung des Strompreises innerhalb eines Jahres zu protestieren. Der einzige Stromversorger des Landes, die KEK, hat unter neuer türkischer Eigentümerschaft die Preisschraube angezogen. Daraufhin versuchten die Demonstranten, die Zentrale des Strommonopolisten zu stürmen, wurden aber - wie schon im Oktober 2012, als 66 Personen verhaftet worden waren - von der Polizei zurückgedrängt.

Der billige Ausverkauf ehemals sozialisierter Betriebe stößt vor allem bei der links-nationalen Gruppe Vetëvendosje (VV - Selbstbestimmung), die bei den vergangenen Wahlen 12,5 Prozent Zustimmung erhielt, auf Widerstand. Zu schamlos und offensichtlich bedienen sich ehemalige Weggefährten aus den Zeiten, in denen gemeinsam Krieg gegen Belgrad geführt wurde, an den wenigen Filetstücken der kosovarischen Wirtschaft.

Die schamlose Bereicherung findet indes nicht nur vermittels mafiotischer Strukturen innerhalb der albanischen Elite statt, sondern auch die Alliierten des Jahres 1999 sind daran beteiligt. So ritterte die US-Firma »Albright Capital Management« der gleichnamigen ehemaligen US-Außenministerin um den Mehrheitsanteil des Post- und Telekomunternehmens PTK und der frühere NATO-Oberkommandierende Wesley Clark hält als Vorsitzender des Konzerns Envidity die Hand über große Kohlevorkommen in Kosovo. Für US-amerikanische Kriegsherren hat sich der Einsatz für Kosovo also auch persönlich gelohnt, die Mehrheit der Kosovaren lebt heute allerdings schlechter als zu jugoslawischen Zeiten.


Protektorat der EU: Zahlen und Fakten

● Das Gebiet Kosovos war mehrfach Schauplatz von Unruhen und bewaffneten Konflikten. Albaner beanspruchen als »Urbevölkerung« die ältesten Rechte, Serben betrachten die Region als Wiege ihrer Nation.

● Mit einer Fläche von knapp 11 000 Quadratkilometern ist Kosovo etwa halb so groß wie Hessen. Das Durchschnittsalter der mehr als 1,8 Millionen Einwohner wird auf rund 27 Jahre beziffert. Nach Schätzung der OSZE sind davon 91 Prozent Albaner, 4 Prozent Serben und 5 Prozent übrige Minderheiten. Neben der muslimischen Mehrheit gibt es vor allem orthodoxe Christen. Offizielle Amtssprachen sind Albanisch und Serbisch.

● Obwohl Kosovo nicht der Euro-Zone angehört, wird dort in Euro gezahlt. Früher war auf Beschluss der Vereinten Nationen schon die D-Mark offizielles Zahlungsmittel. Das Durchschnittseinkommen betrug 2010 rund 300 Euro. Das Bruttoinlandsprodukt pro Einwohner lag bei knapp 2000 Euro (Deutschland: 30 500 Euro). Seit Jahren liegt die offizielle Arbeitslosigkeit bei über 40 Prozent.

● Zwar wurde Kosovo im September 2012 offiziell aus der »überwachten Unabhängigkeit«, wie sie der Plan des ehemaligen finnischen Präsidenten Martti Ahtisaari vorsah, in die »volle Souveränität« entlassen, doch bleibt die Selbstständigkeit des »jüngsten Staates in Europa« eingeschränkt. Die EU unterhält dort ihre größte Auslandsmission, die »Rechtsstaatsmission« EULEX. Bis zu 2000 Polizisten, Staatsanwälte und Verwaltungsbeamte mit weitreichenden Befugnissen »beobachten und beraten« die örtlichen Behörden. Missionschef ist seit Anfang Februar der deutsche Diplomat Bernd Borchardt.

● Für ein »sicheres Umfeld« soll die NATO-geführte Kosovo-Truppe KFOR mit derzeit noch 5100 Soldaten aus 31 Staaten sorgen. Kommandiert wird sie seit September 2012 vom deutschen Generalmajor Volker Halbauer.

● Auch die 1999 eingesetzte UN-Mission in Kosovo (UNMIK) ist – in erheblich reduzierter Stärke – noch aktiv. Sie fungiert unter anderem als Vermittler für jene Staaten, die Kosovos Unabhängigkeit nicht anerkannt haben. Gegenwärtiger Chef ist Farid Zarif aus Afghanistan. UN-Mitglied kann das Land nicht werden, solange Russland und China als ständige Mitglieder des Sicherheitsrates dem nicht zustimmen. (dpa/nd)



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http://german.ruvr.ru/2013_01_31/Wird-Tschechien-die-Kosovo-Frage-uberdenken/

Wird Tschechien die Kosovo-Frage überdenken?

Timur Blochin - 31.01.2013, 18:07

Tschechien kann seine Anerkennung des Kosovo abberufen. Der neue Präsident des Landes Miloš Zeman hatte schon während des Wahlkampfes versprochen, im Fall eines Wahlsieges nicht zuzulassen, dass Tschechien seinen Botschafter nach Priština entsendet. Wie jetzt die serbischen Massenmedien mitteilen, habe der neue tschechische Staatschef bereits die Erörterung der Kosovo-Frage mit seinem Team begonnen.

Zeman ist nicht der erste tschechische Staatschef, der hinsichtlich der südlichen serbischen Provinz mit der eigenen Regierung nicht einer Meinung ist. Der frühere Präsident Václav Klaus erklärte seinerzeit, er schäme sich für die Entscheidung der Regierung, das Kosovo anzuerkennen. Man könnte auch daran erinnern, wie er den Präsidenten des Kosovo Atifete Jahjaga bei dessen Besuch in Prag nicht empfangen hatte. Dabei ist interessant, dass eine Meinungsumfrage, die mehrere Monate nach der Ausrufung der Unabhängigkeit des Kosovo durchgeführt wurde, erbrachte, dass mehr als die Hälfte der Tschechen meinte, das würde sich auf die Stabilität auf dem Balkan negativ auswirken.

Unwillkürlich denkt man da an die in Tschechien existierende „slawische Solidarität“ mit dem serbischen Volk. Hören Sie hierzu die Meinung des tschechischen Journalisten und Politikwissensch aftlers Libor Dvořák:

„Herr Zeman demonstriert eine beneidenswerte Beständigkeit in seinen Meinungen, und dass er gegen die Unabhängigkeit des Kosovo ist, ist kaum erstaunlich. Aber es muss gesagt werden, dass gerade Zeman in der Eigenschaft als Ministerpräsident im Jahr 1999 für die Bombardierung des damaligen Jugoslawiens eingetreten war und auf diese Weise im Grunde genommen einen Beitrag zum Entstehen des eigenständigen Staates Kosovo geleistet hatte. Und zweitens, und das sagten ihm bereits die Vertreter unserer Demokratischen Bürgerpartei (ODS), darf er nicht vergessen, dass die Außenpolitik eine Prärogative der Regierung, nicht aber des Präsidenten ist. Demnach wird es ihm kaum gelingen, ein solches Projekt zu realisieren.“

Seinerseits meint der stellvertretende Vorsitzende der Serbischen Radikalen Partei Nemanja Šarović, dass der Präsident Tschechiens durchaus die Initiative äußern könne, die Anerkennung des Kosovo zu revidieren, und das Ergebnis sei nicht so sehr vorauszusagen:

„Auch bei uns in Serbien haben wir das parlamentarische System, und die Vollmachten des Präsidenten sind oft protokollarisch. Aber in Fällen, wo eine prägnante politische Figur das Amt des Präsidenten ausübte, da folgte im Grunde genommen das Parlament dem Präsidenten, und nicht umgekehrt. Wie die Staaten ihre Position zum Kosovo formulieren werden, das hängt im ernsten Maße von Serbien selbst ab.“

Doch wie dem auch sei, Tschechien bewegt sich auf einer Bahn, die Brüssel gelegt hat. In der EU herrscht, was das Kosovo betrifft, keine einhellige Meinung. Allerdings sollte man zum Beispiel daran erinnern, dass das Europaparlament im Jahr 2010 eine Resolution verabschiedet hatte, die einen Appell an jene EU-Länder enthielt, die das Kosovo wegen der Territorialstrei ts und der Probleme mit den nationalen Minderheiten nicht anerkannt haben (das waren Zypern, Spanien, Griechenland, die Slowakei und Rumänien), das dennoch zu tun. Wird es gelingen, die Zeit zurückzudrehen?


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(Nell'intervista rilasciata dal generale russo Leonid Ivashov, che riportiamo di seguito, si analizza tra l'altro l'ipotesi di annessione del Montenegro nella NATO)

ИН4С: Интервју са генералом Леонидом Ивашовим
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=pOMA4v0m-eU

http://www.beoforum.rs/forum-prenosi-beogradski-forum-za-svet-ravnopravnih/449-general-ivasov-crna-gora-ulaskom-u-nato-postaje-topovsko-meso.html



Предсједник московске Академије за геополитичке проблемe и руски генерал Леонид Ивашов оцијенио је, у интервјуу за портал ИН4С, да би Црна Гора уласком у НАТО само постала топовско месо за реализацију освајачких циљева тог војног савеза.

Генерал Ивашов је један од најугледнијих руских војних стручњака, а познат је по томе што је 1999. године први ушао са руским трупама СФОР-а на Косово и Метохију и заузео аеродром Слатина код Приштине.

Он је нашој јавности познат и по томе што је био један о свједока одбране на суђењу Слободану Милошевићу пред Хашким трибуналом.

Ивашов за портал ИН4С говори о томе како је предухитрио НАТО и запосјео приштински аеродром, о освајачким плановима Сјеверноатланске алијансе, враћању Русије на глобалну сцену, новим безбједоносним ризицима, односу Подгорице и Москве...

Он је казао да је НАТО криминална организација и да би Црна Гора прикључењем том војном савезу ушла у друштво разбојника.

"НАТО је међународни разбојник кога плаћају да пљачка и као у било којој криминалној структури треба крвљу повезати што је могуће више земаља савезника. Шта ће од тога добити Црна Гора, не усуђујем се да кажем, али сваки црногорски држављанин треба да зна да је њихова земља позвана да се придружи банди разбојника и да ће бити приморани да пљачкају друге народе, да убијају цивиле, односно нападају друге државе као што се то догодило у Југославији, Ираку, Либији или што се дешава данас у Сирији", навео Ивашов.

Он је истакао да НАТО једино занима да грађани Црне Горе постану топовско месо за реализацију освајачких циљева тог војног савеза.

"Њима је потребно топовско месо, потребни су им војници који ће се умјесто енглеских и америчких војника борити за интересе супербогатих људи, за интересе Сједињених Америчких Држава, Велике Британије и можда још неке друге земље. Не видим никакву корист Црне Горе од уласка у банду разбојника каква је НАТО", казао је Ивашов.

"Сваки црногорски држављанин треба да зна да је њихова земља позвана да се придружи банди разбојника и да ће бити приморани да пљачкају друге народе, да убијају цивиле, односно нападају друге државе као што се то догодило у Југославији, Ираку, Либији или што се дешава данас у Сирији"


НАТО банда разбојника

Он није искључио могућност да се војници из Црне Горе, уколико приступи НАТО-у, једног дана нађу у првим редовима напада на Русију.

"Американци не желе лично да се боре са нама, они желе да се Европљани боре, можда не у великом рату, већ у неким мањим сукобима са Русијом. Чињеница је да када постоје трупе разних страна на терену нико те не пита да ли си ти Србин, Црногорац или Енглез. Али, ако Црна Гора уђе у НАТО, први које ће послати у рат против Русије биће наша словенска браћа. За њих је геополитички веома важно да разбију јединство словенских народа, да дође до крвопролића међу Словенима. То је сасвим могуће. Ради тога они сада спроводе мјере на Балкану и уопште у цијелом православно-словенском свијету, мјере за осујећење нашег духовног савеза, а проливање братске крви би им то омогућило", упозорио је руски генерал.

Ивашов је оцијенио да Русија и Црна Гора данас нијесу у нарочито блиским односима.

"А, ако се осврнемо на даљу прошлост, ако се сјетимо Његоша и ранијих времена, тада су постојали заиста братски савезнички односи, а данас можемо видјети да се, под утицајем Запада, и у Русији догађају понекад ненормалне појаве. Али Русија се данас сабира, утире пут свог дјеловања и спрема се да дјелује снажно, моћно. Русија је мајка Словена и та се мајка данас, заузета својим проблемима, мало уморила. Није баш јака, тако да су се дјеца Словена мало размазила, неки желе да иду у НАТО, а други на друге стране. Ово нејединство је привремена појава. Животна ситуација ће нас натјерати да, као и у прошлости, дјелујемо заједно", казао је он.

Према његовим ријечима, моћне западне компаније свјесно гуше националне економије словенских држава.

"Тога смо данас свједоци и у Црној Гори. Они кажу - ми ћемо вам давати кредите, али живјети од кредита и заснивати економију само на туризму, то је све бајка. Потребна је развијати сопствену производњу, али колико видим у Црној Гори данас чак ни сокове не производе, већ их увозе из Италије, као што и минералну воду увозе", навео је Ивашов.


Повратак Русије

Он сматра да је НАТО творевина за освајање свијета, за успостављање глобалне финансијске диктатуре засноване на, првенствено, војној моћи.

"Чему данас служи НАТО? Ко ће то да нападне Европу или САД? За борбу против терористичких напада, нелегалне имиграције или, рецимо, дроге, НАТО није прилагођен. Тај војни савез је снажно, моћно средство за освајање свијета. НАТО је средство глобалне финансијске олигархије која машта да, под владавином новца, покори свијет", навео је Ивашов.

Из тих разлога, сматра он, Русија је на мети Запада, односно англосаксонске елите.

"Прво, Русија је веома богата ресурсима, а 21. вијек је вијек борбе за рудне ресурсе, за енергенте, контролу стратешких комуникација, као и контролу над кључним областима свијета. Али, с друге стране, Русија плаши Запад својом историјом, славном прошлошћу, тиме што је Русија одбранила и очувала Европу од најезде монголско-татарске хорде, ослободила је од Наполеона, од Хитлера. Европа, односно незахвални европски лидери, а данас елита Запада, плаше се поновног препорода Русије, што ће се заправо и десити. Русија ће се обновити и промијенити свијет у корист правде", истакао је Ивашов.

Према његовим ријечима, Запад се плаши да ће Русија поново постати лидер човјечанства заједно са Кином, Индијом, са Латинском Америком и Африком.

"НАТО је средство глобалне финансијске олигархије која машта да, под владавином новца, покори свијет"

Ивашов сматра да се западна цивилизација показала као најбруталнија свјетска цивилизација, која функционише на сили и пљачки.

"Западна цивилизација живи и развија се захваљујући каматним стопама, пљачкајући друге народе, односно захваљујући ресурсима цијелог свијета. И прије него што проговори о употреби руског богатства, препоручио бих Медлин Олбрајт да смањи ову ужасну злоупотребу на Западу, да заустави пљачкање других народа и да живи од сопственог рада, од својих ресурса. Русија не крије своја богатства у џепу, спремна је да, на темељу правде, стави на располагање своје резерве свим другим земљама, али Русија не може, а да не мисли и на будућа покољења", казао је он.

Ивашов види велике потенцијале евроазијског савеза који би предводиле Русија, Кина и Индија.


Српска војска би стигла до Брисела

Говорећи о запосједању аеродрома Приштина 1999. године, Ивашов је казао да у тој ситуацији није пријетио сукоб са НАТО, јер су се припадници тог војног савеза плашили од руских и снага тадашње Војске Југославије.

"Имали смо одговарајуће мјере осигурања. Прво, Савјет НАТО-а није био јединствен по том питању. Њемци, Грци, Италијани, а ја мислим и неке друге чланице, нијесу били спремни да гласају за рат са Русијом. А имали смо и другу осигуравајућу мјеру - знали смо да ако се упути почетни хитац на нашу страну, ми ћемо позвати Војску Југославије да нас подржи", навео је он.

Ивашов је рекао да је знао да у Генералштабу и међу припадницима Војске Југославије постојало пуно расположење да се стане на руску страну у случају сукоба.

"Када сам поднио извјештај министру одбране, а потом он предсједнику Русије, они су ми рекли да је то главно осигурање. Снаге НАТО-а би биле приморане на копнену операцију, које су се ужасно плашили. Морали би да заустављају Србе негдје око Брисела, којима бисмо ми помогли свим потребним средствима", истакао је Ивашов.

Према његовим ријечима, руско запосједање приштинског аеродрома изведено је у складу са међународним планом, а постојала су и наведена осигурања у случају напада, па је команда енглеске бригаде затражила преговоре.

"Британци су прву ноћ провели у нашем табору, јер су се бојали да ће их Срби и Албанци напасти. Плашили су се за своје животе, а кад су се већ плашили Албанаца, како се онда не би плашили да ратују против заједничких снага Русије и Србије. Тако да сматрам да је све то било нормално, природно и ми смо, наравно, увели батаљон у договору са руководством Савезне Републике Југославије и предсједником Слободаном Милошевићем, тако да су наше војске дејствовале заједнички и усаглашено", казао је Ивашов.

Он је додао да је читава акција запосједања аеродрома Слатина код Приштине имала подршку руског руководства, односно предсједника Бориса Јелцина.

"Јељцин је дао овлашћење, али пошто је то војна операција, нико осим уског круга из војног врха није знао за то. За то није знао ни министар спољних послова, нијесам му вјеровао, због могућег цурења информација. И замислите, већ шест часова наш батаљон из Републичке Српске иде у правцу Косова, а НАТО о томе ништа није знао, јер ми још увијек имамо природну словенску сналажљивост и увијек можемо да их преваримо", навео је руски генерал.


Словенска породица

Ивашов је српском народу поручио да треба да одбаци међусобне размирице и да снажније приступи својој словенској породици, односно више пажње посвети вредновању православних вриједности.

Ивашов је био у бројној руској делегацији која је недавно присуствовала сахрани дугогодишњег југословенског дипломате у Москви Борислава Милошевића.

"Жељели смо да искажемо поштовање Бориславу Милошевићу, јер је он био велики борац за јединство словенских народа и јединствен православни простор. Борио се против агресије, против фашизма НАТО-а и зато се Русија опрашта од њега као од свог вјерног пријатеља и оданог сина", навео је он.

Руски генерал је додао да сматра да је Борислав Милошевић заслужио поштовање и Срба и Црногораца.

"Чини ми се да је од стране и србијанске и црногорске јавности ову мисију испунио једино митрополит Амфилохије са свештенством. Предсједници Србије и Црне Горе нијесу упутили саучешће породици, није било њихових представника, али то је већ њихова лична ствар. Ствар њихове савјести. Њихове части и човјечности", казао је генерал Ивашов.


