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Può l’Italia fare la fine della Jugoslavia?

TERZO FRONTE - 
Italia
Scritto da Moreno Pasquinelli   
Mercoledì 28 Aprile 2010 12:22

Il leghismo, la casta e il destino dell’Italia come stato-nazione


Ha suscitato scalpore l’intervista di Enzo Bettiza al Corriere della sera  del 26 aprile. Non solo e non tanto perché il prestigioso intellettuale di area liberal-conservatrice ha ammesso di aver votato per la Lega Nord, quanto per le ragioni di questo sostegno. Premesso che Bettiza vede nel leghismo, oramai messi da parte i riti celtici alle sorgenti del Po, un erede della “buona amministrazione asburgica”, ha confessato di non considerare disdicevole il commiato dall’Italia come stato unitario e la rinascita del Lombardo-Veneto come entità geopolitica a sé stante.
Tutto assurdo? Meno di quanto si pensi. 
Quantomeno un campanello d’allarme per la casta politica romana (una casta che ha assunto da tempo tutte le caratteristiche della curia cardinalizia vaticana, decisa a conservare il monopolio nella scelta del clero politico, dal Papa fino ai vescovi delle diocesi) perché mostra che i “buzzurri” della Lega stanno facendo proseliti tra le élites culturali e intellettuali.

Che il sopraggiungere della globalizzazione e del turbo-capitalismo abbiano minato alle fondamenta gli stati-nazione, questo lo si sapeva. Decisive prerogative vennero sottratte alla potestà degli stati per essere sequestrate da gruppi oligopolistici transnazionali che poterono infine porre gli stati sotto tutela grazie alla trasformazione delle élites politiche nazionali in loro comitati d’affari. La nascita dell’Unione europea, pur sorta per opporre agli oligopoli un contropotere di pari consistenza, ha tuttavia finito per rafforzare la tendenza sovranazionalista, togliendo agli stati-nazione ulteriori decisive prerogative per affidarle ai (renani) centri nevralgici di Francoforte, Bruxelles e Strasburgo. A questo va aggiunto che l’Italia si è presentata agli appuntamenti con la globalizzazione e l’Unione come stato-nazione-zoppo, visto che uscì dalla seconda guerra, al di là della retorica repubblicana e  antifascista, col sigillo di uno stato a sovranità limitata, ovvero sottoposto al rispetto della giurisdizione imperiale nord-americana.

Non è il leghismo quindi che ha determinato la crisi dello stato-nazione italiano ma, al contrario quest’ultima che ha causato il leghismo. Non è forse vero che se l’Europa riuscisse a trasformarsi in una solida costruzione politica gli stati-nazione evaporerebbero? E in questo caso non sorgerebbero forse al loro posto delle macro-regioni proprio come certe frazioni “progressiste” del grande capitale teorizzavano agli inizi degli anni ’90? 
C’è quindi una malcelata ipocrisia negli anatemi che la curia romana lancia contro il leghismo e la sua spinta anti-nazionale: si tratta dello stesso centro oligarchico di potere che ha cantato le sorti progressive della globalizzazione e che perorava e tutt’ora apertamente invoca la fondazione di un’Europa come definitiva unione statuale che rimpiazzi l’attuale sgangherata configurazione. Il dissidio tra la Lega Nord e la curia, non consiste dunque che gli uni vorrebbero sbarazzarsi dello stato-nazione mentre gli altri ne sarebbero indefessi paladini. Il dissidio, entrambi essendo interni all’orizzonte strategico europeista ed euro-atlantico, consiste solo in due differenti visioni dell’oltrepassamento.

Per essere più precisi il contrasto dipende da diverse considerazioni riguardo alla distribuzione dei costi e dei ricavi che l’unificazione europea implica (di qui le tensioni sul “federalismo fiscale”). Il capitalismo padano, di cui la Lega è oramai l’interfaccia politico, punta all’integrazione europea, da cui avrebbe teoricamente tutto da guadagnare non avesse la palla al piede del Mezzogiorno. L’orizzonte strategico padano-leghista è quello di agganciarsi alla motrice euro-renana come macro-regione fortemente autonomizzata da Roma. Una prospettiva che la curia romana potrebbe  accettare ove ciò non implicasse la sua marginalizzazione, visto che il peso di Roma, privata di Milano, sarebbe prossimo al nulla o, se vogliamo, di poco superiore a quello di Atene o Lisbona.

Non fosse sopraggiunta questa crisi epocale del capitalismo occidentale, non sarebbe stato da escludere un compromesso, un accordo d’interesse tra la borghesia padana e la casta politica sacerdotale romana (di cui Fini si pone ormai come alto cardinale). C’è chi lo ritiene ancora possibile, ovvero ritiene probabile, visto il crepuscolo del berlusconismo, un nuovo salto della quaglia di Bossi e un accordo di reciproca convenienza con la curia. La qual cosa avrebbe una sua plausibilità, poiché non si vede perché la Lega dovrebbe impiccarsi per salvare Berlusconi rinunciando ad un accordo vantaggioso col centro-sinistra, il quale non vedrebbe l’ora di siglarlo. 
In effetti, se facessimo finta per un attimo che la crisi economico-sistemica non ci fosse, e quindi la tendenza all’unificazione europea, pur tra alti e bassi, marciasse, la Lega avrebbe solo dei vantaggi a siglare un patto con la curia. La mossa di Fini cosa dimostra a Bossi? Che i cardinali, che non hanno mai digerito Berlusconi, ovvero che gli fosse sottratta la prerogativa di eleggere il Papa, stanno schierando le loro truppe per la battaglia finale per defenestrarlo. La curia, con alle spalle i grandi gruppi economici oligarchici, va infatti conformando un CLN, una Santa alleanza, nella  quale appunto spera di agganciare la borghesia padana, quindi la lega. 
Attenti dunque alla fronda finiana: la lotta per spezzare l’asse Berlusconi-Bossi, condotta apparentemente in nome di un italianismo anti-padano, è in realtà una lotta per far fuori il cavaliere e  costringere la Lega ad un compromesso. Chi ritiene che non ci siano margini di accordo per un modello federale condiviso tra il blocco oligarchico e curiale di centro-sinistra e la borghesia padana si sbaglia di grosso. Il collegio cardinalizio, da Fini a D’Alema, conosce infatti molto bene i suoi “polli capitalisti padani” e sa che questi non rinuncerebbero ad un accordo vantaggioso e Bossi, che  li conosce meglio di tutti, non avrebbe altra scelta che adeguarsi, cantando vittoria come gli si addice, magari pagando lo scotto di qualche fibrillazione interna.

Alla domanda di Maurizio Tropeano: “Presidente cosa vorrebbe mettere in risalto del dossier 150esimo?» Il Neoeletto presidente della regione Piemonte Cota risponde: «Il federalismo che avevano in testa Cavour e Minghetti e che non è mai stato realizzato da allora. Mi piacerebbe mettere in evidenza quella parte del pensiero di Cavour, su cui solo oggi si stanno alzando i veli di un’interpretazione a senso unico, che parla di una gestione della macchina burocratica basata sul decentramento visto come strumento per eliminare le differenze. (…) La repubblica partigiana dell’Ossola è un messaggio più che attuale perché solo il federalismo può tenere unito questo stato». (LA STAMPA del 25 aprile)
Chi ha orecchie per intendere intenda. Non più secessionismo, e nemmeno il federalismo di Cattaneo, bensì quello… di Cavour. Con queste premesse anche gli ultimi seguaci del neoguelfismo cattolico (fatta salva l’eliminazione di Berlusconi) potrebbero trovare un accordo, ovvero un modello federativo che veda Roma, alleata di Milano, ben salda come capitale di uno Stato formalmente unitario. Bossi si riallaccia non a caso ad Alberto da Giussano, che fu, a difesa della supremazia milanese sul resto della Lombardia, combattente guelfo e filo-papalino. Si potrebbe risalire alla “Pataria” del secolo precedente e che ebbe Milano come epicentro. Movimento popolare ribelle che prese sì di mira la “canina stercora” dell’alto clero locale, i suoi privilegi, la sua corruzione ma, cattolico quant’altri mai, invocò e ottenne l’appoggio del Papa e di Roma, per poi diventare carburante prezioso alla grande riforma restauratrice e centralista gregoriana.

Ma… c’è un ma. La sopraggiunta crisi storico-sistemica del capitalismo occidentale, e anzitutto di quello europeo. Una crisi che mette in forse sia l’unificazione europea che la “dolce morte” degli stati nazione tutti. E’ sotto gli occhi di tutti che le forze centrifughe, a causa di questa crisi globale, sono oggi decisamente più forti di quelle centripete. Lo sconquasso finanziario e monetario mondiale, il molto probabile scoppio del bubbone greco e l’eventualità che con i “Piigs” tutta l’Eurozona venga travolta, ingarbugliano terribilmente le cose a tutti i protagonisti della scena italiana, Bossi compreso. Checché ne dica Tremonti-Pinocchio, il debito pubblico italiano continua a crescere e la possibilità che l’Italia venga da un giorno all’altro declassata da qualche agenzia di rating per essere poi aggredita dal capitalismo predatorio internazionale, diventa altamente probabile. E ove davvero la barca economica nazionale rischiasse di affondare, salterebbero non solo i disegni della curia romana, ma verrebbe interdetta alla Lega la possibilità di ottenere un accordo vantaggioso con un nuovo salto della quaglia a sinistra. Salterebbero perché a quel punto le forze sociali che stanno dietro alla Lega, precisamente il blocco corporativo che vede uniti padroni, operai e bottegai padani, sarebbe davvero tentato di compiere lo strappo, ovvero abbandonare la barca italiana in affondamento per salire sul vascello carolingio franco-tedesco (ammesso che questo resista al terremoto tenendo fermo l’Euro come moneta forte).

Nell’eventualità di una catastrofe nazionale lo scenario che evoca Bettiza, del risorgere di un’entità lombardo-veneta sarebbe tutt’altro che peregrina. Ma a quel punto nulla sarebbe indolore, un simile esito implicherebbe passare attraverso la porta stretta dello scontro civile, o di un conflitto che deciderebbe in modo cruento le sorti dell’Italia come stato unitario. Non diversamente, appunto, della Jugoslavia, dove certo i fattori di attrito tra le diverse nazionalità covavano da tempo, ma dove l’innesco della disgregazione fu rappresentato dalla profondissima crisi economica e dal peso di un debito estero e pubblico stellare che ogni repubblica cercava di scaricare sulle spalle degli altri. La Jugoslavia è stata cancellata e al suo posto abbiamo sì una serie di staterelli, ma con la Slovenia nell’Unione europea e la Croazia in procinto di entrarci, mentre le altre repubbliche sono sprofondate nel pantano balcanico.

Si spiega così perché il tatticista Bossi non abbia ancora mollato Berlusconi. Egli se lo tiene ancora stretto poiché gli è funzionale in entrambi i casi. E’ un’arma di ricatto per strappare il massimo risultato (federalismo fiscale) al tavolo negoziale con la curia. Ma potrebbe essere un alleato indispensabile ove la crisi, conoscendo una precipitazione, facesse saltare il tavolo della trattativa e spingesse il paese verso il redde rationem.




Un articolo sulle collaborazioni tra CLN e nazifascisti a Trieste alla fine del secondo conflitto mondiale.


ARRESTATI SOL PERCHÉ ITALIANI?

