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Da: "Curzio Bettio" 
Data: 04 febbraio 2013 16.13.17 GMT+01.00
Oggetto: Curzio invia articolo su bombardamento israeliano sulla Siria

Ecco un articolo che illustra bene, sempre a mio parere, l'attuale situazione politico-militare in Siria e una possibile spiegazione dell'attacco aereo di Israele su postazioni siriane, avvenuto la settimana scorsa. Cordialissimi saluti. Curzio 

L’attacco aereo israeliano contro la Siria: il disperato tentativo di salvare dal fallimento la guerra “sotto copertura USA-NATO”.

Quando i Sionisti e gli “Jihadisti” si prendono per mano.

di Tony Cartalucci ; Global Research News



(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)


Global Research, 31 gennaio 2013

http://www.globalresearch.ca/israeli-attack-on-syria-desperate-bid-to-save-failed-us-nato-covert-war/5321194



Il 29 gennaio 2013, Israele ha scatenato attacchi aerei contro la Siria, in flagrante violazione della Carta delle Nazioni Unite, del diritto internazionale, e in diretta violazione della sovranità della Siria, sulla base di “sospetti” trasferimenti di armi chimiche.


The Guardian in un suo articolo dal titolo Israel carries out air strike on Syria, “Israele compie un raid aereo sulla Siria”, afferma:

Gli aerei da guerra israeliani hanno attaccato un obiettivo vicino al confine siriano-libanese dopo diversi giorni di avvertimenti sempre più intensi lanciati da funzionari del governo di Israele contro la Siria, a causa di un presunto ammassamento di armi.”


Inoltre, il documento continua:

“Israele ha messo in guardia pubblicamente che ci sarebbe stata un’azione militare per impedire che le armi chimiche del regime siriano cadano nelle mani di Hezbollah in Libano o in quelle di “jihadisti globali”, che combattono all’interno della Siria.

Il servizio di spionaggio militare israeliano afferma di stare controllando ventiquattro ore su ventiquattro la zona via satellite per possibili convogli che trasportano armi.”


In realtà questi “jihaidisti globali” sono di fatto armati e finanziati dagli Stati Uniti, dall’Arabia Saudita e da Israele almeno a partire dal 2007 (by the US, Saudi Arabia, and Israel since at least as early as 2007.)

Inoltre, a tutti gli effetti, sono costoro i diretti beneficiari dell’attuale aggressione da parte di Israele.

I “sospetti” di Israele su “trasferimenti di armi”, ovviamente, restano da confermare, perché lo scopo dell’attacco non era quello di impedire il trasferimento di “armi chimiche” agli Hezbollah in Libano, ma di provocare un conflitto più ampio volto non alla difesa di Israele, ma al salvataggio delle forze terroriste delegate dell’Occidente, che si dibattono in difficoltà all’interno della Siria nel tentativo di sovvertire e rovesciare la nazione siriana.


Il silenzio delle Nazioni Unite è assordante.

Mentre la Turchia ospita apertamente basi di terroristi stranieri, (arming and funding them) armati e finanziati dall’Occidente, dall’Arabia e dal Qatar, pronta cassa, (Saudi, and Qatari cash ) per condurre incursioni nella vicina Siria, qualsiasi attacco siriano sul territorio turco avrebbe come conseguenza immediata la mobilitazione delle Nazioni Unite.

Al contrario, alla Turchia è consentito, per anni, di condurre attacchi aerei (to conduct air strikes) e perfino invasioni di terra del confinante Iraq, seppure parziali (partial ground invasions), per attaccare gruppi di Curdi accusati di minacciare la sicurezza della Turchia.

È chiaro che questo doppio metro di giudizio è da tempo applicato anche in favore di Israele.


Israele, insieme a Stati Uniti & Arabia Saudita, fra gli sponsor più importanti di Al Qaeda.

Va ricordato che nel lontano 2007, veniva ammesso da funzionari degli Stati Uniti, dell’Arabia Saudita e del Libano che erano proprio gli Stati Uniti, Israele e l’Arabia Saudita ad intenzionalmente armare, finanziare, e organizzare questi “jihadisti globali” direttamente vincolati ad Al Qaeda, allo scopo esplicito di rovesciare i governi di Siria ed Iran.


Questo veniva ribadito dal giornalista vincitore del Premio Pulitzer Seymour Hersh nel suo articolo sul New Yorker, “The Redirection,” in cui affermava:

“Per indebolire l’Iran, che è prevalentemente sciita, l’amministrazione Bush ha deciso, in buona sostanza, di riconfigurare le sue priorità in Medio Oriente.

In Libano, l’amministrazione ha collaborato con il governo dell’Arabia Saudita, che è sunnita, in operazioni clandestine che hanno lo scopo di indebolire Hezbollah, l’organizzazione sciita sostenuta dall’Iran.

Inoltre, gli Stati Uniti hanno preso parte ad operazioni segrete dirette contro l’Iran e il suo alleato Siria. Un prodotto collaterale di queste attività è stato il rafforzamento di gruppi estremisti sunniti che sposano una visione militante dell’Islam e sono ostili agli Stati Uniti d’America e sodali con Al Qaeda.”


Di Israele, è specificamente indicato:

“Il cambiamento di politica ha indotto l’Arabia Saudita e Israele in un nuovo abbraccio strategico, soprattutto perché entrambi i paesi vedono l’Iran come una minaccia alla loro esistenza. I due paesi sono stati impegnati in colloqui diretti, e i Sauditi, che credono che una maggiore stabilità in Israele e in Palestina possa rendere l’Iran meno influente nella regione, sono i più convinti nel portare avanti i negoziati arabo-israeliani.”


Per giunta, funzionari sauditi sottolineavano come il loro paese avesse la necessità di esercitare un’attenta azione di equilibrio in modo da non rendere evidente il suo ruolo nel sostenere le ambizioni USA-Israele in tutta la regione:

“I Sauditi affermavano che, secondo il punto di vista del loro paese, ci si assumeva un rischio politico nell’imbarcare gli Stati Uniti nella sfida contro l’Iran: Bandar è già visto nel mondo arabo come troppo vicino all’amministrazione Bush.”

[ N.d.tr.: Bandar bin Sultan è un membro della famiglia reale saudita ed è stato ambasciatore dell’Arabia Saudita negli Stati Uniti dal 1983 al 2005. Nel 2005, è stato nominato Segretario Generale del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Il 19 luglio 2012 ha assunto l’incarico di Direttore generale dell’Agenzia di intelligence dell’Arabia Saudita per volontà diretta del re Abdullah.]


Un ex diplomatico mi interpellava così: “Abbiamo due incubi, che l’Iran acquisisca la bomba atomica e che gli Stati Uniti attacchino l’Iran. Preferisco che siano gli Israeliani a bombardare gli Iraniani, e noi allora potremo condannare gli Israeliani. Se lo fanno gli Stati Uniti d’America, la colpa sarà nostra!”


Può interessare ai lettori sapere che, mentre la Francia invade e occupa vaste aree del Mali in Africa, accusando il Qatar di finanziare e armare gruppi terroristici nella regione collegati ad Al Qaeda (accusing the Qataris of funding and arming Al Qaeda-linked terrorist groups), la Francia, gli Stati Uniti e Israele stanno lavorando in tandem con il Qatar, finanziando e armando questi stessi gruppi in Siria.

In effetti, il centro studi statunitense, la Brookings Institution, ha un suo “Doha Center” con sede proprio in Qatar, mentre il  Brookings “Saban Centerdi Haim Saban, un cittadino israelo-statunitense, organizza incontri, e molti componenti del suo consiglio di amministrazione sono

anche residenti a Doha, Qatar.



.


Doha è anche servita da sede territoriale per la creazione (as the venue for the creation) della più recente “Coalizione siriana” dell’Occidente, guidata da Moaz al-Khatib, un sostenitore senza alcun imbarazzo di Al Qaeda (an unabashed supporter of Al Qaeda).


Tutti questi sono particolari che dimostrano gli accordi complottistici documentati da Seymour Hersh nel 2007.


Il Wall Street Journal, sempre nel 2007, riferiva sui piani dell’amministrazione degli Stati Uniti di Bush per creare un sodalizio con i Fratelli Musulmani della Siria, e sottolineava come il gruppo fosse l’ideologico ispiratore delle organizzazioni terroristiche collegate con la stessa Al Qaeda. Nell’articolo intitolato “To Check Syria, U.S. Explores Bond With Muslim Brothers” – “Per controllare la Siria, gli Stati Uniti vanno alla ricerca di un collegamento con i Fratelli Musulmani” si legge:

“In un pomeriggio umido di fine maggio, circa 100 sostenitori del più grande gruppo di oppositori siriani in esilio, il Fronte di Salvezza Nazionale, si sono riuniti davanti all’ambasciata di Damasco per protestare contro il governo del presidente siriano Bashar Assad. I partecipanti hanno gridato slogan anti-Assad e innalzato striscioni con su scritto: “Cambiamo il regime adesso!”.

Il Fronte di Salvezza Nazionale riunisce democratici liberali, Curdi, marxisti ed ex funzionari siriani, nel tentativo di trasformare il regime dispotico del presidente Assad.

Ma la protesta di Washington è anche servita da connessione fra una coppia di attori, la peggioassortita - il governo degli Stati Uniti e la Fratellanza Musulmana.”


L’articolo inoltre segnalava:

“Negli ultimi mesi, anche diplomatici e politici statunitensi hanno incontrato legislatori e parlamentari di fazioni collegate con la Fratellanza Musulmana in Giordania, Egitto ed Iraq per ascoltare le loro opinioni sull’attuazione di riforme democratiche in Medio Oriente, come asserito dai funzionari degli Stati Uniti.

Il mese scorso, un’unità del servizio segreto del Dipartimento di Stato ha organizzato una conferenza di esperti sul Medio Oriente per esaminare i pro e i contro di un impegno con la Fratellanza, in particolare in Egitto e in Siria.”


Il documento descrive i legami ideologici e operativi tra la Fratellanza e Al Qaeda:

“Oggi, le relazioni fra la Fratellanza e gli attivisti islamisti, con Al Qaeda in particolare, sono fonte di molte discussioni.

Osama bin Laden e altri leader di Al Qaeda citano le opere dell’ideologo della Fratellanza, Sayyid Qutb (accusato di apostasia e giustiziato in Egitto il 29 agosto 1966 tramite impiccagione), come fonte di ispirazione per la loro crociata contro l’Occidente e i dittatori arabi. Membri del braccio armato della Fratellanza egiziana e siriana hanno continuato ad assumere ruoli di primo piano nel movimento di Mr. bin Laden.”


Eppure, nonostante tutto questo, gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e il Qatar, insieme ad Israele e alla Turchia, stanno apertamente tramando con costoro; per anni hanno continuato ad armare e finanziare questi gruppi terroristici di estremisti decisamente settari, in tutto il mondo arabo, dalla Libia all’Egitto, e ora in Siria e ai suoi confini.

I timori di Israele che questi terroristi arrivino ad impossessarsi di “armi chimiche” sono assurdi. Costoro già se ne erano impossessati nel 2011 in Libia (in Libya in 2011 ) con la complicità degli Stati Uniti, della NATO, della Gran Bretagna, dell’Arabia Saudita, del Qatar e perfino di Israele.

Di fatto, i medesimi terroristi libici sono alla testa dei gruppi di miliziani stranieri (are spearheading the foreign militant groups) che si stanno riversando all’interno della Siria, attraverso il confine turco-siriano.


Quello che l’attacco di Israele può davvero significare

In buona sostanza, la spiegazione di Israele sul perché ha colpito la vicina Siria è debole come non mai, per il timore che armamenti possano cadere nelle mani di terroristi, considerando i suoi documentati rapporti allacciati da lungo tempo con questi “jihaidisti globali” nel finanziarli ed armarli.

Anche i timori di Israele su Hezbollah sono parimenti infondati - Hezbollah, o i Siriani, o gli Iraniani fossero stati interessati a piazzare armi chimiche in Libano, lo avrebbero già fatto, e certamente lo avrebbero fatto utilizzando altri mezzi ben diversi da convogli in piena vista semplicemente “attraversanti il confine”.

Hezbollah. ha già dimostrato di essere in grado di sconfiggere l’aggressore Israele con armi convenzionali, come dimostrato durante l’estate del 2006.

In realtà, la pressione esercitata sulle frontiere della Siria sia da Israele che dal suo partner, la Turchia del primo ministro Recep Tayyip Erdogan, al nord, fa parte di un piano documentato per allentare la pressione sulle milizie che operano all’interno della Siria, armate e finanziate dall’Occidente, da Israele, dall’Arabia Saudita-Qatar.


Il sopracitato centro studi di politica estera degli Stati Uniti, finanziato da Fortune 500 (vedi pagina 19) [Fortune 500-funded (page 19)], la Brookings Institution - che aveva nel suo programma progetti per un cambiamento di regime in Libia, così come in Siria e nell’Iran, (in Libya as well as both Syria and Iran) – ha ribadito questo in modo specifico nel suo rapporto intitolato Assessing Options for Regime Change. - Valutazione delle opzioni per un cambio di regime.”

[N.d.tr.: Fortune 500 è una lista annuale compilata e pubblicata dalla rivista Fortune che classifica le 500 maggiori imprese societarie statunitensi misurate sulla base del loro fatturato.]



Nell’immagine: Medio Oriente; marzo 2012; Memo # 21 della Brookings InstitutionAssessing Options for Regime Change (.pdf), - Valutazione delle opzioni per un cambio di regime”.


La Siria è intrappolata sull’orlo di un precipizio che si sta sgretolando, e comunque avvenga il crollo, questo comporterà rischi significativi per gli Stati Uniti e per il popolo siriano.


Il brutale regime di Bashar al-Assad sta impiegando le sue forze militari lealiste e criminali settari per schiacciare l’opposizione e riaffermare la sua tirannia.

Anche se Bashar cadesse, la Siria non potrebbe dirsi fuori dei guai: esiste un’alternativa sempre più probabile all’attuale regime, vale a dire una sanguinosa guerra civile del tutto simile ai conflitti a cui noi abbiamo assistito in Libano, Bosnia, Congo, e più di recente in Iraq.

Gli orrori di un tale conflitto potrebbero perfino eccedere la brutale riaffermazione del controllo di Assad, ed espandersi a macchia d’olio ai paesi vicini della Siria – Turchia, Iraq, Giordania, Libano, ed Israele – con risultati disastrosi per loro e per gli interessi usamericani nel Medio Oriente.


Tuttavia, la rivolta in Siria, che ora sta entrando nel suo secondo anno di attività, offre anche alcune rilevanti opportunità, che potrebbero derivare dalla caduta del regime di Bashar al-Assad, la cui famiglia ha governato il paese con pugno di ferro per oltre quarant’anni.

La Siria è il più vecchio e il più importante alleato dell’Iran nel mondo arabo, e il regime iraniano ha puntato doppio su Assad, fornendogli aiuto finanziario e sostegno militare per puntellare il suo regime. L’uscita di scena di Assad potrebbe assestare un duro colpo a Teheran, isolando ulteriormente l’Iran in un’epoca in cui questo paese può vantare pochi amici nella regione e nel mondo.

Per giunta, Damasco è risoluto nel suo atteggiamento ostile nei confronti di Israele, ed inoltre il regime di Assad sta appoggiando da tanto tempo gruppi terroristici, come Hezbollah ed Hamas, e in qualche occasione ha aiutato i terroristi di al-Qaeda ed elementi dell’ex regime in Iraq.

Quindi, il collasso del regime potrebbe procurare significativi vantaggi agli Stati Uniti e ai loro alleati nella regione.

Comunque, spodestare effettivamente Assad non sarà facile. Sebbene l’amministrazione Obama per mesi abbia lanciato appelli perché Assad se ne vada, ogni opzione politica per la sua rimozione si è incrinata, e qualcuno potrebbe anche rendere la situazione ancora peggiore, ad esempio proponendo una ricetta all’inazione.

Tuttavia, fare nulla significa stare a guardare mentre Assad massacra il suo popolo, e la Siria sprofonda nella guerra civile, con il rischio della dissoluzione dello Stato.

Già la violenza è incredibile: dal marzo 2012, nel tentativo di far crollare il regime, almeno 8.000 Siriani sono stati uccisi e migliaia sono stati arrestati e torturati. Nello stesso tempo, la Siria si sta disgregando. L’opposizione siriana rimane divisa e l’Esercito Libero Siriano è più una sigla, che una formazione armata significativa e coesa.

Al-Qaeda sta sollecitando combattenti a gettarsi nella mischia siriana, e sono in aumento uccisioni settarie e atrocità. Dovesse la violenza aumentare di intensità, i paesi vicini della Siria potrebbero accrescere la loro ingerenza, l’instabilità potrebbe espandersi, e paesi come l’Iraq e il Libano già di per sé fragili potrebbero vedersi ulteriormente indeboliti.


Allora, per la protezione degli interessi degli Stati Uniti, Assad non può prevalere.

Ma dal crollo della Siria, dalla sua rovina a causa della guerra civile, potrebbe derivarne un bene come un male.

Per questo, la politica degli Stati Uniti deve muoversi con grande equilibrio, cercando di rimuovere Assad, ma in maniera tale che la Siria rimanga uno Stato integro, in grado di controllare i propri confini e di assicurare l’ordine interno.

Alla fine, in buona sostanza, la rimozione di Assad potrebbe dimostrarsi non tanto realizzabile.”


In questo documento non si fa segreto che l’umanitaria “responsabilità di fornire protezione” per salvare la Siria non è altro che un pretesto per un cambio di regime a lungo pianificato.

Brookings indica come gli sforzi israeliani nel sud della Siria, in combinazione con il dispiegamento da parte della Turchia di grandi quantità di armamenti e truppe lungo il confine a nord, potrebbero contribuire efficacemente a un cambiamento di regime violento in Siria:

“Inoltre, i servizi di intelligence di Israele hanno una forte conoscenza della Siria, così come delle attività all’interno del regime siriano che potrebbero essere utilizzate per sovvertire le basi del potere del regime ed esercitare pressioni per la rimozione di Assad.

Israele potrebbe posizionare forze sopra o vicino le alture del Golan e, in tal modo, potrebbe distrarre forze del regime dall’opera di soppressione dell’opposizione. Questa dislocazione di forze potrebbe suscitare nel regime di Assad timori di un conflitto su più fronti, particolarmente se la Turchia è disposta a fare lo stesso sul suo confine, e se l’opposizione siriana viene alimentata con forniture costanti di armi e di addestramento. Una tale mobilitazione potrebbe forse convincere gli alti gradi militari della Siria a cacciare Assad, con l’obiettivo di salvare se stessi.

I sostenitori di questa strategia reputano che questa pressione addizionale potrebbe far pendere la bilancia contro Assad all’interno della Siria, se altre forze venissero schierate tutte nella stessa direzione in modo opportuno.” - page 6, Assessing Options for Regime Change, Brookings Institution - pagina 6, della “Valutazione delle opzioni per un cambio di regime”, Brookings Institution.


Naturalmente, gli attacchi aerei all’interno della Siria vanno oltre “il posizionamento di forze”, e indicano forse il grado di esasperazione in Occidente, dove sembra abbiano eletto il loro capo canaglia, Israele, per un “intervento” sempre più accentuato con riferimento a un attacco all’Iran, proprio come si era progettato (just as they had planned in regards to attacking Iran) - e documentato da Brookings in un rapporto dal titolo “Which Path to Persia? - Quale percorso verso la Persia?

Per quanto riguarda l’Iran, in questa relazione di Brookings si afferma specificamente:

“Sembra che Israele abbia già accuratamente pianificato e compiuto esercitazioni per un attacco di questa portata, e la sua forza aerea probabilmente è già dislocata il più vicino possibile all’Iran.

In quanto tale, Israele potrebbe essere in grado di lanciare l’attacco nel giro di settimane o addirittura di giorni, e questo dipende dalle condizioni meteo e di intelligence le più opportune.

In più, dal momento che Israele avrebbe pochissime necessità (o interessi) di garantirsi un appoggio regionale in questa operazione, Gerusalemme probabilmente si dimostra meno disposta ad attendere una provocazione iraniana prima di attaccare.

In breve, Israele potrebbe passare all’azione molto velocemente per dare esecuzione a questa opzione, se entrambe le dirigenze di Israele e degli Stati Uniti si decidessero che ciò avvenga.

Tuttavia, come osservato in precedenza, gli stessi attacchi aerei costituiscono in realtà solo l’inizio di questa politica. D’altra parte, gli Iraniani andrebbero senza dubbio a ricostruire i loro siti nucleari. Probabilmente il loro desiderio sarebbe quello di restituire pan per focaccia ad Israele, e anche potrebbero rivalersi contro gli Stati Uniti, (che potrebbero creare un pretesto per attacchi aerei statunitensi o addirittura un’invasione).”- pagina91, Which Path to Persia?, Brookings Institution.


E da queste affermazioni possiamo intuire e dedurre cosa ci sia nel retroscena, dietro l’attitudine guerrafondaia, altrimenti irrazionale, (otherwise irrational belligerent posture) di Israele nel corso della sua breve storia, così come nel suo più recente atto di aggressione non provocata contro la Siria.

Il ruolo di Israele è quello di recitare la parte del “cattivo”.

Come testa di ponte nella regione per gli interessi del capitale finanziario dell’Occidente, Israele introduce sempre un “piede nella porta” in ognuno dei molti conflitti desiderati fortemente dall’Occidente.

Bombardando la Siria, Israele spera di provocare un conflitto più ampio - un intervento che l’Occidente ha voluto e progettato fin dal momento in cui nel 2011 ha iniziato a soffiare sul fuoco di un conflitto violento in Siria.


Per la Siria e i suoi alleati – l’obiettivo ora deve essere quello di scoraggiare ulteriori aggressioni israeliane e di evitare a tutti i costi l’allargamento del conflitto. Se le forze terroristiche che agiscono per procura della NATO sono così deboli come sembra - incapaci di conquiste sul terreno sia tattiche che strategiche, e in fase di disgregazione a causa dei loro disperati attacchi, è solo una questione di tempo l’arresto subitaneo della campagna della NATO.

Come accennato prima, un tale insuccesso da parte della NATO sarà l’inizio della fine dell’aggressione, e degli interessi occidentali che l’hanno sfruttata come strumento per acquisire egemonia geopolitica.