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(italiano / deutsch / srpskohrvatski)

2 FEBRUAR 1943: STALJINGRAD

1) Canto a Stalingrado (Pablo Neruda)
2) Erklärung der F.I.R. zum 70. Jahrestag des Sieges von Stalingrad
3) SKOJ: Večna Slava i Hvala Herojima Staljingrada

Sul 70.mo della Vittoria di Stalingrado si vedano anche i nostri post precedenti:


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Da: Scintilla Onlus <scintilla.onlus @ gmail.com>
Data: 12 febbraio 2013 12.00.55 GMT+01.00
Oggetto: Neruda su Stalingrado

Cari compagni e amici,

in questi giorni ricordiamo con emozione la vittoria di Stalingrado, svolta decisiva della grande guerra contro il mostro nazi-fascista. 

Inviamo a tale proposito una poesia del grande poeta cileno Pablo Neruda.

Questa poesia venne pubblicata per la prima volta nell’opera “Poesia politica” (1953), e non ha avuto una vasta diffusione nel nostro paese. Scrive Ilya Ehremburg nella sua prefazione: “La grandiosa ode ai combattenti, in alcune parti suonava come un anatema contro gli alleati della Russia Sovietica,che intenzionalmente avevano rinviato l’apertura del secondo fronte. […Neruda] sapeva che dalla sorte di Stalingrado, dalla guerra nella lontana Russia dipendeva il futuro dell’America e della cultura umana. Però egli non scrisse quei versi solo per il gusto di scriverli, tanto per manifestarsi, ma come politico, come uomo libero, come un uomo, infine, la cui voce era ascoltata da tutti i popoli dell’America”.

Vi invitiamo inoltre a visitare il nostro sito, contenente tantissimo materiale interessante.

Saluti fraterni.



Canto a Stalingrado

 
 

Nella notte il contadino dorme, ma la mano

sveglia, affonda nelle tenebre e chiede all'aurora:

Alba, sole del mattino, luce del giorno che viene,

dimmi se ancora le mani più pure degli uomini

difendono la rocca dell'onore, dimmi aurora,

se l'acciaio sulla tua fronte rompe la sua forza,

se l'uomo rimane al suo posto, ed il tuono al suo posto,

dimmi, chiede il contadino, se la terra non ode

come cade il sangue degli eroi arrossati, nell'immensa notte terrestre,

dimmi se ancora sopra l'albero sta il cielo,

dimmi se ancora risuonano spari a Stalingrado.

 

E il marinaio in mezzo a mare tremendo

scruta le umide costellazioni,

e una ne cerca, la rossa stella della città ardente,

e scopre nel suo cuore quella stella che brucia,

e quella stella d'orgoglio le sue mani vogliono toccare,

quella stella di pianto creata dai suoi occhi.

Città, stella rossa, dicono il mare e l'uomo,

città, chiudi i tuoi raggi, chiudi le tue porte dure,

chiudi città il tuo famoso lauro insanguinato,

e che la notte tremi con lo splendere cupo

dei tuoi occhi dietro un pianeta di spade.

 

E lo spagnolo ricorda Madrid e dice: sorella,

resisti, capitale della gloria, resisti:

dal suolo si alza tutto il sangue sparso

dalla Spagna, e per la Spagna si solleva nuovamente,

e lo spagnolo chiede, già contro il muro

delle fucilazioni, se Stalingrado vive;

e c'è nel carcere una catena di occhi neri

che bucano le pareti col tuo nome

e la Spagna si scuote col tuo sangue e i tuoi morti,

perché le offristi l'anima tua, Stalingrado,

quando partoriva la Spagna eroi come i tuoi.

 

Conosce la solitudine, la Spagna:

come oggi conosci la tua, Stalingrado.

La Spagna strappò la terra con le unghie

quando Parigi era bella più che mai.

La Spagna dissanguava il suo immenso albero di sangue

quando Londra, come Pedro Garfias ci racconta,

pettinava le sue aiuole, i suoi laghi di cigni.

 

Oggi di più conosci questo, forte vergine,

oggi, Russia, conosci di più la solitudine ed il freddo.

Mentre migliaia di obici squartano il tuo cuore,

mentre gli scorpioni con crimine e veleno

accorrono, Stalingrado, a mordere le tue viscere,

New York balla, Londra medita, e io dico "merde"

perché il mio cuore non resiste più

e i nostri cuori non resistono più, non resistono,

in un mondo che lascia morire soli i suoi eroi.

Li lasciate soli? Ora verranno per voi.

Li lasciate soli?

Volete che la vita

precipiti alla tomba, e il sorriso degli uomini

sia cancellato dalla latrina e dal calvario?

Perché non rispondete?

 

Volete più morti sul fronte dell'Est

finché riempiano tutto il vostro cielo?

Ma allora non vi resta che l'nferno

Già si stanca di piccole prodezze

il mondo, dove al Madagascar i generali,

con eroismo, uccidono cinquantacinque scimmie.

 

Il mondo è stanco di congressi autunnali,

ancora con un ombrello a presidente.

Città, Stalingrado, non possiamo

giungere alle tua mura, siamo lontani.

Siamo i messicani, siamo gli araucani,

siamo i patagoni, siamo i guaranì,

siamo gli uruguaiani, siamo i cileni,

siamo milioni di uomini.

E abbiamo altra gente, per fortuna, nella famiglia,

ma non siamo ancora venuti a difenderti, madre.

Città, città di fuoco, resisti finché un giorno

arriveremo, indiani naufraghi, a toccare le tue muraglie

con un bacio di figli che speravano di tornare.

Stalingrado, non esiste un Secondo Fronte,

però non cadrai anche se il ferro ed il fuoco

ti mordono giorno e notte.

 

Anche se muori non morirai!

 

Perché gli uomini ora non hanno morte

e continuano a lottare anche quando sono caduti,

finché la vittoria sarà nelle tue mani,

anche se sono stanche, forate e morte,

perché altre mani rosse, quando le vostre cadono,

semineranno per il mondo le ossa dei tuoi eroi,

perché il tuo seme colmi tutta la terra.

 

                                          Pablo Neruda

                                   “Poesia politica, 1953”



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Scintilla Onlus


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(Dichiarazione della Federazione Internazionale dei Combattenti nella Resistenza - Lega degli Antifascisti)


Dr. Ulrich Schneider, Generalsekretär der FIR
14:18 07/02/2013

Erklärung der FIR zum 70. Jahrestag des Sieges von Stalingrad

Vergesst niemals die Leistung der Roten Armee und der sowjetischen Menschen bei der Zerschlagung der faschistischen Gefahr

Am 27. Januar wird weltweit der Befreiung des faschistischen Vernichtungslagers Auschwitz durch die Rote Armee 1945 gedacht. In diesem Jahr erinnert die Internationale Föderation der Widerstandsk mpfer (FIR) – Bund der Antifaschisten an ein weiteres Datum: Am 2. Februar 2013 jährt sich zum 70. Mal der welthistorische Sieg der Roten Armee bei Stalingrad. An diesem Tag kapitulierten die deutsche 6. Armee unter Generalfeldmarschall Paulus und ihre Verb ndeten vor den Verb nden der 62. und 64. Roten Armee unter General Schukow. Dieser Sieg war ohne Zweifel die milit rische Wende im Zweiten Weltkrieg.

Der vom deutschen Faschismus angezettelte imperialistische Krieg zielte von Anfang an auf Mord, Totschlag, Ausbeutung, Unterdrückung und Vernichtung. Coventry, Rotterdam, Warschau und Belgrad sind die Symbole des Luftterrors, den die Wehrmacht  über die Städte Europas trugen. Auschwitz, Buchenwald, Majdanek, Sobibor haben sich in die Erinnerung der Menschheit eingegraben als Orte, an denen die Vernichtungspolitik des deutschen Faschismus stattfand. Babi Jar, Oradour, Lidice sind Stätten des faschistischen Mordens, die keiner Erklärung bed rfen. 

Die Schlacht von Stalingrad stellte hingegen den historischen Wendepunkt im Kampf der Anti-Hitler-Koalition mit dem expansionistischen Anspruch des deutschen Faschismus dar. Milit risch wurde hier zum ersten Mal der faschistische Vormarsch gestoppt und der „unbesiegbaren“ Wehrmacht eine vernichtende Niederlage beigebracht. 
Für die Widerstandsbewegung in allen okkupierten L ndern und in Deutschland symbolisierte die Schlacht von Stalingrad die kommende Niederlage des Faschismus. Die Frauen und Männer im Widerstand zogen daraus Kraft, Motivation und Optimismus für die Fortf hrung ihres antifaschistischen Kampfes. 

Die Schlacht von Stalingrad wurde dank der Standhaftigkeit und des Heldenmuts der sowjetischen Truppen und der Bev lkerung gewonnen. Wir erinnern der Toten und gedenken all derjenigen, die sich mit ihrem Leben und ihrer Gesundheit für die Befreiung ihres Landes von der faschistischen Okkupation und die Zerschlagung der faschistischen Bestie eingesetzt haben. In der Stadt Wolgograd erinnern heute mehr als 200 Orte an diese Geschichte. Die FIR grüßt die Einwohner der Stadt und dankt ihnen für die Bewahrung des Andenkens. 

Für alle antifaschistischen Organisationen bleibt der Sieg von Stalingrad ein Gedenktag. Wir verbinden unseren Dank an die Kämpfer mit dem Versprechen, diese Erinnerung an die heutigen Generationen weiterzugeben. 

Internationale Föderation der Widerstandskämpfer (FIR) – Bund der Antifaschisten


=== 3 ===

http://www.skoj.org.rs/120.html



70. godina od pobede u Staljingradskoj bici

Na današnji dan, pre tačno 70 godina, 02. februara 1943. godine desio se konačan slom nemačko-fašističke vojske kod Staljingrada. Ovaj datum predstavlja zasigurno prekretnicu u Drugom svestkom ratu, te otud i dan kada se s dužnim poštovanjem sećamo heroja Staljingrada, Crvenoarmejaca koj su uspeli da slome napad hitlerovaca.

U leto 1942. godine, koristeći se odsustvom drugog velikog fronta, nemačka komanda je prebacila više divizija iz Zapadne Evrope na Istok i koncentrisala velike snage (oko 6 miliona vojnika) na Istočni front. 28. Juna 1942. godine fašisti su započeli novo nastupanje, ovoga puta radi probijanja ka Kavkazu (prema velikim naftnim izvorima), kao i radi zaobilaženja i okruživanja sa juga i istoka prestonice SSSR-a Moskve. Radi postizanja tog cilja nemačke jedinice su morale da izbiju na reku Volgu i zauzmu grad Staljingrad. Zbog toga su fašisti na ovaj grad poslali 13 divizija (oko 270 hiljada vojnika i oficira, 3 hiljade topova i minobacača, 500 tenkova i oko 1200 aviona).

Započela je gigantska borba, neviđena do tada, a ni posle u ljudskoj istoriji, koja je trajala više od 6 meseci. Grad je od avgusta 1942. godine bez prekida bombardovan iz vazduha, a ipak su u gradu i dalje radile ustanove i preduzeća (npr. fabrika traktora „Crveni oktobar“ koja je i dalje proizvodila i remontovala tenkove i tegljače).

Posle tri meseca krvavih borbi, fašistčki tenkovi i motorizovana pešadija su uspeli da se probiju do Volge, ka središtu grada, ali više od toga nisu uspeli da postignu. Borbe su sada vođene za svaku ulicu, kuću ili sprat. "Sve dok je neprijatelj kod Staljingrada, iza Volge za nas zemlje nema", ove reči legendarnog snajpreiste iz Staljingrada, V. Zajceva, prihvatili su kao svoju parolu svi branioci Staljingrada. Neprijatelj je sada poslao čak 80 divizija na Staljingrad. Branioci su pojedine tačke i zgrade u gradu pretvorili u prave tvrđave. Na primer čuven je bio "Dom Pavlova", trospratna zgrada koju su borci gardjiskog narednika Pavlova branili i odbranili posle 58 dana, ili čuveno uzvišenje Mamajev Kurgan koje je mnogo puta prelazilo iz ruke u ruku.

Čitava sovjetska zemlja je pomagala front u Staljingradu. Uporna i herojska odbrana obeskrvila je i izmorila protivnika i omogućila da sovjetska Vrhovna komanda koncentriše kod Staljingrada sveže jake snage i pripremi se za kontranapad. 19. Novembra 1942. godine frontovi Crvene armije (jugozapadni, staljingradski i donski front) posle jake artiljerijske pripreme su prešli u kontrofanzivu, i u toku nekoliko dana neprekidne borbe uspeli su da zatvore obruč oko nemačkih jedinica koje su opsedale grad. U kotlu su se našle 22 fašističke divizije ( više od 330 hiljada vojnika i oficira) pa je Crvena armija započela likvidaciju opkoljenih fašista. Hitlerovska komanda je uputila opkoljenim nemačkim armijama novih 30 divizija sa oko 650 tenkova i 500 aviona, ali su i oni bili uništeni. Svi pokušaju fašista da se spasu iz obruča propali su, i 02. februara 1943. godine grandiozna bitka je završena. Prilikom likvidacije opkoljene grupe koja je nastavila da se bori skor 148 hiljada nemačkih oficira i vojnika je ubijeno, 91 hiljada je zarobljena, među njima 24 generala i komandant Šeste armije feldmaršal Fon Paulus. Ukupni gubici u toku bitke hitlerovaca su bili kolaosalni: oko 1,5 milion ubijenih i ranjenih, potpuno su uništene dve nemačke elitne armije, Šesta i Četvra oklopna armija, a razbijene su i dve rumunske i jedna italijanska armija, jedna ustaška legija, fašistički odredi iz Španije, Mađarske... Zarobljeno je ili uništeno više od 3 hiljade aviona, 3,5 hiljade tenkova, 12 hiljada topova i minobacača... Sve je to činilo oko jednu četvrtinu ukupnih fašističkih snaga na Istočnom frontu.

Staljingradska bitka je označila početak masovnog proterivanja okupatora iz sovjetske zemlje i prektertnicu u toku čitavog Drugog svetskog rata. Strategijska inicijativa prešla je u potpunosti u ruke Crvene armije. Hitlerovska komanda je dugo skrivala od svog sopstvenog naroda katastrofu nemačke vojkse kod Staljingrada, i tek je kroz dva i po meseca bila proglašena trodnevna žalost.

Crvena armija i hrabri sovjetski narod podneli su najveću žrtvu u Drugom svetskom ratu. To nije bilo slučajno. Oni su branili ne samo svoju prebogatu domovinu, već i socijalizam i sva dostignuća socijalizma izgrađena od Velike oktobarske socijalističke revolucije u Rusiji. Oni su branili progres ljudske civilizacije. Kapitalizam je porodio fašizam, porađa ga i danas kada se nalazi u novoj krizi najsličnijoj onoj u kojoj se našao 30-tih godina prethodnog veka. U Srbiji buržoaske vlasti čine to, između ostalog, rehabilitacijama narodnih neprijatelja i kvislinga iz perioda Drugog svetskog rata, onih koji su u svakom smislu bili na suprotnoj strani u odnosu na heroje Staljingrada. U svakom novom obliku u kom se fašizam bude pojavio mi ćemo ga poraziti.

Progres je neminovnost, fašizam/kapitalizam je varvarstvo!

Pamtimo heroje Staljingrada, branimo njihovo nasleđe!

Sekretarijat NKPJ,

Beograd,

02.02.2013.



I FALSI AMICI

Dossier del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia e di Un Ponte per... sulle infiltrazioni della destra nazionalista e fascista nelle campagne a sostegno delle vittime serbe delle guerre di secessione in Jugoslavia

SINTESI: In contraddizione con la tradizione reale, storica, dell'atteggiamento della destra nazionalista e fascista riguardo agli jugoslavi in generale ed ai serbi in particolare, si registra da tempo uno strano interessamento di raggruppamenti neofascisti a proposito della "causa serba". Questo interessamento sta avendo un apice negli ultimi tempi in iniziative riguardanti la componente serba del Kosovo. Purtroppo singoli elementi e settori reazionari, soprattutto legati alla emigrazione anticomunista e antijugoslava nella Trieste post-1945, quasi masochisticamente alimentano la presenza della destra fascista nelle iniziative che li riguardano.
Un certo tipo di impostazione "separata" ed "escludente" della discussione sulle tematiche jugoslave ("Stato ortodosso", "riunificazione della terra degli ortodossi") ricalca, come riflettendola in uno specchio deformante, la visione mainstream cioè la vulgata corrente che vorrebbe la Jugoslavia come artificiale "gabbia dei popoli" la cui distruzione era inevitabile se non addirittura auspicabile perché le diverse "etnie" potessero liberamente esprimere la loro identità - o, per usare sempre il linguaggio della estrema destra: la loro spiritualità.
In realtà, all'attivismo per così dire "sincero", in buona fede, di elementi della destra estrema a sostegno di una malintesa "causa serba", si affiancano componenti e motivazioni di carattere diverso. Si registrano infatti sempre più frequentemente tentativi di infiltrazione in iniziative pre-esistenti, avviate da molti anni dalle realtà progressiste no-war che si sono sempre coerentemente battute contro la guerra e contro la "etnicizzazione" dei rapporti nei Balcani. Talvolta si hanno casi di plagio o approcci di natura evidentemente provocatoria, mirati vuoi a "scavalcare" e "recuperare" iniziative e tematiche, vuoi a disarticolare e impedire la prosecuzione di un lavoro di solidarietà e contro-informazione impostato su basi limpide, democratiche e internazionaliste, per capovolgerlo e trasformarlo invece nel suo esatto contrario. Non è un segreto per nessuno che la fortissima presenza militare ed imprenditoriale in quei territori impone a Stati come l'Italia l'avvio di operazioni di intelligence mirate al controllo totale delle iniziative di solidarietà e delle loro possibili implicazioni politiche. E gli interessi geopolitici nell'area non sono solo di parte italiana, ma anche di altri Stati terzi, e persino di soggetti come la Chiesa cattolica. Nel migliore dei casi sono l'individualismo, il carrierismo, persino l'avidità di chi ha fiutato occasioni di investimento economico o turistico a causare confusione, consentendo che le iniziative nate nel campo della solidarietà tra lavoratori e tra popoli siano inquinate da concezioni inaccettabili, che la Storia ha messo al bando molti decenni fa, proprio soprattutto in quelle terre.
Per quanto riguarda i serbi, non è inedito il ruolo fondamentalmente anti-patriottico dei cetnizi, da sempre collaborazionistidell'occupante straniero. Le simbologie reazionarie e nostalgiche, il revisionismo storico anti-partigiano, lo sciovinismo anti-islamico non sono segni di una ritrovata identità nazionale, ma al contrario sono fomentati dal "nuovo corso" anti-jugoslavo e filo-occidentale. La presenza e le attività di settori della destra estrema in ambito serbo portano acqua al mulino di chi della Serbia e dei serbi, negli ultimi 20 anni, ha voluto costruire una immagine negativa. Questi sono a tutti gli effetti i falsi amici del popolo serbo: è bene imparare a guardarsi le spalle.