Riprendiamo qui una delle affermazioni del professor Raoul Pupo (ripresa peraltro dalla maggior parte degli storici e divulgatori che si occupano di questi argomenti) relativa agli arresti operati dalle autorità jugoslave a Trieste nel maggio 1945 nei confronti di alcuni esponenti del CLN locale, arresti che sarebbero stati motivati, secondo questa interpretazione (forse più politica che non storica), dal fatto la “repressione jugoslava” avrebbe colpito “tutti coloro che non volevano collaborare con l’esercito del nascente stato jugoslavo”. In realtà bisognerebbe considerare le cose da un altro punto di vista: l’esercito jugoslavo, giunto a Trieste come esercito alleato contro l’Asse (da considerare quindi alla stessa stregua degli altri eserciti alleati, britannici e statunitensi) aveva tutto il diritto (sancito dalle regole dell’armistizio firmato dall’Italia, che era solo “cobelligerante”, ricordiamo), di chiedere “collaborazione”, (nel senso che dovevano consegnare le armi e porsi a disposizione) alle forze armate ed alle organizzazioni partigiane presenti sul territorio dove arrivavano.
A Trieste il CVL (che già era uscito dal CLN Alta Italia perché si rifiutava di collaborare con la resistenza jugoslava), forse per un malinteso senso di patriottismo, o forse per altri motivi, non volle consegnare le armi all’esercito jugoslavo, così come le guardie di finanza (incorporate all’ultimo momento nel CVL) in alcuni casi non si misero a disposizione degli jugoslavi o addirittura spararono loro contro, probabilmente perché ordini sbagliati erano stati loro impartiti dall’alto (e qui potremmo aprire tutta una lunga dissertazione sul “piano Graziani” che teorizzava le provocazioni contro gli Alleati in modo da creare disordine ed incidenti).
Che i membri del CLN triestino fossero informati di questo è dimostrato da quanto scritto dal capitano Luigi Podestà (l’emissario della “missione Nemo” inviato dal Regno del Sud come ufficiale di collegamento con il CLN triestino): il 1° maggio il CLN gli disse che “Tito era un alleato” e che “bisognava evitare scontri con l’esercito jugoslavo” (relazione conservata in archivio IRSMLT 867). Tutti i membri del CLN che rifiutarono di collaborare con l’esercito jugoslavo, quindi, non avevano soltanto disatteso gli ordini degli Alleati, ma avevano anche disobbedito ad un ordine del loro stesso comando di piazza.
Tornando alla vicenda di Podestà, che risulta (assieme ai suoi collaboratori Arturo Bergera e Mario Ponzo) tra i membri del CLN arrestati dalle autorità jugoslave, ne ricordiamo la collaborazione con il commissario Gaetano Collotti dell’Ispettorato Speciale di PS, collaborazione che provocò l’arresto di diversi esponenti del CLN triestino, compresi i più stretti collaboratori di Podestà.
Ricapitoliamo i fatti così come risultano dalla citata relazione di Podestà, che dal Regno del Sud era stato inviato nel territorio della RSI. Giunto a Trieste nel gennaio 1945 dopo avere preso accordi a Milano con Riccardo De Haag, uno dei dirigenti della “missione Nemo” (una organizzazione di cui non si sa molto, definita dall’agente dell’OSS Peter Tompkins nel suo “L’altra resistenza” “la più efficiente e la più estesa rete di spionaggio in Italia (…) col ruolo di informatore sulle attività politiche e militari del Clnai”), il capitano prese alloggio presso i Gesuiti di via del Ronco 12. 
Prendiamo nota che la chiesa di via del Ronco era quella in cui il commissario Collotti si recava a messa ogni mattina prima di iniziare il “lavoro” nella sede dell’Ispettorato in via Cologna.
Dopo avere preso contatti con diverse persone (tra i quali membri della Marina, come Arturo Bergera, e della X Mas, come Stelio Montanari, e Luigi Poletta; il colonnello del Genio Navale Mario Ponzo; gli esponenti del CLN Giuliano Girardelli e Mario Maovaz e l’ex tenente dei Carabinieri Armando Lauri), in seguito alle manovre di un delatore, Giorgio Bacolis (responsabile anche dell’arresto di altri antifascisti, tra cui Mario Maovaz, corriere del Partito d’Azione, che fu fucilato il 28/4/45), Podestà fu arrestato da quattro agenti di Collotti il 6/2/45. Nella relazione Podestà scrive di essere stato condotto in auto in via Cologna e mentre si trovava nella “sala degli agenti”, proprio di fronte all’ufficio di Collotti, sarebbe riuscito ad eludere la sorveglianza delle guardie e nascondere “dietro un mobile” un’agenda nella quale “proprio quella mattina” aveva “appuntato il nuovo indirizzo di Nemo” (Nemo era Enrico Elia, il dirigente la rete che da lui prese il nome).
In sintesi Podestà scrive che la sua intenzione era di “trasformare in mio collaboratore il Collotti stesso”, e per giungere a questo risultato si intrattenne a parlare con il commissario di spiritismo e di italianità. Alla fine si accordarono che Collotti non avrebbe infierito sui collaboratori di Podestà, né avrebbe indagato presso altre persone sulla presenza di Podestà a Trieste. Però dato che Collotti non voleva far capire alla SS che collaborava con Podestà, aveva bisogno di una copertura e quindi doveva fingere di trattare il capitano come un qualunque arrestato. Per portare avanti la finzione, spiega Podestà, egli diede a Collotti delle informazioni, cioè che abitava presso la famiglia Rocco, conosciuta tramite Bergera (il che provocherà l’arresto di queste persone, alcune delle quali furono anche torturate); e fece poi anche il nome di Girardelli.
A metà febbraio Podestà chiese un incontro con Collotti nel corso del quale gli propose di “diventare mio collaboratore promettendogli di far valere i suoi meriti all’arrivo degli Alleati”, al che Collotti gli fece capire che “doveva aver fatto assegnamento dentro di sé su qualcosa di simile fin dal nostro primo colloquio”.
Gli accordi cui arrivarono sarebbero stati che Collotti avrebbe chiesto a Podestà di fornire informazioni relative agli slavi, ed a sua volta avrebbe fornito a Podestà “agevolazioni per lo svolgimento del mio compito anche mettendo a disposizione la macchina dell’Ispettorato”. Dopo questo accomodamento Podestà fu inviato alla sede della SS, dove il maresciallo Hibler gli chiese di scrivere una relazione sulla sua attività e la mattina dopo, dopo avere letto lo scritto, accettò la proposta di Collotti di prenderlo come collaboratore nella lotta antislava.
Si potrebbe quindi pensare che nel maggio 1945 Podestà, Bergera e Ponzo siano stati arrestati dalle autorità jugoslave perché Podestà si era accordato con la SS e con Collotti di fornire loro informazioni sulle attività antinazifasciste, ma il motivo probabilmente è un altro, molto meno ideologico, da quanto traspare dalla stessa citata relazione di Podestà.
Il capitano scrive che era stato incaricato dal CLN triestino di organizzare la Regia Marina in previsione dell’arrivo degli alleati (ricordiamo che a Trieste, sottoposta al governo germanico, c’era la Marina Repubblicana) “per poterla rimettere nelle mani di chi di diritto”, e così il 30 aprile Podestà prese, in nome del CLN, il comando dei reparti della Marina, compresa la X Mas, dalla caserma della quale portarono via “tutto il vettovagliamento”, spostandolo nel comando della Marina. Podestà, consapevole degli ordini del CLN di evitare scontri con l’esercito jugoslavo, ma non volendo d’altra parte consegnare allo stesso i fondi del comando della Marina, ne prelevò la maggior parte dalla cassa ed affidò la somma a Lorenzo Maniscalco (un sottonocchiero della Decima inquadrato nell’Ispettorato Speciale), che avrebbe dovuto portarli a casa di Ponzo. Maniscalco però fu coinvolto in una sparatoria ed ucciso durante il tragitto; i soldi rimasero all’obitorio dove Podestà non poté recuperarli perché nel frattempo era stato arrestato dagli Jugoslavi assieme a Bergera in casa di Ponzo, perché trovato in possesso del documento firmato da loro tre nel quale veniva verbalizzato l’asporto della somma di denaro dal Comando Marina. Ponzo fu arrestato un paio di giorni dopo e successivamente i tre furono portati in carcere a Lubiana, dove Ponzo morì (sembra fosse ammalato già al momento dell’arresto), mentre gli altri rientrarono a Trieste nel 1947.
Non è dato sapere se i tre a Lubiana subirono un processo, né tantomeno gli esiti di questo, ma da quanto abbiamo letto appare abbastanza chiaramente che il motivo del loro arresto sarebbe stato una \"banale\" questione di appropriazione indebita di fondi dell’esercito, senza andare alla ricerca di motivazioni di equilibri politici.
Questo, aggiunto al fatto che Podestà aveva deciso (per motivi di intelligence non chiari alla luce della documentazione da noi finora reperita) di collaborare col nazifascismo tradendo gli alleati (l’esercito jugoslavo) dello Stato che lui rappresentava come ufficiale di collegamento inviato dal Regno del Sud ed il CLN triestino, e che, sempre nell’ottica di ottenere questa collaborazione con Collotti e la SS, aveva causato gli arresti e le torture dei suoi stessi più stretti collaboratori, dovrebbe portare quantomeno ad un ridimensionamento della sua figura finora considerata positivamente dagli storici.

ottobre 2010


I DIMENTICATI FRA I DIMENTICATI

1) Roma 7/10: Paul Polansky ed altri a proposito de "I DIMENTICATI FRA I DIMENTICATI"

2) Ultima puntata ed Epilogo di "Negligenza mortale", di Paul Polansky


=== 1 ===

I DIMENTICATI FRA I DIMENTICATI
"Rom e Sinti dalla persecuzione nazi-fascista di ieri alla negazione dei diritti attuale"

giovedì 07 ottore 2010
ore 18.00
Roma, “La Città dell'Utopia”
via Valeriano 3F


Nell'ambito della seconda edizione del progetto "I dimenticati tra i dimenticati" si terrà, un evento-dibattito con rappresentanti delle comunità Rom ed esperti ed attivisti internazionali.  Video, musica ed aperitivo-cena a conclusione della conferenza. 

Programma della serata:

dalle ore 18.00 - Dibattito "Rom e Sinti dalla persecuzione nazi-fascista di ieri alla negazione dei diritti attuale"

intervengono:

Paul Polansky (Antropologo e poeta, autore di Black Silence e One Blood – One Flame)
Luca Bravi (Professore Università telematica Leonardo da Vinci)
Riccardo Carraro (Servizio Civile Internazionale)
Graziano Halilovic (RomaOnlus)
Licia Porcedda (Ricercatrice presso L'École des hautes études en sciences sociales)
Lorenzo Romito (Ass. Cult. Stalker e ON/Osservatorio Nomade)

 
Modera Stefania Pizzolla (Servizio Civile Internazionale)


a seguire:
musica, aperitivo-cena a cura del catering di cucina rom “Romano Hape”, video con testimonianze di Milka Goman ed altri rappresentanti della comunità Rom e Sinti


Il progetto "I dimenticati tra i  dimenticati 2" (“The forgotten among the forgotten 2”), promosso dal Servizio Civile Internazionale in collaborazione con Romà Onlus e finanziato dalla Commissione Europea, è incentrato sulla memoria delle persecuzioni nazi-fasciste di Rom e Sinti. Attraverso la conoscenza di quanto accaduto nel passato, si vuole analizzare quello che sta avvenendo ancora oggi, in Italia ed all’estero, a queste persone, vittime di espulsioni, violenze, razzismo, negazioni di diritti. 

L’evento si inserisce in un programma iniziato il 29 settembre con la partecipazione di attivisti internazionali impegnati in seminari e workshop sulle condizioni del popolo Rom supportati da una parte studio sulla memoria delle persecuzioni nazi-fasciste di Rom e Sinti e sulla loro situazione attuale. In coordinamento con la comunità di Agnone, gli attivisti si recheranno anche in visita alle scuole del paese che hanno realizzato un progetto sulla memoria e l’internamento di famiglie Rom rastrellate in tuta Italia e internate nel convento di S. Bernardino. 

I volontari nel corso del progetto incontreranno esperti, professori e operatori sociali legati alla comunità Rom e Sinti e realizzeranno interviste, video ed articoli oltre ad una mostra fotografica ed una rassegna stampa internazionale che verranno diffusi al pubblico.

Per informazioni: info@..., tel. 06.5580661-644, web: www.sci-italia.it

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Per informazioni sulla serata: lacittadellutopia@... ; tel. 06 59648311 - 346 5019887.


La Città dell’Utopia

Via Valeriano, 3f (San Paolo) / 0659648311 / 3465019887 / http://www.lacittadellutopia.it / Chiuso: sab. dom. a parte per iniziative / Aperto: 11-19,30 / Locale non climatizzato / Non accessibile a sedie a rotelle / Entrata GRATIS 

Il progetto “La Città dell’Utopia” dell’associazione Servizio Civile Internazionale, con il patrocino del Municipio XI, è un progetto laboratorio di Cittadinanza attiva e sviluppo territoriale che propone all’interno dell’antico Casale Garibaldi corsi e laboratori sociali, iniziative culturali (serate tematiche, incontri dibattito, concerti, mostre, video-proiezioni), mercatino contadino, giardino sperimentale e minicampi e campi di volontariato internazionali.

=== 2 ===


Negligenza mortale (XV puntata)

by Paul Polansky

[continua]


EULEX

(immagine da daylife.comIl generale in pensione Yves de Kermabon mentre prega (spero) per salvare (spero) i bambini rom e askali di Mitrovica dai soldati francesi, dal dr. Bernard Kouchner, dall'ONU, dal governo del Kosovo e... dall'EULEX.


IL PREMIO IN-GIUSTIZIA: disgrazia questa Missione dell'Unione Europea in Kosovo sul Ruolo della Legge che rivendica il suo scopo principale nell'assistere e supportare le autorità del Kosovo sul ruolo della legge e si riserva il diritto di perseguire i seri crimini che il governo del Kosovo ignora. EULEX viene disonorata con questo premio per avere rifiutato di considerare "la negligenza di massa verso l'infanzia" nei campi di Mitrovica come un "serio crimine", nonostante le 86 morti sino ad oggi.

Dato che era risultato impossibile durante quasi undici anni di coinvolgere qualsiasi agenzia ONU o il governo del Kosovo, soprattutto il Ministro della Salute, nel salvare i bambini che muoiono di avvelenamento da piombo negli ex campi UNHCR, inviai una mail a Yves de Kermabon, capo della missione EULEX, chiedendogli un incontro per discutere su cosa EULEX potesse fare.

Ex generale francese, che una volta comandava la Legione Straniera in Cambogia e poi le forze NATO in Kosovo, Kermabon rifiutò di vedermi.

Con l'aiuto di amici impegnati nel salvare questi bambini, facemmo ricorso al suo capo UE, la baronessa Catherine Ashton, ed alla fine ottenemmo un appuntamento per vedere il procuratore capo del generale Kermabon, Theo Jacobs, e tre componenti della sua squadra. Non fu un ricevimento caloroso. Erano troppo ritrosi per ricevermi o soltanto riluttanti di dovermi vedere.

Il procuratore capo Jacobs non fece nessun tentativo di dare inizio alla riunione, così gli chiesi se avesse ricevuto il nostro promemoria legale che gli avevo inviato per posta elettronica il giorno precedente. Con riluttanza mi disse di sì ma non fece nessun commento. Così tirai fuori tutti gli altri documenti che avevo portato e iniziai a passarglieli.

Il primo era un comunicato OMS del settembre 2009 che ancora una volta chiedeva l'immediata evacuazione e cure mediche. Dissi che l'OMS ne chiedeva l'evacuazione dal novembre 2000 e che da allora aveva inviato richieste simili. Nessuna risposta da EULEX: nessuna domanda, nessun commento.

Ho poi consegnato il rapporto del difensore civico al primo ministro del Kosovo inviato ad aprile 2009, in cui il difensore civico chiedeva l'immediata evacuazione e chiedeva una risposta entro 30 giorni. Non venne mai ricevuta nessuna risposta da parte del primo ministro. Dissi che il nuovo difensore civico il giorno prima aveva visitato i campi ed avrebbe inviato un rapporto simile chiedendo l'evacuazione e cure mediche. Nessun barlume di vita da parte dei convocati EULEX seduti davanti a me.