Per questo è possibile che Israele si impegni in azioni sempre più estreme e disperate per provocare la Siria e l’Iran, visto che i suoi governanti rappresentano direttamente gli interessi del capitalismo straniero delle imprese e della finanza, non gli interessi migliori per il popolo di Israele, (tra cui la pace e perfino la sua sopravvivenza).

Per il popolo di Israele, questo deve rendersi conto che i suoi dirigenti in effetti non lo rappresentano, e nemmeno operano in favore dei suoi interessi, e che gli attuali governanti di Israele sono capaci, anzi entusiasti, di spendere le vite e le fortune dei loro cittadini al servizio degli interessi stranieri delle corporation e della finanza e dell’egemonia globale.


Articoli di riferimento:


Israeli Intelligence: US Israeli led “Covert Wars” on Iran and Syria

Dall’intelligence di Israele: gli Stati Uniti ed Israele hanno condotto “conflitti segreti” contro l’Iran e la Siria.

I conflitti segreti degli Stati Uniti ed Israele esercitano ulteriori pressioni su Iran e Siria, 29 novembre 2011.

Le guerre nascoste che gli Stati Uniti, la NATO, i membri della Lega araba e Israele stanno conducendo contro l’Iran, la Siria ed Hezbollah stanno assumendo ritmi vertiginosi…


US-NATO-Israeli Agenda: Syria to be Subdivided into “Three Weaker States”

L’agenda USA-NATO-Israele: la Siria deve essere smembrata in “tre Stati più deboli”

L’esperto mediologico egiziano Tawfik Okasha, proprietario del canale televisivo dell’opposizione egiziana al-Fara'een, ha accusato il sistema dei media di complicità con i Fratelli Musulmani nel propinare menzogne al popolo egiziano sulla crisi siriana. Egli fa appello a tutti i Siriani liberi…


SAVE SYRIA: Demand An End to US-NATO Supported Sectarian Terrorists

Salviamo la Siria: pretendiamo la fine dell’appoggio ai terroristi settari da parte degli USA-NATO

Cronistoria 1991: Paul Wolfowitz, allora sottosegretario alla Difesa, rivela al generale Wesley Clark dell’Esercito degli Stati Uniti che gli Stati Uniti si sono dati 5-10 anni per “ripulire quei vecchi regimi clienti dell’Unione Sovietica, Siria, Iran, Iraq, prima che la prossima superpotenza arrivi a sfidare ...


NATO Terrorists in Syria Attack Kurdish Minority

I terroristi NATO in Siria aggrediscono la minoranza curda

I media occidentali e i rappresentanti dei governi occidentali, dagli Stati Uniti all’Unione europea nel suo complesso, ancora insistono sul fatto che il bagno di sangue settario in atto in Siria, alimentato dalle armi e dal denaro degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, e dall’Unione europea sia una cosiddetta rivolta “pro-democrazia”. Perché …



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Le strategie “naziste” di USA, UE e NATO nell'epoca degli assedi

3 Febbraio 2013 

di Felicity Arbuthnot* | da www.rebelion.org

Traduzione dallo spagnolo a cura di Marx21.it

*Felicity Arbuthnot è una giornalista, profonda conoscitrice della situazione in Iraq. Ha collaborato a numerosi documentari sulle conseguenze della guerra scatenata da Bush, alcuni dei quali insigniti di premi internazionali.

Pensiamo che l'assedio di Leningrado sia stato il più terribile della storia del mondo, una “politica della fame per motivi razziali”, descritta come “parte integrante della politica nazista in Unione Sovietica durante la Seconda Guerra Mondiale”. L'assedio di 872 giorni di durata cominciò l'8 settembre 1941 e venne finalmente spezzato il 27 gennaio 1944. E' stato descritto come “uno degli assedi più lunghi e distruttivi della storia e con il numero di gran lunga più alto di vittime”. Alcuni storici lo definiscono un genocidio. A causa delle difficoltà incontrate nella conservazione dei registri, la quantità esatta delle morti risultanti dalle privazioni causate dal blocco non è certa, e le cifre vanno da 632.000 a 1,5 milioni di persone.
Gli assedi ora si sono estesi a interi paesi, si sono trasformati nella tortura prima della distruzione. E non durano molti giorni, ma molti anni. In Iran 33 anni, in Iraq più di 13 anni. Ironicamente, il numero delle morti in Iraq risultanti dal blocco riflette esattamente quello che è stato considerato un “genocidio” a Leningrado.

La Siria è sottoposta a sanzioni da parte dell'UE dal 2011, sempre più vessatorie, con il risultato che da maggio 2011, quando vennero imposte restrizioni al presidente Assad, a tutti gli alti funzionari del governo e ai massimi dirigenti dell'apparato di sicurezza e delle forze armate, è quasi impossibile qualsiasi transazione finanziaria. La lista delle restrizioni è sconcertante (1). Nel febbraio 2012 sono stati congelati gli attivi di singoli individui e quelli della Banca Centrale della Siria.

Sono stati proibiti anche i voli commerciali di aerei siriani nell'UE, e il commercio dell'oro, dei metalli preziosi e dei diamanti, di qualsiasi cosa possa essere trasformata in denaro, senza il quale né le persone né i paesi possono comprare le cose essenziali.

Nel luglio del 2012 Syrian Arab Airlines e l'Organizzazione per il Marketing del Cotone di Siria si sono aggiunte alle vittime dell'UE.

Gli USA, naturalmente, erano significativamente in vantaggio, con la Legge di Responsabilizzazione della Siria e la Legge di Sovranità Libanese (2) promulgate il 12 dicembre 2003, l'anno della completa distruzione dell'Iraq diretta dagli USA. Pertanto, il poderoso assedio personale degli USA contro 21 milioni di persone inizia il suo decimo anno.

Lo scorso agosto, come in precedenza nel caso dell'Iraq, l'impossibilità di commerciare ha significato che, come sempre, l'UE con il suo Premio Nobel della Pace e le politiche del presidente degli Stati Uniti insignito del medesimo premio, abbia colpito le persone più vulnerabili in Siria.

Molte compagnie farmaceutiche hanno chiuso provocando una grave scarsità di medicine per gli infermi cronici e le vittime dell'insurrezione, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (3). Prima dell'insurrezione appoggiata da USA, Regno Unito, UE e NATO, la Siria produceva il 90% dei farmaci di cui necessitava.

Così, “... la produzione è stata colpita dai combattimenti, dalla mancanza di materie prime, dall'impatto delle sanzioni e dai maggiori costi del combustibile”. Inoltre, quasi tutti gli impianti farmaceutici erano ubicati in aree di intensi combattimenti, le province di Aleppo, Homs e Damasco, e hanno sofferto “danni sostanziali”. Il risultato è la “scarsezza critica di medicine”, secondo il portavoce dell'OMS Tarik Jasarevic.

“Si ha necessità urgente delle medicine per la tubercolosi, l'epatite, l'ipertensione, il diabete e il cancro, come pure dell'emodialisi per i malati renali”.

I centri sanitari hanno chiuso a causa delle violenze, i danni, o perché sono caduti sotto il controllo dei combattenti spalleggiati dall'Occidente.

“Le installazioni sanitarie che hanno cessato di funzionare si trovano nelle aree più colpite, in cui la necessità urgente di interventi medici e chirurgici è più considerevole”, ha detto Jasarevic.

Il ministero della Salute siriano ha informato che “ha perduto” - rubate o distrutte – duecento ambulanze in alcune settimane tra giugno e l'inizio di agosto del 2012.

Alle banche manca il denaro e la raccolta del grano nel 2012 probabilmente è rovinata per la mancanza di manodopera, secondo le agenzie dell'ONU. Nel dicembre 2012, l'Iran ha inviato della farina in Siria, alleggerendo temporaneamente la crisi del pane. E in Occidente vengono censurate vergognosamente le informazioni sull'enorme assedio a cui è sottoposto anche l'Iran.

Mentre l'Iran inviava farina alla Siria, il ministero della Salute dell'Iran prendeva contatto con l'India con una lista di medicine negate che potrebbero salvare vite nel caso di pazienti in situazioni critiche. Le forniture vitali negate comprendono: “medicine per il cancro al polmone e alla mammella; per tumori cerebrali; per infermità cardiache; per infezioni postoperatorie di trapianto del rene, cuore e pancreas; per meningiti in malati di HIV; per artriti; per bronchiti e problemi respiratori dei neonati e l'epilessia” (4).

E di nuovo entrano in gioco gli artifici: “Sebbene il commercio di medicinali sia esentato dalle sanzioni internazionali imposte dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU e dalle sanzioni unilaterali annunciate dagli USA e dall'UE, le banche occidentali si rifiutano di fare le operazioni”.

Attaccare i malati è azione degna di dementi criminali. Sicuramente non è ancora stata coniata un'espressione per descrivere gli attacchi ai neonati, eccetto quella di Madeleine Albright quando ha fatto riferimento alla morte di mezzo milione di bambini a causa delle sanzioni contro l'Iraq: “...pensiamo che il prezzo valga la pena”. Non è stato un lapsus linguae, ma evidentemente aveva a che vedere con il Nuovo Ordine Mondiale.

La lista parziale delle medicine che non si possono ottenere in Iran dovrebbe essere collocata sul muro della vergogna a Washington e in tutte le capitali dell'UE che hanno ricevuto il Premio Nobel:

“Le medicine negate includono la chemioterapia; medicinali per prevenire infezioni del rene, cuore e pancreas e nel trattamento dell'AIDS. Trattamenti del cancro al colon, cancro del polmone; tumori cancerosi del cervello; medicinali di chemioterapia per il cancro del polmone, delle ovaie e dei testicoli; trattamento del linfoma di Hodgkin”.

E anche: “trattamento del cancro della mammella; una serie di medicinali per la chemioterapia; per patologie del cuore che mettano in pericolo la vita; trattamenti specifici per la meningite; medicine per problemi respiratori dei neonati; trattamenti per attacchi epilettici; trattamento di ampio spettro per infermità cardiache”.

Inoltre:

“Nitroglicerina per angina e infermità dell'arteria coronarica; trattamento per la setticemia e per la meningite batterica; medicine per ridurre il rischio di parto prematuro; trattamenti per bronchite acuta, pneumonia, infezioni delle ossa, infezioni ginecologiche e del tratto urinario”.

Si trova nella lista anche la Nimodipina, che riduce il rischio dopo le emorragie cerebrali. Che fortuna ha avuto la signora Clinton a non essere colpita dal suo coagulo cerebrale in Iran!

Lo scorso mese di ottobre, il Capo della Fondazione per le Infermità Speciali in Iran, Fatemeh Hashemi, ha dichiarato che sei milioni di pazienti corrono potenzialmente rischi per la mancanza delle medicine sanzionate (5). Un olocausto annunciato e accettato praticamente in silenzio dall'assassina “comunità internazionale”.

Anche Mehrnaz Shahabi (6) riassume questa Era del Blocco:

“L'Iran produceva il 97% delle medicine di cui aveva bisogno...La moneta svalutata significa che le materie prime importate per la produzione ora sono molto più care. In molti casi, la materia non si può neppure pagare, in particolare a causa delle sanzioni bancarie, dal momento che la Società di Telecomunicazioni Finanziarie Interbancarie Mondiali (SWIFT), attuando le sanzioni dell'UE, ha impedito l'utilizzo dei suoi servizi di comunicazione elettronica alle istituzioni finanziarie iraniane e alle transazioni dell'Iran”.

Perciò, come in Siria, le medicine fabbricate nel paese sono quasi inesistenti.

In aggiunta: “le medicine più avanzate per salvare vite non si possono fabbricare in modo generico. Si tratta delle medicine per infermità cardiache, problemi polmonari, infermità renali e dialisi, sclerosi multipla, talassemia, emofilia e molti tipi di cancro”.

I cancri in Iran sono aumentati e si predice uno “tsunami di cancri” nel 2015. Poiché l'Iran confina con l'Iraq, e respira la stessa aria, sarebbe ragionevole ritenere che, nel momento in cui si punisce l'Iran per la sua industria nucleare, gli USA e il Regno Unito abbiano una certa responsabilità nell'enorme tragedia sanitaria causata dalle armi all'uranio impoverito impiegate in Iraq.

“Tutte le operazioni chirurgiche di migliaia di pazienti emofilici sono state cancellate a causa della scarsità di coagulanti. Un ragazzo di 15 anni è morto alla fine di ottobre per la mancanza di coagulanti. Il responsabile della Società di Emofilia dell'Iran ha dichiarato: “E' un'evidente presa in ostaggio delle persone più vulnerabili da parte dei paesi che proclamano il loro interessamento per i diritti umani. Anche solo pochi giorni di ritardo possono comportare gravi conseguenze, come emorragie e invalidità”.

Mentre si stava celebrando l'anno nuovo in tutta Europa e nel “Paese della Libertà”, l'Arcivescovo dell'Alta Mesopotamia, Jacques Benand Hindo, inviava un appello urgente alla Presidenza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO).

Egli ha dichiarato che in una situazione che “presto potrebbe diventare catastrofica”, si stavano chiudendo i canali delle forniture e che “tutta l'attività economica sembra paralizzata, con la conseguenza dell'esaurimento dei beni vitali e di un grande aumento dei prezzi. La mancanza di combustibile impedisce il riscaldamento delle case e porta alla chiusura totale di tutte le attività agricole, proprio quando sta iniziando la stagione della semina. I depositi di grano sono stati saccheggiati ed è stato venduto frumento a commercianti turchi che lo hanno portato in Turchia, sotto lo sguardo di funzionari della dogana turca”.

Come non pensare che la Turchia, alleata della NATO, rappresenti l'equivalente del bombardamento con bengala della raccolta di grano iraniano?

Oltre al grano saccheggiato, l'Arcivescovo ha denunciato la scomparsa graduale di altri prodotti essenziali che comprendono, come in Iraq, il latte per i bambini.

L'Arcivescovo Hindo ha anche lanciato un appello al primo ministro dell'Iraq, Nuri al-Maliki: “Per favore aiutateci con la maggiore rapidità possibile, inviando 600 serbatoi di combustibile, 300 serbatoi di benzina e alcune tonnellate di farina. Le prime vittime sono i bambini. Tutta l'ingiustizia si sente nel corpo, nell'anima e nei bambini”. E' causata dalla punizione draconiana, assassina, illegale e collettiva nei confronti di un popolo e, una volta ancora, ricade sui quelli che devono ancora nascere, gli appena nati e quelli che solo gattonano.

Al termine della Seconda Guerra Mondiale, Leningrado (oggi San Pietroburgo) fu insignita del titolo di Città Eroica per l'incrollabile valore collettivo, la resistenza e l'inventiva di fronte alle atrocità naziste.

Senza dubbio il mondo deve insignire del titolo di Paese Eroico quelli che dimostrano il medesimo valore contro le nazioni che ripetono le stesse atrocità.

Note

1. http://www.sanctionswiki.org/Syria
2. http://www.bis.doc.gov/licensing/syriaimplementationmay14_04.htm
3.  http://www.reuters.com/article/2012/08/07/syria-crisis-health-idUSL6E8J74NZ20120807  
4. http://www.indianexpress.com/news/shackled-by-sanctions-iran-sends-india-sos-for-lifesaving-drugs/1054837/
5. http://www.dailystar.com.lb/News/Middle-East/2012/Oct-21/192191-sanctions-affecting-6-million-patients-in-iran-report.ashx#axzz2HZnCUyUS
6. http://www.deliberation.info/sanctions-aganst-iran-a-form-of-genocide

L'originale in 




Giorno del Ricordo 2013

I DELATORI DELLA MISSIONE ALLEATA MOLINA RISULTANO TRA I MARTIRI DELLE FOIBE.

di Claudia Cernigoi

Nella Risiera di San Sabba a Trieste c’è una targa (*) che ricorda i quattro caduti della missione alleata del capitano Valentino Molina: il capitano stesso, il tenente colonnello Francesco Sante De Forti, Guido Gino Pelagalli e la signora Clementina Tosi vedova Pagani, uccisi dai nazisti il 21/9/44. I dati storici finora noti si basano su quanto emerse nel corso del processo che vide un collaboratore di Molina, il radiotelegrafista Enzo Barzellato, accusato di avere tradito il suo capo: egli avrebbe iniziato a collaborare coi tedeschi non appena giunto a Trieste, ma dal processo appare anche che le leggerezze di Molina in materia di sicurezza sarebbero state molte 1.
Presso l’archivio storico dello Stato maggiore dell’esercito (AUSSME) si trovano alcuni documenti dai quali si può però ricostruire in modo più dettagliato la tragica vicenda.
Secondo gli storici, Molina era sbarcato in Istria nel gennaio 1944 assieme al radiotelegrafista Barzellato; la sua missione (nome in codice Fair II ) è una delle 37 organizzate dalla Rete Nemo (una struttura organizzata dal Servizio informazioni militari, SIM, del Regno del Sud in collaborazione con i servizi britannici) per creare contatti tra la resistenza dell’Italia occupata ed il governo legittimo 2.
Il 2/5/45 si presentò agli uffici del FSS 3 di Trieste il maresciallo Nicola Mallardi, che dichiarò di avere fatto parte di una struttura di spionaggio nazista, il Gruppo Baldo; Mallardi ritornò il 16 successivo dicendo che gli Jugoslavi avevano arrestato alcuni membri di questa struttura, ed egli evidentemente voleva mettersi al sicuro presentandosi ai britannici 4.
Del Gruppo Baldo si legge5 che era stato organizzato dal Kommando 150 (nome in codice Erika) dell’Abwehr 6; che il primo comandante fu il capitano Paimann (nome in codice Pitter) sostituito successivamente dal sottotenente Buddenbrock (Busoni), anche se, a leggere un rapporto dei servizi britannici (datato 10/5/45 e tradotto per il SIM 7), i due erano gli ufficiali di collegamento tra Baldo ed il comando tedesco: il sottotenente Willy Buddenbrook sostituì Paimann che si era recato a Rovereto in febbraio. La sede di Erika si trovava in via Nizza 6, ma altre sedi dei servizi informativi germanici si trovavano in via Nizza 21 e via Nizza 14. Tali sedi furono “visitate” dal FSS prima che arrivassero gli Jugoslavi, ed in tal modo furono recuperati “importanti documenti”; Busoni ed altri lasciarono Trieste il 28/4/45.
Dallo stesso rapporto ricaviamo le sedi del comando del Gruppo Baldo: dapprima in via degli Squadristi 2, poi in via San Nicolò 10 ed in via Cassa di Risparmio 6, per finire in viale XX Settembre 16; il nome di copertura era “Ufficio Studio Razziale” e l’ufficio era intestato al cognome Vaccari (va qui annotato che nella Guida generale del 1942 in via San Nicolò 10 risultava una “Bianca Vaccari, camiceria”).
Gurrey spiega che lo scopo di questa struttura era di installare una rete di cellule in Istria e di infiltrare elementi nelle formazioni partigiane del retroterra triestino; ma anche il reclutamento di agenti stay behind, cioè di resistenza oltre le linee. Gli agenti di Erika convinsero un ufficiale del Regio esercito a mettere a disposizione una rete di agenti (da lui già gestiti nella regione prima della resa dell’Italia), che furono appunto strutturati nel Gruppo Baldo. Essi furono inviati a Firenze tra aprile e maggio 1944, al comando FAK 8, per l’addestramento e nel settembre successivo, 44 di questi agenti furono piazzati non solo in Istria e nella Slovenia del nord, ma anche ad Ancona, Venezia, Treviso e Ravenna. Gurrey segnala i nominativi di alcuni di questi agenti: Miceli Ireneo ad Ancona, Italico a Venezia, Furlani Ignazio a Treviso e Mangia Marte a Ravenna.
Tornando al rapporto britannico leggiamo che il Gruppo Baldo era “un’organizzazione designata a rimare sul posto (in tedesco Hernetz)”, cioè finalizzata allo stay behind; lo scopo era la “lotta contro i partigiani”, la zona d’operatività la “provincia di Lubiana e regioni orientali (italiane) confinanti con la Jugoslavia”; e troviamo anche i nomi completi degli agenti ed altri dati su di loro.
Ricordiamo che questo rapporto è datato 10 maggio, quindi le informazioni erano in possesso dei servizi britannici già da prima della deposizione di Mallardi, che fu resa il 16. Dai due documenti abbiamo tratto i dati che ora riportiamo sul Gruppo Baldo.
La centrale di Trieste era diretta dal capitano Bruno Carmeli (dottor Stefano), alle dipendenze del comando Erika ed aveva sede nella sua abitazione privata in via Nizza 6; il vice capo era il dottor Cesare, cioè Carlo Colognetti (questo cognome non esiste a Trieste, quindi supponiamo trattarsi di Carlo Colognatti, giornalista e successivamente parlamentare del MSI), descritto nel rapporto come “non filo-fascista ma filo-tedesco”; capo-maglia della rete era Francesco Ciollaro (ingegner Fiocco), radiotelegrafista, al momento riparato presso Verona; Remo Lombroni (Ludovico Renoldi), informatore di Mallardi; ed ancora Renato Cortese (Fazio), Giulio Ciollaro (Secondo), Andrea Francescutti (Franco Andretti).
Mallardi era stato capo della sezione di Udine, poi sostituito da Alfredo Germani (Gennaro Alfonso, che, interrogato dal FSS avrebbe ammesso di avere fatto parte del gruppo destinato a rimanere a Trieste dopo l’arrivo degli Alleati, ma di non avere svolto alcuna attività; di lui parleremo più avanti), sezione che comprendeva anche Federico Ceschia (Celso Feresin), arrestato (ma viene detto da chi, né in che data). A Fiume il capo era Silvio Saccucci (Fiore), che precedentemente abitava a Trieste in via Revoltella e qui si può collegare quanto riferito da Mallardi nel suo interrogatorio a proposito di un agente noto come Trani, ma del quale non conosceva il nome, abitante in via Revoltella, zoppo, che aveva fatto catturare un inviato inglese in una località fuori Trieste. Saccucci a Fiume era coadiuvato da Salvatore Latriglia (Lauro); a Lubiana c’erano l’ex segretario comunale di Umago Facchini, il soldato Fragiacomo ed un Ferencich (Francone); infine a Pisino un Ghersetti amico di Ferencich.
Ed ancora: a Treviso Redento Furlani (Ignazio); ad Ancona il “sedicente dottore in medicina Miceli” Ireneo, napoletano; Italo Famea Italico, al Lido di Venezia; Rodolfo Mangia Martedì, a Rimini.
Vengono segnalati anche degli informatori locali: Ermanno Callegaris (Terenzio), i fratelli Mamolo (uno era un avvocato) e Pierino Madaro 9 a Trieste; Luciano Clementi a Fiume.
I marescialli Mallardi e Saccucci della Sezione statistica dell’esercito ed il carabiniere Andrea Franceschini, ad essa collegato, erano stati interrogati dopo l’armistizio dal capitano Peterson del controspionaggio germanico e minacciati di internamento. Secondo il rapporto, “accettarono di collaborare” con il servizio, con l’intenzione “di penetrarne l’organizzazione a vantaggio degli Alleati”. Il vantaggio che ebbero gli Alleati da questa collaborazione lo valuteremo tra un po’.
Torniamo alla storia della missione Molina. Il capitano Molina, che aveva prestato servizio presso la Sezione statistica e pertanto conosceva bene Mallardi e Saccucci, secondo Mallardi sarebbe giunto a Trieste nel novembre 1943 (altrove si parla di uno sbarco effettuato in Istria nel gennaio 1944, e qui abbiamo una discrepanza non chiarita), prendendo casa con il proprio nome e riprendendo i contatti con gli ex subordinati, di cui si fidava. Mallardi dichiarò di avere avvertito Molina di diffidare di Renato Cortese e di Francesco Ciollaro, e di essersi fatto trasferire come dattilografo a Trieste lasciando il comando del centro di Udine, su indicazione del suo ex superiore.
Nel marzo 1944 Ciollaro avrebbe detto a Mallardi di nutrire dei sospetti su Molina, per il fatto che questi dichiarava di vivere con uno stipendio di “sole” 2.000 lire mensili, fatto che non lo convinceva. Successivamente il fratello di Ciollaro, che era stato internato in Germania, fu rimpatriato per intercessione del capitano Paimann ed inserito nel Gruppo Baldo.
Molina aveva insediato nella zona di Palmanova un proprio agente, Gino Pelagalli; in seguito Mallardi lo avrebbe informato di una conferenza tenutasi a Treviso all’inizio di aprile 1944, con la partecipazione del maresciallo Graziani, e di una segnalazione giunta al Gruppo Baldo relativa all’attività di Pelagalli, invitandoli a stare attenti.
Mallardi ebbe spesso abboccamenti con Molina, presi mediante “telefonate convenzionali” per incontri in locali pubblici; a luglio, non avendo più notizie del capitano cercò di informarsi, ma fu Francesco Ciollaro a riferirgli che Molina era stato arrestato dai tedeschi, che gli avevano trovato molta documentazione compromettente in casa (tra cui una trasmissione relativamente ad un bombardamento alleato su Treviso), e dati i particolari a conoscenza di Ciollaro, Mallardi affermò di ritenere che il suo interlocutore non fosse estraneo all’arresto del capitano Molina.
Altre informazioni giunsero a Mallardi dal “carabiniere Burzachechi del centro CS di Trieste” (qui annotiamo che Giovanni Burzachechi risulta essere entrato nei ranghi delle SS ancora prima dello scioglimento dell’Arma dei Carabinieri, avvenuto su ordine del Reich il 25/7/44), che gli riferì anche dell’arresto di Pelagalli. Sarebbe stato sempre Burzachechi a comunicargli della fucilazione di Molina e Pelagalli, ma ne era già stato informato da Franceschini, che l’aveva appreso dal capo gruppo Carmeli. Successivamente anche Ciollaro avrebbe riferito il fatto a Mallardi “e mi apparve contento”, perché attribuiva a Molina i morti del bombardamento alleato su Treviso.
Infine Mallardi affermò che Saccucci gli avrebbe detto che l’arresto di Molina era dovuto al tradimento del suo radiotelegrafista “Bartolozzi (grafia incerta)”: evidentemente Barzellato.
Abbiamo visto prima che Mallardi si era presentato al FSS perché alcuni agenti del Gruppo Baldo erano stati arrestati dalle autorità jugoslave, ed in effetti da controlli incrociati da noi in precedenza fatti 10 risulta che il 15 maggio (cioè il giorno prima della deposizione di Mallardi) erano stati arrestati Alfredo Germani e Remo Lombroni; Ermanno Callegaris era stato arrestato il 14, mentre Burzachechi fu arrestato già il 2 maggio.
Germani, Lombroni, Callegaris e Burzachechi compaiono nell’elenco degli arrestati dall’Ozna e poi incarcerati a Lubiana: morto in prigionia Callegaris (del quale in un processo celebrato a Trieste nel dopoguerra viene ricordata l’attività di collaboratore con le SS); “fatti uscire” dal carcere (e non si sa se condannati a morte o trasferiti altrove) il 23/12/45 Germani, il 6/1/46 Lombroni e Burzachechi, dei quali non si seppe altro. Rientrano dunque questi quattro nel novero di coloro che vengono comunemente considerati “infoibati” dagli Jugoslavi, e che le Autorità italiane nel Giorno del Ricordo del 10 febbraio indiscriminatamente commemorano ed a cui rendono onori civili e militari, solo due settimane dopo avere reso onore, nella Risiera di San Sabba, alla missione alleata del capitano Molina, fucilato dai nazifascisti per essere stato tradito da militari italiani che non avevano mantenuto il giuramento fatto alla propria Patria, ma avevano accettato di collaborare con gli occupatori, mandando a morire i propri ex commilitoni e compatrioti.

