Il presidente della Lega nazionale di Trieste, avvocato Paolo Sardos Albertini, ha denunciato che nella notte tra il 19 e il 20 agosto sarebbe stata asportata la “lampada votiva” collocata sul cippo realizzato da Tristano Alberti che riproduce lo spaccato della “foiba” di Basovizza, nell’area del monumento nazionale.
Non è la prima volta che questa lampada viene rubata. Fu donata nel 1961 da una non meglio identificata Opera Mondiale delle Lampade della Fraternità (cui aderirebbero, stando a quanto scritto in un opuscolo diffuso nel 1959, “le 32 maggiori Associazioni combattentistiche e d’Arma italiane, nonché le Associazioni Combattentistiche qualificate di 19 nazioni”; nel 1957 San Benedetto fu nominato da papa Pio XII patrono degli speleologi e protettore della pace, ed ogni anno si trovano sulla sua tomba, al monastero di Montecassino, “vincitori e vinti dell’ultima guerra” per accendere assieme una “lampada della fraternità”) sotto il patrocinio della quale si svolse il 2/11/59 la prima cerimonia a Basovizza, dove era stata da poco chiusa l’imboccatura dell’ex pozzo minerario.
La lampada fu posta assieme al cippo con lo spaccato della “foiba” e benedetta da padre Flaminio Rocchi.
Quanto segue è ricostruito attraverso la stampa dell’epoca e la cronologia di “Nazionalismo e neofascismo al confine orientale” pubblicato a Trieste dall’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel 1975.
Il 7/1/62 la lampada votiva fu “asportata con il favore delle tenebre”; le indagini dei Carabinieri portarono qualche mese (8 aprile) dopo al ritrovamento di essa, assieme ad alcune lettere bronzee asportate anch’esse dal cippo di Basovizza nelle abitazioni di Armando Turco e di un certo P. N., di cui non si hanno altri dati (forse era minorenne all’epoca dei fatti).
I due non erano però nostalgici “slavo comunisti”, anzi: facevano parte di un gruppo speleologico legato all’estrema destra, il GEST (Gruppo Escursionisti Speleologi Triestini), e furono scoperti in seguito alle indagini per un attentato incendiario ai danni dell’abitazione del professor Carlo Schiffrer (socialista, già esponente del CLN giuliano), nel corso del quale era rimasta ferita la suocera novantenne.
L’attentato era stato rivendicato dal MIN (Movimento Italiano Nazionale) ed i responsabili identificati in un altro speleologo del GEST, Ugo Fabbri ed i futuri attivisti di Avanguardia nazionale e Ordine nuovo Manlio Portolan e Claudio Bressan, che poi saliranno agli “onori” delle cronache per le indagini in cui furono coinvolti relativamente alla “strategia della tensione”.
Il MIN era comparso a Trieste all’inizio del 1959 con alcuni volantini incitanti alla difesa contro “l’avanzata delle orde slave” a “qualsiasi costo e qualsiasi mezzo”; tra le loro azioni ricordiamo oltre all’attentato a Schiffrer, lanci di bombe contro una sede del PCI e contro una torretta confinaria jugoslava, un attentato al consolato austriaco di Trieste (11/4/59), ed un lancio di volantini contro il bilinguismo corredati da una bomba carta all’interno dell’aula del consiglio comunale di Trieste, bomba che ustionò, ironia della sorte, la consigliera missina Ida De Vecchi (tanto per restare in tema, Fabbri asserì che sarebbe stato incaricato proprio da lei, che negli anni ’60 presiedeva l’Associazione caduti e dispersi della RSI, di partecipare al “recupero delle salme degli infoibati”).
Per questo lancio furono identificati Fabbri e Giuseppe Baldo, ma Fabbri avrebbe poi addossato a Turco, dopo il suicidio del giovane avvenuto il 14 aprile, “le maggiori responsabilità” relativamente agli attentati sopra descritti.
Ciò che colpisce come coincidenza nell’attività del MIN e del GEST è che siano stati proprio loro attivisti (tra l’altro due speleologi del GEST avrebbero compiuto un’esplorazione nel Pozzo della miniera di Basovizza proprio poco prima che venisse chiuso con la lapide) ad asportare la lampada votiva dalla “foiba” di Basovizza, a lanciare una bomba carta contro Ida De Vecchi, che era una delle persone ad affermare di essere state “testimoni oculari” degli “infoibamenti” di Basovizza (la signora De Vecchi in quei giorni si trovava prigioniera a Gorizia, quindi non è attendibile) ed a compiere un attentato a Schiffrer, che fu uno dei membri del CLN che avevano smentito di avere firmato un documento riguardante i presunti massacri di Basovizza. Tutto legato a quella foiba, dunque?