Poi consegnai loro il rapporto di Thomas Hammarberg, il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa, che chiedeva l'evacuazione dei campi e cure mediche. Uno dello staff di Jacobs seduto di fronte a me disse che la settimana seguente avrebbe posto maggior pressione al governo del Kosovo perché facesse qualcosa.

Allora diedi loro il rapporto di Human Rights Watch (77 pagine) e per finire un'altra copia del nostro memorandum legale di 46 pagine.

Dissi che avevamo fatto pressioni sull'UNMIK per un'evacuazione e cure mediche già dal novembre 2000 e naturalmente senza ottenere niente. Eravamo ora a febbraio 2010. Dissi che probabilmente era impossibile portare in giudizio lo staff ONU a causa della loro immunità, ma volevamo comunque farlo per gli amministratori del campo, Norwegian Church Aid e KAAD. Fornii allora loro degli esempi di "negligenza premeditata" commessa da entrambi gli amministratori del campo, enfatizzando il rifiuto di NCA di riportare le morti nel campo e mai chiedendo alimenti o trattamento medico per avvelenamento da piombo; e KAAD, che oltre a ciò aveva colpevolmente interrotto la dieta speciale per Ergin e suo fratello.

Dissi che ci doveva essere giustizia. Per quello ero venuto da loro.

Jacobs disse che un'azione sotto il loro mandato era impossibile. Loro erano lì essenzialmente per monitorare il sistema giudiziario del Kosovo. EULEX si incaricava personalmente di pochissimi seri crimini. Anche se il nostro caso fosse stato possibile sotto il loro mandato, non l'avrebbe accettato perché sarebbero occorsi anni per trovare se qualcuno fosse responsabile. Dissi che avevamo tutte le prove che servivano. Dissi che l'OMS si era offerto di fornire tutti gli elementi di prova e che io ed i nostri avvocati potevamo fornire nomi e prove della negligenza criminale.

Jacobs disse che non si trattava di un caso criminale, ma di una questione politica. Disse che l'unica maniera per noi era di mettere più pressione politica sul governo del Kosovo per risolvere questa questione politica.

Non ero d'accordo e parlai a lungo sulla storia di questo caso: il dr. Kouchner che mette i Rom su di un terreno contaminato, promettendo che sarebbero stati spostati entro 45 giorni; dissi che la squadra medica ONU aveva raccomandato l'evacuazione nel novembre 2000 e la disintossicazione in Polonia, ma che Kouchner aveva opposto il veto; dissi a Jacobs che il mio team aveva portato la famiglia di Mustafa in Germania, sottoponendo a TAC tutti i bambini, che trovò Denis di 7 anni col fegato di un sessantenne alcolizzato, a causa dell'avvelenamento da piombo secondo i dottori tedeschi; dissi di come io e il mio staff avessimo raddoppiato i livelli di piombo che causano danni cerebrali e che anche noi avessimo dovuto essere disintossicati. Menzionai come tutti stessero rimproverando ai Rom di avvelenarsi da soli smaltendo le batterie delle auto, ma che i campioni su 66 bambini del campo mostravano di avere 36 altri metalli pesanti che non si trovavano nelle batterie delle macchine. Continuai ma non vidi nessun barlume di interesse nelle persone sedute di fronte a me. Era ovvio che non mostravano alcuna compassione per la sofferenza di questa gente... questi zingari.

Parlai per 50 minuti, raccontando loro ogni tragedia che era successa nei campi dal 1999. Se fosse dipeso da loro, il meeting sarebbe finito dopo cinque minuti.

Alla fine, Jacobs era abbastanza esasperato con me che cercavo di rendere questo un caso criminale. Continuò a dire che era una perdita di tempo. Quella era una questione politica e io dovevo trovare un modo di fare pressione sul governo del Kosovo, non su EULEX.

Alla fine gli chiesi se non fosse stato un serio crimine. Mi rispose di no. Disse che era un serio problema, ma perché lui lo definisse un serio crimine prima avrebbe dovuto investigare e questo avrebbe preso anni. Anche così, disse, sarebbe stato difficile trovare i responsabili di persona. Dissi che se questa situazione fosse avvenuta in qualsiasi città europea ed il sindaco, il capo della polizia e gli incaricati alla sanità pubblica non avessero immediatamente evacuato l'area, sarebbero finiti in prigione per negligenza verso l'infanzia. Il procuratore capo si limitò a fissare davanti a sé.

Il suo staff concordò con lui. Questa era una questione politica e dovevamo porre maggiore pressione sul governo del Kosovo. Dal 1999 al 2008 non era possibile. Ora che il Kosovo aveva l'indipendenza, dovevano mostrare di meritarsela.

La donna seduta di fronte a me continuò a ripetere che Thomas Hammarberg sarebbe venuto la settimana prossima. Era molto alterato perché il governo del Kosovo non aveva seguito le sue raccomandazioni di sei mesi prima, quando era stato lì l'ultima volta, di evacuare i campi. Disse che avrei dovuto incontrarlo durante la sua visita.

Lasciai loro due nostri DVD: Kosovo Blood e la manifestazione del campo di Osterode ad aprile 2009. Lascia anche loro due copie del mio libro UN-Leaded Blood che immediatamente loro coprirono con le loro carte, nel caso qualcuno potesse vederne la copertina.

Fui molto educato nel ringraziarli per avermi ricevuto, ma spero di aver mostrato con la mia espressione quanto frustrato io fossi dalla loro mancanza di umanità e compassione, e soprattutto dalla loro mancanza di interesse nel cercare giustizia per questa povera gente che aveva sofferto la peggiore tragedia di ogni minoranza in Europa nell'ultima decade. Così come non c'è misericordia per i nostri bambini romanì negli affari targati Mercy Corps, né nessun interesse nel salvare i nostri bambini da parte dell'OnG Save the Children... non c'è nemmeno nessun interesse nella giustizia per questi ragazzi del Dipartimento Giustizia di EULEX.



Riconoscimenti


Durante questi undici anni per portare l'attenzione sulla sofferenza e la tragedia dei Rom/Askali scaricati dall'ACNUR e dall'UNMIK su terreni contaminati, non molte persone od organizzazioni sono state con noi durante la lunga tirata. Quelli che hanno iniziato con noi e tuttora stanno contribuendo: Argentina e Miradija Gidzic, e Jacky Buzoli. Tutti e tre sono Rom e sentono una dedizione profonda per aiutare la loro gente. Sono anche stati curati per avvelenamento da piombo, a causa del loro lavoro nei campi. Nel 2005, si è aggiunta Dianne Post, un avvocato americano che non solo ha dedicato il suo tempo (gratuitamente) per difendere questi bambini rom/askali, ma ha anche offerto il proprio denaro per comprare aiuti. Lo stesso anno, Yechiel Bar Chain donò dei fondi per comprare le prime medicine per curare quanti avevamo fatto uscire dai campi. Il dr. Bader di Milwaukee, WI, si unì quell'anno per finanziare i nostri viaggi a Belgrado. Inoltre comprò un pezzo di terra per la famiglia di Jenita Mehmeti e finanziò la pubblicazione di UN-Leaded Blood e la realizzazione del documentario Gipsy Blood. Dan Lanctot che fece il film donò il proprio lavoro. Anche il dr. Klaus Runow si unì a noi nel 2005 per raccogliere i primi campioni di capelli dei bambini nel campo, registrando che [i bambini] non solo erano avvelenati da piombo, ma soffrivano anche di altri 36 metalli pesanti. Per strada sono arrivati contributi ed appoggio dalla Società per i Popoli Minacciati, JDC, Mary Ellen Salinas, Linda Johnson, Jennifer Clayton-Chen ed il suo gruppo a Monaco (Germania), Fed Didden, Nidhi Trehan, ed il dr.Sasha Maksutovic. I contributi a questo libro includono: Bernie e Suzie Sullivan, John Munden, Graham Crame e Dianne Post.

Due anni fa la nostra campagna navigava in cattive acque finché Bernie Sullivan organizzò il KMEG (Gruppo di Emergenza Medica del Kosovo) ed introdusse nuovi attivisti, in particolare Valerie Hughes che spinse il senatore irlandese David Norris a parlare (e continua a farlo) a favore dei nostri bambini zingari. Molti giornalisti e media importanti come Bild Zeitung, Aljezzera, BBC, ZDF, ARTE TV, la TV australiana (Dateline), The Sun, The Guardian, l'International Herald Tribune, ed il Washington Times hanno informato il pubblico su questi bambini che stanno morendo. Sono arrivati in aiuto due altri avvocati: Bob Golten, professore in Diritto Umanitario all'Università di Denver, che ha scritto lettere a Mercy Corps e ad NCA, richiamandole alle loro responsabilità; e Nichola Marshall, in rappresentanza dello studio legale Leigh Day di Londra, che si è unito a Dianne Post nel richiedere un risarcimento dall'ONU per i campi rom/askali.

Ironicamente, non molte organizzazioni romanì si sono unite alla nostra lotta ma recentemente due hanno vigorosamente raggiunto la causa: l'Associazione Britannica delle Donne Zingare e Patrin GB. Sono certo di essermi dimenticato di menzionare molti altri che ci hanno aiutato in questo percorso e chi ora sta contribuendo. Ma loro sanno nel loro cuore che cosa hanno fatto. Tristemente, la nostra campagna di undici anni non ha salvato molti bambini. Quando abbiamo iniziato c'era una possibilità di salvare la maggior parte di loro da danni irreversibili al cervello. Ora tutti ce li hanno. Un dottore mi ha detto che abbiamo perso un'intera generazione di bambini dei campi. Forse anche una seconda generazione dato che molti di questi bambini non vivranno abbastanza da avere dei bambini a loro volta. Ma ancora stiamo combattendo per loro, per un risarcimento e per la giustizia. Sfortunatamente, non possono mangiare la giustizia.


Titolo originale: DEADLY NEGLECT
di Paul Polansky
Prima edizione
71 pagine
Tiratura: 1.000 copie
Editore: Kosovo Roma Refugee Foundation (KRRF)
traduzione in italiano di Fabrizio Casavola


www.paulpolansky.nstemp.com 
Email: pjpusa5040@... 
www.toxicwastekills.com

Fine quindicesima e ultima puntata


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Negligenza Mortale (epilogo)

Importante: Chi ha avuto la ventura nei mesi scorsi di leggersi le 15 puntate di "Negligenza Mortale" (e chi non le ha lette), ha ora la possibilità di vederle unite in un unico file .pdf, da scaricarsi QUI gratuitamente: http://www.sivola.net/download/Negligenza_Mortale.pdf .

Un'opportunità unica per i lettori della Mahalla, dato che il volume originale di Paul Polansky, in inglese, è stato stampato in sole 1.000 copie, circolate in Kosovo ed in piccoli circoli ristretti fuori da quel paese.







La NED, vitrine légale de la CIA 

par Thierry Meyssan*


Depuis 30 ans, la National Endowment for Democracy (NED) sous-traite la partie légale des opérations illégales de la CIA. Sans éveiller de soupçons, elle a mis en place le plus vaste réseau de corruption du monde, achetant syndicats ouvriers et patronaux, partis politiques de gauche et de droite, pour qu’ils défendent les intérêts des Etats-Unis au lieu de ceux de leurs membres. Thierry Meyssan décrit ici l’étendue de ce dispositif.



6 OCTOBRE 2010

En 2006, le Kremlin dénonçait la prolifération d’associations étrangères en Russie, dont certaines auraient participé à un plan secret de déstabilisation du pays orchestré par la Fondation américaine pour la démocratie (National Endowment for Democracy – NED). Pour prévenir une « révolution colorée », Vladislav Surkov élaborait une stricte réglementation de ces « organisations non-gouvernementales (ONG) ». A l’Ouest, cet encadrement administratif était décrit comme une nouvelle attaque du « dictateur » Poutine et de son conseiller contre la liberté d’association.

Cette politique a été suivie par d’autres Etats qui, à leur tour, ont été présentés par la presse internationale comme des « dictatures ».

Le gouvernement des Etats-Unis assure qu’il s’emploie à « la promotion de la démocratie dans le monde ». Il revendique que le Congrès puisse subventionner la NED et que celle-ci puisse, à son tour et en toute indépendance, aider directement ou indirectement des associations, des partis politiques ou des syndicats, oeuvrant en ce sens n’importe où dans le monde. Les ONG étant, comme leur dénomination l’indique, « non-gouvernementales » peuvent prendre des initiatives politiques que les ambassades ne pourraient assumer sans violer la souveraineté des Etats qui les reçoivent. Toute la question réside donc là : la NED et le réseau d’ONG qu’elle finance sont-elles des initiatives de la société civile injustement réprimées par le Kremlin ou des paravents des services secrets US pris en flagrant délit d’ingérence ?

Pour répondre à cette question, nous allons revenir sur l’origine et le fonctionnement de la National Endowment for Democracy. Mais avant toute chose, nous devons analyser ce que signifie le projet officiel des Etats-Unis d’« exportation de la démocratie ».

[FOTO: Les puritains qui fondèrent les Etats-Unis voulaient en faire une « cité radieuse » éclairant le monde. Ils se pensèrent comme les missionnaires d’un modèle politique.]


Quelle démocratie ?


Les Etats-uniens, en tant que peuple, adhèrent à l’idéologie de leurs pères fondateurs. Ils se pensent comme une colonie venue d’Europe pour fonder une cité obéissante à Dieu. Ils conçoivent leur pays comme « une lumière sur la montagne », selon l’expression de Saint Mathieu reprise durant deux siècles par la plupart de leurs présidents dans leurs discours politiques. Les Etats-Unis seraient une nation modèle, brillant en haut d’une colline, éclairant le monde. Et tous les autres peuples de la terre espéreraient copier ce modèle pour atteindre leur salut.

