Informazione

(italiano / srpskohrvatski.
Sullo stesso argomento si vedano anche i nostri altri post precedenti:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7644
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7641 )

Podrška DNR Koreji

1) Articoli sulla RPD di Corea al sito CIVG
2) Podrška DNR Koreji, nuklearni rat nameću SAD (NKPJ)
3) Cosa c’è dietro il conflitto tra Stati Uniti e Corea del Nord? (di Jack A. Smith)


=== 1 ===

http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=147:korea-notizie-aprile-2013&catid=2&Itemid=101

KOREA NOTIZIE

Aprile 2013

- La Corea è Una -

a cura del Comitato per la Pace e la Riunificazione della Corea di Torino e CIVG



SOMMARIO


§  Dichiarazione del portavoce del CPRK  ( Comitato per la Riunificazione Pacifica della Corea )

§  La stampa occidentale ha dichiarato guerra alla Korea del Sud, ma non la Korea del Nord

§  Incontro di preghiera speciale per la Pasqua a Pyongyang

§  Corea del Sud: Coalizione Azione per la Pace

§  Le relazioni Nord-Sud sono state messe in stato di guerra: dichiarazione speciale della Repubblica Democratica Popolare di Corea

§  Dichiarazione del Presidente del Comitato Centrale del Partito Socialdemocratico di Corea

§  Il quotidiano coreano Rodong Sinmun invita tutti i coreani a sollevarsi nella Guerra Patriottica per la Riunificazione


VAI AL SITO:
http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=147:korea-notizie-aprile-2013&catid=2&Itemid=101


=== 2 ===

http://www.nkpj.org.rs/clanci-la/clanak_id=24-la.php

Podrška DNR Koreji, nuklearni rat nameću SAD


Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ) najoštrije osuđuje agresivno ponašanje Sjedinjenih Američkih Država i njenog satelita Južne Koreje kao i poteze koje povlači Japan a koji su preteći prema miroljubivoj Demokratskoj Narodnoj Republici Koreji i nameću joj nuklearni rat.



Potpuno je licemerno izveštavanje svetskih i srpskih buržoaskih medija koji za eskalaciju krize optužuju DNR Koreju bestidno ignorišući činjenicu da su svi potezi rukovodstva i vojske te zemlje samo reakcija na stalne manevre američkih i južnokorejskih trupa, dolazak u područje Korejskog poluostrva američkih nuklearnih aviona i brodova kao i na razmeštanje raketnog naoružanja Japana pod firmom "samoodbrane" a u stvari poteza urađenog u dogovoru sa imperijalističkim SAD da bi se dodatno zapretilo slobodoljubivom narodu DNR Koreje. Takođe potpuno su besmislene optužbe da je DNR Koreja opasnost za region i svet. Činjenice su sasvim drugačije, a one govore da jedinu pretnju predstavljaju interesi zapadnog imperijalizma predvođenog SAD i njene militarizovane marionete Južne Koreje a koji za cilj imaju uništenje DNR Koreje i rušenje socijalizma u toj zemlji.

SAD iz godine u godinu provociraju DNR Koreju koja je stoga primorana da značajni deo sredstava ulaže u izgradnju snažne obrane kako bi se mogla efikasno nositi s tim agresivnim pretnjama. Lenjin je govorio da revolucija vredi onoliko koliko je sposobna da se brani. U uslovima stalnih pretnji zapadnih imperijalista i južnokorejskih marioneta DNR Koreja je da bi zaštitila svoj suverenitet i svoje interese primorana da decenijama razvija vojnu snagu, uključujući tu i nuklearno oružje. S obzirom da su imperijalisti ti koji su još u vreme postojanja SSSR i socijalističkog bloka u Istočnoj Evropi nametnuli trku u nuklearnom naoružanju, opredeljenje DNR Koreje za razvoj nuklearnog oružja isključivo u svrhe odbrane svoje zemlje je pravilan potez i jedini jezik koji imperijalisti razumeju. NKPJ upozorava američke imperijaliste da prestanu sa daljim provokacijama jer ako se izazove sukob na Korejskom poluostrvu on bi sasvim sigurno dobio nuklearne konotacije što nije u bilo čijem interesu a isključivi krivac za takav razvoj situacije biće administracija u Vašingtonu predvođena predsednikom Barakom Obamom.

NKPJ daje punu podršku DNR Koreji i njenom rukovodstvu na čeli sa drugom Kim Džong Unom i u slučaju daljih pritisaka zapadnog imperijalizma organizovaće u Srbiji akcije solidarnosti sa tom socijalističkom zemljom, odnosno akcije protesta protiv ponašanja SAD i njegovog satelita Južne Koreje.

Imperijalisti dalje ruke od DNR Koreje!

Živela Radnička partija Koreje!

Živeo proleterski internacionalizam!


Sekratarijat Nove komunističke partije Jugoslavije

Beograd,

11. april 2013. godine


=== 3 ===

http://ciptagarelli.jimdo.com/2013/04/08/conflitto-usa-corea-del-nord/

I pericoli della guerra

Cosa c’è dietro il conflitto tra Stati Uniti e Corea del Nord?

di Jack A. Smith; da: rebelion.org (fonte: GlobalResearch); 7.4.2013

 


Cosa sta succedendo tra Stati Uniti e Corea del Nord, che questa settimana ha prodotto titoli come “Aumentano le tensioni in Corea” e “La Corea del Nord minaccia gli Stati Uniti”?
Il 30 marzo The New York Times informava: “Questa settimana il giovane dirigente della Corea del Nord, Kim Jung-un, ha ordinato ai suoi subordinati di prepararsi per un attacco con missili agli Stati Uniti. Si è mostrato in un centro di comando di fronte ad una mappa appesa al muro con il baldanzoso e improbabile titolo ‘Piani per attaccare il territorio degli Stati Uniti’. Alcuni giorni prima i suoi generali si sono vantati di aver sviluppato un’ogiva nucleare “stile coreano” che potrebbe essere utilizzata da un missile a largo raggio”.

 

Gli Stati Uniti sanno bene che le dichiarazioni della Corea del Nord non sono suffragate da un potere militare sufficiente a materializzare le sue minacce retoriche, ma la tensione sembra aumentare in tutti i modi. Che sta succedendo?
Devo tornare un poco indietro nel tempo per spiegare la situazione. 



Dalla fine della Guerra di Corea, 60 anni fa, il governo della Repubblica Popolare di Democratica della Corea del Nord (RPDCN o Corea del Nord) ha fatto ripetutamente sempre le stesse quattro proposte agli Stati Uniti:
1. Un trattato di pace per mettere fine alla Guerra di Corea;
2. La riunificazione della Corea “temporaneamente” divisa in Nord e Sud dal 1945;
3. Fine dell’occupazione statunitense della Corea del Sud e sospensione delle simulazioni di combattimento annuali della durata di un mese tra Stati Uniti e Corea del Nord;
4. Negoziati bilaterali tra Washington e Pyogyang per mettere fine alle tensioni nella penisola di Corea.

 

Nel corso degli anni gli Stati Uniti ed il loro protettorato sudcoreano hanno ogni volta rifiutato ognuna delle proposte. Di conseguenza la penisola è rimasta estremamente instaabile durante il decennio 1950.
Ora si è giunti al punto che Washington ha utilizzato le sue simulazioni di guerra annuali, che sono cominciati all’inizio di marzo, per organizzare una simulazione di attacco nucleare alla Corea del Nord, facendo alzare in volo due bombardieri B-2 Stealth con capacità nucleare sulla regione il 28 marzo. Tre giorni dopo la casa Bianca ha inviato nella Corea del Sud aerei da combattimenti “invisivili” F-22 Raptor, col che la tensione si è alzata ancor di più.

 

Vediamo cosa c’è dietro queste quattro proposte:

 

1. Gli Stati Uniti non vogliono firmare un trattato di pace per mettere fine alla Guerra di Corea. Hanno accettato solo un armistizio, che è una cessazione temporale del combattimento per accordo mutuo. Si riteneva che l’armistizio firmato il 27 luglio 1953 si sarebbe trasformato in trattato di pace nel momento in cui “si fosse raggiunto un accordo pacifico finale”. La mancanza di un trattato significa che la guerra può ricominciare in qualsiasi momento, La Corea del Nord non vuole una guerra con gli Stati Uniti, lo Stato con maggiore potere militare della storia. Vuole un trattato di pace.
2. Le due Coree esistono in conseguenza di un accordo tra l’Unione Sovietica (che divide una frontiera con la Corea e che durante la II° Guerra Mondiale aiutò la parte nord del paese a liberarsi dal Giappone) e gli Stati Uniti, che occuparono la parte sud. Nonostante che il socialismo prevalesse a nord ed il capitalismo al sud, la divisione non doveva essere permanente. Le due grandi potenze avrebbero dovuto ritirarsi nel giro di due anni e permettere che il paese si riunificasse. La Russia lo fece, gli Stati Uniti no. Arrivò allora la devastante guerra dei tre anni nel 1950. Da quella data la Corea del Nord ha fatto varie e diverse proposte per mettere fine ad una divisione che dura dal 1945. Credo che la più recente sia “un paese, due sistemi”. Ciò significa che, anche se le due parti si riunissero, il sud continuerebbe ad essere capitalista ed il nord socialista. Sarebbe difficile, ma non impossibile. Washington non lo vuole. Cerca di impadronirsi di tutta la penisola per portare il suo “ombrello” militare direttamente alla frontiera con la Cina, e anche con la Russia.
3. Dalla fine della guerra Washington ha mantenuto tra i 25.000 e i 40.000 soldati nella Corea del Sud. Insieme alle flotte, alle basi dei bombardieri nucleari e alle installazioni di truppe statunitensi molto vicine alla penisola, questi soldati continuano ad essere un memento di due cose. Una è che “possiamo schiacciare il nord” e l’altra è “La Corea del Sud ci appartiene”. Pyongyang la vede in questo modo (e molto di più da quando il presidente Obama ha deciso di puntare sull’Asia). Anche se questa svolta ha aspetti economici e commerciali, il suo proposito principale è aumentare il già considerevole potere militare nella regione per intensificare le minacce a Cina e Corea del Nord.
4. la Guerra di Corea fu sostanzialmente un conflitto tra la Repubblica Popolare Democratica della Corea del Nord e gli Stati Uniti. Cioè, per quanto altri paesi delle Nazioni Unite partecipassero alla guerra, gli Stati Uniti si fecero carico di essa, dominarono la lotta contro la Corea del Nord e furono responsabili della morte di milioni di coreani a nord della linea divisoria del 38° parallelo. E’ del tutto logico che Pyongyang cerchi di negoziare direttamente con Washington per risolvere le divergenze e raggiungere un accordo pacifico che porti ad un trattato. Gli Stati Uniti hanno sistematicamente rifiutato.

 

Questi quattro punti non sono nuovi. Furono fissati nel decennio 1950.

 

Nel 1970 visitai in tre occasioni la Repubblica Popolare Democratica della Corea del Nord, per un totale di otto settimane, come inviato del giornale statunitense The Guardian. Tutte le volte, durante i colloqui con i dirigenti, mi veniva fatta la richiesta di un trattato di pace, della ritirata delle truppe statunitensi del Sud e di negoziati diretti. Oggi la situazione è la stessa. Gli Stati Uniti non hanno ceduto di un pollice.

 

Perché no? Washington vuole liberarsi del regime comunista prima di permettere che la pace prevalga nella penisola. Altro che “uno Stato, due sistemi”! Vuole uno Stato che prometta lealtà … indovinate a chi?

 

Nel frattempo l’esistenza di una “bellicosa” Corea del Nord giustifica che Washington accerchi il sud con un autentico anello di potenza di fuoco nel nord-est del Pacifico sufficientemente vicino per bruciare la Cina, anche se non del tutto. Una “pericolosa” Repubblica Popolare Democratica della Corea del Nord è utile anche per mantenere il Giappone all’interno dell’orbita statunitense ed è anche un’altra scusa perché il precedentemente pacifico Giappone si vanti del suo già formidabile arsenale.

 

Riguardo a questo voglio citare un articolo di Christine Hong e di Hyung Le pubblicato il 15 febbraio in Foreign Policy in Focus:
Definire la Corea del Nord come la principale minaccia per la sicurezza della regione nasconde la natura falsa della politica del presidente statunitense Barak Obama nella regione, in concreto l’identità di quello che i suoi consiglieri chiamano ‘pazienza strategica’ da una parte e, dall’altra, l’atteggiamento militare e l’alleanza con i falchi regionali che è stata raggiunta. Esaminare la politica aggressiva di Obama rispetto alla Corea del Nord e le sue conseguenze è fondamentale per capire perché le dimostrazioni di potenza militare (della politica attraverso altri mezzi, con la parole di Karl von Klausevitz) sono le uniche vie di comunicazione che la Corea del Nord sembra avere con gli Stati Uniti in questo periodo”.

 

Riporto qui un’altra citazione di Brian Becker, della coalizione ANSWER:
Il Pentagono e l’esercito della Corea del Sud oggi (e nel corso dell’anno passato) hanno organizzato grandi simulazioni di guerra che riproducono l’invasione e il bombardamento della Corea del Nord. Pochi, negli Stati Uniti, conoscono la vera situazione. Il lavoro della macchina propagandistica di guerra è fatto per assicurarsi che il popolo statunitense non si unisca per esigere che cessino le pericolose e minacciose azioni del Pentagono nella Penisola di CoreaLa campagna di propaganda è ora in pieno svolgimento mentre il Pentagono sale la scala dell’intensificazione nella parte più militarizzata del pianeta.
La Corea del Nord è considerata il provocatore e l’aggressore ogni volta che afferma di aver diritto a difendere il proprio paese e di avere la capacità di farlo. Anche quando il Pentagono simula la distruzione nucleare di un paese che ha già tentato di bombardare fino a ridurlo all’Età della pietra, i mezzi di comunicazione di proprietà delle corporations caratterizzano quest’atto estremamente provocatorio come segno di determinazione e un mezzo difensivo.”.

 

Altra citazione di Stratfor, un servizio di intelligence privato che di solito se ne intende:
Gran parte del comportamento della Corea del Nord si può considerare retorico anche se, tuttavia, non è chiaro fino a dove vuole arrivare Pyongyang se continua a non poter forzare i negoziati attraverso la belligeranza”.
Qui si dà per scontato l’obiettivo di iniziare i negoziati.

 

La “bellicosità” di Pyongyang è quasi interamente verbale (forse vari decibels troppo alta per le nostre orecchie), ma la Corea del Nord è un piccolo paese in difficili circostanze che ben ricordano la straordinaria brutalità che Washington ha inflitto al territorio nel decennio del 1950. Milioni di coreani morirono. I “bombardamenti di saturazione” statunitensi furono criminali. La Corea del Nord è decisa a morire lottando se questo succederà nuovamente, ma spera che la sua preparazione (militare) impedisca la guerra e porti a negoziati e ad un trattato di pace.
Il suo grande e ben addestrato esercito è difensivo. Il fine dei missili che sta costruendo e del parlare di armi nucleari è, fondamentalmente, quello di spaventare il lupo che ha sulla porta di casa.

 

A breve termine, la retorica bruciante di Kim Jong-un è la risposta diretta alla simulazione di guerra di durata mensile di quest’anno da parte di Stati Uniti e Corea del Sud, che egli interpreta come un possibile preludio di un’altra guerra. Il proposito di Kim a lungo termine è creare una crisi sufficientemente inquietante perché gli Stati Uniti pervengano finalmente a negoziati bilaterali, e possibilmente ad un trattato di pace e all’uscita delle truppe straniere. Più avanti si potrà pensare ad una qualche forma di riunificazione, in negoziati tra ilo nord ed il sud.

 

Sospetto che l’attuale confronto si calmerà una volta che le simulazioni di guerra finiranno. Il governo Obama non ha intenzione di creare le condizioni per un trattato di pace, specialmente ora che l’attenzione della Casa Bianca sembra assorta nell’Est dell’Asia, dove percepisce un possibile pericolo per la sua supremazia geopolitica.

 

(*) Direttore di Activist Newsletter
 
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)




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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
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A lire aussi les autres articles dans Horizons et débats (Zurich)
N°13, 1 avril 2013 ( http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3885 ):

«L’agression de l’OTAN contre la Yougoslavie en 1999 était un modèle des nouvelles guerres de conquête»
«Interventions humanitaires» – prétexte pour le stationnement de troupes américaines | Interview de Živadin Jovanovic, ancien ministre des Affaires étrangères de la République fédérale de Yougoslavie
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3886

L’agression de l’OTAN contre la République fédérale de Yougoslavie de 1999
par Milica Radojkovic-Hänsel
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3887

Dix ans déjà!
Extrait des actes du Congrès intitulé «Nato Aggression. The Twilight of the West»
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3888

Les peuples qui n’ont pas d’histoire n’ont pas d’avenir
par Pierre-Henri Bunel, commandant, France
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3889

Ne jamais oublier
Document final de la Conférence internationale de Belgrade | organisée les 23 et 24 mars 2009 à Belgrade
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3890

AUF DEUTSCH: http://www.zeit-fragen.ch/index.php?id=1402
IN ENGLISH: http://www.currentconcerns.ch/index.php?id=2311


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http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3887

http://www.voltairenet.org/article178064.html

« LA PUISSANCE DOIT PRIMER SUR LE DROIT »

L’agression de l’OTAN contre la République fédérale de Yougoslavie de 1999


par Milica Radojkovic-Hänsel

La Serbie a t-elle été attaquée, en 1999 ? Pour répondre à la question, Milica Radojkovic-Hänsel convoque les documents d’époque (incluant la lettre de Willy Wimmer au chancelier Gerhard Shröder). Il met en évidence le caractère inadmissible des demandes de Rambouillet pour justifier une guerre déjà lancée.

