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Il “socialismo di mercato” cinese in confronto all’URSS e alla Jugoslavia

23/10/2012

Rispetto al processo di analisi della categoria teorica (e realtà storica) del “socialismo di mercato”, va segnalato con piacere un interessante saggio di A. Gabriele e F. Schettino del 2012, intitolato “Market socialism as a distinct socioeconomic formation internal to the modern mode of production”.

Il socialismo di mercato si differenzia innanzitutto da quello di matrice sovietica, a partire dagli studi di O. Lange e dall’esperienza Jugoslava del 1950/88, perché il processo di formazione dei prezzi dei mezzi di produzione e mezzi di consumo viene affidato al suo interno principalmente al processo di decisione relativamente autonomo delle singole unità produttive, sempre di proprietà collettiva: tale fenomeno si verificò nell’area Jugoslava specialmente dopo il 1965, in Cina dopo il 1979. A partire dal 1980, infatti, nel gigantesco paese asiatico lo stato conferì un certo grado di autonomia alle imprese fissando “un contratto, tra dirigenti delle imprese” (di stato) “e ministeri, che stabilisce da un lato gli obbiettivi produttivi da raggiungere in un orizzonte di 3-4 anni e la quota da conferire allo stato, dall’altro gli obblighi finanziari” (tasse) nel giro di pochi anni, soprattutto dopo il 1988, le aziende statali diventarono soggetti in buona parte autonomi sul piano giuridico ed economico.
Inoltre il livello microeconomico/aziendale di matrice socialista acquisisce anche il potere principale (ma non esclusivo) di determinare “quanto e cosa produrre”, a partire dal rapporto tra fondo di consumo dei lavoratori e fondo di accumulazione, oltre che dal processo di selezione concreta dei prodotti finali verso cui indirizzare la produzione delle singole unità produttive: in Jugoslavia uno dei centri principali delle decisioni microeconomiche iniziarono ad essere i collettivi dei lavoratori, già a partire dal 27 giugno del 1950.
In terzo luogo, a differenza che nel socialismo ipercentralizzato di matrice sovietica, sussiste e si riproduce nel socialismo di mercato un grado (variabile) di concorrenza tra le singole unità produttive che operano nello stesso settore (ad esempio in quello automobilistico): in modo tale che il “mercato”, inteso come l’insieme dei consumatori dei diversi oggetti d’uso (gli acquirenti di automobili, nel caso specifico), decide in via principale – anche se non esclusiva – quale sia l’impresa che produce gli oggetti d’uso migliori in termini di rapporto tra prezzo e qualità rispetto ai “concorrenti”.
Rispetto all’argomento stimolante del rapporto/scelta tra pianificazione e mercato all’interno del processo di sviluppo del socialismo, Gabriele e Schettino hanno sicuramente ragione nell’affermare che “l’esperienza storica ha mostrato che l’alto e sempre crescente grado di complessità dell’economia moderna, legata alla sua continua e stratificata accumulazione di conoscenze da parte di numerosi e diversificati attori, non consente semplicistiche o supercentralizzate soluzioni al problema-chiave della gestione/governance”, mentre proprio l’economia pianificata di tipo sovietico ha mostrato di essere “troppo rigida” per essere in grado di assorbire “l’innovazione” tecnologica e scientifica, di matrice autoctona o estera.
Ma altresì è  sempre l’esperienza storica che mostra i disastri economici a cui porta il “mercato” – seppur operante con imprese ed unità produttive di tipo socialista e collettivizzante – se essa viene privato della guida di una seria e vincolante pianificazione sulle linee-guida del processo economico, a partire dal tasso di accumulazione/consumi e dalla dinamica di distribuzione (settoriale e geografica) degli investimenti nel socialismo di mercato.
Il caso jugoslavo del 1950/88 ha provato che il mercato senza pianificazione crea inevitabilmente:
-          crisi periodiche di sovrapproduzione e fasi recessive (1974 e 1980/83), come nel capitalismo;
-          asimmetrie di sviluppo tra le diverse zone geopolitiche della stessa nazione, e crescenti contraddizioni tra di esse;
-          asimmetrie di sviluppo tra i diversi settori produttivi della stessa nazione;
-          aumenti dei prezzi di consumo ed intensità a volte di notevole peso ed intensità;
-          privilegi corporativi nei settori produttivi meglio posizionati.
Infatti all’interno dell’economia jugoslava si verificò, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, che “la libera economia di mercato” basata su aziende socialiste autonome “moltiplicò i beni di consumo a disposizione, ma produsse anche inflazione”.
Alla base della disputa sui vantaggi della programmazione centrale contro la libera economia di mercato c’era il conflitto di interessi tra le diverse repubbliche della federazione, tra il Nord, prospero e industrializzato, e il Sud, contadino e impoverito. Il reddito medio della popolazione in Croazia era quasi doppio rispetto al reddito in Bosnia, Montenegro e Macedonia; in Slovenia, era due volte e mezzo più alto. La Serbia occupava una posizione intermedia, cui contribuivano la ricca provincia settentrionale della Vojvodina (provincia autonoma, all’interno della Serbia) e il Sud povero di Kossovo e Metohija. Le differenze si accentuarono con l’introduzione dell’economia di mercato: ogni anno, Croazia, Slovenia e Vojvodina diventavano più ricche e Bosnia, Erzegovina, Montenegro, Macedonia, Kossovo e Metohija più povere. Tito era perfettamente consapevole del problema, come disse a Dedijer. “Per molti anni ho lottato in campo internazionale per mettere fine alla pauperizzazione di grandi parti del mondo. I paesi ricchi diventavano sempre più ricchi e quelli poveri sempre più poveri, e molto in fretta. Mi dispiace vedere che questo processo ha luogo anche in Jugoslavia.” Dal 1945 “nel nostro paese, le regioni industriali diventano sempre più ricche a spese delle regioni economicamente sotto-sviluppate”.
Tito era risoluto a elevare il livello di vita nel Sud e a crearvi posti di lavoro, ma questo si poteva fare molto meglio mediante la programmazione centralizzata che con la libera economia di mercato.”
Un altro esempio delle contraddizioni che possono sorgere tra imprese socialiste autonome ed interesse generale delle società collettivistiche  viene fornita dall’esperienza sovietica del 1918, visto che “nella primavera del 1918, cominciò a diffondersi tra i comitati di fabbrica una tendenza sindacalista; essa era un derivato dell’idea che le aziende dovessero essere gestite direttamente dagli operai in esse occupati nel loro esclusivo interesse. Questo fenomeno determinò un ulteriore abbassamento della produzione e della disciplina di fabbrica, in molti casi fece sorgere fra gli operai un sentimento particolaristico e di possesso nei confronti delle loro fabbriche, che andava a detrimento degli interessi della più vasta comunità e resisteva gelosamente ai tentativi di coordinamento e di direzione dall’alto. “Subentrò un altro proprietario – scriveva uno dei dirigenti del sindacato degli operai metallurgici – che, alla pari del precedente, era individualista ed antisociale ed il nome del nuovo proprietario era comitato di controllo. Nel bacino del Donez le officine metallurgiche e le miniere si rifiutavano reciprocamente di fornirsi il ferro e il carbone a credito, e vendevano il ferro ai contadini, senza alcun riguardo per i bisogni dello Stato”. Un successivo rapporto del Vesenkha riassumeva la posizione assunta da tale organismo durante questo periodo in termini molto franchi. “Il Vesenkha ha chiaramente compreso la necessità di un coordinato piano di nazionalizzazione condotto su linee ben precise. Tuttavia, nel primo periodo esso non ha potuto disporre dell’apparato statistico ed amministrativo, né stabilire contratti efficienti con le singole località e, per conseguenza, mancando il numero sufficiente di organi locali efficienti e di “quadri” operai, è stato costretto a portare entro i limiti della propria competenza e a cercare di dirigere un numero troppo grande di imprese economicamente deboli: ciò ha reso l’organizzazione della produzione estremamente difficile. Il primo tempestoso periodo di amministrazione industriale ha sconvolto ogni organizzazione sistematica dell’industria e della rilevazione economica”.
Proprio basandosi su un esperienza socioproduttiva ormai quasi secolare dall’Ottobre Rosso sovietico fino ad oggi, risulta evidente pertanto che la combinazione dialettica tra una pianificazione di tipo vincolante a livello strategico e la simultanea azione del mercato/libera concorrenza tra imprese autonome (parzialmente) a livello di decisioni microeconomiche, unita all’intervento statale tesa a riequilibrare costantemente le asimmetrie via via createsi tra i processi di formazione dei prezzi e nella destinazione (sia settoriale che geografica) degli investimenti, si sia dimostrata nei fatti la via migliore per ottimizzare il processo di riproduzione allargata del sistema socialista: tesi verificata proprio dalla concreta esperienza cinese del 1978-2013, con le sue luci ed ombre oltre che con le sue “correzioni di tiro” in corso d’opera anche rispetto all’interrelazione dialettica tra piano e mercato, tra prezzi di mercato e prezzi fissati dallo stato, ecc.
Per definire la “coabitazione” tra due poli dialettici, si potrebbe usare lo slogan “il massimo di pianificazione macroeconomica compatibile con il mercato a livello microeconomico o viceversa”, mentre solo la pratica permette di superare le inevitabili contraddizioni tra i due meccanismi di interconnessione/intervento nei processi economici in Cina.
Come meglio sottolineeremo in un prossimo saggio, se il “mercato” precede ed anticipa di almeno sette millenni la genesi del capitalismo (Engels, 1894) a sua volta quest’ultimo ha utilizzato con una certa efficacia e su larga scala il meccanismo della pianificazione vincolante a livello strategico fin dall’esperienza concreta dell’“economia di guerra” tedesca del 1914-1918, diretta da un geniale organizzatore come il magnate W. Rathenau: bisogna innanzitutto de-ideologizzare la questione del rapporto dialettico tra mercato e pianificazione, evitando sia l’errata ed antistorica identificazione tra il primo elemento ed il capitalismo, che l’altrettanto corretta equazione socialismo=pianificazione omnicomprensiva.



(slovenščina / italiano)


Un pensiero commosso per Oskar Kjuder, combattente e artista, fondatore del Coro Partigiano Triestino, che ci ha lasciato ieri. 
La battaglia continua, la sua musica ci accompagna e ci sostiene.


--- LINK:
Vstajenje Primorske - L'inno degli Sloveni del Litorale, composto da Kjuder,
in alcuni bellissimi e significativi video:
http://www.youtube.com/watch?v=rCyzy2-Vgig&playnext=1&list=PLE2F46C5A947B10DF&feature=results_main


Il prossimo concerto del Coro Partigiano Triestino "Pinko Tomažič":

Dodatni koncert za 40. letnico - Concerto aggiuntivo per i 40 anni
Tržaški Partizanski Pevski Zbor Pinko Tomažič
Sabato 1 dicembre 2012 ore 18.00
Gallusova dvorana - Cankarjev dom

z gosti: Partizanski zbor Ljubljana, Boris Kobal, Gojmir Lešnjak Gojc, Drago Mislej Mef, Iztok Mlakar, Kraški ovčarji, Dirty Fingers, Freak Waves in drugi
http://www.facebook.com/events/466337103416912


Gli articoli del DELO nel quarantennale del Coro:

Štirideset let partizanske pesmi (10.11.2012)

Energetska bomba iz partizanskih časov (11.11.2012)

Ekrani v ogledalu: čutiti partizansko pesem
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Umrl je naš tovariš Oskar Kjuder
Prispeval Redakcija   
Sreda, 14 November 2012 15:19


Umrl je naš Oskar. Vsi ga poznamo in imeli smo ga radi. V našem spominu vstaja kot mladi harmonikar, ki koraka na čelu partizanske brigade v filmu Na svoji zemlji. Kapa na glavi in mali brkci, vedno isti nasmeh.


Stari borci se spominjajo dogodka iz časov partizanske vojne. Kolona prekomorcev se je prebijala skozi gozd, nekje v Bosni. Trudni so sredi noči, ko je padlo povelje o počitku, popadali na tla in naslonili glave na nahrbtnike. Tedaj se je sredi teme zaslišal tihi zvok violine. „To je naš Oskar“, so si rekli.

Po vojni je sodeloval v prvem partizanskem zboru Srečka Kosovela, v Lonjerju se je oženil s svojo Milko, ki mu je rodila dve hčeri – Jagodo in Katjo. Bil je glasbenik in aktivist komunistične partije. Tudi prosvetar. In če ga je „tovariš župnik“ Tone Piščanec prosil, naj zaigra na orgle ali vijolino na koru katinarske cerkve, se ni odrekel.

Anekdot iz njegovega življenja je nič koliko. Od tega, kako je dirigiral opero v Trstu, potem ko je napovedani dirigent zbolel do nočnega koncerta domači vasi, Lonjerju, sredi poletja 1966, v noči po uspelem partizanskem prazniku v Bazovici.

Oskar je dal pobudo za ustanovitev partizanskega zbora, ki nosi ime Pinka Tomažiča. Naj mi narodni heroj Pinko ne zameri, če rečem, da so po Tomažiču poimenovane šole in knjižnica. Morda bi bilo prav, če bi TPPZ poslej poimenovali po Oskarju Kjudru.

Slava njegovemu spominu.