Pour les Etats-uniens, cette croyance naïve implique comme allant de soi que leur pays est une démocratie exemplaire et qu’ils ont un devoir messianique de l’étendre au reste du monde. Alors que Saint Mathieu envisageait la propagation de la foi par le seul exemple d’une vie juste, les pères fondateurs des Etats-Unis pensaient l’allumage de leur feu et sa propagation comme un changement de régime. Les puritains anglais décapitèrent Charles Ier avant de fuir vers les Pays-Bas et les Amériques, puis les patriotes du Nouveau monde rejetèrent l’autorité du roi George III d’Angleterre et proclamèrent l’indépendance des Etats-Unis.

Imprégnés de cette mythologie nationale, les Etats-Uniens ne perçoivent pas la politique extérieure de leur gouvernement comme un impérialisme. A leurs yeux, il est d’autant plus légitime de renverser un gouvernement que celui-ci ambitionne d’incarner un modèle différent du leur, donc maléfique. De même, sont-ils persuadés qu’investis de leur mission messianique, ils sont parvenus à imposer par la force la démocratie dans des pays qu’ils ont occupé. Ils apprennent par exemple dans leurs écoles que les GI’s ont apporté la démocratie en Allemagne. Ils ignorent que l’histoire est exactement inverse : leur gouvernement aida Hitler à renverser la République de Weimar et à instaurer un régime militaire pour combattre les Soviets.

Cette idéologie irrationnelle les empêche de s’interroger sur la nature de leurs institutions et sur l’absurdité du concept de « démocratie forcée ».

Or, selon la formule du président Abraham Lincoln, « la démocratie, c’est le gouvernement du peuple, par le peuple, pour le peuple ».

De ce point de vue, les Etats-Unis ne sont pas une démocratie, mais un système hybride, dans lequel le pouvoir exécutif revient à une oligarchie, tandis que le peuple en limite l’arbitraire grâce aux contre-pouvoirs législatif et judiciaire. En effet, si le peuple élit le Congrès et certains juges, ce sont les Etats fédérés qui élisent le pouvoir exécutif et ce dernier qui désigne les hauts magistrats. Bien que les citoyens soient appelés à se prononcer sur le choix de leur président, leur vote en la matière n’est que consultatif, comme l’a rappelé la Cour suprême en 2000 dans l’affaire Gore contre Bush. La Constitution des Etats-Unis ne reconnaît pas la souveraineté du peuple, car le pouvoir est partagé entre lui et les Etats fédérés, c’est-à-dire les notables locaux.

Au passage, on observera que la Constitution de la Fédération de Russie est au contraire démocratique — sur le papier tout au moins — en ce qu’elle affirme : « Le détenteur de la souveraineté et l’unique source du pouvoir dans la Fédération de Russie est son peuple multinational » (Titre I, Ch. 1, art.3).

Ce contexte intellectuel explique que les Etats-Uniens soutiennent leur gouvernement lorsqu’il annonce vouloir « exporter la démocratie », alors même que leur pays n’en est pas une constitutionnellement. Mais, on ne voit pas comment ils pourraient exporter ce qu’ils n’ont pas et ne veulent pas avoir chez eux.

Au cours des trente dernières années, cette contradiction a été portée par la NED et s’est concrétisée par la déstabilisation de nombreux Etats. Des milliers de militants et d’ONG crédules ont violé la souveraineté des peuples avec le sourire béat de la bonne conscience.


Une Fondation pluraliste et indépendante


Dans son célèbre discours du 8 juin 1982 devant le Parlement britannique, le président Reagan dénonça l’Union soviétique comme « l’Empire du Mal » et proposa de venir en aide aux dissidents là-bas et ailleurs. « Il s’agit de contribuer à créer l’infrastructure nécessaire à la démocratie : la liberté de la presse, des syndicats, des partis politiques, des universités : ainsi les peuples seront-ils libres de choisir telle voie qui leur conviendra pour développer leur culture et régler leurs différents par des moyens pacifiques », déclara t-il.

Sur cette base consensuelle de lutte contre la tyrannie, une commission de réflexion bipartisane préconisa à Washington la création de la Fondation nationale pour la démocratie (NED). Celle-ci fut instituée par le Congrès en novembre 1983 et immédiatement financée.

La Fondation subventionne quatre structures autonomes qui redistribuent à l’étranger l’argent disponible à des associations, des syndicats ouvriers et patronaux, et des partis de droite et de gauche. Il s’agit de : 
 L’Institut des syndicats libres (Free Trade Union Institute – FTUI), aujourd’hui renommé Centre américain pour la solidarité des travailleurs (American Center for International Labor Solidarity – ACILS), géré par le syndicat ouvrier AFL-CIO ; 
 Le Centre pour l’entreprise privée internationale (Center for International Private Entreprise – CIPE), géré par la Chambre de commerce des Etats-Unis ; 
 L’Institut républicain international (International Republican Institute – IRI), géré par le Parti républicain ; 
 Et l’Institut national démocratique pour les affaires internationales (National Democratic Institute for International Affairs – NDI), géré par le Parti démocrate.

Présenté de cette manière, la NED et ses quatre pseudopodes paraissent basés sur la société civile dont ils reflètent la diversité sociale et le pluralisme politique. Financés par le peuple états-unien, via le Congrès, ils oeuvreraient à un idéal universel. Ils seraient complètement indépendants de l’administration présidentielle. Et leur action transparente ne pourrait pas masquer des opérations secrètes servant des intérêts nationaux inavoués.

La réalité est complètement différente.

[FOTO: En 1982, Ronald Reagan a créé la NED en partenariat avec le Royaume-Uni et l’Australie, pour renverser « l’Empire du Mal ».]


Une mise en scène de la CIA, du MI6 et de l’ASIS


Le discours de Ronald Reagan à Londres prend place après les scandales entourant la révélation par des commissions d’enquête parlementaires des coups tordus de la CIA. Le Congrès interdit à l’Agence d’organiser de nouveaux coups d’Etat pour conquérir des marchés. A la Maison-Blanche, le Conseil de sécurité nationale cherche donc à mettre en place d’autres outils pour contourner cet interdit.

La Commission de réflexion bipartisane a été constituée avant le discours de Ronald Reagan, même si elle n’a officiellement reçu de mandat de la Maison-Blanche qu’après. Elle ne répond donc pas à la grandiloquente ambition présidentielle, mais la précède. Par conséquent, le discours n’est que l’habillage rhétorique de décisions déjà arrêtées dans leurs grandes lignes et destinées à être mises en scène par la commission bipartisane.

Celle-ci était présidée par le représentant spécial des Etats-Unis pour le Commerce, ce qui indique qu’elle n’envisageait pas la promotion de la démocratie, mais, selon une terminologie consacrée, de la « démocratie de marché ». Ce concept étrange correspond au modèle états-unien : une oligarchie économique et financière impose ses choix politiques via les marchés et l’Etat fédéral, tandis que les parlementaires et juges élus par le peuple protègent les individus de l’arbitraire de l’administration.

Trois des quatre organismes périphériques de la NED ont été formés pour la circonstance. Cependant il n’a pas été nécessaire de créer le quatrième, l’organisme syndical (ACILS). Celui-ci existait depuis la fin de la Seconde Guerre mondiale, bien qu’il ait changé de nom en 1978 lorsqu’on dévoila sa subordination à la CIA. D’où l’on peut déduire que le CIPE, l’IRI et le NDI ne sont pas nés par génération spontanée, mais également sous la houlette de la CIA.

De plus, bien que la NED soit une association de droit états-unien, elle n’est pas un outil de la seule CIA, mais un dispositif commun avec les services britannique (ce pourquoi elle est annoncée par Reagan à Londres) et australien. Ce point central est toujours passé sous silence. Il est pourtant confirmé par les messages de félicitation adressés par les Premiers ministres Tony Blair et John Howard lors du XXe anniversaire de la soi-disante « ONG ». La NED et ses pseudopodes sont des organes du pacte militaire anglo-saxon liant Londres, Washington et Canberra au même titre que le réseau d’interception électronique Echelon. Ce dispositif peut être requis non seulement par la CIA, mais aussi par le MI6 britannique et l’ASIS australien.

Pour dissimuler cette réalité, la NED a suscité chez des alliés la création d’organisations analogues qui travaillent avec elle. En 1988, le Canada s’est doté d’un centre Droits & Démocratie, qui s’est surtout focalisé sur Haïti, puis sur l’Afghanistan. En 1991, le Royaume-Uni a institué la Westminster Foundation for Democracy (WFD). Le fonctionnement de cet organisme public est calqué sur celui de la NED : son administration est confiée aux partis politiques (huit délégués : trois pour le Parti conservateur, trois pour le Parti travailliste, un pour le Parti libéral, et un dernier pour les autres partis représentés au Parlement). La WFD a beaucoup travaillé en Europe orientale. Enfin, en 2001, l’Union européenne s’est dotée du European Instrument for Democracy and Human Rights (EIDHR), qui suscite moins de soupçons que ses homologues. Ce bureau relève d’EuropAid, dirigé par un haut fonctionnaire aussi puissant qu’inconnu, le Néerlandais Jacobus Richelle.

[FOTO: Henry Kissinger, administrateur de la NED. Un « représentant de la société civile » ?]


La directive présidentielle 77


En votant la fondation de la NED, le 22 novembre 1983, les parlementaires US ignoraient qu’elle existait déjà en secret, en vertu d’une directive présidentielle datée du 14 janvier.

Ce document, qui n’a été déclassifié que deux décennies plus tard, organise la « diplomatie publique », expression politiquement correcte pour désigner la propagande. Il institue à la Maison-Blanche des groupes de travail au sein du Conseil de sécurité nationale, dont un chargé de piloter la NED.

Par conséquent, le conseil d’administration de la Fondation n’est qu’une courroie de transmission du Conseil de sécurité nationale. Pour maintenir les apparences, il a été convenu que, d’une manière générale, les agents et anciens agents de la CIA ne pourraient être nommés administrateurs.

Les choses sont néanmoins transparentes. La plupart des hauts fonctionnaires ayant joué un rôle central au Conseil de sécurité nationale ont été administrateurs de la NED. C’est par exemple le cas d’Henry Kissinger, Franck Carlucci, Zbigniew Brzezinski, ou encore Paul Wolfowitz ; des personnalités qui ne resteront pas dans l’Histoire comme des idéalistes de la démocratie, mais comme des stratèges cyniques de la violence.

Le budget de la Fondation ne peut être interprété isolément puisqu’elle reçoit ses instructions du Conseil de sécurité nationale pour mener des actions s’inscrivant dans de vastes opérations inter-agences. Des fonds, notamment lorsqu’ils proviennent de l’Agence d’aide internationale (USAID), transitent par la NED sans apparaître dans son budget, simplement pour les « non-gouvernementaliser ». En outre, la Fondation reçoit indirectement de l’argent de la CIA, après qu’il ait été blanchi par des intermédiaires privés comme la Smith Richardson Foundation, la John M. Olin Foundation ou encore la Lynde and Harry Bradley Foundation.

Pour évaluer l’ampleur de ce programme, il faudrait cumuler le budget de la NED avec les sous-budgets correspondants du département d’Etat, de l’USAID, de la CIA, et du département de la Défense. Une telle estimation est aujourd’hui impossible.

Certains éléments connus permettent néanmoins de disposer d’un ordre de grandeur. Les Etats-Unis ont dépensé au cours des cinq dernières années plus d’1 milliard de dollars pour des associations et partis au Liban, un petit Etat de 4 millions d’habitants. Globalement, la moitié de cette manne a été distribuée publiquement par le département d’Etat, l’USAID et la NED, l’autre moitié a été versée secrètement par la CIA et le département de la Défense. Cet exemple permet d’extrapoler que le budget général de corruption institutionnelle par les Etats-Unis se compte en dizaines de milliard de dollars annuels. Au demeurant, le programme équivalent de l’Union européenne, qui est entièrement public et fournit un appoint aux actions états-uniennes, est de 7 milliards d’euros annuels.

En définitive, la structure juridique de la NED et le volume de son budget officiel ne sont que des leurres. Par essence, elle n’est pas un organisme indépendant chargé d’actions légales autrefois dévolues à la CIA, mais elle est une vitrine que le Conseil de sécurité nationale charge de réaliser les éléments légaux d’opérations illégales.


La stratégie trotskiste


Au cours de sa phase de mise en place (1984), la NED a été présidée par Allen Weinstein, puis durant quatre ans par John Richardson (1984-88), enfin par Carl Gershman (depuis 1998).

Ces trois hommes ont trois points communs. Ils sont juifs, ont milité au sein du parti trotskiste Social Democrats USA, et ont travaillé à la Freedom House. Il y a une logique à cela : par haine du stalinisme, certains trotskistes ont rejoint la CIA pour lutter contre les Soviétiques. Ils ont apporté avec eux la théorie de la prise de pouvoir mondiale, en la transposant aux « révolutions colorées » et à la « démocratisation ». Ils ont simplement déplacé la vulgate trotskiste en l’appliquant au combat culturel analysé par Antonio Gramsci : le pouvoir s’exerce dans les esprits plus que par la force. Pour gouverner les masses, une élite doit d’abord leur inculquer une idéologie qui programme leur acceptation du pouvoir qui les domine.


Le Centre américain pour la solidarité des travailleurs (ACILS)


Connu sous le nom de Solidarity Center, l’ACILS, branche syndicale de la NED, est de très loin son principal canal. Il distribue plus de la moitié des dons de la Fondation. Il a pris la succession des organismes antérieurs qui ont servi tout au long de la Guerre froide à structurer les syndicats non-communistes dans le monde, du Vietnam à l’Angola, en passant par la France et le Chili.

Le fait de choisir des syndicalistes pour couvrir ce programme de la CIA est d’une rare perversité. Loin du slogan marxiste « Prolétaires de tous les pays, unissez-vous », l’ACILS associe les syndicats ouvriers états-uniens à l’impérialisme qui écrase les travailleurs des autres pays.