febbraio 2013


NOTE:
1) Roberto Spazzali, “l’Italia chiamò”, LEG 2003, p. 193-195. 
2) L’elenco delle missioni e degli agenti si trova in AUSSME b. 50 n. n. 46409 (ufficiali), 46407 (sottufficiali), 46408 (truppa). 
3) Field Security Section, sezione dell’Intelligence Service britannico assegnato alle unità campali con compiti di sicurezza e controspionaggio. 
4) AUSSME b. 149, n. 124583 
5) Donald Gurrey, “La guerra segreta nell’Italia liberata”, LEG 2004, p. 127, 137, 174, 230. 
6) L’Abwehr era il reparto informazioni e controspionaggio della Wehrmacht. 
7) AUSSME b. 149, n. 124587-124591. 
8) Frontaufklärungskommando, “commando” esplorante di prima linea. 
9) Un Pietro Madaro risulta essere stato nei ranghi dell’Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia.
10) Si vedano C. Cernigoi, “Operazione foibe a Trieste”, Kappavu 1997, e “Operazione foibe tra storia e mito”, Kappavu 2005. 




Giorno del Ricordo, iniziative a Bari e Firenze

1) Bari 6/2: La questione delle foibe
2) Firenze 8/2: Foibe, Giornata del ricordo: operazione di regime


=== 1: BARI ===

http://www.diecifebbraio.info/2013/01/bari-622013-la-questione-delle-foibe/

BARI, MERCOLEDÌ 6 FEBBRAIO

Palazzo Ateneo, Facoltà di Lettere

Aula IV, ore 11.00

 

La questione delle foibe

 

INTERVENGONO:

Student* In Lotta

 

Marco Delle Rose, CNR, autore di “Revisione storiografica e uso politico della questione delle foibe” (*)

 

Andrea Catone (associazione MarxXXI)

 

***

Aula V, ore 16.30

 

I crimini fascisti nei Balcani

proiezione del documentario “Fascist Legacy” (Regia Ken Kirby, BBC, 1989

 

________________________________________________________________

Organizza: collettivo Student* In Lotta (con la collaborazione del centro di documentazione c/o MARX XXI, Bari)

(*) Relazione esposta all’incontro pubblico promosso dall’ANPI “Il Giorno del Ricordo per la pace tra i popoli”, Lecce, 10 febbraio 2011. Ricerca presentata nella sessione “La Geografia e la Geologia Militare: una nuova prospettiva per gli studi storico-militari” di Geoitalia 2011, Torino, 22 settembre 2011, ora in: http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/984-revisione-storiografica-e-uso-politico-della-questione-delle-foibe.html oppure http://www.diecifebbraio.info/2012/02/revisione-storiografica-e-uso-politico-della-questione-delle-foibe/ .


Per contatti: marx21bari @ libero.it


=== 2: FIRENZE ===

http://www.diecifebbraio.info/2013/01/firenze-822013-foibe-giornata-del-ricordo-operazione-di-regime/

venerdì 8 febbraio 2013
ore 21:30, presso l’Archivio ’68, in via Orsini 44 a Firenze

FOIBE, GIORNATA DEL RICORDO: OPERAZIONE DI REGIME

Dibattito con lo storico SANDI VOLK

La propaganda mistificatoria intorno alle foibe è sempre stata oggetto dei fascisti fin dai tempi della repubblica di Salò, sia per screditare i partigiani e la Resistenza, sia per nascondere le efferatezze commesse dai fascisti italiani oltre il nostro confine orientale durante il ventennio fascista e i veri e propri massacri lì compiuti durante la seconda guerra mondiale. La propaganda prosegue con MSI ed epigoni fino a trovare una legittimazione con l'istituzione del "giorno del ricordo" con una legge proposta dal fascista Roberto Menia, appoggiata dai revisionisti Violante e Fassino del PDS e promulgata durante il Governo Berlusconi del 2004. Violante e Fassino lo useranno come strumento di legittimazione nazionale e internazionale della svolta anticomunista della Bolognina del 1989 con lo scioglimento del PCI.
Nel 2007 la questione foibe viene usata con la dichiarazione "xenofoba e razzista" del Presidente della Repubblica Napolitano per affermare un indirizzo strategico che si coniuga con "la patria Italiana". Si vuol far passare l'idea che in Italia non esiste più la contrapposizione fra fascismo e antifascismo e che esiste un'Italia omogenea pronta ad essere legittimata come paese imperialista. La presenza dell'Italia negli scenari di guerra consoliderà questa impostazione.
La storiografia non prezzolata si pone in una posizione diversa sulla nascita e sugli avvenimenti riguardanti le foibe rispetto all'interpretazione fascista, revisionista e imperialista. Così anche noi ci poniamo in una posizione diversa rispetto al "giorno del ricordo" dimostrando che in Italia la partita fra i costruttori di un regime autoritario e chi gli si oppone è ancora aperta e trasformeremo quel giorno in una mobilitazione contro il "giorno della menzogna".


CAAT (Coordinamento Antifascista Antirazzista Toscano)

la locandina in formato PDF: http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2013/01/firenze080213.pdf


=== * ===



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(srpskohrvatski / italiano)

Attività del Partiti comunisti e operai dei Balcani

1) Kordinacioni odbor komunističkih i radničkih partija, Zagreb, 27.10.2012.
2) Dichiarazione congiunta del Partiti comunisti e operai dei Balcani, Salonicco 26/01/2013
3) NKPJ: 95 godina Velike Oktobarske Socijalističke Revolucije
4) SRP: Kapuralin nuovo presidente / Vladimir Kapuralin novi predsjednik SRP-a


LINKOVI SKOJ-a:

“MERE ŠTEDNJE” TERET NA LEĐIMA PROLETARIJATA SRBIJE
http://www.skoj.org.rs/92.html
SOLIDARNOST SA NARODOM SIRIJE
http://www.skoj.org.rs/sirijavest.html
17. DECEMBRA GODIŠNJICA SMRTI BRANKA KITANOVIĆA
http://www.skoj.org.rs/111.html
BURŽUJSKE LOPOVE U ZATVORE – KRIMINAL JE PRODUKT KAPITALIZMA
http://www.skoj.org.rs/113.html
NOVOGODIŠNJA CESTITKA SKOJ-A
http://www.skoj.org.rs/115.html
STOP PRIVATIZACIJI POLJOPRIVREDNIH KOMBINATA
http://www.skoj.org.rs/116.html


=== 1 ===

(Comunicato sul meeting dei rappresentanti dei partiti comunisti e operai dei territori jugoslavi, tenutosi a Zagabria pochi giorni fa.
Sui meeting precedenti si veda: https://www.cnj.it/POLITICA/odbor_krp_exyu.htm )



Saopćenje za javnost


Hina,
Dnevne novine,
Elektronski mediji,

 
U subotu, 27.10.2012. godine u Zagrebu, održan je Kordinacioni odbor komunističkih i radničkih partija država sa prostora nekadašnje Jugoslavije čiji je dvogodišnji koordinator trenutno Socijalistička radnička partija Hrvatske.
Teme zasjedanja bile su Društveno-ekonomske prilike, konstelacija političkih snaga i pozicija ljevice, a posebno položaj spomenutih partija u pojedinim zemljama, te neka organizaciona pitanja i pitanja daljnjega rada odbora.
Utvrđeno je da je teško ekonomsko i socijalno stanje identično u svim nastalim državama, jer se i proces restauracije kapitalizma, sprovodio po istom scenariju: eliminiranje radničke klase kao vodeće snage društva i njeno obespravljenje, a inaguracija nove tajkunske klase, koja se vazalski stavlja u funkciju svjetskog kapitalističkog poretka, uzurpacija i pljačka društvene imovine, upropaštavanje velikih poslovnih sistema, preuzimanje najvrijednijih industrijskih pogona, banaka i domaćeg tržišta u ruke moćnih korporacija banaka i trgovačkih lanaca iz razvijenog kapitalističkog centra, a čije su posljedice dezartikulacija i dezindustrijalizacija domaćih privreda, dramatičan pad proizvodnje, zaposlenosti i konkurentnosti, sveopće osiromašenje najvećeg dijela naroda i dužničko ropstvo. Privreda ovih prostora koja je nekada međusobno razmjenjivala 50% društvenoga proizvoda, sada je potpuno dezintegrirana i potisnuta od krupnog stranog kapitala.

Izlaz je u socijalizaciji proizvodnje, autentičnim strategijama razvoja na razini svake države i međusobno ekonomsko povezivanje i zajednički nastup na europskim i svjetskim tržištima, nasuprot sadašnjoj neoliberalnoj kolonizaciji i prepuštanja nacionalnog razvoja drugima.
Političku konstelaciju snaga prema ocijeni okupljenih partija čine tobože demokratske stranke, koje artikuliraju interese kapitala i koje se međusobno mijenjaju na vlasti, naravno uz redovnu upotrebu aureola rigidnog nacionalizma, a bez istinskih lijevih snaga, koje su dosada potpuno marginalizirane, ali sada u ubrzanom organiziranju i obnovi.
Partije će nastaviti razmijenjivati svoja iskustva, a slijedeći skup održat će se već u proljeće slijedeće godine.

Zagreb, 29.10.2012. godine U ime kordinacije SRP Hrvatske
predsjednik Ivan Plješa

SOCIJALISTIČKA RADNIČKA PARTIJ
HRVATSKE
Pavla Hatza 16
10000 Zagreb



=== 2 ===

http://www.resistenze.org/sito/te/pe/mc/pemcda29-012249.htm
www.resistenze.org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 29-01-13 - n. 438

Dichiarazione congiunta del Partiti comunisti e operai dei Balcani
 
Partiti Comunisti e operai dei Balcani | kke.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
26/01/2013
 
Il 26 gennaio 2013 a Salonicco, su iniziativa del Partito Comunista di Grecia (KKE), si è tenuto un incontro fra 10 Partiti comunisti e operai provenienti da 7 paesi: Albania, Bulgaria, Croazia, FYROM (Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia), Grecia, Serbia e Turchia.
 
L'incontro ha favorito lo scambio di opinioni sulla situazione che sta prendendo forma nei Balcani e nel Mediterraneo orientale, nel quadro della crisi internazionale economica capitalista, di intensificazione dell'aggressività imperialista contro la Siria e dell'acuirsi delle contraddizioni interimperialistiche.
 
La crisi capitalistica aggrava i problemi dei popoli nel loro complesso, estende la povertà, aumenta la disoccupazione, mentre la miseria relativa e assoluta tormenta una grande parte della popolazione nei paesi balcanici. I Partiti comunisti e operai dei Balcani ritengono che la vera causa della crisi risieda nell'intensificazione della contraddizione fondamentale del capitalismo: la contraddizione tra il carattere sociale della produzione e l'appropriazione capitalistica dei suoi risultati.
 
Inoltre, la crisi globale del capitalismo sta inasprendo la competizione tra le potenze imperialiste, tra i monopoli, per il controllo delle materie prime, delle loro vie di trasporto e delle quote dei mercati. Questo risulta evidente anche nella nostra regione, dove la NATO sta preparandosi all'intervento militare contro la Siria.
 
Gli imperialisti per ogni occasione utilizzano pretesti diversi al fine di ottenere un sostegno popolare, o quantomeno la sua tolleranza allo svolgimento delle guerre imperialiste. In queste condizioni, nei Balcani vediamo le classi borghesi ed i loro rappresentanti politici partecipare attivamente a questi piani, nel tentativo di rafforzare il proprio ruolo nel quadro del sistema imperialista, al fine di ottenere da esso una quota del bottino, attraverso l'uso del nazionalismo e dell'irredentismo.
 
In tali condizioni si possono vedere i Partiti comunisti e operai dei Balcani salutare le lotte operaie e antimperialiste in Grecia, in Turchia e altrove, per la difesa del lavoro, dei diritti e delle conquiste popolari, contro il nazionalismo e il razzismo, per i diritti degli immigrati, contro la guerra imperialista. In tutte queste lotte, i Partiti comunisti e operai sono chiamati a porsi in prima linea per organizzarle nella difesa dei diritti della classe operaia e del popolo, per rafforzare la lotta contro l'imperialismo e le sue unioni, evidenziando quanto la crisi oggi stia lì a dimostrare i limiti storici di questo sistema insieme al fatto che la necessità e l'attualità del socialismo si impongano all'attenzione generale in modo più chiaro di prima.
 
In questo incontro, si è espresso il desiderio comune di rafforzare e moltiplicare le nostre attività congiunte, di coordinare i nostri partiti e di promuovere anche una più ampia azione antimperialista, con i seguenti indirizzi:
 
- La solidarietà con le lotte operaie dall'orientamento di classe, lo sviluppo della lotta per i diritti dei lavoratori, della gioventù e delle donne, che stanno irrompendo nel contesto balcanico.
 
- Il rafforzamento e l'ampliamento nei Balcani del movimento per la pace, anti-NATO e antimperialista. Contro il cosiddetto scudo anti-missile, le basi e truppe straniere, contro la partecipazione delle forze militari dei paesi balcanici alle missioni di NATO ed Unione Europea in altri paesi. Per il disimpegno dei nostri paesi dai piani imperialistici e dalle organizzazioni imperialiste.
 
- La crescita della denuncia popolare dell'anti-comunismo e dell'equazione anti-storica fra comunismo e fascismo, promossa dall'Unione Europea e dalle classi borghesi.
 
- La lotta affinchè i nostri popoli si oppongano con decisione ad una nuova guerra imperialista contro la Siria e l'Iran, ma più in generale in Medio Oriente, Africa, Caucaso, ecc., che rappresenta lo speciale compito dell'oggi.
 
Partiti partecipanti:
 
Partito Comunista di Albania
Partito Comunista di Bulgaria 
Partito dei Comunisti Bulgari 
Partito Socialista dei Lavoratori di Croazia
Partito Comunista di Grecia 
Partito Comunista di Macedonia (FYROM) 
Comunisti Serbi 
Partito Comunista di Turchia 
Partito del Lavoro (EMEP) di Turchia 
Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia


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(Per il 95.mo Anniversario della Rivoluzione d'Ottobre)


95 GODINA VELIKE OKTOBARSKE SOCIJALISTIČKE REVOLUCIJE

U susret Velikoj oktobarskoj socijаlističkoj revoluciji, Novа komunističkа pаrtijа Jugoslаvije (NKPJ) i Sаvez komunističke omlаdine Jugoslаvije (SKOJ) održаli su 06. novembrа Svečаnu аkаdemiju u Beogrаdu u prostorijаmа Pаrtije u sаli Novi svet. Nа Akаdemiji je rečeno dа nаšа Pаrtijа kаo jedinа аutentičnа mаrksističko-lenjinističkа snаgа nа nаšim prostorimа poput drugih pаrtijа Međunаrodnog komunističkog pokretа, progresivnih ljudi čitаve plаnete obeležаvа s ponosom ovаj znаčаjаn jubilej, čime ukаzujemo u prvom redu nа аktuelnost i sаvremeni znаčаj tekovinа Crvenog oktobrа. U prigodnom progrаmu pročitаni su referаti o hronologiji zbivаnjа tokom 07. novembrа 1917. u Petrogrаdu (Lenjingrаdu), recitovаne su pesme koje slаve ovаj znаčаjаn prаznik i dostignućа proletаrijаtа čitаvog svetа, а Prvi sekretаr SKOJ-а i izvršni sekretаr Pаrtije drug Aleksаndаr Bаnjаnаc pročitаo je zvanični referаt NKPJ, kаo i rezoluciju Međunаrodnog komunističkog pokretа povodom 95. godišnjice Oktobаrske revolucije. Nа krаju Svečаne аkаdemije Generаlni sekretаr NKPJ drug Bаtrić Mijović uzeo je reč i ukаzаo nа znаčаj Oktobrа, o situаciji u kojoj se nаlаzi nаše društvo dаnаs, o problemimа orgаnizovаne borbe rаdničke klаse i svih izdаjа koje su interesi proletаrijаtа kod nаs doživeli otkаko je instаlirаnа vаrvаrskа kаpitаlističkа vlаst po kontrаrevoluciji u SFRJ, o stаnju u kom se nаlаzi nаšа pаrtijа i svim pritiscimа vlаsti nа jedinu аutentičnu komunističku/mаrksističko-lenjinističku pаrtiju u nаšoj zemlji, kаo i potrebаmа zа što skorijim zbijаnjem redovа i orgаnizаcionim iskorаcimа koji su nаčinjeni u prethodnom periodu. Posebno je drug Generаlni sekretа izrаzio pohvаle upućene skojevcimа i nаjаktuelnijim dogаđаnjimа vezаnim zа rаd nаše orgаnizаcije. Skup je otpočeo i zаvršen intonirаnjem Internаcionаle i Sovjetske himne.