Leggi il Dossier alla nostra pagina:
https://www.cnj.it/CNJ/falsiamici2013.htm#dossier

Crimini italiani nei Balcani e riscatto dei popoli jugoslavi

1) Da un articolo di Eugenio Curiel sul genocidio dei popoli slavi (Gianni Fresu)
* LA NUOVA JUGOSLAVIA (EUGENIO CURIEL)
2) I crimini dell’Esercito italiano in Jugoslavia (Ivan Serra)



"La giornata di una memoria". Da un articolo di Eugenio Curiel sul genocidio dei popoli slavi.


pubblicata da Gianni Fresu il giorno Lunedì 11 febbraio 2013


Un articolo di Eugenio Curiel del 1944 sul riscatto dei popoli jugoslavi, dopo il genocidio subito per opera degli italiani per ben 25 anni, mi da modo di tornare su un tema di scottante attualità politica, la cosiddetta "giornata della memoria".

Eugenio Curiel, scienziato e partigiano triestino morto a soli 32 anni nel febbraio 1945, aveva sempre dedicato molta attenzione, sin dall’adolescenza, al genocidio umano e culturale delle popolazioni slave inglobate a forza nel regno d’Italia dopo la prima guerra mondiale. Se ne occupò nuovamente nell'ottobre del '44, quando la vittoria contro i nazifascisti da parte dell'Esercito nazionale di liberazione jugoslavo (Belgrado fu liberata il 20 ottobre), determinò una situazione nuova di fondamentale importanza per la guerra a Hitler e soci in tutto il resto d’Europa. Con l’esigenza della lotta di liberazione, in Italia, di riaffermare la propria indipendenza, libertà e unità conculcate dal nazifascismo, la guerra aveva però posto anche il problema di quelle realtà nazionali violentemente menomate dalle mire di grandezza dello sciovinismo italiano, prima e dopo l’avvento del fascismo.

Come sappiamo, in tempi recenti, proprio gli accadimenti di questo periodo (1943-45), hanno suscitato l’attenzione del "nostro" mondo politico e culturale per le sorti degli italiani costretti alla fuga dalle terre occupate e soprattutto per quelli tragicamente finiti nelle “foibe”, un’esigenza ritenuta tanto forte da spingere le autorità governative a dedicargli una giornata commemorativa ufficiale. Senza voler entrare in dettaglio su questo argomento, sul quale del resto esiste una vastissima bibliografia, fa riflettere che nella gran parte dei casi la trattazione di questi fatti finisca per omettere o trascurare del tutto la durezza dell’occupazione italiana: i crimini compiuti negli anni del regime fascista a danno delle popolazioni slave, fino ai massacri compiuti con i rastrellamenti, le deportazioni, l’uso sistematico dei campi di concentramento prima e durante la guerra.

Su tutto ciò tornò invece Eugenio Curiel in un articolo, La nuova Jugoslavia, (pubblicato su «La Nostra Lotta», a. II, n.17, ottobre 1944), scritto proprio nella fase più calda di questa storia. Secondo il suo giudizio, con la fine della prima guerra mondiale, il regno jugoslavo fu il risultato di un compromesso deteriore tra le potenze occidentali interessate a spartirsi quanto più possibile i vecchi domini asburgici nei Balcani. Il piccolo regno, costruito attorno a Serbia e Montenegro, si vide privato di parte significativa del suo territorio a favore degli Stati confinanti, all’Italia venne assegnata la fetta più consistente di territorio. Per croati e sloveni iniziò da subito un periodo drammatico, ben più duro e disumano del già pesante dominio austriaco, segnato da violenze e prevaricazioni finalizzate a sradicare le tradizioni culturali slave dei territori appena assimilati.

L’italianizzazione forzata con l’avvento del fascismo si fece ancora più brutale, insieme alla proibizione dei partiti e la soppressione della loro vivacissima stampa, a croati e sloveni venne impedito l’utilizzo della loro lingua, nelle scuole come nei luoghi di culto. Alla massiccia occupazione militare e burocratica fascista si accompagnò la consapevole distruzione della struttura economico-sociale locale: annientato il «ricco patrimonio cooperativo», le casse artigianali e l’articolazione sociale e cultrale del mondo contadino, sulle regioni dell’Istria e della Carsia il capitale bancario italiano finì per stritolare ogni residuo di vivacità autonoma fino a fare di queste le regioni con il più alto debito ipotecario in Italia, queste le parole di Curiel in proposito:

"Chi non ricorda con orrore lo strazio che il fascismo ha fatto del popolo sloveno e del popolo croato, chi non ricorda la loro indomita volontà di liberazione che il regime di terrore non riusciva a fiaccare, chi non ricorda i martiri di Pola del 1929, i martiri di Basovizza del 1931 e tutti gli altri eroici caduti fino al compagno Tomasic e a tutti i fucilati di Trieste del 1941". 

Distrutta l’economia contadina, basata sull’allevamento zootecnico, strangolato il suo sistema di credito tradizionale a queste regioni fu imposta una condizione di miseria e abbandono resa ancora più intollerabile dalle vessazioni di un’occupazione militare e culturale conforme alle pagine più buie della peggiore tradizione coloniale. Con lo scoppio della guerra e la fine del debole regno jugoslavo la brutalità dei fascisti italiani e dei nazisti tedeschi si fece assoluta, ciò nonostante dal basso si formò da subito, con le divisioni partigiane guidate da Tito, una fortissima resistenza armata popolare capace di sconfiggere truppe di occupazione e fiancheggiatori, ancora Curiel:

"A decine di migliaia gli arditi combattenti del popolo, a migliaia le coraggiose donne del popolo jugoslavo venivano massacrati e seppelliti nei campi di concentramento. Le truppe d’occupazione, ma anche le truppe dell’esercito fascista, italiani vesti dell’uniforme disonorante dell’aggressione e dell’infamia, distrussero villaggi, incendiarono case, decimarono intere regioni: ma per l’eroico popolo jugoslavo la brutalità, la barbarie scatenata furono la gran diana per la lotta di riscossa popolare". 

In un contesto di guerra i torti si sommano ai torti e, per quanto possa essere più o meno condivisibile, prima o poi arriva il momento del "redde rationem". E' assolutamente corretto studiare storicamente e far conoscere politicamente quanto accaduto nelle Foibe, ma lo è altrettanto ricordare che prima quelle stesse Foibe furono utilizzate per le popolazioni slave: sottoposte (dal 1918 al 1943) a deportazioni di massa, cancellazione della propria specificità culturale, linguistica ed economica; soggette a operazioni di pulizia etnica di massa e su larga scala. Portare in rilievo solo il tragico epilogo di una brutta pagina storica, omettendo tutto quel che l'ha preceduta e, soprattutto, cancellando la responsabilità del nazionalismo italiano (affermatosi in quelle terre ben prima dell'avvento fascista), significa fare opera di mistificazione dei fatti. Si è sentito spesso dire negli ultimi anni che l'Italia ha necessità di una "memoria condivisa", tralasciando l'assurdità di una tale aspirazione (si può auspicare la condivisione del futuro e del presente ma la storia riguarda fatti già accaduti e vissuti, con relative scelte di parte, e condividerla significa riscriverla tendenziosamente), in realtà, anche in questo caso ciò che si vuole imporre non è una "memoria condivisa", bensì un punto di vista, parziale e unilaterale, quello italiano. Si sorvola con troppa disinvoltura sull'esistenza, ancora oggi, in quelle stesse regioni, di popolazioni slave oramai italianizzate ma che portano nel loro codice genetico le sofferenze, le violenze e le umiliazioni patite con l’accorpamento all’Italia. Sarebbe questa la “memoria condivisa” che si vuole offrire? Quale “giornata della memoria” sarebbe quella che mette sotto i riflettori della storia solo i “torti subiti dagli italiani” e cancella totalmente il “nostro” violento dominio  sui popoli slavi?

 

Gianni Fresu


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https://www.cnj.it/documentazione/nostralotta.htm#nuova

La nuova Jugoslavia

Il crollo del fronte nazista nei Balcani, l'entrata dell'Armata Rossa in Jugoslavia e le vittorie comuni delle armi sovietiche e jugoslave hanno mostrato ancora una volta -- ed oggi con evidenza inconfutabile -- il contributo grandioso che il movimento di liberazione jugoslavo ha portato -- sotto la guida dell'eroe leggendario dei popoli slavi, il Maresciallo Tito -- alla causa comune dell'umanità progressiva in lotta contro la barbarie e l'infamia naziste.

Ciò che era speranza ed augurio di un'avanguardia, il diretto contributo del popolo sovietico e del popolo jugoslavo alla nostra liberazione, diviene realtà e oggi ogni italiano vede nell'avanzata sovietica-jugoslava un valido, decisivo, aiuto allo sforzo degli Eserciti alleati e del popolo italiano in lotta per la cacciata dei tedeschi e lo sterminio dei fascisti.
Avanguardia degli eserciti sovietico-jugoslavi, il IX Corpo d'Armata del NOVJ (Esercito Nazionale della liberazione della Jugoslavia) ha già liberato quasi tutta la Slovenia, costringendo l'occupante a trincerarsi in qualche capoluogo di provincia e isolandolo colla distruzione sistematica delle linee di occupazione.
Nel Primorsko (Litorale giuliano) e in tutte le regioni che furono testimoni dei delitti dell'imperialismo fascista ferve oggi una nuova democrazia. Nel fuoco della guerra di liberazione, il popolo sloveno ricostruisce ciò che il fascismo ha distrutto, conquista, alfine, la sua libera vita nazionale.

Costituita alla fine della prima guerra mondiale, la Jugoslavia era il risultato di un compromesso tra le grandi potenze imperialistiche, decise ad asservirsi attraverso il ricatto dei territori incontestabilmente jugoslavi, il nuovo Stato, sulle rovine dell'Impero asburgico, sorgeva attorno alla vecchia Serbia e al Montenegro. Appena i due terzi del popolo sloveno venivano aggiudicati al nuovo Stato: fra gli Stati confinanti veniva diviso il resto; la fetta più grossa veniva assegnata all'imperialismo italiano, cui toccava anche tutto il popolo croato dell'Istria.
Privati della loro libertà nazionale, agli sloveni ed ai croati compresi nello stato italiano rimaneva ancora una precaria autonomia culturale, di gran lunga inferiore a quella che essi avevano goduto sotto la vecchia Austria.
Il misero straccio di libertà elargito dalla democrazia prefascista, veniva strappato al popolo sloveno dal fascismo. Proibiti i partiti sloveni e croati, soppressa la fiorente stampa libera così diffusa tra i contadini sloveni che vantavano una percentuale di analfabeti inferiore a quella di ogni altro paese europeo, chiuse le scuole nazionali e reso obbligatorio l'insegnamento nella sola lingua italiana, contestato ai sacerdoti il diritto di predicare nella lingua nazionale, sul popolo sloveno e croato si abbattè lo stuolo fascista dei funzionari statali, dei podestà, dei segretari comunali, dei ferrovieri, dei maestri e, come in un paese di occupazione militare, una quantità di carabinieri e di militi.
Il ricco patrimonio cooperativo, le banche popolari, le casse artigianali e le numerose iniziative sociali, caratteristiche dell'economia piccolo-contadina degli sloveni, venivano saccheggiate e distrutte, mentre si estendeva sulle campagne istriane e carsiche il predominio del capitale finanziario che, attraverso le grandi banche italiane, si sostituiva al piccolo capitale commerciale sloveno e croato. L'Istria e la Carsia divennero così le regioni sulle quali - proporzionalmente al reddito - gravava un debito ipotecario più forte che in ogni altra  regione italiana. I beni comunali così necessari ad un'economia in buona parte zootecnica venivano distribuiti secondo i soliti criteri dell'amministrazione  fascista, arricchendo i beni che i "signori" italiani avevano da lungo tempo usurpato al contadino istriano.

Chi di noi triestini non ricorda con orrore lo strazio che il fascismo ha fatto del popolo sloveno e del popolo croato, chi non ricorda la loro indomita volontà di liberazione che il regime di terrore non riusciva a fiaccare, chi non ricorda i martiri di Pola nel 1929, i martiri di Basovizza nel 1931 e tutti gli altri eroici caduti fino al compagno Tomasic e a tutti i fucilati di Trieste nel 1941? Ricordo un villaggio sloveno sulle pendici del Monte Nanos, poche case in mezzo alla rada boscaglia carsica, sulla cima di una collina; per arrivarci soltanto una mulattiera e cinque ore di cammino dalla stazione dell'autocorriera. Miseria nera, nessun commercio, tasse enormi schiacciano una miserrima economia essenzialmente naturale, fondata su qualche capo di bestiame e sui magri prodotti di un suolo sterile, sassoso, dove qui e li sul grigio rosseggia il magro campicello costruito faticosamente trasportando a spalla un pò di terriccio. Ogni tanto un pattuglione di carabinieri o di militi, armato, col moschetto carico, passava per il paese, davanti alle porte chiuse, nel silenzio dell'odio generale.
Il governo italiano, il fascismo non ha fatto niente per questo paese, lo ha soltanto derubato, oppresso, offeso nei più elementari sentimenti di dignità umana e nazionale. L'unico edificio civile è la scuola, una scuola che il fascismo non ha costruito, ma ha rubato al patrimonio nazionale del popolo sloveno per metterci dentro un maestro fascista che obbliga i figli del popolo sloveno a compitare in una lingua che non sarebbe loro mai servita. Municipio non c'è, perchè il municipio fascista è chissà dove in fondo alla vallata. E in uno di questi paesi la giustizia popolare raggiungeva un giorno un maestro fascista, un sadico criminale tubercolotico che seviziava i fanciulli e, con bestialità orrenda, sputava loro nella bocca la sua saliva infetta.
Dopo la scuola il servizio militare, con destinazioni speciali, in formazioni speciali, separati dai commilitoni italiani dalla diffidenza che l'imperialismo fascista aveva deliberatamente creato tra gli sloveni e noi. A migliaia i giovani croati e i giovani sloveni pur di sottrarsi all'ingiuria di un servizio militare odioso, abbandonavano, tutti gli anni, casa e famiglia, per rifugiarsi in Jugoslavia.
Questa è stata per vent'anni la vita del popolo sloveno e del popolo croato oppressi dall'imperialismo fascista.

* * *

Nel 1941, Hitler e Mussolini aggredivano brutalmente il popolo jugoslavo che già cercava nella lotta contro il nazi-fascismo e nell'alleanza con l'URSS la garanzia della propria indipendenza.

Le colonne corazzate dell'esercito nazista infransero la resistenza del regio esercito jugoslavo, minato, nei suoi stessi ranghi, dal tradimento e dalla collaborazione col nemico. Allo sfacelo dell'esercito regio rispose l'eroica sollevazione di tutti i popoli della Jugoslavia contro l'occupante. A decine di migliaia gli arditi combattenti del popolo, a migliaia le coraggiose donne del popolo jugoslavo venivano massacrati o seppelliti nei campi di concentramento.
Le truppe d'occupazione, ma anche truppe dell'esercito fascista, italiani vestiti dall'uniforme disonorante dell'aggressione e dell'infamia, distrussero villaggi, incendiarono case, decimarono intere regioni: ma per l'eroico popolo jugoslavo la brutalità, la barbarie scatenata dai nazi-fascisti furono la gran diana per la lotta di riscossa popolare. Sui resti sconfitti dell'esercito regio si
formarono i primi nuclei dell'esercito partigiano, che prendendo ben presto il carattere di un vero e proprio Esercito Nazionale Jugoslavo di Liberazione (NOVJ) gettò le fondamenta incrollabili per la nuova Jugoslavia, la Jugoslavia del popolo.

Alla base di questo vastissimo anelito di libertà e di vittoria era il movimento dell'O.F. (Fronte di Liberazione). Sorto per iniziativa del Partito comunista, nove giorni dopo l'invasione, esso raggruppò all'infuori di ogni distinzione politica o religiosa tutte le forze sane dei popoli della Jugoslavia. Fu questo vastissimo movimento popolare a garantire l'incessante sviluppo dell'Esercito di Liberazione, furono le migliaia di Comitati dell'O.F. che permisero all'Esercito di Liberazione di superare la prima grande crisi dovuta alla vasta offensiva nazi-fascista nella primavera del '42.
In ogni villaggio, in ogni borgata della Jugoslavia si costituì il Comitato dell'O.F. e, in forme il più possibile democratiche, i migliori figli del popolo furono chiamati a partecipare a questi organi di potere popolare. Questa colossale organizzazione capillare garantì i rifornimenti al NOVJ, fornì i contingenti sempre crescenti che permisero di superare le sei offensive del nemico e di forgiare un esercito di 300.000 uomini.

Capo geniale, creatore di un esercito che i Comandi alleati annoverarono tra i fattori principali nella strategia generale della guerra, è stato il Maresciallo Tito. Tito, militante comunista, figlio di un contadino croato e di madre slovena, simbolo di quell'unione che sorge dalla comunanza delle libere volontà di tutti i popoli della Jugoslavia. E oggi al maresciallo Tito guardano tutti i popoli dell'Europa balcanica come alla loro guida sulla via dell'indipendenza e della democrazia popolare.