RÉSEAU VOLTAIRE  | 11 AVRIL 2013

Il y a 14 ans – après les négociations de Rambouillet et Paris entre le 6 et le 23 février 1999 – les médias globaux avaient informé au public que « la délégation serbe n’a pas accepté l’accord offert et qu’elle l’a qualifié de ‘nul et non avenu’ ».
Les médias insinuaient, que le soi-disant Groupe de contact pour la Yougoslavie soutenait prétendument cet accord. Cette commission était composée de 4 pays membres de l’OTAN plus la Russie. Mais la Russie refusait d’approuver la partie militaire (annexe B) de cet accord – un fait qui à été caché par les informations des médias.
Qu’est-ce qui c’est réellement passé à Rambouillet et Paris et quels étaient les termes exacts de l’« annexe B » ?
Madeleine Albright, la secrétaire d’Etat états-unienne de l’époque, a prétendu que « la partie militaire de l’accord était pratiquement le noyau de l’accord offert à Rambouillet », lequel était inacceptable pour la délégation de la République fédérale de Yougoslavie.
Živadin Jovanovic, le ministre des Affaires étrangères yougoslave d’alors, a déclaré dans son interview avec le quotidien de Belgrade Politika, le 6 février 2013, qu’« à Rambouillet, il n’y a eu ni tentative d’atteindre un accord, ni de négociation, ni un accord ». La délégation yougoslave avait été invitée à Rambouillet afin de participer aux négociations avec la délégation albanaise du Kosovo.
Il semble exact qu’il n’y a effectivement pas eu de négociation. Cette conclusion peut être tirée des diverses prises de position de quelques représentants occidentaux, entre autres celles du président d’alors de l’Organisation pour la sécurité et la coopération en Europe (OSCE) et du ministre des Affaires étrangères norvégien.
L’information partisane de la presse occidentale et les affirmations partiales des politiciens occidentaux concernant « l’échec des négociations suite au refus du document politique demandant une large autonomie du Kosovo » par les représentants yougoslaves, visaient à préparer l’opinion publique à une agression militaire l’OTAN, agression qui était déjà planifiée pour octobre 1998 mais qui fut, pour des raisons évidentes, reportée au 24 mars 1999.
La seule chose vraie est que la délégation yougoslave avait prié à plusieurs fois de pouvoir négocier – ce qui ressort des messages écrits transmis aux négociateurs lors des pourparlers – des négociations directes entre les délégations yougoslave et kosovare.
Les documents officiels prouvent ce fait. Christopher Hill, le représentant des Etats-Unis à ces négociations, a prétendu dans sa réponse à de telles demandes que la délégation du Kosovo « ne voulait pas de négociations directes ». « Ainsi, il était clair pour nous tous que le dialogue directe ne convenait pas aux Américains et que c’était la véritable raison pour laquelle le contact direct n’a pas eu lieu », a déclaré Jovanovic. Et d’ajouter : « Il n’est point croyable que dans une situation, dans laquelle les Américains auraient vraiment voulu des négociations directes, la délégation du Kosovo n’aurait pas accepté cette demande. »
Les médias du monde et les représentant occidentaux ont sciemment mal interprété le refus prétendu de la Yougoslavie, de « l’établissement de troupes pour le maintien de la paix au Kosovo (et Métochie) ». La vérité par contre est que la délégation yougoslave avait accepté les parties politiques du projet d’accord de Rambouillet, mais pas son « annexe B » avec les points 2, 5 et 7, qui proposaient et demandaient l’occupation militaire de tout le territoire de la République fédérale de Yougoslavie d’antan (c’est-à-dire la Serbie avec deux provinces autonomes et le Monténégro). C’est pour cela que l’opinion publique du monde entier a été objet d’une manipulation médiatique, disant que les Serbes « refusaient des troupes de maintien de la paix au Kosovo (et Métochie) ».
Mais que sont les « forces de maintien de la paix » dans la pratique internationale et dans le droit international ? Dans la pratique internationale ce sont des troupes administrées par les Nations Unies (les Casques bleus) ; se sont des troupes, que les pays membres de l’ONU mettent à disposition. Ce ne sont pas des troupes de l’OTAN.
Afin de comprendre, ce qui a poussé la République fédérale de Yougoslavie à refuser la partie militaire du document présenté à Rambouillet, il est nécessaire de lire ses dispositions :
« (I) Les personnels de l’OTAN bénéficieront, tout comme leurs véhicules, navires, avions et équipement, d’un passage libre et sans restriction et d’un accès sans ambages dans toute la RFY, y compris l’espace aérien, les eaux territoriales associées et toutes les installations ;
(II) Les personnels de l’OTAN, en toutes circonstances et à tout moment, seront dispensés des juridictions des Parties, concernant toute agression civile, administrative, criminelle ou disciplinaire qu’ils sont susceptibles de commettre en RFY ;
(III) Les personnels militaires de l’OTAN devront normalement porter un uniforme, ils pourront posséder et porter une arme ;
(IV) Les Parties pourront, sur simple demande, accorder tous les services de télécommunication, y compris les services de diffusion, nécessaires à l’Opération, tels que définis par l’OTAN. Ceci comprendra le droit d’utiliser les moyens et services nécessaires pour assurer une capacité totale de communiquer et le droit d’utiliser tout le spectre électromagnétique à cette fin, gratuitement ;
(V) l’OTAN est autorisée à détenir des individus et, aussi vite que possible, à les remettre aux autorités concernées. »
Les médias du monde, surtout ceux des Etats membres de l’OTAN et les représentants d’alors des Etats-Unis et d’Europe, ont caché le contenu du document militaire, en reprochant aux dirigeants serbes et au président yougoslave « un manque de coopération dans les efforts, de trouver une solution pacifique ». Tout comme Rambouillet, « la Conférence de Paris n’était pas une réunion, dans laquelle on aurait pu voir un ‘effort’ sérieux pour arriver à une entente, des négociations ou un accord ». L’envoyé des Etats-Unis, Christopher Hill, exigea de la délégation yougoslave uniquement de signer le texte qu’il avait élaboré et mis sur table – selon le principe Take it or leave it, à expliqué l’ancien ministre Živadin Jovanovic.
Outre les nombreuses condamnations du projet d’accord exprimées par des experts en droit international, l’appréciation du document par l’ex secrétaire d’Etat US Henry Kissinger a fait l’objet d’une attention spéciale dans une interview accordée le 27 juin 1999 au Daily Telegraphde Londres. Il y avait alors déclaré :
« Le texte du projet de l’accord de Rambouillet, qui exigeait le stationnement de troupes de l’OTAN dans toute la Yougoslavie, était une provocation. Il a servi de prétexte pour commencer les bombardements. Le document de Rambouillet était formulé de telle manière qu’aucun Serbe ne pouvait l’accepter. »
Ces mots indiquent, entre autres, que l’agression de 1999 contre la République fédérale de Yougoslavie était présentée dans les médias occidentaux comme un épilogue, qui se retrouvait dans le lancement de la nouvelle stratégie interventionniste de l’OTAN sous la conduite des Etats-Unis. Cette stratégie a été officiellement introduite lors de la rencontre de l’OTAN qui s’est tenue le 25 avril 1999 à Washington, c’est-à-dire au moment même où l’agression contre la République fédérale de Yougoslavie avait lieu.
Avec l’agression contre la République fédérale de Yougoslavie, l’OTAN a muté d’une alliance défensive en une alliance agressive, qui s’arroge le droit d’intervenir partout dans le monde en tant que puissance militaire.
En outre, l’estimation des dirigeants yougoslaves en ce qui concerne la politique officielle du pays était juste, quand ils disaient qu’un des buts de cette agression était de créer un préjudice pour des actions militaires sans mandat de l’ONU et en violation de la charte de l’ONU dans le monde entier.
Cet avis a été confirmé lors de la conférence de pays membres de l’OTAN et des candidats à l’adhésion, qui a eu lieu en avril 2000 à Bratislava. La conférence avait été organisée par le Département d’Etat US et l’American Enterprise Institute du Parti républicain, seulement quelques mois après l’agression contre la République fédérale de Yougoslavie. Parmi les participants il y avait de très hauts fonctionnaires (des représentants gouvernementaux ainsi que des ministres des Affaires étrangères et de la Défense) des pays membres de l’OTAN et des candidats à l’adhésion.
Les sujets principaux à cette conférence étaient les Balkans et l’élargissement de l’OTAN. Dans son résumé écrit de la conférence du 2 mai 2000, résumé qu’il avait fait parvenir au chancelier allemand Gerhard Schröder, Willy Wimmer, alors membre du Bundestag et vice-président de l’Assemblée parlementaire de l’OSCE déclarait que, selon les Etats-Unis, l’attaque de l’OTAN contre la République fédérale de Yougoslavie constituait un précédent qui pourra être utilisé, à chaque fois qu’on en aura besoin. C’est qu’il signale dans la phrase : « bien sûr tel un précédent auquel chacun pourra se référer et le fera ».
Wimmer y expliquait une des conclusions décisives. Il s’agit d’une confirmation, rétroactive, que le véritable but des négociations de Rambouillet n’était pas de rendre possible de quelconques négociations directes entre les parties concernées (Serbes et Albanais) ou de trouver une quelconque solution politique, mais plutôt de créer un prétexte pour une agression, ce que Henry Kissinger avait déjà clairement signalé en 1999 (« Il a servi de prétexte pour le début des bombardements. »).
Dans son message écrit, Willy Wimmer fait remarquer ensuite que [selon l’organisateur lui-même] « la guerre contre la République fédérale de Yougoslavie a été menée pour corriger une décision erronée du général Eisenhower datant de la Seconde Guerre mondiale ». En conséquence, il fallait que des troupes US y soient stationnées, pour des raisons stratégiques, ce qui n’a pas été fait en 1945. Avec la construction de la base militaire Camp Bondsteel au Kosovo – la plus grande d’Europe – les Etats-Unis ont mis en pratique leur position exprimée lors de la Conférence de Bratislava, en prétendant que « pour des raisons stratégiques, il fallait stationner des soldats américains dans cette région ».
Dans sa lettre, Wimmer affirme aussi (point 1) : « Les organisateurs demandèrent de procéder aussi rapidement que possible au sein des alliés à la reconnaissance d’un Kosovo indépendant au niveau du droit international », pendant que « la Serbie (en tant qu’Etat successeur de la Yougoslavie) doit durablement rester en marge du développement européen », (selon Wimmer afin d’assurer la présence militaire US dans les Balkans).
En outre, Willy Wimmer revendique :
« La constatation du fait que l’OTAN avait agi contre toutes les règles internationales et avant tout contre les clauses impératives du droit international en attaquant la République fédérale de Yougoslavie, ne rencontra aucune opposition ». (Point 11)
Dans son texte, il est également écrit :
« La partie américaine semble vouloir, dans le contexte global et afin d’imposer ses buts, consciemment et volontairement faire sauter l’ordre juridique international résultant de deux guerres au dernier siècle »
Ce qui veut dire que le droit international est considéré comme un obstacle à l’élargissement prévu de l’OTAN.
Et Wimmer de terminer : « La puissance doit primer sur le droit. »

Texte intégral de la lettre adressée, le 2 mai 2000, au Chancelier de la République fédérale d’Allemagne, Gerhard Schöder, par Willy Wimmer, alors vice-président de l’Assemblée parlementaire de la OSCE

Lettre à Monsieur Gerhard Schröder, député au Bundestag 
Chancelier de la République fédérale allemande 
Chancellerie fédérale 
Schlossplatz 1, 1017 Berlin
Berlin, le 2 mai 2000
Monsieur le Chancelier,
A la fin de la semaine passée, j’ai eu l’occasion de participer à Bratislava, la capitale de la Slovaquie, à une conférence organisée conjointement par le Département d’Etat des Etats-Unis et l’American Enterprise Institute (l’Institut des Affaires étrangères du Parti républicain) ayant pour thèmes principaux les Balkans et l’extension de l’OTAN.
Des auditeurs de haut rang assistaient à la manifestation, ce dont témoignait la présence de nombreux Premiers ministres ainsi que de ministres des Affaires étrangères et de la Défense de la région. Parmi les nombreux points importants qui ont pu être traités dans le cadre du thème susmentionné, quelques-uns méritent particulièrement d’être cités :
  1. Les organisateurs demandèrent la reconnaissance par les alliés, aussi rapidement que possible, en droit international public, de l’Etat indépendant du Kosovo. [1]
  2. Les organisateurs déclarèrent que la République fédérale de Yougoslavie se situe en dehors de tout ordre juridique, avant tout de l’Acte final d’Helsinki. [2]
  3. L’ordre juridique européen s’oppose à la réalisation des idées de l’OTAN. L’ordre juridique américain peut plus facilement être appliqué en Europe.
  4. La guerre contre la République fédérale de Yougoslavie a été menée pour corriger une décision erronée du général Eisenhower durant la Seconde Guerre mondiale. Pour des raisons stratégiques, il fallait stationner des soldats américains dans cette région. [3]
  5. Les alliés européens ont participé à la guerre contre la Yougoslavie pour vaincre de facto le dilemme résultant du « nouveau concept stratégique » de l’Alliance, adopté en avril 1999, et du penchant des Européens en faveur d’un mandat préalable des Nations Unies ou de l’OSCE.
  6. En dépit de l’interprétation légaliste subséquente des Européens, selon laquelle il s’est agi, dans cette guerre contre la Yougoslavie, d’une tâche dépassant le champ d’action conventionnel de l’OTAN, nous sommes en présence d’un cas d’exception. C’est évidemment un précédent qui peut être invoqué en tout temps et par tout un chacun, et cela se produira aussi dans le futur. [4]
  7. Dans le cadre de l’élargissement de l’OTAN prévu à brève échéance, il s’agit de rétablir, entre la mer Baltique et l’Anatolie, la situation géopolitique telle qu’elle était à l’apogée de l’expansion romaine. [5]
  8. Pour réaliser cela, la Pologne doit être entourée au nord et au sud par des Etats voisins démocratiques, la Roumanie et la Bulgarie doivent être reliées à la Turquie par une liaison routière sûre et la Serbie (probablement pour assurer la présence militaire américaine) doit durablement rester en marge du développement européen.
  9. Au nord de la Pologne, il s’agit de maintenir un contrôle total de l’accès de Saint-Pétersbourg à la mer Baltique. [6]
  10. Dans chaque processus, la priorité doit revenir au droit à l’autodétermination, avant toutes autres dispositions et règles du droit international public. [7]
  11. La constatation que l’OTAN avait agi contre toutes les règles internationales et avant tout contre les clauses impératives du droit international en attaquant la République fédérale de Yougoslavie, ne rencontra aucune opposition. [8]
Vu les participants et les organisateurs, on ne peut s’empêcher, à l’issue de cette manifestation qui s’est déroulée en toute franchise, de procéder à une évaluation des déclarations faites à cette conférence.
La partie américaine semble vouloir, dans le contexte global et afin d’imposer ses buts, consciemment et volontairement faire sauter l’ordre juridique international résultant de deux guerres au dernier siècle. La puissance doit primer sur le droit. Là où le droit international fait obstacle, on l’élimine.
Lorsqu’un développement semblable frappa la Société des Nations, la Seconde Guerre mondiale pointait à l’horizon. On ne peut qu’appeler totalitaire une réflexion qui considère ses propres intérêts de façon aussi absolue.
Veuillez agréer, Monsieur le Chancelier, l’expression de mes sentiments distingués.
Willy Wimmer 
Membre du Bundestag 
Président du groupement régional de la CDU du Bas-Rhin, 
Vice-président de l’Assemblée parlementaire de l’OSCE


Le présent article a été rédigé sur la base de l’article d’Andreas Bracher « Was will die westliche Balkanpolitik ? » et des remarques d’Andreas Bracher, parus in Der Europäer Jg. 6, Nr. 1, Nov. 2001.

Les notes de bas de page sont d’Andreas Bracher.

Traduction : Horizons et débats

[1] Jusqu’à présent, le Kosovo teste formellement une province de la Serbie, qui est elle-même une République faisant partie de la Yougoslavie. Le maintien de ce statut avait été une condition préalable à la fin de la guerre dite du Kosovo de juin 1999. Officiellement, le maintien de ce statut fait jusqu’à aujourd’hui partie du programme de l’Occident.

[2] L’Acte final d’Helsinki : l’ordre dit de la CSCE, qui en avait établi en 1975 les bases pour une vie communautaire des Etats en Europe. Parmi ces bases figurait, entre autres, l’inviolabilité des frontières.

[3] Cela semble se rapporter à l’invasion des Alliés durant la Seconde Guerre mondiale. Churchill avait demandé entre autres une invasion alliée dans les Balkans. Au lieu de cela, Eisenhower ordonna, en tant que Chef suprême des forces alliées, un débarquement en Sicile (1943) et en France (1944). Par conséquent, il n’y a pas eu de forces d’occupation occidentales dans les Balkans.

[4] L’OTAN a mené la guerre du Kosovo de 1999 sans mandat de l’ONU. Un pareil mandat aurait correspondu aux desiderata des gouvernements européens, mais pas à ceux du gouvernement des Etats-Unis. Celui-ci aimerait agir de façon aussi autoritaire que possible et sans restrictions internationales. Ce qu’on entend manifestement sous points 5 et 6, c’est que dans cette guerre, 
a) les Etats européens ont surmonté leurs engagements envers leurs opinions publiques par rapport au mandat de l’ONU et 
b) que cela a créé un précédent pour des engagements futurs sans mandat de l’ONU.

[5] L’Empire romain n’a jamais atteint la mer Baltique. Pour autant que Wimmer ait rendu correctement les déclarations, on entend apparemment d’une part l’empire romain, d’autre part l’Eglise de Rome.

[6] Cela signifie donc qu’il faut couper la Russie de son accès à la mer Baltique et l’écarter ainsi de l’Europe.

[7] L’accent mis sur le droit à l’autodétermination montre à nouveau le wilsonianisme des Etats-Unis – d’après l’ancien président US Woodrow Wilson – qui était, selon Rudolf Steiner, un adversaire essentiel lors de la fondation de la triarticulation sociale. Steiner considérait que c’était un programme de « la destruction de la vie communautaire des peuples européens ». Celle-ci permet le démantèlement de presque tous les Etats européens par la mise en exergue des « problèmes de minorités ».

[8] Il semble que ce sont là des réactions à des remarques de Wimmer. Les participants à la conférence étaient parfaitement conscients de ces atteintes aux clauses du droit international public, mais elles leur étaient indifférentes.





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(italiano / english)

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Interpellanza 

Al  Presidente del Consiglio dei Ministri – Ministro pro tempore agli Esteri

presentata dal Movimento Cinque Stelle, firmata in ordine alfabetico da 53 senatori

Premesso che:

in Siria, da due anni, è in corso una guerra (90.000 morti, secondo l’ONU) determinata dall’irrompere di gruppi armati, provenienti da numerosi stati stranieri e foraggiati dall’Occidente e dalle Petromonarchie, che, impossessandosi delle giuste istanze di democrazia e partecipazione che erano alla base delle mobilitazioni del popolo siriano di qualche anno fa, stanno seminando il terrore con autobombe, assalti ad edifici governativi, uccisioni e rapimenti di inermi cittadini siriani “colpevoli” di non schierarsi con loro contro il governo di Bashar al-Assad;

i suddetti gruppi, tra l’altro di feroce “ideologia” jihadista e facenti parte della cosiddetta “Coalizione nazionale siriana” sono stati riconosciuti dal dimissionario Ministro Terzi come “unici rappresentanti del popolo siriano” per i quali (insieme alla diplomazia francese e inglese) ha recentemente proposto la fine ufficiale dell’embargo di armi decretato dalla Comunità Europea;

il 3 aprile di quest’anno quattro giornalisti di nazionalità italiana (Amedeo Ricucci, inviato Rai,; Elio Colavolpe, Andrea Vignali, e Susan Dabbous) sono stati rapiti nel nord della Siria da uno dei suddetti gruppi e tuttora sequestrati nella verosimile attesa di ricevere dal nostro governo soldi o armi;

il 4 aprile di quest’anno, la RAI e la Farnesina, verosimilmente per  non gettare cattiva luce sui suddetti gruppi armati, dichiarava, i suddetti giornalisti non già “rapiti” ma, bensì, pudicamente “trattenuti” e chiedeva agli organi di informazione un “silenzio stampa” prontamente ottenuto anche dai numerosi organi di informazione sempre pronti a invocare crociate;

che sono passati almeno sei giorni dal rapimento senza che il Governo si sia sentito in dovere di riferire al Parlamento su questo gravissimo episodio

 

si chiede di riferire con urgenza:

 

se il Governo italiano sta conducendo trattative con i suddetti gruppi armati per ottenere la pronta liberazione degli ostaggi;

 

se queste trattative prevedono l’invio di denaro o di armamenti.




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The petty-bourgeois “left” promotes the CIA war in Syria


By Alex Lantier 
12 April 2013


The petty-bourgeois “left” has reacted to the publication of detailed reports on the CIA’s role in backing Islamist forces in the US proxy war in Syria by intensifying their support for the war. Forces like the International Socialist Organization (ISO) in the United States and the New Anti-capitalist Party (NPA) in France are functioning as conscious propagandists for a neo-colonial CIA operation.

The ISO’s April 9 article by Yusef Khalil, “Why the Left must support Syria’s Revolution”—which cites Gayath Naïssé, one of the NPA’s main writers on Syria—begins by slandering opponents of the CIA war in Syria as supporters of Syrian President Bashar al-Assad.

Khalil begins, “’Airlift to Rebels in Syria Expands with CIA’s Help,’ screamed aNew York Times headline in late March. ‘Foreign intervention!,’ screamed back supporters of the Syrian dictator Bashar al-Assad.” He continues, “Some on the US and international left continue to cling to the idea that the regime presiding over this violence and repression is progressive—and that the uprising against it was engineered by Western governments.”


Khalil’s statement, which mocks the idea that Western imperialism is behind the Syrian war, stands in blatant contradiction to the widely-acknowledged fact that the CIA and its regional allies are arming the opposition to destabilize Syria and topple Assad. The implication that all opposition to the US war comes from “supporters of the Syrian dictator Bashar al-Assad” is a slander and a political lie. It is aimed at blocking a struggle to mobilize the working class in struggle against both the Assad regime and, above all, the intervention in Syria of the most ruthless sections of American imperialism.