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Umrl Oskar Kjuder, ustanovitelj partizanskega zbora

V starosti 86 let je umrl ustanovitelj in dolgoletni dirigent Tržaškega partizanskega pevskega zbora Pinko Tomažič.
J. G., kultura
sre, 14.11.2012, 18:00


V starosti 86 let je umrl Oskar Kjuder, ustanovitelj in dolgoletni dirigent Tržaškega partizanskega pevskega zbora Pinko Tomažič, ki praznuje 40-letnico delovanja.
Koncert, ki ga je imel zbor 11. novembra v CD v Ljubljani, je bil hitro razprodan, zato so se odločili za dodatni termin 1. decembra.
Kjuder se je rodil v Lonjerju pri Trstu, bil je partizan in priznani glasbenik. Njegovo življenje je tesno povezano s partizansko pesmijo in zlasti s TPPZ Pinko Tomažič.


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Umrl je Oskar Kjuder

Bil je ustanovitelj in dolgoletni dirigent Tržaškega partizanskega pevskega zbora Pinko Tomažič

sreda, 14. novembra 2012



V starosti 86 let je umrl Oskar Kjuder, ustanovitelj in dolgoletni dirigent Tržaškega partizanskega pevskega zbora Pinko Tomažič. Rojen je bil v Lonjerju pri Trstu, bil je partizan in tudi priznani glasbenik. Njegovo življenje je tesno povezano s partizansko pesmijo in zlasti s TPPZ Pinko Tomažič, ki prav v tem času praznuje 40-letnico delovanja. Pokojni Kjuder je bil tudi politično zelo angažirana osebnost v naprednem gibanju, bil je član komunistične partije Italije (KPI).



Oskar Kjuder: 25 let na čelu TPPZ

Če bi bilo življenje Oskarja Kjudra pesem, bi ta nosila dva naslova: Naglo puške smo zgrabili in Vstajenje Primorske. Tako je dolgoletni dirigent Tržaškega partizanskega pevskega zbora Pinko Tomažič dejal v intervjuju, ki je na straneh Primorskega dnevnika izšel ob njegovem 85. rojstnem dnevu (tovariš Oskar se je rodil leta 1925 v Lonjerju, kjer živi še danes). Naglo puške smo zgrabili, tako kot jo je tudi sam, ko se je med drugo svetovno v južni Italiji pridružil partizanom 13. proletarske brigade 1. proletarske divizije in so jih nato zavezniške vojaške ladje izkrcale na Korčuli. Vstajenje Primorske, ker je tudi sam pripomogel k temu, da je Primorska vstopila v novo življenje. In nato to pesem, ki se je spremenila v pravo primorsko himno, neštetokrat izvedel s »svojim« Tržaškim partizanskim pevskim zborom Pinko Tomažič, ki ga je vodil celih petindvajset let: od ustanovitve leta 1972 do leta 1997, ko je dirigentsko paličico prepustil Pii Cah. Temperamentni dirigent je bil dolga leta sinonim za TPPZ.




(Sui recenti sviluppi alla F.A.S. di Kragujevac si veda anche:
Condizioni di lavoro alla FIAT Auto Serbia
Sullo sfruttamento del lavoro degli operai serbi bombardati dalla NATO si veda la documentazione pregressa raccolta alla nostra pagina:
https://www.cnj.it/AMICIZIA/sindacale.htm )


da "Repubblica online":

VIDEO: Serbia, turni 10 ore in Fiat: operai scontenti, azienda non cede
10 NOVEMBRE 2012 - Si infiamma la vertenza allo stabilimento di Kraguievac che produce la nuova 500L. Accordo sulla parte economica: i 2500 operai, con le retribuzioni più basse del gruppo, ottengono un aumento, tredicesima e incentivi. Ma dicono: "Ritmi insostenibili"

http://video.repubblica.it/dossier/lo-scontro-su-pomigliano/serbia-turni-10-ore-in-fiat-operai-scontenti-azienda-non-cede/110351/108735

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http://www.repubblica.it/economia/2012/11/10/news/fiat_aumenta_i_salari_in_serbia-46318569/?ref=HREC1-5

Serbia, Fiat cede sui salari, ma non sui turni
I sindacati: "Si lavora 12 ore al giorno, basta"

La vertenza allo stabilimento di Kraguievac che produce la 500L: ai 2500 operai +13% in busta, tredicesima e incentivi. L'ostacolo principale resta però l'organizzazione produttiva accettata per l'avvio della produzione. I sindacati: "Turni non più sostenibili"

BELGRADO - Fa un passo avanti la vertenza fra i sindacati serbi e la Fiat per i 2500 operai dello stabilimento di Kragujevac, dove si produce la nuova 500L. Nella notte, a quanto riferito dal leader sindacale Zoran Mihajlovic, è stato raggiunto l'accordo per un aumento salariale del 13%. L'intesa, ha precisato Mihajlovic, ha validità a partire da ottobre e prevede anche il pagamento di una 13/a mensilità e di un bonus una tantum in due rate per un ammontare complessivo di di circa 36 mila dinari (intorno a 320 euro).
La vertenza però rischia di infiammarsi sullo scoglio principale, quello sui turni di lavoro. Al momento dell'avvio della produzione, era stato concordato che la fase "sperimentale" sarebbe stata sottoposta a verifica sei mesi dopo: quella fase prevedeva l'introduzione di due turni lavorativi di 10 ore al giorno per quattro giorni settimanali, anziché le 8 ore quotidiane su 5 giorni.
Tale sistema di produzione, a un mese dalla scadenza dei sei mesi, è considerato "insostenibile" dai lavoratori perché le 10 ore quotidiane sono molto spesso diventate 12 a causa degli straordinari richiesti dal processo produttivo, mentre per le stesse ragioni - legate a esigenze di mercato - gli operai sono stati chiamati in fabbrica anche per il quinto giorno, seppure con orari ridotti. Quanto basta per far dire ai sindacati che una simile organizzazione del lavoro non è più accettabile e che bisogna tornare alle 8 ore su 5 giorni.
La prima risposta dell'azienda, per ora, è stata negativa. Secondo fonti aziendali citate dai media servi, il mercato sta infatti apprezzando la nuova 500 L - si parla di 10mila ordini da Francia, Italia, Germania ed altri paesi - e Fiat ha l'esigenza di tenere alti i ritmi produttivi, tanto che per Kragujevac avrebbe in programma l'assunzione di altri 150 addetti, destinati principalmente al montaggio. E l'attuale sistema è considerato dal Lingotto la "chiave per la produttività".
Sui turni "sperimentali", dunque, rischiano di rovinarsi le relazioni aziendali e il sindacato ha già preannunciato che in caso di rottura potrebbero esserci iniziative di protesta. I vertici di Fas (Fiat automobile Srbija), joint venture tra il Lingotto (67%) e il governo serbo (33%), anche per questo hanno aperto senza grandi remore alle richieste di aumento salariale. Del resto, le retribuzioni per gli operai di Kraguievac sono tra le più basse del gruppo: le buste paga erogate finora oscillavano tra i 32 mila e i 34 mila dinari (285-300 euro) al mese, inferiori - per il sindacato - di cinque volte rispetto a quelle dei colleghi italiani e di tre volte a confronto con quelle degli operai Fiat in Polonia.

(10 novembre 2012)

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da "il manifesto":

«Turni di lavoro insostenibili», gli operai serbi contro Marchionne.10 ore per 4 giorni, che diventano spesso 12. L'azienda insiste, ma intanto cede su aumenti salariali del 13% (appena 300 euro al mese, la paga base).
Il lavoro resta al centro del mondo Fiat. Questa volta lo scontro non riguarda gli stabilimenti italiani ma è scoppiato in quello nuovo in Serbia, a Kragujevac, una joint venture tra il gruppo italiano e il governo di Belgrado dove viene prodotta la nuova 500L, una piccola monovolume destinata a essere esportata anche in Nordamerica.
Secondo quanto riportato dai media del paese, i sindacati serbi stanno protestando da giorni per due motivi: perché gli operai - circa 1.700 su 2.000 dipendenti - sono pagati poco, circa 300 euro al mese, e soprattutto perché subiscono condizioni di lavoro massacranti. «Turni insostenibili» accusano, ma l'azienda per ora ha risposto picche, perché questa è quella che considera la «chiave della produttività».
In discussione è l'orario di lavoro della cosiddetta fase «sperimentale» di sei mesi. Ne manca ancora uno prima di andare alla verifica prevista: secondo l'accordo, gli operai di Kragujevac devono lavorare su due turni di 10 ore al giorno per quattro giorni settimanali, anziché per 8 ore quotidiane su 5 giorni. Turni diventati sempre più «insostenibili» perché le 10 ore - lamentano i lavoratori - sono molto spesso diventate 12 a causa degli straordinari richiesti dal processo produttivo, mentre per le stesse ragioni - legate a esigenze di mercato - gli operai sono stati chiamati in fabbrica anche per il quinto giorno, seppure con orari ridotti.
Insomma, un inferno. Ed è chiaro perché la Fiat abbia accettato quasi subito di mettere mano al portafoglio, concedendo aumenti salariali per stipendi comunque molto bassi. Secondo quanto riferito dal leader sindacale Zoran Mihajlovic, l'accordo raggiunto prevede un aumento salariale del 13%. Con validità a partire da ottobre, più il pagamento di una tredicesima mensilità e di un bonus una tantum in due rate per un ammontare complessivo di circa 36 mila dinari (intorno a 320 euro). Tuto questo su buste paghe tra i 32 mila e i 34 mila dinari (285-300 euro) al mese, inferiori - la stima è del sindacato - di cinque volte rispetto a quelle dei colleghi italiani e di tre volte a confronto con quelle degli operai Fiat in Polonia. Ma la differenza capestro è che, fuori dalla fabbrica serba, di lavoro ce ne è ancora meno che in Italia e in Polonia. 
Fin qui il conflitto sul lavoro, che potrebbe farsi più aspro. Ma la joint venture serba ha già dato problemi all'amministratore delegato di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne. Dopo voci di ritardi nell'avvio del processo produttivo a causa di problemi legati alla qualità, nel settembre scorso il governo di Belgrado - che guida un paese assai malmesso - ha fatto sapere di non essere in grado di pagare subito i 90 milioni promessi nell'accordo. Marchionne ha dovuto accettare un compromesso, 50 milioni adesso e il resto nel 2013. Ma certo è più difficile tirare dritto sul conflitto sul lavoro: se la fabbrica si fermasse, la 500L non arriverebbe nelle concessionarie secondo i piani produttivi. Legati, per altro, a un andamento piuttosto negativo dei mercati europei e italiano. 
Lunedì, invece, nel lontano Delaware, Marchionne affronterà in tribunale il fondo Veba del sindacato dei metalmeccanici americani. Perché Uaw ha rimesso in discussione la cifra che Marchionne deve pagare per acquisire un altro 3,3% della Chrysler ancora in mano operaia.

da "La Stampa":

La direzione di Fiat Serbia e il sindacato hanno raggiunto un accordo per un aumento salariale del 13% a favore dei 2.500 operai impiegati nello stabilimento di Kragujevac, dove si produce la nuova 500L.  
Livelli salariali e orario di lavoro sono i due punti sui quali i 2.500 lavoratori hanno espresso insoddisfazione alla dirigenza del gruppo. Sulle paghe - che oscillano fra i 32 mila e i 34 mila dinari (pari a 280-300 euro al mese), un livello che per il sindacato serbo è di cinque volte inferiore a quello degli operai Fiat in Italia, e di tre volte più basso rispetto ai loro colleghi polacchi - è stato rapidamente raggiunta un’intesa per un aumento del 13%.  
L’accordo, valido a partire da ottobre, prevede anche il pagamento di una 13/ma mensilità e di un bonus una tantum in due rate per complessivi 36 mila dinari (circa 320 euro). Nessun accordo ancora, invece, sull’orario di lavoro introdotto nei mesi scorsi e che prevede quattro giorni di attività con turni di dieci ore, che spesso diventano 12 e più con straordinari al venerdì. La direzione lo scorso luglio aveva motivato tale orario di lavoro con la necessità di garantire una maggiore produttività e una migliore flessibilità nell’organizzazione del lavoro, oltre a garantire il massimo utilizzo e fruttamento dei nuovi maccinati installati. Ma il presidente del sindacato Zoran Mihajlovic ha detto che i lavoratori sono del tutto insoddisfatti di tale sistema di orario e turnazione, definito “insopportabile”, e chiedono di tornare al regine di cinque giorni di lavoro con turni di otto ore. Su questo punto la trattativa con la direzione prosegue. 

(fonte: Contropiano online, 11/11/2012




(in english: 
An Interview With Jean Bricmont - On Humanitarian Interventionism, Iran, Israel and the Non-Aligned Nations
by Kourosh Ziabari on Counterpunch weekend edition aug 31-sep 02, 2012

en francais:
Interview de Jean Bricmont sur les interventions humanitaires, l’Iran, Israël et les pays non-alignés




Jean Bricmont: gli interventi umanitari, l’Iran, Israele e i paesi non allineati

10 Novembre 2012

Intervista a cura di Kourosh Ziabari | Traduzione dal francese di Massimo Marcori per Marx21.it

Questa intervista è stata prima pubblicata in inglese in Counterpunch ed è stata ripresa in Investig’Action

Pubblichiamo l'intervista a Jean Bricmont, figura di rilievo del movimento per la pace mondiale e autore di numerose pubblicazioni tradotte in diverse lingue, come contributo alla discussione sulle prospettive e i compiti del movimento antimperialista e per la pace, pur non condividendone alcuni giudizi in merito alla possibile coincidenza, sul piano della lotta contro le guerre di aggressione, tra sinistra antimperialista e destra, un terreno che consideriamo insidioso e assolutamente non percorribile, suscettibile di generare solo ambigui e pericolosi connubi. Come pure in larga parte non condividiamo il giudizio sulle cause strutturali che generano l'aggressività di alcune grandi potenze, in questa fase della storia. In ogni caso, il nostro dissenso su questi pur non irrilevanti elementi dell'analisi di Bricmont non ci autorizza a censurare il suo contributo e non inficia il valore di altri aspetti delle sue riflessioni, che toccano un nervo scoperto della sinistra occidentale (anche di quella “anti-liberista”), che è oggi, salvo alcune lodevoli eccezioni, complessivamente silente (e anche attraversata da ambiguità sconcertanti nell'individuazione delle responsabilità) di fronte alle permanenti minacce di guerra che sconvolgono il nostro pianeta.