Nel fuoco della guerra di liberazione i popoli della Jugoslavia gettano, così, le basi della nuova democrazia.
Premessa del movimento dell'O.F. era stata - tre anni fa - la cacciata dell'occupante, il non riconoscimento del vecchio stato reazionario, dimostratosi incapace di organizzare la difesa del paese, la lotta per la democrazia popolare che assicurasse, nell'eguaglianza di tutti i popoli della Jugoslavia, l'unità e l'indipendenza nazionale.
Sotto lo stimolo delle esigenze belliche, dopo la vittoriosa resistenza contro la grande prima offensiva nazi-fascista, si riuniva nell'ottobre del 1942 il primo congresso dell'O.F., l'AVNOJ, il quale riconosceva nei Comitati dell'O.F. gli organi fondamentali per la lotta di liberazione e per il nuovo potere popolare e investiva Tito del Comando e della guida di tutto il movimento di liberazione. Al consiglio dell'O.F., all'AVNOJ, spettava la direzione e la rappresentanza politica dei popoli della Jugoslavia, senza che fosse ancora sconfessato il governo fuggiasco.
Lo sviluppo della lotta di liberazione e l'acutizzarsi delle condizioni generali portavano intanto i circoli reazionari raggruppati attorno a Mihajlovic e attorno ai collaboratori tipo Macek, a posizioni sempre più apertamente collaborazioniste e quindi all'aperto tradimento.
Durante tutto il 1943 obiettivo essenziale della lotta politica per la chiarificazione della situazione interna, condotta dall'AVNOJ, fu la definitiva liquidazione di qualsiasi equivoco che intorbidasse la profonda linea che separava ed opponeva all'occupante nazista i popoli jugoslavi, liquidazione quindi di ogni forma di autorità che rappresentasse un compromesso col vecchio ordine reazionario.
Fu in quell'anno che la guardia bianco-blu dei reazionari sloveni venne liquidata e finì collo sparire dopo il crollo dell'alleato e padrone fascista; fu in quell'anno che divenne chiara a tutto il mondo la funzione provocatoria che Mihajlovic esercitava per conto dell'occupante. Aperta venne dichiarata la lotta contro Mihajlovic e i manutengoli del governo fuoriuscito e le vittoriose affermazioni del NOVJ, sottolineando il contributo portato alla causa comune delle Nazioni Unite, portarono al riconoscimento internazionale dell'AVNOJ come guida politica dell'insurrezione nazionale dei popoli della Jugoslavia.

Gli organi del movimento dell'O.F. conquistarono quindi sempre nuovi riconoscimenti in campo internazionale, appoggiati in questa loro azione dal valido aiuto dell'URSS, protettrice di tutti i popoli in lotta per la loro libertà e, in special modo, dei popoli slavi verso la costruzione di un nuovo mondo nei Balcani tormentati. Fu l'Unione Sovietica che per prima riconobbe nell'AVNOJ il legittimo governo jugoslavo e strinse con esso normali rapporti diplomatici.
Sulla base di questi successi, l'AVNOJ, nel suo secondo congresso della fine del 1943, decise quindi la trasformazione del Comitato jugoslavo dell'O.F. in Governo, riconoscendo nel popolo organizzato nei comitati dell'O.F. l'unica fonte di potere per la nuova Jugoslavia.
Espressione della concorde volontà dei popoli jugoslavi, l'AVNOJ, per sua formazione federativa, costituisce una prefigurazione del Governo di domani, Governo popolare di una Jugoslavia, federativa e democratica. Nella democrazia e nella vita federativa si garantisce così libera espressione alle caratteristiche sociali e storiche di ogni popolo della Jugoslavia.

Guida alla costruzione della nuova Jugoslavia è stato il Partito Comunista. E' stato possibile, grazie alla sua instancabile attività unitaria e alla sua vasta influenza, di trasformare i primi nuclei nel NOVJ, di creare in ogni villaggio il Comitato dell'O.F.  Vero Partito bolscevico, esso sa unire, alla decisione ed all'audacia, la comprensione delle esigenze dei più larghi strati popolari e ne è prova l'iniziativa presa da esso, per la costituzione di larghe organizzazioni di masse femminili e giovanili che vengono ad interessare alla suprema lotta nazionale tutti gli strati popolari. La crescente influenza del P.C. nell'O.F., la profonda crisi degli altri Partiti i cui dirigenti si sono in massima parte posti al servizio dell'occupante, ha determinato i residui gruppi politici non compromessi a riconoscere in Tito la loro guida nella lotta per la nuova Jugoslavia popolare. Alla testa di tutti i popoli della Jugoslavia, il popolo sloveno che ha realizzato una giusta politica unitaria, combatte per una Slovenia libera, unita e democratica e getta già oggi le fondamenta della libera vita democratica.
Il movimento dell'O.F. consolidato in efficente organismo di governo ha promosso vaste consultazioni popolari in tutti i paesi della Jugoslavia. Anche nel Litorale (Primorsko) si sono svolte, e molto recentemente, le elezioni generali: tale era l'interesse della popolazione che i contadini dei paesi ancora occupati facevano chilometri e chilometri per deporre la loro scheda, per partecipare al loro comizio elettorale.
Così rivivono a nuova coscienza nazionale e democratica le popolazioni che il fascismo ha avvilito per vent'anni.
  
Libera vita democratica, autogoverno delle masse popolari, pieno riconoscimento degli sforzi che i popoli hanno compiuto per la loro liberazione: queste sono le direttive che informano l'azione politica del NOVJ nei territori liberati. E per questo non sono soltanto le popolazioni slave, ma tutti i popoli a guardare a Tito come a un eroe leggendario, campione di libertà. Non soltanto i popoli balcanici vedono nel NOVJ una grande forza liberatrice, ma tutti i popoli confinanti e particolarmente le nostre popolazioni del Veneto.
L'Armata Rossa ha raggiunto Budapest, l'Esercito di Tito sta ripulendo la Jugoslavia dalle truppe di Hitler: grandioso è l'aiuto che l'esercito di Tito potrà dare alla nostra lotta di liberazione.
Tendere tutte le forze per  aiutare il popolo jugoslavo nella sua epica impresa; questo è il dovere di ogni italiano, questa è la via per avvicinare il giorno della liberazione, per dimostrare che non sul popolo italiano, ma solo sul fascismo ricadono le responsabilità e l'onta per i delitti commessi contro il libero popolo jugoslavo.
Ed è su questa chiara coscienza che già si fonda l'azione del popolo jugoslavo e delle sua avanguardia liberatrice. Gli italiani schiavi hanno ridotto in schiavitù il popolo sloveno e il popolo croato, ma gli sloveni e i croati liberi aprono oggi, con ampie libertà democratiche, nuovi orizzonti alla vita delle popolazioni che entrano nel raggio delle operazioni del NOVJ.
Lo spirito che informa le relazioni tra popoli liberi agli interessi progressivi di tutta l'umanità, è oggi, deve sempre più essere alla base delle nostre relazioni, della nostra amicizia per il popolo jugoslavo, araldo di libertà e costruttore nei Balcani della nuova Europa.
Dalla marcia sempre più rapida degli eserciti sovietici ed jugoslavi, facile è trarre l'augurio di prossime grandi operazioni per la liberazione della Venezia Giulia e dell'Italia nord-orientale dal nazi-fascismo.
Confidando nell'aiuto sovietico ed jugoslavo alla sua lotta, il popolo italiano, impegnato nella battaglia insurrezionale, rivolge - oggi, 7 novembre - il suo saluto augurale al popolo jugoslavo che l'U.R.S.S., guida dei popoli slavi, così validamente sostiene nella sua lotta per la riscossa e la libertà.

[Eugenio Curiel
Tratto da "La nostra lotta",

organo del Partito Comunista Italiano, a. II, n.17, ottobre 1944 ]


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http://www.diecifebbraio.info/2013/02/i-crimini-dellesercito-italiano-in-jugoslavia/

http://www.marxismo.net/storia-e-memoria/i-crimini-dellesercito-italiano-in-jugoslavia

I crimini dell’Esercito italiano in Jugoslavia

Storia e Memoria
Scritto da Ivan Serra   
Giovedì 07 Febbraio 2013 14:48


A proposito del “giorno del ricordo”


I dieci anni passati dalla presentazione della legge per l'istituzione del giorno del ricordo, votata poi da tutto l'arco parlamentare con poche eccezioni, non hanno certo attenuato il carattere mistificatorio di questa ricorrenza. Già la scelta della data, così vicina a quella del 27 di gennaio, giorno dell'abbattimento nel 1945 dei cancelli di Auschwitz e commemorazione a livello internazionale  delle vittime del nazismo, le tenderebbe a confondere e unificare.

In realtà il 10 febbraio 1947 il trattato di pace che fu firmato a Parigi con le potenze alleate vincitrici della guerra, considerava l'Italia sì cobelligerante contro la Germania dopo l'armistizio, ma pienamente corresponsabile della guerra di  aggressione intrapresa e per questo punita. Lo stesso testo della legge dove si parla di tutte le "tormentate vicende del confine orientale", viene poi travisato nella realtà quando vengono solo ricordate foibe ed esodo, dimenticando proprio le guerre  di aggressione a Russia, Grecia e Jugoslavia. Tra l'altro in questi ultimi territori  i crimini italiani e fascisti non cominciarono neanche con la seconda guerra mondiale ma nel ventennio precedente al termine della prima, quando  l'Istria, regione multietnica e multilingue,  venne ceduta dall'Impero Asburgico all'Italia che impose la sua politica di snazionalizzazione fatta di persecuzioni, privazioni linguistiche e culturali verso sloveni e croati.

 

L’aggressione delle forze dell’asse il 6 aprile 1941 al regno di Jugoslavia a livello di vera e propria guerra non dichiarata portò alla smembramento dello stesso e all'annessione di parti del territorio occupato, abitato da popolazioni slave, con la creazione di nuove province e protettorati.

 

Complessivamente si stima che nei territori dei Balcani controllati dal regime fascista tra l'aprile del 1941 e il settembre 1943 almeno 350000 persone siano morte per cause connesse all'attività delle forze d'occupazione, nelle prigioni e nei  campi di concentramento gestiti dagli italiani, vittime di rastrellamenti, fucilazioni e rappresaglie antipartigiane.  Nei territori occupati 250000 furono le vittime jugoslave,  mentre almeno 100000 le vittime greche non solo della repressione diretta ma anche di una tremenda carestia alimentare causata dalla disorganizzazione dell'amministrazione italiana. Queste cifre, fornite già nell'immediato dopoguerra dalla documentazione ufficiale jugoslava, sono confermate dai dossier della Commissione per i crimini di guerra delle Nazioni Unite, raccolti a suo tempo ma solo recentemente utilizzati per la prima volta per il documentario Fascist legacy. Realizzato nel 1989 per la Bbc e acquistato dalla Rai non fu poi mai messo in onda, almeno dalla tv pubblica (caso unico al mondo, secondo la Bbc stessa, di documentario comprato e subito archiviato).

 

La politica di Mussolini

 

Dopo la prima guerra mondiale i pregiudizi antislavi presenti nella classe dirigente italiana come elementi del nazionalismo e dell’irredentismo furono ben esemplificati da Mussolini che nel 1920 disse a Pola che bisognava “espellere questa razza barbara, inferiore slava da tutto l’Adriatico” . Una volta al potere il fascismo trasformò in legge tutto questo e gli oppositori alle politiche di snazionalizzazione e discriminazione fascista furono la maggioranza dei condannati del Tribunale Speciale (di 47 condanne a morte, 36 riguardavano sloveni e croati e 26 furono eseguite).

 

I programmi di “bonifica nazionale” del cosiddetto “fascismo di frontiera” degli anni venti e trenta trovarono attuazione già nel giugno 1940, quando il governatore della provincia dell’Istria propose d'istituire, tra Verona e Trento, campi di concentramento per gli slavi di quelle terre sospettati di sentimenti anti italiani. Il resto lo fecero, dopo l’occupazione dei territori jugoslavi nel 1941, le truppe del regio esercito comportandosi come veri e propri colonizzatori, portatori di una presunta superiore civiltà latina.

 

A questa civilizzazione forzata si opposero le popolazioni dei territori jugoslavi, arrivando a una rivolta che da insurrezione armata si trasformò poi in guerra di liberazione nazionale con un forte esercito partigiano. Le truppe italiane di occupazione, insieme con le altre forze dell’asse, applicarono misure da stato d’assedio giustificando distruzioni, deportazioni e fucilazioni al fatto di trovarsi di fronte a una popolazione che, non volendosi sottomettere o farsi assimilare, veniva considerata alla stregua di barbari da punire. In queste operazioni poi gli italiani si servirono  anche di reparti di collaborazionisti come i fascisti croati ustascia o i cetnici nazionalisti serbi.

 

Nella provincia di Lubiana occupata e annessa dopo lo smembramento della Jugoslavia già nel settembre 1941 si applicava la pena di morte per il semplice possesso di materiale e pubblicazioni sovversive. Ogni azione partigiana prevedeva in risposta fucilazioni tra ostaggi civili. La famigerata circolare 3C del generale Mario Roatta, nella quale si leggeva che “il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla formula dente per dente ma bensì testa per dente“ prevedeva le disposizioni su come effettuare rastrellamenti nelle zone rurali e rompere così l’appoggio popolare al movimento di liberazione. Il testo ordinava la fucilazione immediata di catturati in sospetto di essere partigiani, l’uccisione indiscriminata di ostaggi a discrezione dei comandanti impegnati nell’azione, l’internamento delle famiglie dei sospetti nei campi di concentramento, la distruzione totale delle abitazioni nelle zone interessate dalle operazioni con incendi attuati da reparti chimici, lanciafiamme, bombardamenti.

 

In Slovenia il totale dei villaggi distrutti  dalle truppe italiane nel luglio 1942 era di 104 e nel complesso 60000 persone, il 18% degli abitanti della provincia di Lubiana  furono deportati nei circa 200 campi di concentramento presenti su tutto il territorio italiano. Per risolvere il problema dell’italianizzazione di questa nuova provincia  l’obiettivo finale era, per il generale Mario Robotti, il trasferimento e l’internamento di tutti gli sloveni, sostituendoli con italiani, facendo così coincidere le frontiere razziali con quelle politiche.

 

Italiani brava gente?

 

In totale oltre 100000 jugoslavi conobbero la durezza dei lager di Mussolini; in quello di Kampor sull’isola di Arbe/Rab la mortalità dei civili, in maggior parte donne, vecchi e bambini, superava la percentuale del campo nazista di Dachau. Si calcola che nei lager italiani circa 12000 furono le vittime jugoslave per denutrizione, stenti, maltrattamenti e malattie. La logica, secondo il generale Gastone Gambara, era quella che “campo di concentramento non significhi campo di ingrassamento. Individuo malato=individuo che sta tranquillo”.

 

Nel Montenegro occupato, formalmente monarchia alleata all’Italia ma praticamente un protettotato italiano, ci fu un'immediata insurrezione alla proclamazione del regno nel luglio 1941 che portò alla cattura da parte della popolazione di oltre 4000 occupanti. La risposta che venne, i primi stermini in massa di civili, fu opera del generale Alessandro Pirzio Biroli, che in precedenza aveva esortato “ho sentito dire che siete dei buoni padri di famiglia. Ciò va bene a casa vostra, non qui. Qui non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori.”

Per vincere la ribellione nessun mezzo era eccessivo e si garantiva l’impunità per ogni azione commessa, ordinando l’uccisione di 50  civili per ogni ufficiale italiano ucciso o ferito; la norma era diventata l’eliminazione di massa, l’incendio e la distruzione d'interi villaggi.

 

Anche nella Dalmazia occupata divenuta provincia italiana l’italianizzazione forzata non rifuggiva dalla prospettiva di espulsioni di massa mentre grandi rastrellamenti, massacri e fucilazioni erano all’ordine del giorno. All’interno dello Stato Indipendente Croato (regno con a capo, almeno formalmente, Ajmone di Savoia) serbi ed ebrei e rom furono le vittime di una feroce pulizia etnica attuata dagli ustascia sotto gli occhi dell’alleato italiano. I nazionalisti croati furono una creatura di Mussolini fin dal 1929, protetti e allevati  in Italia in funzione del dissolvimento della Jugoslavia e alle mire imperialiste sui Balcani. Il rapporto con  l’alleato ustascia nello stato fantoccio del duce croato Pavelic dall’inizio della guerra era variato dopo che l’influenza tedesca era aumentata a spese di quella italiana. I fascisti da grandi sponsor di Pavelic non riuscendo più a dominare la situazione giunsero anche a servirsi dei cetnici serbi nelle azioni contro i civili e le formazioni partigiane.

 

Il caso degli ebrei dalmati non consegnati dagli italiani agli ustascia e ai nazisti, o alla protezione di popolazione serba contro la furia fascista croata, utilizzato anche nelle trattative di pace nel dopoguerra come punto a favore per l’Italia fu invece strumentale ai rapporti con i cetnici e i nazisti. L’obiettivo dei fascisti croati di eliminare ebrei e serbi dal proprio territorio venne utilizzato politicamente dagli italiani, come sempre mascherando scontri etnici come opportunità per il proprio disegno di dominio (e comunque anche tra gli obiettivi dei fascisti come dei nazisti c’era l’espulsione totale degli ebrei dal proprio territorio nazionale, tra deportazione e sterminio la differenza era solo temporale).

 

Non ci fu in Italia un processo di Norimberga per i criminali di guerra italiani nonostante le Nazioni Unite, oltre che le singole nazioni aggredite, avessero raccolto materiale su centinaia di italiani, a partire dal 1935 e su tutte le guerre di aggressioni fasciste, dall’Etiopia alla campagna di Russia.

Capo del governo dopo la caduta del fascismo divenne nel 1943 Pietro Badoglio, uno dei nomi della lista per i crimini commessi in Etiopia; anche altri ufficiali si riciclarono nella nuova amministrazione e le mutate condizioni geopolitche del dopoguerra fecero slittare i processi, previsti anche dal Trattato di Pace, fino a una completa estinzione.

 

L’immunità  che ha goduto il fascismo nel dopoguerra a livello di crimini commessi e di responsabilità personali, a differenza di quelli nazisti nei vari paesi europei, si è poi trasformato, grazie a varie complicità, in un certo revisonismo storico, in continuità col passato fascista arrivando infine al ribaltamento delle responsabillità per cui gli aggrediti diventano gli aggressori, le vittime i carnefici.

 

Il mito del “bono italiano” si dimostra, alla luce di tutto questo, quanto di più lontano dalla realtà storica; le politiche di occupazione fasciste nei Balcani infatti (o, tra le altre, le guerre coloniali in Africa) non si differenziarono più di tanto da quelle naziste.

 

La memoria selettiva di questo “giorno del ricordo” limitata alle sole foibe e all’esodo, avvallata non solo dalla destra nostalgica ma anche da forze fintamente progressiste,  dimentica le vere cause che portarono a tutto questo, la barbarie compiute dal fascismo.