By ruling out such a struggle, Khalil is supporting a bloody CIA operation and, behind it, the Middle East policy of US imperialism, whose war in Syria has had devastating consequences for the Syrian people.

Saudi Arabia, Jordan, Qatar, and Turkey helped purchase and transport a “cataract of weaponry” coordinated by the CIA into Syria, in the words of one US official cited in the Times ’ March article, which is friendly to the Syrian opposition. The paper “conservatively” estimates the quantity of munitions sent to Syria at 3,500 tons. In the ensuing fighting, some 70,000 Syrians have died, and nearly 5 million have been forced to flee their homes.

US foreign policy experts have stated that Washington’s shock troops are the Al Qaeda-linked Al Nusra Front, which still receives support apparently unhindered by the CIA—even though Washington declared Al Nusra a terrorist organization last December. (See also: Washington’s proxy in Syria: Al Qaeda )

The ISO statement makes clear that it supports the anti-Assad militias’ decision to take weapons from the CIA. Khalil writes, “The vital question facing the Syrian opposition is how to get aid from sources that can provide what the revolution needs, which is weapons, while maintaining independent Syrian decision-making. This is a tough question to answer, but not impossible.”

Khalil’s claim that one can maintain “independent Syrian decision-making” while taking arms from the CIA is an absurd fiction, concocted to disguise the fact that the ISO is supporting a war coordinated and organized by Washington.

As US officials speaking to the Times made clear, weapons shipments are closely overseen by the CIA. The Times writes, “American intelligence officers have helped the Arab governments shop for weapons, including a large procurement from Croatia, and have vetted rebel commanders and groups to determine who should receive the weapons as they arrive, according to American officials speaking on condition of anonymity.”

It adds that former CIA director David Petraeus was “instrumental in helping to get this aviation network moving and had prodded various countries to work together on it.”

The open support of the ISO and the European petty-bourgeois “left” for CIA-led wars is a culmination of their evolution as pro-imperialist bourgeois parties, operating in the periphery of the Democratic Party in the United States or of the social-democratic parties in Europe.

Staggered by the outbreak of a global economic crisis with the Wall Street crash of 2008, they have supported the ruling class in each country as they sought to impose the burden of the crisis on the working class. While they promoted sellouts by the union bureaucracy of workers struggles against austerity at home, their role abroad was even more nakedly aligned with imperialist policy.

After the outbreak of revolutionary struggles in the Tunisian and Egyptian working class in 2011, they supported US-led interventions to overthrow regimes Washington viewed as obstacles to its interests—first the 2011 war in Libya and then in Syria. They did so, falsely claiming that the forces that were carrying out these wars were revolutionary.

Khalil’s attempts to dress up the ISO’s pro-imperialist positions in a bit of “left” rhetoric, claiming that accepting CIA help was a revolutionary necessity, involve him in absurd falsifications.

He writes, “Syria’s revolutionaries—responding to the dictatorship’s violent crackdown—had to develop a popular armed resistance to defend themselves and defeat the forces of the regime. Large parts of the country, including major military bases and airports, have fallen from the government’s hands, but they remain under heavy bombardment. Nevertheless, in many of these areas, Syrians are experimenting with local self-government, now that the regime has lost its grip.”

The ISO’s fantasy that Syrians are now experimenting with radical forms of self-government under the jackboot of ultra-right, sectarian Islamist militias armed by the CIA is ludicrous. Syrian workers in opposition-controlled areas are either simply trying to survive as Islamist guerrillas loot their workplaces, schools, and homes, or are actively protesting the opposition’s thuggery.

A series of interviews in the Guardian with opposition militia forces in Aleppo last December laid out the basic character of the Islamist militias, who plunder the population for cash to buy CIA weapons. One militia commander said, “I liberate an area, I need resources and ammunition, so I start looting government properties. When this is finished, I turn to looting other properties and I become a thief.”

Another opposition official noted the death of an opposition fighter, Abu Jameel, in a fight with other militias over how to divide the loot from the seizure of a steel warehouse. He said, “To be killed because of a feud over loot is a disaster for the revolution. It is extremely sad. There is not one government institution or warehouse left standing in Aleppo. Everything has been looted. Everything is gone.”

Given Aleppo’s role as the center of Syria’s state-run pharmaceutical industry, the opposition’s raids on factories and other state facilities have had a devastating impact. Critical medicines are running out, notably diabetes medications and antibiotics. State flights carrying vaccines into Syria have been shot at, and chlorine for water purification is banned for import by the imperialist powers under the pretext that Assad could use it to create chemical weapons—resulting in a spread of water-borne diseases.

Abdul-Jabbar Akidi, a former Syrian army colonel and a leading official in the opposition’s military council in Aleppo, confessed that there is deep popular hostility in Aleppo to his forces: “Even the people are fed up with us. We were liberators, but now they denounce us and demonstrate against us.”

The ISO and the NPA have maintained a studious silence on popular protests against the Islamist, CIA-led opposition forces they have promoted. These protests are, however, one indication that a revolution based on the working class in Syria would take the form of an uprising against the opposition forces supported by Washington and the ISO, as well as against the Assad regime.

Struggling to find a bright side to the reactionary forces it is promoting in Syria, the ISO writes: “It would be wrong to reduce the Syrian Revolution to the question of the armed struggle and the role of imperialist powers in trying to shape and co-opt that struggle. Take the role of women in the uprising—something that has not been appreciated in the mainstream media. Women have been very active participants and leaders since the beginning … As a group of women activists in Aleppo wrote, ‘We will not wait until the regime falls to become active.’”

The ISO’s presentation of CIA-backed Islamic fundamentalists as defenders of women’s rights is absurd and repugnant. Should Al Qaeda-type forces conquer Syria with US and Saudi help, Syrian women—who largely lived in modern conditions under the secular Assad regime—will be forced to live under conditions like those faced by women under the Taliban regime in Afghanistan or in Saudi Arabia. There, women are considered legal minors and are denied basic rights, including the right to drive a car.

As it turns out, the Aleppo women activists the ISO cynically held up as examples of the opposition’s supposedly progressive character have not fared well. “In early March, the revolutionary local council in Aleppo was elected and didn’t include a single woman, despite some well-known female activists being nominated,” the ISO writes, complacently adding: “So there is—like everywhere in the world—some distance to go before women have equality in Syria.”

The ISO’s attempts to somewhat distance itself from Washington’s Middle East policy likewise reek of dishonesty and cynicism. Khalil writes, “Like every other regional and international power, the US government has its fingers in Syria. It is maneuvering to shape—and ultimately, to curtail—the Syrian Revolution … Throughout the carnage inflicted by the regime, the US has kept very tight limits on the support, especially the military support, it has provided.”

Khalil quotes the NPA’s Naïssé on the reasons for US involvement in Syria: “The major imperialist powers, led by the United States, have always supported what they call an ‘orderly transition’ in Syria, which means only superficial and partial changes to the structure of the regime. This is for geo-strategic reasons, including protecting the Zionist entity [i.e., Israel] and preventing the revolution from succeeding and spreading to the entire Arab east, including the reactionary oil monarchies.”

Leaving aside the false dichotomy Khalil establishes between US policy and the CIA-led war he calls “the Syrian Revolution,” these passages make one point clear: the policies supported by the ISO and the NPA are in fact entirely compatible with the strategy of American imperialism. These include keeping Persian Gulf oil revenues under the control of reactionary, pro-US monarchs, and maintaining the division of the Middle Eastern working class between Jewish and Muslim workers that is established by the existence of the Israeli state.

Although neither the ISO nor the NPA say it, the US war against Syria also aims to deprive Iran of its main regional ally, thereby facilitating US preparations for a major war against Iran. The ultimate goal of these operations is to ensure that Washington maintains and extends its hegemony over the oil-rich, strategically located Middle East. This goal is entirely supported by the petty-bourgeois “left” parties.

If Washington has concerns about the anti-Assad “rebels,” it is not that they are revolutionary. Rather, it fears that if it arms its Islamist proxies in Syria too heavily, they might turn these weapons over to dissident Islamist factions inside the unstable Persian Gulf monarchies, or use them to mount terrorist attacks on Israel or the United States.

Inside Syria itself, war unleashed by the CIA-backed opposition—recruited from layers of Syria’s Sunni Muslim majority discontented with the Assad regime, whose ruling personnel is drawn from the minority Alawites—has developed largely along sectarian lines. It is thus returning Syrian society to conditions that existed under French colonial rule in the early 20th century. At that time, French troops and proxy forces maintained French control of Syria by setting Christians, Druze, Sunni, Alawite, and other Syrians against each other.

The US-backed opposition is thus reactionary in the classical sense of the term: it returns society towards a more primitive and oppressive past.






Roma, Martedì 16 Aprile 2013
alle ore 19:00 presso il  "FORTE FANFULLA" 
Via Fanfulla da Lodi 5

DRUG GOJKO 

con Pietro Benedetti 
regia di Elena Mozzetta

Tratto dai racconti di Nello Marignoli, partigiano viterbese combattente in Jugoslavia. Drug Gojko narra, sotto forma di monologo, le vicende di Nello Marignoli, classe 1923, gommista viterbese, radiotelegrafista della Marina militare italiana sul fronte greco-albanese e, a seguito dell’8 settembre 1943, combattente partigiano nell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo. Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della Seconda guerra mondiale. Una storia militare, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di un artigiano, vulcanizzatore, del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo, emozionante quanto privo di retorica.


VAI ALLA PAGINA DEDICATA ALLO SPETTACOLO: https://www.cnj.it/CULTURA/druggojko.htm





(The original text, in english: 
Reflections on Yugoslavia’s socialist past and present-day colonization. The destruction of a nation
By Milina Jovanović, November 16, 2012
https://www.lifeinthemix.info/2012/11/reflections-yugoslavias-socialist-present-day-colonization/
or http://www.zcommunications.org/reflections-on-yugoslavia-s-socialist-past-and-present-day-colonization-by-milina-jovanovic 
or https://www.cnj.it/documentazione/interventi/milinajovanovic2012.htm

Cette article en langue francaise:
Bilan de la destruction d’un rêve - par Milina Jovanovic
http://michelcollon.info/Bilan-de-la-destruction-d-un-reve.html 
ou https://www.cnj.it/documentazione/interventi/milinajovanovic2012.htm )

http://www.marx21.it/internazionale/europa/22077-jugoslavia-bilancio-della-distruzione-di-un-sogno-.html

Jugoslavia. Bilancio della distruzione di un sogno

di Milina Jovanovic | da Traduzione dal francese di Anna Migliaccio per Marx21.it

In questo saggio presento le mie riflessioni personali sulla vita nell’ex Repubblica socialista federale di Jugoslavia e sulle tendenze attuali di privatizzazione e presa di controllo di risorse naturali, economiche e umane del paese.

Per 10 anni ho vissuto personalmente l’esperienza del migliore periodo del socialismo iugoslavo lavorando presso un organismo di studio e ricerca. Nelle pagine che seguono vorrei cercare di spiegare brevemente i principali aspetti ed istituzioni del sistema socio politico ed economico iugoslavo evocandone lo stile di vita e ciò che rappresentava per le diverse popolazioni del paese. Sette piccoli paesi, disorientati e colonizzati (ciò che resta della Jugoslavia) si battono oggi per sopravvivere stretti tra il loro passato unico ed un presente perturbato. Disperazione e apatia si mescolano alle guerre ed all’occupazione straniera. Nondimeno il popolo jugoslavo è duro a morire e lo proverò con qualche esempio di lotte operaie attuali e resistenza popolare.

La mia generazione ebbe l’opportunità di crescere a Belgrado nella Jugoslavia socialista. Come bambini di scuole elementari partecipavamo a momenti di autogestione. La scuola intera era all’epoca diretta dagli scolari dall’amministrazione all’educazione in classe dalla pulizia alla gestione delle cucine tutto gestito dagli studenti senza la presenza di adulti. Gli scolari applicavano ed adattavano i programmi mantenevano la regolarità degli orari facevano esposizioni e giudicavano i progressi dei loro compagni di studi. Mi ricordo perfettamente di tutte le volte in cui ho svolto il ruolo dei professori. Le note che davo ai compagni avevano lo stesso peso di quelle inflitte dai professori. Noi ci sentivamo abilitati, emancipati responsabili ed insieme interamente liberi. Andavamo a scuola a turni perché è provato che alcuni soggetti sono più ricettivi all’apprendimento al mattino ed altri al pomeriggio.

L’intera società poneva l’accento sullo sviluppo dei valori collettivi. Tutto ciò che si faceva a scuola era passato al vaglio, incluse le performances individuali, e discusso in presenza di genitori e studenti. Durante l’intera durata della mia formazione la mia generazione si è sentita al sicuro.

Prima del Movimento dei non allineati il solo scopo della jugoslavia era stato quello di insegnare alle nuove generazioni a difendere il proprio paese ma senza mai ingerire negli affari di altri paesi. La mia generazione non temeva il futuro. Crescevamo sereni e ottimisti avendo come unica priorità un discreto sviluppo personale e l’affrancamento dai retaggi del capitalismo e del patriarcato.

Come studentessa universitaria e più tardi come ricercatrice scientifica in materia di società ero convinta che una delle mie priorità fosse sviluppare un approccio critico al sistema socio economico e politico iugoslavo affinché esso potesse continuare ad evolvere. Forse la mia generazione fu l’ultima degli idealisti e sognatori jugoslavi.

La Jugoslavia non somigliava ad alcuno degli altri paesi delle storia recente. Me ne sono resa conto in maniera ben più profonda quando sono emigrata negli Stati Uniti. L’amico Andrej Grubacic l’ha scritto con eloquenza “La Jugoslavia per me e per quelli come me non era solo un Paese. Era un’idea”. L’immagine stessa dei Balcani è stata il progetto di un’esistenza interetnica, di uno spazio trans etnico e multiculturale di mondi differenti, un rifugio di pirati e ribelli, femministe e socialisti, antifascisti e partigiani, un luogo dove sognatori d’ogni sorta lottavano con forza contro la peninsularità provinciale, le occupazioni e gli interventi stranieri.” Come i miei genitori, credo anch’io ad una regione che riunisce diversi universi e dove tutti sono tutto. Non ho altra emozione che rancore verso tutti coloro che hanno contribuito a distruggere la Jugoslavia e sento la stessa cosa per coloro che oggi svendono ciò che ne è rimasto. Faccio parte di coloro che appoggiano le opinioni di M. Grubacic.

Il modello socialista iugoslavo.

Per certi versi il modello iugoslavo di socialismo è riconosciuto come unico anche da coloro che si oppongono a priori al socialismo. Purtroppo la gran parte dei saggi pubblicati in passato non hanno compreso questo carattere unico della Yugoslavia. Né i presupposti teorici, né la loro applicazione pratica sono ben noti in Occidente. Io non uso la formula “Yugoslavia comunista” perché questa assimila il modo di governo di un partito comunista al comunismo. Mi servo del termine comunista solo nel senso originario marxista di nuova formazione socio economica. Penso, infatti che la parola socialismo convenga meglio alla realtà sociale che esisteva in Yugoslavia tra il 1945 e il 1990. L’intera società socialista è transitoria e contiene elementi dei sistemi sociali antichi e nuovi.

La Yugoslavia socialista si fondava su molteplici principi di base, istituzioni e pratiche. I più importanti erano l’auto-gestione e la proprietà sociale. Il controllo sulle risorse locali era garantito da associazioni di produttori libere nel mondo del lavoro nel momento in cui il popolo partecipava direttamente al governo locale nelle sue associazioni di vicinato. La società aveva creato una particolare branca del diritto chiamata legge di auto gestione con corrispondenti tribunali. Taluni hanno criticato questo doppio diritto e l’abbondanza di leggi e regolamenti d’autogestione.  

E’ stato osservato che nessuno poteva possedere il frutto proveniente dalla proprietà privata ad esclusione che quello basato sul lavoro.

I teorici dell’auto gestione socialista arguiscono che questa poteva essere assicurata attraverso una forma unica di proprietà sociale. La proprietà sociale non è la stessa cosa che la proprietà di Stato. I mezzi di produzione, la terra le abitazioni le risorse naturali i beni pubblici l’arte i media e gli organismi d’insegnamento devono appartenere alla società nel suo complesso, a tutti e a nessuno in particolare. Solo un residuale 20% delle risorse agricole e delle piccole imprese permaneva in mani private. Le terre appartenenti ai contadini erano state limitate a dieci ettari per individuo.

La gran parte delle abitazioni erano costruite per I lavoratori e le loro famiglie. Secondo specifici criteri, si assegnavano gli alloggi ai lavoratori affinché li utilizzassero senza esserne proprietari. I loro figli e le successive generazioni potevano anche servirsene a propria volta senza averli in proprietà. Essi non erano affittuari. Questa forma giuridica è difficile da spiegare e travalica il punto di vista occidentale.

Nella Yugoslavia socialista un principio basilare era che i cittadini avevano il diritto inalienabile di controllo sulle risorse locali. Nelle libere associazioni di produttori i lavoratori avevano modo di assumere decisioni con cognizione di causa circa i bisogni, le risorse disponibili e dispensabili. Il popolo iugoslavo decideva delle sue risorse, dei suoi mezzi di produzione e della produzione stessa. Per esempio la produzione di energia elettrica è stata calcolata per molti decenni sulla base dei bisogni domestici. Fino agli anni 80 la gran parte dei prodotti iugoslavi era destinata all’uso interno e non all’esportazione. I documenti ufficiali mostrano che nell’arco di tempo tra gli anni 50 e gli anni 90 i partners commerciali abituali delle ex repubbliche iugoslave erano altre repubbliche iugoslave.

Oltre alla proprietà sociale l’altra istituzione fondamentale era l’autogestione. Le due cose erano ideali e principi base dell’intera organizzazione sociale. I gruppi di produzione libera (OUR) erano le unità di base del lavoro associativo ed erano organizzate a molteplici livelli. I lavoratori avevano deciso di lavorare insieme per rispondere ai propri comuni e difendere i loro interessi ed avevano creato tali associazioni. Essi lavoravano collettivamente utilizzando i mezzi sociali di produzione e i loro prodotti. Le associazioni di produttori liberi esistevano nell’ambito della produzione materiale ma anche dei servizi sociali, della cultura, dell’arte, dell’educazione e della sanità.

In alcune di esse le decisioni venivano assunte con referendum. I consigli operai si riunivano regolarmente per dirigere la quotidianità delle associazioni. 

Certi autori americani come Michael Albert (4) parlano spesso dell’economia partecipativa come fosse una novità. Essi riconoscono raramente il modello iugoslavo di autogestione esistente da oltre quarant’anni. Mio padre è stato un lavoratore e contemporaneamente un gestore della produzione. Nella mia gioventù ho potuto vedere l’autogestione in pratica e misurarne l’efficacia. Per esempio l’insieme dei membri di un’associazione si riuniva per scegliere i candidati al consiglio o pianificare la produzione annuale. E’ vero che con il trascorrere del tempo l’economia di mercato ed altri fattori hanno limitato il potere economico e politico dei lavoratori. Ma questo non deve diminuire il valore dell’esperienza iugoslava di auto gestione insieme teoria e prassi.

Le associazioni di vicinato (Mesna Zajednice) erano un altro tipo di unità di base di auto governo. La gente assumeva le decisioni concernenti la propria vita quotidiana ed il loro ambiente. Essi sceglievano i propri delegati al governo comunale e nazionale ed organizzavano le proprie condizioni di vita e di lavoro, il trattamento dei bisogni sociali, la cura dei bambini, l’educazione ecc. Ogni associazione aveva i propri statuti creati dagli abitanti della zona. Le decisioni importanti erano assunte con referendum.

Le comuni erano unità territoriali più grandi, fondate sui principi della Comune di Parigi (5),destinate ad assicurare il decentramento e la partecipazione diretta del popolo al suo auto governo. Le comuni, le province autonome le repubbliche e la Federazione erano interconnesse nella medesima piramide del sistema. Le costituzioni di tutte le repubbliche riconoscevano le comuni come unità di base socio politica d’una importanza capitale per i governi delle repubbliche e della Federazione. Lo scopo principale di tutte le strutture economiche e politiche della Yugoslavia socialista era quello d’assicurare a tutti i lavoratori le condizioni migliori di lavoro e di vita.  