Cette filière était dirigée par un personnage haut en couleurs, Irving Brown, de 1948 jusqu’à sa mort en 1989.

[FOTO: En 1981, Irving Brown place Jean-Claude Mailly comme assistant du secrétaire général de Force Ouvrière, André Bergeron. Ce dernier reconnaîtra financer son activité grâce à la CIA. Mailly devient secrétaire général de FO, en 2004.]




Certains auteurs assurent que Brown était le fils d’un Russe blanc, compagnon d’Alexandre Kerensky. Ce qui est certain, c’est qu’il fut agent de l’OSS, le service de renseignement US durant la Seconde Guerre mondiale et participa à la création de la CIA et du réseau Gladio de l’OTAN. Il refusa d’en prendre la direction, préférant se concentrer sur sa spécialité, les syndicats. Il fut basé à Rome, puis à Paris, et non pas à Washington, de sorte qu’il eut une influence particulière sur la vie publique italienne et française. A la fin de sa vie, il se vantait ainsi de n’avoir cessé de diriger en sous-main le syndicat français Force Ouvrière, d’avoir tiré les ficelles du syndicat étudiant UNI (où militèrent Nicolas Sarkozy et ses ministres François Fillon, Xavier Darcos, Hervé Morin et Michèle Alliot-Marie, ainsi que le président de l’Assemblée nationale Bernard Accoyer et le président du groupe parlementaire majoritaire Jean-François Copé), et d’avoir personnellement formé à gauche des membres d’un groupuscule trotskiste dont Jean-Christophe Cambadelis et le futur Premier ministre Lionel Jospin.

A la fin des années 90, les adhérents de la confédération AFL-CIO ont exigé des comptes sur les activités réelles de l’ACILS, alors que leur caractère criminel dans de nombreux pays avait été abondamment documenté. On aurait pu croire que les choses auraient changé après ce grand déballage. Il n’en est rien. En 2002 et 2004, l’ACILS a participé activement au coup d’Etat manqué au Venezuela contre le président Hugo Chavez et à celui, réussi, en Haïti, renversant le président Jean-Bertrand Aristide.

Aujourd’hui l’ACILS est dirigé par John Sweeney, ancien président de la confédération AFL-CIO, qui est lui aussi issu du parti trotskiste Social Democrats USA.


Le Centre pour l’entreprise privée internationale (CIPE)


Le Centre pour l’entreprise privée internationale (CIPE) se focalise sur la diffusion de l’idéologie capitaliste libérale et la lutte contre la corruption.

La première réussite du CIPE, c’est la transformation, en 1987, du European Management Forum —un club de grands patrons européens— en World Economic Forum —le club de la classe dirigeante transnationale—. Le grand rendez-vous annuel du gotha économique et politique global dans la station de ski suisse de Davos a contribué à forger une appartenance de classe au-delà des identités nationales.

Le CIPE veille à n’avoir aucun lien structurel avec le Forum de Davos, et il n’est pas possible —pour le moment— de prouver que le World Economic Forum est instrumenté par la CIA. A contrario, les responsables de Davos seraient bien en peine d’expliquer pourquoi certains leaders politiques ont choisi leur Forum économique pour y jouer des événements de la plus haute importance s’il ne s’agissait d’opérations planifiées par le Conseil de sécurité nationale des Etats-Unis. Par exemple, en 1988, c’est à Davos —et pas à l’ONU— que la Grèce et la Turquie font la paix. En 1989, c’est à Davos que les deux Corée d’une part et les deux Allemagne d’autre part, tiennent leur premier sommet à niveau ministériel pour les uns et leur premier sommet sur la réunification pour les autres. En 1992, c’est encore à Davos que Frederik de Klerk et Nelson Mandela libre viennent ensemble présenter pour la première fois à l’étranger leur projet commun pour l’Afrique du Sud. Toujours plus invraisemblable, c’est à Davos qu’en 1994, après l’Accord d’Oslo, que Shimon Peres et Yasser Arafat viennent négocier et signer son application à Gaza et Jéricho.

Le contact entre le Forum et Washington passe notoirement par Susan K. Reardon, l’ancienne directrice de l’association professionnelle des employés du département d’Etat devenue directrice de la Fondation de la Chambre de Commerce des Etats-Unis, qui gère le CIPE.

L’autre réussite du Centre pour l’entreprise privée internationale, c’est Transparency International. Cette « ONG » a officiellement été créée par un officier de renseignement militaire US, Michael J. Hershman, qui est par ailleurs administrateur du CIPE et aujourd’hui un des responsables du recrutement des informateurs du FBI aussi bien que le Pdg de l’agence de renseignement privée Fairfax Group.

Transparency International est avant tout une couverture pour les activités d’intelligence économique de la CIA. C’est aussi un outil de communication pour contraindre des Etats à modifier leurs législations dans le sens de l’ouverture de leurs marchés.

Pour masquer l’origine de Transparency International, le CIPE a fait appel au savoir-faire de l’ancien directeur de presse de la Banque mondiale, le néo-conservateur Frank Vogl. Ce dernier a mis en place un Comité de personnalités qui a contribué à donner l’impression d’une association issue de la société civile. Ce comité de façade est animé par Peter Eigen, ancien directeur de la Banque mondiale en Afrique de l’Est, dont l’épouse était en 2004 et 2009 la candidate du SPD à la présidence de la République fédérale allemande.

Le travail de Transparency International sert les intérêts US et n’est aucunement fiable. Ainsi, en 2008, la pseudo ONG dénonçait la corruption de PDVSA, la société publique des pétroles du Venezuela, et, sur la base d’informations falsifiées, la plaçait en dernière position dans son classement mondial des entreprises publiques. Le but était évidemment de saboter la réputation d’une entreprise qui constitue le socle économique de la politique anti-impérialiste du président Hugo Chavez. Prise en flagrant délit d’intoxication, Transparency International refusa de répondre aux questions de la presse latino-américaine et de corriger son rapport. Rien d’étonnant au demeurant lorsqu’on se souvient que le correspondant du CIPE au Venezuela, Pedro Carmona, avait brièvement été installé au pouvoir par les USA, lors du coup d’Etat manqué de 2002 contre Hugo Chavez.

D’une certaine manière, en focalisant l’attention des médias sur la corruption économique, Transparency International masque l’activité de la NED : la corruption politique des élites dirigeantes au profit des Anglo-Saxons.


L’Institut républicain international (IRI) et l’Institut national démocratique pour les affaires internationales (NDI)


L’Institut républicain international (IRI) a pour vocation de corrompre les partis de droite, tandis que l’Institut national démocratique pour les affaires internationales (NDI) traite les partis de gauche. Le premier est présidé par John McCain, le second par Madeleine Albright. Ces deux personnalités ne doivent donc pas être perçues comme des politiciens ordinaires, un leader d’opposition et une sage retraitée, mais comme des responsables actifs de programmes du Conseil de sécurité nationale.

Pour encadrer les principaux partis politiques dans le monde, l’IRI et le NDI ont renoncé à contrôler l’Internationale libérale et l’Internationale socialiste. Ils ont donc créé des organisations rivales, l’Union démocratique internationale (IDU) et l’Alliance des démocrates (AD). La première est présidée par l’Australien John Howard. Le Russe Leonid Gozman de Juste cause (Правое дело) en est vice-président. La seconde est dirigée par l’Italien Gianni Vernetti et co-présidée par le Français François Bayrou.

L’IRI et le NDI s’appuient aussi sur les fondations politiques liées aux grands partis européens (six en Allemagne, deux en France, une aux Pays-Bas et une autre encore en Suède). En outre, certaines opérations ont été sous-traitées à de mystérieuses sociétés privées, comme Democracy International Inc. qui a organisé les dernières élections truquées en Afghanistan.

[FOTO: Ancien adjoint de Rahm Emanuel et actuel responsable du NDI, Tom McMahon est venu en France organiser les primaires du Parti socialiste.]



Tout cela laisse un goût amer. Les Etats-Unis ont corrompu la plupart des grands partis politiques et syndicats dans le monde. En définitive, la « démocratie » qu’ils promeuvent consiste à discuter de questions locales dans chaque pays –voire de questions sociétales comme les droits des femmes ou des gays– et à s’aligner sur Washington pour toutes les questions internationales. Les campagnes électorales sont devenues des spectacles dont la NED choisit le casting en fournissant à certains et pas à d’autres les moyens financiers dont ils ont besoin. Même la notion d’alternance a perdu son sens, puisque la NED promeut alternativement un camp ou un autre pourvu qu’il poursuive la même politique étrangère et de défense.

On se lamente aujourd’hui dans l’Union européenne et ailleurs sur la crise de la démocratie. Celle-ci a pour responsables évidents la NED et les Etats-Unis. Et comment qualifier un régime, comme celui des Etats-Unis, où le principal leader de l’opposition, John McCain, est en réalité un employé du Conseil de sécurité nationale ? Certainement pas comme une démocratie.


Le bilan d’un système


L’USAID, la NED, leurs instituts satellites et leurs fondations intermédiaires ont donné naissance au fil du temps à une vaste et gourmande bureaucratie. Chaque année le vote du budget de la NED par le Congrès donne lieu à de vifs débats sur l’inefficacité de ce système tentaculaire et les rumeurs de détournements de fonds au profit de personnalités politiques états-uniennes chargées de l’administrer.

Dans un souci de bonne gestion, de nombreuses études ont été commandées pour mesurer l’impact de ces flux financiers. Des experts ont comparé les sommes allouées dans chaque Etat et la notation démocratique de ces Etats par la Freedom House. Puis, ils ont calculé combien il fallait dépenser de dollars par habitant pour améliorer d’un point la note démocratique d’un Etat.

[FOTO: Tomicah Tillemann, conseiller d’Hillary Clinton pour la société civile et les démocraties émergentes, supervise le dispositif de la NED au départment d’Etat.]



Bien sûr tout ceci n’est qu’une tentative d’auto-justification. L’idée d’établir une notation démocratique n’a rien de scientifique. De manière totalitaire, elle suppose qu’il n’existe qu’une forme d’institutions démocratiques. Et de manière infantile, elle établit une liste de critères disparates qu’elle pondère de coefficients imaginaires pour transformer la complexité sociale en un chiffre unique.

Au demeurant, la grande majorité de ces études concluent à l’échec : bien que le nombre de démocraties s’accroisse dans le monde, il n’y aurait aucun lien entre les progrès ou les régressions démocratiques d’une part, et les sommes dépensées par le Conseil de sécurité nationale. A contrario, cela confirme que les objectifs réels n’ont aucun rapport avec ceux qui sont affichés. Les responsables de l’USAID citent cependant une étude de l’université Vanderbilt selon laquelle, seules les opérations de la NED co-financées par l’USAID ont été efficaces, parce que l’USAID a une gestion rigoureuse de son budget. Sans surprise, cette étude singulière a été financée par… l’USAID.

Quoi qu’il en soit, en 2003, à l’occasion de son vingtième anniversaire, la NED dressa un bilan politique de son action d’où il ressort qu’elle finançait alors plus de 6 000 organisations politiques et sociales dans le monde, un chiffre qui n’a cessé de croître depuis. Elle revendiquait avoir entièrement créé le syndicat Solidarnoc en Pologne, la Charte des 77 en Tchécoslovaquie et Otpor en Serbie. Elle se félicitait d’avoir créé de toutes pièces la radio B92 ou le quotidien Oslobodjenje en ex-Yougoslavie et une kyrielle de nouveaux médias indépendants en Irak « libéré ».


Changer de couverture


Après avoir connu un succès mondial, la rhétorique de la démocratisation ne convainc plus. En l’utilisant en toutes circonstances, le président George W. Bush l’a usée. Personne ne peut sérieusement soutenir que les subventions versées par la NED feront disparaître le terrorisme international. Pas plus qu’on ne peut prétendre a posteriori que les troupes US auraient renversé Saddam Hussein pour offrir la démocratie aux Irakiens.

De plus, les citoyens qui partout dans le monde militent pour la démocratie sont devenus méfiants. Ils ont compris que l’aide offerte par la NED et ses pseudopodes visait en réalité à les manipuler et à piéger leur pays. Ils refusent donc de plus en plus souvent les dons « désintéressés » qui leur sont proposés. Aussi les responsables états-uniens des différents canaux de corruption ont envisagé de faire muer le système une nouvelle fois. Après les coups fourrés de la CIA et la transparence de la NED, ils envisagent de créer une nouvelle structure qui prendrait le relais d’un ensemble discrédité. Elle ne serait plus gérée par les syndicats, le patronat et les deux grands partis, mais par des multinationales sur le modelée de l’Asia Foundation.

Dans les années 80, la presse révéla que cette organisation était une couverture de la CIA pour lutter contre le communisme en Asie. Elle fut alors réformée et sa gestion fut confiée à des multinationales (Boeing, Chevron, Coca-Cola, Levis Strauss etc…). Ce relookage fut suffisant pour donner une apparence non-gouvernementale et respectable à une structure qui n’a jamais cessé de servir la CIA. Après la dissolution de l’URSS, elle fut doublée d’une autre, l’Eurasia Foundation, chargée d’étendre l’action secrète dans les nouveaux Etats asiatiques.

Une autre question discutée est de savoir si les dons pour la « promotion de la démocratie » doivent prendre uniquement la forme de contrats pour réaliser des projets donnés ou celle de subventions sans obligation de résultat. La première formule offre une meilleure couverture juridique, mais la seconde est bien plus efficace pour corrompre.

Au vu de ce panorama, l’exigence de Vladimir Poutine et de Vladislav Surkov de réglementer le financement des ONG en Russie est légitime, même si la bureaucratie qu’ils ont élaborée pour cela est outrancière et tatillonne. Le dispositif de la NED, mis en place sous l’autorité du Conseil de sécurité nationale des Etats-Unis, non seulement ne favorise pas les efforts démocratiques dans le monde, mais les empoisonnent.