ZVАNIČNI REFERАT NOVE KOMUNISTIČKE PАRTIJE JUGOSLАVIJE POVODOM 95. GODIŠNJICE VELIKE OKTOBАRSKE SOCIJАLISTIČKE REVOLUCIJE

„Mi smo zаpočeli ovаj zаdаtаk. Ali tаčno kаd, zа koliko vremenа, proletаrijаt koje zemlje će zаvršiti ovаj zаdаtаk nije nаjvаžnije pitаnje. Nаjvаžnije je dа smo mi probili led, put je otvoren, put je zаcrtаn.“ V.I. Lenjin


Kаdа su 25. oktobrа (07. novembrа po novom kаlendаru) 1917. godine boljševici uspeli dа zаuzmu Zimski dvorаc u Petrogrаdu, tаdаšnje sedište Prelаzne vlаde Rusije, u svetskoj štаmpi, kаo ni kod nаs, ovа vest nije ni približno onаko jаko odjeknulа kаo što će ovаj dogаđаj odjekivаti u istoriji ljudske civilizаcije. Oktobаrskа revolucijа nije bilа nаprosto prevrаt ili ustаnаk, onа je bilа vesnik i polаznа tаčkа jedne nove istorijske epohe. To je bilа revolucijа u punom smislu, i to prvа socijаlističkа revolucijа kojom po prvi put u istoriji vlаst osvаjа nаjvećа i nаjpotlаčenijа društvenа klаsа, u ovom slučаju proletаrijаt. Time je Oktobаrskа revolucijа bilа i prvа istinski demokrаtskа revolucijа, posle koje većinа dolаzi nа vlаst, а vlаst se uprаvljа interesimа većine. Onа je nаjаvа novog svetа, nаjаvа togа dа nаde i ideali „mаlog čovekа“ o njegovom prаvu nа život dostojаn življenjа nisu iluzije, а dа njegovа neposrednа vlаst, vlаst njegove klаse nije utopijа. U tome leži аktuelnost i relevаntnost Oktobаrske revolucije, kojа će ostаti stаlni oslonаc čovečаnstvu sve dok postoji eksploаtаcijа tuđeg rаdа, potlаčeni i tlаčitelji, oni kojimа se vlаdа i oni koji njimа vlаdaju, dok god postoji eksploatаcijа jedne ili više držаvа nаd jednom ili više držаvа ili društаvа.


Iаko je ovo bilа nаjmirnijа revolucijа u istoriji čovečаnstvа, dаleko od togа dа je sve bilo idilično i ideаlno pre, tokom i po istorijskom momentu koji s prаvom možemo smаtrаti nаjkrupnijim dogаđаjem ne sаmo u burnom 20. veku punom gigаntskih iskorаkа i nаpredovаnjа (аli i nаzаdovаnjа) koje je ljudskа civilizаcijа ostvаrilа, već i mnogo više, jednim od nаjkrupnijih i nаjvаžnijih istorijskih dogаđаjа uopšte. Pucnjimа s krstаrice Aurorа koji su odjeknuli u 21:45 te večeri 25. oktobrа 1917. u Petrogrаdu, i time nаjаvili juriš nа Zimski dvorаc, prethodili su burni i mukotrpni procesi i dogаđаji, kаkvа je bilа i Februаrskа revolucijа u Rusiji koje se odigrаlа iste 1917. godine i kojom je fаktički ukinut cаrizаm koji se krvаvo obrаčunаvаo s borbom rаdnog nаrodа Rusije kojа je kontinuirаno trаjаlа, а još od 1903. godine pod vođstvom Boljševičke pаrtije Lenjinа. Nedugo po Februаrskoj revoluciji Vlаdimir Ilič Lenjin se vrаćа u zemlju iz izgnаnstvа, piše Aprilske teze kojimа zаhtevа predаvаnje „sve vlаsti sovjetimа“ i „zemlje seljаcimа“ čime trаsirа put dogаđаjimа koji više nisu mogli čekаti i nisu se smeli izbeći. Po Oktobаrskoj revoluciji u Rusiji otpočinje krvаvi Grаđаnski rаt u kom su snаge odаne stаrom režimu i predstаvnici eksploаtаtorske klаse Rusije u potpunosti i bogаto podržаni, opremаni i nа rаzne druge nаčine potpomognuti nаjvećim imperijаlističkim silаmа tog vremenа, poput SAD-а, Engleske, Frаncuske i Jаpаnа, а uz direktno učešće u vojnim operаcijаmа Nemаčke, Jаpаnа i još nekih držаvа, pokrenuli oružаnu pobunu protiv mlаde sovjetske vlаsti u kojoj su nа krаju bili pregаženi. Time su ujedno bili ostvаreni svi uslovi zа rаđаnje prve u istoriji držаve rаdnikа i seljаkа - Sаvezа Sovjetskih Socijаlističkih Republikа (SSSR), što će se nаpokon i desiti 1922. godine. Osnivаnje SSSR-а koji je bio motor progresа čovečаnstvа, bаstion neposrednih demokrаtskih društvenih odnosа, hleb hrаnitelj revolucijа i revolucionаrа čitаve plаnete, zemljа kojа je podnelа nаjveću žrtvu i odigrаlа ključnu ulogu u pobedi nаd fаšizmom u Drugom svetskom rаtu, istinski pomаgаč i zаštitnik potlаčenih nаrodа u borbi zа nаcionаlno i klаsno oslobođenje i emаncipаciju, prvа zemljа u kojoj su žene dobile prаvo glаsа i potpunu rodnu rаvnoprаvnost, prvа zemljа u kojoj je rаdnom nаrodu bilo zаkonom regulisаno i gаrаntovаno osmočаsovno rаdno vreme, nаjvećа nаučnа silа u kojoj su nаukа, obrаzovаnje i znаnje imаli kultni stаtus, u mnogim oblаstimа nаjjаčа industrijskа i ekonomskа silа svetа, i još mnogo, mnogo togа, jedаn je od nаjvаžnijih i nаjpotpunijih zаdаtаkа koje je ostvаrilа Velikа oktobаrskа socijаlističkа revolucijа.


Oktobаrskа revolucijа imа višestruk istorijski znаčаj i nikаko se ne može vezаti sаmo zа istoriju Rusije, već s prаvom kаžemo dа pripаdа proletаrijаtu čitаvog svetа. Onа je duboko uzdrmаlа čitаv kаpitаlistički poredаk koji se još tаd nаlаzio u svojoj poslednjoj fаzi – imperijаlizmu. Prаvа i zаhtevi rаdnikа, kаo i uopšte glаs progresivnih ljudi inspirisаnih osvаjаnjem vlаsti od strаne proletаrijаtа u tаdа zаostаloj Rusiji, odjekivаli su i u nаjrаzvijenijim kаpitаlističkim zemljаmа tog dobа. Prаvа kojа i dаnаs rаdnici uživаju u mnogim zemljаmа direktаn su plod ustupаkа koje je eksploаtаtorskа klаsа morаlа dа izvrši prisiljenа strаhom od širenjа proleterskih revolucijа širom svetа. Oktobаrskа revolucijа je do temeljа uzdrmаlа stаri svet koji se od tog šokа nikаdа više neće u celosti oporаviti. To je nаjočiglednije bilo u slučаju аnti-kolonijаlističkih pokretа koji su u istom trenutku buknuli inspirisаni i okurаženi Oktobrom u Rusiji, koji će od tаdа početi dа zаdаju smrtne udаrce kolonijаlizmu. Imperаtiv borbe zа mir i međunаrodnа solidаrnost među progresivnim ljudimа celog svetа dobijаju novi i nikаdа snаžniji vetаr u leđа. Oktobаrskа revolucijа je inspirisаlа mnoge nаučnike, umetnike, stvаraoce iz rаzličitih oblаsti koji su pod utiskom nove nаde koje je Oktobаr doneo čovečаnstvu stvаrаli аvаngаrdnа delа i dostignućа u oblаstimа svog rаdа.


Ipаk glаvnа tekovinа Crvenog oktobrа nа međunаrodnom plаnu je reаlizаcijа istorijskih ciljevа rаdničke klаse, koji ostаju neispunjeni tokom borbe Prve i Druge internаcionаle, herojske Pаriske komune i drugih pokušаjа orgаnizovаne borbe rаdnog nаrodа koji nisu do krаjа reаlizovаli ciljeve koje su nаjpreciznije Mаrks i Engels zаcrtаli u Komunističkom mаnifestu. Trećа, komunističkа internаcionаlа, nаpokon mаterijаlizuje „bаuk komunizmа koji kruži Evropom i svetom“. Neposredno po izbijаnju Oktobаrske revolucije nаstаju komunističke pаrtije širom svetа. Jаčа međunаrodnа solidаrnost proleterа svih zemаljа među kojimа se ostvаruje do tаdа neviđeno jedinstvo formаlizovаno u vidu Treće internаcionаle kojа je plod reаkcije nа izdаju interesа proletаrijаtа od strаne Druge internаcionаle čiji su istаknuti borci i pаrtije mаhom potonuli u socijаl-šovinizmu, аli i još više kаo plod reаkcije nа dominаciju kаpitаlizmа i krupnog kаpitаlа koji je prevаzišаo nаcionаlne grаnice i okvire i postаo internаcionаlni. Uspesi Crvenog oktobrа snаžno su odjeknuli i među nаrodimа Bаlkаnа i rаdnim nаrodom nаše zemlje kojа se nаlаzilа u dubokoj zаostаlosti. Vrlo brzo, već u аprilu 1919. godine u Beogrаdu je održаn kongres ujedinjenjа socijаldemokrаtskih pаrtijа s prostorа Krаljevine Jugoslаvije i osnovаnа je Socijаlističkа rаdničkа pаrtijа Jugoslаvije (komunistа) – SRPJ(k), kojа će nа svom Drugom kongresu iduće 1920. godine promeniti ime u Komunističkа pаrtijа Jugoslаvije. Odmаh po ujedinjenju, t.j. osnivаnju pаrtije donetа je odlukа dа se pristupi Trećoj internаcionаli čime je jаsno formаlizovаnа orijentаcijа kа Crvenom oktobru što je podrаzumevаlo zаhteve zа revolucionаrnom trаnsformаcijom društvenog uređenjа u nаšoj zemlji, t.j. uvođenje diktаture proletаrijаtа, nаj demokrаtskijeg vidа društvenog ustrojstvа, vlаdаvine rаdnih ljudi, ogromne većine u društvu.


Sećаnje nа Oktobаrsku revoluciju dаnаs ne bi trebаlo dа budi setne emocije i nostаlgiju. Aktuelnost Oktobrа je očiglednijа i verovаtno vаžnijа nego pre pobede kontrаrevolucije kojа se dogodilа u nаšoj zemlji. Kontrаrevolucijom otpočinje totаlno posrnuće nаšeg društvа u svim oblаstimа životа, što je rezultаt uvođenja retrogrаdnog, vаrvаrskog kаpitаlističkog sistemа, koji je uzrokovаo krаjnju bedu i siromаštvo zа ogromnu većinu stаnovnikа. Podsetimo sаmo dа su se prvi dekreti usvojeni neposredno po Oktobаrskoj revoluciji odnosili nа konfiskаciju rаčunа privаtnih bаnаkа, nаcionаlizаciju svih bаnаkа, otpis strаnog dugа, prepuštаnje uprаvljаnjа fаbrikаmа rаdničkim sovjetimа, fаktički sаmim rаdnicimа, znаčаjno podizаnje nаdnicа i uvođenje osmočаsovnog rаdnog vremenа pet dаnа u nedelji, dodele zemlje seljаcimа, ogromne crkvene imovine i bogаtstvа nаrodu... Zаr ovi zаhtevi ne zvuče аktuelno i kаo jedino moguće rešenje i nužnost zа izlаz iz bede u kojoj se mi nаlаzimo dаnаs? Povаmpireni kаpitаlizаm je pored svih strаhotа i strаdаnjа koje je doneo nаrodu strаhotа sаm po sebi i sаm zа sebe. To je sistem večite krize i smene krizа. Sаdаšnjа krizа je sаmo jednа u nizu krizа sistemа kojа pokаzuje jаsno dа nigde gde vlаdа kаpitаlističko vаrvаrstvo nemа boljitkа, nemа lepših vremenа nа vidiku, nemа jаsnog rešenjа i idejа koje će u okviru kаpitаlističkog sistemа i svih njegovih vаrijаtetа, аnаhronih ili super postmodernih ostаvariti bolje uslove životа grаđаnimа. Ni Oktobаrsku revoluciju, ni nаšu revoluciju koju je izneo nа svojim plećimа rаdni nаrod tokom Drugog svetskog rаtа, niti neku novu revoluciju, pored orgаnizovаne i disciplinovаne komunističke pаrtije, nije porodilo ništа drugo do protivrečnosti koje su se već nаlаzile u sаmom kаpitаlističkom sistemu. Krizа kаpitаlizmа je otud i svetionik koji bаcа svetlost kа novim rešenjimа zа mučnu sаdаšnjicu i besperspektivnost. Pretvorimo besperspektivnost koje je nаrodu doneo sistem u besperspektivnost ceo sistem! Pretvorimo skoncentrisаnа i centrаlizovаnа sredstvа zа proizvodnju kojа se nаlаze u rukаmа privаtnih vlаsnikа u socijаlizovаnu plаnsku proizvodnju ostvаrenjem socijаlističke vlаsti kojа rаdi u isključivom interesu proizvođаčа društvenog blаgа – rаdnog nаrodа.


Zа tаj cilj je neophodno boriti se, bаš kаo što su to činili Lenjin i boljševici 1917. godine pored svih mukа, progаnjаnjа i zаtvаrаnjа. Moć dobro orgаnizovаnog i borbenog rаdnog nаrodа, koji veruje u sebe zаhvаljujući vlаstitoj klаsnoj, kojа će ujedno postаti i revolucionаrnа osvešćenost, je jаčа od svаke krize, bede i tlаčenjа. Svаko od nаs može i morа dа učini po nešto kаko bismo dočekаli novi Oktobаr, Socijаlistički oktobаr. Jedino socijаlizаm koji je zаsnovаn nа naučnom socijаlizmu, mаrksizmu-lenjinizmu, može ostvаriti uslove zа društveni rаzvitаk koji je u interesu rаdnih ljudi. Sаmo komunisti koji su jezgro revolucionаrnog proletаrijаtа i komunističke pаrtije mogu ostvаriti ove ciljeve usled nаučnog kаrаkterа i shvаtаnjа zаkonitosti društvenih procesа koji jаsno pokаzuju dа nemа progresа, nemа budućnosti u kojoj imа eksploаtаcije i bede. Bedа i progres nikаdа nisu išli rаme uz rаme, а nemа izlаskа iz bede dok god je eksploаtаcije ogromne društvene mаnjine nаd ogromnom društvenom većinom. Čovečаnstvo zаslužuje i zrelo je zа novi Oktobаr. Rаdničkа klаsа, posebno mlаdi ljudi zаslužuju budućnost kаkve se kаpitаlisti/imperijаlisti nаjviše plаše – socijаlističku/komunističku budućnost. Preduslov zа nju je novi Crveni oktobаr zа koji se borbа nаstаvljа. Zаto drugаrice i drugovi nаpred, zа novi Oktobаr, zа nove pobede!


Nekа je večnа slаvа Velikoj oktobаrskoj socijаlističkoj revoluciji!


Dа živi borbа rаdnog nаrodа koji će trijumfovаti i u XXI veku kаo što je i u Oktobru sedаmnаeste!


Zа budućnost socijаlizmа/komunizmа!



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Le nostre congratulazioni al compagno Vlado per il nuovo incarico!
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus



SAOPĆENJE ZA JAVNOST


U subotu 15. prosinca 2012. godine u Zagrebu, održana je Izborno – izvještajna Skupština Socijalističke radničke partije Hrvatske ( SRP ) na kojoj su izabrana nova tijela partije i donesene smjernice za rad u narednom mandatnom razdoblju.
Za novog predsjednika SRP-a izabran je dipl. ing,Vladimir Kapuralin iz Pule, za zamjenika Vlado Bušić iz Požege i za političkog tajnika Franjo Golenko iz Samobora.
Kao što stoji u smjernicama, SRP pun smisao svoga djelovanja vidi u eksplicitnoj borbi protiv kapitalizma a za socijalizam 21. stoljeća i profilira se kao partija komunista i svih istinskih boraca za socijalizam, što će sve biti potvrđeno u izmjenama i dopunama Programa i Statuta SRP-a u proljeće 2013. godine.

U Zagrebu 17. prosinac 2013. godine
Dosadašnji predsjednik SRP-a
Ivan Plješa v.r.


Upućeno:
- HINA,
- Jutarnji list
- Večernji list
- Novi List
- Slobodna Dalmacija
- Novosti
- Glas Istre
- portali



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Da:  Curzio Bettio <chinino.curzio  @  gmail.com>

Oggetto:  Il senso della vittoria sovietica a Stalingrado 2 febbraio 1943 

Data:  29 gennaio 2013 15.41.02 GMT+01.00


... In questo periodo della "memoria", i Francesi si ricordano di commemorare il 2 febbraio 1943, anniversario della vittoria sovietica a Stalingrado. Allego documentazione in merito.
In questo giorno, le nostre autorità si ricorderanno dei milioni di morti dell'Unione Sovietica che hanno dato la loro vita per abbattere la Bestia del fascismo e del nazismo?
Ne dubito, perché i morti di un paese socialista e le morti di tanti partigiani comunisti non meritano onore, visto che con tanta ignominia attualmente si mettono sullo stesso piano le vittime del fascismo e coloro che sono stati i loro boia. Tanto per la "par condicio", tanto di moda: così deve funzionare la vera democrazia! ...


70Anniversario della vittoria sovietica di Stalingrado, 2 febbraio 1943

Il significato della vittoria sovietica di Stalingrado


di Annie Lacroix-Riz, professore emerito, Università Parigi 7

da: “Histoire” histoire@...

www.historiographie.info


23 gennaio 2013


Documento diffuso da Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia

jugocoord@...

https://www.cnj.it/


(Traduzione ed elaborazione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)


Cari amici,

L’importanza storica e civile della battaglia e della vittoria sovietica a Stalingrado mi induce ad invitarvi

  1. alla partecipazione alla cerimonia organizzata per sabato 2 febbraio nei pressi della stazione metropolitana Stalingrado di Parigi: vedi invito allegato.

  2. alla riflessione sul significato di Stalingrado, che ho analizzato in un mio documento scritto per la rivista “La nouvelle presse”, anche questo in allegato.

Colgo l’occasione per annunciare la prossima pubblicazione di un eccellente libro di Geoffrey Roberts , di cui sollecito la traduzione (vedere l’articolo “Geoffrey Roberts, Stalin’s Wars, From World War to Cold War, 1939-1953 – le guerre di Stalin, dalla guerra mondiale alla guerra fredda1939-1953: un caso editoriale” 2007, sul sito www.historiographie.info), presso le edizioni Delga (io scriverò la prefazione).

Questa opera figura nella breve bibliografia che propongo in nota al documento che segue, congiuntamente ad un altro lavoro di Roberts, “Stalin’s general: the life of Georgy Zhukov – Il generale di Stalin: la vita di Georgy Zhukov”. Londra, Icon Books, 2012.

Cari saluti, e i migliori auguri per il 2013.

Annie Lacroix-Riz



  1. Onore e gratitudine eterna dal popolo francese agli eroici combattenti di Stalingrado

Il generale de Gaulle e i Francesi hanno riconosciuto il ruolo fondamentale dell’Unione Sovietica nella vittoria sull’hitlerismo.

Laddove, dalla scuola ai mezzi di comunicazione, per non parlare delle dichiarazioni del “Parlamento europeo”, la propaganda attuale non perde occasione di amalgamare l’Unione Sovietica al Terzo Reich, i veri democratici serbano nel loro cuore i combattenti di Stalingrado, Kursk e Leningrado, che, a costo di sacrifici inauditi, hanno stroncato la macchina da guerra nazista e hanno permesso la controffensiva generale dell’Armata Rossa e la presa di Berlino, mentre in Occidente finalmente si apriva il secondo fronte contro la Bestia immonda hitleriana.

Durante la Seconda guerra mondiale, l’imperativo della Storia ha condotto alla “bella e buona alleanza” tra l’URSS e la Francia combattente, basata sulla cooperazione tra popoli liberi, uguali e fraterni, cooperazione sempre di attualità a livello europeo e mondiale.

Il generale de Gaulle ne dava illustrazione al suo arrivo a Mosca, il 20 giugno 1966, in risposta al presidente Podgorny, ed evocava la grande Russia che aveva visto nel 1944: “ tutta protesa nello spirito guerriero che aveva garantito la sua vittoria e, in una misura determinante anche quella della Francia e dei suoi alleati”, quindi al ricevimento al Cremlino, sottolineando il sentimento di solidarietà e di gratitudine dei Francesi, egli ritornava sul “ruolo capitale svolto dall’Unione Sovietica, decisivo per la vittoria”, che, ribadiva il 30 giugno, aveva permesso all’URSS di adire “ai più alti livelli di potenza e di gloria”.

In questa occasione veniva sottoscritta una dichiarazione bilaterale che forniva un notevole impulso ad una cooperazione multiforme.


Qualunque cosa si pensi dell’URSS e della sua storia – e dal nostro punto di vista si impone la raccomandazione di escludere nei numerosi dibattiti ogni forma di intolleranza e di ridicolizzazione - nessuno può negare che la battaglia di Stalingrado si inquadri nella Storia allo stesso livello di quella di Maratona, dove le giovani democrazie greche hanno bloccato l’Impero persiano, o di quella di Valmy, dove l’esercito popolare della Rivoluzione francese respingeva gli invasori dell’Europa contro-rivoluzionaria.

Il 2 febbraio 2008, a Parigi, abbiamo commemorato il 65° anniversario della vittoria di Stalingrado, quando il vertice dell’ignominia veniva raggiunto dai governi filo-fascisti dei Paesi Baltici che, sotto l’egida dell’Unione europea, innalzavano monumenti alla gloria delle SS.

La nostra solidarietà andava alla risposta potente e legittima che si è manifestata in Russia e nei paesi della Comunità degli Stati Indipendenti nel difendere l’onore e l’eroismo dei combattenti che hanno sacrificato la loro vita per la libertà.