Durante l’intero periodo socialista ed in particolare dagli anni 60 agli anni 80 la Yugoslavia è stata un paese prospero ove ciascuno vedeva garantiti il diritto di lavorare e di ricevere un salario adeguato e beneficiare d’una educazione di grande qualità fino al dottorato di un minimo di un mese di vacanze pagate e di congedo di malattia illimitato secondo i bisogni della propria salute. Di un congedo retribuito di maternità e paternità e di un diritto all’abitazione. (6) Inoltre la Yugoslavia è stata il solo paese al mondo ad avere inserito nella costituzione i diritti e le libertà delle donne. Le donne hanno fatto passi giganteschi nel campo dell’educazione e dell’impiego investendo in gran numero di ambiti tradizionalmente a dominanza maschile. La mia tesi di dottorato ha comparato il progresso delle donne in questi ambiti in Yugoslavia e d in California. I documenti che ho raccolto mostrano che le donne iugoslave sono riuscite a progredire e distruggere le abitudini patriarcali più delle californiane. (7)

Nello stesso periodo I trasporti pubblici funzionavano bene, la vita culturale ed artistica era fiorente ed anche su diversi aspetti all’avanguardia. Ogni evento culturale ed artistico era realizzato dal popolo. Non c’era cultura d’elite o arte d’elite. La partecipazione ad ogni manifestazione era a prezzo molto abbordabile. I bambini studiavano arte musica e diverse lingue straniere fin dalla più tenera età (già alla scuola d’infanzia). Nella tradizione originale del marxismo si ritiene che ogni persona debba essere elevata ad individuo ben sviluppato. Dalle scuole elementari abbiamo appreso ad equilibrare lavoro manuale e lavoro intellettuale e a resistere agli eccessi della specializzazione. La cultura generale era molto apprezzata. I corsi di storia e geografia comprendevano lezioni su tutti i continenti. Soprattutto nei primi anni persone di ogni età ed in particolare giovani lavoravano come volontari per costruire per costruire strade e ponti e piantumare alberi e foreste. Partecipare alle opere pubbliche offriva loro un sentimento di fierezza e forniva occasioni per nuove amicizie ed ampliamento degli orizzonti. La mia generazione aveva piani di formazione comprendenti gite di una settimana per fare conoscenza dei gioielli naturali di altre regioni. Il multiculturalismo iugoslavo è raramente compreso in occidente. Durante il periodo socialista c’era un gran numero di matrimoni misti e molti avevano abbracciato la causa della fraternità ed unità della Yugoslavia. La Yugoslavia socialista aveva buona reputazione nel mondo intero: è stata vista come membro essenziale tra le nazioni non allineate e partner importante delle relazioni internazionali.

Un incubo per I politici USA

Come ha spesso ripetuto Michael Parenti, essa (la Yugoslavia n.d.t) è l’esempio di un paese che indispone I politici americani soprattutto dopo gli anni 80. Questo genere di paese sfugge alla ricerca statunitense di dominio globale, ai progetti mondiali delle grandi compagnie e alla terzomondizzazione dell’intero pianeta. (8)

All’inizio degli anni 90 venne il tempo per gli USA ed I loro alleati NATO d’intervenire: hanno fatto di tutto incluso l’utilizzo della forza bruta per cancellare la Yugoslavia dalla carta d’Europa. La Yugoslavia (e soprattutto la Serbia e il Montenegro) che non hanno gettato via quel che restava del socialismo per instaurare il sistema del libero mercato. (9) Il suo smembramento e le guerre degli anni 90 non sono l’oggetto di questo saggio. Molte cose sono state scritte in proposito soprattutto per giustificare la guerra degli USA e della NATO, e l’occupazione che è seguita. Pertanto per un piccolo numero di ricercatori e di militanti appare evidente già negli anni 90 che l’obiettivo dell’impero mondiale è il medesimo in Yugoslavia come in altri paesi del globo. Cito ancora Parenti : “lo scopo degli USA è trasformare la Yugoslavia in un gruppo di piccoli principati aventi le seguenti caratteristiche: a) l’incapacità di fissare obiettivi di sviluppo indipendente e proprio b) risorse naturali interamente accessibili agli appetiti delle grandi compagnie internazionali ivi compresa l’enorme ricchezza di miniere del Kosovo ; una popolazione impoverita ma istruita e qualificata che lavora per salari appena sufficienti alla sopravvivenza, una mano d’opera a buon mercato adatta a ridurre i salari in Europa occidentale d) lo smantellamento delle industri e petrolifere d’ingegneria e minerarie farmaceutiche navali automobilistiche e agricole così da non costituire più concorrenza per i produttori occidentali. 

Gli Stati Uniti e la NATO hanno avuto altri vantaggi dalla distruzione della Yugoslavia che consideravano come una potenza regionale e come il germe di una federazione balcanica. Essi sapevano che la loro presenza fisica nella penisola balcanica avrebbe portato vantaggi supplementari quali il migliore controllo delle risorse e dello sviluppo europeo, dei traffici di eroina e di organi umani, e du pipeline del mar Caspio. Le così dette missioni di pace sono diventate programmi di occupazione garantite dalla costruzione di basi militare permanete e centri di detenzione.

Sotto molti punti di vista gli USA e l’Unione europea hanno ottenuto molti degli obiettivi prefissati. Durante l’ultima visita nella mia città natale ho visto ovunque nuove costruzioni. Ma l’occupazione completa, così come la demoralizzazione totale del popolo, non sono facili da realizzare con i balcanici. Nel suo film documentario “The Weight of Chains”, il serbo-canadese Boris Malagurski ha mostrato che molti popoli si risvegliano rendendosi conto che l’economia di mercato e il dominio straniero non sono nulla di positivo. Ciò che attraversa tutti i paesi della ex Yugoslavia e che gli ideologi del libero mercato hanno chiamato “iugonostalgie” si rafforza con la coscienza della grave perdita. C’è l’affermazione di una memoria collettiva del popolo, e la prova che le opposizioni esistono nella loro unità dialettica certe forze sociali lottano per l’ingresso in Europa altre si battono per ritrovare le loro tradizioni socialiste e mantenere l’indipendenza. 

I popoli iugoslavi non hanno potuto valorizzare la loro esperienza positiva del socialismo. Le ideologie imposte che glorificano i valori capitalisti e il consumismo i vantaggi dell’Europa e i progetti di affari internazionali sono influenti, ma un significativo numero di lavoratori tentano di riconquistare il proprio potere, battendosi contro le privatizzazioni, la disoccupazione e le misure d’austerità. La resistenza non è mai cessata.

L’avanzata dell’impero globale

Il programma neo coloniale si è sviluppato nel corso degli ultimi anni. Da qualche mese ho potuto osservarlo a Belgrado.

Passeggiavo per la città inciampando nelle numerose banche straniere.

In certi quartieri sono ad ogni angolo di strada con le loro entrate attaccate le une alle altre. Il numero degli uffici di cambio si è moltiplicato dagli anni 90. A questo corrisponde al dominio UE e dell’alta finanza internazionale sulle finanze serbe. I bancari serbi lavorano di malumore e appaiono scontenti delle condizioni di lavoro che gli vengono imposte.  

Gli effetti dell’ideologia capitalista di moda che glorifica i consumi sono chiaramente visibili nelle strade nei negozi, nelle istituzioni e nei media. Ogni anno si accresce il numero dei ristoranti “fast food”. I prodotti malsani hanno invaso il mercato serbo e l’importazione di OGM, benché il governo neghi di averli autorizzati Lo stesso per i cibi pieni di ormoni e batteri infettivi. Il risultato è che ci sono molti più cittadini in sovrappeso per le strade di Belgrado. Questo appare ancora un problema marginale perché i cittadini camminano molto e praticano jogging, ciclismo e yoga. L’aspetto più preoccupante è l’aumento dei quaranta o cinquantenni che soffrono di ipertensione e disturbi cardiovascolari.

Le compagnie straniere hanno acquistato molte società precedentemente iugoslave o serbe. La privatizzazione delle risorse è un esempio evidente di tale processo. Rosa Water è una società Coca-Cola ellenica; Voda Voda è la proprietaria di d’Arteska International Co., BB Minaqua Co. È collegata alla tedesca Krones, l’italiana Sidel e Thomson Machinery per la sua produzione a Cipro. Anche se molte di queste compagnie affermano di utilizzare condimenti “ecologici”, come la bottiglia Rosa a base vegetale, gli imballaggi in plastica lasciano filtrare sostanze chimiche tossiche nell’acqua delle bottiglie che molti Belgradesi oggi acquistano. In passato l’acqua del rubinetto era di gran lunga migliore, e nessuno pensava di avere bisogno d’acqua in bottiglia. Negli anni 90 tutte le bibite erano in bottiglie di vetro. 

Le industri di abbigliamento e cosmesi sono di proprietà straniera o sono serbe acquistate da stranieri. Se si considera il mercato dei prodotti di abbigliamento per bambini e prodotti per l’infanzia, i prodotti di bellezza e gli alimenti si trova un miscuglio di march esteri noti che approfittano dell’apertura di questi mercati: Avent, Disney, Chicco, Graco, Bertoni, Peg-Perego, Bambino, Pavlogal, Humana, Frutek, Hipp, Nestlé, Juvitana, Bebelac.

Kosili e Dr. Pavlovic sono delle eccezioni. Prima della guerra non avevamo che sparute firme italiane di prodotti per l’infanzia, mentre oggi Nestlé e Disney sono abbondantemente presenti. Anche le società serbe si danno nomi anglofoni come Beba Kids o Just Click, etc.

La marca belgradese Dahlia Cosmetics fabbricava prodotti a base minerale e vegetale. Oggi è privatizzata e, come dice il suo sito internet, è posseduta al 100% dalla belgradese Bechemija. Che a sua volta è stata formata da una fusione tra Delta de Zrenjanin e la slovena Sanpionka. Nel corso di tali privatizzazioni e fusioni migliaia di operai hanno perso il posto di lavoro. E’ difficile non immaginare che Dahlia abbia rimpiazzato I prodotti naturali con quelli sintetici. Basta leggere le etichette per porsi la legittima domanda.


("La pura verità sulle organizzazioni non governative in Russia: sono spie al servizio di paesi stranieri". Lo dice Putin, rivolgendosi alla Merkel più che esplicitamente. Su questa problematica, e le nuove strategie eversive del neocolonialismo - disinformazione e attivismo "a libro paga" - si veda anche tutta la documentazione raccolta alla nostra pagina: https://www.cnj.it/documentazione/eversione.htm )



Prava istina o nevladinim organizacijama u Rusiji





D. Marjanović
vrijeme objave: Ponedjeljak - 08. Travanj 2013 | 12:15
FOTO: Ruski predsjednik Vladimir Putin u razgovoru za njemačku TV postaju ARD

Njemačka
 kancelarka Angela Merkel pozvala je Rusiju da "daju priliku" nevladinim organizacijama. Izjava dolazi za vrijeme posjete ruskog predsjednika Vladimira Putina Njemačkoj, u vrijeme kada je Rusija pokrenula nekoliko istraga o radu nevladinih organizacija (opširnijeNjemačka ljuta zbog ruskih pretraga nevladinih organizacija koje Rusija naziva "stranim agentima").

Očekivano, potezi protiv nevladinih organizacija izazvali su salvu kritika od strane Zapada, no Putin brani svoje stajalište: "Rusi imaju pravo znati koje nevladine organizacije su primale strani novac i za koje svrhe", rekao je u razgovoru za njemačku TV postaju ARD. Podsjetimo, Putin je uveo zakon kojime se strane nevladine organizacije u Rusiji klasificiraju kao "strani agenti".

Zanimljivo je kako su zapadne sile nervozno reagirale na sve veći otpor Moskve protiv izuzetno utjecajnih nevladinih organizacija u Rusiji. Nužno je postaviti pitanje - zašto? Stvar je zapravo poprilično jednostavna i svodi se na slanje veće količine novca organizacijama koje zauzvrat djeluju u interesu stranih interesa, što političkih što gospodarskih. Iste organizacije i skupine stajale su iza tzv. "Narančastih revolucija" koje su dovele do rušenja niza nepodobnih vlada diljem istočne Europe (opširnije o temi:Narančaste revolucije, pro-zapadni "profesionalni" aktivizam i otpor protiv takvih tendencija).

Prije nekoliko dana WikiLeaks je otkrio kako se upravo putem nevladinih organizacija pokušala destabilizirati vlast Huga Chaveza u Venezueli (vidiNovi Wikileaks dokumenti otkrivaju kako je SAD planirao destabilizirati vlast Huga Chaveza "u pet točaka" putem američke ambasade i USAID-a). Nije tajna kako je administracija Vladimira Putina u Rusiji također izuzetno "nepodobna" situacija za zapadne interese. Rusija je gospodarski sve snažnija, uz Kinu je glavna predstavnica bloka BRICS, promovira mir i diplomaciju u svijetu, a to je ogromna prepreka zapadnom militarizmu koji sve snažnije promovira konflikte na svjetskoj pozornici. U konačnici tu je Sirija, bastion arapskog sekularizma i anti-imperijalističkog otpora, koja bi već davno bila sravnana sa zemljom, kao i susjedni Irak, da nisu agresivne sile ovog puta dočekane uz najveći ruski otpor još od raspada SSSR-a.

Netko će reći kako ove geostrateške teme nemaju neke veze s radom nevladinih organizacija u Rusiji, i bio bi poprilično u krivu. Da se Rusija ponaša onako kako Zapad želi, iste organizacije u Rusiji ne bi niti postojale, bar ne u tolikom broju. Čitatelji s ovih prostora mogli bi se ponekad osvrnuti i na retrospektivu nama poznatijih događanja - recimo nagli usponi i padovi popularnih medija koji su napuhani većinom stranim novcem kako bi odradili svoju privremenu misiju te iščezli s pozornice kada njihov rad više nije potreban.

Osvrnimo se na još neke zanimljive detalje u intervjuu Putina za tv postaju ARD. Razgovor s ruskim predsjednikom je vodio novinar Jorg Schonenborn.

Jorg Schonenborn: "Gospodine predsjedniče, nisam upoznat da su se ikada ovakva pretraživanja i zaplijene u uredima nevladinih organizacija događala u SAD-u. Prema našem mišljenju termin "strani agent", kako se ove organizacije sada naziva, zvuči kao nešto iz doba Hladnog rata."
Vladimir Putin: "Onda dopustite da pojasnim. Kao prvo, SAD ima sličan zakon, koji je još od onda na snazi. Pokazati ću Vam jedan dokument kojime je, ne tako davno, u američkom ministarstvu pravosuđa zahtijevano od nevladine organizacije da pošalje dokumente u kojima se potvrđuje da su aktivnosti financirane izvana, popis je vrlo dugačak.

Mi smo usvojili sličan zakon koji ništa ne zabranjuje, da naglasim ovo, naš zakon ništa ne zabranjuje, niti ograničava ili bilo koga zatvara. Organizacije koje su financirane izvana imaju pravo baviti se svojim aktivnostima, uključujući i političkim aktivnostima. Jedina stvar koju mi želimo znati je tko prima novac i otkuda novac dolazi. Ponavljam - ovaj zakon nije nekakva naša inovacija.

Zašto nam je danas to bitno? Što mislite koliki je broj ruskih nevladinih organizacija danas u Europi? Imate li neke ideje?"

Jorg Schonenborn: "Bojim se da nemam te informacije gospodine predsjedniče."
Vladimir Putin: "Onda dajte da Vam kažem. Jedna takva organizacija radi u Parizu, još jedna u SAD-u. I to je to. Postoje samo dvije ruske nevladine organizacije koje rade vani - jedna u SAD-u i jedna u Europi.

S druge strane 654 nevladinih organizacija trenutačno djeluju u Rusiji, koje su sve financirane, ispostavlja se, izvana. 654 organizacija.. to je zaista velika mreža diljem države. Tijekom samo zadnjih 4 mjeseci otkako je novi zakon usvojen, računi ovih organizacija su se povećali za... što mislite, koliko novca su primili? 28,3 milijarde rubalja, to je gotovo 1 milijarda USD.

Ove organizacije uključene su u unutarnje političke aktivnosti. Zar ne bi naš narod trebao biti informiran o tome tko dobiva taj novac i s kojim ciljem? Naglasio bih još jednu stvar - i želim da znate ovo, želim da narodi Europe, uključujući Njemačku, znaju ovo - nitko ovim organizacijama ne zabranjuje njihov rad. Samo ih tražimo da priznaju: "Da, upleteni smo u političke aktivnosti i dobivamo novac izvana". Javnost ima pravo znati ovo. 

Nema potrebe strašiti ljude pričajući o tome kako se ljude privodi, imovina zaplijenjuje, mada je zapljena imovine razuman potez ukoliko su ovi ljudi prekršili zakone. Neke administrativne sankcije su predviđene u ovim situacijama, no smatram kako je sve ovo prihvatljivo u civiliziranom društvu. 

Pogledajmo sada koje sve dokumente naša organizacija u SAD-u mora priložiti. Obratite pozornost na to tko traži ove dokumente, tko je potpisan na dnu stranice. Američki Ured protiv Špijunaže. Ne ured državnog odvjetnika, nego protušpijunski ured pri Američkom Ministarstvu Pravosuđa. Ovo je službeni dokument koji je dostavljen u organizaciju. Također pogledajte popis pitanja koja postavljaju. Ovo je demokracija?"
U ovih nekoliko rečenica ruski predsjednik odlično je objasnio stajalište Moskve koje je u ovom slučaju apsolutno pravično. Nažalost, kako je rekao i Putin, mnogi stanovnici Europe jednostavno nisu upoznati s činjenicom da Europa i SAD imaju gotovo 700 svojih nevladinih organizacija diljem Rusije dok Rusija ima svega jednu u Parizu i jednu u SAD-u. Ruski narod, kao i svi narodi, ima pravo znati tko financira tolike brojne nevladine organizacije, tko podupire "petu kolonu" unutar Rusije, jer kada bi znali - a zahvaljujući novom zakonu uskoro će i znati - teško da bi se politički priklanjali istima. 

Zanimljivo kako i uz sve milijarde dolara koje stižu iz Europe i SAD-a, "strani agenti" nisu uspjeli destabilizirati ovu administraciju i poljuljati potporu ruskog naroda za istu. I povrh svega njemačka kancelarka proziva Putina da "pruži priliku" nevladinim organizacijama? Nema sumnje kako im je prilika i pružena i ako žele mogu raditi i dalje, ali uz transparentnu politiku po pitanju financiranja. Pitanje je da li im se u tom slučaju uopće isplati djelovati? Jer esencija nevladinih organizacija je uvijek bila prikazivati njihovo djelovanje kao "autentično", domaće, narodno, a zapravo se radi o čistoj izdaji vlastitih nacionalnih interesa za interese stranih sila, tj. isključivo za novac.






(Sulla disinformazione strategica contro la Corea del Nord si vedano anche i video-editoriali di Mario Albanesi per Teleambiente:
nonché gli articoli da noi già diffusi: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7641 )


Background to the Korean crisis


1) The Dangers of War: What is Behind the US-North Korea Conflict?
By Jack A. Smith - Global Research

2) Washington’s lies exposed: Background to the Korean crisis
By Fred Goldstein - Workers Word



=== 1 ===

(segnalato da Andrea D., che ringraziamo)


The Dangers of War: What is Behind the US-North Korea Conflict?


Global Research, April 01, 2013

What’s happening between the U.S. and North Korea to produce such headlines this week as “Korean Tensions Escalate,” and  “North Korea Threatens U.S.”?

The New York Times reported March 30:

“This week, North Korea’s young leader, Kim Jung-un, ordered his underlings to prepare for a missile attack on the United States. He appeared at a command center in front of a wall map with the bold, unlikely title, ‘Plans to Attack the Mainland U.S.’ Earlier in the month, his generals boasted of developing a ‘Korean-style’ nuclear warhead that could be fitted atop a long-range missile.”