Thierry Meyssan

Analyste politique français, président-fondateur du Réseau Voltaire et de la conférence Axis for Peace. Il publie chaque semaine des chroniques de politique étrangère dans la presse arabe et russe. Dernier ouvrage publié : L’Effroyable imposture 2, éd. JP Bertand (2007).


Cet article est initialement paru dans le numéro 35 (daté du 27 septembre 2010) de l’hebdomadaire russe Odnako.



(sul decimo anniversario del golpe in Jugoslavia, passo decisivo per la cancellazione del paese dalle carte geografiche, si veda anche:

Da: Johnstone Diana 
Data: 05 ottobre 2010 14.13.29 GMT+02.00
Oggetto: Tr : Diana Johnstone // Nice Guys Finish Last

This was my address to a conference in Belgrade on October 5 which I was unable to attend.
Diana

http://www.nspm.rs/nspm-in-english/nice-guys-finish-last.html


Nice Guys Finish Last


Diana Johnstone 
  
понедељак, 04. октобар 2010.


On October 5, 2000, the regular presidential election process in Yugoslavia was boisterously interrupted by what Western media described as a “democratic revolution” against the “dictator”, president Slobodan Milosevic. In reality, the “dictator” was about to enter the run-off round of the Yugoslav presidential election which he appeared likely to lose to the main opposition candidate, Vojislav Kostunica. Rather than support the democratic electoral process, the United States trained and incited activists to take to the streets and replace it by a televised spectacle of popular uprising. Probably, the scenarists modeled this show on the equally stage-managed overthrow of the Ceaucescu couple in Rumania at Christmas 1989, which ended in their murder following one of the shortest kangaroo court trials in history. For the generally ignorant world at large, being overthrown in an uprising was meant to prove that Milosevic was really a “dictator” like Ceaucescu. Being defeated in an election would have tended to prove the opposite.
In contrast to Ceaucescu, the murder of Milosevic was accomplished slowly, indirectly, over many years. But October 5 marked the day on which effective political power in Yugoslavia was seized by foreign Great Powers, mainly by the United States. Proclaimed president in confused circumstances, Kostunica was weakened from the start. The Western favorite, Zoran Djindjic, was installed as Serbian prime minister and a few months later violated the Serbian constitution by turning Milosevic over to the International Criminal Tribunal for Former Yugoslavia (ICTY) in The Hague – for one of the longest kangaroo court trials in history.
The self-styled “Democratic” politicians in Belgrade labored under the illusion that throwing Milosevic to the ICTY wolves would be enough to ensure the good graces of the “International Community”. But that was not enough, and the demands for more have continued to this day. Sending Milosevic, Generals Nebojsa Pavkovic, Sreten Lukic, Vladimir Lazarevic and Dragoljub Ojdanic, Admiral Miodrag Jokic, Radovan Karadzic and Vojislav Seselj, among others, has done nothing to remove the stigma from Serbia. On the contrary, cooperation with The Hague tribunal has above all served to confirm Serbia’s collective guilt. After all, if even Serbs consider their own leader responsible for all the wars in Yugoslavia, who else will object? The trumped up theory of a “joint criminal enterprise” to create “Greater Serbia” was used to blame every aspect of the breakup of Yugoslavia on an imaginary Serbian conspiracy. The scapegoat turned out to be not just Milosevic, but Serbia itself. Serbia’s guilt for everything that went wrong in the Balkans was the essential propaganda line used to justify the 1999 NATO aggression, and by implicitly endorsing this guilt, the “democratic” leaders effectively undermined Serbia’s moral claim to Kosovo.
In June 1999, as bombs were destroying bridges and factories, Milosevic gave in and allowed NATO to occupy Kosovo under threat of carpet bombing that would destroy Serbia entirely. But he set conditions – which the United States proceeded to ignore.
His successors surrendered unconditionally, and fled from a less perilous battle – the battle to inform world public opinion of the complex truth of the Balkans. 
Not only the “Democratic” leaders, but many Serbs who could not understand why NATO bombed their country preferred to echo the NATO line, in order to escape from isolation. They would say, what happened in Yugoslavia was all the fault of one man, Slobodan Milosevic. But we are not like him, we are nice. Get rid of him, and all will be well.
That did not work because the diagnosis of the problem was wrong.
By a complex convergence of events, Yugoslavia served as an experimental field for the American project to remake the world. Yugoslavia was an experimental field for hard power, in the bombing of Yugoslavia, but also and even more so for soft power: propaganda and manipulation. Techniques tried out in Yugoslavia were later used in one country after another – notably the “color revolutions” which began in Belgrade on that October 5.
Serbia has been and continues to be the victim of an historic injustice and the object of ongoing slander. It is understandable, probably inevitable that Serbs try to escape from this intolerable present by projecting themselves into a mythical heroic past or a mythical idyllic future within the European Union. To some extent this may reflect a generational split, with an older generation recalling the mythical past and the younger generation anticipating the mythical future. 
Meanwhile, I have the impression that Serbia’s pro-Western leaders are very confused about the present. It strikes me that these leaders, who identify so closely with the West, totally fail to understand it. Sometimes I have the impression that the Serbian bourgeoisie identifies with a kinder, gentler America that may have existed in the past, but does not exist today. They appear to believe, quite sincerely, that being nice to the West, the West will be nice to them. They don’t know with whom they are dealing. They don’t seem to have heard of a familiar American saying, “Nice guys finish last”. In this ruthless world, being nice simply means that you are a loser, and that it costs nothing to keep cheating and beating you.
The United States and its NATO satellites are engaged in a world conquest of a new kind. It is active everywhere and yet almost invisible. The grotesquely enormous U.S. military machine continues to seek “full-spectrum” military superiority to control everything that goes on from underground to outer space, with close to one thousand overseas military bases around the globe, and vigorous programs to transform the erstwhile defense forces of other countries into specialized “tool boxes” for use in whatever war the U.S. may see fit to start anywhere in the world. Every day the United States engages in joint military exercises with client States at some point or another on the globe. Being an ally of the United States entails being unable to defend oneself, but being able to help the United States attack some other country.
And nice guys finish last.
Serbia’s stigmatization continues. Western newspapers ignore Serbia unless there is something negative to say. In France, the weather maps that show temperatures in world capitals skip over Serbia – a non-country. The only ones who manage to break through this barrier are tennis stars – apparently the sports world has its own autonomy. But not everyone in Serbia can be a tennis star. Outside the tennis courts, Serbia continues to bear the stigma of “extreme nationalism”, “ethnic cleansing”, “the worst massacre in Europe since World War II”, even “genocide”.
The persistence of this stigmatization calls for explanation. It was only a few years after the end of World War II that the Federal Republic of Germany was accepted into NATO and recognized as an ally of the West. The rapidity of Germany’s rehabilitation had two reasons which do not apply to Serbia. First of all, Germany was an industrial power-house, an economic power whose recovery was essential to the economy of the victorious United States itself. Second, there was the common enemy: the Soviet Union.
Some Serbs have obviously hoped that the “common enemy” factor could help rehabilitate Serbia. The common enemy being, in this case, Islam. Some admirable friends of Serbia entertain this hope, quite sincerely, but with all due respect I wish to voice objections to this approach.
One must keep in mind the role assigned to Serbs in the war game: that of racist enemies of Muslims. This stereotype is only reinforced when Serbs say anything against Muslims. The U.S. game has been to use support for Muslims in Bosnia and Kosovo to please leaders in the Muslim world. In 2007, the late congressman Tom Lantos, who at the time was chairman of the House foreign affairs committee, referred to independence for Kosovo as "just a reminder to the predominantly Muslim-led governments in this world that … the United States leads the way for creation of a predominantly Muslim country in the very heart of Europe." 
The myth of Serb “genocide” against Muslims serves to make US and Israeli wars against Muslims look almost humanitarian in comparison. To see things in terms of a conflict between the Christian West and the Muslim world plays into the hands of those who used Yugoslavia as their experimental laboratory for conquest. It fails to grasp the big picture. It points to the wrong enemy. It was not the Muslim world which destroyed Yugoslavia, it was NATO. It was not the Muslim world that detached Kosovo from Serbia, or could have done so – it was NATO. 
As a personal note, I must tell you that when I have visited Algeria and Libya, I have encountered intellectuals whose sympathy is with the old Yugoslavia and with Serbia. This is true also of Turkey, which may be more surprising.
In the context of the NATO project of world conquest, the choices made by Serbia have broader significance than may be perceived. When Serbia turns its back on the rest of the world in its single-minded desire to win approval from the NATO powers that stole Kosovo, it is proving that aggression pays. 
Serbia will not be treated as an equal until it fights back on the propaganda front. So long as the nation is stigmatized as “genocidal”, it cannot make any claim to Kosovo, or to anything else. A pariah nation can only beg on its knees.
Shakespeare wrote these lines,
“Who steals my purse steals trash… but he that filches from me my good name robs me of that which not enriches him, and makes me poor indeed.”   Let me say that the loss of Kosovo, however brutal and unjust, is minor compared to the loss of Serbia’s good name. Serbian leaders have set the wrong priorities, putting futile gestures to recover Kosovo ahead of serious efforts to restore Serbia’s reputation. 
Serbia does not have the military force to recapture Kosovo from NATO. It cannot fight successfully on the hard power battlefield. But it could at least try to fight on the battleground of words, images, ideas.
The totally biased trials in The Hague were designed to justify NATO aggression by establishing Serbia’s guilt. And yet, the long trial of Milosevic, and the current endless trial of Vojislav Seselj, have failed to do so. However, this is hidden from world public opinion. The real faults of those defeated politicians are insignificant compared to the implications of their demonization. Serb patriots should make use of the testimony in those trials to establish the truth and restore Serbia’s honor. They should do research, write books, make films, talk to the world. Not only the world, but even more the younger generations of Serbs, should be made to understand the tragedy – not to weep, nor to seek revenge, but to know the truth and live in freedom, independence and dignity. Only the truth can make you free.



Iniziative a Trieste

1) 8 OTTOBRE: “LA RIVOLTA OPERAIA DEL 1920 A SAN GIACOMO”

2) 17 OTTOBRE: apposizione di una targa all'ex sede dell'Ispettorato Speciale di PS / APPELLO PER LA REALIZZAZIONE DI UN MUSEO


=== 1 ===

La rivolta degli operai italiani e sloveni del rione di San Giacomo nel settembre 1920, a Trieste, costituisce un alto e significativo momento della lotta dei movimenti operai del Paese. Non si era ancora spenta la lunga occupazione delle fabbriche che fu per la borghesia e lo stato la “grande paura”. Qui da noi la rivolta fu diretta contro il potere oppressivo espresso allora da una gerarchia militare, e poi civile, sorda ad ogni istanza dei lavoratori.  Quella coraggiosa  insurrezione  ancora oggi stranamente ignorata e dimenticata,  va inserita nella volontà di resistere alla violenza delle squadre fasciste particolarmente efficienti e brutalmente violente nella città di Trieste, da poco passata sotto il controllo del regio esercito italiano, ma non ancora annessa all’Italia.  Erano passate poche settimane dall’incendio del Narodni Dom, la sede delle organizzazioni slovene, provocato da una squadra fascista agguerrita e protetta dall’esercito. E va ad unirsi idealmente alle lotte in nome del socialismo e dell’anarchismo, in Emilia-Romagna e in val padana e in buona parte dell’Italia, per la difesa delle Case del Popolo. Idealmente si collega agli scioperi antifascisti delle città industriali del nord nel 1943 e 1945 nel contesto della lotta partigiana per la liberazione.

VENERDÌ 8 OTTOBRE ORE 17:00

PRESSO L’EDIFICIO DEL NARODNI DOM,
ORA SCUOLA INTERPRETI DELL’UNIVERSITÀ, A TRIESTE,  VIA FILZI N° 14

 

INCONTRO DIBATTITO

“LA RIVOLTA OPERAIA DEL 1920

A SAN GIACOMO”

 

Interverranno:

Marina ROSSI, storica

Paolo NICCOLINI, operaio dirigente CGIL;

Miro IVANCIC, figlio di un insorto di San Giacomo;

Claudio Venza, storico,

Claudio COSSU, cittadino

 

 

 Cittadini Liberi ed Eguali   

Coordinamento Antifascista di Trieste

info: antifa-ts@...  


=== 2 ===

COMUNICATO - APPELLO.
 

Il 17 ottobre, alle ore 11, l'Anpi di Trieste poserà una targa commemorativa sull'ex caserma dei Carabinieri di via Cologna 6 a Trieste, dove ebbe sede, dal dicembre 1944 alla fine della guerra, il tristemente noto Ispettorato Speciale di PS, struttura creata per la repressione antipartigiane e che si macchiò di nefandezze e crimini.
La Provincia di Trieste, proprietaria dell'edificio, ha deciso di metterlo all'asta ed al suo posto dovrebbe sorgere un complesso residenziale.
Per evitare che la speculazione edilizia dia una mano all'ennesima manovra di cancellazione della memoria storica, chiediamo che la caserma rimanga di proprietà pubblica e vi si realizzi un museo, come quello esistente in via Tasso a Roma.
Vi chiediamo di far conoscere questo problema e far girare l'appello.
Ora e sempre Resistenza!
 
Claudia Cernigoi
Trieste
 
All'indirizzo sotto segnalato un articolo sull'attività dell'Ispettorato speciale nei mesi in cui ebbe sede in via Cologna, oggi inserito nel sito della Nuova Alabarda
 
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-l%27ispettorato_speciale_di_ps_di_trieste_nella_sede_di_via_cologna..php
 
Sempre dal sito della Nuova Alabarda, gli altri articoli sull'Ispettorato speciale:
 
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-note_sull%27ispettorato_speciale_di_ps_%28banda_collotti%29.php
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_il_rastrellamento_di_bor%9At..php
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_la_storia_di_lojze_bratu%9E_e_ljubka_%8Aorli..php
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-giornata_della_memoria_2009%3A_metodi_repressivi_dell%27ispettorato_speciale_di_ps..php

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L’ISPETTORATO SPECIALE DI PS DI TRIESTE NELLA SEDE DI VIA COLOGNA.