Nel momento in cui l’Unione europea, arrogantemente pilotata da Berlino, schiaccia i popoli, la loro sovranità nazionale e le loro conquiste sociali, nel momento in cui i dirigenti del sindacato padronale francese Medef esigono pubblicamente un “cambio di direzione” per liquidare meglio le conquiste nello stato sociale, nel momento in cui i popoli si contrappongono sempre più alle guerre imperialiste e contro la dittatura dei mercati finanziari e del loro braccio armato, la NATO, che minaccia la Russia e gli Stati della Federazione russa CSI con la messa in campo di un sistema missilistico degli Stati Uniti, nel momento in cui la criminalizzazione del comunismo nell’Europa dell’Est solleva una caccia alle streghe liberticida e prepara la vendetta postuma del fascismo,

i firmatari di questo appello, rappresentanti di sensibilità politiche distinte, esortano il popolo di Francia:


a proseguire la lotta degli eroi di Stalingrado e della Resistenza antifascista e patriottica nella difesa dell’indipendenza nazionale, della democrazia e delle conquiste sociali, per impedire ad un nuovo Reich euro-atlantico di distruggere le libertà e di assumere l’eredità di Hitler sotto le vesti straccione di una pseudo democrazia;


a combattere tutte le forme di razzismo e xenofobia di Stato;


a condannare l’anticomunismo, a non farsi confondere dalle argomentazioni contraddittorie e capziose sui risultati del primo esperimento socialista nella storia, prima di tutto utilizzate come arma ideologica dall’oligarchia capitalista per eliminare l’insieme delle conquiste democratiche del nostro popolo e di tutti i popoli;


ad esigere che il servizio pubblico radio-televisivo francese dedichi trasmissioni e programmi sull’Armata Rossa e sull’anno 1943 splendido delle sue vittorie a Stalingrado, Kursk, al lancio dell’offensiva finale su Berlino, alla cooperazione del generale de Gaulle con l’URSS con la più preziosa delle sue manifestazioni, la formazione del reggimento Normandie-Niemen (*), e alla partecipazione sovietica alla lotta partigiana guidata dal minatore ucraino Vasil Porik (**), dal 1942 al 1944, nelle miniere e nei quartieri operai del Nord-Pas-de-Calais , lotte che hanno visto il loro inizio con il Grande Sciopero Patriottico del maggio-giugno 1941.

Nel rispetto delle loro convinzioni, le personalità firmatarie lanciano la manifestazione del 2 febbraio 2013, Piazza della Battaglia di Stalingrado, a Parigi.

Si tratta di un’esigenza proiettata verso il futuro quella di celebrare il 70° anniversario della vittoria di Stalingrado, nell’unione di tutte le forze patriottiche, repubblicane ed antifasciste, per esprimere gratitudine eterna ai combattenti dell’Armata Rossa in questa città martire in cui si è giocato il destino dell’umanità.

Per moltiplicare le iniziative su questo tema in altre località, nella settimana che precede questo anniversario, i firmatari della presente dichiarazione lanciano un appello ai lavoratori, alle donne e agli uomini, ai giovani difensori della pace, del progresso e dell’indipendenza nazionale, a tutti coloro che sono risoluti a contribuire alla sconfitta del fascismo, del razzismo, della xenofobia di Stato e dell’imperialismo, di mobilitarsi perché questo appello echeggi alto nella capitale della Francia, e abbia la massima risonanza il Raduno nazionale con la presenza di delegazioni estere, che avverrà sabato, 2 febbraio 2013, alle ore 15 presso Piazza della Battaglia di Stalingrado (stazione métro Stalingrad), con dichiarazioni e deposizione di fiori al monumento degli eroi di Stalingrado.


Coordinatore : Pierre Pranchère, ex partigiano resistente, deputato ad honorem, 2 Puy Salmont 19800 Saint-Priest-de-Gimel, e-mail: Pierre.pranchere@... – tel : 05 55 21 35 55

Per dare la vostra adesione, sottoscrivete a Jany Sanfelieu (jany.sanfelieu@...), indicando: nome – cognome / condizione sociale / indirizzo/ e-mail – tel.


[Note del traduttore:

(*)

Lo Yakovlev Yak-9 era un caccia monomotore ad ala bassa progettato e sviluppato in Unione Sovietica negli anni quaranta. Impiegato dall’Aeronautica militare dell’Unione Sovietica, venne utilizzato in azioni belliche nella Seconda guerra mondiale, a partire dalla seconda metà del 1943.

I piloti che lo pilotarono considerarono le sue prestazioni al livello di quelle del Messerschmitt Bf 109G e del Focke-Wulf Fw 190A-3/A-4, da poco introdotti sul fronte orientale.

Fu il caccia sovietico costruito in maggior quantità nella storia. Ne vennero prodotti 16 769 esemplari (14 579 durante la guerra).

Restò in produzione dal 1942 al 1948. Era in grado di superare in combattimento il Messerschmitt Bf 109G, con il quale si scontrò nei cieli di Stalingrado e di fronteggiare ad armi pari i Focke-Wulf Fw 190 dei modelli più recenti.

Fu anche il primo aereo sovietico a riportare una vittoria contro gli aerei a reazione Messerschmitt Me 262.

I primi Yak-9 entrarono in azione nella Battaglia di Stalingrado, nell’ottobre del 1942, dando subito filo da torcere ai caccia tedeschi. In seguito i caccia sovietici, spesso chiamati gli “Spitfire sovietici” per il loro tipo di motore raffreddato a liquido e le eccellenti prestazioni a quote medio-basse, si fecero valere sempre di più, ottenendo una complessiva superiorità aerea negli ultimi due anni della guerra.

Il loro ruolo comprendeva anche l’attacco anticarro, il bombardamento tattico, la scorta strategica e tattica ai bombardieri. Nell’ultimo anno di guerra entrò in linea lo Yak-9U, capace, sotto i 7 000 metri, di surclassare qualunque caccia tedesco.

Il reggimento Normandie-Niemenformato da volontari francesi che combatterono nel fronte russo, ottenne con tutti i tipi di caccia Yakovlev, ma soprattutto con gli Yak-9, 273 vittorie aeree (un risultato impressionante per un singolo gruppo che equivalse le gesta delle “Tigri volanti” in Cina).


(**)

Porik, Vasilii Vasil’evich

Nato il 17 febbraio 1920, nel villaggio di Solomirke, ora villaggio di Porik, Khmel’nik Raion, Vinnitsa Oblast, è morto fucilato il 22 luglio 1944, ad Arras, ed è sepolto nella città di Hénin-Lietard, Francia.

Membro del Partito comunista e tenente nell’esercito sovietico (1941), partecipa attivamente al movimento di resistenza in Francia nella Seconda guerra mondiale. Eroe dell’Unione Sovietica.

Nel luglio del 1941 la sua unità di fanteria veniva circondata da truppe germaniche, e Porik, fatto prigioniero, veniva inviato a lavorare nelle miniere di carbone in Francia.

Dopo la fuga dal campo di concentramento di Beaumont, organizzava una formazione partigiana, che dal luglio 1943 combatteva contro le forze di occupazione fasciste nel nord della Francia.

Nel 1944, Porik divenne membro del Comitato Centrale dei prigionieri sovietici.

Ferito in combattimento, venne catturato e incarcerato nella città di Arras nella prigione di San Nicasio, dalla quale evadeva con una rocambolesca fuga, per poi continuare la lotta partigiana con altri prigionieri sovietici. Porik divenne vittima di un’imboscata da parte delle SS; resistette alle torture non denunciando i suoi compagni di lotta, e, a soli 24 anni, venne fucilato.]




b) Il significato della vittoria sovietica di Stalingrado

di Annie Lacroix-Riz, professore emerito, Università Parigi 7


La capitolazione dell’esercito di von Paulus a Stalingrado, il 2 febbraio 1943, per l’opinione pubblica mondiale segnava una svolta militare decisiva, comunque conseguenza di eventi precedenti. Questa vittoria trova la sua origine nella preparazione dell’URSS ad affrontare la guerra scatenata dalla Germania giudicata come inevitabile: l’ultimo addetto militare francese nell’URSS, il generale Palasse stimava i preparativi dei Sovietici nel loro giusto valore.

Contro il suo ministero (della Guerra), ostinato nello sbarrare la strada ad una alleanza franco-sovietica e ad una triplice alleanza (Mosca, Parigi, Londra), che avrebbero costretto il Reich ad una guerra su due fronti, questo attento osservatore dell’economia di guerra sovietica, dell’Armata Rossa e dello stato d’animo della popolazione, affermava nel 1938 che l’Unione Sovietica, dotata di una “incrollabile fiducia nella sua forza difensiva” avrebbe inflitto una severa sconfitta a qualsiasi aggressore.

Le battute d’arresto giapponesi durante gli scontri al confine URSS-Cina-Corea nel 1938-1939 (nei quali il generale Žukov si metteva già in evidenza) confermarono Palasse nella sua opinione: così si spiegava perché Tokyo prudentemente firmasse a Mosca, il 13 aprile 1941, un “patto di neutralità” che risparmiava all’URSS di impegnarsi in un conflitto su due fronti.


[N.d.tr.: Nel 1938 Žukov fu spedito in Estremo Oriente, al comando del Primo Gruppo d’Armate Sovietiche in Mongolia per organizzare e comandare la guerra di frontiera contro i Giapponesi, impegnati nella zona con l’Armata Kwantung.

Dopo un periodo di scontri di frontiera combattuti senza che venisse dichiarata la guerra, le scaramucce si estesero in un conflitto vero e proprio, con l’impiego da parte dei Giapponesi di circa 80.000 uomini, 180 carri armati e 450 aerei.

Punto di svolta del conflitto fu la Battaglia di Khalkhin Gol.

Žukov, dopo aver ottenuto rinforzi, il 15 agosto 1939 passò all’offensiva, ordinando quello che a prima vista sembrò un convenzionale attacco frontale. Invece di lanciare tutte le sue forze all’assalto, tenne di riserva due brigate di carri armati, che successivamente riuscirono ad accerchiare le forze nemiche avanzando ai lati dello scontro principale. L’intera Sesta Armata giapponese, circondata e senza più rifornimenti, catturati anch’essi dalle forze corazzate sovietiche, si vide costretta ad arrendersi dopo pochi giorni.

Per questa operazione Žukov ottenne il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica.

Questa battaglia rimase poco conosciuta al di fuori dell’Unione Sovietica, visto che il 1 settembre seguente iniziava in Europa la Seconda guerra mondiale. Anche l’uso innovativo dei carri armati non venne studiato in Occidente, lasciando il campo libero alla “Guerra Lampo” tedesca, utilizzata con il massimo dell’effetto sorpresa contro Polonia e Francia.]


Dopo l’attacco tedesco del 22 giugno 1941, il primo punto di svolta militare della guerra fu la fine immediata della Blitzkrieg (Guerra Lampo).

Il generale Paul Doyen, delegato di Vichy presso la Commissione di armistizio, illustrava questa situazione anche al maresciallo Pétain, il 16 luglio 1941: “Se il Terzo Reich sta conseguendo in Russia un certo successo strategico, tuttavia la piega presa dalle operazioni non corrisponde all’idea che si erano fatta i dirigenti di questa strategia. Costoro non si aspettavano una resistenza tanto accanita da parte del soldato russo, un fanatismo pieno di passione della popolazione, una guerriglia nelle retrovie così sfibrante, le gravissime perdite, la terra bruciata più completa davanti all’invasore, e le notevoli difficoltà di approvvigionamento di vettovaglie e nelle comunicazioni. Senza prendersi pensiero per i raccolti e il cibo di domani, i Russi incendiano le loro coltivazioni con i lanciafiamme, fanno saltare in aria i loro villaggi, distruggono il materiale rotabile, sabotano le loro strutture industriali.”

Questo generale del regime di Vichy valutava la guerra germanica così seriamente compromessa da raccomandare quel giorno la transizione della Francia dal “protettore” tedesco (ancora ritenuto necessario) al protettore americano, e a questo riguardo scriveva: “qualunque cosa accada, il mondo nei prossimi decenni si sottometterà alla volontà degli Stati Uniti.”

Il Vaticano, la migliore agenzia di spionaggio del mondo, all’inizio di settembre 1941 si allarmava per le difficoltà “dei Germanici” e delle conseguenze per cui “ Stalin verrebbe chiamato per organizzare la pace in concerto con Churchill e Roosevelt.”


La seconda svolta militare della guerra avvenne con l’arresto della Wehrmacht davanti a Mosca, nel novembre-dicembre 1941, che consacrava la capacità politica e militare dell’URSS, simboleggiata da Stalin e Zhukov.

Gli Stati Uniti non erano ancora ufficialmente entrati in guerra. Il Reich, nella sua corsa travolgente verso l’Est europeo, conduceva contro l’Unione Sovietica una guerra criminale di sterminio, ma l’Armata Rossa si dimostrava in grado di far fallire le offensive della Wehrmacht, in particolare quelle dell’estate del 1942 che avevano come obiettivo  la conquista del petrolio caucasico.

Gli storici militari seri, soprattutto anglo-americani, mai tradotti e quindi ignorati in Francia, attualmente stanno lavorando più che mai su ciò che ha portato alla vittoria sovietica, alla fine dello scontro iniziato nel luglio 1942 “tra due eserciti di più di un milione di uomini.”

Contro la Wehrmacht, l’Armata Rossa ha vinto questa “battaglia accanita”, seguita momento per momento dai popoli dell’Europa occupata e del mondo, che “ha superato in violenza tutti gli scontri della Prima guerra mondiale, casa per casa, nei borghi, negli scantinati, fra le rovine”.

Questa vittoria, ha scritto lo storico britannico John Erickson, “ha posizionato l’URSS fra le potenze mondiali”, come “la vittoria di Poltava nel 1709 [contro la Svezia] aveva trasformato la Russia in una potenza europea.”


La vittoria sovietica a Stalingrado, terza svolta militare sovietica, veniva sentita dai popoli come il cambio di direzione della guerra, in modo tanto palese che la propaganda nazista non riusciva più a nascondere.

L’avvenimento imponeva direttamente soprattutto la questione del dopoguerra, che gli Stati Uniti arricchiti dal conflitto già predisponevano contro l’URSS, le cui perdite furono enormi, fino all’8 maggio 1945.

Le statistiche generali sui morti della Seconda guerra mondiale dimostrano il contributo dell’Unione Sovietica allo sforzo militare globale e le sue immense sofferenze patite a causa di questa guerra di logoramento: dai 26 ai 28 milioni di morti Sovietici, più della metà civili,(le cifre non cessano di essere rivalutate) sui circa 50 milioni di caduti complessivi.

Ci sono stati meno di 300.000 morti Statunitensi, tutti militari, sui fronti giapponesi ed europei.

Non è fare insulto alla storia sottolineare che gli Stati Uniti, ricchi e potenti, gestori incontrastati del dopoguerra, hanno potuto sconfiggere la Germania e conquistare la pace solo perché l’URSS aveva inflitto una sconfitta travolgente alla Wehrmacht.

Non è stato il “Generale Inverno” che ha sconfitto l’esercito della Germania, inverno che non aveva impedito al Reichswehr nel 1917-1918 di riuscire vittorioso nell’Est europeo.


La Francia ha confermato la sua russofobia, ossessiva dal 1917, ( che le è valsa fra l’altro la disfatta del maggio-giugno 1940), omettendo di onorare la Russia in occasione del 60° anniversario dello sbarco in Normandia del 6 giugno 1944.

Il tema del salvataggio dell’“Europa” unicamente da parte degli Stati Uniti si è imposto nel corso degli anni di celebrazioni dedicate allo sbarco.

I più vecchi fra di noi sanno, anche quando non sono storici, che Stalingrado ha fornito ai popoli la speranza di sfuggire alla barbarie nazista.

A partire da questa vittoria, “la speranza ha cambiato di campo, la battaglia ha ripreso coraggio”.

È solo a causa dell’ossessivo martellamento ideologico, che le generazioni più giovani ignorano tutto ciò.


Bibliografia :

John Erickson, 2 vol., The Road to Stalingrad: Stalin’s War with Germany; The Road to Berlin: Stalin’ War with Germany – La marcia verso Stalingrado: la guerra di Stalin contro la GermaniaLa marcia verso Berlino: la guerra di Stalin contro la Germania; prima edizione 1983, Londra; ristampa, New Haven & London, Yale University Press, 1999.

Geoffrey Roberts, Stalin’s Wars: From World War to Cold War, 1939-1953. – Le guerre di Stalin: dalla guerra mondiale alla guerra fredda, 1939-1953; New Haven & London,Yale University Press, 2006;

Stalin’s general: the life of Georgy Zhukov – Il generale di Stalin: la vita di Georgy Zhukov , London, Icon Books, 2012

David Glantz e Jonathan M. House, Armageddon in Stalingrad: September-November 1942 (The Stalingrad Trilogy, vol. 2, Modern War Studies, Lawrence, Kansas, University Press of Kansas, 2009.

Alexander Werth, La Russie en guerre, Paris, Stock, 1964.  



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http://www.lsmetropolis.org/2013/01/a-margine-giorno-memoria/

Nella Giornata delle Memoria si ricordano i campi di sterminio organizzati dai Tedeschi, è utile ricordare anche quelli gestiti dai loro alleati.

Il 6 aprile del 1941 l’aviazione tedesca bombarda Belgrado: invadono la Jugoslavia le truppe Tedesche, Italiane, Bulgare, Ungheresi. La Croazia è in parte occupata dall’esercito italiano, in parte è stato indipendente, retto dagli Ustaša. I crimini degli Ustaša, i fascisti croati, furono tali da far inorridire perfino alcuni generali tedeschi. In particolare nel campo di Jasenovac, morirono 700000 persone, tra cui Ebrei, Serbi, partigiani catturati, comunisti e in generale oppositori del regime. Nel campo le persone venivano spesso torturate nei modi più abbietti, prima di venire assassinate.
Nel campo di Jasenovac finirono anche i Rom jugoslavi.
E’ solo da pochi anni che si ricorda nella giornata della Memoria, oltre alla Shoà anche il Porrajmos, il “divoramento” in lingua Romanì. Per troppi anni il genocidio dei Rom è stato tenuto in sordina. Eppure l’organizzazione dello sterminio nei campi nazifascisti nella II Guerra Mondiale, affonda le radici nella pratica di controllo dei Rom nei Zigeuner Lager, dove nei primi decenni del Novecento, essi venivano rinchiusi, per essere analizzati, studiati, isolati. Con le dovute differenze, in Italia i campi nomadi appartengono allo stesso modello segregativo Dopo la II Guerra mondiale, i capi Ustaša riuscirono in parte a scappare in America Latina, dopo essersi nascosti in Austria e Italia, spesso nei conventi con l’aiuto essenziale del Vaticano e di settori della Democrazia Cristiana.
Gli Italiani, alleati degli Ustaša, a loro volta compirono efferatezze nei territori da loro occupati, in particolare in Dalmazia, in Lika (la regione della Croazia popolata da Serbi), e nel Montenegro. Interi villaggi furono rasi al suolo in Lika, tutto ciò che serviva ai contadini per sopravvivere veniva requisito, si ricordano episodi in cui i contadini erano inviatati a condurre il bestiame ai comandi dell’esercito occupante e poi, una volta requisito il bestiame, venivano consegnati agli Ustaša con l’accusa di essere partigiani, e i poveretti venivano liquidati.
La Dalmazia è piena di lapidi di partigiani e civili fucilati dal Regio esercito o dalle camicie nere. Numerosi furono i campi per civili jugoslavi gestiti dagli Italiani: non si trattava di campi di sterminio, ma la gente moriva lo stesso. Vorrei solo ricordare il famigerato campo di Rab (Arbe) isola della Dalmazia, in cui morirono di stenti nella sporcizia, nel freddo e nella fame bambini, donne e uomini, rinchiusi per svariati motivi. Molti campi di prigionia meno noti ma altrettanto terribili si trovavano in Italia e in Albania, in cui morirono migliaia di donne e uomini di ogni regione della Jugoslavia.
Del resto anche in Grecia l’occupazione italiana portò alla morte di 300000 persone per fame.
E’ utile ricordare come la Jugoslavia chiese la consegna di numerosissimi criminali di guerra italiani, ma non ottenne neppure il famigerato Mario Roatta (a tale proposito è utile la visione del film della BBC Fascist Legacy).
Fra poco in Italia verrà celebrata un’altra giornata, quella del “ricordo”, il 10 febbraio: questa volta non si tratta di una cosa seria, ma di una farsa. Infatti nel dopoguerra ci fu una profonda riflessione in Germania a vari livelli su quanto era successo, mentre in Italia ciò non avvenne, anzi fu proposto il mito “Italiani brava gente”.
Invece di ricordare i propri crimini, gli Italiani li rimuovono e addirittura si sentono le vittime di persecuzioni e di pulizia etnica: si tratta di una losca manovra, oltre che dal punto di vista storico e politico anche da quello etico e psichiatrico e spiace che responsabili siano non solo i soliti eredi dei fascisti, ma anche forze della “sinistra”.
Un’altra operazione vergognosa è l’utilizzo della memoria dell’Olocausto per la propaganda di guerra.
E’ già sorprendente è che a celebrare il giorno della Memoria siano anche coloro che si adoperano attualmente nella persecuzione dei Rom, degli extracomunitari e dell’organizzazione delle guerre contro i paesi scomodi, per riportarli nel cortile dello zio Sam e dei suoi alleati europei. Dalla prima guerra all’Iraq, passando per la Jugoslavia fino alla recente aggressione alla Libia, ai tentativi di distruggere lo stato siriano e all’intervento in Mali, le forze occidentali aggrediscono stati sovrani, o intervengono a favore di uno schieramento interno contro l’altro. Il fatto stesso che le forze occidentali siano incommensurabilmente superiori a quelle del cosiddetto nemico, il bombardamento sulle infrastrutture industriali e civili e l’embargo sono strumenti di sterminio, l’uso di uranio impoverito in Jugoslavia o la strage di Falluja sono esempi particolarmente significativi.
Ma è interessante notare che quando uno stato scomodo viene aggredito, in genere parte una campagna mediatica, in cui lo stato da aggredire viene equiparato alla Germania nazista, il capo di stato del Paese a un novello Hitler: ciò è avvenuto principalmente nella preparazione mediatica della guerra all’Iraq e alla Jugoslavia: nel secondo caso, in particolare, come a suo tempo fece notare Angelo d’Orsi, nella vulgata mediatica, i Serbi venivano paragonati ai nazisti e gli Albanesi agli Ebrei perseguitati.
La strategia mediatica si va modificando: dopo l’11 settembre il modello è stato la “lotta al terrorismo”, ed .attualmente è alla ricerca di nuove strade che possano ancora una volta ingannare l’opinione pubblica.