The U.S. is well aware North Korea’s statements are not backed up by sufficient military power to implement its rhetorical threats, but appears to be escalating tensions all the same. What’s up? I’ll have to go back a bit to explain the situation.

Since the end of the Korean War 60 years ago, the government of the Democratic People’s Republic of Korea (DPRK or North Korea) has repeatedly put forward virtually the same four proposals to the United States. They are:

1. A peace treaty to end the Korean War.

2. The reunification of Korea, which has been “temporarily” divided into North and South since 1945.

3. An end to the U.S. occupation of South Korea and a discontinuation of annual month-long U.S-South Korean war games.

4. Bilateral talks between Washington and Pyongyang to end tensions on the Korean peninsula.

 The U.S. and its South Korean protectorate have rejected each proposal over the years. As a consequence, the peninsula has remained extremely unstable since the 1950s. It has now reached the point where Washington has used this year’s war games, which began in early March, as a vehicle for staging a mock nuclear attack on North Korea by flying two nuclear-capable B-2 Stealth bombers over the region March 28. Three days later, the White House ordered F-22 Raptor stealth fighter jets to South Korea, a further escalation of tensions.

Here is what is behind the four proposals.

 1. The U.S. refuses to sign a peace treaty to end the Korean War. It has only agreed to an armistice. An armistice is a temporary cessation of fighting by mutual consent. The armistice signed July 27, 1953, was supposed to transform into a peace treaty when “a final peaceful settlement is achieved.” The lack of a treaty means war could resume at any moment.  North Korea does not want a war with the U.S., history’s most powerful military state. It wants a peace treaty.

 2. Two Koreas exist as the product of an agreement between the USSR (which borderd Korea and helped to liberate the northern part of country from Japan in World War II) and the U.S., which occupied the southern half.  Although socialism prevailed in the north and capitalism in the south, it was not to be a permanent split. The two big powers were to withdraw after a couple of years, allowing the country to reunify. Russia did so; the U.S. didn’t. Then came the devastating three-year war in 1950. Since then, North Korea has made several different proposals to end the separation that has lasted since 1945. The most recent proposal, I believe, is “one country two systems.” This means that while both halves unify, the south remains capitalist and the north remains socialist. It will be difficult but not impossible. Washington does not want this. It seeks the whole peninsula, bringing its military apparatus directly to the border with China, and Russia as well.

3. Washington has kept between 25,000 and over 40,000 troops in South Korea since the end of the war. They remain — along with America’s fleets, nuclear bomber bases and troop installations in close proximity to the peninsula — a reminder of two things. One is that “We can crush the north.” The other is “We own South Korea.” Pyongyang sees it that way — all the more so since President Obama decided to “pivot” to Asia. While the pivot contains an economic and trade aspect, its primary purpose is to increase America’s already substantial military power in the region in order to intensify the threat to China and North Korea.

4. The Korean War was basically a conflict between the DPRK and the U.S. That is, while a number of UN countries fought in the war, the U.S. was in charge, dominated the fighting against North Korea and was responsible for the deaths of millions of Koreans north of the 38th parallel dividing line. It is entirely logical that Pyongyang seeks talks directly with Washington to resolve differences and reach a peaceful settlement leading toward a treaty. The U.S. has consistently refused.

These four points are not new. They were put forward in the 1950s. I visited the Democratic People’s Republic of Korea as a journalist for the (U.S.) Guardian newspaper three times during the 1970s for a total of eight weeks. Time after time, in discussions with officials, I was asked about a peace treaty, reunification, withdrawal of U.S. troops from the south, and face-to-face talks. The situation is the same today. The U.S. won’t budge.

Why not? Washington wants to get rid of the communist regime before allowing peace to prevail on the peninsula. No “one state, two systems” for Uncle Sam, by jingo! He wants one state that pledges allegiance to — guess who?

In the interim, the existence of a “bellicose” North Korea justifies Washington’s surrounding the north with a veritable ring of firepower in the northwest Pacific close enough to almost, but not quite, singe China. A “dangerous” DPRK is also useful in keeping Japan well within the U.S. orbit. It also is another excuse for once-pacifist Japan to boost its already formidable arsenal.

In this connection I’ll quote from a Feb. 15 article from Foreign Policy in Focus byChristine Hong and Hyun Le: “Framing of North Korea as the region’s foremost security threat obscures the disingenuous nature of U.S. President Barack Obama’s policy in the region, specifically the identity between what his advisers dub ‘strategic patience,’ on the one hand, and his forward-deployed military posture and alliance with regional hawks on the other. Examining Obama’s aggressive North Korea policy and its consequences is crucial to understanding why demonstrations of military might — of politics by other means, to borrow from Carl von Clausewitz — are the only avenues of communication North Korea appears to have with the United States at this juncture.”

Here’s another quote from ANSWER Coalition leader Brian Becker:

“The Pentagon and the South Korean military today —and throughout the past year — have been staging massive war games that simulate the invasion and bombing of North Korea. Few people in the United States know the real situation. The work of the war propaganda machine is designed to make sure that the American people do not join together to demand an end to the dangerous and threatening actions of the Pentagon on the Korean Peninsula.

“The propaganda campaign is in full swing now as the Pentagon climbs the escalation ladder in the most militarized part of the planet. North Korea is depicted as the provocateur and aggressor whenever it asserts that they have the right and capability to defend their country. Even as the Pentagon simulates the nuclear destruction of a country that it had already tried to bomb into the Stone Age, the corporate-owned media characterizes this extremely provocative act as a sign of resolve and a measure of self-defense.”

And from Stratfor, the private intelligence service that is often in the know:

“Much of North Korea’s behavior can be considered rhetorical, but it is nonetheless unclear how far Pyongyang is willing to go if it still cannot force negotiations through belligerence.”

The objective of initiating negotiations is here taken for granted.

Pyongyang’s “bellicosity” is almost entirely verbal — several decibels too loud for our ears, perhaps — but North Korea is a small country in difficult circumstances that well remembers the extraordinary brutality Washington visited up the territory in the 1950s. Millions of Koreans died. TheU.S. carpet bombings were criminal. North Korea is determined to go down fighting if it happens again, but hope their preparedness will avoid war and lead to talks and a treatry.

Their large and well-trained army is for defense. The purpose of the rockets they are building and their talk about nuclear weapons is principally to scare away the wolf at the door.

In the short run, the recent inflammatory rhetoric from Kim Jong-un is in direct response to this year’s month-long U.S.-South Korea war games, which he interprets as a possible prelude for another war. Kim’s longer run purpose is to create a sufficiently worrisome crisis that the U.S. finally agrees to bilateral talks and possibly a peace treaty and removal of foreign troops. Some form of reunification could come later in talks between north and south.

I suspect the present confrontations will simmer down after the war games end. The Obama Administration has no intention to create the conditions leading to a peace treaty — especially now that White House attention seems riveted on East Asia where it perceives an eventual risk to its global geopolitical supremacy.

Jack A. Smith, editor of Activist Newsletter

Copyright © 2013 Global Research


=== 2 ===


Washington’s lies exposed: Background to the Korean crisis


By Fred Goldstein on April 9, 2013

To listen to the U.S. government and the big business media talk about how the Pentagon is sending all its firepower to the north Pacific to protect Washington and its allies, you would think that the real threat in the world was the Democratic People’s Republic of Korea — north Korea — a country with 25 million people.

You would not know that the Pentagon colossus has 6,000 nuclear weapons and a war machine bigger and more powerful than the rest of the world’s militaries combined, with military bases in over 100 countries.

You might think that it was the DPRK that had 25 military bases in Mexico or Canada poised to invade the U.S., or that the DPRK has 1,000 nuclear missiles in the region capable of targeting every major city in the U.S. You might think the DPRK was carrying out war exercises on the U.S. border, with tens of thousands of troops practicing the invasion and occupation of Washington and the rest of the country.

Is Washington’s alarm caused by the DPRK air force flying nuclear-capable stealth bombers near the Canadian border, simulating nuclear bomb drops? Are the DPRK’s naval forces carrying out exercises with missile ships, amphibious landing vehicles, destroyers and anti-missile defense systems in the Chesapeake Bay, practicing for landing and occupation?

Nope. It’s just the other way around.

The Pentagon has sent its forces halfway around the world to waters and land surrounding the DPRK. They are doing all the above, “practicing” for the destruction of the DPRK and the overthrow of its socialist government.

In an article entitled “North Korea May Actually Think a War Is Coming,” cnbc.com, no friend of the DPRK, on Feb. 22 refuted the idea that the leadership of the DPRK is just drumming up war and/or imagining things.

U.S. escalated war exercises

The article pointed out that the DPRK’s military defensive activities have been driven by reality. For example:

“The first joint military exercises between the U.S. and South Korea since the death of Kim Jong-il suddenly changed their nature, with new war games including preemptive artillery attacks on North Korea.

“Another amphibious landing operation simulation took on vastly larger proportions following Kim Jong-il’s death.”  The sheer amount of equipment deployed was amazing: 13 naval vessels, 52 armored vessels, 40 fighter jets and 9,000 U.S. troops.

“South Korean officials began talking of Kim Jong-il’s death as a prime opportunity to pursue a regime-change strategy.

“South Korea unveiled a new cruise missile that could launch a strike inside North Korea and is working fast to increase its full-battery range to strike anywhere inside North Korea.

“South Korea openly began discussing asymmetric warfare against North Korea.

“The U.S. military’s Key Resolve Foal Eagle computerized war simulation games suddenly changed, too, simulating the deployment of 100,000 South Korean troops on North Korean territory following a regime change.

“Japan was brought on board, allowing the U.S. to deploy a second advanced missile defense radar system on its territory and the two carried out unprecedented war games.

“It is also not lost on anyone that despite what on the surface appears to be the U.S.’ complete lack of interest in a new South Korean naval base that is in the works, this base will essentially serve as an integrated missile defense system run by the U.S. military and housing Aegis destroyers.”

Success of DPRK nuclear tests threw off imperialist war plans

So the plan to overthrow the government of the DPRK has been in the works since the death of the previous leader of the country, Kim Jong Il, in 2012. This was regarded as an opening by U.S. imperialism, its south Korean puppet regime and its imperialist allies in Tokyo to seize the DPRK by military force and reunify the country on a capitalist basis.

They have been actively planning this for months. But the DPRK’s successful tests of nuclear weapons and a missile delivery system in February of this year threw off the plans of the unholy Pentagon-created alliance of Washington, Tokyo and Seoul, which then drastically escalated the level of their menacing joint war “games.”

It is perfectly clear from these circumstances why the Workers’ Party of Korea in its March plenum of this year declared that the DPRK has “a new strategic line on carrying out economic construction and building nuclear armed forces simultaneously under the prevailing situation.” (www.kcna.co, March 31)

Nuclear deterrent not a ‘bargaining chip’

The KCNA release stressed that “the party’s new line is not a temporary countermeasure for coping with the rapidly changing situation but a strategic line. …

“The nuclear weapons of Songu Korea are not goods for getting U.S. dollars and they are neither a political bargaining chip nor a thing for economic dealings to put on the table of negotiations aimed at forcing the DPRK to disarm itself. …

“The DPRK’s nuclear armed forces represents the nation’s life, which can never be abandoned as long the imperialists and nuclear threats exist on earth.”

There were many very important resolutions passed at the Party’s plenary session on the economic development of the country, including developing light industry, agriculture and electrification. But the central resolution has served notice on Washington, the U.N. Security Council, Tokyo and Seoul that the DPRK is not willing to re-enter the U.S.-sponsored “negotiating process” of maneuver and deceit, whose guiding aim since 1994 has been to keep the DPRK from gaining any type of nuclear capability while Washington builds up its military forces in the region.

1994 Agreed Upon Framework and U.S. deception

Washington claims to be acting in “defense,” but it is because of actions by the Pentagon that the DPRK has had to develop a nuclear deterrent.

In 1994, after the Clinton administration went to the brink of war against the DPRK, Washington and Pyongyang signed the Agreed Upon Framework, under which the DPRK was to refrain from nuclear development and Washington would end economic sanctions, contribute financial aid, aid to agricultural development, would build light water nuclear reactors to provide electricity and would provide fuel oil until the reactors were completed and operating. Tokyo and Seoul were supposed to participate in the project.

The two countries were pledged to a nonhostile relationship and to the normalization of relations.

Clinton only agreed to the Framework because the USSR had collapsed, the DPRK’s legendary founder Kim Il Sung had just died in 1994, and Washington was expecting the government and the socialist system  to collapse long before the agreement was to be carried out.

But the years passed and the DPRK survived under the leadership of Kim Jung Il, despite all the hardships caused by the collapse of the USSR and natural disasters that threatened the food supply. Neither the government nor the socialist system collapsed, due both to the leadership and to the determination of the masses to withstand all the difficulties they faced.

The U.S. sanctions were not ended; the fuel oil lagged far behind in delivery, through cold winters; no work was done on the light water reactors. Yet the DPRK kept its end of the bargain and refrained from nuclear development, both peaceful and military.

Meanwhile, Washington continued with “war games” in the south,  reorganizing its forces in the region to be in a better defensive and offensive military position. The DPRK watched the U.S. nuclear monster getting more and more threatening.

‘Axis of Evil’ threats

In January 2002, President George W. Bush declared that the DPRK was part of an “axis of evil” along with Iraq and Iran. Members of this supposed “axis of evil” were subject to preemptive U.S. military attack. In its Nuclear Posture Review later that year revising U.S. nuclear policy, the Bush administration declared that the DPRK , among others, could be subject to a first strike nuclear attack.

So much for “nonhostile” relations.

The light water nuclear reactors that were fundamental to the agreement were supposed to have been operational by 2003. But they were not started until August 2002 and were abandoned at the end of the year, when the U.S. tried to frame up the DPRK with false charges that it was developing nuclear fuel.

Due to the betrayal of the U.S., the Agreed Upon Framework collapsed by 2003. The DPRK withdrew from the Nuclear Non-Proliferation Treaty and embarked upon its own nuclear development. But it had lost almost a decade of development of a nuclear military deterrent, while the military threats to its existence increased. Washington had bombed Iraq and overthrown its government. It was threatening Iran. Developing a deterrent became urgent.

Even after this record of betrayal, the DPRK agreed to six-party talks in 2003 that also involved China, the U.S., Japan, Russia and south Korea.  Under pressure, the DPRK in 2005 once again agreed to suspend its nuclear development in retur

(Message over 64 KB, truncated)




Vandali sotto bandiera Nato

di Manlio Dinucci | da il Manifesto del 9 aprile 2012

Quando nel marzo 2001 due antiche statue di Buddha vennero distrutte in Afghanistan dai taleban, le immagini dell’atto vandalico fecero il giro del mondo, suscitando legittima indignazione. 

La cappa del silenzio politico-mediatico copre invece quanto avviene oggi in Siria. I siti archeologici vengono non solo danneggiati dalla guerra, ma saccheggiati soprattutto dai «ribelli» che, alla ricerca di gioielli e statuette, distruggono spesso altri preziosi reperti. Ad Apamea hanno asportato antichi mosaici e capitelli romani servendosi di bulldozer. Molti delle decine di musei sparsi in tutta la Siria, compreso quello di Homs, sono stati depredati di beni di inestimabile valore storico e culturale, tra cui una statua d’oro dell’8° secolo a.C. e vasellame del terzo millennio a.C. In due anni di guerra sono state cancellate testimonianze di millenni di storia. 

L’appello dell’Unesco per salvare i beni culturali siriani, parte del Patrimonio mondiale, resta inascoltato. Il perché è chiaro: principali autori dello scempio sono i «ribelli», armati e addestrati dai comandi e servizi segreti Usa/Nato, che concedono loro il «dititto di saccheggio» e la possibilità di portar via dalla Siria i beni rubati per venderli sul mercato nero internazionale. 

Una pratica ormai consolidata. In Kosovo, nel 1999, chiese e monasteri serbo-ortodossi di epoca medioevale furono prima danneggiati dai bombardamenti, quindi incendiati o demoliti dalle milizie dell’Uck, cui la Nato dette anche la possibilità di saccheggiarli, rubando icone e altri preziosi oggetti. Il tutto sotto la cappa del silenzio politico-mediatico. 

Quando i taleban distrussero nel 2001 le statue di Buddha, invece, i primi a condannare tale atto furono gli Stati uniti e i loro alleati. Non certo per salvaguardare il patrimonio storico afghano, ma per preparare l’opinione pubblica alla nuova guerra, che iniziò pochi mesi dopo quando, nell’ottobre 2001, forze statunitensi invasero l’Afghanistan aprendo la strada all’intervento Nato contro le forze taleban: le stesse che gli Usa avevano prima contribuito a formare attraverso il Pakistan e che, una volta servite allo scopo, dovevano essere eliminate. 

In Iraq, dove durante la guerra del 1991 erano già stati saccheggiati almeno 13 musei, il colpo mortale al patrimonio storico è stato inferto con l’invasione iniziata dagli Usa e alleati nel 2003. Il sito archeologico di Babilonia, trasformato in campo militare Usa, fu in gran parte spianato con i bulldozer. Il Museo nazionale di Baghdad, volutamente lasciato sguarnito, fu saccheggiato: sparirono oltre 15mila reperti, testimoni di cinquemila anni di storia, 10mila dei quali non sono più stati ritrovati. 

Mentre militari Usa e contractor partecipavano al saccheggio di musei e siti archeologici e al mercato nero degli oggetti rubati, il segretario alla difesa Rumsfeld dichiarava «sono cose che capitano». Come oggi in Siria, mentre quasi tutto il «mondo della cultura» occidentale osserva in silenzio.




http://lanuovasardegna.gelocal.it/olbia/cronaca/2013/04/06/news/armi-sui-traghetti-il-segreto-di-stato-fa-affondare-l-inchiesta-1.6831787


DA LA NUOVA SARDEGNA

Armi sui traghetti, il segreto di Stato fa affondare l’inchiesta


Il trasferimento del carico da Santo Stefano avvenne il 19 maggio del 2011. Impossibile sentire i testimoni: la procura di Tempio chiede l’archiviazione

- di Giampiero Cocco

LA MADDALENA. La ragion di Stato fa calare il sipario sull’inchiesta, avviata dalla procura della Repubblica di Tempio, sul trasferimento illegale di un gigantesco carico di armi e munizioni prelevato dai bunker dell’isola di Santo Stefano e destinato, già dal 1996 per ordine dei giudici, alla distruzione. Il magistrato inquirente, Riccardo Rossi, all’ennesima apposizione del segreto di Stato da parte del Governo per «inderogabili e superiori esigenze di sicurezza nazionale», ha deciso di chiudere lo spinosissimo e imbarazzante caso con risvolti internazionali chiedendo l’archiviazione al gip del tribunale di Tempio.

I testimoni scomodi. Un provvedimento annunciato da tempo, considerato che i personaggi che avrebbero dovuto deporre, in qualità di «persone informate dei fatti» erano il capo di Stato maggiore della marina militare, l’ammiraglio di squadra Bruno Branciforte, in quanto responsabile della polveriera- bunker di Santo Stefano, l’ex presidente del comitato militare Nato e attuale ministro della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, e gli ufficiali dei servizi segreti militari che gestirono, in prima persona, il gigantesco trasferimento di armamenti dall’isola della Maddalena verso la meta finale.

La destinazione. Nessuno (ormai) lo dirà, ma quel prezioso carico di armi – si stima che il valore complessivo degli armamenti superi i cento milioni di euro – venne sbarcato nel porto di Bengasi, nascosto tra i generi di “supporto logistico” e consegnato ai diversi comitati che dirigevano gli insorti libici di varie etnie e fazioni (per non scontentare nessuno) che, nella primavera araba del 2011, combatterono e sconfissero le agguerrite milizie guidate dai familiari del defunto rais libico Muammar Gheddafi.

Le armi russe. Le armi facevano parte del colossale carico di missili, munizioni, razzi e fucili mitragliatori kalashnikov stoccati per anni nei tunnel di Santo Stefano su ordine della magistratura. Quelle armi erano state sequestrate il 13 marzo del 1994 nello stretto di Otranto. Viaggiavano sulla nave Jadran Express ed erano destinate al mattatoio dei Balcani.