(la redazione)

“Il fatto che un’idea, che è sostanzialmente laica e liberale, quella dei diritti dell’uomo, sia stata trasformata in uno dei principali mezzi per rinfocolare l’isteria di guerra in Occidente è una crudele ironia. Ma è la realtà del nostro tempo, ed è urgente ed importante cambiarla.”

Nel vostro articolo, “The case for a Non-Interventionist Foreign Policy”[http://www.counterpunch.org/2012/02/20/the-case-for-a-non-inteventionist-foreign-policy/], parlate delle giustificazioni che le potenze imperiali utilizzano per razionalizzare le loro spedizioni militari nel mondo. Una politica estera bellicista costituisce un vantaggio per i politici occidentali, in particolare negli Stati Uniti, per attrarre i voti e il sostegno popolare? Gli americani possono eleggere un presidente pacifista che si impegna apertamente a terminare le guerre statunitensi e ad astenersi dall'iniziarne di nuove?

Non sono così sicuro che questo attragga voti. Sicuramente non in Europa. I politici più bellicisti, Blair e Sarkozy, sono stati popolari nel lungo termine, a causa delle loro politiche estere. In Germania, la popolazione è sistematicamente a favore di una politica estera di pace. Come rilevava il pacifista americano A. J. Muste, il problema in ogni guerra si trova tra i vincitori – essi pensano che la violenza paghi. I vinti, come la Germania, e per certi versi il resto d’Europa, sanno che la guerra non è tutta rose.Tuttavia, penso che, ad eccezione dei tempi di crisi, come in occasione delle guerre del Vietnam e d’Algeria, quando queste hanno preso una brutta piega per gli Stati Uniti e la Francia, la maggioranza delle persone non sono veramente interessate dalla politica estera, cosa che è comprensibile, stanti i loro problemi quotidiani, e perché questa sembra essere fuori della portata della maggioranza dei cittadini.

Invece, ogni candidato all’elezione presidenziale degli Stati Uniti deve fare dichiarazioni patriottiche, “siamo i migliori”, “un faro in cima alla collina”, un “difensore dei diritti dell’uomo”, ecc. Evidentemente, questo è vero per tutti i sistemi di potere, la sola cosa che varia sono i “valori” ai quali ci si riferisce (essere un buon cristiano, un buon musulmano o anche un difensore del socialismo, ecc.).

Ed è vero che, per attrarre consensi, occorre avere il sostegno della stampa e delle potenze finanziarie. Ciò permette un’enorme scappatoia in favore del militarismo e del sostegno ad Israele.

Le potenze imperiali, come avete indicato nei vostri scritti, conducono guerre, uccidono innocenti, saccheggiano le risorse naturali dei paesi più deboli sotto il pretesto di portare la democrazia. Chi deve dunque incaricarsi dei principi del diritto internazionale, dell’integrità territoriale e della sovranità? Attaccare altri paesi in tutti i sensi e uccidere indiscriminatamente civili indifesi sono fatti di flagrante illegalità. E’ possibile riportare queste potenze alla ragione e renderle responsabili di ciò che fanno?

Penso che l’evoluzione del mondo stia andando nella direzione del rispetto per i principi del diritto internazionale, dell’integrità territoriale e della sovranità. Come ho detto, i popoli europei sono piuttosto pacifici sia all’interno dell’Europa sia nei confronti del resto del mondo, almeno rispetto al passato. Alcuni loro dirigenti non sono pacifici e vi è una forte pressione a favore della guerra da parte della strana alleanza tra gli interventisti dei diritti umani e i neoconservatori, che sono molto influenti nei media e negli ambienti intellettuali, ma queste non sono le uniche voci autorizzate ed esse sono piuttosto impopolari tra la popolazione..

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, essi attraversano una profonda crisi, non soltanto economica, ma anche diplomatica. Hanno perso da molto tempo il controllo dell’Asia, e stanno perdendo quello dell’America Latina e, attualmente, anche del Medio Oriente. L’Africa si volge sempre più verso la Cina.

Dunque il mondo sta diventando multipolare, che si voglia o no. Là intravedo perlomeno due pericoli: che il declino degli Stati Uniti non produca reazioni “folli”, che conducono ad una guerra globale, o anche che il crollo dell’impero americano non crei un caos generalizzato, un po’ come è avvenuto in occasione del crollo dell’impero romano. E’ responsabilità del movimento dei paesi non allineati e dei BRICS assicurare una transizione ordinata verso un autentico nuovo ordine mondiale.

Ciò che pare ipocrita nell’atteggiamento delle potenze occidentali nei confronti del concetto dei diritti dell’uomo è che queste condannano incessantemente le violazioni dei diritti dell’uomo nei paesi con i quali sono in conflitto, ma rimangono intenzionalmente silenti al riguardo delle violazioni nei paesi loro alleati. Ad esempio, sapete sicuramente come si maltrattano e torturano i prigionieri politici in Arabia Saudita, l’alleato principale di Washington tra i paesi arabi. Perché non si protesta e non si condannano queste violazioni?

Conoscete un qualunque potere che non sia ipocrita? Mi pare che il potere funzioni così dappertutto e in ogni epoca. Ad esempio, nel 1815, alla caduta di Napoleone, lo zar di Russia, l’imperatore d’Austria e il re di Prussia si sono uniti in quella che è stata denominata la Santa Alleanza. Essi pretendevano di basare la loro linea di condotta sulle “sublimi verità contenute nella religione eterna del Cristo salvatore”, come sui principi “della loro santa religione, precetti di giustizia, carità e pace” e hanno giurato di comportarsi nei confronti dei loro soggetti “come un padre verso i suoi figli”.

Durante la guerra dei Boeri, il primo ministro inglese, Lord Salisbury, dichiarò  che era “una guerra per la democrazia” e che “noi non miriamo né alle miniere né al territorio”. Bertrand Russel, che cita queste note, aggiunge che “cinici stranieri” non hanno potuto evitare di far notare “che  abbiamo nondimeno ottenuto sia le miniere sia il territorio”.

Nel momento cruciale della guerra del Vietnam, lo storico americano Arthur Schlesinger descriveva la politica degli Stati Uniti come facente parte del “nostro programma globale di buona volontà internazionale”. Al termine di questa guerra, un giornalista liberale scriveva sul New York Times che: “Durante un quarto di secolo, gli Stati Uniti hanno provato a fare il bene, ad incoraggiare la libertà politica e a promuovere la giustizia sociale nel Terzo Mondo”.

In questo senso le cose non sono cambiate. Le persone a volte pensano che, poiché il nostro sistema è più democratico, le cose debbano cambiare. Ma ciò suppone che le popolazioni siano ben informate, cosa non vera per le numerose falsità contenute nei media, e suppone anche che queste partecipino attivamente alla formazione della politica estera, cosa che non è altrettanto vera, salvo che in tempo di crisi. La formazione della politica estera rimane affare elitario e poco democratico.

L’attacco o l’invasione di altri paesi con il pretesto di un intervento umanitario può essere legalizzato e ammesso con l’unanimità dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Se questi votano tutti a favore di un attacco militare, questo si produrrà. Ma non pensate che il fatto stesso che solo 5 paesi possano prendere decisioni su 193 membri delle Nazioni Unite, e che questa maggioranza considerevole non possa dire nulla sul corso degli avvenimenti internazionali, sia un insulto a tutte queste nazioni e al loro diritto all’autodeterminazione?

Certamente. Ma adesso che la Cina e la Russia sembrano avere posizioni indipendenti nei confronti dell’Occidente, non è così chiaro che nuove guerre saranno legali. L’attuale situazione in seno al Consiglio di Sicurezza non è soddisfacente, penso però che, nel complesso, le Nazioni Unite siano una buona cosa; queste forniscono principi che si oppongono all’ingerenza e un quadro per l’ordine internazionale, la loro esistenza offre la possibilità a diversi paesi di incontrarsi e discutere, ciò è meglio di niente. 

Sicuramente, riformare le Nazioni Unite sarà questione complicata, perché questo non si può fare senza il consenso dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, e vi sono poche possibilità che questi siano entusiasti di fronte alla prospettiva di perdere parte del loro potere.

Quello che conterà in fin dei conti sarà l’evoluzione dei rapporti di forza, e questa non avviene in favore di coloro che attualmente pensano di controllare il mondo.

Parliamo di alcune questioni d’attualità. Nei vostri articoli, avete parlato della guerra in Congo. E’ stato uno choc per me apprendere che la seconda guerra del Congo è stata la più micidiale nella storia dell’Africa con 5 milioni di morti innocenti, ma i media dominati dagli Stati Uniti hanno nascosto questo, perché uno dei belligeranti, l’esercito ruandese, era uno stretto alleato di Washington. Qual è la vostra posizione al riguardo?

Non sono un esperto di questa regione del mondo. Ma la tragedia ruandese del 1994 è spesso utilizzata come argomento a favore di interventi stranieri che, si dice, avrebbero potuto fermare la carneficina, mentre la tragedia del Congo dovrebbe essere considerata come un argomento contro l’intervento straniero e per il rispetto del diritto internazionale, poiché essa è in larga misura dovuta all’intervento del Ruanda e dell’Uganda in Congo.Il fatto che quest’ultimo argomento non sia mai invocato dimostra una volta di più a che punto il discorso sull’intervento umanitario sia falsato a favore dei poteri in campo, che vogliono attribuirsi il diritto di intervenire quando gli fa comodo.

Qualche giorno fa, il segretario generale dell’ONU, Ban Ki Moon, condannava i dirigenti iraniani per i loro propositi incendiari e astiosi nei confronti di Israele. Tuttavia, non ricordo che egli abbia condannato gli ufficiali israeliani per le loro ripetute minacce di guerra contro l’Iran. Qual è la ragione di tale ipocrisia?

Come sapete, l’ipocrisia in Occidente nei confronti di Israele raggiunge livelli inauditi e Ban Ki Moon, benché sia il segretario generale dell’ONU è su posizioni molto “filo-occidentali”. Benché dubiti della saggezza della retorica iraniana su Israele, penso però che le minacce di azioni militari di Israele contro l’Iran siano di gran lunga più serie e dovrebbero essere considerate illegali dal punto di vista del diritto internazionale. Penso anche che le sanzioni unilaterali contro l’Iran, prese dagli Stati Uniti e dai loro alleati, per compiacere Israele siano vergognose. E, sebbene le persone che si dicono antirazziste in Occidente non denuncino mai queste politiche, ritengo invece che esse siano profondamente razziste, perché sono accettate unicamente per il fatto che dei paesi sedicenti civilizzati, Israele e i suoi alleati, esercitano questa minaccia e queste sanzioni contro un paese “non civilizzato”, l’Iran. Nel futuro, ci si ricorderà di questo nello stesso modo in cui si ricorda oggi la schiavitù.

Ci sono persone come voi che si oppongono al militarismo degli Stati Uniti, alla sua menzogna e ipocrisia in merito ai diritti dell’uomo e al loro tentativo di divorare il Medio Oriente ricco di petrolio, ma devo dire che voi siete una minoranza. E’ il Congresso dominato da Israele e i “think tanks” bellicisti come il Council on Foreign Relations e il National Endowment for Democracy che dirigono gli Stati Uniti, e non i pensatori contro la guerra, progressisti, a favore della pace, come voi. Qual è il livello d’influenza che hanno i pensatori progressisti e i media di sinistra sulle politiche decise negli Stati Uniti?

Penso che si debba fare una distinzione tra il sostegno ad Israele e il desiderio di “divorare” il petrolio. Le due politiche non sono le stesse e infatti sono contraddittorie. Come hanno mostrato, ritengo, Mearsheimer e Walt, le politiche filo-israeliane degli Stati Uniti sono in larga misura dovute alla lobby filo-israeliana ed esse non aiutano né la loro economia né i loro interessi geostrategici. Ad esempio, per quanto ne so, nulla impedirebbe alle nostre compagnie petrolifere di  trivellare in Iran, se non ci fossero sanzioni imposte a questo paese; ma queste sanzioni sono legate all’ostilità di Israele nei confronti dell’Iran, non al desiderio di controllare il petrolio.

La seconda osservazione è che le persone che sono contro la guerra non sono necessariamente di sinistra. E’ vero che gran parte della destra è divenuta neoconservatrice, ma c’è anche una gran parte della sinistra che è influenzata dall’ideologia dell’intervento umanitario.

Negli Stati Uniti, esiste una destra libertaria, Ron Paul ad esempio, che è risolutamente contro la guerra, e vi sono anche alcune tracce di una sinistra pacifista o antimperialista.

Notate che ciò si è sempre ripetuto (anche in epoca coloniale): la divisione tra filo e anti-imperialisti non coincide con la divisione sinistra-destra, se questa è compresa in termini socio-economici o in termini “morali” (ad esempio sul matrimonio omosessuale).