Torino 28 Gennaio 2013
Tamara Bellone

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Albania: la rinascita nazionalista



Per la prima volta nella storia recente dell'Albania il nazionalismo estremo ha una sua rappresentanza politica: l'Alleanza Rossonera. Un'intervista all'antropologa Armanda Kodra
Armanda Kodra, antropologa di Tirana, si occupa di balcanologia comparata, storia urbana e rapporti interetnici nei Balcani. Ha svolto una ricerca sull'eredità dei bazar ottomani e ha lavorato per diversi anni presso l'Istituto albanese di studi antropologici. Attualmente è ricercatrice presso la School of Slavonic and East European Studies di Londra, dove ha vinto la borsa Alexander Nash in Albanian Studies. Sta svolgendo una ricerca sulle ragioni che hanno portato all'aumento del nazionalismo albanese nei Balcani e sugli scambi transfrontalieri con particolar enfasi sul recente fenomeno dei matrimoni misti serbo-albanesi.

Il nazionalismo è sempre più presente nel discorso pubblico in Albania. E’ una novità?
Il nazionalismo nel discorso pubblico albanese non ha mai smesso di esistere, ma si è intensificato in particolar modo dopo la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo. Negli ultimi anni, inoltre, è emerso l’interesse dei media a espandere il mercato vendendo i propri prodotti agli albanesi oltre confine. Il fenomeno si è intensificato con l’emersione delle nuove tecnologie digitali introdotte dal gruppo Top Media, il maggiore gruppo mediatico del paese, che ha cominciato a nutrire il nazionalismo per attirare gli albanesi fuori dall’Albania. Questo esempio è stato seguito da altri media, e ha fatto sì che il nazionalismo diventasse anche merce di consumo.
La novità dell’ultimo anno è che per la prima volta nel discorso politico si è iniziato a parlare apertamente con un linguaggio nazionalista estremista, con forti elementi sciovinisti.
Dopo il crollo del comunismo Tirana si è però sempre vantata di essere un fattore di pace e stabilità nei Balcani, archiviando il sogno della Grande Albania e proclamando ufficialmente che gli albanesi si sarebbero riuniti solo all’interno dell’Unione europea...
Questo è stato parte del discorso ufficiale dei partiti, però non vi è mai stato un momento in cui si sia parlato in termini non nazionalisti sul tema della patria, della storia degli albanesi, della storia nazionale, della letteratura o delle arti. Non abbiamo avuto un’alternativa civica, con poche eccezioni, e la storia nazional-comunista non è mai stata messa in discussione.
Ad esempio non è mai stata messa in discussione la narrazione nazionalista sulle origini illiriche e pelasgiche degli albanesi, o il concetto delle terre etniche albanesi “rimaste ingiustamente fuori dai confini dell’Albania”. Il testo "Storia albanese", pubblicato dall’Accademia delle Scienze dell’Albania all’inizio del 2000, si distingue poco dall’edizione del 1959. L’espressione invece che ci riuniremo nell’UE non cela più di tanto “l’irrisolta causa nazionale albanese”.
Attualmente esiste secondo lei un progetto politico segreto di riunificazione?
Non sono in grado di affermare una cosa del genere. Non credo. Sono sempre scettica riguardo ad eventuali progetti segreti, non perché non esistano, ma perché non si può mai sapere quanto facciano sul serio i loro ideatori.
Dubito fortemente anche che la nostra élite politica abbia degli ideali, a parte il profitto personale. Se vi sono stati progetti del genere in passato si sarà trattato probabilmente di un piano B da attuare nel caso in cui le altre manipolazioni non fossero state più sufficienti per mantenere il potere.
Per quanto riguarda gli intellettuali, invece, la questione è diversa. Sono sempre stati motivati da una prospettiva del genere. In Albania viene considerato un intellettuale degno di questo nome solo chi si impegna al servizio della nazione.
Perché quest'apertura senza veli al nazionalismo avviene proprio ora? Non è un paradosso dato che l’Albania sta uscendo sempre più dall'isolamento del passato: i rapporti con i vicini sono molto costruttivi, il libero movimento nei Balcani e nell’area Schengen...
Avviene ora perché l’indipendenza del Kosovo ha dato la libertà ai kosovari di pretendere quello che le élite di Tirana avevano promesso: essere un'unica nazione. Queste idee vengono oggi articolate sempre più anche perché non vi sono più gli ostacoli che impedivano di mettere in piedi attività comuni. Abbiamo mass media in comune, dalla parte kosovara arriva il messaggio di volersi riunire, e in Albania non vi è opposizione a questo poiché in fondo tutti a scuola hanno imparato che la causa albanese è tuttora irrisolta.
Inoltre, la sostanziale mancanza di differenze tra il Partito democratico, il Partito socialista e le loro clientele fanno del nazionalismo un’alternativa che la gente potrebbe percepire come l’unico ideale in mezzo a tanta mancanza di scrupoli.
Bruxelles non è più una prospettiva attraente?
Bruxelles è sempre una prospettiva attraente per gli albanesi. A mio avviso se avessimo ottenuto una data per l’inizio dei negoziati per l'ingresso UE i toni del premier Sali Berisha non sarebbero ora così nazionalisti, non avrebbe promesso i passaporti albanesi a tutti gli albanesi etnici, perché Berisha sarebbe stato orgoglioso di aver portato il paese più vicino all’UE.
Il premier si è reinventato in veste nazionalista?
No, Berisha fa tutto per il potere. Se il cosmopolitismo fosse un’ideologia che lo legittima a mantenere il potere, lui diventerebbe un filosofo del cosmopolitismo.
Fino a che punto può arrivare con il suo nazionalismo?
Non lo so. Quel poco che si può dire con certezza di Berisha e dei politici albanesi è che sono assolutamente irresponsabili e imprevedibili. Se i rappresentanti UE e USA non si oppongono a queste iniziative, può darsi che continui a fare il nazionalista almeno fino alle prossime elezioni.
Quanto contano UE e USA oggi in Albania?
Riguardo alla loro importanza, direi che è enorme. Ma dovrebbero fare più pressioni. Sono forse gli unici che fanno sì che i nostri politici feudali non ci schiaccino del tutto.
Le reazioni negative di UE e USA però dovrebbero dissuadere gli albanesi dal sostenere leadership nazionaliste...
Credo che Berisha sia diventato un nazionalista per fare in modo che l’Alleanza Rossonera non porti via elettori al suo Partito democratico. La strategia di Berisha per un verso rafforza la sua immagine presso gli albanesi oltre confine, per l’altro conserva degli equilibri elettorali. Per ora non vi sono formazioni politiche non nazionaliste. Alcuni sono più moderati, vogliono la riunificazione ma evitando guerre, altri sono pronti ad andare in guerra.
Ci sono diversi tipi di nazionalismo?
Sì, abbiamo un pluralismo di nazionalismi. Abbiamo un nazional-cattolicesimo, un nazional-islamismo, quelli che dicono che la sinistra ha venduto l’Albania alla Jugoslavia, quello dei socialisti che sostengono che re Zog era un traditore e che i nazionalisti ci hanno venduto ai nazi-fascisti. Ciascuno di essi sostiene naturalmente di essere il vero nazionalismo.
Che tipo di conseguenze può avere questo nazionalismo fuori dall’Albania?
Creerà tensioni nei rapporti etnici in Macedonia e in Serbia. Destabilizzerà la Macedonia facendo aumentare a sproposito le speranze dei kosovari di integrarsi in un unico stato albanese con l’Albania. Il governo macedone ha fatto il possibile per far in modo che la situazione non degeneri tra albanesi e macedoni, ma i rapporti tra i due gruppi sono congelati e vi è scarsa fiducia in un futuro migliore. Nel sud della Serbia non vi sono sforzi seri da parte del governo di Belgrado per migliorare i rapporti interetnici, e il nazionalismo proveniente da Tirana non fa che peggiorare le cose anche a livello micro, nell’interazione tra i cittadini.
Vi è da temere il peggio?
Nessuno può dirlo. Ma quando il male diventa banale, e quindi presente ovunque fino al punto che non ci si accorge più del fatto che esista, è possibile che si crei una galvanizzazione difficile da tenere sotto controllo. E se qualche politico vorrà sfruttare le circostanze per andare al potere, la situazione diventerà esplosiva. Non dobbiamo mai dimenticarci della fine della Jugoslavia.
Pensa che i nazionalisti albanesi abbiano un programma politico concreto quando parlano della riunificazione delle terre albanesi?
Il progetto politico è sempre esistito. E’ il progetto che ha spinto alla rivolta armata in Kosovo, quello che è stato sostenuto anche da Enver Hoxha e dal partito comunista albanese, quello da cui è nato l’UCK in Svizzera, e che oggi viene portato avanti da Vetevendosja in Kosovo e da Koço Danaj in Albania. Non penso però che questo progetto abbia il sostegno dello stato albanese dopo il 1990. Ma non significa che ciò non possa accadere.
Oggi, con un mercato televisivo comune, l’Autostrada della Nazione che accorcia le distanze tra Pristina e Tirana, il libero movimento, gli scambi economici, i social network e numerosi eventi pan-albanesi, ha senso parlare di rimozione di confini?
Non ha senso. Però il nazionalismo albanese è rimasto quello dei tempi di Rilindja, non ha nulla di civico o di pragmatico. Il problema è che il sostegno all’Albania etnica in Kosovo e in Albania è sempre in crescita, in base a quanto rilevano i sondaggi di ICG e Gallup Balkan Monitor. La domanda da porre oggi sarebbe: siete davvero disposti ad affrontare una guerra per l’Albania etnica?
A leggere i commenti nei forum albanofoni c’è da spaventarsi, sembra che ci sia gente che non vede l’ora di andare in guerra. Però nei vari sondaggi non è mai stata posta questa domanda.
Bisogna spiegare che la “riunificazione delle terre albanesi” non si può fare senza una guerra balcanica tra l’Albania, la Grecia, la Macedonia, la Serbia e il Montenegro. Inutile menzionare che tipo di conseguenze distruttive potrebbe avere per l’Albania, e che tipo di disastro umano comporterebbe.
Io penso che l’unica possibilità sia di creare una forma di Benelux balcanica tra tutti i paesi balcanici. Altrimenti saremo sempre una periferia inquieta dell’Europa.



Giornata della Memoria: il Porrajmos

1) Sui Rom morti durante la Seconda Guerra Mondiale

2) Recensione del libro UN NOMADISMO FORZATO di A. Bejzak e K. Jenkins


SEGNALAZIONE: GIORNATA DELLA MEMORIA 2013 A NIGUARDA (MILANO)

Da:  ANPI Crescenzago <anpi.crescenzago @ libero.it>
Oggetto:  GIORNATA DELLA MEMORIA 2013 A NIGUARDA (MILANO)   -   6 VIDEO
Data:  27 gennaio 2013 11.40.01 GMT+01.00
 
INTERVENTI DI DIJANA PAVLOVIC, FRANCO BOMPREZZI, MARCO MORI, EMANUELE FIANO, ONORIO ROSATI E RENATO SARTI:
 
Sabato 26 gennaio 2013 presso il circolo “Francesco Rigoldi” di via Hermada 8 a Niguarda, quartiere della Zona 9 di Milano, iniziativa in occasione della “Giornata della Memoria”, per non dimenticare la Deportazione e lo sterminio pianificato nei lager nazifascisti.
Proiezioni di audiovisivi ed interventi di Dijana Pavlovic (attrice, Comunità Rom), Franco Bomprezzi (portavoce Ledha), Marco Mori (ARCI Gay di Milano), Emanuele Fiano (Comunità Ebraica di Milano), Renato Sarti (attore, Teatro della Cooperativa di Niguarda) ed Onorio Rosati (Sindacato CGIL).


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GIORNO DELLA MEMORIA -- 27 GENNAIO 2013

Quanti conoscono la parola "Porrajmos"?
Porrajmos nella lingua dei Rom significa "divoramento" e indica la persecuzione e lo sterminio che il Terzo Reich attuò nei loro confronti.


tratto da: PARLONS TSIGANE Histoire, culture et langue du peuple tsigane - pag. 21-22 - Editions l'Harmattan Paris - di Vania de Gila-Kochanowski trad. Alessandro Bellucci 
 

SUI ROM MORTI DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE

Se io testimonio oggi che la "soluzione finale" per i rom era stata progettata da Hitler fin dal 1933 (cf: "MEIN KAMPF") e questo piano mostruoso è stato attuato con un genocidio di 7.500.000 di noi, allora io avrò assolto al mio dovere affinchè dopo 100 anni o addirittura 50 anni tutta questa pagina della storia rom non sia definitivamente cancellata. Si tratta di un "olocausto" regolarmente dimenticato... o volontariamente occultato e la sua valutazione merita alcune spiegazioni.
Prima della guerra c'erano circa 25 milioni di rom dispersi attraverso l'Europa, di cui soltanto 10 milioni si riconoscevano ufficialmente come rom. Dunque la maggioranza degli studiosi dei rom, amici come nemici, sono d'accordo per stimare una ecatombe del 75% che corrisponde ad un genocidio di circa 7.500.000 di individui.
Si è lontani dalle 500.000 vittime - cifra spesso usata per quantificare il genocidio rom nel suo insieme. Io, come anziano prigioniero dei campi di sterminio nazisti, sono stato invitato a testimoniare nel processo intentato contro il negazionista francese Robert Faurisson.
Gli archivi messi a mia disposizione, provenienti da Germania, Polonia, Cecoslavacchia, Bulgaria, ecc., permettono di ritenere che i 500.000 rom morti nei diversi campi di concentramento si riferiscono agli individui di ogni sesso e di ogni età che sono serviti per gli esperimenti etnici e biologici dei tecnici e dei medici criminali nazisti.
Simon Wiesenthal, il cacciatore di nazisti ben conosciuto, indica la cifra di 2 milioni per l'olocausto del rom nei campi e nelle prigioni. Ma tutti gli altri? Le testimonianze delle popolazioni europee sotto il nazismo abbondano nel descrivere esecuzioni di massa: nei campi, nelle foreste, nelle strade, ecc.. E, come dimenticare, tutti i rom morti nelle armate regolari o fra i partigiani? E i giovani rom arruolati a forza nelle SS o nella Wermacht, evasi, ripresi e fucilati.


Vania de Gila-Kochanowski, sociologo e linguista rom, nato nel il 6 agosto 1920 in Polonia, ex deportato, diventato poi dal 1959 cittadino francese si divideva tra la lotta per i diritti dei rom, gli studi e la scrittura. E' stato uno dei primo rom ad ottenere due lauree, una agli inzi degli anni '60, in studi linguistici e la seconda in etno-sociologia. Diventato professore, ha contribuito in maniera unica e significativa a diffondere la storia e la cultura dei rom per affermarne il valore. E' morto a Parigi il 18 maggio 2007. I suoi libri non sono mai stati tradotti in Italia

(a cura di P. Cecchi per CNJ onlus)


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Sul perdurante genocidio dei Rom di Kosovo e Metohija

Recensione del libro UN NOMADISMO FORZATO di A. Bejzak e K. Jenkins

di Andrea Martocchia
(segretario, Coord. Naz. per la Jugoslavia - onlus)
per il sito Marx 21 - http://www.marx21.it/

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Adem Bejzak e Kristin Jenkins

UN NOMADISMO FORZATO
...di guerra in guerra... Racconti rom dal Kosovo all'Italia

Edizioni Archeoares, 2011
7 euro, 180 p., ISBN 978-88-96889-22-0
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Qualcuno ha scritto che "la Giornata della Memoria non funziona" (1). Sicuramente sussiste un problema di fondo, che riguarda l'oggetto stesso della ricorrenza. Infatti, a rendere giustizia, non solo dal punto di vista morale ma proprio dal punto di vista storico, alle vittime del nazifascismo si dovrebbero includere tutti i crimini del nazifascismo verso intere categorie e soggetti nazionali e/o razziali; viceversa, nella stessa legge istitutiva della Giornata della Memoria nel nostro paese (2) si chiede di ricordare solamente "la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte", e con loro "i giusti", cioè coloro che "si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati". 

L'omissione è dunque flagrante. Non è ricordato, ufficialmente, il genocidio dei Rom - genocidio che, vista l'attualità italiana, visti i ripetuti pogrom ai danni della comunità Rom in Italia, visto il razzismo così diffuso, generalizzato, nella nostra società, nessuno dovrebbe osare di omettere dalla narrazione sulla nostra storia recente, tantomeno nella Giornata della Memoria. Non c'è spazio, sulla carta, nemmeno per ricordare - o scoprire e studiare - il genocidio dei disabili, dei gay, le immani stragi commesse sulle popolazioni civili, le politiche razziste del nazifascismo verso i popoli slavi, i pogrom che i cattolici "uniati" commisero contro altri cristiani in Ucraina e Bielorussia; né per ricordare il sistema concentrazionario ed i crimini degli ustascia nei Balcani, pur così vicini all'Italia sia per rapporti storico-politici (attraverso Fascismo e Vaticano) sia geograficamente.

In questo "mare di silenzio" si perde in particolare la vicenda - pluridecennale, in verità, ma che toccò un apice drammatico proprio sotto l'occupazione nazifascista - delle pulizie etniche commesse  in Kosovo e Metohija (Kosmet). A ricordarla, dallo specifico punto di vista della comunità Rom kosovara, è uno straordinario libricino frutto della collaborazione di un esule rom kosovaro, Adem Bejzak, e di una esperta di diritti delle minoranze, Kristin Jenkins.

Bejzak, classe 1957, è originario di Kosovo Polje. Di mestiere autista e meccanico, militante nella Lega dei Comunisti di Jugoslavia, risiede nella sua terra e vive tante vicende, raccontate nel libro, finché l'aggravarsi della situazione sociale ed economica non gli fa scegliere l'emigrazione all'estero. Soprattutto l'embargo imposto dai paesi occidentali contro la Repubblica Federale di Jugoslavia a partire dal 1990, finalizzato a piegare il paese per poterlo successivamente smembrare, costringe Bejzak a cercare migliore fortuna all'estero per sostenere finanziariamente a distanza la famiglia rimasta in Kosovo. 
A Bologna, però, per la prima volta vede in quali condizioni disumane vivano i rom in Italia. Dal 1993 si stabilisce nel campo dell'Olmatello a Firenze; a partire dall'agosto 1999 si uniscono a lui tutti i suoi famigliari, costretti all'esilio dal nuovo regime razzista instaurato in Kosovo dalla NATO. E' allora che anche la moglie Bedria e i figli "scoprono" le condizioni miserabili dei campi rom italiani - e non possono credere ai loro occhi...
Solo nell'ottobre 2006, dopo innumerevoli difficoltà, la famiglia Bejzak ottiene una casa vera e propria dove risiedere, dal Comune di Firenze. E per questo dovrebbe ritenersi fortunata, vista la condizione della maggiorparte dei rom che abitano in Italia. Eppure, i Bejzak non erano "nomadi" prima, in Jugoslavia... 

Bejzak scrive che in Kosovo "per secoli prima della guerra, la popolazione rom ha vissuto una vita sedentaria svolgendo lavori onesti... Con la guerra del 1999, le nostre case ed i nostri terreni sono stati bombardati, bruciati e derubati ed i rom sono stati costretti a fuggire attraverso il mare Adriatico verso altri paesi europei... Oggi nell'ex Jugoslavia sono stati creati nuovi stati ed i rom storici rimasti lì non hanno avuto nessun riconoscimento... Nonostante varie distinte ricerche etnografiche sui rom, c'è una mancanza di ricerca della verità sull'origine del nomadismo forzato [sic] del popolo rom e di conseguenza sono nati molti pregiudizi e discriminazioni" (p.17).

Le parole di Adem, Bedria e dei loro figli sono state raccolte da Kristin Jenkins, studiosa della problematica dei rom del Kosovo, con vero e proprio sgomento: quella stessa sensazione che molti di noi hanno dovuto sperimentare in questi anni incontrando la verità della tragedia jugoslava. Una verità a tutti gli effetti elusa, mistificata tra fiumi di parole "a effetto" che dicono di solito il contrario di quello che sarebbe necessario dire e sapere. Sul Kosovo, ad esempio: il nostro telespettatore è abituato ad imputare allo Stato jugoslavo, plurinazionale e improntato ai valori socialisti di giustizia sociale ed eguaglianza nazionale (fino al suo scioglimento avvenuto il 4 febbraio 2003), quei crimini di prevaricazione e "pulizia etnica" che sono stati invece commessi dalla parte antagonistica, cioè il secessionismo pan-albanese e l'imperialismo della NATO.

Il libro è anche un viaggio nella storia recente del popolo Rom. Vi incontriamo rom partigiani, attivi combattenti contro il nazifascismo oppure vittime del genocidio praticato nei lager gestiti dagli ustascia; vi incontriamo attivisti del movimento per i diritti nazionali rom, sorto in Kosovo a partire dal 1968; vi incontriamo rom comunisti, impegnati a frequentare scuole di formazione politica nella Jugoslavia degli anni Settanta, e donne rom impegnate ad emanciparsi dalle tradizioni arcaiche della cultura di provenienza. Vi incontriamo rom giovani e anziani, donne e uomini tutti insieme bloccati in coda in una autocolonna lunga 30 chilometri che il 17 giugno 1999, a passo d'uomo, li conduce fuori dalla loro terra, e poi in agosto a Bar (Montenegro), sotto un grande albero nei pressi del porto ad attendere per un mese la nave che li deve portare in esilio. Vi incontriamo rom che nolenti o volenti vengono registrati come "albanesi" dalla burocrazia - perché è "politicamente corretto" e così, forse, si riesce a far valere qualche diritto umano elementare.

Nel libro, oltre a leggere, vediamo Bejkaz in fotografia, partecipare ad una manifestazione ad Aviano nella primavera 1999, per protesta contro le "bombe imperialiste" e la politica della NATO di strumentalizzazione della questione "etnica" nella sua terra. Sempre in fotografia vediamo la casa di famiglia di Adem nei giorni felici (pp.19 e 60) e devastata (a p.50 e in copertina) da NATO e UCK tra di loro alleati. E vediamo Adem in visita da suoi connazionali e presso i luoghi-simbolo della tragica storia Rom: ad esempio a Kragujevac, nel parco delle Sumarice. (3)

C'è il racconto di una visita di Bejkaz ad Auschwitz, nell'ambito di una delegazione del Comune di Firenze: lì Adem rivive, fino a sentirsi male, i patimenti dei suoi avi. C'è il racconto toccante del primo ritorno della famiglia Bejzak in Serbia, 6 anni dopo i bombardamenti, in visita dai genitori di Adem a Nis: nella Serbia meridionale riconoscono i tristi effetti dei bombardamenti nella vita sociale, ma anche la laboriosità e la dignità della loro gente, ed incontrano ex partigiani rom, attivisti dell'associazionismo rom, parenti ed amici originari del Kosovo con le loro storie drammatiche. Ritrovano i segni del genocidio attuato dai nazifascisti e della Resistenza eroica di tanti rom: storie della II G.M. che non hanno goduto del riconoscimento storiografico e morale che era dovuto.