Dietro il traffico c’era l’oligarca russo Alexander Zhukov che venne arrestato, ma poi uscì pulito perché al processo fu prosciolto per difetto di giuristizione. Un vero e proprio tesoro destinato alla distruzione (mai disposta dai vertici militari) su ordine della magistratura torinese e che servì come merce di scambio, nel maggio del 2011, al governo Berlusconi che aveva riconosciuto il Cnt (consiglio nazionale di transizione) che guidava la sommossa contro Gheddafi. L’Italia, con il ministro degli Esteri Franco Frattini, fu il primo tra gli Stati a riconoscere l’autorità del Cnt, assicurandosi la prosecuzione dei contratti in essere per la fornitura di gas e petrolio e le commesse per la realizzazione, in Libia, di infrastrutture pubbliche e autostrade.

Polveriera a bordo. I quattro container militari, stipati di armi, furono trasferiti da Santo Stefano su navi passeggeri della Saremar e della Tirrenia, all’avvio della stagione turistica. La notte del 19 maggio il carico bellico venne imbarcato sul traghetto per Civitavecchia, stivato in un traghetto sul quale avevano preso posto 725 persone tra passeggeri e equipaggio. Tra questi c’erano 122 bambini e 87 anziani, tutti ignari del carico pericoloso. Modalità di trasporto vietate dalle normative internazionali e giudicate «problematiche per la sicurezza» dagli stessi ambienti militari. Da Marisardegna, però, rassicurarono che «tutte le armi erano state rese inerti già prima della partenza».

Fu l’unica ammissione, poi ritrattata, dell’avvenuto trasferimento di armi a bordo di navi passeggeri, mentre i container furono accettati a bordo dal comandante della Tirrenia perché nella bolla di accompagnamento erano indicati genericamente «pezzi di ricambio».

Ma qualcosa non quadrò sin dal primo momento, in quanto nella stiva rimasero, a guardia del prezioso carico, una squadra di militari armati. A Santo Stefano i container vennero riempiti con parte dei 30mila fucili mitragliatori AK-47, 32 milioni di proiettili, 400 missili terra-aria anticarro Spigot AT-4 con 50 postazioni di tiro, 5mila razzi Katiuscia da 122 millimetri, 11 mila razzi anticarro Rpg.

Il passaggio nel Lazio. La mattina del 20 maggio il convoglio militare, sbarcato a Civitavecchia, (4 camion più due auto dell’Esercito, di scorta) si sarebbe diretto verso l’ex poligono militare di Santa Severa. Da quel momento le armi si volatilizzarono.

L’inchiesta. In seguito alla pubblicazione della notizia da parte del nostro quotidiano, la procura della Repubblica di Tempio nel mese di giugno avviò un’indagine. I primi a finire sul registro degli indagati furono due alti ufficiali della Marina militare, che si trincerano dietro l’inopponibile segreto militare. Anche i cronisti che si erano occupati dello spinoso caso sono stati sentiti a verbale dal magistrato inquirente. Rossi aveva già ricevuto un primo rifiuto dai vertici militari a essere sottoposti a interrogatorio insieme all’annuncio dell’imminente apposizione del segreto di Stato sull’intero affaire. Le diverse ipotesi di reato contestate dalla Procura gallurese ai due soli indagati dell’inchiesta erano quelle di attentato alla sicurezza nei trasporti e falso in atti pubblici.

L’imbroglio. La magistratura torinese, l’unica in possesso della lista delle armi sequestrate nel 1994 e finite a Santo Stefano, nel 2006 aveva disposto la distruzione dell’intero arsenale posto sotto sequestro.

Una richiesta, questa, che rimase lettera morta per anni, senza che nessuno potesse imporre l’esecuzione di quell’ordinanza. Poi, nel 2011, ecco arrivare la decisione dei vertici militari e del Governo: spedire in terra d’Africa buona parte di quegli armamenti che, all’Italia, erano costati zero lire e che creavano un serio problema per il loro smaltimento. Con un decreto legge (mai ratificato) venne disposta l’acquisizione delle armi al patrimonio dello Stato, e quindi il suo utilizzo. Ma è proprio la mancata ratifica del decreto legge ad aver innescato un’inchiesta, chiusa con il segreto di Stato.




(italiano / english)

North Korea: ‘U.S. should ponder grave situation’

1) E' l'imperialismo a minacciare la pace, non la Corea Popolare (Vermelho)
2) North Korea: ‘U.S. should ponder grave situation’ (WW / Rodong Sinmun)
3) Il dovere di evitare una guerra in Corea (Fidel Castro Ruz)


=== 1 ===

http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/22051-e-limperialismo-a-minacciare-la-pace-non-la-corea-popolare.html  


L'editoriale di “Vermelho”, portale web del Partito Comunista del Brasile (PCdoB), sugli sviluppi della situazione nella Penisola Coreana

Una scalata della tensione militare e dei pericoli di guerra si sta sviluppando già da diverse settimane nella Penisola Coreana. Sugli sviluppi della situazione, l'apparato mediatico al servizio dell'imperialismo si sta esercitando nelle arti di cui è più esperto: tergiversare, distorcere, disinformare e mentire.

I notiziari e gli editoriali vengono confezionati a partire da immagini e frasi selezionate e decontestualizzate, con il deliberato obiettivo di presentare la Repubblica Popolare Democratica della Corea (RPDC) – un paese socialista e rivoluzionario impegnato a costruire la sua economia e a consolidare il potere nazionale sulla base delle proprie forze e dell'esercizio della sua sovranità – come un regime “eccentrico”, “totalitario” e “minaccioso”.

La pace e la sicurezza internazionale sono obiettivi permanenti dei popoli e delle nazioni sovrane, bandiera irrinunciabile dei paesi socialisti nel quadro di relazioni diplomatiche realizzate sui principi del Diritto Internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. Ciò contrasta con le pratiche unilaterali, imperialiste, egemoniste degli Stati Uniti e dei loro alleati, la cui politica estera è basata su minacce alla sovranità nazionale di popoli e nazioni, sul militarismo, sul monopolio delle armi nucleari, sul saccheggio delle ricchezze nazionali, sulla realizzazione di guerre di aggressione.

La Repubblica Popolare Democratica della Corea è uno dei principali bersagli dell'imperialismo statunitense, che usa il territorio della vicina Corea del Sud come base militare, dove ammassa truppe, armamento convenzionale e nucleare. Lo stato di guerra nella Penisola Coreana non è il risultato di una proclamazione da parte del governo della RPDC. E', prima di tutto, uno stato permanente, la cui principale espressione è la realizzazione frequente di manovre militari congiunte delle forze armate nordamericane e sud-coreane, in cui si mobilitano decine di migliaia di soldati, navi da guerra, aerei da combattimento, artiglieria pesante e armi nucleari.

La Repubblica Popolare Democratica della Corea ha stile e linguaggi propri, ma non risiede nelle sue decisioni e nella sua retorica la causa della tensione nella Penisola Coreana.

La Corea Popolare, nella sequenza dei suoi comunicati, con tutte le ragioni, ha addossato la responsabilità agli Stati Uniti e alla Corea del Sud per la crescente tensione, ha voluto evidenziare la minaccia rappresentata dalle manovre militari su grande scala che gli Stati Uniti attuano insieme alla Corea del Sud, che rappresentano un'esplicita provocazione e mettono a rischio la sua sovranità.

A loro volta, gli Stati Uniti, oltre a confermare la realizzazione di esercitazioni militari congiunte, hanno ordinato l'installazione di un radar di difesa antimissile nell'isola di Guam, situata nel Pacifico, hanno inviato nella regione l'USS Fitgerald destroyer, capace di abbattere missili, in prossimità delle coste della Corea Popolare. Per aggravare ancora di più la situazione, Washington ha inviato nella regione i suoi bombardieri B-52 e B-2, con capacità nucleare, e i caccia F-22. E i portavoce della Casa Bianca, del Pentagono e del Dipartimento di Stato hanno alzato il tono delle loro dichiarazioni, dichiarando che la Corea Popolare è una “grave minaccia” per il mondo.

La vera minaccia proviene dalle politiche militariste e belliciste dell'imperialismo statunitense e dei suoi alleati. Affrontarla e combatterla è compito delle lotte dei popoli di tutto il mondo.


=== 2 ===

http://www.workers.org/2013/04/04/north-korea-u-s-should-ponder-grave-situation/

North Korea: ‘U.S. should ponder grave situation’

By Editor on April 4, 2013 » Add the first comment.

Editor’s note: Workers World reprints below an official statement from the Korean People’s Army on the dangerous situation created by U.S. military moves close to the boundaries of the Democratic People’s Republic of Korea — north Korea. We think it’s important that people in the U.S. hear directly from the Koreans themselves, especially since the U.S. media are unanimous in blaming People’s Korea for the war danger that exists.

A fact never mentioned in the corporate media in the U.S. is that the NATO powers, and specifically the U.S. government, have never pledged “no first use” of their nuclear weapons. They keep open the “first-strike” option as a threat to the world. Only three countries have pledged “no first use” — the DPRK, China and India. The Soviet Union also made such a pledge, but the Russian government that took over after the fall of the USSR revoked that pledge in 1993.

The spokesperson for the General Staff of the KPA issued the following statement on April 4:

A [touch]-and-go situation is prevailing on the Korean Peninsula.

U.S. formation of B-52s based on Guam flew into the sky above south Korea all of a sudden to stage a drill under the simulated conditions of a nuclear strike at the DPRK and formations of F-22s took off from Japan proper and Okinawa and were deployed in the Osan air force base in south Korea to watch for a chance to make a surprise strike.

B-2s flew into the air over waters of the West Sea of Korea from the U.S. mainland and nuclear-powered guided missile submarines and guided missile destroyers of the U.S. Navy which had been operating in waters of the Western Pacific are busy sailing in the West and East Seas of Korea.

It was reported that [a] super-large nuclear-powered aircraft carrier and its group will enter the waters off the Korean Peninsula soon after leaving waters of the Indian Ocean or the western coast of the U.S. mainland.

South Korea and waters around it are turning into places for display of various types of nuclear strike means of the U.S. imperialist aggressor forces and a dangerous hotbed of a nuclear war in the true sense of the word.

The U.S. high-handed hostile policy toward the DPRK aimed to encroach upon its sovereignty and the dignity of its supreme leadership and bring down its social system is being implemented through actual military actions without hesitation. Days and months have passed on this land amid the constant danger of war but never had the whole Korean Peninsula been exposed to such danger of a nuclear war as today.

Under this situation the towering resentment of the DPRK’s army and people has reached an irrepressible phase as they are all out in the all-out action to defend the sovereignty and prevent a nuclear war of the U.S.

In view of the prevailing situation the world’s people who love justice and value conscience are unanimously becoming critical of the U.S. and its followers for their disgraceful behavior of prodding the UN Security Council into adopting “resolutions on sanctions” against the DPRK and vocal expressing concern over the situation on the peninsula.

The moment of explosion is approaching fast. No one can say a war will break out in Korea or not and whether it will break out today or tomorrow.

The responsibility for this grave situation entirely rests with the U.S. administration and military warmongers keen to encroach upon the DPRK’s sovereignty and bring down its dignified social system with brigandish logic.

In view of this situation, the KPA General Staff in charge of all operations will take powerful practical military counteractions in succession as the KPA Supreme Command had already solemnly declared internally and externally.

We have already sent a strong message to the present puppet authorities and military of south Korea following in the footsteps of traitor [former south Korean President] Lee Myung Bak so that they may understand our position.

As a matter of fact, puppet military gangsters such as [south Korean Minister of Defense] Kim Kwan Jin are human rejects not worth becoming targets of the DPRK’s revolutionary armed forces.

We formally inform the White House and Pentagon that the ever-escalating U.S. hostile policy toward the DPRK and its reckless nuclear threat will be smashed by the strong will of all the united service personnel and people and cutting-edge smaller, lighter and diversified nuclear strike means of the DPRK and that the merciless operation of its revolutionary armed forces in this regard has been finally examined and ratified.

The U.S. had better ponder over the prevailing grave situation.

Rodong Sinmun


=== 3 ===

http://it.cubadebate.cu/fidel-riflessioni/2013/04/05/il-dovere-di-evitare-una-guerra-corea/


Il dovere di evitare una guerra in Corea


5 Apr 2013    1

“Alcuni giorni fa ho fatto riferimento alle grandi sfide che affronta oggi l’umanità. La vita intelligente è sorta nel nostro pianeta circa 200 mila anni fa, tranne nuove scoperte che dimostreranno il contrario.

Non si può confondere l’esistenza della vita intelligente con l’esistenza della vita che, dalle sue forme elementari nel nostro sistema solare, è sorta milioni di anni fa.

Esiste un numero praticamente infinito di forme di vite. Nel lavoro sofisticato dei più imminenti scienziati del mondo, si concepisce già l’idea di riprodurre i suoni che sono seguiti al Big Bang, la grande esplosione che ha avuto luogo più di 13.700 milioni di anni fa.

Questa introduzione sarebbe troppo lunga se non stessi per spiegare la gravità di un fatto così incredibile ed assurdo, come è la situazione creata nella Penisola della Corea, in un’area geografica dove si raggruppano circa 5 mila dei 7 mila milioni di persone che in questo momento abitano il pianeta.

Si tratta di uno dei più gravi rischi di guerra nucleare dopo la Crisi d’Ottobre nel 1962 attorno a Cuba, 50 anni fa.

Nel 1950 si scatenò là una guerra che costò milioni di vite. Erano passati solo 5 anni da quando due bombe atomiche erano esplose sulle città indifese di Hiroshima e Nagasaki, e in questioni di pochi minuti uccisero e contaminarono centinaia di migliaia di persone.

Nella penisola coreana, il Generale Douglas MacArthur ha voluto impiegare le armi atomiche contro la Repubblica Popolare Democratica di Corea. Ma nemmeno Harry Truman glielo ha permesso.

Come si afferma, la Repubblica Popolare della Cina ha perso un milioni di bravi soldati per impedire che un esercito nemico s’installasse alle frontiere di questo paese con la loro Patria. L’URSS, da parte sua, aveva fornito armi, appoggio aereo, aiuto tecnologico ed economico.

Ho avuto l’onore di conoscere Kim Il Sung, una figura storica, notevolmente valoroso e rivoluzionario.

Se là scoppiasse una guerra, i popoli di entrambi le parti della Penisola saranno terribilmente colpiti senza beneficio per nessuno di loro. La Repubblica Popolare Democratica della Corea è sempre stata amica di Cuba, come Cuba lo è stata sempre e continuerà ad esserlo della Corea.

Ora che ha dimostrato le sue conquiste tecniche e scientifiche, le ricordiamo i suoi doveri verso i paesi che sono stati suoi grandi amici e che non sarebbe giusto dimenticare che questa guerra danneggerebbe in modo speciale più del 70 % della popolazione del pianeta.

Se lì scoppiasse un conflitto di questo genere, il Governo di Barack Obama nel suo secondo mandato sarebbe sepolto da un diluvio di immagini che lo presenterebbero come il più sinistro personaggio della storia degli Stati Uniti. Il dovere di evitarlo è anche suo e del popolo degli Stati Uniti.


Fidel Castro Ruz

4 aprile 2013





=== * ===

Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
http://www.facebook.com/cnj.onlus/



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(srpskohrvatski / deutsch)

Niemals vergessen

1) Niemals vergessen. Schlussdokument der internationalen Konferenz veranstaltet am 23. und 24. März 2009 in Belgrad
2) Порука Живадина Јовановића, 1 април 2013


Wichtige dokumentation online:
Zeit-Fragen (Wochenzeitung, Zürich), Nr.13 vom 25.3.2013

http://www.zeit-fragen.ch/index.php?id=1402

enthält:
«Die Nato-Aggression gegen Jugoslawien von 1999 war ein Modell der neuen Eroberungskriege»
«Humanitäre Interventionen» als Vorwand für Stationierung von US-Truppen | Interview mit Živadin Jovanovic, ehemaliger Aussenminister der Bundesrepublik Jugoslawien, heute Präsident des Belgrade Forum for a World of Equals
http://www.zeit-fragen.ch/index.php?id=1403
Die Nato-Aggression gegen die Bundesrepublik Jugoslawien von 1999
von Milica Radojkovic-Hänsel
http://www.zeit-fragen.ch/index.php?id=1404
Schon zehn Jahre!
Auszüge aus dem Tagungsband «Nato Aggression. The Twilight of the West»
http://www.zeit-fragen.ch/index.php?id=1405
Nationen ohne Vergangenheit haben auch keine Zukunft
von Major Pierre-Henri Bunel, Frankreich
http://www.zeit-fragen.ch/index.php?id=1406
Niemals vergessen
Das Schlussdokument der internationalen Konferenz von Belgrad veranstaltet am 23. und 24. März 2009 in Belgrad
(hier unten zu lesen)


=== 1 ===

(Um die internationale Konferenz von Belgrad, veranstaltet am 23. und 24. März 2009, siehe auch:
https://www.cnj.it/24MARZO99/2009/beogradskiforum.htm
Um das Buch "Nato Aggression. The Twilight of the West" siehe auch: 

http://www.zeit-fragen.ch/index.php?id=1407

Die Nato-Aggression gegen Jugoslawien (Serbien und Montenegro) war eine Invasion, die lange zuvor geplant worden war und die folgende ­globalen Ziele hatte: einen Präzedenzfall für weltweite Militärinterventionen schaffen; amerikanische Truppen auf den Balkan bringen und die Nato-Ost-Erweiterung; die Einkreisung Russlands; die Änderung der nach dem Zweiten Weltkrieg errichteten internationalen Rechtsordnung durch das Aufzwingen des Grundsatzes, wonach Macht gleich Recht sei; das Aufzwingen des neoliberalen kapitalistischen Systems; die Schwächung Europas und die Beschädigung der Rolle der Vereinten Nationen. Das letztendliche Ziel hat darin bestanden, das US-Konzept der unipolaren Weltordnung zu verstärken, um die Kontrolle über alle wirtschaftlichen, natürlichen und menschlichen Ressourcen des Planeten zu etablieren. Die Erweiterung der Nato in Europa und auf anderen Kontinenten zeugt vom Willen, der Gendarm des Konzern-Kapitals auf der ganzen Welt zu werden.


Niemals vergessen


Belgrade Forum for a World of Equals

Das Schlussdokument der internationalen Konferenz von Belgrad

veranstaltet am 23. und 24. März 2009 in Belgrad


Das Belgrade Forum for a World of Equals hat in Zusammenarbeit mit dem Club von Generälen und Admirälen der Streitkräfte Serbiens sowie anderen unabhängigen Vereinigungen in Serbien und in Koordination mit dem Weltfriedensrat (World Peace Council WPC) in Belgrad vom 23. bis 24. März 2009 eine internationale Konferenz zum Thema «Ziele und Folgen der Nato-Aggression gegen die Bundesrepublik Jugoslawien (Serbien und Montenegro) – 10 Jahre danach» durchgeführt. 
Die Konferenz versammelte rund 700 Wissenschaftler und Experten aus dem Bereich internationale Beziehungen und Sicherheit aus Serbien und 45 Ländern aller Kontinente, mit Ausnahme von Australien. Gegen 60 Teilnehmer legten ihre Papiere zu verschiedenen Aspekten der Aggression und der anschliessenden Entwicklung vor.
Die Eröffnungszeremonie erfolgte im Beisein von Frau Prof. Slavica Dukic Dejanovic, der Sprecherin der Nationalversammlung Serbiens, Energieminister Petar Skundic sowie Vertretern der serbisch orthodoxen Kirche, der Veteranen, der Jugend und anderen Organisationen.
Ivica Dacic, stellvertretender Premierminister der Regierung und Innenminister, sprach an der Konferenz und begrüsste die ausländischen Gäste im Namen der Regierung.
Ausserordentliche Teilnehmer der Konferenz waren der Präsident, Socorro Gomes, und der Generalsekretär, Thanasis Pafilis, des Weltfriedensrates. 
An der Konferenz nahm auch eine Reihe von in Serbien akkreditierten Botschaftern und höheren diplomatischen Vertretern teil.
Die Teilnehmer erwiesen den Opfern der 78 Tage dauernden Bombardierung die Ehre und legten am Denkmal für die Opfer der Aggression Kränze nieder. 
Die Diskussion wurde im Geiste der Freundschaft, der Offenheit und Solidarität aller Organisationen und Einzelpersonen durchgeführt, die um Frieden, Entwicklung und Wohlfahrt ringen.