E’ vero che abbiamo troppa poca influenza, e questo è dovuto in parte al fatto che siamo divisi tra una sinistra pacifista e una destra pacifista. Ritengo che la maggioranza della popolazione si opponga a queste interminabili e costosissime guerre, soprattutto in Europa, a causa delle lezioni della seconda guerra mondiale, o a causa delle disfatte nelle guerre coloniali e, negli Stati Uniti,, a causa di una certa stanchezza nei confronti della guerra, dopo l’Afghanistan e l’Iraq.

Quello che ci occorre è un forte movimento pacifista; affinché questo si formi, bisognerebbe concentrarsi sulla guerra stessa e unire le diverse opposizioni (di sinistra e di destra). Ma se i movimenti si possono costruire attorno a questioni come l’aborto o il matrimonio omosessuale, che mettono ai margini problemi socio-economici e le questioni di classe, perché no?

Benché un tale movimento ancora non esista, le sue prospettive non sono totalmente disperate: se la crisi economica peggiora, e se l’opposizione mondiale alle politiche degli Stati Uniti cresce in ampiezza, i cittadini di diverso colore politico potrebbero unirsi per tentare di costruire alternative al militarismo.

Qual è il vostro punto di vista per quanto riguarda la guerra di sanzioni, embargo, assassini di scienziati e operazioni psicologiche che conducono gli Stati Uniti e il loro alleati nei confronti dell’Iran? L’Iran subisce praticamente un attacco multilaterale degli Stati Uniti, di Israele, e dei loro servili accoliti europei. Esiste un qualunque modo per l’Iran per uscire da tale situazione e per resistere alla pressione? Avete mai sentito parlare della sua cultura e civiltà, di cui i media dominanti non parlano mai?

Non conosco bene l’Iran, ma non penso di aver bisogno di saperne di più su questo paese, anche se sicuramente mi piacerebbe farlo, per oppormi alle politiche che avete menzionato. Ero anche contrario all’intervento occidentale nell’ex Yugoslavia e in Libia. 

Alcuni pensano che vi sono interventi buoni e altri cattivi. Ma la questione principale rimane: chi interviene? In realtà in occidente non sono mai i “cittadini” o la “società civile”, o anche soltanto i paesi europei, senza l’appoggio degli Stati Uniti, che intervengono. E’ sempre l’esercito americano, in particolare le sue forze aeree.

Ora, si può certamente difendere l’idea che occorre ignorare il diritto internazionale e che la difesa dei diritti dell’uomo debba toccare alla Air Force americana. Ma molte persone che sostengono i “buoni” interventi non dicono questo. In genere, dicono che “noi” dobbiamo fare qualcosa per “salvare le vittime” in questa o quella particolare situazione. Ciò che coloro che difendono questo punto di vista dimenticano, è che il “noi” che si suppone intervenire, non fa riferimento a quelli che sostengono questo discorso, ma soltanto all’esercito americano. 

Di conseguenza, il sostegno a qualunque intervento non fa che rafforzare l’arbitrio del potere americano che certamente lo esercita come meglio ritiene e non, in generale, secondo gli auspici di quelli che sostengono i “buoni” interventi.

Per concludere, potete darci un’idea di come i grandi media servano gli interessi delle potenze imperiali? Come funzionano? E’ moralmente giustificabile utilizzare la propaganda dei media per raggiungere obiettivi politici e coloniali?

Il legame tra i “grandi media” e la propaganda di guerra è complesso, come lo è il rapporto tra il capitalismo e la guerra. La maggior parte delle persone di sinistra pensa che il capitalismo abbia bisogno della guerra o la guidi. Ma la verità, a mio avviso, è molto più articolata. I capitalisti americani fanno fortuna in Cina e in Vietnam adesso che c’è la pace tra gli Stati Uniti e l’est asiatico (per i lavoratori americani, evidentemente, è un’altra storia).

Non c’è alcun motivo per cui le compagnie petrolifere o di altre società capitalistiche occidentali non abbiano rapporti commerciali con l’Iran (almeno, dal punto di vista di queste compagnie) e, se ci fosse una pace stabile in questa regione, i capitalisti si precipiterebbero su di essa come avvoltoi per sfruttarvi una mano d’opera a buon mercato e relativamente qualificata.

Questo non vuol dire che i capitalisti siano gentili, né che essi non possano essere individualmente a favore della guerra, ma che la guerra non è, generalmente, nel loro interesse, e che essi non costituiscono necessariamente la forza principale che preme per la guerra.

I popoli sono indotti a fare la guerra tra loro da conflitti ideologici e religiosi, soprattutto quando queste ideologie assumono forme fanatiche – ad esempio, quando si crede che un certo appezzamento di terra è stato offerto da Dio, o che il vostro paese è investito da una missione speciale, come esportare i diritti dell’uomo e la democrazia (secondo la volontà divina, per Mitt Romney), preferibilmente con missili da crociera e droni.

Il fatto che un’idea fondamentalmente laica e liberale come quella dei diritti dell’uomo, sia stata trasformata in uno dei principali mezzi per attizzare l’isteria bellica in occidente è una crudele ironia. Ma è la realtà del nostro tempo ed è urgente ed importante cambiarla.

Kourosh Ziabari è un giornalista iraniano, corrispondente stampa e militante per la pace. E’ membro della World Student Community for Sustainable Development. Può essere contattato all’indirizzo kziabari@...

Jean Bricmont è professore di fisica teorica all'Università di Louvain (Belgio) e figura rappresentativa del movimento europeo per la pace

1. Bertrand Russel, Freedom and Organization, 1814-1914, Londra, Routledge, 2001.
2. The New York Times, 6 febbraio 1966.
3. William V. Shannon, The New York Times, 28 settembre 1974. Citato da noam Chomsky su “Human Rights” and Foreign American Policy, Nottingham, Spokesman Books, 1978, p. 2-3. Disponibile su: book-case.kroupnov.ru/  
4. Si veda il loro libro Le lobby pro-israélien et la politique étrangère américaine, Editions La Dècouverte, 2009.




(english / deutsch)

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The Logic of War
 
2012/11/01

PRIŠTINA/BERLIN
 
(Own report) - The European Court of Auditors (ECA) is making serious accusations against the German-EU Kosovo occupation policy. According to the ECA's report published Tuesday, not much can be seen of the "rule of law," that the EU for years has been pretending to establish in the region that had seceded from Serbia in violation of international law. Instead, levels of general corruption and particularly of organized crime remain "high." This has "not changed considerably" since the occupation began in the summer of 1999, writes the EU authority. NATO invaded that south Serbian province in the summer of 1999. Under its control and with Berlin's active support, the KLA mafia gang led by Kosovo's current Prime Minister, Hashim Thaci, became the strongest local power. The ECA report, once again, shows the consequences of Berlin's repeated reversion to elements - such as the KLA - in the framework of strategically motivated military operations. With their help, wars can be won, but their social qualities are diametrically opposed to a humane development in the region targeted by German interventions.

Drip-Fed by the EU

The report of the European Court of Auditors (ECA), published Tuesday, begins with a short recapitulation of recent developments in Kosovo. It recalls how NATO invaded in the summer of 1999 and - in the name of the UN - took control of this south Serbian province; how its formal secession was prepared and - in violation of international law - finally imposed in February 2008. In spite of the massive pressure particularly from Germany and the USA, Kosovo has been recognized by only 91 countries. Berlin has not been even able to prevail within the EU: Five EU member countries continue to consider the region part of Serbia - in accordance with the terms of international law.[1] In defiance of all resistance to this illegal secession, Priština has been receiving billions in subventions from western donor countries since 1999. According to the ECA, between 1999 and 2007 alone, it received 3.5 billion Euros - two thirds of which originated in the budgets of the EU and its member countries. An additional 1.2 billion Euros had been provided for the period 2009 - 2011. Kosovo, which has not been recognized by one-fifth of the EU member states, is today the main - per capita - recipient of EU aid.

The Mafia in Power

In this context, the "European Union Rule of Law Mission in Kosovo," EULEX is of particular importance, because of the social situation. Before the attack on Yugoslavia, in March 1999, Germany and NATO had already begun to arm the mafia militia of the archaic clan-dominated back hills of Kosovo against Belgrade. During the war, the KLA actually functioned as the ground forces of NATO's bombers. When the combat ended, they had developed into the strongest force of the South-Serbian province. Their leader, at the time, Hasim Thaci, has been Kosovo's Prime Minister, since 2008. Since the 1990s, the mafia activities of the head of government and his current entourage have regularly been the object of international criticism. (german-foreign-policy.com reported.[2]) EULEX was therefore given the task of establishing principles of rule of law in Kosovo. EULEX, with its 2,500 employees, is the largest crisis operation that the EU has ever had.

Mismanagement

The ECA has rendered a devastating verdict against EULEX not only for anomalies that could be considered simply mismanagement. According to the ECA, the EU Commission supports the establishment of an independent information system for the border police of Kosovo, rather than the creation of a unified system for the entire police force - as the EULEX had demanded. This EU authority acknowledged that there simply had been no coordination during preparations. Besides, the implementation of both projects was "significantly delayed," the supply of the equipment was more than a year late. In any case, the primary objective for these measures had been to replace a long since existing information system, simply because it was introduced by the USA, with a new fully EU-standards compliant system. Implementation of the new system was difficult because of the Kosovo authorities’ preference to continue with the existing system. This was in no case, a promotion of efficient police work, criticized the ECA.[3]

Organized Crime

The fact that, at best, Kosovo has made "limited progress in the struggle against organized crime" after years of EU engagement is even more serious. According to the ECA, the organized crime situation, in fact, has "changed very little" since 1999, remaining at a "high level." Investigations of even major crimes are "still ineffective," not just due to limited experience, but mainly because of political interference. The Kosovo authorities also lack the capacity to tackle financial and economic crime and money laundering - the kinds of criminality usually accompanying mafia activities.[4]

Unsovereign Judicial System

In spite of the years of EU engagement, the judicial system still suffers from "fundamental weaknesses," complains the ECA. There are numerous vacancies because the Kosovo authorities turned down the personnel recommendations made by the occupation forces. Significant deficits are current in the assurance of minority rights. Only 33 percent of the posts reserved for members of minorities in the judicial system have been filled. It is impossible to reasonably prosecute crimes due to the low number of judges and prosecutors. Political interference is facilitated by the fact that cases are arbitrarily assigned to judges and prosecutors. Since 2004, an EU system aimed at correcting the situation, has been in preparation, but has yet to be implemented. It was confirmed to the OSCE that some judges are "not fully willing to render their judgements on the basis of the law only, but tend to act in anticipatory obedience to external influences."[5] The ECA discerns a positive development in only one area: the establishment of Kosovo's customs system "has been largely successful."

Future Forces

The ECA once again provides an indication of the consequences of geostrategic motivated military operations, such as the aggression over Kosovo. To vanquish its enemy, Germany has regularly cooperated with forces, which were powerful enough to win wars, but whose social qualities are diametrically opposed to a humane development in the region targeted by German interventions. This had been the case in Afghanistan in the 1980s when, within the framework of the western alliance, the Federal Republic of Germany helped support the Afghan Mujahedeen fighting pro-Soviet forces in Kabul and the Soviet army. The consequences are well known. Cooperation with the KLA, which, together with NATO, was strong enough to tear Kosovo away from Yugoslavia, has ultimately led to the rule of Mafiosi clans, provoking complaints now from the ECA. A similar outcome can be expected from Berlin's current cooperation with Afghan warlords to maintain control at the Hindu Kush, (german-foreign-policy.com reported,[6]) or in Syria, where Islamist militia are fighting on the side of the West.[7] This brutalization of social relations corresponds to the logic of warfare, in as much as, not the most humane, but the most barbaric forces are the more promising allies, who, in the long run, become the most influential forces shaping the future.

[1] The five countries are Greece, Romania, Slovakia, Spain, and Cyprus.
[2] see also Die Mafia als StaatThe Mafiosi State (II)Became Part of the West and Ein privilegierter Partner
[3], [4], [5] European Court of Auditors: European Union Assistance to Kosovo Related to the Rule of Law. Special Report No. 18/2012
[6] see also Part of the ProblemDie Kolonialisten kommen zurück and Klassische Warlords
[7] see also The Islamization of the Rebellion


--- deutsch ---


Die Logik des Krieges
 
01.11.2012

PRISTINA/BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Schwere Vorwürfe gegen die deutsch-europäische Besatzungspolitik im Kosovo 
erhebt der Europäische Rechnungshof. Wie aus einem am Dienstag veröffentlichten Bericht der Institution hervorgeht, ist von einem "Rechtsstaat", den die EU schon seit Jahren in der völkerrechtswidrig von Serbien abgespaltenen Region aufzubauen vorgibt, nicht viel zu sehen. Stattdessen befinden sich nicht nur allgemein die Korruption, sondern insbesondere auch die Organisierte Kriminalität weiterhin auf einem "hohen Niveau"; dieses habe sich seit dem Beginn der Besatzung im Sommer 1999 "nicht bedeutend geändert", schreibt die EU-Behörde. Im Sommer 1999 war die NATO in die südserbische Provinz einmarschiert; unter ihrer Kontrolle und unter tatkräftiger Mitwirkung Berlins wurde die Mafia-Bande UÇK des derzeitigen kosovarischen Ministerpräsidenten Hashim Thaçi zur stärksten einheimischen Macht. Der Rechnungshof-Bericht lässt einmal mehr die Konsequenzen strategisch motivierter Gewaltoperationen erkennen, in deren Rahmen Berlin immer wieder auf Elemente wie die UÇK zurückgreift - mit ihrer Hilfe lassen sich Kriege gewinnen, ihre sozialen Qualitäten stehen einer humanen Entwicklung in den Zielgebieten deutscher Interventionen allerdings diametral entgegen.