 

Leggi anche:

I campi di concentramento in Friuli: i crimini del fascismo contro i popoli jugoslavi di Alessandra Kersevan http://www.marxismo.net/content/view/610/156/La lotta partigiana presso il confine orientale: una rilettura necessaria di Gabriele Donatohttp://www.marxismo.net/content/view/610/156/

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Bibliografia

 

- Brunello Mantelli  "Gli italiani nei Balcani 1941-1943: occupazione militare, politiche persecutorie e crimini di guerra" da Qualestoria N.ro 1 "L'Italia fascista potenza occupante: lo scacchiere balcanico" Giugno 2002

- AAVV  "Revisionismo storico e terre di confine"  Kappa Vu 2007

- Pero Morača "I crimini commessi da occupanti e collaborazionisti in Jugoslavia durante la seconda guerra mondiale" da AAVV "L'occupazione nazista in Europa" Editori Riuniti 1964

- Alessandra Kersevan "Lager italiani - Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943" Nutrimenti 2008

- Report on italian crimes against Yugoslavia and its people  Belgrade 1946



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(srpskohrvatski / italiano / english)

Good Intentions Paving the Road to War

1) L'UE "Nobel per la guerra": record delle vendite di armi per i paesi dell'Unione europea nel 2011
2) The Good Intentions That Pave the Road to War (Diana Johnstone)
3) Nobelova Nagrada za Mir "pacifističkoj" Evropskoj Uniji (R. Krsmanović)

A proposito del paradossale conferimento del Premio Nobel per la Pace alla Unione Europea rimandiamo anche ai nostri post recenti:
Annie Lacroix- Riz: EU nije projekat mira - 
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7544
A. Lacroix-Riz spiega l'assurdità del Nobel per la pace all'UE - http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7538
Na dodjelu Nobelove nagrade Europskoj Uniji - http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7517


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http://www.resistenze.org/sito/os/ep/osepdb04-012293.htm
www.resistenze.org - osservatorio - europa - politica e società - 04-02-13 - n. 439

L'UE "Nobel per la guerra": record delle vendite di armi per i paesi dell'Unione europea nel 2011
 
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
02/02/2013
 
2012: anno del premio Nobel per il cinismo assegnato all'Unione europea. Non contenta di essere una macchina per schiacciare i diritti dei popoli e dei lavoratori, è anche nell'UE che, nel 2011, sono stati battuti tutti i record di vendita di armi e di attrezzature militari.
 
Questo è quanto emerge dalla Rete europea contro il traffico di armi (ENAAT): le esportazioni di armi da parte degli Stati membri dell'UE ammontano nel 2011 a 37,5 miliardi di euro, un aumento del 18% rispetto al 2010.
 
Cifre derivate da un rapporto assolutamente ufficiale dell'UE, pubblicato il 14 dicembre, sulle esportazioni a carattere militare.
 
Attivisti per il disarmo tuttavia, hanno denunciato una relazione incompleta, con lacune per ciò che riguarda i contratti di fornitura di armi, in particolare britannici e tedeschi
 
Quanto ai paesi fornitori, la relazione mostra che la Francia, la Gran Bretagna, la Germania, l'Italia e la Spagna rappresentano l'80% delle esportazioni di armi dell'UE.
 
La Francia da sola ha esportato per un quarto del totale, con 10 miliardi di euro di esportazioni di materiale bellico. È seguita dalla Gran Bretagna (7 miliardi di euro) e dalla Germania (5,4 miliardi).
 
Fra i principali paesi clienti, una serie di dittature alleate della NATO: l'Arabia Saudita, primo cliente con 4,2 miliardi di euro, ma anche gli Emirati Arabi Uniti (2 miliardi) recentemente corteggiati dal presidente Hollande.
 
La "primavera araba" non ha impedito ai paesi dell'UE di garantire i loro ultimi contratti con i regimi autoritari del Magreb: la Tunisia (16 milioni €), l'Egitto (303 milioni €), la Libia (34 milioni €) ed il Marocco (335 milioni €, che provengono dalla Francia).
 
I paesi dell'UE non esitano d'altra parte a spandersi nelle diverse parti in conflitto: così è in Asia del sud dove forniscono l'India (1,5 milioni di euro) ed il Pakistan (410 milioni di euro), ma anche l'Afghanistan (465 milioni di euro) record d'importazione per questo paese devastato dall'intervento della NATO.


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http://www.counterpunch.org/2013/02/01/the-good-intentions-that-pave-the-road-to-war/

WEEKEND EDITION FEBRUARY 1-3, 2013
R2P and Genocide Prevention


The Good Intentions That Pave the Road to War

by Diana Johnstone   

Paris.

Opposing genocide has become a sort of cottage industry in the United States.

Everywhere, “genocide studies” are cropping up in universities.  Five years ago, an unlikely “Genocide Prevention Task Force” was set up headed by former secretary of state Madeleine Albright and former defense secretary William Cohen, both veterans of the Clinton administration.

The Bible of the campaign is Samantha Power’s book, “A Problem from Hell”.  Ms. Power’s thesis is that the U.S. Government, while well-intentioned, like all of us, is too slow to intervene to “stop genocide”.  It is a suggestion that the U.S. government embraces, even to taking on Ms. Power as White House advisor.

Why has the U.S. Government so eagerly endorsed the crusade against “genocide”?

The reason is clear.  Since the Holocaust has become the most omnipresent historical reference in Western societies, the concept of “genocide” is widely and easily accepted as the greatest evil to afflict the planet. It is felt to be worse than war.

Therein lies its immense value to the U.S. military-industrial complex, and to a foreign policy elite seeking an acceptable pretext for military intervention wherever they choose.

The obsession with “genocide” as the primary humanitarian issue in the world today relativizes war.  It reverses the final judgment of the Nuremberg Trials that:

War is essentially an evil thing. Its consequences are not confined to the belligerent states alone, but affect the whole world. To initiate a war of aggression, therefore, is not only an international crime; it is the supreme international crimediffering only from other war crimes in that it contains within itself the accumulated evil of the whole.

Instead, war is transformed into a chivalrous action to rescue whole populations from “genocide”.

At the same time, national sovereignty, erected as the barrier to prevent strong nations from invading weaker ones, that is, to prevent aggression and “the scourge of war”, is derided as nothing but a protection for evil rulers (“dictators”) whose only ambition is to “massacre their own people”.

This ideological construct is the basis for the Western-sponsored doctrine, forced on a more or less reluctant United Nations, of “R2P”, the ambiguous shorthand for both the “right” and the “responsibility” to protect peoples from their own governments.

In practice this can give the dominant powers carte blanche to intervene militarily in weaker countries in order to support whatever armed rebellions they favor. Once this doctrine seems to be accepted, it can even serve as an incitement to opposition groups to provoke government repression in order to call for “protection”.

One among many examples of this cottage industry is a program called “World Without Genocide” at the William Mitchell College of Law in my home town, Saint Paul, Minnesota, whose executive director Ellen J. Kennedy recently wrote an article for the Minneapolis Star Tribunewhich expresses all the usual clichés of that seemingly well-meaning but misguided campaign.

Misguided, and above all, misguiding.  It is directing the attention of well-intentioned people away from the essential cause of our time which is to reverse the drift toward worldwide war.

Ms. Kennedy blames “genocide” on the legal barrier set up to try to prevent aggressive war: national sovereignty.  Her cure for genocide is apparently to abolish national sovereignty.

For more than 350 years, the concept of “national sovereignty” held primacy over the idea of “individual sovereignty.” Governments basically had immunity from outside intervention despite human-rights violations they perpetrated within their borders. The result has been an “over and over again” phenomenon of genocide since the Holocaust, with millions of innocent lives lost in Cambodia, Bosnia, Rwanda, Congo, Guatemala, Argentina, East Timor — the list is long.

In fact, Hitler initiated World War II precisely in violation of the national sovereignty of Czechoslovakia and Poland partly in order, he claimed, to stop human rights violations that those governments allegedly perpetrated against ethnic Germans who lived there. It was to invalidate this pretext, and “save succeeding generations from the scourge of war”, that the United Nations was founded on the basis of respect for national sovereignty.

Of course, there is no chance that the United States will abandon itsnational sovereignty.  Rather, all other countries are called upon to abandon their national sovereignty – to the United States.

Ms. Kennedy’s lengthens her list by arbitrarily grouping disparate events under the single label of “genocide”, mostly according to their place in the official U.S. narrative of contemporary conflicts.

But the significant fact is that the worst of these slaughters – Cambodia, Rwanda and the Holocaust itself – occurred during wars and as a result of wars.

The systematic rounding up, deportation and killing of European Jews took place during World War II.  Jews were denounced as “the internal enemy” of Germany.  War is the perfect setting for such racist paranoia.  After all, even in the United States, during World War II, Japanese American families were dispossessed of their property, rounded up and put in camps.  The result was not comparable, but the pretext was similar.

In Rwanda, the horrific slaughter was a response to an invasion by Tutsi forces from neighboring Uganda and the assassination of the country’s president.  The context was invasion and civil war.

The Cambodian slaughter was certainly not the fault of “national sovereignty”.  Indeed, it was precisely the direct result of the U.S. violation of Cambodia’s national sovereignty. Years of secret U.S. bombing of the Cambodian countryside, followed by a U.S.-engineered overthrow of the Cambodian government, opened the way for takeover of that country by embittered Khmer Rouge fighters who took out their resentment against the devastation of rural areas on the hapless urban population, considered accomplices of their enemies. The Khmer Rouge slaughters took place after the United States had been defeated in Indochina by the Vietnamese.  When, after being provoked by armed incursions, the Vietnamese intervened to overthrow the Khmer Rouge, they were condemned in the United Nations by the United States for doing so.

Some of the bloodiest events do not make it to Ms. Kennedy’s “genocide” list.  Missing is the killing of over half a million members of the Indonesian Communist Party in 1965 and 1966. But the dictator responsible, Suharto, was “a friend of the United States” and the victims were communists.

But while ignoring over half a million murdered Indonesians, she includes Bosnia on her list.  In that case, the highest estimate of victims was 8,000, all men of military age.  Indeed, the NATO-linked International Criminal Tribunal (ICTY) has ruled that the 1995 Srebrenica massacre was “genocide”.   To arrive at this verdict, despite the fact that the alleged perpetrators spared women and children, the ICTY found a sociologist who claimed that since the Muslim community of Srebrenica was a patriarchy, murdering the menfolk amounted to “genocide” in a single town, since the women would not return without the men.  This far-fetched judgment was necessary to preserve “Bosnia” as Exhibit A in the case for NATO military intervention.

It is generally overlooked that Srebrenica was a garrison town where the Muslim men in 1995 were not all natives of that originally multi-ethnic town and had been carrying out attacks on surrounding Serb villages.  Nor have Western media given much attention to the testimony by Srebrenica Muslim leaders of having heard the Islamist party leader, Alija Izetbegovic, confide that President Clinton had said that a massacre of at least 5,000 Muslims was needed to bring the “international community” into the Bosnian civil war on the side of the Muslims.  Those Muslim leaders believe that Izetbegovic deliberately left Srebrenica undefended in order to set up a massacre by vengeful Serbs.

Whether or not that story is true, it points to a serious danger of adopting the R2P principle.  Izetbegovic was the leader of a party which wanted to defeat his enemies with outside military aid.  The world is rife with such leaders of ethnic, religious or political factions.  If they know that “the world’s only superpower” may come to their aid once they can accuse the existing government of “slaughtering its own people”, they are highly motivated to provoke that government into committing the required slaughter.

A number of former U.N. peacekeepers have testified that Muslim forces in Bosnia carried out the infamous “Marketplace bombings” against Sarajevo civilians in order to blame their Serb enemies and gain international support.

How could they do such a horrid thing?  Well, if a country’s leader can be willing to “massacre his own people”, why couldn’t the leader of a rebel group allow some of “his own people” to be massacred, in order to take power?  Especially, by the way, if he is paid handsomely by some outside power – Qatar for instance – to provoke an uprising.

A principal danger of the R2P doctrine is that it encourages rebel factions to provoke repression, or to claim persecution, solely to bring in foreign forces on their behalf. It is certain that anti-Gaddafi militants grossly exaggerated Gaddafi’s threat to Benghazi in order to provoke the 2011 French-led NATO war against Libya.  The war in Mali is a direct result of the brutal overthrow of Gaddafi, who was a major force for African stability.

R2P serves primarily to create a public opinion willing to accept U.S. and NATO intervention in other countries.  It is not meant to allow the Russians or the Chinese to intervene, say, to protect housemaids in Saudi Arabia from being beheaded, much less to allow Cuban forces to shut down Guantanamo and end U.S. violations of human rights – on Cuban territory.

U.S. intervention does not have a track record of “protecting” people.  In December 1992, a Marine battalion landed in Somalia in “Operation Restore Hope”.  Hope was not restored, Marines were massacred by the locals and were chased out within four months.  It is easier to imagine an effective intervention where none has been attempted – for instance in Rwanda – than to carry it out in the real world.

For all its military power, the United States is unable to make over the world to its liking. It has failed in Iraq and in Afghanistan. The 1999 “Kosovo war” is claimed as a success – only by studiously ignoring what has been going on in the province since it was wrested from Serbia by NATO and handed over to Washington’s ethnic Albanian clients.  The “success” in Libya is publicly unraveling much faster.

Like all the R2P advocates, Ms. Kennedy exhorts us “never again” to allow a Holocaust. In reality there has “never again” been another Holocaust.  History produces unique events which defy all our expectations.

But what, people ask me, if something that dreadful did happen?  Should the world just stand by and watch?

What is meant by “the world”?  The Western ideological construct assumes that the world should care about human rights, but that only the West really does.  That assumption is creating a deepening gap between the West and the rest of the world, which does not see things that way.  To most of the real world, the West is seen as a cause of humanitarian disasters, not the cure.

Libya marked a turning point, when the NATO powers used the R2P doctrine not to protect people from being bombed by their own air force (the idea behind the “no fly zone” UN resolution), but to bomb the country themselves in order to enable rebels to kill the leader and destroy the regime.  That convinced the Russians and Chinese, if they had had any doubts, that “R2P” is a fake, used to advance a project of world domination.

And they are not alone and isolated.  The West is isolating itself in its own powerful propaganda bubble. Much, perhaps most of the world sees Western intervention as motivated by economic self-interest, or by the interests of Israel.  The sense of being threatened by U.S. power incites other countries to build up their own military defenses and to repress opposition militants who might serve as excuses for outside intervention.

By crying “genocide” when there is no genocide, the U.S. is crying wolf and losing credibility. It is destroying the trust and unity that would be needed to mobilize international humanitarian action in case of genuine need.

DIANA JOHNSTONE is the author of Fools Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions. She can be reached at  diana.josto@...

A shorter version of this article appeared in the Minneapolis Star Tribune on January 25.


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http://rkrsmanovi.blogspot.it/2013/01/autor-ratko-krsmanovic-stvarni-razlozi.html

уторак, 15. јануар 2013.

DOSUĐUVANJE NOBELOVE NAGRADE ZA MIR "PACIFISTIČKOJ" EVROPSKOJ UNIJI



Stvarni razlozi nastanka Evropske Unije i presudna uloga SAD


Autor: 
Ratko Krsmanović


Vašington je nametnuo potrebu ujedinjenja Evrope pod tutorstvom Nemačke; Otvaranja evropskog horizonta je bila prilika za Nemačku da postepeno  izbriše posledica ratnog poraza i povrati izgubljenu moć;
 Aktuelizovanje stare pesme “jednaki u pravima” («Glaicheberechtigung»), što je Berlin već jednom pevao;
Pokidane veze između Rajha i Vatikana, ustupile su mesto vezama sa SAD i Nemačkom kao američkim osloncem za “evropske konstrukcije”; 
Danas EU ima svoju upravljačku klasu, a klasa sa takvim statusom traži i oslonce svoje zaštite našavši ga u vojnom savezu kakav je NATO sa nezaobilaznom ulogom SAD, što pomenute sudije za “dosuđivanje” Nobelove nagrade za mir nisu hteli da primete; 
Pripadanje EU znači i pripadnost NATO alijansi



 Tutorstvo Evropske Unije i njena poslušnička uloga u sprovođenju američkih i NATO naloga, rezultirali su dodeljivanjem Nobelove nagrade za mir 12.oktobra minule godine. Taj događaj predstavlja, ne samo kompromitovanje ove značajne nagrade, već i svojevrsnu porugu najvažnijoj civilizacijskoj vrednosti kakva je mir. Istina, u ovom svetu apsurda, taj izbor je saglasan sa aktuelnom politikom dodeljivanja ovog priznanja poslednjih godina.

Evropska Unija se od samog nastanka do danas pokazala izuzetno poslušnim vojnikom NATO alijanse. Više od dvadeset godina EU i njene članice su upletene u gotovo sve ratove u svetu uz prepoznatljive pokušaje reinstaliranja starih kolonijalnih uloga i uspostavljanja novih.
Istinski ciljevi, smisao i uloga EU su prepoznatljivi iz sadržaja dosta svežih arhiva koji su najpouzdanii oslonac istorijskih istraživanja i podsećanja na redoslede koraka njenog nastanka. To je veliki izazov savremenim istoričarima.


Podsećanja radi, želeo bih ukazati neke od tih istorijskih činjenica i okolnosi koje su uslovile nastanak ove i ovako “pacifistički” raspoložene EU, koju je žiri u Oslu okitio Nobelovom nagradom za mir. Te okolnosti zaslužuju daleko podrobnije istraživanje od jednog komentatorskog osvrta.

Temeljni akt koji se uzima kao početak “evropskih integracija”, predstavlja tzv. “deklaracija Šumana” od 9. maja 1950. godine. Već sledećeg dana, 10. maja, održana je značajna konferencija Atlantske Alijanse u osnivanju (NATO), gde je službeno dato zeleno svetlo za ponovno naoružavanje Savezne Republike Nemačke. Taj postupak je zapravo odgovor na dve godine star zahtev Vašingtona (1948.g.). I ako su prošle 4 godine nakon uništenja nacizma i usledila podela Nemačke, struktura Vermahta je sačuvana u najraznovrsnijim organizacijama, uključujui i kadrovsku. Da bi se prigušio mogući otpor evropske populacije Atlanskoj Alijansi, usled svežih sećanja na minuli rat, pribeglo se lukavstvu u vidu stvaranja Zajednice za ugalj i čelik (ECSC), koju je nagovestio francuski minister inostranih poslova Robert Šuman u svojoj famoznoj “deklaraciji”. Time je faktički prikriveno ono što se stvarno odvijalo iza američkih i nemačkih kulisa.

 Operacionalizacija zaokruživanja NATO zone je otpočela marta 1947. godine, čuvenim govorom predsednika Trumana u Kongresu, kada je zatražio kredite za podršku Grčkoj i Turskoj radi odbrane od “napada”. Tada je izbegao pominjanje SSSR-a kao potencijalnog “napadača”, jer su u tom času SAD i SSSR bili još uvek vojni saveznici. Sveže neprijateljstvo zapadnoevropskih zemalja prema Nemačkoj, naročito Francuske, prevaziđeno je svojevrsnom finansijskom ucenom u vidu “Maršalovog plana”. Primena ovog plana je uslovljena prihvatanjem izvesne političke “zajednice” integrisane Evrope, što je sasvim jasno formulisano u poznatom govoru na Harvardu 5. Juna 1947.