Die Teilnehmer der Konferenz von ­Belgrad einigten sich auf folgendes:

Die Nato-Aggression gegen Jugoslawien (Serbien und Montenegro) war eine Invasion, die lange zuvor geplant worden war und die folgende globalen Ziele hatte: einen Präzedenzfall für weltweite Militärinterventionen schaffen; amerikanische Truppen auf den Balkan bringen sowie die Nato-Ost-Erweiterung; die Einkreisung Russlands; die Änderung der nach dem Zweiten Weltkrieg errichteten internationalen Rechtsordnung durch das Aufzwingen des Grundsatzes, wonach Macht gleich Recht sei; das Aufzwingen des neoliberalen kapitalistischen Systems; die Schwächung Europas und die Beschädigung der Rolle der Vereinten Nationen. Das letztliche Ziel hat darin bestanden, das US-Konzept der unipolaren Weltordnung zu verstärken, um die Kontrolle über alle wirtschaftlichen, natürlichen und menschlichen Ressourcen des Planeten zu etablieren. Die Erweiterung der Nato in Europa und auf anderen Kontinenten zeugt vom Willen der USA, der Gendarm des Konzern-Kapitals auf der ganzen Welt zu werden.
Der Aggression voraus gingen die Verbreitung von Lügen und Täuschungen, wobei der These der «Vermeidung einer humanitären Katastrophe» eine besondere Rolle zugewiesen war, die Pseudo-Verhandlungen in Rambouillet und das inszenierte «Massaker an Zivilisten» in Racak.
Die Aggression in Verbindung mit deren Vorlauf und deren Folgen ist Beweis für eine tiefe Krise von Moral und Zivilisation der herrschenden westlichen Eliten, während ihr Bumerang-Effekt sie zehn Jahre später als tiefgreifende globale Wirtschaftskrise heimsucht, die unabsehbar ist und bleibt.
Die Führer der Nato-Staaten sind für den Einsatz bewaffneter Streitkräfte ohne Zustimmung des Uno-Sicherheitsrates verantwortlich; für das Brechen der Uno-Charta, der OSZE-Schlussakte von Helsinki, der Charta von Paris und anderer internationaler Konventionen, was einem Verbrechen gegen den Frieden und die Menschheit gleichkommt.
Sie sind für mehr als 3500 tote und mehr als 10 000 verletzte Menschen verantwortlich, davon zwei Drittel Zivilisten, für den Einsatz unmenschlicher und unerlaubter Waffen wie Geschosse und Raketengefechtsköpfe aus abgereichertem Uran sowie Cluster-Bomben.
Sie sind auch für den Verlust an Menschenleben und für Leiden verantwortlich, die sich seither als Folge der Aggression ergeben haben, für die anhaltende Verseuchung des Bodens und des Wassers, eine Folge des verbreiteten Einsatzes von Geschossen aus abgereichertem Uran, und für das bewusste Bombardieren chemischer Fabriken, was einer chemischen Kriegsführung gleichkommt. Und sie sind auch für einen wirtschaftlichen Schaden verantwortlich, der mehr als 100 Milliarden US-Dollar kostet. Serbien hat ein Recht auf Entschädigung für Kriegsschäden.
Die Nato ist dafür verantwortlich, dass sie es versäumte, die Zerstörung und Vernichtung serbischer Kulturdenkmäler in Kosovo und Metochien zu verhindern, was zur Zerstörung von 150 serbischen Kirchen und mittelalterlichen Klöstern führte, von denen die meisten unter dem Schutz der Unesco standen.
Es gilt, die Verantwortung für den steilen Anstieg bei der Häufigkeit von Krebs, für den Verlust an Menschenleben und Leiden der letzten zehn Jahre zu identifizieren, die durch die radiologische und chemische Verseuchung des Bodens, des Wassers, der Nahrung und der Umwelt im allgemeinen verursacht wurden und deren Folge sind.
Serbien hat das Recht, für die Kriegsschäden Ersatz zu fordern und zu erhalten; dieses Recht kann ihm nicht genommen werden, und niemand hat das Recht, es wegzubedingen.
Die Regierung von Serbien war gebeten, die korrekte Zahl der zivilen Opfer der Nato-Aggression zu bestimmen.
Man darf die Wirkungen der radioaktiven Waffen und der chemischen Substanzen, die aus von der Nato absichtlich bombardierten chemischen Anlagen austraten, nicht vernachlässigen oder vergessen und noch weniger vertuschen. Man hat der Regierung von Serbien eine Petition übersandt, sie solle für eine unabhängige wissenschaftliche Expertise über alle Folgen des Einsatzes verbotener Waffen sorgen, ein Massnahmenpaket unterstützen, mit dem die schädlichen Wirkungen derselben in der Zukunft verhindert werden können, und die Befunde einer solchen Analyse veröffentlichen.
Die US/Nato/EU-Aggression von 1999 war der erste Krieg auf europäischem Boden seit dem Zweiten Weltkrieg. Das war nicht nur ein Krieg gegen einen alten souveränen europäischen Staat, sondern hauptsächlich ein Krieg gegen Europa. Paradoxerweise unter Beteiligung von Europa selber. 
Er wurde in einer einmaligen Allianz von einer internationalen Staatenorganisation (der Nato) mit einer notorischen Terrororganisation (OVK/UCK) geführt.
Die Aggression war ein historischer Fehler des Westens, der früher oder später als solcher anerkannt werden wird. Die Konsequenzen dieser Aggression werden sich über das ganze 21. Jahrhundert erstrecken. Der Westen ist es Serbien schuldig, sich für alle Opfer und Leiden zu entschuldigen, wenn er sich nicht mit einer noch tieferen moralischen und allumfassenden Krise konfrontiert sehen will.
Die Teilnehmer der Konferenz brachten ihre hohe Achtung für die jugoslawische und serbische Armee zum Ausdruck, für ihren Patriotismus, ihre Professionalität und ihre Tapferkeit bei der Verteidigung der Freiheit des Landes gegen den Angriff der Aggressoren.
Die Aggression ist während der folgenden zehn Jahre unter Verwendung anderer Mittel wie politischer, ökonomischer und propagandamässiger Erpressung, durch die Auflösung der jugoslawischen (serbischen) Armee und durch die Beseitigung der Bundesrepublik Jugoslawien weitergegangen.
Den Höhepunkt der imperialistischen anti-serbischen Politik verkörperte die illegale und einseitige Unabhängigkeitserklärung von Kosovo und Metochien vom 17. Februar 2008. Dieser folgte die Anerkennung dieser kriminellen Nato/EU-Kreatur durch die Mitgliedstaaten derselben, mit Ausnahme von Griechenland, Rumänien, Spanien, der Slowakei und Zypern. 
Die Misswirtschaft westlicher Aussen­politik hat Kosovo und Metochien, derzeit von terroristischen Führern und einem Netz von Drogenhändlern geführt, zu einem Sprungbrett für islamistischen Extremismus gemacht und damit zur grössten Bedrohung für Frieden und Stabilität in Europa. 
Die Abspaltung von Kosovo und Metochien und die anschliessende Anerkennung durch die Mehrheit der Nato/EU-Mitgliedstaaten stellen eine Verletzung der grundlegenden Prinzipien in den internationalen Beziehungen und der Prinzipien der Resolution 1244 des Uno-Sicherheitsrates von 1999 dar. Als bindende Entscheidung bleibt diese Resolution in Kraft und Serbien hat das Recht, auf ihrer strikten und vollständigen Umsetzung zu bestehen. Das bezieht sich insbesondere auf die Bestimmungen, welche die Sicherheit und die Bewegungsfreiheit der verbleibenden serbischen Bevölkerung betrifft, die noch immer in Stacheldrahtghettos lebt, die Wiederinbesitznahme des illegal besetzen privaten und Staatseigentums, das Recht auf freie und sichere Rückkehr von 220 000 vertriebenen Serben und anderen Nicht-Albanern und das Recht der Wiederaufstellung der serbischen Armee- und Polizeitruppen.
Serbien wird eine solch krasse Verletzung seiner Souveränität, seiner territorialen Integrität und seiner nationalen Würde niemals anerkennen. Serbien hat das eindeutige Recht zur Verteidigung seiner Souveränität und Integrität mit allen legalen Mitteln wie jedes andere souveräne Land.
Zehn Jahre danach ist offensichtlich geworden, dass das direkte Ziel der Nato-Aggression war, den legitimen Präsidenten der Bundesrepublik Jugoslawien, Slobodan Milosevic, aus dem Weg zu schaffen, um Serbien 15 Prozent seines  Staatsgebietes zu berauben, um die Rolle Serbiens als politische Interessenvertretung auf dem Balkan zu behindern und es unter die Kontrolle des Westens zu stellen.
Die gleichen Machtzentren, die beim Auseinanderbrechen der Sozialistischen Föderativen Republik Jugoslawien in den Jahren 1992 bis 1995 eine entscheidende Rolle spielten, fuhren weiter, indem sie die militärische Aggression von 1999 in Gang setzten und später, 2006, die Bundesrepublik Jugoslawien beseitigten.
Nach der illegalen Abspaltung von Kosovo und Metochien fahren sie damit fort, in andern Teilen Serbiens stillschweigend separatistische Kräfte zu aufzuwiegeln und zu unterstützen. 
Auf der andern Seite hat sich der Westen an der Revision des Friedensabkommens von Dayton und Paris beteiligt, um die Republika Srpska aufzulösen, indem man entgegen dem von Serbien garantierten Abkommen Schritt um Schritt ein einheitliches Bosnien und Herzegowina einführte.
Zehn Jahre nach der Nato-Aggression ist der Grossteil der serbischen Wirtschaft und seiner natürlichen Ressourcen Eigentum derjenigen Länder geworden, die an der Aggression teilgenommen hatten, wobei die US- und Nato-Truppen mit diplomatischem Status belohnt wurden, das heisst mit Privilegien, die weder die serbische Armee noch die serbischen Bürger in ihrem eigenen Land geniessen.
Die Politik des Westens hat zur Bildung von sieben neuen Marionettenstaaten geführt und hat Jugoslawien zerlegt, das während mehr als 70 Jahren als multinationaler, relativ wohlhabender Staat existiert hatte. Seine Zersplitterung hat Tausende menschlicher Opfer hinterlassen, angespannte Beziehungen, eine Wirtschaft in Trümmern und das noch immer ungelöste Problem von über 500 000 serbischen Flüchtlingen und Vertriebenen. Die serbische Nation wurde zerlegt und anstatt des Status eines konstitutiven Volkes wurden die Serben zu einer rechtlosen Minderheit wie in Kroatien.
Insgesamt hat sich die Politik des Westens in den vergangenen 20 Jahren als eine der Vergeltung gegen die serbische Nation erwiesen. Eine solche Politik wirft viele Fragen über die Zukunft von Europa selber auf, insbesondere in Anbetracht der Tatsache, dass Serbien in der neueren europäischen Geschichte immer eine konstruktive Rolle gespielt hat. Am Ende des 20. Jahrhunderts hat Serbien redlich Widerstand gegen eine von der US-geführten Allianz eingeführte Politik der Kapitulation und der Besetzung geleistet, so wie es jedes souveräne Land tun würde. Isolation, Sanktionen, militärische Aggression und schliesslich Unterstützung der Abspaltung zielten zugegebenermassen auch darauf, der muslimischen Welt zu beweisen, dass der Westen die Interessen der Muslime auf dem Balkan schütze.
Die Konferenzteilnehmer hielten fest, dass der internationale Strafgerichtshof für das ehemalige Jugoslawien in Den Haag (ICTY) den verlängerten Arm der Nato darstellt, das Instrument der Rache. Sein Ziel ist, die Aggressoren zu beschützen und ihre Verbrechen zu rechtfertigen, indem sie das Opfer, die gesamte serbische Nation, zum Schuldigen erklären. Das Tribunal zeigte weder Interesse noch Bereitschaft, unwiderlegbare Beweise für Verbrechen von Führern der eigentlichen Täter, nämlich der albanischen Terroristen und der Nato, zu überprüfen.
Die Teilnehmer forderten die Auflösung des Haager Tribunals als ein politisches und nicht rechtsprechendes Gremium, welches ausserhalb des Gesetzes und im Gegensatz zur Charta der Vereinten Nationen steht. Es gibt keinerlei Grundlage, um Serbien, das serbischen Volk und seine Führung für die vergangenen Bürgerkriege im ehemaligen Jugoslawien oder für die Folgen des albanischen Separatismus und Terrorismus anzuklagen.
Die Konferenz forderte die Einleitung einer unabhängigen Untersuchung über Ursachen und Umstände des Todes des früheren Präsidenten von Serbien und der Bundesrepublik Jugoslawien, des verstorbenen Slobodan Milosovic, und auch der Todesfälle aller anderen Serben, die unter ungeklärten Umständen gestorben sind, während sie vom Haager Tribunal inhaftiert waren.
Sie gaben ihrer Empörung über die jüngsten Strafmassnahmen des Haager Tribunals gegen hohe serbische und jugoslawische poli­tische, militärische und polizeiliche Führungspersonen Ausdruck, die sie als Vergeltung bezeichneten, und betonten, dass das Tribunal es unterlassen habe, die persönlichen Verantwortlichkeiten von jedem der Verurteilten zu beweisen.
Das sogenannte «unabhängige Kosovo» ist nichts als ein erweitertes amerikanisches «Camp Bondsteel» und ein Sprungbrett für die laufende militärische Expansion gegen Osten. 
Die Aggression gegen die Bundesrepublik Jugoslawien (Serbien und Montenegro) hat bewiesen, dass die Nato weder eine defensive noch eine regionale Allianz darstellt. Sie ist eine militärische Organisation, deren Rolle es ist, der grossen Mehrheit der weniger entwickelten Ländern, die zufällig Energiequellen oder strategisch bedeutsame Rohstoffe besitzen oder über bedeutende Märkte und herausragende geostrategische Stellungen verfügen, eine globale Dominanz der reichsten Länder unter Führung der USA aufzuzwingen. Die Aggressionspolitik der Nato stellt eine wahre Gefahr für Frieden und Sicherheit in der Welt dar.
Die wie Pilze aus dem Boden schiessenden ausländischen Militärbasen auf dem Balkan, in Europa und in der Welt, die konstante Erhöhung der militärischen Budgets der Nato und der EU-Mitgliedstaaten und der rasante Rüstungswettlauf müssen aufhören. Die Militarisierung des politischen Entscheidungsfindungsprozesses bedroht die Demokratie ernsthaft, hemmt die soziale Entwicklung, verletzt massiv die Menschenrechte und bereitet so den Weg hin zu Totalitarismus und Niedergang der Zivilisation.
Die Teilnehmer der Belgrader Konferenz baten alle Kräfte des Friedens, des Rechts  und der Gerechtigkeit, sich im Streben nach der Abschaffung der Nato zu vereinigen, fremde Militärbasen abzubauen und Militärausgaben zum Wohle der Armen und Unterdrückten zu verringern. Sie haben ihre Anerkennung und Solidarität für alle Friedensbewegungen und Vereinigungen ausgedrückt, die an verschiedenen Aktivitäten zur Erinnerung an die Opfer und andere Folgen der Nato-Aggression von 1999 gegen Jugoslawien teilgenommen haben.
Der stetige Anstieg der Militärausgaben führt zu weiterer Verschlimmerung der gegenwärtigen weltweiten Krise. Die Reduzierung der Militärausgaben von USA/Nato/EU und anderer Staaten ist die Schlüsselbedingung zur Überwindung der weltweiten Krise.
Die Nato-Verbrechen dürfen nicht vergessen werden. Deshalb ist es eine moralische Verpflichtung, ein Verfahren einzuleiten, um die Verantwortlichkeit der damaligen Nato-Führung vor den zuständigen internationalen und nationalen Gerichtshöfen zu untersuchen mit dem Ziel, konkrete individuelle Verantwortlichkeiten festzustellen.
Darüber hinaus hob die Konferenz die Initiativen zur Aktivierung internationaler Tribunale hervor, um jene Verantwortlichen der Nato abzuurteilen, sowie die Gründung des Internationalen Tribunals des menschlichen Gewissens, zur Sicherung der moralischen Befriedigung der Opfer der Aggression und der ganzen serbischen Nation. 
Es wurde festgestellt, dass Serbien nie zu einer militärischen Allianz gehört hat; über 60 Jahre lang war es blockfrei und ist das einzige europäische Land, das Opfer der Nato-Aggression geworden ist.
Deshalb brachten die Teilnehmer ihre tiefe Überzeugung zum Ausdruck, dass Serbien die Mitgliedschaft in der Nato weder suchen noch akzeptieren sollte, da es ein offensives Bündnis mit Rolle und Zielen ist, die über die Uno hinausgehen und das im Gegensatz zur geltenden Internationalen Völkerrechtsordnung steht. Es wird davon ausgegangen, dass Serbien eine offene und ausgeglichene Aussenpolitik entwickeln sollte, gute nachbarschaftliche Beziehungen und Zusammenarbeit mit allen Hauptinteressensvertretern, einschliesslich der blockfreien Länder, und dass es militärisch neutral bleibt.
Serbien sollte im Jahr 2011 den blockfreien Gipfel beherbergen, auf dem der 50. Geburtstag des ersten blockfreien Gipfels von Belgrad (1961) gefeiert und eine Rückkehr zum vollständigen Mitgliedschaftsstatus in der Bewegung der blockfreien Staaten gesucht werden sollte. 
Serbien sollte seine militärische Neutralität bekräftigen, indem es die volle Mitgliedschaft bei der Bewegung der blockfreien Staaten anstrebt. Dies würde zur Aufwertung anderer Abläufe und Prioritäten von Serbiens äusseren und inneren Angelegenheiten beitragen und gleichzeitig wäre es eine angemessene Antwort auf die Unterstützung, die die blockfreien Länder der Souveränität und der territorialen Integrität Serbiens geben.
Eingedenk des bevorstehenden 70. Geburtstag des Beginns des Zweiten Weltkrieges brachten die Teilnehmer ihre Besorgnis über die systematischen Versuche zum Ausdruck, die Geschichte sowohl des Ersten als auch des Zweiten Weltkrieges abzuändern, und verurteilten einstimmig das Wiedererstehen des Faschismus und Nazismus in bestimmten Ländern Europas. Eine Warnung wurde ausgesprochen, dass solche Vorgänge, die alles andere als zufällig sind, dazu angetan sind, Konflikte hervorzurufen. Deshalb haben alle Länder die Pflicht, sie zu stoppen.
Die Konferenz verurteilte den Kampf gegen den internationalen Terrorismus, der dazu missbraucht wird, die Interessen einer Supermacht oder einer Gruppe der reichsten Länder auszuweiten. Doppelstandards sind nicht akzeptierbar bei der Bekämpfung von Terrorismus.
Der sogenannte unabhängige Kosovo, der albanische Terrorismus und die organisierte Kriminalität stellen die gefährlichste Quelle der Destabilisierung des Balkans und Europas dar. Die Stabilität auf dem Balkan hängt davon ab, wie die allgemeinen Richtlinien der internationalen Beziehungen und in erster Linie das Prinzip der Souveränität und der territorialen Integrität ausnahmslos respektiert werden. Die Wiederaufnahme der Verhandlungen über den Status des Kosovo und Metochiens unter Berücksichtigung der Uno-Sicherheitsresolution 1244 ist der einzige Weg, um zu Frieden, Stabilität und Fortschritt zurückzukehren.
Die Konferenz drückte ihre Solidarität aus mit dem palästinensischen Volk, welches das Recht auf Freiheit, Unabhängigkeit und das eigene Land hat, genauso wie jeder andere Staat im Nahen Osten. Die illegalen militärischen Besetzungen von Afghanistan und Irak lassen sich durch nichts rechtfertigen und sollen daher beendet werden. Die Konferenz rief die massgeblichen ausländischen Regierungen dazu auf, ihre Truppen zurückzuziehen und die Operationen zu beenden.
Frieden, Sicherheit und Entwicklung sind untrennbar. Aggression und die sogenannten niedrigschwelligen Kriege in jedem Teil der Welt bedrohen andere Länder, Nationen und Völker. Daher können Frieden, Sicherheit und Entwicklung nur durch die breitest mögliche Zusammenarbeit der Friedensbewegungen, der intellektuellen und wissenschaftlichen Kräfte erreicht werden. 
Die Internationale Konferenz des Belgrad-Forums anlässlich des zehnten Jahrestages der Nato-Aggression ist ein wichtiger Schritt zu diesem Ziel. 
Die Ära der unipolaren Weltordnung ist dabei zusammenzubrechen. Der Prozess zur Bildung einer multipolaren Weltordnung schreitet voran. Die Bedingungen sind günstig, um die internationalen Beziehungen auf der Basis souveräner Gleichheit aller Staaten zu demokratisieren und den Respekt für die grundlegenden Prinzipien der internationalen Beziehungen wiederherzustellen. 
Der Aufruf war an die Führer der Länder der blockfreien Bewegung gerichtet, um die Einheit und die Handlungsmöglichkeiten weiterhin zu stärken sowie die Rolle der Vereinten Nationen und die Grundsätze der internationalen Beziehungen. 
Der Prozess der Verschärfung der globalen Wirtschaftskrise verpflichtet die Bewegung der Blockfreien, die Einheit zu stärken, um die reichsten Länder daran zu hindern, ein weiteres Mal die Last der Probleme auf die unterentwickelte Welt weiterzugeben. Die Zeit ist reif für Einheit, Verantwortlichkeit und das Handeln aller friedliebenden Kräfte für Frieden, Entwicklung und Gleichheit. Der Konferenz war eine Photobuchausstellung sowie ein Rückblick mit Dokumentarfilmen vorangegangen, welche von dem Verein früherer Generäle und Admiräle der serbischen (jugoslawischen) Armee organisiert worden war. 
Die Teilnehmer drückten dem «Belgrad-Forum für eine Welt von Gleichen» ihre Wertschätzung und ihre Dankbarkeit aus für die Initiative, diese Konferenz durchzuführen, für den hohen Grad der Organisation und für die entgegengebrachte Gastfreundschaft.    •