Am Tropf der EU

Der am Dienstag publizierte Bericht des Europäischen Rechnungshofs rekapituliert zunächst knapp die Entwicklung des Kosovo in der jüngsten Vergangenheit. Er ruft in Erinnerung, wie im Sommer 1999 die NATO einmarschierte und - im Namen der UNO - die Kontrolle über die südserbische Provinz übernahm, wie dann Vorbereitungen für die formelle Sezession des Gebiets eingeleitet und die Abspaltung im Februar 2008 vollzogen wurde - völkerrechtswidrig. Bis heute wird das Kosovo, ungeachtet massiven Drucks vor allem aus Deutschland und den USA, nur von 91 Staaten weltweit anerkannt; selbst in der EU hat sich Berlin nicht durchsetzen können: Fünf EU-Staaten rechnen das Gebiet weiterhin, völkerrechtlich korrekt, Serbien zu.[1] Ungeachtet sämtlicher Widerstände gegen die illegale Sezession wird Priština schon seit 1999 mit Milliardensummen westlicher Geberstaaten subventioniert. Allein von 1999 bis 2007, schreibt der Europäische Rechnungshof, habe es rund 3,5 Milliarden Euro erhalten - zwei Drittel davon aus dem EU-Etat und von EU-Mitgliedsländern -, für 2009 bis 2011 seien 1,2 Milliarden Euro bereitgestellt worden. Kosovo, das von einem Fünftel der EU-Mitglieder nicht anerkannt wird, ist - pro Kopf gerechnet - heute der größte Empfänger von EU-Hilfen überhaupt.

Die Mafia an der Macht

Besondere Bedeutung kommt in diesem Rahmen EULEX zu, der "European Union Rule of Law Mission in Kosovo", die in dem Sezessionsgebiet einen Rechtsstaat aufbauen soll. Hintergrund ist die soziale Lage dort. Deutschland und die NATO begannen vor dem Überfall auf Jugoslawien im März 1999, Mafia-Milizen aus dem von archaischen Clans dominierten kosovarischen Hinterland gegen Belgrad aufzurüsten. Während des Krieges operierte die UÇK faktisch als Bodentruppe für die NATO-Bomber; als die Kampfhandlungen zu Ende waren, hatte sie sich zur stärksten Kraft in der südserbischen Provinz entwickelt. Ihr damaliger Führer, Hashim Thaçi, ist seit dem Jahr 2008 kosovarischer Ministerpräsident. Die Mafia-Aktivitäten des Regierungschefs und seiner aktuellen Entourage werden seit Ende der 1990er Jahre regelmäßig international kritisiert (german-foreign-policy.com berichtete [2]). EULEX hat daher die Aufgabe erhalten, rechtsstaatliche Prinzipien im Kosovo zu etablieren. Es handelt sich bei EULEX mit ihren gut 2.500 Mitarbeitern um die größte Krisenoperation der EU überhaupt.

Fehlmanagement

Der Europäische Rechnungshof stellt EULEX nun ein vernichtendes Urteil aus. Es beruht nicht nur auf Merkwürdigkeiten, die sich noch als simples Fehlmanagement darstellen ließen. So unterstützte die EU-Kommission dem Rechnungshof zufolge den Aufbau eines eigenen Informationssysstems für die kosovarische Grenzpolizei, anstelle der gesamten Polizei - wie von EULEX gefordert - ein einheitliches System zu verschaffen. Man habe bei der Vorbereitung schlicht keine Koordinierung vorgenommen, konstatiert die EU-Behörde. Darüber hinaus sei die Einführung der beiden Systeme "signifikant verspätet" erfolgt; Ausrüstungsgegenstände seien mit einem Zeitverzug von über einem Jahr geliefert worden. Überhaupt sei es ein zentrales Ziel der Maßnahme gewesen, ein schon längst existierendes Informationssystem nur deswegen zu ersetzen, weil dessen Einführung von den USA unterstützt worden sei; Washington habe nicht auf Kompatibilität mit den üblichen EU-Standards geachtet. Schwierigkeiten bei der Einführung des neuen EU-Systems habe es auch gegeben, da das kosovarische Personal gerne mit der in Betrieb befindlichen Apparatur weitergearbeitet hätte. Einer effizienten polizeilichen Tätigkeit habe man damit keinesfalls gedient, kritisiert der Rechnungshof.[3]

Organisierte Kriminalität

Gravierender ist, dass nach jahrelanger EU-Tätigkeit das Kosovo allenfalls "geringe Fortschritte im Kampf gegen das organisierte Verbrechen" verzeichnen kann. Tatsächlich habe sich die Lage, heißt es beim Rechnungshof, seit 1999 hinsichtlich der Organisierten Kriminalität "nicht bedeutend geändert", letztere verharre auf "hohem Niveau". Die Untersuchung selbst schwerer Verbrechen sei "immer noch unwirksam", keineswegs nur wegen mangelhafter Erfahrung, sondern vor allem auch wegen politischer Interventionen. Die kosovarischen Behörden seien außerdem nicht in der Lage, Wirtschaftsverbrechen und Geldwäsche zu bekämpfen - Formen der Kriminalität, die gewöhnlich anderweitige Mafia-Aktivitäten begleiten.[4]

Abhängige Justiz

Auch das Gerichtswesen leide trotz der langjährigen EU-Maßnahmen weiterhin "an grundlegenden Schwächen", moniert der Europäische Rechnungshof. So seien zahlreiche Stellen vakant, da die kosovarischen Behörden Personalvorschläge der Besatzer nicht akzeptierten. Schlimme Mängel gebe es bei der Wahrung von Minderheiten-Rechten: Nur 33 Prozent der Posten im Gerichtswesen, die für Minoritäten reserviert seien, seien besetzt. Die Anzahl der Richter und Staatsanwälte sei so niedrig, dass eine angemessene Strafverfolgung unmöglich sei. Politische Intervention werde durch die Tatsache erleichtert, dass die Zuteilung der Fälle an bestimmte Richter und Staatsanwälte völlig willkürlich erfolge; ein EU-System, das Abhilfe schaffen solle, sei schon seit 2004 in Arbeit, werde jedoch noch immer nicht eingesetzt. Die OSZE habe sich bestätigen lassen, dass so manche Richter nicht bereit seien, "ihre Urteile auf der alleinigen Grundlage des Rechts" zu sprechen, sondern dass sie "dazu tendierten, in vorauseilendem Gehorsam gegenüber äußeren Einflüssen zu handeln".[5] Positive Entwicklungen kann der Europäische Rechnungshof nur in einem Segment erkennen: Der Aufbau des kosovarischen Zollwesens verzeichne "in hohem Maße Erfolg".

Kräfte der Zukunft

Der Rechnungshof-Bericht lässt einmal mehr erkennen, welche Konsequenzen geostrategisch motivierte Gewaltoperationen wie der Kosovo-Krieg mit sich bringen. Um den Feind zu besiegen, kooperiert die Bundesrepublik regelmäßig mit Elementen, die schlagkräftig genug sind, um Kriege zu gewinnen, deren soziale Qualitäten allerdings einer humanen Entwicklung in den Zielgebieten deutscher Interventionen diametral entgegenstehen. Dies war bereits im Afghanistan der 1980er Jahre der Fall, als die Bundesrepublik sich im Rahmen des westlichen Bündnisses daran beteiligte, afghanische Mujahedin gegen prosowjetische Kräfte in Kabul und gegen die sowjetische Armee zu unterstützen; die Folgen sind bekannt. Die Zusammenarbeit mit der UÇK, die gewalttätig genug war, um das Kosovo im Verein mit der NATO Jugoslawien zu entreißen, mündete letztlich in die Herrschaft von Mafia-Clans, die der Europäische Rechnungshof heute beklagt. Ähnliches muss für die aktuelle Kooperation mit Warlords in Afghanistan befürchtet werden, mit deren Hilfe Berlin die Kontrolle am Hindukusch aufrecht zu halten sucht (german-foreign-policy.com berichtete [6]), oder für Syrien, wo islamistische Milizen an der Seite des Westens kämpfen [7]. Die Brutalisierung der gesellschaftlichen Verhältnisse entspricht der Logik des Krieges, die nicht die humansten, sondern die gewalttätigsten Elemente zu den meistversprechenden Verbündeten, langfristig allerdings auch zu den maßgeblichen Kräften der Zukunft macht.

[1] Die fünf Staaten sind Griechenland, Rumänien, die Slowakei, Spanien und Zypern.
[2] s. dazu Die Mafia als StaatDie Mafia als Staat (II)Teil des Westens geworden und Ein privilegierter Partner
[3], [4], [5] European Court of Auditors: European Union Assistance to Kosovo Related to the Rule of Law. Special Report No. 18/2012
[6] s. dazu Teil des ProblemsDie Kolonialisten kommen zurück und Klassische Warlords
[7] s. dazu Die Islamisierung der Rebellion



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(Segnalato da R. Pilato e G. Vlaic, che ringraziamo. 
Sullo sfruttamento del lavoro degli operai serbi bombardati dalla NATO si veda la documentazione pregressa raccolta alla nostra pagina:


Ritmi accelerati Fiat bocciati in Serbia

Prima minaccia di sciopero nella storia dell'azienda a Kragujevac, rientrata dopo un aumento degli straordinari: per gli operai i ritmi di lavoro sono troppo duri.

giovedì 8 novembre 2012 16:45
italintermedia.globalist.it

Lo stabilimento Fiat di Kragujevac sta attraversando i primi scontri sindacali della sua giovane storia: nella fabbrica in cui si stanno sperimentando i nuovi turni di lavoro, gli operai delle installazioni lamentano condizioni troppo rigidi ed un aumento dei ritmi non più sostenibile. Dopo una minaccia di sciopero, l'azienda ha deciso di accettare le richieste degli operai e pagherà gli straordinari in misura più consistente, ma la pace sindacale che regnava fin dalla nascita dell'azienda italo-serba si è infranta. 
Con l'inizio della produzione della "500 L", la Fiat Automobili Srbija ha inaugurato nuovi turni di lavoro che dovrebbero poi entrare in vigore nell'intero gruppo: dieci ore con pause ridotte per quattro giorni a settimana, e poi tre giorni a casa. "Lunedì scorso ho parlato con gli operai durante una pausa di 20 minuti - dice a "Blic" Zoran Mihajlovic, storico presidente dei sindacati indipendenti di Kragujevac - e loro dicono che per dieci ore di lavoro al giorno sono troppe anche perché la linea di produzione ha cominciato a muoversi più velocemente e la richiesta di produttività è aumentata. 
A questi ritmi, dicono, non ce la si fa. Loro vorrebbero tornare a turni di otto ore per cinque giorni alla settimana. E poi i loro salari restano di circa 33mila dinari (meno di 300 euro, n.d.t.) e lavorando di notte ricevono solo 300 dinari, ovvero tre euro, in più". Nello stabilimento il primo turno entra in funzione dalle 6 del mattino alle 18, ed il secondo dalle 22 alle 6. A far esplodere il malcontento pare sia stata la decisione di imporre quattro ore di straordinario in più, ma di fronte alla prima minaccia di sciopero della sua storia l'azienda ha deciso di trattare e per il momento la minaccia è rientrata con l'accordo di aumentare del 25 per cento la paga per le ore di lavoro in più.
La Fas dice che a rendere necessaria l'aumento del lavoro sono state le forti richieste della "500 L" da parte dei mercati europei, ma per conto dei sindacati, Mihajlovic ribadisce che l'obiettivo resta quello di tornare entro febbraio prossimo ai turni ed alle giornate lavorative di prima. La Fas di Kragujevac in base agli accordi iniziali con il governo serbo doveva assumere 2.400 dipendenti, al momento ne conta cento in più ed entro la fine dell'anno dovrà assumerne altri 150, ma la sperimentazione dei nuovi ritmi "accellerati" e la riduzione delle pause, che inizialmente era stata fatta passare con una più generosa assegnazione di straordinari, sembra destinata a creare problemi anche se nello stabilimento l'azienda ha sostituito gli operai più anziani con personale giovane, che finora si riteneva maggiormente motivato.





Con l'istituzione del Giorno del Ricordo in data 10 Febbraio, le autorità italiane hanno cercato di diffondere una propria versione della storia riguardo alle vicende del confine orientale italiano nel dopoguerra. Molto spesso si sente parlare di "esodo", "foibe" e in genere di "pulizia etnica" ai danni degli italiani che si trovarono a vivere nei territori che l'Italia perdette a seguito della ratifica del Trattato di Pace nel 1947, e che passarono alla Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia. In realtà solo parte degli italiani autoctoni di questi territori emigrò in Italia. Una grossa fetta (ma comunque meno della metà) invece decise di restare nelle proprie terre. Questo articolo è dedicato alla riorganizzazione politica e culturale degli italiani che si trovarono a vivere nella nuova Jugoslavia socialista...