Il libro si chiude con alcune note sulle principali tradizioni Rom (Djurdjevdan, matrimoni) e con alcune poesie di Adem Bejzak. Ci auguriamo che una seconda edizione, che si pensa imminente, consentirà una ben maggiore diffusione di questo piccolo tesoro, la cui lettura è di grande aiuto a chiunque voglia comprendere la stretta concatenazione esistente tra questioni apparentemente distinte: condizione Rom, secessione del Kosmet, crimini del nazifascismo, Giornata della Memoria.


Note
(1) "2010: Perché la giornata della Memoria non funziona", su http://www.olokaustos.org/2010.htm .
(2) Il Giorno della Memoria (27 Gennaio) è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale. Il testo dell'articolo 1 della legge così definisce le finalità del Giorno della Memoria: « La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. » (Legge 20 luglio 2000, n. 211, Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 177 del 31 luglio 2000, dal sito web Parlamento Italiano. Riportato il 12 aprile 2007.)
E' il caso di rammentare il significato del termine GENOCIDIO: ogni atto commesso con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.


(srpskohrvatski / francais)


Annie Lacroix-Riz, profesor emeritus , Univerzitet Pariz 7


70 –godišnjica kraja staljingradske bitke i pobjede u Staljingradu 2 februara 1943


Kapitulacija von Paulusove armije u Staljingradu 2 februara 1943 značila je, za svjetsko javno mnjenje, odlučan vojni preokret, koji nipošto nije bio prvi u tom smjeru.

Ta je pobjeda proisotekla iz ruskih priprema za rat s Njemačkom, koji se smatrao neizbježnim. Posljenji francuski vojni ataše u SSSR-u, Palasse, o tome je dao realne ocjene. Nasuprot tadašnjem ministru vojske, koji je bio zagriženi protivnik sklapanja trojnog saveza Francuske sa Sovjetima (Moskva, Pariz, London), što bi bilo prisililo Reich na rat na dva fronta, ovaj je promatrač imao drugačije mišljenje, jer je upoznao sovjetske ratne mjere u ekonomiji, pripreme Crvene Armije i stanje duha stanovništva, koje je bilo rašireno u SSSR-u, a odisalo je «nenarušivim povjerenjem u vlastitu obrambenu moć», koja će sasvim sigurno poraziti svakog napadača.

Ishod u sukobima s Japanom na granici SSSR-a, Kine i Koreje, u godine 1938-1939 (kad se Žukov već istaknuo) još su više učvrstili francuskog vojnog atašea u takvom mišljenju. To objašnjava zašto je Tokio razborito sklopio s Moskvom 13 aprila 1941 «pakt o neutralnosti», koji je Moskvi prištedio rat na dva fronta.

Nakon njemačkog napada 22 juna 1941 odmah se vidjelo da je smjesta došao kraj Blitzkriega. General Paul Doyen, koji je od vlade u Vichyju bio delegiran u komisiju za potpisivanje primirja, ovo je poručio maršalu Pétainu 16 jula 1941:»Iako III Reich u Rusiji bilježi neosporive strateške uspjehe tok operacija ipak ne odgovara mišljenju, koje je o tim operacijama postojalo kod ratnih vođa. Oni uopće nisu računali na tako bjesomučan otpor na koji naišli kod ruskog vojnika, na toliko strasno fanatizirano stanovništvo, ni na tako iscrpljujuće gerilske napade u pozadini, niti na tako ozbiljne gubitke te na potpunu prazninu na koju nailazi zavojevač, niti na toliko ozbiljne poteškoće u snabdjevanju i u savladavanju komunikacija. Ne brinući se za to što će je sutra pogoditi glad, Rusija pali sve bacačima plamena: žito, sela, razara sve što može da se kreće na kotačima i sabotira sva nalazišta siovina.»

Taj je general vichijevske Francuske smatrao njemački rat toliko kompromitiranim da je već od tog dana počeo zagovarati prelazak Francuske s njemačkog tutorstva (koje prosuđuje još uvijek neophodnim) na američko tutorstvo. Jer, piše on «šta god se dogodilo svijet će morati, u idućih desetak godina, slušati volju Sjedinjenih Država Amerike.»

Vatikan, najbolja obavještajna služba svijeta, jako se uzbudio početkom 1941 zbog «njemačkih teškoća» i takvog «ishoda, u kojem će Staljin biti pozvan na organiziranje koncerta mira za Cherchilla i za Rosvelta».

Drugi put je ratna sreća dovela do zaustavljanja Wermachta pod Moskvom, u mjesecima novembru i decembru 1941, a ta je pobjeda pod Moskvom proslavila političku i ratnu sposobnost SSSR, koju su simbolizirali Staljin i Žukov. U to vrijeme Sjedinjene Države još nisu bile službeno ušle u rat.


Njemački Reich vodio je protiv SSSR-a istrebljivački rat, bespoštedan sve do časa njegovog posvemašnjeg povlačenja s Istočnog fronta, ali se Crvena Armija pokazala sposobnom da slomi ofanzive Wermachta , a naročito onu u ljeto 1942 godine, kojoj je cilj bio dokopati se (kavkaske) nafte. Ozbiljni vojni historičari, i to naročito anglo-američke provenijencije, koji se u Francusoj ne prevode, pa prema tome i ignoriraju, danas se najviše bave onim što je dovelo do vojne pobjede Sovjetskog Saveza u odnosu na sukobe koji su počeli u julu 1942 između «dvije armije sa više od miliona vojnika». Crvena Armija dobila je protiv Wemachta »tu ogorčenu bitku», koju su iz dana u dan budno pratili svi narodi u okupiranoj Evropi i svi ostali narodi svijeta, i koja je «prevazišla žestinom sve bitke iz I svjetskog rata, jer se borba vodila za svaku kuću, za svaki rezervoar za vodu, za svaki podrum, za svaku zaostalu ruševinu». Ta pobjeda, kako je napisao britanski historičar John Ericson «postavila je SSSR među svjetske moćnike» i bila je jednako značajna kao i bitka «kod Poltava 1709 /protiv Švedske/, koja je Rusiju preobrazila u evripsku vojnu silu».

Sovjetsku pobjedu pod Staljingradom, treću sovjetsku po redu vojnu pobjedu, ljudi su smjesta doživjeli kao obrt ratne sreće, tako jasan i očit da ga čak ni nacistička ratna propaganda nije uspjela prikriti. Taj je događaj odmah najizravnije postavio pitanje što će se dogpditi nakon rata, budući da su Sjedinjene Države obogatile u ratnom sukobu, u suprotnosti sa Sovjetskim Savezom, koji je trpio velike gubitke sve do 8 maja 1945. Opća statistika poginulih u II svjetskom ratu svjedoči o doprinosu Sovjetskog Saveza i o općem ratnom naporu koliko i o ogromnoj patnji koju je taj ratni sukob značio za njegovo stanovništvo: 26 do 28 miliona mrtvih (brojka se neprestano povećava) od 50 miliona ratom zahvaćenog stanovništva, od čega više od polovine čine civilne žrtve.

Amerikanaca je poginulo manje od 300.000 na japanskom i na evropskom frntu. Ne vređamo istoriju kad tvrdimo da su Sjedinjene Države, bogate i snažne, gospodari poraća, mogle pobjediti Njemačku zato jer su Rusi zadali Wermachtu udarac, koji ga je smlavio. Nije Wermacht pobijedio «general zima», taj ledini general koji 1917-1918 spriječio Reichswer da ostane na istoku.

Francuska je potvrdila vlastitu rusofobiju, koja joj je postala opsesijom nakon 1917, a zbog koje je podnijela slom u mjesecima maju i junu 1940, odlučno odbijajući da oda počast i Rusiji prilikom proslave 60-godišnjice ikrcavanja u Normandiji, 5 juna 1944. Tema o američkom spasavanju «Evrope» nametala se tokom te cijele godini proslave savezničkog iskrcavanja. Mi stariji znamo , čak i kad se ne radi o historičarima, da je Staljingrad značio nadu u prestanak hitlerovskog barbarstva.

Od tog pobjedonosnog dana «nada je prešla na drugu stranu, a borba je promijenila duh». Samo zbog opsesivnog ideološkog lupanja i lupetanja mlade generacije o tome ne znaju ništa.


Bibliografija:

John Ericson, 2 toma: The Road to Stalingrad:Stalin's war with Germany, The Road to Berlin: Stalin's War with Germany, Prvo izdanje 1983 London; drgo izdanje New Haven.

London. Yale Unoversity Press, 1999:

Geoffrey Roberts, Stalin's Wars: From World War to Cold War, 1939-1953. New Haven&London, Yale University Press, 2006.

Stalin's general: the life of Georgey Zhukov, London, icon Books, 2012.

David Glantz i Jonathan M. House, Armagedon in Stalingrad: September-November 1942 (The Stalingrad Trilogy, 2 toma, Moder War Studies, Lawrance, Kansas, University Press of Kansas 2009.

Alexander Werth, la Russie en guerre, paris, Stock, 1964.


(prevod: Jasna Tkalec)




Da: "Histoire" <histoire @ mcicom.net>
Data: 23 gennaio 2013 12.05.54 GMT+01.00
Oggetto: [listalr] 1943 - 2013 Le sens de la victoire soviètique de Stalingrad.
Rispondi a: histoire @ mcicom.net


Chers amis,

L’importance historique et civique de la bataille et de la victoire soviétique de Stalingrad me semblent imposer :

1° participation à la cérémonie organisée le samedi 2 février près du métro Stalingrad : voir invitation ci-jointe.

2°  un rappel sur le sens de Stalingrad, le texte ci-joint, que j’ai rédigé pour la revue La nouvelle presse.

Je profite de l’occasion pour vous annoncer que paraîtra prochainement  l’excellent ouvrage de Geoffrey Roberts, dont je sollicite la traduction depuis sa parution (voir sur mon site, l’article « Geoffrey Roberts, Stalin’s Wars, From World War to Cold War, 1939-1953 : un événement éditorial », 2007, sur le site www.historiographie.info), aux éditions Delga (j’en rédigerai la préface). Il figure naturellement dans la bibliographie succincte que j’ai ajoutée à ce petit texte, avec son récent ouvrage, Stalin’s general: the life of Georgy Zhukov. London, Icon Books, 2012.

Amitiés, et meilleurs vœux pour 2013.

 

Annie Lacroix-Riz

 

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www.historiographie.info



1)

HONNEUR et GRATITUDE ETERNELLE du PEUPLE FRANÇAIS aux HEROIQUES COMBATTANTS DE STALINGRAD

Le Général de Gaulle et les Français reconnurent le rôle capital de l’Union Soviétique dans la victoire sur l’hitlérisme.
Alors que, de l’école aux médias en passant par les déclarations du « parlement européen », une propagande de chaque instant prétend amalgamer l’Union Soviétique au Troisième Reich, les vrais démocrates gardent au cœur les combattants de Stalingrad, de Koursk et de Leningrad qui, au prix de sacrifices inouïs, ont brisé la machine de guerre nazie, ont permis la contre‐offensive générale de l’Armée rouge et la prise de Berlin, pendant qu’à l’Ouest s’ouvrait enfin le second front contre la Bête immonde hitlérienne.
L’impératif de l’histoire conduisit pendant la seconde guerre mondiale à « la belle et bonne alliance » entre l’URSS et la France combattante reposant sur la coopération entre peuples libres, égaux et fraternels, coopération toujours d’actualité au plan européen et mondial. Le général de Gaulle en donna une illustration à son arrivée à Moscou, le 20 juin 1966, répondant au président NV Podgorny, il évoqua la grande Russie qu’il avait vue en 1944 : « tendue dans l’esprit guerrier qui allait assurer sa victoire et, pour une très large part celle de la France et de ses alliés », puis à la réception au Kremlin, en soulignant chez les Français le sentiment de solidarité, il revint sur « la part capitale que l’Union Soviétique prit à la victoire décisive », qui précise‐t‐il le 30 juin, a porté l’URSS « au plus haut degré de la puissance et de la gloire » À cette occasion fut signée une déclaration bilatérale qui donna une impulsion considérable à une coopération multiforme. Le domaine spatial en témoigne encore.
Quoi qu’on pense de l’URSS et de son histoire – et cela appelle de notre point de vue de nombreux débats exempts d’intolérance et de caricature – nul ne peut nier que la bataille de Stalingrad prend place dans l’Histoire au même niveau que celle de Marathon, où les jeunes démocraties grecques stoppèrent l’Empire mède – ou de Valmy, où l’armée de la Révolution française repoussa les envahisseurs de l’Europe contre‐révolutionnaire.
Nous avons commémoré, le 2 février 2008 à Paris, le 65ème anniversaire de la victoire de Stalingrad car le sommet de l’ignominie avait été atteint par les gouvernements profascistes des Pays Baltes qui, avec la caution de l’Union Européenne, dressaient des monuments à la gloire des SS. Notre solidarité va à la puissante et légitime riposte qui s’est manifestée en Russie et dans les pays de la CEI défendant l’honneur et l’héroïsme des combattants qui sacrifièrent leur vie pour la liberté.
À l’heure où l’UE, arrogamment pilotée par Berlin, écrase les peuples, leur souveraineté nationale et leurs acquis sociaux, à l’heure où des dirigeants du MEDEF appellent publiquement à « changer d’aires » pour mieux liquider la nation et les conquêtes du CNR, à l’heure où les peuples se dressent de plus en plus contre les guerres impérialistes et contre la dictature des marchés financiers et de leur bras armé l’OTAN menaçant la Russie et les Etats de la CEI avec le bouclier antimissiles américain, à l’heure où la criminalisation du communisme en Europe de l’Est suscite une chasse aux sorcières liberticide et prépare la revanche posthume des fascismes,
Les signataires de cet appel, représentants de sensibilités politiques distinctes.
Appellent la population de France à continuer le combat des héros de Stalingrad et de la Résistance antifasciste et patriotique en défendant l’indépendance nationale, la démocratie, les conquêtes sociales, pour qu’un nouveau Reich euro‐atlantique destructeur des libertés ne prenne pas la succession de Hitler sous des oripeaux pseudo‐démocratiques ;
Appellent à combattre sous toutes ses formes le racisme et la xénophobie d’Etat ;
Condamnent l’anticommunisme, qu’ils ne confondent pas avec la discussion contradictoire et argumentée sur le bilan de la première expérience socialiste de l’histoire, et dans lequel ils voient avant tout une arme idéologique de l’oligarchie capitaliste pour briser l’ensemble des conquêtes démocratiques de notre peuple et de tous les peuples.
Demandent que le service public à France télévisions 1 et à la radio programme des émissions sur l’Armée Rouge et à son année phare de 1943 avec les victoires de Stalingrad, Koursk, le lancement de l’offensive finale sur Berlin et la coopération du général de Gaulle‐URSS, avec son plus beau fleuron : le régiment Normandie‐Niemen ainsi que la participation soviétique au combat animée par le mineur ukrainien Vasil Porik , de 1942 à 1944, dans les mines et les corons du Nord‐Pas‐de‐ Calais, combat ouvert par la Grande Grève Patriotique de mai‐juin 1941.
Dans le respect de leurs convictions propres, les personnalités signataires appellent également au rassemblement du 2 février 2013, place de la bataille de Stalingrad, à Paris.
C’est une exigence d’avenir que de célébrer le 70ème anniversaire de la victoire de Stalingrad dans l’union des forces patriotiques, républicaines et antifascistes, d’exprimer la gratitude éternelle aux combattants de l’Armée Rouge dans cette ville martyre où se joua le destin de l’humanité.
En multipliant les initiatives décentralisées allant dans le même sens dans la semaine précédant cet anniversaire les signataires de cette déclaration appellent les travailleurs, les femmes et les hommes, les jeunes défenseurs de la paix, du progrès et de l’indépendance nationale et résolus à contribuer à la défaite du fascisme, du racisme et de la xénophobie d’Etat, de l’impérialisme, à se mobiliser et à mobiliser pour que résonne dans la capitale de la France,

LE RASSEMBLEMENT NATIONAL AVEC UNE REPRESENTATION
INTERNATIONALE qui aura lieu SAMEDI 2 FEVRIER 2013
à 14 h 30 (pour les organisateurs) et 15 h00 (pour la manifestation),
PLACE DE LA BATAILLE DE STALINGRAD (métro Stalingrad)
avec prises de paroles et un dépôt de fleurs au monument des héros de Stalingrad.

Coordinateur : Pierre Pranchère, ancien résistant, député honoraire, 2 Puy Salmont 19800 Saint‐Priest‐ de‐Gimel, courriel : Pierre.pranchere@... – tél : 05 55 21 35 55
Pour vous associer, envoyez votre signature à Jany SANFELIEU (jany.sanfelieu@...), en indiquant : Nom – prénom / Qualités / Adresse / Courriel – tél.
1 Solliciter M. Alain le Garrec, médiateur à France télévisions 7 Esplanade Henri de France 75015 Paris. Tél :01 56 22 99 61


2)

70E ANNIVERSAIRE DE LA VICTOIRE SOVIÉTIQUE DE STALINGRAD, 2 FÉVRIER 1943

Annie Lacroix-Riz, professeur émérite, université Paris 7

La capitulation de l’armée de von Paulus à Stalingrad, le 2 février 1943, marqua, pour l’opinion publique mondiale, un tournant militaire décisif, mais qui ne fut pas le premier. Cette victoire trouve son origine dans les préparatifs de l’URSS à la guerre allemande jugée inévitable : le dernier attaché militaire français en URSS, Palasse les estima à leur juste valeur. Contre son ministère (de la Guerre), acharné à faire barrage aux alliances franco- soviétique et tripartite (Moscou, Paris, Londres) qui eussent contraint le Reich à une guerre sur deux fronts, cet observateur de l’économie de guerre soviétique, de l’armée rouge et de l’état d’esprit de la population affirma dès 1938 que l’URSS, dotée d’« une confiance inébranlable dans sa force défensive », infligerait une sévère défaite à tout agresseur. Les revers japonais dans les affrontements à la frontière URSS-Chine-Corée en 1938-1939 (où Joukov se fit déjà remarquer) confirmèrent Palasse dans son avis : ils expliquent que Tokyo ait prudemment signé à Moscou le 13 avril 1941 le « pacte de neutralité » qui épargna à l’URSS la guerre sur deux fronts.
Après l’attaque allemande du 22 juin 1941, le premier tournant militaire de la guerre fut la mort immédiate du Blitzkrieg. Le général Paul Doyen, délégué de Vichy à la commission d’armistice, l’annonça ainsi à Pétain le 16 juillet 1941 : « Si le IIIème Reich remporte en Russie des succès stratégiques certains, le tour pris par les opérations ne répond pas néanmoins à l’idée que s’étaient faite ses dirigeants. Ceux-ci n’avaient pas prévu une résistance aussi farouche du soldat russe, un fanatisme aussi passionné de la population, une guérilla aussi épuisante sur les arrières, des pertes aussi sérieuses, un vide aussi complet devant l’envahisseur, des difficultés aussi considérables de ravitaillement et de communications. Sans souci de sa nourriture de demain, le Russe incendie au lance-flamme ses récoltes, fait sauter ses villages, détruit son matériel roulant, sabote ses exploitations ». Ce général vichyste jugea la guerre allemande si gravement compromise qu’il prôna ce jour-là transition de la France du tuteur allemand (jugé encore nécessaire) au tuteur américain, puisque, écrivit-il, « quoi qu’il arrive, le monde devra, dans les prochaines décades, se soumettre à la volonté des États-Unis. » Le Vatican, meilleure agence de renseignement du monde, s’alarma début septembre 1941 des difficultés « des Allemands » et d’une issue « telle que Staline serait appelé à organiser la paix de concert avec Churchill et Roosevelt ».
Le second tournant militaire de la guerre fut l’arrêt de la Wehrmacht devant Moscou, en novembre-décembre 1941, qui consacra la capacité politique et militaire de l’URSS, symbolisée par Staline et Joukov. Les États-Unis n’étaient pas encore officiellement entrés en guerre. Le Reich mena contre l’URSS une guerre d’extermination, inexpiable jusqu’à sa retraite générale à l’Est, mais l’armée rouge se montra capable de faire échouer les offensives de la Wehrmacht, en particulier celle de l’été 1942 qui prétendait gagner le pétrole (caucasien). Les historiens militaires sérieux, anglo-américains notamment, jamais traduits et donc ignorés en France, travaillent plus que jamais aujourd’hui sur ce qui a conduit à la victoire soviétique, au terme de l’affrontement commencé en juillet 1942, entre « deux armées de plus d’un million d’hommes ». Contre la Wehrmacht, l’Armée rouge gagna cette « bataille acharnée », suivie au jour le jour par les peuples de l’Europe occupée et du monde, qui « dépassa en violence toutes celles de la Première Guerre mondiale, pour chaque maison, chaque château d’eau, chaque cave, chaque morceau de ruine ». Cette victoire qui, a écrit l’historien britannique John Erickson, « mit l’URSS sur la voie de la puissance mondiale », comme celle « de Poltava en 1709 [contre la Suède] avait transformé la Russie en puissance européenne ».
La victoire soviétique de Stalingrad, troisième tournant militaire soviétique, fut comprise par les populations comme le tournant de la guerre, si flagrant que la propagande nazie ne parvint plus à le dissimuler. L’événement posa surtout directement la question de l’après-guerre, préparé par les États-Unis enrichis par le conflit, contre l’URSS dont les pertes furent considérables jusqu’au 8 mai 1945. La statistique générale des morts de la Deuxième Guerre mondiale témoigne de sa contribution à l’effort militaire général et de la part qu’elle représenta dans les souffrances de cette guerre d’attrition : de 26 à 28 millions de morts soviétiques (les chiffres ne cessent d’être réévalués) sur environ 50, dont plus de la moitié de civils. Il y eut moins de 300 000 morts américains, tous militaires, sur les fronts japonais et européen. Ce n’est pas faire injure à l’histoire que de noter que les États-Unis, riches et puissants, maîtres des lendemains de guerre, ne purent vaincre l’Allemagne et gagner la paix que parce que l’URSS avait infligé une défaite écrasante à la Wehrmacht. Ce n’est pas « le général Hiver » qui l’avait vaincue, lui qui n’avait pas empêché la Reichswehr de rester en 1917-1918 victorieuse à l’Est.
La France a confirmé la russophobie, obsessionnelle depuis 1917, qui lui a valu, entre autres, la Débâcle de mai-juin 1940, en omettant d’honorer la Russie lors du 60e anniversaire du débarquement en Normandie du 6 juin 1944. Le thème du sauvetage américain de « l’Europe » s’est imposé au fil des années de célébration dudit débarquement. Les plus vieux d’entre nous savent, même quand ils ne sont pas historiens, que Stalingrad a donné aux peuples l’espoir de sortir de la barbarie hitlérienne. À compter de cette victoire, « l’espoir changea de camp, le combat changea d’âme. » Ce n’est qu’en raison d’un matraquage idéologique obsédant que les jeunes générations l’ignorent.