Quelle: The Belgrade Forum for a World of Equals. Nato Aggression. The Twilight of the West, Belgrad, ISBN 978-86-839 65-35-9
(Übersetzung Zeit-Fragen)


Die Aggression gegen die Bundesrepublik Jugoslawien (Serbien und Montenegro) hat bewiesen, dass die Nato weder eine defensive noch eine regionale Allianz darstellt. Sie ist eine militärische Organisation, deren Rolle es ist, der grossen Mehrheit der weniger entwickelten Ländern, die zufällig Energiequellen oder strategisch bedeutsame Rohstoffe besitzen oder über bedeutende Märkte und herausragende geostrategische Stellungen verfügen, eine globale Dominanz der reichsten Länder unter Führung der USA aufzuzwingen. Die Aggressionspolitik der Nato stellt eine wahre Gefahr für Frieden und Sicherheit in der Welt dar.


Die Brücke von Varvarin

Am Mittwoch, 20. März 2013, begann in Bonn der Prozess wegen des Bombenangriffs auf afghanische Zivilisten in der Nähe von Kunduz. Der deutsche Offizier Oberst Klein hatte im Herbst 2009 US-amerikanische Kampfflugzeuge angewiesen, eine Menschenansammlung zu bombardieren, ohne dass eine militärische Notwendigkeit bestanden hätte. Bei diesem Angriff wurden über 130 Menschen getötet oder verletzt. Zwei Bremer Anwälte verklagten den deutschen Staat und verlangen für die Opfer des Luftangriffs in Afghanistan eine Entschädigung. 
Dieser Fall erinnert an die Bombardierung durch NATO Kampflugzeuge im völkerrechtswidrigen Krieg gegen die Republik Serbien. 
Damals, im Frühjahr 1999, bombardierten NATO Kampfflugzeuge an einem Feiertag eine Brücke in der Nähe der serbischen Ortschaft Varvarin in zwei Angriffswellen, auf der sich offensichtlich Zivilisten befanden. Dabei schickten sie 10 Zivilisten in den Tod und 17 wurden teilweise schwer verletzt. Bis heute sind die Opfer nicht entschädigt worden. 

Verschiedene Artikel dokumentieren die Vorgänge:
http://www.dw.de/popal-deutschland-muss-zahlen/a-16683296 
http://www.dw.de/prozessauftakt-im-kundus-verfahren/a-16680680 
http://www.n-tv.de/politik/Wer-haftet-fuer-die-Kundus-Toten-article10321151.html  
http://www.presseportal.de/pm/47409/2437312/mitteldeutsche-zeitung-afghanistan-anwalt-der-kundus-klaeger-ist-von-sieg-vor-gericht-ueberzeugt



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ПОРУКА ЖИВАДИНА ЈОВАНОВИЋА


Ствари ми изгледају тако да можете у Брислу, данас, сутра, или прекосутра потписати било шта, можете дати, одрећи се, зарећи се, обећати, али тамо Србија за догледно време нема шта, нити од кога, да добије. Датум је уобразиља преговарача и мамиконцесија Брисла. Берлин се спрема за изборе, бриселски комесари и институције су на дужи рок пребукирани темама неизвесне судбине монетарне уније, Шпаније, Португалије, Грчке, Кипра, Словеније... а Вашингтон и Лондон су преокупирани Сиријом, Ираном, Северном Корејом, Пацификом, АФРИКОМ-ом...
Док се у Брислу питају Меркелова и Камерон, чији су ставови према Србији јасно ултимативни, а према Тачију, родитељски заштитнички, Србија нема шта тамо да тражи, нема шта да добије, већ само да предаје, испоручује, да се понижава и да прихвата да је понижавају. Као што, уосталом, непрекидно то чине, не само у Брислу, већ и усред Београда. 
Британија и Немачка су, уз подршку САД, подгревале сепаратизме бивших југословенских република, финансирале, па чак их и наоружавале. СФРЈ је разбијена на њиховом - колосеку Европске уније, тадашње Европске економске заједнице. Сетићете се да је тадашњи министар за иностране посолове СФРЈ Будимир Лончар тврдио да је ЕЗ - једини пут за решавање југословенске кризе. Шта би са Југославијом, шта би са Државном заједницом Србије и Црне Горе? Јесмо ли тако брзо заборавили ондашње претече садашњих комесара? Те и неке друге земље су деценијама охрабривале, финансирале, наоружавале и тренирале албанске терористе ОВК. Тачно пре 14 година оне су извршиле оружану агресију (НАТО) против Србије (СРЈ). Био је то, дакако, освајачки рат чији је непосредни циљ био насилно одузимање Косова и Метохије како би служило стратегији покоравања Балкана и продора на Исток. Циљ није у потпуности остварен. А што се стратегије тиче, не зна се ни да ли ће. 
Зато оне све време, од тада до садашњих бриселских тзв. преговора, настоје да легализују и агресију као злочин и отимање дела државне територије. Током 2008. оне су међу првима признале илегално проглашено отцепљење Приштине. Током тзв. преговора у Брислу, оне су, уз САД, главни адвокати и заштитници Тачија. Он ни у Брислу не преговара. Са искуствима из Рамбујеа 1999. и Беча 2006/7, Тачи чека да му Београд, као на тацни, све преда, укључујући север Покрајине.
Тражити данас некакве гаранције од Велике Британије и Немачке, исто је што и Тачију вероватни на реч. Уосталом, они су савезници у рату против Србије па не треба ни да изненађује што су уиграни. Иза Ердутског споразума 1995. којим је предвиђена Заједница српских општина у Славонији стајале су својим гаранцијама многе земље и организације. Шта је са применом свега тога у пракси? Не стоји ли читава ЕУ иза «статусно неутралног» ЕУЛЕКС-а, па ипак, чиме је ЕУЛЕКС испољио своју «статусну неутралност»? Тиме што је у читавом периоду, од свог илегалног инсталирања и накнадне легализације, до данас, изграђивао «независно Косово»!? 
Вратите се, молим вас, гаранцијама СБ УН и резолуцији 1244. Оне нису идеалне, али ништа боље не постоји. Засад. То је далеко више и боље, од гаранција које сте јавно затражили од поменутих земаља-заштитница Тачија и независног Косова и Метохије. А и шта би вам министри те две земље гарантовали – то да је Косово и Метохија независна држава у којој су Срби припадници националне мањине!? Па они су ту гаранцију дали још 2008. 
Жао ми је што из дана у дан засипате народ катастрофичним изјавама, од оних да је Србије све изгубила и да нема више шта да изгуби, да је свака варијанта лоша за Србију, да Србија мора постићи споразум на предстојећим тзв. преговорима, да ће остати без плата и пензија, да нема варијанте за заштиту српских интереса и сл. На страну што такве изјаве шире дефетизам и безнађе, треба знати бар толико, да оне само охрабрују ултимативно постављање друге стране или других страна и да преговарачку позицију Србије, разарају.
Такође вас молим, ако вам је икако могуће, немојте се више позивати на то да вас је Тадић обавезао резолуцијом Генералне скупштине УН о посредничкој улози ЕУ, или Борковим договорима о успостављању границе према Србији. Та резолуција је техничког карактера, а Боркови договори нису засновани ни на међународном ни на националном праву Србије и не представљају међународно-правне обавезе Србије. Ваше позивање на то, за озбиљне државнике, није прикладан аргумент. Пред историјом, поготову. 
Јесте непријатно, тешко, чак можда и драматично мењати прилаз, нарочито с обзиром на све концесије које су до сада учињене, али тренутак, услови и актери су дати, не могу се ни бирати, ни избећи. Ако је за било кога дилема шта је значајније и према чему се оцењује државна и државничка озбиљност – у односу на техничку резолуцију Генералне скупштине, или у односу на правно обавезујућу резолуцију Савета безбедности 1244, онда је то знак да нешто озбиљно није у реду. Једина меродавна међународно-правна основа и обавеза за све чланице светске организације, је резолуција Савета безбедности 1244. Неодговорно је резолуцију СБ УН 1244 гурати у страну, а још горе, позивати се на њу само када Приштини треба учинити неку концесију, када Немачкој или другој великој сили треба потврдити да «ми поштујемо територијални интегритет Косова». 
Народ се не штити конфронтацијом, али ни непрекидним узмицањем, поготову не прихватањем укидања државних институција Србије на северу Косова и Метохије. Када се јавно саопштава да се прихватањем Тачијевих захтева и непрекидним концесијама штите грађани у Покрајини, Срби и други, да ли то значи да је Србија уцењена безбедношћу и животима својих суграђана и да зато мора прихватити све што се од ње тражи? Да ли је Србија, иначе, уцењена било чиме од било кога?. Ако су Србија и њени преговарачи у Брислу уцењени, онда је ред да се то јавно саопшти – ко, на који начин и чиме уцењује Србију, или њене преговараче – безбедношћу грађана, новим санкцијама, заустављањем инвестиција... или било чиме другим? У том случају, то више није ствар преговарача већ институција, у првом реду Народне скупштине. Ако није уцењена тим боље и лакше вратити се праву и СБ УН.
Често се у јавности барата реализом и реалном ситуацијом. Не каже се изричито, али је контекст, да зато «што смо све изгубили», зато што смо се годинама само-обмањивали, зато што имамо лош устав , као и због много сличних «аргумената» - морамо да попуштамо, узмичемо, прихватамо и неприхватљиво, понижавајуће, да називамо компромисом чисте губитке, једностране уступке и слично. Чини ми се да има доста, ако не и превише, разлога да се каже - није реализам, или реално само оно што тврде представници Немачке, Велике Британије и САД, а за њима и Тачи. Реалност је и постојање српских државних институција на Косову и Метохији, реалност је и да 250.000 Срба и других неалбанаца, уздајући се у принципе хуманизма, владавине права и европских стандарда, већ 15 година чека да се слободно и безбедно врати у своје домове на Косову и Метохији, реалност су резолуција СБ 1244 и Устав Србије ма колико, по нечијим оценама, био лош, реалност је да су и Европа и ЕУ данас нешто другачији него 90-тих година прошлог века, а свет поготову. Реалност, дакле, није једнозначна, поготову када је одсликавају чиниоци и личности које Србији нису познате баш као објективне и непристрасне. Хоће ли ВБ, Немачка, САД поштовати одлуке СБ УН за које су и саме гласале, или неће, то је ствар њиховог односа према принципима светских односа, према светској организацији, према основним вредностима савремене цивилизације. Али, Србија треба да тражи оно што јој по међународним законима припада, а не да преузима готове оцене оних који никако да се ослободе вековног манира диктата и ултиматума. Иронија је да се оцене противника Србије јавности у Србији пласирају као оцене одговорних државника који ништа не крију од својих грађана!
У јавности се јављају поређења данашње ситуације са оном у време Дејтона и Рамбујеа. У Дејтону се преговарало под санкцијама и под суспензијом наше тадашње државе у ОУН, ОЕБС-у и другим међународним организацијама. Ипак, сачувана је и призната Република Српска. Тамо су захтевани и преговори о Косову и Метохији. Југословенско-српска делегација то није прихватила. Тражила је да домаћини испоштују позив и дневни ред на коме је била само једна тачка – окончати грађански рат и постићи мир у Босни и Херцеговини. Домаћин је то прихватио, а споразум о миру у БиХ је потписан.
У Рамбујеу није било никаквих преговора јер то САД-у, ВБ и ЕУ није одговарало. Њима је била потребна још једна представа уверавања јавности да је оружани напад једино што им је преостало. «У Рамбујеу смо лествицу подигли тако високо да је Милошевић не може прескочити» - њихово је признање. Представа из Рамбујеа одвијала се након што је Савет НАТО претхнодно донео одлуку о оружаној агресији. Ултиматум да се прихвати безусловна капитулација и окупација читаве Србије и Црне Горе (СРЈ) од стране НАТО, била је тежа од ултиматума Аустро-угарске 1914. Ултиматум није прихваћен, јер то што је тамо нуђено не би прихватила ни једна суверена држава. И то је њихово признање, такође. Ултиматум који САД и Немачка сада, преко Ештонове, испостављају Бриселу – треба одбити.
Зна се какви су односи и трендови данас, а какви су били 1995. и 1999. Зашто не рећи и то, да у време Дејтона и Рамбујеа нису постојали ни БРИКС, ни Г-20, ни Шангајски савез, ни кредитне линије из Русије и Кине, друге земље, да не помињем.
Не плашите народ, народ је огуглао на застрашивање, али је, упркос свему, изоштрио критичку моћ расуђивања. Јесте у земљи беда, незапосленост и глад, али све то не значи да се здраво за готово примају понуде бољег живота за одрицање од себе, своје историје и Косова и Метохије. 
Покажите храброст окретањем себи, Србији и правим пријатељима. Није то ни аутархија, ни изолационизам, ни «пуцање себи у ногу» - то је враћање самопоштовању и припрема за истинско партнерство са сваким другим. Само тако можемо рачунати да нас боље разумеју, поштују и са Србијом равноправно сарађују и Берлин, Лондон, Вашингтон и Брисел. Уз ону већину, која је Србију увек поштовала.




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(srpskohrvatski / italiano)

Segnalazioni prossime iniziative

* Milano 7/4: Giornata Internazionale del popolo Rom
* "Urlik sa Kosova":
- Predstavljanje knjige u Kraljevu, 9/4
- Predstavljanje knjige u Beogradu, 11/4 
* Trieste/Trst 18/4: Presentazione del nuovo libro di C. Cernigoi "La Banda Collotti"


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Milano 7/4: Giornata Internazionale del popolo Rom

"GIORNATA INTERNAZIONALE ROMANI"

Domenica 7 aprile 2013, ore 18.00

presso Audirorium S.Fedele in via Hoepli 3/b a Milano

UNA CAROVANA DI MUSICA

ORE 18.00 presentazione del libro "Buttati giù zingaro", la storia di Rukeli Trollman, il pugile che sfidò il Terzo Reich, con la presenza dell'autore, Roger Repplinger.
ORE 19.30 "Vita mia parla" la vita di Mariella Mehr, con Dijana Pavlovic accompagnata dalle musiche del violinista Moldoveanu.
ORE 20.30 CENA ETNICA offerta dalla Coop. Romano Drom.
ORE 21,30 CONCERTO, le note della musica zigana, Conduce e presenta l'evento Luca Klobas, già Zelig
I Muzikanti di Balval, con il Maestro jovic Jovica, " U Sinto" di Bolzano, The Gipsy Vaganes, Eduaed Jon e i giovani rom rumeni del Conservatorio di Milano, i " Nuovi Trovadori", Beat Box dei giovani Khorakhanè, Rap dei giovani Kosovari, musica e danza dei giovani rom Abruzzesi. 

Scarica il programma: https://www.cnj.it//INIZIATIVE/volantini/milano070413.jpg

Fonte: MUSEO DEL VIAGGIO FABRIZIO DE ANDRE' su Facebook: http://www.facebook.com/events/406677679428630/


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Da:  Alessandro Di Meo <alessandro.di.meo @ uniroma2.it>

Oggetto:  presentazione Urlik sa Kosova" in Serbia!

Data:  04 aprile 2013 10.15.04 GMT+02.00


Cari tutti,
sono contento di condividere con voi la pubblicazione in lingua serba del libro "L'urlo del Kosovo" ("Urlik sa Kosova").

Il libro, il cui ricavato andrà alle iniziative che con l'associazione Un Ponte per... ormai da oltre 14 anni portiamo avanti, è disponibile ovviamente anche in italiano ( http://www.unponteper.it/bottega/description.php?II=315&UID=20130404100609 ) .

Ci saranno due presentazioni la prossima settimana in Serbia:
martedì 9 a Kraljevo, presso la Biblioteca Nazionale, alle ore 19...
giovedì 11 a Belgrado, sempre alle 19, presso l'associazione degli scrittori serbi, in Francuska 7.

L'edizione è a cura della casa editrice "Pesic i Sinovi", di Belgrado. In allegato [  ] la copertina del libro.

vi ricordo il blog http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.com
dove è possibile trovare scritti, ordinare libri, visionare video su tutto quello che si fa e si è fatto in questi anni in Serbia, in Kosovo e in Metohija.

Vi terrò informati sulle prossime iniziative in cantiere, mentre vi ricordo i sostegni a distanza, sempre davvero necessari ( http://www.sostegniadistanza.unponteper.it/serbia-e-kosovo )

Mi faceva piacere condividere con voi questa cosa.
Saluti a voi.
Alessandro


*** Kraljevo, utorak 9 aprila 2013. ***

19.00 sati
Narodna biblioteka Stefan Prvovenčani
Cara Lazara 36

Prezentacija knjige Alesandra Di Mea

"Urlik sa Kosova"

izdanje na srpskom jeziku, izdavač Pešić i Sinovi

o knjige: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/urlokosovo.htm


*** Beograd, cetvrtak 11 aprila 2013. ***

19.00 sati
Francuska 7 (Associazione Scrittori di Serbia)

Prezentacija knjige Alesandra Di Mea

"Urlik sa Kosova"

izdanje na srpskom jeziku, izdavač Pešić i Sinovi

na fejskbuku: http://www.facebook.com/events/511979585526801

o knjige: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/urlokosovo.htm


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Trieste/Trst, 18 aprile 2013

Presentazione libro 

di Claudia Cernigoi 

La Banda Collotti.
Storia di un corpo di repressione al confine orientale, 1942-1945

ed. KappaVu, 2013

partecipano Ljubomir Susic ed Alessandra Kersevan

Giovedì 18 aprile 2013, ore 17.30
Trieste - Circolo della Stampa, Corso Italia 13

(segnalato via Facebook: http://www.facebook.com/events/405306079567044/ )




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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
http://www.facebook.com/cnj.onlus/



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