La condizione della comunità italiana nella Jugoslavia socialista


di Andrea Degobbis per il sito Diecifebbraio.info

scarica il saggio in formato PDF (2,3MB): 

http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2012/11/Degobbis2012.pdf





[Il 23 ottobre scorso, attivisti della associazione degli "Amici dei Serbi del Kosovo" in Repubblica Ceca hanno "rovinato la festa" alla ex segretaria di Stato USA Madeleine Albright. La Albright era impegnata a firmare copie di un suo libro autobiografico, quando gli attivisti, diligentemente disposti nella fila degli ammiratori, si sono presentati chiedendole di firmare alcuni poster che mostravano i crimini di guerra commessi in Kosovo durante e dopo i bombardamenti del 1999. Gli attivisti, guidati da Vaclav Dvorak, regista del documentario "Kosovo rubato", sono stati spintonati e insultati sia dal personale della libreria ("Bolscevichi fottuti!"), sia dalla stessa Albright ("I criminali di guerra siete voi! Andate via! Serbi disgustosi!"), fino all'arrivo della polizia che ha garantito che la criminale di guerra potesse continuare ad apporre i suoi autografi. (a cura di IS)]


US War Criminal M. Albright "disgusted by Serbs"


1) War criminal Madeleine Albright in Prague (Czech): "Disgusting Serbs"!
2) Albright remarks spark anger in Serbia
3) A few notes on Albright's childhood years


VIDEOS:
MORE LINKS: 

Tisková zpráva občanského sdružení Přátelé Srbů na Kosovu 29. října 2012

Incident in Prague bookstore, 2012

Ukradene Kosovo (Stolen Kosovo / Kosovo rubato)

Madeleine Albright in Serbia, 1939 (VIDEO)


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УКЉУЧИ ТИТЛОВЕ
TURN ON SUBTITLES

MADELEINE ALBRIGHT IN PRAGUE: "DISGUSTING SERBS!" (1:02)

On October 23rd, in Prague, Czech Republic there was a book-signing event for former U.S secretary of state Madeleine Albright's new book "Prague Winter" in the Luxor bookshop. Several activists from the organization "Friends of Serbs in Kosovo" led by film director Vaclav Dvorak (the author of the documentary "Stolen Kosovo"), presented five posters with photographs of victims from NATO's "humanitarian bombing" campaign and politely asked Albright to sign them. Ms. Albright was caught off guard, which was followed by the aggressive interference of the bookstore security. 
The inability to face critique adequately and with dignity. This might be the right description of Albright's reaction, which followed, after the members of "Friends of Serbs in Kosovo" presented her the posters with pictures of the Kosovo telecommunications, first children's victim of the so called "humanitarian bombing" 3 years old Milica Rakić, Serbian refugees from the Croatia's Krajina and militant Muslim volunteers in the Bosnian army. "This is your work as well, madam" the activists said while asking her to sign the posters. Madeleine Albright was noticeably disconcerted, agitated, and upset, refused to sign the posters and started yelling: "Get out", "Disgusting Serbs" and "You are war criminals" and ordered the activists to leave the Luxor bookstore.
"Madeleine Albright pushed through the bombing of the Federal Republic of Yugoslavia in 1999 by NATO aircraft without a UN mandate for her office of the foreign minister of the USA, supported the jihad in Bosnia in 1992-1995, manipulated with the facts about the Srebrenica massacre and strongly personally profited by the privatization of the telecommunications in Kosovo. She is supposed to bear the consequences of her political decisions and admit her responsibility for the bloodshed and thousands of civil victims." Explains one of the participants, Daniel Huba, why he used the personal presence of Albright in Prague and brought her the poster to sign.
After the activists presented the posters to Madeleine Albright, the bookstore security started to interference aggressively and several activists were both, verbally and physically attacked. There were expressions like "fucking Bolsheviks", which some of the members of the citizen's associations "Friends of Serbs in Kosovo", which unites many members across political parties and convictions, understands as an offence and will be asking for an apology. The Czech police are investigating if the bookstore employees broke any laws in the way they treated the activists. The members of "Friend of Serbs in Kosovo" strongly disagree with such as unprofessional approach of the bookstore Luxor security, which is very similar to the totalitarian practices of censorship and opposes the basic principles of the democratic discussion and plurality of opinions.


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Prague, Czech Republic - During the promotion of a book by former U.S. secretary of State, Madeleine Albright at The new Luxor Palace of Books, there was a general turmoil when the activists of the "Friends of the Serbs in Kosovo" organization asked her to sign the posters and CDs with the photos of atrocities committed over Serbs.
This was followed by a fierce reaction of security, and this association activists were attacked both verbally and physically. M. Albright although she tried to feign indifference and calmness, jumped from her chair and started shouting at attendees to get out. One of the participants, and a member of the Association of Friends of Kosovo Serbs, Daniel Huba, when asked why they were here today, responds:
"From the position of the USA Secretary of State, Madeleine Albright pushed for the bombing of the Federal Republic of Yugoslavia in 1999. when NATO planes bombed without a UN mandate. She also supported the jihad in Bosnia during 1992-1995, and the manipulation of the facts about Srebrenica, but also personally earned from privatization of Kosovo Telecommunications. She should therefore bear the consequences of her political decisions and acknowledge responsibility for the bloodshed, in which thousands of civilians were killed. "



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http://www.thenews.com.pk/Todays-News-1-141014-Albright-remarks-spark-anger-in-Serbia

The News - November 4, 2012

ALBRIGHT REMARKS SPARK ANGER IN SERBIA

BELGRADE: Hostile remarks to Serbs made in Prague by former US Secretary of State Madeleine Albright, detested in Serbia for her role in 1999 Nato air strikes against the country, on Friday prompted angry reactions here.
“Disgusting Serbs! Get out!” Albright told members of the association Friends of Kosovo Serbs, asking her to sign posters showing Serb victims of Nato bombings at a book shop where she was launching her book “A winter in Prague” last week. The reaction was prompted after a video of the incident appeared on YouTube.
“Disgusting behaviour of Madeleine Albright,” read the headline on the Internet site of Serbia’s public broadcaster RTS.
Albright “unveiled her great disgust for Serbs in a not very diplomatic manner,” said pro-Serb Czech director Vaclav Dvorzak, who was at the bookstore at the time, in an interview published Friday in the online edition of Serb nationalist weekly Standard.rs.
Dozens of Serbs, notably those from Bosnia, criticised Albright’s outburst on Twitter. A Bosnian Serb politician, Sasa Milovanovic, called Albright “the bloody old witch”.
“She could not resist...” wrote Zeljka Dragicevic, the Bosnian Serb prime minister’s cabinet chief. “She should be sued and held accountable for this,” another comment read at RTS site.
“She has finally said what she really thinks about us. She caused such a harm to us that our government should demand an official apology,” another RTS site visitor wrote.
Albright has long had links with Serbia. Before World War II she lived in Belgrade as a young girl when her father was a member of the then Czechoslovakia’s diplomatic mission in the Serbian capital.


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A FEW NOTES ON ALBRIGHT'S CHILDHOOD YEARS


http://www.hri.org/news/cyprus/cna/1999/99-04-17.cna.html

Albright - Serb - Cypriot magazine report

Nicosia, Apr 17 (CNA) -- A Serbian family living in Vrinjetska Banja village, in Yugoslavia, is reported to have given shelter to US Secretary of State Madeleine Albright, when her family fled Nazi persecution during World War Two.
A Cypriot weekly publication "To Periodico" (The Magazine) carried the story yesterday, with phaded black-and-white photos including one of four- year-old Albright embracing Ljutko Popic, who told his story to the magazine.
Popic claims he is the boy in the picture, taken in 1939, and the girl is the present US Secretary of State. He said he was Albright's "first love" and wondered why she is now backing NATO bombing in Yugoslavia.
The Serb is reported to have said that Albright's Jewish-Czech family took refuge with his family, in their village Vrinjetska Banja, some 80 kilometres out of Kraljevo, to escape the threat of Nazi persecution.
His village was bombed on the night the Cypriot journalists stayed there, April 12, and the following day the villagers apparently scrawled a message on an unexploded NATO bomb saying: "Thank you Mrs Albright for the presents you send us in return for our hospitality."
According to the report, Popic said he had sent Albright a letter asking her to halt the air strikes, but had received no reply.

CNA MA/MK/1999
ENDS, CYPRUS NEWS AGENCY

source: Hellenic Resources Network

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Marie Jana Korbelová was born in Prague, Czechoslovakia (now the Czech Republic) and raised as a Roman Catholic by her parents, who had converted from Judaism in order to escape persecution. She has a brother, John, who later became an economist. "Madeleine" was the French version of "Madlenka", a nickname given by her grandmother. Albright adopted the new name when she attended a Swiss boarding school. Albright is the daughter of a diplomat—her father, Josef Korbel, served in the Czech diplomatic service. Her brother said, "Madeleine had a special relationship with our father, partly because she followed so closely in his footsteps." Later in life, she joined the Episcopal Church in the USA.
From 1936 to 1939 the Korbel Family lived in Belgrade, and in 1939 the Korbel family fled to London. Many of her Jewish relatives in Czechoslovakia were killed in the Holocaust, including three of her grandparents.

Source: Wikipedia



(english / francais.

Sul tema del paradossale conferimento del Premio Nobel per la Pace alla Unione Europea si vedano anche gli altri nostri post precedenti:


Encore un Prix pour la Guerre


1) Another war prize (workers.org)
2) Le prix Nobel pour le désarmement aux mains de ses adversaires politiques
par Fredrik S. Heffermehl - Horizons et débats (Suisse)
3) L’UE est-elle pacificatrice dans le sens de Nobel ?
par Horst Meyer - Horizons et débats (Suisse)


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Another war prize


By Editor on October 22, 2012

It has always been problematic that the Nobel Peace Prize is awarded from the legacy of a Swedish industrialist whose millions came from munitions that made the late 19th and 20th century wars the most deadly in human history.

In 1973 the prize was awarded jointly to Vietnam War criminal Henry Kissinger and Vietnamese resistance leader Le Duc Tho. Tho turned it down.

The Nobel committee did it again in 1993, awarding the prize jointly to apartheid’s Frederik Willem de Klerk and the long-imprisoned African leader Nelson Mandela.

Now comes news that the Nobel committee has awarded the prize this year to, of all things, the European Union. The EU has come to be despised and hated not only by the 500 million people who live in the 27 nations that belong to the organization, but by additional millions who have been on the receiving end of the imperialism and militarism wielded by its most powerful capitalist states.

Panos Skourletis, spokesperson for Syriza, the main opposition party in Greece, spoke for the majority of opinion around the world: “I just cannot understand what the reasoning would be behind [the decision of the Nobel committee]. In many parts of Europe but especially in Greece, we are experiencing what really is a war situation on a daily basis, albeit a war that has not been formally declared. There is nothing peaceful about it.” (Guardian, Oct. 12)

The EU has been the driving force behind moves to rescue the giant European banks from the economic crisis of 2008 by forcing draconian austerity measures on the working masses of Europe. Member nations such as Ireland, which were reluctant to rescue their banks, were forced to accept high-interest “bailouts.” In other cases, the local national ruling classes have temporized, but ended up accepting the EU’s “help.”

This always came at a price: cuts in social programs, higher taxes on poor and working people, massive layoffs and wage cuts. Sovereign countries were forced to accept EU dictates. As a result, most of the smaller countries of Europe are mired in recession with no hope of recovery. The Nobel prize itself has been reduced to $1.2 million from $1.5 million. The Nobel Foundation has said its investment capital took a sharp hit in the 2008 financial crisis.

When the masses of people have protested, they have been met by parliamentary huckstering, and when that didn’t work, naked police repression was used. But it doesn’t stop there.

After the downfall of many of the socialist countries of Eastern Europe, the EU leaders pursued an aggressive economic imperialism in these now “free” countries. Where there had been stable planned economies, rampant unemployment, economic insecurity and the rise of criminal enterprises such as human trafficking accompanied the theft of state property on a monumental scale. Many formerly public enterprises were not only privatized, but ownership was transferred to large financial institutions located in the leading countries of the EU, such as Germany and France.

The European Union has always been considered to be the not so hidden stepchild of NATO — the military partnership between the U.S. and European capitalists whose crimes and interventions, many of them far from Europe, are well known. The dropping of tens of thousands of bombs on the former Yugoslavia, the brutal war against Libya, and the bloody invasion and occupation of Afghanistan are only a few examples.

Most recently, the EU has been an important source of war fever whipped up against Syria. Threats, intimidation and secret armed intervention have been accompanied by increasingly shrill calls for outright war.

Alfred Nobel’s munitions seem to have more influence than his “peace prize.”


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Le prix Nobel pour le désarmement aux mains de ses adversaires politiques


par Fredrik S. Heffermehl

Le jury du Prix Nobel de la Paix n’a pas tenu compte des protestations qui n’ont cessé d’enfler durant les dernières années. Il persiste à attribuer le Prix voulu par Alfred Nobel à des lauréats qui ne le méritent pas. Fredrik S. Heffermehl dénonce cette trahison.