Dakle, Vašington je već tada nametnuo potrebu ujedinjenja Evrope pod tutorstvom Nemačke, čije su strukture bile čvrsto povezane sa SAD. Tadašnja Nemačka je imala najrazvienije kapitalističke strukture i najmanje razorene industrijske resurse. Čak 80% industrijskih potencijala u Nemačkoj je sačuvano 1945. godine, za razliku od ostatka razorene Evrope.

Motivi Vašingtona u pogledu ujedinjavanja Evrope nisu bili sadržani samo u geostrateškim razlozima, već isto tiliko u ekonomskim i finansijskim.
Nova američka strategija u vidu otvaranja evropskog horizonta je bila prilika za Nemačku da postepeno  izbriše posledica ratnog poraza i povrati izgubljenu moć, što je predstavljalo najvažniji spoljnopolitički cilj. Taj cilj nije nužno u saglasnosti sa američkim, ali je i jedna i druga strana zajedničkom akcijom lakše realizovala i posebne.
 Oživotvorenje međuratne ideje pod terminom “jednaki u pravima” («Glaicheberechtigung»), što je Berlin već jednom pevao u znak odustajanja od klauzula Versajskog mira, ne samo da je aktuelizovano, več je praćeno  sada i ukidanjem ograničenja proizvodnje oruža koja su bila nametnuta u Jalti i Potsdamu. Tu su takođe presudnu ulogu odigrale SAD, mada se današnjim  ružičastim pričama o mirotvoračkom razlogu nastanka i ocima EU, ove činjenice i dalje drže daleko od javnosti, stvarajući privid kako je reč o “oazi mira”, pa su taj “pacifizam” EU očigledno  vrednovali i sudije za dodelu Nobelove nagrade za mir.

U procesima profilisanja fizionomije evropske zajednice, kao važan asistent i saranik se pokazao i Vatikan, ma koliko se prećutkivala njegova geopolitička uloga. Pokidane veze između Rajha i Vatikana, ustupile su mesto vezama sa SAD i Nemačkom kao američkim osloncem za “evropske konstrukcije”.
Danas EU ima svoju upravljačku klasu, a klasa sa takvim statusom trži i oslonce svoje zaštite, zaštite osvojenih pozicija u zamršenim procesima socijalne i klasne diferencijacije. Svog zaštitnika prepoznaju u jakom vojnom savezu kakav je NATO sa nezaobilaznom ulogom SAD, što pomenute sudije za “dosuđivanje” Nobelove nagrade za mir nisu hteli da primate. Uz zaštitu nužno se pruža “alibi” nadnacionalnim institucijama poput Centralne Evropske Banke, kako bi se u interesu krupnog kapitala, pojedinačne nacionalne odluke istrgle od kontrole I gneva vlastitih naroda. Ni takve zaštite ne ukazuju na optimizam niti su garancija mira.

Otuda je i logičan zaključak da pripadanje Evropskoj Uniji znači i pripadnost NATO-u kao i pristanak na propisane standarde ove alijanse. Nije ralno očekivati da neka članica EU pripada nekom drugom  vojnom savezu.


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(italiano / srpskohrvatski)

Sastanak Kom-Partija Balkana u Solunu

Materiali dall'Incontro dei Partiti comunisti e operai dei Balcani - Salonicco 26 gennaio 2013

1) Contributo introduttivo della Segretaria generale del KKE Aleka Papariga
2) NKPJ na sastanku kompartija balkana
3) Komunisti Srbije na Konferenciji komunističkih i radničkih partija Balkana u Grčkoj

Si veda anche la 
Dichiarazione congiunta del Partiti comunisti e operai dei Balcani, Salonicco 26/01/2013
http://www.resistenze.org/sito/te/pe/mc/pemcda29-012249.htm
oppure http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7570


=== 1 ===

http://www.resistenze.org/sito/te/pe/mc/pemcdb04-012298.htm
www.resistenze.org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 04-02-13 - n. 439

Incontro dei Partiti comunisti e operai dei Balcani - Salonicco 26 gennaio 2013
 
Il 26 gennaio 2013 si è svolto a Salonicco su iniziativa del KKE, un Incontro di 10 Partiti Comunisti e Operai provenienti da 7 paesi balcanici: Albania, Bulgaria, Croazia, FYROM, Grecia, Serbia e Turchia. La Segretaria Generale del Comitato Centrale del KKE, Aleka Papariga ha pronunciato il discorso introduttivo. E' stata approvata una risoluzione congiunta a conclusione dell'Assemblea.
 
Tema: Lo sviluppo della lotta di classe e dell'internazionalismo proletario come risposta al nazionalismo borghese e al pericolo della guerra imperialista
 
Contributo introduttivo della Segretaria generale del KKE Aleka Papariga
 
Aleka Papariga | kke.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
26/01/2013
 
Cari compagni,
 
Vi diamo il benvenuto ai lavori della riunione dei Partiti Comunisti e Operai dei Balcani di Salonicco, organizzata su iniziativa del KKE. Riteniamo la vostra presenza alla riunione molto importante, non solo perché è una nuova occasione di scambio di informazioni ed esperienze e per coordinare la nostra azione militante, ma anche perché la vostra partecipazione è espressione concreta della solidarietà dei comunisti dei Balcani con le lotte dei lavoratori greci. Lotte che vengono condotte nelle condizioni di profonda crisi del capitalismo, di cui la classe borghese sta cercando di scaricare il peso sulle spalle dei lavoratori.
 
Negli ultimi anni, in cui la crisi va svolgendosi, milioni di lavoratori si trovano faccia a faccia con le sue gravi conseguenze, sperimentando in prima persona le difficoltà del modo di produzione capitalistico. Centinaia di migliaia di lavoratori hanno perso il posto di lavoro, mentre salari, pensioni e servizi pubblici vengono drasticamente ridotti. La causa di questi eventi non risiede nel dogmatico attaccamento dei partiti di governo al "neoliberismo", come sostiene il partito ora ufficialmente di opposizione, SYRIZA. Né è dovuto alla "incompetenza" di chi governa o al suo "tradimento", come quasi tutti i partiti di opposizione sostengono, con l'eccezione del KKE. Il nostro Partito non è d'accordo con queste altisonanti valutazioni sulle cause della dura realtà vissuta dai lavoratori nel nostro paese, in quanto sono estremamente superficiali e senza alcuna base scientifica.
 
Se i lavoratori, non solo in Grecia, ma in tutto il mondo, non afferrano le cause della crisi del capitalismo, delle sue tragiche conseguenze, ne saranno sempre vittime. Resteranno le "cavie di laboratorio" su cui lo staff borghese sperimenta la riorganizzazione della scena politica, proponendo nuove "formule" per la gestione del sistema, che non esita a definire di "sinistra" e "radicali", ma che in realtà ridanno ossigeno al sistema capitalista.
 
Le cause dei problemi che i lavoratori vivono sulla propria pelle, si trovano nella natura del sistema, in cui tutto funziona e si muove per il profitto, per la redditività del capitale. Una redditività che può essere salvaguardata solo attraverso un maggior e più intenso sfruttamento della classe lavoratrici e dei ceti popolari. Fino a quando la società ha come "forza motrice" il profitto dei capitalisti, i lavoratori sperimenteranno le conseguenze di una legge scientifica, chiamata crisi economica capitalista. L'inevitabilità della crisi si trova nel DNA del capitalismo: si rinviene nel carattere di merce assegnato alla produzione capitalistica, nella sua anarchia e irregolarità, nella contraddizione tra capitale e lavoro, nella contraddizione tra il carattere sociale della produzione e l'appropriazione privata dei suoi risultati causata dalla proprietà privata dei mezzi di produzione. La ricerca di sempre maggior profitto determina la tendenza alla progressiva riduzione del saggio medio di profitto. Da questo punto di vista, è quantomeno ingenuo credere nell'esistenza di una ipotetica gestione della crisi a favore del popolo o di "sinistra", sostenendo che sia possibile garantire profitti per il capitale e, allo stesso tempo, "mettere le persone al di sopra dei profitti".
 
Come è noto il nostro Partito, in particolare negli ultimi anni, ha dovuto ingaggiare un forte  conflitto politico ideologico contro le proposte di partecipare a un governo di "sinistra" per la salvezza del capitalismo, che agli occhi di una parte importante della classe operaia e dei ceti popolari è percepita come "via d'uscita" dalla crisi favorevole al popolo. Noi non cediamo! Continuiamo la lotta per "sradicare" questa menzogna dalla coscienza del popolo, diffusa dal governo e dall'opposizione. Né la pazienza e la sopportazione per le misure antipopolari né il cambiamento dell'attuale governo tripartito con un presunto governo di "sinistra" o "patriottico", possono umanizzare il capitalismo e indurlo a interessarsi delle sorti dei lavoratori, dei contadini poveri e dei lavoratori autonomi. Il potere borghese pervade le istituzioni, risiede nei suoi gangli aperti e occulti, che operano indipendentemente da quale partito borghese sia al governo, indipendentemente dalla maggioranza parlamentare formata. La crisi dimostra i limiti storici di questo sistema. La necessità e l'opportunità del socialismo è più che mai evidente per i lavoratori.
 
Tali questioni, ossia quale sia la reale alternativa per i lavoratori, la linea per l'unione della classe operaia e gli strati popolari, di quale partito abbiamo bisogno oggi, saranno le domande fondamentali del prossimo 19° Congresso del nostro Partito, che si terrà tra l'11 e il 14 aprile.
 
Compagni,
 
Nella battaglia che stiamo conducendo non dobbiamo trascurare che la crisi non è semplicemente in corso, ma oramai la recessione sta abbracciando e coinvolgerà nuovi paesi. Si sta acuendo la competizione tra le potenze imperialiste, tra i monopoli, per il controllo delle materie prime, delle loro vie di trasporto, per le quote di mercato. Così, in questi giorni è in fase di completamento l'installazione di una serie di missili patriot della NATO sulle frontiere di Turchia-Siria. Questo è un dato di fatto che ci approssima a un aperto coinvolgimento militare della NATO nell'intervento imperialista, dispiegato in Siria da un anno e mezzo. In questo lasso di tempo, sono in corso grandi esercitazioni militari russe nella regione del Mediterraneo orientale, già affollato di navi statunitensi e della NATO. Israele, insieme alla NATO, sta inoltre preparando un'esercitazione con l'impiego di 100 aerei da guerra. Un'operazione che è stata denunciata dal KKE come quelle effettuate da Israele in Grecia, perché puzzano di avventura imperialista contro l'Iran. Il confronto, che va concretizzandosi, può abbracciare la più ampia regione che va dal Medio Oriente al Nord Africa e il Golfo Persico, fino ai Balcani, al Caucaso e al Mar Caspio. In questi giorni la Francia sta trascinando nel sangue il popolo del Mali con l'approvazione dell'Unione europea e con il pretesto della "repressione del terrorismo". Questa offensiva è frutto della concorrenza tra i centri imperialisti e le potenze emergenti del capitalismo per la spartizione dei mercati, delle risorse energetiche, delle vie di trasporto.
 
E naturalmente, come in passato, le classi borghesi degli altri Stati capitalisti - che hanno una posizione intermedia nel sistema imperialista - sono coinvolte in varia misura nei confronti delle classi borghesi dei paesi capitalisti più forti. Questo è vero indipendentemente dal colore dei partiti in questi paesi, borghesi, riformisti e opportunisti.
 
Gli imperialisti usano qualsiasi pretesto per ottenere il sostegno o almeno la tolleranza del popolo alle guerre imperialiste: per "fermare la pulizia etnica", per presunti "motivi umanitari" (come nel caso della guerra contro la Jugoslavia), "contro il terrorismo" e per "consentire alle donne di abbandonare il burqa" (come ci hanno detto nella guerra contro l'Afghanistan), "in modo che le armi di distruzione di massa non siano utilizzate" (nella guerra contro l'Iraq) o anche "per sostenere la primavera araba" (come nel caso della Libia, e ora, in occasione degli sviluppi sanguinosi in Siria).
 
In queste condizioni vediamo le classi borghesi e i governi dei Balcani che partecipano attivamente ai piani imperialisti. In alcune occasioni forniscono territori, spazio aereo e marittimo, in altre occasioni provvedono forze armate, truppe.
 
Allo stesso tempo, queste sono le stesse forze che di volta in volta indossano il "costume" dell'irredentismo. La classe borghese greca, anche ora che si trova in una situazione di crisi, non ha mai smesso di sentire i "Balcani", come un cortile di Atene. Le esenzioni fiscali concesse alla borghesia greca, vengono investite negli altri paesi dei Balcani, dove, attualmente, sono possibili importanti margini di profitto. Allo stesso modo, la classe borghese della Turchia, con il governo Erdogan e il "neo-ottomanismo", sta cercando di intrappolare i lavoratori in un programma di rafforzamento del ruolo della borghesia turca, non solo in ambito regionale ma anche negli affari mondiali, svolgendo peraltro un ruolo molto sporco per quanto riguarda la Siria, oltre a promuovere rivendicazioni a scapito della Grecia nel Mar Egeo. Le posizioni recentemente espresse da Berisha in Albania sono anch'esse pericolose, in quanto contengono rivendicazioni territoriali a danno di molti Stati vicini, in nome di una "Grande Albania". Richieste simili sono promosse in Romania a spese della Moldova e Ucraina. E mentre nel nostro paese l'acuirsi del nazionalismo è al momento collegato, con il pretesto del problema dell'immigrazione, alla crescita del partito razzista nazista "Alba dorata", in altri paesi, come in Albania e anche in Romania vediamo che è collegato all'ambizione di annettere territori.
 
In ogni caso, il rafforzamento del nazionalismo borghese, dell'irredentismo, delle forze nazionalfasciste, in tutte le manifestazioni, è oggettivamente integrato, spesso in modo programmatico e operativo, ai piani della borghesia per ostacolare lo sviluppo della lotta di classe e di assimilazione della classe operaia e del suo movimento nel capitalismo. Al fine di raggiungere questo obiettivo, la borghesia si rivolge ai lavoratori utilizzando la metafora del "siamo tutti sulla stessa barca" o argomentazioni legate al "patriottismo", all'interesse comune per la "competitività dell'economia nazionale". Questi appelli spingono i lavoratori a dimenticare che in questa "barca comune", la maggioranza delle persone è in "sala macchine" per garantire, al prezzo di lacrime e sangue, la navigazione e i beni al suo interno; mentre un gruppo molto piccolo si gode il sole sul ponte, senza nemmeno muovere un dito! La borghesia vuole farci dimenticare la contraddizione di fondo che permea la società nel suo complesso. E non si ferma qui: chiede alla classe operaia e agli strati popolari di smettere di lamentarsi, e di sopportare ogni misura antipopolare con pazienza, in modo che la nostra supposta "barca comune" possa crescere ancora di più. E in effetti promettono che se questo accadrà, i lavoratori vivranno meglio.
 
Tuttavia, qual è la realtà? Sarà di aiuto ai lavoratori sostenere la classe borghese del proprio paese, mostrando ad esempio sopportazione davanti alle misure antipopolari, in modo da poter stimolare la redditività dei monopoli, che trasformeranno la fatica dei lavoratori in nuove esportazioni di capitali? I lavoratori dovrebbero marciare insieme con la classe borghese di ciascun paese per l'annessione di territori vicini?
 
L'esperienza ci ha insegnato che l'accettazione di questi argomenti da parte dei lavoratori in nessun caso porterà ad una vita migliore, anzi. La prova tangibile di ciò non è maturata di recente, ma è legata alle esperienze di tutto il 20° secolo. I lavoratori, se arrivano a comprendere che oggi ciascun paese capitalista, in relazione alle sue dimensioni, alla sua forza (economica, politica, militare), attraversa la fase del capitalismo monopolistico, la fase imperialista e finale del capitalismo, si renderanno conto che essi stessi non hanno nulla da guadagnare dal cambiamento della posizione del proprio paese nell'ambito di un'alleanza imperialista, per esempio all'interno della UE, o nell'ambito della "piramide" imperialista. Oggi anche nei paesi capitalisti più forti, come gli Stati Uniti e la Germania, ci sono milioni di disoccupati e sotto-occupati, incapaci di garantirsi il minimo per la soddisfazione dei bisogni relativi alla salute, all'istruzione, alla sicurezza sociale, all'abitazione, ecc. Anche i paesi che mantengono vestigia pre-capitaliste o paesi che non fanno parte di una specifica unione imperialista regionale o globale, sono anch'essi oggettivamente integrati e funzionano nel quadro del sistema imperialista internazionale.
 
Ancor di più, la classe operaia non ha alcun interesse a partecipare ai conflitti, nelle operazioni e nelle avventure di conquista dei territori, e più in generale nelle guerre imperialiste che sono in preparazione e possono provocare un pericoloso effetto "domino" con cruenti e sanguinosi cambi di confine nella nostra regione.
 
Da questo punto di vista, l'organizzazione della lotta popolare contro la partecipazione a nuove guerre imperialiste è un dovere importante per noi: contro la partecipazione delle forze armate dei nostri paesi, contro l'uso della terra, dello spazio aereo e marittimo in tutte le guerre imperialiste, e in particolar modo contro quelle in preparazione in Siria e Iran che sembrano essere all'ordine del giorno in questo momento. Deve esser rafforzata la lotta contro l'uso delle basi USA-NATO nella nostra regione per i nuovi conflitti e interventi imperialisti. Da questo punto di vista consideriamo di grande rilevanza l'iniziativa del TKP programmata la prossima settimana a Istanbul contro l'intervento militare della NATO in Siria, a cui parteciperà il nostro Partito.
 
Non dobbiamo permettere che la classe borghese trascini i popoli in nuove avventure irredentiste, avanzando questioni relative alle minoranze esistenti o inesistenti, al fine di raggiungere i loro obiettivi. I diritti delle minoranze nazionali e religiose nei Balcani devono essere rispettati: le minoranze devono essere motivo per gettare "ponti di amicizia" tra i popoli, e non motivo di carneficine.
 
I lavoratori non devono cessare la loro lotta, non devono mettersi al servizio degli obiettivi che il capitale ha in ogni paese. L'appello alla "patria", alla sua "difesa", quando viene dalla classe borghese, è del tutto ipocrita. Come la storia stessa ha dimostrato, la borghesia non esita a contrattare e cedere i diritti sovrani del proprio paese alle unioni imperialiste interstatali con l'obiettivo fondamentale di rafforzare la redditività del capitale e il suo potere. Gli appelli della classe borghese ai lavoratori di sostegno "alla patria, per uscire dalla crisi e diventare più forti", come ci dicono in Grecia, o anche di "allargamento", come abbiamo inteso in Albania e Romania, sono estremamente pericolosi. I Partiti comunisti devono aprire un fronte contro questi appelli, perché la lotta per l'indipendenza, per i diritti di sovranità di ogni paese è oggi inestricabilmente connessa con la lotta della classe operaia per il potere.
 