La Provincia di Trieste ha deciso di mettere all’asta l’ex caserma dei Carabinieri di via Cologna 6 e 8, e la stampa ha riferito che al suo posto dovrebbe sorgere un complesso residenziale.
Dato che in questo Paese la memoria storica, soprattutto quella che dovrebbe ricordare le cose “scomode”, tende a perdersi, non molti ormai sanno che dall’autunno del 1944 all’aprile del 1945 la caserma (che era stata sede di una tenenza dei Carabinieri fino al 25 luglio 1944, data di scioglimento dell’Arma su ordine del comando germanico) era divenuta la sede dell’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza, il corpo di repressione appositamente creato dal fascismo per “infrenare l’azione terroristica delle bande slave e difendere l’italianità di queste terre” (questa la definizione data dall’ispettore generale Giuseppe Gueli, dirigente la struttura, in una missiva che indirizzò nel 1947 alla Corte speciale di Trieste quando non si presentò al processo che lo doveva giudicare per i crimini di cui si macchiò l’Ispettorato).
Dell’attività repressiva di questo corpo (noto anche come “banda Collotti”, dal nome del commissario Gaetano Collotti, comandante la “squadra volante” che si occupava specificatamente delle operazioni, rastrellamenti, arresti ed interrogatori, e di conseguenza anche delle violenze sui prigionieri) e dei crimini commessi dai suoi componenti abbiamo parlato svariate volte (si vedano gli articoli pubblicati nel nostro sito di cui indichiamo i link in calce); in questa sede ci limiteremo a parlare del trasferimento della struttura dalla prima sede in via Bellosguardo (una villa requisita alla famiglia israelita Arnstein) a quella di via Cologna.
Il 17 ottobre, a cura dell’Anpi provinciale sarà posta una targa a ricordo di coloro che furono imprigionati e torturati nella sede di via Cologna, alcuni dei quali poi trovarono la morte fucilati dai nazifascisti o nei campi di sterminio. Un ricordo particolare lo vorremmo dedicare a Maria Merlach, la trentatreenne partigiana Maja di Servola che, secondo il racconto di una sua compagna di prigionia, “era stata torturata con la macchina elettrica e disse che preferiva darsi la morte anziché avere a che fare con quella gente. Il giorno in cui vennero gli agenti per prenderla di nuovo e condurla all’Ispettorato, la Merlach in preda ad una convulsione nervosa, si mise a piangere fortemente e diceva povera me, pregate perché io muoio” (testimonianza di Ada Benvenuti, in archivio IRSMLT n. 914).
Probabilmente l’Ispettorato operò il trasloco in via Cologna perché la villa di via Bellosguardo era stata danneggiata nel corso di un bombardamento, e lo spostamento avvenne tra la fine di novembre ed i primi di dicembre del 1944. 
Una testimonianza resa nel 1947 in sede istruttoria del processo a “Gueli e soci” dice che “gli abitanti delle case vicine alla Villa Trieste dove aveva sede l’Ispettorato (…) dal 15 giugno 1942 al dicembre del ‘44, sentivano di notte e di giorno grida di detenuti, uomini e donne seviziati” (archivio IRSMLT n. 914)
In un appunto dattiloscritto, redatto da un anonimo informatore del movimento di liberazione e datato 30/10/44 leggiamo che “l’Ispettorato è stato traslocato in via Cologna: è tuttora in corso di sistemazione” (in archivio dell’ANPI di Trieste busta 10); mentre l’agente Giuseppe Giacomini dichiarò, in sede processuale, che l’Ispettorato si trasferì in via Cologna “ai primi di dicembre” (archivio IRSMLT n. 914).
In molte testimonianze inserite nei fascicoli delle inchieste a carico di membri dell’Ispettorato condotte dal Tribunale militare di Ajdovščina (in Arhiv Slovenje, SI AS 1827 fascicolo 34) si legge che gli arrestati furono condotti in via Bellosguardo fino a tutto novembre 1944. In una di queste note leggiamo che il 27/11/44 gli agenti di Collotti Luciani e Cerlenco arrestarono Wilma Varich e la imprigionarono in via Bellosguardo, dove fu torturata, poi condotta al carcere dei Gesuiti e successivamente per 80 giorni nuovamente detenuta all’Ispettorato, però in via Cologna, prima di essere inviata al Coroneo e poi in Germania. Possiamo quindi presumere che il trasloco effettivo si svolse in dicembre e che per un certo periodo l’Ispettorato usò ambedue le sedi.
Possiamo qui inserire anche alcune annotazioni relativamente ad azioni della lotta partigiana. La prima è una testimonianza di Giorgio Marzi (raccolta nel luglio 2003), che ha narrato di un attentato fallito contro Gaetano Collotti. Nel 1944 il commissario abitava in via Piccardi ed ogni mattina un’automobile veniva a prenderlo per portarlo in via Bellosguardo. Un giorno dell’inizio di settembre un gruppo di gappisti aveva atteso che la macchina partisse con Collotti a bordo e la bloccò con un furgone prelevato alla ditta di pompe funebri Zimolo. Ma l’arma che doveva sparare si inceppò e l’attentato fallì. Secondo Marzi sarebbe stato proprio dopo questo attentato che l’Ispettorato decise il trasferimento da via Bellosguardo in via Cologna. Nella circostanza inoltre Collotti lasciò l’abitazione di via Piccardi e si stabilì, assieme alla propria convivente Pierina Martorelli, in un appartamento ricavato all’interno della caserma di via Cologna. Il commissario si recava ogni mattina a messa nella chiesa dei Gesuiti di via del Ronco, vicina a via Cologna, e ad un certo punto i GAP avevano pensato di organizzare un attentato proprio in chiesa, idea però subito accantonata per le ripercussioni che avrebbe potuto avere dal punto di vista politico.
Di un altro attentato che era stato progettato nella primavera del ‘45, ha parlato invece Nerino Gobbo (testimonianza raccolta nel dicembre 1998): l’idea era di passare attraverso le condotte fognarie partendo dalla zona della Rotonda del Boschetto, a due chilometri circa da via Cologna, e di piazzare dell’esplosivo sotto la sede dell’Ispettorato. Anche questa idea fu accantonata, sia perché le piogge primaverili avevano ingrossato i torrenti e di conseguenza reso impraticabili le condotte, ma soprattutto perché erano troppi i partigiani imprigionati nella caserma e l’esplosione avrebbe ucciso anche loro.
Con molta probabilità tutti gli arrestati nel corso dei rastrellamenti effettuati dall’Ispettorato da gennaio 1945 fino alla fine della guerra passarono per la caserma di via Cologna. Ricordiamo qui le operazioni di maggiore entità, riportando alcuni dei nomi che abbiamo rintracciato.
Tra il 27/12/44 ed il 2/1/45, in seguito ad un’operazione nella zona di Sottolongera furono arrestate le seguenti persone:
Carlo Grgič, nome di battaglia “Filtro”, operaio alla fabbrica di birra Dreher ed attivista dell’OF fu arrestato la sera del 27 dicembre 1944 alla trattoria Bellavista di Strada per Longera. Fu rilasciato quasi subito.
Bruno Kavčič classe 1922, arrestato il 31/12/44 in Strada per Longera, fu portato in via Cologna, interrogato e torturato fino al 15 aprile. Condotto al Coroneo, fu fucilato il 28/4/45 ad Opicina. 
Kavčič Giuseppe, padre di Bruno, fu arrestato lo stesso giorno e portato in via Cologna, interrogato, torturato, dopo tre giorni fu trasferito ai Gesuiti e poi al Coroneo; il 24/2/45 fu inviato a Dachau dove morì il 18/4/45.
La madre di Bruno, Antonia Kavčič, fu arrestata l’1/1/45 nella casa della sorella dove era riparata dopo l’arresto del marito. Fu portata in via Cologna, poi imprigionata Gesuiti e al Coroneo. Il 24/2/45 fu inviata in Germania; liberata dagli inglesi rientrò a Trieste il 15/8/45.
A questi arresti avrebbero collaborato, secondo le accuse raccolte nel dopoguerra dal Tribunale militare di Ajdovščina, gli agenti Cerlenco, Luciani, Nussak e Soranzio.
Tra l’8 ed il 10 gennaio 1945 si svolse una grossa operazione di rastrellamento a Boršt (S. Antonio in Bosco). Furono uccisi tre attivisti del Fronte di liberazione. Ivan Grzetic (Žitomir), classe 1922, che era stato incaricato dalla VDV di organizzare i collegamenti radio; Stanko Gruden (Carlo), classe 1926 e Dušan Munih (Vojko, ma si trova anche come Darko), classe 1924, comandante dei servizi di sicurezza a Trieste. A questi bisogna aggiungere Danilo Petaros (Lisjak), nato a Boršt nel 1924, catturato dopo essere stato gravemente ferito, che risulta ucciso in Risiera il 5/4/45. 
Uno degli arrestati era il sedicenne Jordan Zahar, che fu arrestato il 10 gennaio, condotto in via Cologna e torturato: “nel lungo corridoio della caserma di Collotti”, ricorda, “ci contarono e ci divisero; in mezzo giaceva Romano Rapotec, delirante di febbre, sulla sedia accanto a lui stava Danilo Pettirosso piegato in due per la ferita al ventre, attorno a loro sedici tra ragazze, donne e vecchi che fissavano in silenzio il vuoto accanto a sé”.
Zahar ha narrato anche un altro fatto: “nel dicembre del 1945 dovevo richiedere la carta d’identità, e l’ufficio che le rilasciava era situato in via Cologna, nell’ex sede dell’Ispettorato. Quando arrivai lì dentro e vidi che l’ufficio per le carte d’identità era stato sistemato proprio in una delle stanze in cui si torturava e che l’appendiabiti a cui era stato legato un mio compagno per essere torturato era nello stesso posto in cui si trovava otto mesi prima, mi sentii male, ero quasi deciso ad andarmene e rinunciare a richiedere i documenti. Vidi anche che due degli agenti di Collotti erano rimasti a lavorare lì, li avevano adibiti al servizio carte d’identità. Anche loro mi riconobbero, ma non ci dicemmo nulla” (testimonianza giugno 2002).
Il 13/3/45 un rastrellamento si svolse a Ricmanje (S. Giuseppe della Chiusa): furono arrestate una ventina di persone tra le quali il quattordicenne Bogdan Berdon. In quanto minorenne fu rinchiuso al Coroneo, e venne rilasciato il 20 aprile assieme alla diciottenne Maria Coretti, perché in occasione del “genetliaco” di Hitler, era uso delle autorità germaniche fare dimostrazione di “magnanimità”, liberando detenuti giovanissimi o donne. 
Il 14/3/45 un’operazione svoltasi nella zona di Guardiella San Cilino portò all’arresto di Ruggero Haas e sua moglie Albina Brana, detenuti in via Cologna, poi al Coroneo e fucilati il 28/4/45 ad Opicina; anche la sorella di Ruggero, Emilia Haas fu arrestata, ma non fu deportata perché già gravemente malata, e morì qualche tempo dopo.
Il 21/3/45 un rastrellamento nella località di Longera causò la morte di quattro partigiani: Andrej Pertot (Hans), 44 anni, Pavel Petvar (Komandir Pavle), 22 anni, Angel Masten (Radivoj), 21 anni, Evald Antončič (Stojan), 21 anni. Quasi tutti gli abitanti del villaggio furono arrestati, molti di loro (non ne conosciamo il numero esatto) furono condotti in via Cologna e torturati. Tra essi le giovanissime Milka Čok e Meri Merlak, alla quale furono mostrate una serie di bare e fu detto che in una di esse era servita per una donna con il suo stesso nome (evidente il riferimento alla Maria Merlach che si uccise per le torture cui era stata sottoposta).
Anche alcuni esponenti del CLN italiano furono arrestati dall’Ispettorato e passarono per via Cologna. Tra essi ricordiamo: Paolo Blasi, redattore della stampa clandestina democristiana, arrestato il 9/2/45; Carlo Dell’Antonio, esponente del CLN, vicecomandante della divisione “Domenico Rossetti” ed a capo dell’ufficio informazioni militari della DC, arrestato verso metà febbraio ’45: sia Blasi, sia Dell’Antonio sarebbero evasi da via Cologna in circostanze non ben chiarite.
Inoltre furono detenuti in via Cologna: l’avvocato Ferruccio Lauri, arrestato il 15/1/45; i familiari (la moglie ed i due figli Alice e Sigfrido) di Mario Maovaz (il corriere del Partito d’Azione, arrestato il 16/1/45 e fucilato il 28/4/45). Alice Maovaz e sua madre dissero alla loro vicina di casa ed amica Maria Ursis, anch’essa imprigionata e poi torturata in via Cologna “che le avevano seviziate ed entrarono in particolari che mi facevano venire la pelle d’oca e che non avrei voluto sentire” (dal “Diario di prigione” di Maria Ursis, in archivio IRSMLT 908).
Infine in via Cologna avvenne l’incontro tra l’emissario della “missione Nemo” del Regno del Sud Luigi Podestà (collegato con il CLN triestino di don Marzari) ed il commissario Collotti, in seguito al quale i due svilupparono l’accordo che Podestà avrebbe informato Collotti sui movimenti della Resistenza jugoslava, mentre Collotti avrebbe aiutato Podestà nello “svolgimento del suo compito” fornendogli anche mezzi dell’Ispettorato, in modo tale da “far valere i suoi meriti all’arrivo degli Alleati” (dalla relazione redatta da Podestà in archivio IRSMLT 867).
In conclusione vorremmo ricordare che già la prima sede dell’Ispettorato, quella di via Bellosguardo, è stata demolita per lasciare spazio ad un complesso residenziale. Permettere che venga distrutta, assieme alla caserma di via Cologna, anche l’ultima memoria dei crimini dell’Ispettorato speciale sarebbe gravissimo, anche se coerente con le operazioni di cancellazione della memoria del nazifascismo e della Resistenza, in atto da anni nel nostro Paese.
Ci rivolgiamo pertanto ad amministratori, storici, a tutta la cittadinanza che è ancora sensibile a questi problemi, per chiedere che via Cologna rimanga di proprietà pubblica e diventi un punto di informazione, di memoria, come il museo di via Tasso a Roma, per fare sì che certi fatti non vengano dimenticati, per fare sì che non si ripetano mai più.