RÉSEAU VOLTAIRE | OSLO (NORVÈGE)  | 2 NOVEMBRE 2012

Les élites politiques norvégiennes ont accaparé le Prix de la Paix d’Alfred Nobel, afin de pouvoir l’utiliser à leurs fins. Cela n’a jamais été aussi bien démontré qu’en 2012 en l’attribuant à l’Union européenne. Depuis 40 ans, ils ont tout fait pour faire entrer la Norvège dans l’UE. Après que Thorbjørn Jagland, ancien ministre des Affaires étrangères et Premier ministre, aujourd’hui président du comité du Prix Nobel, eut échoué par deux fois dans des référendums, il s’est vengé de ses concitoyens réticents [1].
Les élites norvégiennes d’aujourd’hui rejettent Alfred Nobel et sa vision d’une démilitarisation des relations internationales. En 1895 pourtant, elles avaient accepté sa vision de paix à tel point que Nobel confia au Parlement norvégien le choix des lauréats du prix au travers d’un comité composé de cinq personnes qui devaient s’engager pour un ordre de paix mondial, « une confraternité des Nations » comme il s’était exprimé très clairement dans son testament. Le Parlement actuel croit en la puissance militaire et élit, contre la volonté de Nobel, les membres du comité de ses propres rangs. Le Prix Nobel de la Paix est tombé aux mains de ses adversaires politiques.
Le prix de l’année 2012 n’a pas passé le test Nobel : l’UE n’a pas de rayonnement mondial et n’est pas en faveur de la démilitarisation des relations internationales. Cette union vise à devenir une entité économique et militaire dominante, elle est un important exportateur d’armements et deux de ses Etats membres possédant l’arme atomique s’opposent par tous les moyens aux efforts du désarmement nucléaire.
En mars 2012, le conseil de surveillance suédois des fondations avisa les membres du Comité de relire la volonté et de respecter les intentions de Nobel. Il exigea de la fondation suédoise de remettre sa sous-commission norvégienne à sa place et d’y exercer un contrôle strict. Malgré cela, la semaine dernière, l’obstination norvégienne a eu le dessus.
Protégées par de strictes règles de conservation du secret, les personnes décernant le Prix de la Paix se sont comportées longtemps comme si elles étaient au-dessus des lois. Elles n’apportent jamais une réponse honnête aux critiques émises et transforment ainsi ce merveilleux Prix Nobel en une affaire banale et sans valeur. Il y a de quoi déclencher la colère tant de Nobel et de ses champions de la paix que de tous les citoyens du monde.

Source 
Horizons et débats (Suisse)


Fredrik S. Heffermehl - Avocat, président d’honneur du Norwegian Peace Council. Auteur deThe Nobel Peace Prize : What Nobel Really Wanted (Praeger, 2010).



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L’UE est-elle pacificatrice dans le sens de Nobel ?

par Horst Meyer
RÉSEAU VOLTAIRE | BERLIN (ALLEMAGNE)  | 3 NOVEMBRE 2012


Lorsqu’en 2009 le lauréat du prix Nobel de la paix s’appela Barak Obama, ce fut une surprise pour beaucoup du fait qu’il n’avait pas apporté grand-chose dans ce domaine mis à part ses slogans « Change » et « Yes, we can ». Trois ans plus tard, ses performances en matière de paix ne dépassent pas celles d’un Bush Sr., Clinton, Bush Jr. Aucune des guerres déclenchées par George W. Bush n’a pris fin, bien au contraire, il y a eu la brutale intervention de l’OTAN en Libye, sans parler du camp de prisonniers de Guantanamo à Cuba, qui n’est toujours pas disloqué, de l’occupation de l’Afghanistan et de l’Irak.
Alors que cette année le Prix Nobel de la Paix est attribué à une institution supranationale telle que l’UE, on doit commencer à s’interroger sérieusement sur la valeur des critères appliqués pour la nomination et l’attribution de ce prix.
Il a été accordé à l’Union européenne du fait qu’elle aurait contribué depuis 60 ans à maintenir la paix en Europe. Cette nouvelle causa, lors de sa diffusion, bien des regards sceptiques, voire des mouvements d’humeur.
Il est indéniable que les deux guerres en Europe, subies par les populations au cours de la première moitié du XXème siècle, ont laissé des traces dans les esprits. Il est vrai aussi que, depuis, l’Europe n’a plus connu de conflits de cette ampleur et qu’il s’est installé une sorte de réconciliation entre les États. Toutefois, il n’a pas pu échapper au comité Nobel que la paix en Europe repose sur du sable, il suffit de penser à l’effondrement du bloc de l’Est, source de nouvelles guerres en Europe.

Les activités guerrières dans les Balkans

On sait maintenant avec certitude que certains pays européens ont contribué, au cours des années 1990, à la destruction de la République yougoslave. Deux auteurs, Mira Beham et Jِorg Becker, ont analysé, dans leur livre de recherche Opération Balkan, l’influence de l’Occident lors de la destruction de la Yougoslavie, ainsi que la manipulation des médias menée de l’extérieur. Il apparaît avec certitude que l’Occident a contribué avec conséquence à la sécession de ces différentes républiques. On a su utiliser les difficultés économiques des diverses régions, en retirant les crédits et en augmentant les taux d’intérêts, afin d’exciter les gens les uns contre les autres. On en connaît les résultats.
La guerre d’agression contre le reste de la Yougoslavie sous la direction des États-Unis et la participation active d’États européens dont l’Allemagne, qui allait à l’encontre du droit international et était de ce fait illégale, fut une démonstration de ce dont l’UE et ses États membres sont de nouveau capables malgré la promesse de ne plus jamais déclencher de guerre.

L’affaire autrichienne – le déni de la volonté démocratique

En 2000, l’UE a dévoilé son vrai visage. Comme il y avait eu en Autriche, à la suite d’élections menées démocratiquement, une coalition entre le parti bourgeois ÖVP et le parti FPÖ de Jِorg Haider pour former le gouvernement, des sanctions furent imposées au pays, piétinant les droits démocratiques de la population. Le prétendu « modèle de paix de l’UE » ne supporte pas un gouvernement critique à l’égard de l’UE, dans un État membre de cette UE. Un « Conseil des sages » dut décider si les sanctions devaient être maintenues ou abolies. Elles ne furent abolies qu’après la démission forcée de Jِorg Haider. On avait ainsi brisé froidement le droit démocratique. Mais ce n’est pas tout.

Des guerres d’agression violant le droit international 
Serait-ce une spécialité de l’UE ?

Presque tous les pays de l’UE participent à la guerre en Afghanistan, qui dure depuis 11 ans. Ils ont donc une vive expérience de ce qu’est une guerre, particulièrement brutale et qui viole le droit international. Après une occupation de 11 ans de la part des États-uniens et des Européens, les populations vivent un cauchemar. Ce qui a commencé par le viol du droit international sous prétexte de chasser les Talibans, s’est transformé en guerre contre la population, et on n’en voit pas la fin.
L’agression commise en 2003 sous un prétexte inventé de toutes pièces et cousu de fil blanc contre l’Irak, en violation du droit international, avec la participation de pays de l’Union européenne dans la « coalition des volontaires », notamment l’Angleterre, la Pologne, l’Italie, l’Espagne, etc., n’est toujours pas terminée et cause des milliers de victimes innocentes. Entre temps, les Britanniques et les Américains ont mis la main sur les réserves de pétrole.
En 2011, la guerre contre la Libye, menée sous prétexte de secourir la population, ne fut rien d’autre que la volonté de faire changer le régime du pays, afin de se débarrasser d’un dirigeant honni et de s’approprier les richesses naturelles. En tête de cette agression se trouvaient, aux côtés des États-Unis, des pays de l’Union européenne, soit la France, l’Angleterre, l’Italie. La moitié des États européens de l’OTAN, membres de l’Union européenne, ont participé à cette agression déguisée.
Que se passe-t-il en Syrie ? S’il n’y avait eu que la volonté de l’UE – la Chine et la Russie s’y sont opposées – il y aurait eu, là-bas aussi, une guerre d’agression, avec la participation de l’UE. L’Allemagne y a joué un rôle peu glorieux aux côtés de la France et de l’Angleterre.
Où est donc, dans ces circonstances, l’engagement de l’UE en faveur de la paix qui aurait justifié un prix Nobel pour la paix ? Est-ce que le comité du Prix Nobel de la Paix se plie, lui aussi, aux raisons de politique de pouvoir ? Les populations de tous les pays de l’UE étaient opposées aux engagements militaires de ces pays. Les sondages révélaient entre 80% et 90% d’opposition. Donc, si l’on veut renforcer les forces de paix, ce sont les peuples qui ont une importance déterminante.

L’Allemagne dans un rôle dirigeant 
Mais, pour aller où ?

Dans la publication Foreign Affairs, l’organe du laboratoire d’idées Council on Foreign Relations, fort prisé aux États-Unis, on estime qu’une germanisation de l’Europe permettrait de se sortir de la crise. L’Allemagne aurait ainsi un rôle dirigeant dans l’UE qui épouserait les ambitions d’Angela Merkel, cette femme avide de pouvoir. L’Allemagne, qui s’octroie le rôle de dirigeant au sein de l’UE, mène le projet d’une Fédération européenne et d’un renforcement du centralisme.
La citation suivante est révélatrice : « Si nous, Européens continentaux, voulons obtenir l’unité et agir conjointement, ce dont dépend tout notre avenir, alors nous devons répondre à deux nécessités : renoncer à toute volonté de domination de la part d’un peuple sur les autres, ainsi que renoncer à toute volonté d’indépendance absolue en dehors de l’ordre européen. Être le porte-drapeau sans vouloir être le maître de l’Europe doit être la volonté de l’Allemagne, mais le porte-drapeau d’une nouvelle Europe qui doit prendre sa place parmi les nouvelles puissances mondiales et garder son rang qui lui est dû du fait de son développement historique et de ses forces culturelles et économiques. » Cette citation nous vient de Richard Riedl, président du conseil d’administration de l’entreprise Donau Chemie AG, faisant partie du groupe IG Farben, elle date de 1944.
Il apparaît de plus en plus clairement que l’Allemagne prend une place dominante dans l’Union européenne. Si l’Allemagne devait devenir réellement le porte-drapeau de l’UE, ce serait de mauvaise augure pour la Suisse, vu les déclarations bellicistes destinées à intimider ce petit pays performant.

La Suisse, un garant de la paix

Si l’on prévoit d’accorder le Prix Nobel de la Paix à un État, il faudrait l’attribuer à la Suisse. Quel pays peut prétendre ne plus avoir été mêlé à des guerres depuis plus de 150 ans, et d’avoir contribué autant en faveur de la paix et de l’aide humanitaire pour panser les plaies des populations d’autres pays, que la Suisse au travers de ses organisations telle que la Croix-Rouge ? Toutefois, en consultant la liste des lauréats de ce prix, on peut s’estimer heureux de ne pas y figurer. Le choix de cette année le confirme.

Source 
Horizons et débats (Suisse)




(english / srpskohrvatski / francais.
Anche per Karadžić è iniziata la fase della "autodifesa". Gliela faranno terminare, senza accopparlo prima? Certo è che, per adesso, le sue richieste di chiamare a deporre l' ex presidente degli USA, Bill Clinton, e l'attuale presidente della Grecia, Karolos Papoulias, sui fatti che hanno portato alla tragedia bosniaca, sono state rigettate dai "giudici" del "Tribunale ad hoc"... che hanno così tutelato i diretti interessati da qualche pesante imbarazzo...
Sulle posizioni di Radovan Karadzic si veda la documentazione raccolta sul nostro sito:
Sull'assassinio di Slobodan Milosevic nella galera dell'Aia, perpetrato attraverso la somministrazione di Rifampicina, letale per la sua salute cardiaca, si veda la documentazione raccolta alla nostra pagina:
A cura di Italo Slavo per JUGOINFO)


Karadzic' Self-Defence Statement


VIDEOS:

Karadžić Personal Statement (Rule 84bis) - 16 October 2012

Karadžićeva izjava (u skladu s pravilom 84bis) - 16. oktobar 2012.

Déclaration de Radovan Karadžić (article 84 bis) - 16 octobre 2012


TRANSCRIPTS:

Karadžić Personal Statement (Rule 84bis) - 16 October 2012
http://www.icty.org/x/cases/karadzic/trans/en/121016ED.htm

Déclaration de Radovan Karadžić (article 84 bis) - 16 octobre 2012


REPORTS:

Karadžić zasniva odbranu na negiranju zločina
Autor:  Mirna Sadiković, Radio Free Europe 16.10.2012

KARADZIC SAYS HE DESERVES PRAISE, NOT PROSECUTION  
By Rachel Irwin - TRI Issue 761, 16 Oct 12

Karadzic Denied Subpoena for Greek President
By Rachel Irwin - TRI Issue 762, 25 Oct 12

Karadzic Seeks Subpoena to Secure Witness [Radoslav Krstic]
By Rachel Irwin - TRI Issue 759, 5 Oct 12

Court Rejects Karadzic Request for Clinton Subpoena
By Rachel Irwin - TRI Issue 753, 24 Aug 12



(english / italiano)

Estrema destra filo-UE in Ucraina

1) Fatherland and Freedom (german-foreign-policy.com on German influence on the Ukrainian opposition)
2) Mettere fuori legge i comunisti e discriminare le minoranze. Ecco il programma di alcuni amici ucraini dell'Unione Europea


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Fatherland and Freedom
 
2012/10/30

KIEV/BERLIN
 
(Own report) - A CDU Ukrainian partner organization has announced its close cooperation with an extremist right-wing party. As reported from Kiev, the "Batkivschyna" (Fatherland) Party - in which CDU ally Yulia Tymoshenko is playing a leading role - is planning to form a parliamentary coalition with the "Svoboda" ("Freedom") Party. Svoboda stands in the tradition of Nazi collaborators and internationally is affiliated with Hungary's neo-fascist "Jobbik" Party. Svoboda won 8.3 percent of the votes in last Sunday's parliamentary elections. It is not yet certain, whether the CDU's second partner in Kiev, world heavyweight titleholder Vitali Klitschko and his "UDAR" Party will join the coalition. This cooperation will not be the first time that extremist right-wing forces have been integrated into the pro-Western Ukrainian opposition. Similar alliances had already emerged during the "Orange Revolution" in late 2004.