Chiuse le indagini, la lampada votiva fu ricollocata al suo posto nel cippo di Alberti, ed a distanza di 50 anni (quasi un anniversario…) è stata nuovamente rubata.
Da chi, stavolta? Dagli stessi che hanno anche imbrattato il cippo della foiba 149 di Monrupino, con una scritta in sloveno? Strana scritta, fatta con una mascherina ed uno spray; “prontamente” cancellata da anonimi ma segnalata con una foto in alcuni comunicati del Comitato 10 febbraio e del Movimento Irredentista Italiano (MII), che hanno poi fatto una commemorazione assieme ad un’associazione di Alpini il 21 agosto.
Nel comunicato diffuso il giorno successivo, il Comitato 10 febbraio parlò di un nuovo imbrattamento avvenuto subito dopo la pulizia del cippo, inviando una foto nella quale si vede il cippo imbrattato di vernice nera con la scritta Ozna, e così descritto:
“A distanza di poche ore dall’esser ripulita dalle scritte rosse in sloveno trovate il giorno 15 agosto, viene nuovamente imbrattata, completamente, di nero e con esplicita sigla di ben noto apparato repressivo titino, evidentemente ancora esistente”.
(in http://www.triesteprima.it/trieste/44-cronaca/5608-comitato-10-febbraio-qsui-danneggiamenti-dei-monumenti-ai-martiri-delle-foibe-non-bisogna-stare-in-silenzioq.html)
Che l’Ozna sia ancora esistente è un’affermazione talmente grottesca da non meritare altri commenti, ma dobbiamo osservare che la foto è una vecchia foto del 2006, che si riferisce ad un altro imbrattamento. Che non si sia trattato di un errore di invio di foto ma di una bufala vera e propria (per non parlare di diffusione di notizie false atte a turbare la pacifica convivenza) appare chiaramente dal comunicato diffuso dal MII il 23 agosto, nel quale si legge anche:
“Vogliamo inoltre smentire le notizie circolate in questi giorni di un nuovo danneggiamento al monumento alla foiba di Monrupino. In rete e sui giornali sono state diffuse le foto del vilipendio del 2003 (sic), quando con della vernice nera venne imbrattato il monumento con falce, martello, stella di rito e la scritta OZNA. Gli organi di stampa si sono confusi, dando modo ai soliti ignoti di strumentalizzare le denunce precedenti”.
(in http://movimentoirredentistaitaliano.wordpress.com/2012/08/23/il-monumento-di-monrupino-torna-a-brillare/)
Ma qui non si sono confusi gli organi di stampa, è stato il Comitato 10 febbraio ad inviare la notizia e la foto sbagliate.
Perché tutta questa confusione? O dovremmo definirlo un “gioco sporco”?
Aggiungiamo una curiosa coincidenza: il MII parla anche di alcune “lettere della scritta situata alla base della croce, divelte in gran numero” che non si è potuto ancora ripristinare. Ricordate che anche nel 1962 erano state trovate in casa dei membri del MIN alcune “lettere” divelte dal cippo di Basovizza?
Torniamo all’imbrattamento dell’ottobre 2006, intorno al quale pure fu fatta confusione, dato che i primi comunicati dicevano che era stata imbrattata la “foiba” di Basovizza, e di essa aveva parlato in consiglio comunale l’allora assessore Paris Lippi (di antica storia missina); mentre in realtà l’imbrattamento era avvenuto alla 149, ed interrogato in merito Lippi aveva serenamente risposto “erroneamente è stata riportata la foiba di Basovizza come monumento lordato dai barbari incivili inneggianti al comunismo, al posto della foiba 149. Il succo non cambia”.
Nel frattempo, però, per diversi giorni sulla stampa locale e regionale erano apparsi svariati interventi e prese di posizione dal tenore revanscista e razzista, come se per un imbrattamento, per quanto possa essere considerato un atto deprecabile, fosse giusto criminalizzare un’intera classe politica ed un intero popolo (nella fattispecie gli antifascisti e gli sloveni, accusati in toto di essere i responsabili di tale azione).
Quindi, come al solito di fronte a certi eventi, non possiamo fare a meno di ricordare quei vecchi adagi di saggezza popolare, dal cui prodest? al la prima gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo…
Claudia Cernigoi
Agosto 2012