Abbiamo un potente strumento nelle nostre mani: il principio dell'internazionalismo proletario che mostra la strada per l'unità, l'unione di classe di tutti i lavoratori dei Balcani e di tutto il mondo. L'unione della classe operaia all'interno di ogni paese e la lotta per il rovesciamento del potere del capitale.
 
Azione comune, coordinamento della lotta di classe nella propria regione, e, a livello internazionale, contro il capitale e le unioni imperialiste.
 
Questo è uno dei compiti fondamentali dei Partiti comunisti, al centro della nostra attenzione.
 
Siamo ben consapevoli delle difficoltà. Sappiamo che il movimento comunista deve affrontare una crisi prolungata dopo la controrivoluzione. Ma noi abbiamo l'obbligo di superare noi stessi, lottare contro le debolezze e insistere sulla linea della riaggregazione rivoluzionaria del movimento comunista, rafforzando l'attività politico-ideologico e di massa dei nostri Partiti, rinsaldando i legami con la classe operaia e i ceti popolari, acquisendo e sviluppando la teoria marxista-leninista, la strategia rivoluzionaria.
 
Cari compagni!
 
Noi, i comunisti, dobbiamo contribuire con la nostra lotta, con le nostre posizioni in modo che i lavoratori comprendano che l'imperialismo non è solo una politica estera aggressiva che il governo di uno o dell'altro paese, più o meno grande, può adottare! L'imperialismo è il capitalismo monopolistico, l'economia capitalista globale, il capitalismo in decomposizione che non ha nulla da offrire ai lavoratori e in cui sono coinvolti tutti i paesi in base alla loro forza.
 
In nessun caso è dato che la politica sia disgiunta dall'economia! Questa relazione si basa sulla nascita e il rafforzamento dei monopoli, sul loro ruolo in costante aumento non solo in campo economico, ma anche nel funzionamento politico degli stati capitalisti.
 
Gli stati capitalisti imperialisti formano unioni interstatali come la NATO e l'UE. Il KKE, in opposizione alle forze opportuniste, che in Europa si addensano attorno al cosiddetto "Partito della Sinistra Europea", ritiene che l'Unione europea imperialista non può essere trasformata in una "Europa dei popoli", perché dal primo momento della sua fondazione è nata per servire gli interessi dei monopoli europei. Né la NATO può dissolversi da sé, come affermano le forze opportuniste, né il sistema imperialista può evitare le guerre imperialiste attraverso la presunta "democratizzazione delle relazioni internazionali", una nuova "architettura" o il cosiddetto "mondo multipolare", che in realtà evidenzia l'acuirsi delle contraddizioni interimperialiste.
 
Cari compagni,
 
La valutazione del KKE è chiara: è indispensabile la lotta del popolo per il disimpegno dalla NATO, dall'Unione europea, da ogni unione imperialista. L'esito positivo di tale lotta, può essere garantito solo dal potere della classe operaia che spezza le "catene" imperialiste, affrancando il paese dalle grinfie dei monopoli nazionali ed esteri e delle loro unioni.
 
Solo sul terreno del potere della classe operaia-popolare, sul terreno del socialismo i popoli possono vivere in pace, in modo creativo e utilizzare a proprio vantaggio, per la soddisfazione dei propri bisogni, le risorse naturali che saranno di proprietà del popolo.
 
La restaurazione capitalista non abolisce la necessità della lotta per il socialismo. Al contrario, la porta nuovamente in primo piano.
 
La nostra lotta deve convergere su questo, deve essere coordinata a livello globale e regionale e nei Balcani in modo che i nostri colpi contro l'imperialismo e le sue unioni diventino più forti ed efficaci.


=== 2 ===


http://www.skoj.org.rs/122.html

NKPJ NA SASTANKU KOMPARTIJA BALKANA


U organizaciji Komunističke partije Grčke – KKE u Solunu od 26. do 27,januara 2013. godine organizovan je sastanak komunističkih i radničkih partija Balkana pod nazivom: „Razvoj klasne borbe i proleterski internacionalizam kao odgovor na buržoaski nacionalizam i pretnju imperijalističkog rata“ koji je okupio partije iz sedam balkanskih zemalja među kojima je bila i Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ) koju je predstavljao internacionalni sekretar drug Marijan Kubik.

Sastanak komunističkih i radničkih parija Balkana održava se uglavnom u Grčkoj u organizaciji KKE, dok je jedini do sada održani sastanak van Grčke bio u Beogradu u organizaciji Nove komunističke partije Jugoslavije 1999. godine u znak podrške SR Jugoslaviji koja je bila izložena vojnoj agresiji zapadnog imperijalizma i naporima NKPJ na jačanju komunističkog pokreta na Balkanu i ostvarivanju ideje o federaciji komunističkih partija Balkana.

Sastanak je otvorila drugarica Aleka Papariga, generalni sekretar KKE, ona ja pozdravila okupljene ističući „Smatramo da je vaše prisustvo na susretu veoma važno, ne samo zbog toga, što nam dajete mogućnost da razmenimo informacije i iskustvo borbe i da koordinišemo našu delatnost, već i zbog toga što je vaše učešće praktičan dokaz solidarnosti komunista Balkana sa borbom radnika Grčke. Borba se vodi u uslovima duboke ekonomske krize i težnje buržoazije da prenese njene posledice na pleća radnika. Sve dok „pokretačka snaga“ društva bude kapitalistički profit, radnici će trpeti posledice zakonitih kapitalističkih ekonomskih kriza. Neizbežnost kriza utemeljena je u DNK kapitalizma: u robnoj kapitalističkoj proizvodnji, u anarhiji i neujednačenosti, u protivurečnosti između rada i kapitala, u protivurečnosti između socijalnog karaktera vlasništva nad sredstvima za proizvodnju. Trka za prekomernim profitom dovodi tendenciju prosečne norme profita do snižavanja. Sa te tačke gledišta lakomisleno je verovati u tobože „pronarodno“ ili „levo“ upravljanje krizom i tvrditi, da je moguće sačuvati profit kapitala i u isto vreme tobože „postaviti čoveka iznad profita“.

Ocena učesnika je potpuno jasna: neophodna je narodna borba za izlazak iz NATO-a, EU i svakog imperijalističkog saveza, u onim zemljama koje su članice NATO i EU kao i borba protiv ulaska u te imperijalističke institucije u zemljama koje to nisu. Samo radnička vlast može da garantuje pozitivan ishod ove borbe, pokidavši imperijalistički „lanac“, oslobodivši zemlje Balkana iz kandži lokalnih i stranih monopola i njihovih saveza. Samo radnička, narodna vlast uz socijalizam mogu da omoguće narodima miran stvaralački život, zadovoljavanje vlastitih potreba i da prirodne resurse načini narodnim vlasništvom. Restauracija kapitalizma ne ukida, već naprotiv pokazuje neophodnost borbe za socijalizam. Tome treba da služi naša borba, koju treba da koordinišemo na svetskom i regionalnom nivou, delom i na Balkanu, da bi se zadali maksimalno snažni i efikasni udarci imperijalizmu i njegovim savezima.

NKPJ je kao i do sada potvrdila svoje bliske odnose sa partija regiona.

Učesnici sastanka usvojili su zajedničko saopštenje komunističkih i radničkih partija balkanskih zemalja:

Na inicijativu Komunističke partije Grčke 26-og januara 2013. godine u Solunu je održan sastanak komunističkih i radničkih partija iz 7 balkanskih zemalja.

Sastanak je doprineo razmeni mišljenja o situaciji na Balkanu i istočnom Sredozemlju u uslovima svetske kapitalističke ekonomske krize, rasta imperijalističke agresije protiv Sirije i zaoštravanja među-imperijalističkih protivurečnosti.

Kapitalistička kriza pogoršava sve narodne probleme, širi siromaštvo i nezaposlenost, relativnu i apsolutnu bedu. To je dotaklo i najveći deo stanovništva balkanskih zemalja. Komunističke i radničke partije Balkanskog poluostrva smatraju da je stvarni uzrok krize zaoštravanje osnovne kapitalističke protivurečnosti – protivurečnosti između društvene proizvodnje i kapitalističkog prisvajanja njenih rezultata.

Svetska kapitalistička kriza dodatno zaoštrava konkurenciju među imperijalističkim državama i monopolom radi kontrole nad sirovinama, saobraćajnicama i udela na tržištu. To je očigledno i u našem regionu, gde NATO priprema vojnu intervenciju u Siriji.

Imperijalisti uvek koriste različite izgovore, da bi pridobili narodnu podršku ili u najmanju ruku tolerantnost za imperijalističke ratove. U ovim uslovima vidimo kako buržoazija i njeni politički predstavnici na Balkanu aktivno učestvuju u svim planovima, težeći da osnaže svoju ulogu u okviru imperijalističkog sistema, da bi takođe dobili deo imperijalističkog plena. Oni koriste porast nacionalizma i iredentizma.

U ovim uslovima Komunističke i radničke partije Balkana pozdravljaju radničku i antimperijalističku borbu u Grčkoj, Turskoj i drugde, borbu za zaštitu radnika, narodnih prava i tekovine, protiv nacionalizma, rasizma, za prava imigranata i protiv imperijalističkih ratova. Komunističke i radničke partije treba da budu avangarda u ovoj borbi, da je organizuju, štite prava radnika i naroda, da pojačavaju borbu protiv imperijalizma i njegovih saveza. Treba da dokažu da je kriza jasnije ispoljila istorijske granice kapitalističkog sistema, neophodnost i aktuelnost socijalizma.

Na susretu partije su izrazile uzajamnu želju da prošire i razviju zajedničku delatnost i koordinaciju, a takođe da prošire antiimperijalističku delatnost, konkretno:

* Solidarnost sa klasnom borbom radnika, a takođe sa rastućom borbom za prava radnika, omladine i žena na Balkanu.

* Učvršćenje i širenje balkanskih pokreta za mir, protiv NATO i imperijalizma. Protiv protivraketne odbrane, stranih baza i vojski, protiv učešća vojnih kontigenata balkanskih zemalja u misijama NATO i EU u drugim zemljama. Za izlazak zemalja -članica iz imperijalističkih organizacija i protiv učešća u njihovim planovima.

* Da se proširi narodna osuda antikomunizma i poistovećenje komunizma sa fašizmom od strane Evropske unije i buržoazije, koji iskrivljuje istoriju.

* U današnje vreme poseban zadatak naših naroda je da se suprostavljaju novim imperijalističkim ratovima protiv Sirije i Irana, a takođe na Bliskom Istoku, u Africi, na Kavkazu itd.

Nakon završetka sastanka kompartija Balkana drug Kubik, koji je ujedno i internacionalni sekretar Saveza komunističke omladine Jugoslavije (SKOJ) prisustvovao je seminaru komunističkih omladina Balkana u organizaciji Komunističke omladine Grčke (KNE). Pored domaćina i predstavnika SKOJ-a na seminaru su uzeli učešće i predstavnici omladine Komunističke partije Turske, Komunističke omladine Bugarske (omladina Komunstičke partije Bugarske) i omladine Partije bugarskih komunista. Seminar je imao istorijski značaj jer je reč o prvom sastanku komunističkih omladina Balkana nakon privremenog sloma socijalizma u Sovjetskom Savezu i Istočnoj Evropi.

Sekretarijat NKPJ,
Beograd,

7. februar 2013.


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http://www.komunistisrbije.rs/grcka-kp-2013.html

KOMUNISTI SRBIJE NA KONFERENCIJI KOMUNISTIČKIH I RADNIČKIH PARTIJA BALKANA U GRČKOJ

 

U okviru ove strane, nalazi se:

 

1. Izveštaj o Susretu komunističkih i radničkih partija Balkana

2. Saopštenje partije Komunisti Srbije pod naslovom "Kako učiniti delotvornijom klasnu borbu komunističkih i radničkih partija Balkana"

3. Zajedničko saopštenje Komunističkih i Radničkih partija balkanskin zemalja

4. Govor Generalnog sekretara KP Grčke, drugarice Aleka Papariga: "Razvoj klasne borbe i proleterski internacionalizam kao odgovor na buržoaski nacionalizam i pretnju imperijalističkog rata"

 

Сусрет комунистичких и радничких партија Балкана

 

            На иницијативу Комунистичке партије Грчке у Солуну је 26/27. јануара 2013. године одржан сусрет представника 11 комунистичких и осам радничких партија са балканског простора (Комунистичка партија Албаније, Комунистичка партија Бугарске, Партија комуниста Бугарске, Комунистичка партија Македоније, Комунистичка партија Грчке, Комунистичка партија Румуније, Нова комунистичка партија Југославије, Комунистичка партија Турске, Радничка партија Турске (ЕМЕР), Социјалистичка радничка партија Хрватске и наше партије – Комунисти Србије).
            Грчки домаћини омогућили су представницима поменутих партија да размене корисне информације и искуство борбе, такође да координишу своје актуелне и планиране активности у нашем региону и на међународном нивоу против капитала и империјалистичких савеза. С друге стране присутни су на практичан начин доказали солидарност комуниста Балкана са борбом радника Грчке, која се одвија у условима дубоке економске кризе и тежњи буржоазије да пренесе последице исте на радничка плећа.
            Скуп је поздравила генерални секретар ЦК КПГ, другарица Алека Папарига. У свом излагању она се оштро и критички осврнула на тешке последице кризе, која се све више шири и стварност, сурову за радничку класуи друге народне слојеве, а и даље лагодну за буржоазију. Осудила је и крваве империјалистичке авантуре, које се наводно покрећу ради „прекида геноцида“, „против тероризма“, „против коришћења оружја масовног уништења“, „ као подршка арапском пролећу“, а између осталих, и владе наших балканских државица, уступа им своју територију, ваздушни простор, мора, а понекад и оружане снаге и војске.
            Другарица Папарига говорила је и о иредентистичким тенденцијама, као што су турски „неосманизам“, затим територијални апетити пројектоване Велике Албаније, такође и Румуније према Молдавији и Украјини...
            Сви остали представници комунистичких и радничких партија говорили су генерално о порасту незапослености, цена, пореза, криминала, општој беди.
Представник КП Албаније своју земљу види као полуколонијалну, осуђује амерички и руски империјализам.
Другови из Бугарске говорили су детаљније о неопходности оперативности и бољој координисаности борбе комуниста против пузећег фашизма новог типа и актуелизацији Треће интернационале. Приметили су да је народ, који је у некадашњем благостању добијао све на готово и без муке, изгубио револуционарност.
            Друг Владимир Капуралин из Социјалистичке радничке партије Хрватске осврнуо се на погоршано заоштрено стање у регији Балкана, Средоземљу, Африци и у ЕУ. Петогодишњу кризу не види као финансијску, јер предуго траје, а није да новца нема, него се он не користи, као у Чавезовој Венецуели или пређашњој Гадафијевој Либији за добробит широких слојева становништва, већ се вишак вредности у облику профита слива у џепове плутокрације на челу моћних финанасијских институција. Хрватска је периферна земља, којој предстоји распродаја јавних добара. Као противтежа одсуству радничке солидарности, недостатка класне свести, свеприсутној неслози, персоналним амбицијама, мултиплицирању броја организација са малобројним чланством, друг Капуралинафирмативно је говорио о трогодишњој успешној координацији комунистичких и радничких партија са простора бивше Југославије, коју је иницирала наша партија.
            Представник Нове комунистичке партије Југославије оштро је између осталог осудио неправедне пресуде Хашког трибунала.
            Представници Турске исказали су отпор како НАТО пакту, тако и „неосманизму“.
            Излагање наше партије, које је оцењено као коректно, прилажемо у целости (vidi sledeći tekst).

 

 
[SLIKA:] U ime partije Komunisti Srbije, predstavnicima KP i RP Balkana, obratila se drugarica Arijana Kolundžić, član Predsedništva KS

 

            Након излагања представника свих присутних партија усвојено је Заједничко саопштење Комунистичких и Радничких партија балканских земаља и интонирана је Интернационала.
            Наредног дана уприличена је посета изложби, посвећеној јубиларном 1000-ом броју гласила Комунистичке омладине Грчке „Одигитис“.
            И читав други дан  био је резервисан за тематске сусрете и излагања представника комунистичких омладинаца са простора Балкана.

 

Извештај приредила
Аријана Колунџић

    

КАКО УЧИНИТИ ДЕЛОТВОРНИЈОМ КЛАСНУ БОРБУ КОМУНИСТИЧКИХ И РАДНИЧКИХ ПАРТИЈА БАЛКАНА ?

 

     Комунисти Србије поздрављају представнике комунистичких и радничких партија Балкана и изражавају велику захвалност домаћину овог скупа, Комунистичкој партији Грчке !
 