Germany's Partners

Following the parliamentary elections, President Viktor Yanukovych's "Party of the Regions" will continue to hold the majority in a coalition with the Communist Party in the Ukraine's Verkhovna Rada. According to preliminary results, the "Party of the Regions" had received 35.06 percent and the Communist Party advanced considerably reaching 14.92 percent. The " Batkivschyna" ("Fatherland") Party of Yulia Tymoshenko, the politician courted by the West, remains the strongest party of the opposition with 21.95 percent of the vote. With 12.87 percent, Vitali Klitschko's oppositional "UDAR" entered parliament for the first time. Tymoshenko is closely cooperating with the CDU. Some CDU politicians even claim that the Konrad Adenauer Foundation had charged the world heavyweight champion Klitschko with the organization of a Ukrainian Christian Democratic party. (german-foreign-policy.com reported.[1]) The "Svoboda" ("Freedom") Party is part of the opposition. With 8.31 percent, it could, for the first time, overcome the five percent hurdle to enter the Ukrainian parliament.

Openly Neo-Fascist

Svoboda evolved in 2004 from an older, openly neo-fascist organization, the "Social-National Party of the Ukraine" (SNPU). Svoboda replaced the SNPU symbol - a reflected wolf hook - with a stylized trident. Experts explain that "the transformation of the appearance was undertaken while maintaining SNPU's basic ideological principles." This camouflage has permitted Svoboda "to dissociate itself, in the public eye, from its openly neo-fascist past" while holding on to its extremist right-wing supporters.[2] The party achieved its political breakthrough March 15, 2009, when it was elected to the West Ukrainian Oblast Ternopil (parliament) with 34.69 percent of the votes, taking 50 of the 120 seats in the legislature. It is participating in the efforts of several extremist right-wing parties throughout Europe to found a continental umbrella organization. Among the members of the "Alliance of European National Movements" are the neo-fascist Hungarian Jobbik, France's Front National (FN) and the British National Party (BNP).

Renaissance of Collaborators

Svoboda is directly drawing on the tradition of West Ukrainian Nazi collaborators, who, fighting on the German side in the Second World War, had carried out numerous massacres in the occupied Soviet Union. (german-foreign-policy.com reported.[3]) The party considers itself to be "the modern day equivalent of the Organization of Ukrainian Nationalists" (OUN), according to research published by the political scientist Andreas Umland.[4] And yet, the OUN, which was founded in close collaboration with German authorities,[5] had been simply "one of the diverse forms of international fascism" - "similar to other Central European classical fascisms, such as the Slovak Hlinka Guards and the Croat Ustashi." Their renaissance - in the form of the Svoboda Party - corresponds to the renaissance of other organizations in the tradition of Nazi collaborators, for example the Hungarian Jobbik Party,[6] the Belgian Vlaams Belang [7] or the Austrian Freedom Party [8]. The renaissance of collaborators coincides with the imposition of a new, widely accepted, German predominance over Europe.[9]

Right-Wing Coalition

Already before parliamentary elections were held, Tymoshenko's Batkivschyna Party had begun comprehensive cooperation with the Svoboda Party. As a first step, the two parties reached agreements on where their respective candidates would seek majority mandates - reaching an agreement not to run against one another in the same circumscription. Within the framework of these accords, Tymoshenko's electoral organization ceded 35 circumscriptions to Svoboda. About ten days before elections were held, Batkivschyna and Svoboda agreed to form a coalition in the Verkhovna Rada, should Svoboda win entry into the legislature. Kiev has confirmed that the coalition will now be established, and that Klitschko is considering bringing his party into the coalition. But Klitschko, for the moment is having it be known that he detects a "right-wing radicalism" in Svoboda and therefore is having certain "misgivings."[10] Some of the German media organs, which, for years, have been supporting the opposition in the Ukraine, have now begun to shy away from this assessment. Often, Svoboda is no longer being characterized as "right-wing extremist" or "right-wing radical," but it is merely being mentioned "that its critics consider it to be right-wing radical."[11]

Anti-Semites

One could already observe the integration of extremist right-wing forces into the ranks of the Ukrainian pro-western opposition during the "Orange Revolution" in late 2004. For example, the "Congress of Ukrainian Nationalists," (KUN) had been included in the electoral alliance "Our Ukraine Block," of Viktor Yushchenko, who later became president. The KUN was founded in 1992 by emigrants returning from their exile in West Germany.[12] Yushchenko, himself, had supported a journal, whose publisher had expressed his belief that the Ukraine was being ruled "by a small group of Jewish oligarchs," who were "economically and politically in control."[13] Yushchenko's candidacy, in turn, was supported by the militant anti-Semitic UNA-UNSO organization. In fact, extremist right-wing milieus, for years, have been part of the pro-western spectrum particularly in the West Ukraine. One of their main motivations is hatred of Russia. Already in 2004, Berlin had accepted them as its covert allies to help weaken Moscow's influence on Kiev.
[1] see also Der Schlag des Boxers (II)
[2] Anton Schechowzow, Andreas Umland: Der verspätete Aufstieg des ukrainophoben Rechtsradikalismus in der postsowjetischen Ukraine - Teil II; ukraine-nachrichten.de 28.10.2012
[3] see also Zwischen Moskau und Berlin (IV) and Zwischen Moskau und Berlin (V)
[4] Andreas Umland: Der ukrainische Nationalismus zwischen Stereotyp und Wirklichkeit; ukraine-nachrichten.de 11.10.2012
[5] see also Zwischen Moskau und Berlin (IV)
[6] see also The New Era of Ethnic Chauvinists
[7], [8] see also The Collaborator's Tradition
[9] see also Europe's ChancellorThe Next Crisis Victory and Deutsche Führung
[10] Parlamentswahl wirft Ukraine zurück; www.dw.de 29.10.2012
[11] Erfolg für die Opposition zeichnet sich ab; www.faz.net 28.10.2012
[12] see also Zwischen Moskau und Berlin (V)
[13] see also Antisemitische "Kultur"



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Mettere fuori legge i comunisti e discriminare le minoranze. Ecco il programma di alcuni amici ucraini dell'Unione Europea

1 Novembre 2012
a cura della redazione


Ecco, in pillole, alcune delle misure che verrebbero attuate se al governo dell'Ucraina dovessero salire i rappresentanti di quell' “opposizione democratica” che tanto è gradita all'Unione Europea per la sua vocazione “europeista”.

Le dichiarazioni sono state rilasciate immediatamente dopo l'apertura delle urne delle elezioni del 28 ottobre

Klitchko, leader del movimento populista di destra “UDAR” e sedicente fautore di una linea “europeista” (!), lascia intendere il suo favore per misure discriminatorie della minoranza russa e si pronuncia per l'abolizione dello status attribuito al russo di seconda lingua nazionale: “La lingua di Stato in Ucraina deve essere l'ucraino. La lingua è come un simbolo. E perciò la lingua deve essere una sola” ( http://rus.ruvr.ru/2012_10_29/Klichko-schitaet-chto-gosudarstvennim-jazikom-na-Ukraine-dolzhen-bit-tolko-ukrainskij/ ).

Il partito Svoboda, che esprime le tendenze più estreme di quel nazionalismo ucraino che si è riconosciuto nella “Rivoluzione arancione” e che non ha mai nascosto le sue nostalgie per il periodo in cui i suoi precursori collaboravano con Hitler, ha annunciato che tra i primi progetti di legge che presenterà in parlamento ci sarà quello relativo alla richiesta di “proibizione dell'ideologia comunista”:

“Uno dei primi progetti di legge che presenteremo – ha dichiarato Oleg Tyagnibok a “Radio Libertà” - sarà quello per la proibizione dell'ideologia comunista in quanto contraria ai valori umani e anti-ucraina e per l'avvio di un processo giudiziario contro il comunismo... Non è giusto che in Ucraina – paese europeo – i comunisti prendano tanti voti. E' una tendenza molto negativa. Capisco che qui c'è l'influenza russa, l'influenza dei risultati dei comunisti russi. Non mi piace affatto questa rinascita comunista” ( http://rus.ruvr.ru/2012_10_29/Partija-Svoboda-v-parlamente-Ukraini-namerena-zapretit-kommunisticheskuju-ideologiju/ ).

C'è da scommettere che in questo caso i dirigenti dell'Unione Europea chiuderanno un occhio. In nome della battaglia per la “democrazia” (ovviamente nella sua versione che piace ai poteri forti continentali), è evidente, si può anche sostenere i nazisti. Basta non farlo sapere troppo in giro.



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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia

Segnalazione iniziativa


Ospitalità studenti serbi in Italia - Un ponte per domani


“un ponte per domani!” è un’iniziativa che CNJ-onlus promuove insieme all’associazione “Un Ponte per...”. Nata da un’idea e dall’impegno di alcune volontarie e volontari, che da oltre dieci anni operano in Serbia, in particolare a Kraljevo, città di circa centoventimila abitanti (u.cens. 2009) situata a 200 km a sud di Belgrado, con iniziative di solidarietà e supporto, di conoscenza reciproca e di scambio culturale, con famiglie residenti o profughe dal Kosovo e Metohija in seguito ai bombardamenti della NATO del ’99 sulla Jugoslavia. Tutto ciò ha fatto nascere e crescere nel tempo legami spontanei di amicizia e di fiducia reciproca, con il piacere e l’impegno di portare avanti e guardare a piccoli, grandi obiettivi comuni, nell’interesse e nell’intento soprattutto di non dimenticare quelle verità che la storia, spesso ingiustamente, non ha restituito.
La lingua, la cultura, costituiscono da sempre, oltre che uno strumento di espressione delle emozioni e “ponte” della memoria (in tal caso quella che lega l’Italia alla Jugoslavia), anche una prospettiva professionale per molti giovani, da sviluppare nel proprio paese. La Municipalità di Kraljevo, distante circa un’ora di macchina dalla città di Kragujevac ben più nota ultimamente agli Italiani per la risonanza della questione “FIAT nei Balcani”, vive una realtà industriale altrettanto difficile e di grave stato di disoccupazione. Eppure a Kraljevo, ci sono oggi ben 6 scuole pubbliche che hanno adottato come seconda lingua straniera nel programma di studio, la lingua italiana.
Per questo, in collaborazione con la Scuola “Jovan Dučić” di Kraljevo, realtà locale rappresentativa di altre in cui si studia la nostra lingua, sia per legame e ragioni storiche, che per un obiettivo di valore sociale, intendiamo favorire e realizzare opportunità di scambi culturali, tra i giovani della comunità di Kraljevo (Serbia), con l’Italia e opportunità di soggiorni di studio e di conoscenza culturale reciproca, ospitando gruppi di studenti.
Questi ragazzi, provenienti da famiglie che vivono in condizioni economiche a volte disagiate, non hanno la possibilità di fare alcune utili esperienze al di fuori della loro comunità, per sviluppare capacità, per ricevere stimoli alla ricercazione e anche per il semplice divertimento. Per altri, c’è una difficoltà data dal contesto socio-economico della comunità in cui vivono, impegnata a ricostruirsi dopo la guerra da troppo tempo, isolata, sconosciuta e distante talvolta per il solo non essere parte politicamente dell’Unione Europea. Pur essendo di fatto, una realtà molto vicina alla nostra.

L’iniziativa viene condivisa e promossa dal Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus in collaborazione con l’Associazione Un ponte per…, con l’auspicio della partecipazione di altre associazioni.

Come presentazione si veda il video prodotto da Un Ponte per…, in visita alla scuola “Jovan Dučić”: http://vimeo.com/34999633

Per sostenere l’iniziativa attraverso CNJ-onlus:

CONTO BANCOPOSTA n. 88411681 intestato a JUGOCOORD ONLUS, Roma
(IBAN:  IT 40 U 07601 03200 000088411681)
causale: un ponte per …domani!

L'iniziativa è finanziata anche attraverso la vendita della pubblicazione “paSsione roSso Serbia”: https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia2.htm#mengarelli2012 .

Per maggiori informazioni:
Samantha Mengarelli, e-mail:  s m e n g a r e l l i @ t i s c a l i . i t

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SINTESI DELL’ INIZIATIVA DA REALIZZARE

PROGRAMMA
Si vuole realizzare per un gruppo di 10 ragazzi con 2 accompagnatori della scuola “Jovan Dučić”di Kraljevo, un soggiorno settimanale di studio e di visita culturale a Roma, nel periodo fine aprile 2013.
Durante il soggiorno, i ragazzi potranno svolgere un corso di approfondimento di italiano quotidiano, tenuto da insegnanti qualificati, offerto dall’Ente Bilaterale Commercio e Servizi di Roma e Provincia- EBiT Roma. Potranno altresì svolgere un programma di visita e conoscenza della cultura della città, supportate dal Coordinamento Nazionale della Jugoslavia e da altre azioni volontarie, nonché incontrare e svolgere qualche attività e/o momenti di confronto storico, in comune con scuole di Roma e altre Istituzioni locali che vorranno disponibili ad ospitare l’iniziativa.

Il soggiorno del gruppo è previsto in una struttura idonea e dovrà essere garantita la copertura dei relativi costi, per l’alloggio, il vitto e il trasporto locale.
Verranno richiesti ingressi gratuiti o ridotti per il gruppo in visita agli enti di gestione dei siti artistici e culturali della città.
Verranno organizzati eventi con famiglie italiane, con studenti, per ospitare il gruppo.

COSTI PREVISTI
• viaggio (pullman trasferimento Kraljevo-Belgrado A/R, aereo A/R (Belgrado-Roma), trasf. Aeroporto Fiumicino/Roma città) = 2.000,00 Euro
• sistemazione in mezza pensione (struttura servita da mezzi pubblici): 2.940,00 Euro
• pranzo e uso mezzi pubblici: 700 euro

totale costo stimato: 5.640, 00 Euro