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Bibliographie : 
John Erickson, 2 vol., The Road to Stalingrad: Stalin’s War with Germany; The Road to Berlin: Stalin’ War with Germany, 1e édition 1983, Londres; réédition, New Haven & London, Yale University Press, 1999:
Geoffrey Roberts, Stalin’s Wars: From World War to Cold War, 1939-1953. New Haven & London,Yale University Press, 2006 (qui devrait être traduit dans la période à venir);
Stalin’s general: the life of Georgy Zhukov, London, Icon Books, 2012
David Glantz et Jonathan M. House, Armageddon in Stalingrad: September-November 1942 (The Stalingrad Trilogy, vol. 2, Modern War Studies, Lawrence, Kansas, University Press of Kansas, 2009.
Alexander Werth, La Russie en guerre, Paris, Stock, 1964, reste fondamental. 

Bibliographie restreinte :
Geoffrey Roberts, Stalin’s Wars: From World War to Cold War, 1939-1953. New Haven & London: Yale University Press, 2006 (qui devrait être traduit dans la période à venir);
Stalin’s general: the life of Georgy Zhukov. London, Icon Books, 2012. 
Alexander Werth, La Russie en guerre, Paris, Stock, 1964, reste fondamental.





TRIESTE SENZA MEMORIA.



Nella Giornata della Memoria dei crimini del nazifascismo, dobbiamo purtroppo nuovamente constatare come questa memoria nella nostra città non riesca a trovare spazio.
Parliamo dell’annosa vicenda dello stabile di via Cologna 6-8, nel quale ebbe sede, tra l’autunno del 1944 ed il 1° maggio del 1945, uno dei corpi di repressione più feroci che la nostra storia ha conosciuto: l’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza, comandato dall’ispettore generale Giuseppe Gueli, ed il cui squadrone della morte era guidato dal commissario Gaetano Collotti.
E “banda Collotti” era il nome con cui questo squadrone della morte era tristemente noto, non solo a Trieste, ma in tutta l’allora Venezia Giulia dove operava. Istituito come forza autonoma di polizia per la repressione antipartigiana nel 1942, operò rastrellamenti, violenze e torture efferate anche sui civili, deportazioni (solo nel periodo dal 24/2/43 al 7/9/43 furono internati per ordine di Gueli 1.793 “ribelli e parenti dei ribelli”: gli uomini a Cairo Montenotte, in provincia di Savona e le donne a Fraschette di Alatri, in provincia di Frosinone), esecuzioni sommarie; dopo l’8/9/43, in sinergia con i nazisti, continuò l’attività di repressione degli antifascisti, ma si prodigò anche nella ricerca degli Israeliti da rinchiudere in Risiera e poi inviare nei lager germanici, e spesso gli agenti e gli ufficiali si appropriavano dei loro beni (motivo per cui, ad esempio, furono arrestati dai nazisti due dirigenti che avevano fatto la cresta sui beni degli arrestati, invece di consegnarli integralmente agli occupatori).

Dall’estate del 1944 furono centinaia gli arrestati che passarono per le mani degli agenti dell’Ispettorato speciale, che in quel periodo si trasferì dalla vecchia sede di via Bellosguardo (una villa che era stata sequestrata alla famiglia israelita degli Arnstein, riparati negli Stati Uniti) alla caserma dei Carabinieri di via Cologna, dopo lo scioglimento dell’Arma voluto dalle autorità militari del Reich, da cui dipendevano le forze armate e di polizia locali.

Di almeno un centinaio di questi arrestati (partigiani e civili) si sa che hanno perso la vita, uccisi al momento dell’arresto o per la cosiddetta ley de fuga, internati in Risiera o nei campi nazisti dove persero la vita, condannati a morte e fucilati, alcuni (come l’anziano Mario Maovaz, corriere del Partito d’Azione, ed il giovane Bruno Kavcic, partigiano comunista), addirittura il 28 aprile 1945, quando già il torturatore Collotti era stato ucciso dai partigiani veneti che avevano fermato la fuga sua e dei suoi più fedeli accoliti.
Nelle celle di via Cologna furono rinchiusi centinaia di prigionieri, partigiani e civili, uomini, donne anche giovanissime, ragazzini, anziani; nelle stanze i prigionieri venivano torturati selvaggiamente e ridotti in condizioni pietose, dalle finestre dello stabile si gettarono due prigionieri, uccidendosi, perché non sopportavano più le torture: una partigiana di Servola ed un aviere del CLN triestino.

Nel dicembre del 2010 abbiamo fatto un sopralluogo di memoria con alcuni ex detenuti, che rientrando nelle stanze che avevano visto la loro sofferenza, e ricostruendo l’inferno che avevano attraversato, ci hanno fatto conoscere un pezzo di storia infame della nostra città.
All’epoca la Provincia di Trieste, proprietaria dello stabile, lo aveva messo all’asta, per “fare cassa”. Noi avevamo raccolto un migliaio di firme chiedendo che lo stabile rimanesse di proprietà pubblica e diventasse una Casa della Memoria, dove raccogliere gli archivi degli istituti storici triestini, dare una sede alle associazioni dei partigiani e degli ex deportati, realizzare una biblioteca tematica ed una sala convegni, allestire una mostra che racconti la storia del fascismo e dell’antifascismo, dell’occupazione nazista e della Resistenza, che ricordi quanto costò, e quanto i suoi valori siano preziosi ancora oggi, la lotta per la libertà e la dignità dei popoli.
Una struttura che possa servire sia agli storici che alla cittadinanza, con particolare riguardo alle giovani generazioni.

Nonostante la dichiarazione di interesse storico da parte del Ministero dei beni culturali, nonostante fosse stato nominato un Comitato scientifico per questo progetto, oggi nuovamente la Provincia ha messo all’asta via Cologna, perché, ci è stato detto, non ci sono soldi per realizzare una Casa della Memoria come avevamo proposto noi, semplici cittadini antifascisti, a volte anche cercando di forzare un po’ la mano alle organizzazioni che dovrebbero gestire, secondo la nostra idea, la struttura.
Non ci sono soldi per l’Istituto di Storia del Movimento di Liberazione, non ci sono soldi per la Sezione storica della Biblioteca nazionale slovena, non ci sono soldi per riordinare i loro archivi che raccolgono la storia della lotta di liberazione delle nostre terre assieme alle testimonianze dei crimini del nazifascismo, non ci sono soldi per dare loro una sede decorosa, né per assumere i ricercatori ed i curatori che potrebbero dedicarsi a questo lavoro.
Dove una struttura del genere potrebbe essere gestita da un consorzio di Enti pubblici, dai Civici musei all’Università, con contributi europei (sono previsti per questo tipo di iniziative di memoria delle deportazioni e delle repressioni commesse dal nazifascismo) e la Regione potrebbe (se ha soldi da regalare alle associazioni di cui parleremo fra un po’) contribuire anch’essa per un progetto culturale che arricchirebbe tutta la città, sia in senso culturale che di posti di lavoro, dato potrebbero esserere istituiti dei dottorati di ricerca in modo da dare lavoro a laureati precari o disoccupati, ed anche a personale di supporto per servizi di segreteria ed altro. Progetto nel quale potrebbe trovare spazio anche il riordino dell’archivio del denfunto professor Diego de Henriquez, i “diari”, le fotografie, i documenti ed i testi da lui lasciati alla città.
Ma di fronte alla chiusura della Provincia di Trieste, viene da pensare che i soldi che non si trovano sono quelli per la cultura antifascista, dato che ci sono altre strutture in città che godono di finanziamenti anche piuttosto cospicui. Pensiamo innanzitutto al cosiddetto Museo della civiltà fiumana, istriana e dalmata, che ha sede in un palazzo prestigioso completamente restaurato allo scopo, un museo che non ha nulla di scientifico, salvo un po’ di oggettistica etnografica, ma in compenso trasuda razzismo nei confronti di Sloveni e Croati, ed oltre a mistificare la storia con uno pseudo-elenco di “infoibati”, espone lo spaccato di una “finta foiba”, all’insegna del pessimo gusto più deteriore.
Eppure per questo museo i fondi si sono trovati e si trovano ancora, evidentemente, dato che senza finanziamenti non potrebbe sopravvivere.

Sempre a Trieste la Regione Friuli Venezia Giulia ha stanziato recentemente una serie di contributi ad associazioni varie, tra le quali troviamo: Euro 210.000 all’Associazione profughi istriani e dalmati, Euro 90.000 all’Istituto Regionale per la Cultura Istriana, Euro 20.000 alla Lega Nazionale, Euro 20.000 all’Associazione Novecento (quella che negli anni ha organizzato svariate iniziative con la presenza di ex nazisti e di neofascisti, ultima in ordine di tempo la presentazione del libro del neofascista Stefano Delle Chiaie, presentazione a cui alla direttrice di questo periodico è stato “consigliato” di non insistere per assistervi, in quanto ritenuta persona non grata agli organizzatori, presente la créme de la créme della vecchia eversione fascista), Euro 30.000 all’Associazione Panzarasa, il museo memoriale dei reduci della Decima Mas, peraltro gestito in collaborazione con la Novecento.
In totale fanno 370.000 Euro: mica spiccioli, governatore Tondo. Quanti ne occorrerebbero per iniziare i lavori per sistemare via Cologna e dare una sede dignitosa agli archivi che abbiamo citato prima?

E non possiamo fare a meno di stigmatizzare come anche a Roma, dove il Museo della Resistenza di via Tasso è da anni a rischio chiusura per mancanza di fondi, il 1° febbraio prossimo “l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – Presidenza nazionale e Comitato provinciale di Roma –, la Società di Studi Fiumani e l’Associazione Nazionale Dalmata firmeranno il protocollo d’intesa con Roma Capitale che sigla la concessione di un immobile posto nel cuore del centro storico e in luogo di grande valenza artistico- architettonica, nei pressi dei Fori imperiali. L’atto avrà luogo nell’ambito delle celebrazioni del Giorno del Ricordo, che come ogni anno viene commemorato alla presenza delle più alte cariche civili e militari di Roma Capitale e della cospicua comunità degli Esuli residenti. La Casa del Ricordo ospiterà la sede di rappresentanza delle tre associazioni della Diaspora, nonché della Sede nazionale Anvgd, la quale conserva comunque la sua base operativa in Via Leopoldo Serra” (dal comunicato dell’Anvgd).


Claudia Cernigoi

24 gennaio 2013.

scarica in pdf:     trieste senza memoria 

http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2013/01/trieste-senza-memoria.pdf





DIANA JOHNSTONE ON SERBIAN MUSIC AT THE U.N. GENERAL ASSEMBLY

Friday, 25 January 2013

Here I am forwarding some music that was intended as a message of international friendship.
I hope you can enjoy it.
However, the story has a bitter ending.

As current President of the UN General Assembly, Serbian foreign minister Vuk Jeremic conformed to tradition by hosting a display of his country’s culture at the UN headquarters in New York. He chose to invite the a cappella choir “Viva Vox”, dedicating their concert to peace among nations and hopes for a peaceful world.

I suggest that you skip Ban Ki-Moon’s speech on the YouTube recording and start at around minute 12, to get Jeremic’s introduction, and then listen to the songs. They were international, with a predominance of songs in the English language. Among them, John Lennon’s “Imagine”.

In response to enthusiastic applause, the group sang as an encore a classic composition from the First World War, “the March on the River Drina”, an invigorating tune sung without words. It was composed in 1914 in commemoration of Serbian soldiers’ heroic resistance to the Austro-Hungarian invasion, in which Serbia lost a third of its male population. The spirited march is well-known in the region, and was performed for example at a 1987 New Year’s concert in Vienna conducted by Herbert von Karajan.

Ban Ki-Moon seemed carried away, and the concert ended in a happy mood.
Serbs everywhere thought that at last, they were being welcomed back into the world as a normal people.
But this illusion was soon shattered.

Leaders of the “Congress of North American Bosniaks” (meaning Muslims) and kindred organizations, claiming to represent 350,000 Bosnian (Muslim) Americans, and 50,000 Bosnian (Muslim) Canadians, promptly addressed a protest to the UN Secretary General stigmatizing the concert as “a scandalous insult to the victims of genocide in Bosnia and Herzegovina because the orchestra played the infamous and offensive Serb nationalist song ‘March on the River Drina’.”

(By the way, there was no orchestra, as the concert was a cappella, using voices as instruments.)

The Bosniak militants, in their status as official victims, claimed that: “The genocide that occurred in Srebrenica and Zepa, and other parts of Bosnia and Herzegovina, was conducted by Serbian aggressors while blasting this song as they raped, murdered, and ethnically cleansed the non-Serb population. This particular fascist song is used to inspire ethnic and nationalist hatred against everything non-Serb and was used as a tool to inspire the murder of thousands of non-Serb civilians at the hand of Serbian nationalists.” 

This was a preposterous falsehood, conjuring an image of the Bosnian civil war as a sort of macabre musical comedy.
It was profoundly dishonest about the song, about the 1992-1995 civil war in Bosnia-Herzegovina and about the spirit of the UN concert.
And yet, the office of the UN Secretary General humbly issued an apology!
This was a slap in the face of the young Serbian choir members, who from their appearance were mostly small children at the time of the war in neighboring Bosnia-Herzegovina and the 1999 NATO bombing of their own country. 
But the Serbs have had to become used to such treatment.

In the tragic disintegration of Yugoslavia, the United States, for geopolitical reasons, decided to adopt the Muslim side. As a result, nearly some two decades later, the Muslims enjoy the privileged status of “official victims”, and Serbs are stigmatized as the guilty party. All in the name of “multiculturalism”, “human rights” and “our common Western values”.

This scandalously cowardly reaction of the UN Secretary General’s office makes it practically a duty to listen to this concert.

Diana Johnstone



14 Jan 2013: Viva Vox Choir (Belgrade) - New Year's Concert of the 67th Session of the General Assembly

Viva Vox is a choir which mainly performs a capella arrangements of world pop/rock and classical music, accompanied by beatbox. Television announcer Zoran Baranac served as the Master of Ceremonies.


Remarks by H.E. Mr. Vuk Jeremić, President of the 67th Session of the United Nations General Assembly at the concert featuring Viva Vox Choir from Belgrade.

Remarks by United Nations Secretary-General Ban Ki-moon at the concert featuring Viva Vox Choir from Belgrade.


Il giorno 20/gen/2013, alle ore 00.16, Coord. Naz. per la Jugoslavia ha scritto:

 

(espanol / english.

Reazioni demenziali all'ONU per la esecuzione - da parte del coro Viva Vox di Belgrado in un concerto alla Assemblea Generale nell'ambito dei festeggiamenti del Capodanno Ortodosso - della "Marcia sulla Drina", nota splendida melodia la cui origine risale alla I Guerra Mondiale. Una lettera di protesta spedita al Segretario Generale da parte di ambienti bosgnacchi, che lamentavano l' "offesa" per l'esecuzione della melodia tradizionale serba, ha indotto il portavoce del Segretario Generale a scusarsi - non si sa di cosa - ed il quotidiano Washington Post a scrivere amenità dipingendo la "Marcia sulla Drina" come una specie di inno nazionalista o fascista. E' stato fatto giustamente notare, però, che con la vittoria nella I Guerra Mondiale - pagata a carissimo prezzo dai serbi con la morte di un terzo della popolazione maschile - essi poterono sedere assieme agli altri paesi e popoli vincitori fornendo il loro importante contributo proprio alla creazione della Società delle Nazioni! Davvero l'ignoranza storica e la fobìa antiserba dominano e dettano l'agenda di quel poco che della Società delle Nazioni ancora rimane. [I.Slavo])


March to Drina


Newspaper "The Washington Post" published a story yesterday with an interpretation of the Serbian patriotic song "March on the Drina" as a nationalist and fascist, just because of the protests of Bosnian Muslims who had sent a protest letter to the UN saying that this song insults the victims of the war from the 90's. We'd just like to remind "The Washington Post", but also all those who have forgotten, "March on the Drina" is a song written over a century ago and which occupies a central place in the memory of the Serbs of the defense from the Austro-Hungarian invaders in World War I, during which Serbia has lost a third of its male population in many battles in which they fought on the side of the Allies. In World War I the Drina river was the site of major battles between Serbia and Austria-Hungary in which Serbia defended its freedom. Serbia is proud of its great and rich history and its centuries-old struggle for freedom in which it has always been on the side of goodness and justice, no matter the high cost it had to pay. Our message to the reporters of these newspapers is - take a book and try to educate yourself a little before writing about something you don't know nothing about! Read the article and write your opinion about it in the comment.


Link: 
UN apologizes for ovation given to Serb militant song “March on the Drina” at UN concert
By Associated Press, January 17, 2013

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LA ONU REESCRIBIENDO “LA MARCHA SOBRE DRINA”

18/01/2013

El presidente de la Asamblea General de Naciones Unidas, Vuk Jeremic (Serbia), defendió hoy la interpretación de la Marcha de Drina durante un concierto celebrado el lunes en el plenario del máximo órgano de la ONU.

El también excanciller serbio rechazó los intentos de falsear el significado de la presentación de esa obra por parte del coro Viva Vox de Belgrado y los consideró como una profunda ofensa al pueblo de Serbia.

Destacó la importancia de la pieza musical que rinde tributo a quienes defendieron la libertad frente a los agresores durante la Primera Guerra Mundial, que costó la vida a la tercera parte de la población masculina serbia.

Estamos muy orgullosos de ella y queremos unirla al mundo con un mensaje de reconciliación para la presente y futuras generaciones, apuntó Jeremic.

La declaración del presidente de la Asamblea General fue emitida poco después que el vocero oficial de la ONU, Martin Nesirky, pidió disculpas porque el secretario general, Ban Ki-moon, aplaudió la obra tras su interpretación por el coro visitante.

Lamentamos sinceramente que hubiera gente que se ofendiera con esta canción, que no estaba incluida en el programa oficial, precisó.

Dijo que el titular de Naciones Unidas “no era consciente del uso que ha sido dado al himno”, en referencia a (dudosas y nunca comprobadas) versiones sobre su utilización por parte de grupos nacionalistas vinculados a la masacre de Srebrenica en 1995.

original AQUI: http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1021981&Itemid=1

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"MARCH TO DRINA RIVER" AND BAN KI-MOON APPOLOGY


The Honorable Ban Ki-Moon
Secretary General
760 United Nations Plaza
United Nations
New York, NY 10017

REF: The Drina March apology

Your Excellency,

The first Allied victory of the World War I, The Battle of Cer [Mountain], opened the door towards the end of The Great War and creation of The League of Nations, predecessor of The UN.

That is exactly what The Drina March represents, fighting for freedom regardless of the odds. Individuals who objected to The Drina March belong to a group that fought against the Allies in both World Wars.

UN apology for The Drina March being performed in The UN is an affront to millions of Allies who gave their lives in WWI for freedom.

Serbs as people never demographically recovered from the loss of 56% of male population in WWI, leading to the additional loss of up to one million in WWII. By UN Genocide Convention, it is Genocide by attrition. That is what the complaint about The Drina March was all about - the fear that the truth will come out.

Media battle cry "Serben Muss Sterben" (The Serbs must die) in 1914 announced this genocide and such racist cries continue to the present day. UN apology is creating a new wave of anti-Serb media reports bordering on racism.

Living behind barbed wire is already reality for the Serbs in UN-governed Kosovo. After this apology, what Serbs can expect next from The UN, a new text of The Universal Declaration of Human Rights that adds "except Serbs" to all articles?

Your Excellency, UN apology to anti-Serb racists who prefer to goose step to the tune of Die Fahne Hoch was misguided, factually inaccurate and morally wrong.
You owe an apology. To the Serbs and all Allied nations.

Yours Sincerely,
Bob Petrovich, Canada


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Orthodox New Year Celebration in UN

Jan 18th, 2013 | By De-Construct.net

Orthodox New Year in United Nations

Belgrade’s Viva Vox choir, performing a capella – without instruments, ushered the New 2013 Year with a concert in United Nations General Assembly in New York, on January 14, the first day of the New Year according to the Julian calendar.

An arrangement of traditional Serbian songs, mixed with world pop/rock and classical music was greeted with standing ovations. Among the best received was the famous Serbian First World War March to Drina.

The glorious March was composed by Stanislav Binički in 1914, in honor of the bravery of the Serbian Army, after winning a triumphal Battle of Cer, the first victory for the Allied forces in WWI.


VIDEOS: 

UN New Year concert by the Viva Vox choir from Belgrade

MARCH TO DRINA, A CAPELLA
Viva Vox choir, UN

MARCH TO DRINA, THE ORIGINAL: BELGRADE SYMPHONY ORCHESTRA
New Year concert at Belgrade Kolarac University, frula (traditional Serbian flute) Bora Dugić, conductor Boban Prodanović

MARCH TO DRINA, POP/ROCK STYLE
British pop group The Shadows, guitar Cliff Richard

MARCH TO DRINA, ROCK & ROLL
Guitar Radomir Mihajlović Točak, bas Lola Andrijić, drums David Moss, keyboards Laza Ristovski

MARCH TO DRINA, JAZZ
James Last Big Band

MARCH TO DRINA, TRUMPETS
100 Trumpets Concert, Belgrade Central Square