            Другарице и другови,
    Комунистичке и радничке партије Балкана делују на подручју на коме се веома снажно испољавају негативне последице пораза социјализма у Европи, светске економске кризе, стања на јавној политичкој сцени, угрожености суверенитета и територијалног интегритета држава итд. Данашња расправа треба да прикаже стање у свим областима живота и да оцени утицај комунистичких и радничких партија  на друштвене токове у појединачним земљама и на нивоу региона.     
   Стање у Србији данас карактеришу:(1)Привредни и финансијски колапс, велика незапосленост и социјална беда;(2)Контролисани политички хаос уз доминантан утицај САД и ЕУ;(3)Снажна  антикомунистичка пропаганда и медијска блокада комуниста;(4)Окупација Косова и Метохије од стране НАТО пакта;(5)И поред тога што је убедљива већина грађана Србије против уласка у ЕУ, а нарочито против прикључења агресивном НАТО пакту, већина парламентарних странака подржава улазак у ЕУ, а отворено или прикривено и прикључење агресивном НАТО пакту;(6)Деловањем марионетских експозитура водећих капиталистичких држава ствара се поданички менталитет код грађана итд. Такво стање, поред других неповољних околности, је последица и тоталне разједињености комунистичких и радничких партија. Србија још увек немаснажну комунистичко-радничку левицу, која би била у стању да незадовољство грађана, опседнутих егзистенцијалним проблемима и борбом за голо преживљавање, каналише у организовану политичку снагу, да заустави привредно, социјално и општедруштвено безнађе у коме се Србија налази више од 20 година.
    ОДГОВОРНОСТ за одсуство сарадње, углавном, сносе утицајни појединци у руководствима, који стално потпирују сукобе везане за прошлост и упорно понављају да су они једини прави”, да још нису сазрели услови за организовану сарадњу и отварање пута ка уједињењу.
   Комунисти Србије о прошлости имају принципијелан критички став који гласи: Позитивна искуства КПЈ/СКЈ треба реафирмисати, а из негативних искустава извући потребне поуке, при чему нико не може бити ослобођен историјске одговорности за учињене грешке, а нарочито не истакнуте личности из наших редова. Ми не споримо чињеницу да међу комунистичким и радничким партијама Србије постоје неке разлике које имају и своје историјско исходиште. Међутим, мислимо да је штетно и контрапродуктивно ако и даље останемо заробљеници прошлости, уместо да се окренемо задатцима времена садашњег и непосредне будућности, да у пракси и на јавној политичкој сцени  проверавамо приврженост комунистичким идејама.
   Опадање угледа и утицаја комунистичких и радничких патија у Србији, које траје више од 20 година, карактеришу: узајамно оптуживање за грешке из прошлости, неповерење, личне сујете и нездраве лидерске амбиције. То су главни узроци што нема ни једног јединог комунисте у републичком парламенту нити у локалним органима власти. Грађани, који су наклоњени                  комунистима, већ годинама нам оштро замерају и стално постављају питање: Комунисти, зашто се не уједините, или макар не успоставите коректну међусобну сарадњу ? . Ако остане стање  разједињености и одсуства сарадње, онда ћемо и даље трпети поразе, све док не схватимо да је сарадња и отварање пута ка уједињењу ИМПЕРАТИВ ВРЕМЕНА У КОМЕ ЖИВИМО !
   Комунисти Србије су свесни да је успостављање сарадње и стварања услова за уједињење ,пре свега и изнад свега, задатак самих комунистичких и радничких партија у Србији. Међутим, све наше досадашње иницијативе за успостављање сарадње остале су без одзива. Зато, ми верујемо да би било корисно и сврсисходно, ако би данашњи састанак подстакао комунистичке и радничке партије на јачање међусобне сарадње и отварања пута ка уједињењу. Подразумева се да то треба чинити искључиво на Марксистичко-Лењинистичким принципима и јасном разграничењу са грађанском и националистичком десницом и

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http://www.diecifebbraio.info/2013/02/giorno-del-ricordo-2013-a-montebelluna/

GIORNO DEL RICORDO, GIORNO DELLA DISINFORMAZIONE STORICA: IL CASO MONTEBELLUNA

Da quando è entrata in vigore la legge istitutiva del Giorno del Ricordo (per mantenere viva la memoria “della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale” – e non solo, come dicono i propagandisti, “delle foibe e dell’esodo giuliano dalmato”), ci siamo trovati bombardati, nei giorni intorno al 10 febbraio, dalla propaganda pseudo storica che invece di fare chiarezza sui fatti della seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra, continua a diffondere le falsità sulla Resistenza comunista e jugoslava, create già ai tempi del nazifascismo, ed oggi assimilate purtroppo anche da settori di storici accademici e da politici sedicenti di sinistra.
Di conseguenza, noi volontari di Resistenza storica, ci siamo dati da fare, in collaborazione con alcune sezioni dell’Anpi, alcuni istituti storici, associazionismo culturale, organizzazioni studentesche ed altri, per far conoscere il frutto delle nostre ricerche su foibe ed esodo, sui crimini di guerra italiani in Jugoslavia, sulle mistificazioni che ormai da anni circolano intorno al Giorno del ricordo.
Le nostre iniziative hanno sempre avuto un buon successo di pubblico ed hanno iniziato ad incrinare, nella conoscenza generale, la monolitica visione astorica dei fatti di quel periodo. Così, avendo trovato documentazione che contrasta con quanto finora diffuso in materia, avendo, prove alla mano. smentito la maggior parte delle “bufale” che girano sull’argomento “foibe”, invece di vedere riconosciuta la nostra capacità di ricerca e di analisi, veniamo denigrati e definiti “negazionisti” dato che le nostre conclusioni “negano” la vulgata vigente, le “affermazioni” prive di fondamento di cui si fanno forti i propagandisti di oggi come quelli di ieri.
Quest’anno una novità: l’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, che non è nulla più che un’organizzazione priva di qualunque valore istituzionale e che non si avvale di alcuno studio storico serio nella sua attività per il 10 febbraio, ha inviato una sorta di circolare dal vago sapore intimidatorio ad organi di stampa, scuole ed istituzioni pubbliche nella quale leggiamo: si eviti di invitare tutti coloro che in un modo o nell'altro potrebbero venire meno allo spirito commemorativo espresso da relativa legge dello Stato (n° 92/2004) e anzi mostrarsi in palese contrasto con essa attraverso tesi vergognosamente negazioniste ed offensive, come purtroppo troppo spesso è accaduto in passato anche in sedi prestigiose.
Naturalmente non si fanno nomi, però vediamo cos’è accaduto a Montebelluna nei giorni scorsi.
L’Anpi locale aveva chiesto ed ottenuto il patrocinio del Comune per un’iniziativa di approfondimento storico “Fascismo, confine orientale, foibe. Non dimenticare le tragedie ed i crimini del fascismo. Ricostruire la problematica delle foibe in una analisi dettagliata” da tenersi il 9 febbraio, con la partecipazione delle storiche friulane Monica Emmanuelli ed Alessandra Kersevan. A pochi giorni dall’incontro la sezione locale della Giovane Italia (nome che oltre a riprendere reminiscenze mazziniane, durante gli anni della strategia della tensione fu la sigla di giovani neofascisti che cercavano lo scontro nelle piazze), per bocca del portavoce Claudio Borgia, ha minacciato contestazioni con cartelli, striscioni, fischietti e interventi durante il convegno”, perché, a sentir loro, non sarebbe “accettabile” che “una storica negazionista come Alessandra Kersevan faccia esibizione delle sue storielle, offendendo le tante vittime cadute sotto le armi dei partigiani titini e di qualche vigliacca milizia comunista italiana” nel corso di un convegno patrocinato dal Comune, che quindi doveva vietarlo.
Ora, se noi fossimo stati il sindaco di Montebelluna, di fronte ad un comunicato simile avremmo preso il telefono e chiamato in Questura per denunciare questa intimidazione e chiedere la vigilanza delle forze dell’ordine in modo da impedire che facinorosi provocatori mettessero in atto quanto annunciato.
Ma questo sindaco ha preferito annullare l'iniziativa, non si sa per timore delle minacce o perché connivente con esse, e non ci sentiamo di ipotizzare quale delle due alternative sia la peggiore.

[FOTO: La conferenza stampa, da sinistra Lorenzoni, Emmanuelli, Kersevan, Brunello.]

Il convegno si è però svolto ugualmente, grazie alla determinazione delle Anpi di Montebelluna e Treviso ed al sindaco di un comune vicino, Giavera, che, coraggiosamente e generosamente ha messo a disposizione una bella e prestigiosa sala, dimostrando in tal modo cosa significhi coerenza democratica in questo Paese.

[FOTO: Monica Emmanuelli.]

Mentre era in corso una conferenza stampa a Montebelluna in cui i rappresentanti dell’ANPI e le storiche hanno riassunto lo svolgimento dei fatti ed il motivo dello spostamento, nella strada sottostante si sono riuniti una ventina di provocatori presumibilmente aderenti alla Giovane Italia. E precisiamo che provocatori non è un termine che usiamo volentieri, ma mai come in questa occasione ci pare appropriato, dato che i suddetti non hanno fatto altro, nel tempo che hanno voluto trascorrere con noi, che cercare di arrivare ad uno scontro, se non fisico (data la presenza costante delle forze dell’ordine che hanno tenuto sotto controllo la situazione) quantomeno verbale, cercando in ogni modo di “attaccare briga”, anche a convegno concluso.

[FOTO: Davanti alla sede ANPI a Montebelluna, Giovane Italia schierata. Il primo a sinistra è il leader Claudio Borgia.]

Oltre agli insulti gridati in mezzo alla strada, la reiterata accusa di “negazionista” alla storica Kersevan ed il continuo ribatterle “lei è stata sbattuta fuori da tutti i convegni cui ha partecipato” (affermazione che, oltre ad essere sfacciatamente menzognera, non sarebbe comunque una nota di demerito per la storica, ma piuttosto per chi l’avrebbe “sbattuta fuori”: da questo però si può valutare il background culturale proprio di certa gente), i contestatori sono entrati in sala durante la relazione della storica Emmanuelli e l’hanno interrotta distribuendo volantini al pubblico, che ha dimostrato la propria contrarietà a questo atto di squadrismo bello e buono intonando “Bella ciao” ed invitando i disturbatori a comportarsi civilmente. Se volevano ascoltare, benissimo, ha giustamente detto la professoressa Kersevan, potevano prendere posto in sala, stare a sentire le relazioni ed eventualmente fare domande, nessuno glielo avrebbe impedito.
Alla fine il convegno è andato avanti con la presenza del gruppetto in fondo alla sala, che di tanto in tanto si lasciava andare a commenti e battutine talmente squallidi che qualificano perfettamente chi li ha emessi.

[FOTO: Alessandra Kersevan]

In complesso l'iniziativa è andata benissimo, nonostante lo spostamento della sede la partecipazione è stata corposa (un centinaio di persone, esclusi i provocatori), bella e significativa la premessa di Umberto Lorenzoni dell’Anpi di Treviso, interessanti ed esaustive le relazioni che hanno smascherato le menzogne che taluni vorrebbero far passare per memoria storica, e quando uno dei contestatori ha chiesto la parola è potuto intervenire serenamente, senza essere interrotto od insultato, ma nel suo intervento (peraltro abbastanza sconclusionato) non ha portato alcun dato storico che potesse smentire quanto illustrato dalle relatrici, ad ennesima prova che quando si passa dal terreno delle minacce e degli insulti a quello della competenza storica, certe persone non hanno più argomenti da far valere.

[FOTO: Umberto Lorenzoni durante il suo intervento.]

Ma se a Montebelluna e a Giavera le cose si sono risolte in modo positivo, è stato soprattutto grazie, va rimarcato, alla collaborazione del sindaco di Giavera, al comportamento responsabile degli organizzatori del convegno ed al servizio di ordine pubblico, che ha impedito azioni violente da parte di chi già le aveva preavvisate.
Dunque a lato dei diktat dell’Anvgd per non dare spazio nelle iniziative sul 10 febbraio a storici che non si identificano nello spirito della legge (ma a che titolo l'ANVGD si arroga il diritto di decidere chi si identifica e chi no?), a Montebelluna sono scese in campo le squadracce, persone che hanno minacciato sindaco dicendo che sarebbero andati a disturbare un convegno autorizzato per impedirne lo svolgimento (non a contestare pacificamente, che questo diritto nessuno glielo nega), persone che hanno, con petulanza, continuato a molestare le relatrici del convegno in strada dopo avere cercato di interromperlo con un atto aggressivo; ed il reiterato nervosismo e rifiuto a farsi riprendere in foto mentre agivano (al limite del penale) in luogo pubblico la dice lunga sulla buona fede delle loro intenzioni.
Il timore è che questi comportamenti prevaricatori si ripetano in altre città ed in altre occasioni. Avremo sempre amministratori disponibili, pubblico con i nervi saldi, servizio d’ordine messo a disposizione dalla Questura?
Consapevoli di avere assistito a nuove prove tecniche di squadrismo, che non ci fanno bene sperare nel futuro democratico del nostro Paese, la nostra intenzione di Resistenti storici è di continuare a dare il massimo di informazione su queste tematiche: continueremo a fare iniziative e convegni, a scrivere e pubblicare, a smentire chi pretende di abusare della storia per dare sfogo alle proprie ideologie che non dovrebbero più avere diritto di cittadinanza.

[FOTO: Schierati davanti alla sede ANPI a Montebelluna, in attesa di seguirci al convegno.]

11 febbraio 2013.


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SERGIO ENDRIGO, MOLTO DI PIU' CHE UN ARTISTA "ITALIANO"


Al grande cantautore, che improntò le sue tematiche al più genuino internazionalismo e antifascismo, non poteva essere tributato omaggio migliore di questo che gli è venuto dagli artisti dell'Istria e del Quarnero, descritto nell'articolo che riportiamo di seguito. 
Vogliamo rendere omaggio a Endrigo anche noi oggi - rigettando le manipolazioni di segno nazionalista e neo-irredentista che mirano a stravolgere e ribaltare gli ideali nei quali egli è vissuto ed a cui ha mantenuto fede fino alla morte - ricordando in particolare le canzoni che egli cantò in lingua serbocroata:

Spletka pjesama
http://www.youtube.com/watch?v=2Y0D1cLR7tM

Više te volim
http://www.youtube.com/watch?v=NxpiaIaiIp0

Kud plovi ovaj brod
http://www.youtube.com/watch?v=0s3sSj-Kw7M

Si veda anche:

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Ricchezza di approcci per il polese Endrigo

di Patrizia Venucci Merdžo
da La Voce del Popolo del 28 dicembre 2012

È il frutto di una risposta corale da parte di tutti i musicisti di spicco della regione Istria e del Quarnero il CD “1947 hommage à Sergio Endrigo”, l’interessante progetto discografico realizzato con il contributo della Città di Pola, della Regione Istriana, dell’Unione Italiana, prodotto dalla casa discografica “Menart” di Zagabria. Il fatto che i più bei nomi della musica leggera croata (dei più diversi generi), e in particolare dell’Istro-quarnerino, abbiamo aderito a tale iniziativa è indicativo di quale popolarità, simpatia, considerazione e ammirazione goda questo personaggio di cantautore fuori del comune; un cantautore polese, italiano “di frontiera”, che nel corso della sua fertile attività ha sempre espresso con semplicità e autenticità il grande mondo che si portava dentro: le nostalgie, gli amori, gli ideali, la speranza di un mondo migliore, le disillusioni, le ferite dell’esule e le sue lacerazioni, cantate sempre in quella sua maniera sommessa, discreta, e tanto vera. Tanto vera da andare diritto al cuore della gente.

Il doppio CD contiene ben 30 canzoni di Endrigo ed altrettanti interpreti. Ora, questa vasta adesione sottintende pure una grande eterogeneità di approcci alla canzone stessa, una rivisitazione di Endrigo, in particolare in riferimento agli arrangiamenti che a seconda del tipo di complesso o cantante risultano di volta in volta di carattere vagamente etno, rockettaro, con accenni di tipo heavy metal, oppure restituzioni molto intime e trasparenti. Da ciò ne consegue una grande varietà dei timbri, di modulazioni coloristiche dagli effetti più vari, ottenuti con il sintetizzatore oppure con la chitarra classica, con gli impasti delle voci corali, con il tamburello e/o i flautini, la fisarmonica a bocca, le percussioni e quant’altro. E ciò sicuramente rappresenta un motivo di curiosità e di interesse. Poi resta da vedere in che misura si riesca a restituire lo spirito di Endrigo cantautore.

Ad ogni modo si tratta certamente di un “esperimento” interessante valido, che dimostra ricchezza d’idee e di riletture legate ad un grande autore, un classico, il quale continua ad ispirare i protagonisti più diversi della variegata musica leggera, in questo caso nella sua terra d’origine. E così abbiamo un sofisticato Arsen Dedić, che nel suo personalissimo stile interpreta, in croato, “Mani bucate“/Rasipne ruke”; abbiamo Tamara Obrovac e il “Transhistria ensemble” in “Io che amo solo te”, con vaghi sentori “istri” e fantasia improvvisativa (fisarmonica a bocca). Indovinata pure la rilettura di Franko Krajcar e dell’“Indivia band”, e quella delicata da Tatiana e Mauro Giorgi in “Dimmi la verità”.

Un autentico maestro si dimostra Bruno Krajcar in “Trieste”, con il solo sostegno del pianoforte, in un’interpretazione molto vissuta e affascinante. Poeta e “menestrello” si rivela Bruno Načinović, che con la sua inseparabile chitarra offre un Endrigo sentimentale e sciolto ne “Il dolce paese”. Molto godibile risulta l’arrangiamento dell’“Arca di Noè”, con le belle voci maschili e quella solista di Alessandro Ghersin della Società artistico culturale “Lino Mariani” della Comunità degli Italiani Pola, dirette da Edi Svich. Altrettanto felice e sul solco della tradizione l’esecuzione dell’Orchestra di fisarmoniche “Stanko Mihovilić”, della SAC “Istra”, e dell’Orchestra di fisarmoniche dell’Università “Juraj Dobrila” di Pola, con “Il treno viene dal sud”.

Sembra quasi un madrigale del Rinascimento la rilettura in chiave corale di “Lontano dagli occhi”, del coro femminile “Teranke”, mentre rievocano la sonata barocca il violoncello e il flauto in “Questo amore per sempre”, con Matija Ferlin/Sandro Peročević/ Nataša Dragun. Fresca e carina l’esecuzione della filastrocca “Ci vuole un fiore” da parte del coro di voci bianche “Zaro”, diretto da Linda Milani. “Coloratissimo” e concitato “Il papagallo” con “Cigo man band” in versione etno. Ben fatta pure “La ballata dell’ex”, con Jadranka Đokić e la voce recitante di Milan Rakovac.

La canzone “1947”, da cui il CD prende il titolo, si riferisce all’anno in cui Sergio Endrigo, allora quattordicenne, lasciò da esule la sua natia Pola, come fecero tanti connazionali. L’immagine che ricorre spesso è quella dell’imbarco sul piroscafo “Toscana”. Ora, questa sua malinconica “ballata dell’esodo” si avvale della voce “lirica”, come usava al tempo, del tenore Alessandro Ghersin, che, accompagnata da un lamentoso e rustico violino (Dario Marušić), riempie il canto di un infinito senso di desolata incertezza.

Decisamente rockettaro (anche troppo) “Aria di neve”, con i “Popeye”. Validissimi interpreti sono Livio Morosin (“Elisa Elisa”), “East rodeo” (“La prima compagnia”), “The Cweger” (“La prima compagnia”); Magdalena e Helena Vodopija, Massimo (“Canzone per te”), Franka Strmotić-Ivančić (“Trasloco”), Nola (“Adesso si”), “Gustafi” (“Il primo bicchiere di vino”), Branko Sterpin (“back home someday”), Kristina Jurman Ferlin/Anđela Jeličić (“Te lo leggo negli occhi”), Dogma/ Anelidi (“Lettera da Cuba”), Deboto (“Dove credi di andare”). Chicca finale con “Kud ovaj brod plovi” (Juras-Arnautalić-Enriqez) interpretata dallo stesso Sergio Endrigo – al Festival di Spalato nel 1970 –, con quella intensità e stile inconfondibili che lo rendono unico e destinato a durare nel tempo.