Ottobre 2010


(srpskohrvatski / italiano)

La Serbia a 10 anni dal golpe di destra e anti-jugoslavo

1) L'80% dei serbi rimpiange Tito
2) La profezia si è avverata / Ne napadaju oni Srbiju zbog Miloševića nego napadaju Miloševića zbog Srbije

Dal Forum di Belgrado, sul decennale del golpe in Serbia, segnaliamo anche gli atti della Tavola Rotonda tenuta il 27/5 u.s.:
Округли сто 27 мај 2010. & Зборник излагања учесника округлог стола
Слободан Рељић, др Борислав Јовић, др Станислав Стојановић, проф. Зоран Аврамовић, Раде Брајовић
http://www.beoforum.rs/index.php?option=com_content&view=article&id=150:okrugli-sto-27-maj-2010-zbornik-izlaganja-ucesnika-okruglog-stola&catid=42:okruglistolovi&Itemid=71


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L'80% dei serbi rimpiange Tito

(fonte: Il Piccolo, 2 ottobre 2010)

A 10 anni dalla caduta di Slobodan Milosevic, in Serbia l'80% della popolazione rimpiange Tito e il regime socialista dell’ex Jugoslavia, mentre al contempo quasi il 25% dei cittadini ritiene che a governare ora la Serbia siano i criminali.
In un sondaggio dell'Istituto della socialdemocrazia Friedrich Ebert e del Centro demoscopico Cesid, serbo, e apparso ieri sul quotidiano ”Danas”, 80 serbi su 100 hanno detto di ritenere che il periodo migliore per il Paese sia stato il socialismo di Tito, per il 6% l'era migliore è stata quella di Milosevic (1987-2000), mentre il 10% degli intervistati ha detto di ritenere che l'epoca attuale sia la migliore per il Paese. Nello stesso sondaggio è stato chiesto ai serbi di dire chi governi attualmente nel loro Paese: la maggioranza, il 23%, ha indicato la criminalità, il 18% presidente, governo, parlamento e premier, un altro 18% gli imprenditori, il 14% i partiti politici, il 12% la comunità internazionale, mentre un 15% ha detto di non sapere chi governi la Serbia. Il regime di Milosevic cadde il 5 ottobre 2000 sotto la pressione della protesta popolare [sic].


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La profezia si è avverata

Già un anno fa (25 settembre 2009), la rivista belgradese "Pecat" pubblicava un articolo intitolato "La profezia avverata" (Obistinjeno prorocanstvo) nel quale si ricordava il discorso di Slobodan Milosevic del 2 ottobre 2000. L' articolista, il redattore capo Milorad Vucelic, terminava l'articolo così: "Come un'eco risuonano tuttora nel nostro Paese le parole che il 2 ottobre del 2000, nella Serbia allora ancora libera, pronunciò il Presidente Slobodan Milosevic. La profezia si è avverata".
Di nuovo oggi la rivista pone il tema all'ordine del giorno e ripubblica quel discorso televisivo di Milosevic, titolando con la frase più significativa: "Non colpiscono la Serbia a causa di Milosevic, ma colpiscono Milosevic a causa della Serbia".


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Ne napadaju oni Srbiju zbog Miloševića nego napadaju Miloševića zbog Srbije

Broj 134 | Piše: Uglješa Mrdić • 30. septembar 2010

Govor Slobodana Miloševića pred drugi krug predsedničkih izbora 2. oktobra 2000. godine, u kojem je tadašnji predsednik SRJ predočio građanima kakve će biti političke, nacionalne, ekonomske, socijalne, naučne i kulturne posledice, ukoliko vlast u državi preuzme DOS. Deset godina posle Petog oktobra svedoci smo da su se Miloševićeve mračne slutnje, nažalost, u potpunosti ostvarile.


Pštovani građani, pred drugi krug izbora želim da vas na ovaj način upoznam sa svojim viđenjem izbornih i političkih prilika u našoj zemlji, posebno u Srbiji. Kao što i sami znate, punu deceniju traju napori da se Balkansko poluostrvo stavi pod kontrolu nekih zapadnih sila. Veliki deo tog posla je obavljen uspostavljanjem marionetskih vlada u nekim zemljama, pretvaranjem tih zemalja u zemlje ograničenog suvereniteta, ili zemlje lišene svakog suvereniteta. Zbog našeg otpora takvoj sudbini za našu zemlju, mi smo bili izloženi svim pritiscima kojima u savremenom svetu ljudi mogu biti izloženi. Broj i intenzitet tih pritisaka umnožavao se kako je vreme prolazilo.

Svoje iskustvo u drugoj polovini dvadesetog veka koje velike sile imaju u rušenju vlada, izazivanju nemira, podsticanju građanskih ratova, kompromitovanju i likvidiranju boraca za nacionalnu slobodu, dovođenja država i naroda na rub siromaštva – sve je to primenjeno na našu zemlju i narod. Događaji koji su organizovani za naše izbore su, takođe, deo organizovane hajke na zemlju i narod, zato što su naša zemlja i narod barijera uspostavljanju potpune zapadne dominacije na Balkanskom poluostrvu.

OKUPACIJA I RASPARČAVANJE SRBIJE U našoj javnosti je već dugo prisutna grupacija koja, pod imenom opozicione političke partije demokratske orijentacije, zastupa interese vlada koje su nosioci pritiska na Jugoslaviju, a posebno na Srbiju. Ta grupacija se na ovim izborima pojavila kao Demokratska opozicija Srbije. Njen stvarni šef nije njihov kandidat za predsednika države. Njihov dugogodišnji šef je predsednik Demokratske stranke i saradnik vojne alijanse koja je ratovala protiv naše zemlje. On svoju saradnju sa tom alijansom nije mogao ni da sakrije. Uostalom, čitavoj našoj javnosti je poznat njegov apel NATO-u, da se Srbija bombarduje onoliko nedelja koliko je neophodno da bi se njen otpor slomio. Na čelu tako organizovane grupacije na ovim izborima nalazi se, dakle, zastupnik vojske i vlada koje su nedavno ratovale protiv Jugoslavije. Zastupajući te interese, iz ove grupacije su našoj javnosti poslate poruke – da će sa njima na čelu Jugoslavija biti izvan svake opasnosti od rata i nasilja, da će doći do ekonomskog prosperiteta, vidno i brzo ostvarenog višeg standarda, takozvanog povratka Jugoslavije u međunarodne institucije, i tako dalje.

Poštovani građani, moja je dužnost da vas javno i na vreme upozorim da su ta obećanja lažna. I da stvari stoje obrnuto, jer upravo naša politika garantuje mir – a njihova samo trajne sukobe i nasilje. A evo zašto. Uspostavljanjem vlasti koju podržava, odnosno koju instalira zajednica zemalja okupljenih u NATO alijansi, Jugoslavija bi neizbežno postala zemlja čija bi se teritorija brzo rasparčala. To nisu samo namere NATO-a, to su i predizborna obećanja Demokratske opozicije Srbije. Od njihovih predstavnika smo čuli da će Sandžak dobiti autonomiju za koju se član njihove koalicije Sulejman Ugljanin, vođa separatističke muslimanske organizacije, zalaže već deset godina i koja faktički definitivno izdvaja Sandžak iz Srbije. Njihova su obećanja takođe vezana za davanje autonomije Vojvodini koja je takva da je ne samo izdvaja iz Srbije i Jugoslavije, već je, po svemu, čini sastavnim delom Mađarske. Na sličan način bi se odvojila od Srbije i druga područja, naročito neka njena rubna područja. Njihovo pripajanje susednim državama odavno je vruća tema tih država, koje stalno podstiču pripadnike manjina tih država u Jugoslaviji da daju doprinos prisjedinjenju delova naše zemlje susednim državama.

Više u 134. broju magazina “Pečat”





CASTA DIVA


Tale era Norma secondo Vincenzo Bellini ed il suo librettista, Felice Romani. << Fiore strappato dalla zolla, quando era sul punto di sbocciar >> è invece Norma nel periodare, non meno melodrammatico, dei revanscisti istro-dalmati:
http://www.anvgd.it/index.php?option=com_content&task=view&id=9888&Itemid=111

Ma chi era Norma?

...Norma Cossetto (...) era anche un alto gerarca del regime fascista, esponente del GUF (Gioventù Universitaria Fascista), figlia di un ricco possidente a sua volta segretario del Fascio a Santa Domenica di Visinada. La Cossetto fu vittima di atrocità perpetrate da un manipolo di cosiddetti "cani sciolti", che furono catturati dai fascisti e giustiziati assieme ad altre quattordici persone da fascisti repubblichini. Per quanto atroce sia stata la sua morte, per Norma Cossetto furono prese ben 17 vite. Quello che dai documenti e dalle testimonianze storiche risulta evidente è che Norma Cossetto morì da fascista, inneggiando al Fascio. Sicuramente un esempio di coerenza e di militanza politica, ma siamo sicuri che meriti una medaglia dall'Italia Repubblicana?...

(Igor Canciani, segretario provinciale PRC Trieste
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=7784 )

COSSETTO Norma, Istria 1943, infoibata a Villa Surani.
"Giovane vita tutta dedicata allo studio e alla Patria", leggiamo nel necrologio apparso sul "Piccolo" del 16/12/43. La vicenda di Norma Cossetto è però controversa. La giovane, figlia di Giuseppe Cossetto, era stata attiva nelle organizzazioni giovanili fasciste, e delle sevizie cui sarebbe stata sottoposta l'unica "testimonianza" che viene
citata è quella di una donna, della quale non viene mai fatto il nome, che avrebbe visto, dall'interno della propria casa in cui stava nascosta con le finestre sbarrate, quello che accadeva nella scuola di fronte a casa sua, anch'essa con le finestre chiuse. Dal verbale redatto dal maresciallo Harzarich dei Vigili del Fuoco di Pola, che aveva diretto i recuperi dalle foibe istriane, il corpo della giovane non appare essere stato oggetto delle mutilazioni di cui parlano le "cronache", né sarebbe stato possibile stabilire, con le conoscenze mediche dell'epoca, se fosse stata violentata prima di essere uccisa.

(da "La Nuova Alabarda", n. 203 - 2/2006)

Norma Cossetto pag. 32-33 ..... i vigili del fuoco di Pola, al comando del maresciallo Harzarich recuperarono la sua salma: era caduta nuda, supina.....; aveva ambedue i seni pugnalati ed altre parti del corpo sfregiate.
Al Rocchi piace le descrizioni crude, non per niente nell'intervista dice che è un uomo violento o qualcosa del genere.
Strano che il rapporto di Harzarich dica: "e il suo corpo non presentava a prima vista segni di sevizie. Sembrava dormire  e neppure lontanamente si poteva immaginare che fosse morta da diverse settimane (... .... la salma non era per niente in putrefazione, era ancora intatta." Arch. IRSMLT n. 346
Come è possibile che un corpo possa rimanere intatto per 44 giorni?
Ci sono parecchi dubbi sul fatto. Dicono cha accanto al corpo siano state trovate 17 bustine con la stella rossa (Il Piccolo, 16/12/43). Strano ancora che Rocchi parli di "17 torturatori" (pag. 34) esattamente quante erano le bustine trovate nella foiba. Era proprio nella foiba da 44 giorni??? 

(fonte: N.L. sulle falsificazioni contenute nel libro di Padre Flaminio Rocchi, si veda: 
https://www.cnj.it/documentazione/IRREDENTE/medaglie_infoibati.htm#cossetto )



I crociati della menzogna


"La prima libertà della stampa consiste nel non essere un’industria, un mestiere" CARLO MARX

Non da oggi la stampa è un potente strumento di cui si serve la classe dominante per mantenere la sua dittatura. Il grande capitale non domina solo con le banche, i monopoli, il potere finanziario, il tribunale e la polizia, ma con i mezzi quasi illimitati della sua propaganda e della corruzione ideologica. Mai, però, come oggi, il malcostume della stampa capitalista si è manifestato in forme così volgari e abiette. Vi fu un'epoca, agli inizi dell'età moderna, fino alle rivoluzioni del secolo XVIII in cui, come ebbe a scrivere Lenin, la lotta per la libertà di stampa ebbe la sua grandezza perché era la parola d'ordine della democrazia progressiva in lotta contro le monarchie assolute, il feudalesimo e la Chiesa. Ma nella fase di decadenza del capitalismo la stampa conservatrice e reazionaria ha perduto ogni senso morale e ogni pudore. Il giornalismo al servizio dei gruppi imperialisti è una forma corrente di prostituzione. Il capitalismo in putrefazione ha bisogno per reggersi di mentire continuamente. La realtà lo accusa: dunque dev'essere falsificata. La fabbrica della menzogna è diventata arte, tecnica, norma di vita. Non si deve sottovalutare il pericolo rappresentato dalla propaganda e dalle menzogne del nemico. La menzogna, anche la più grossolana riesce sempre, soprattutto quando è insistentemente ripetuta, a ingannare una parte dell'opinione pubblica. La ripetizione sino all'abbrutimento su quasi tutti i giornali e alla radio della stessa notizia falsa, riesce quasi sempre a disorientare, a creare confusione, a falsare il giudizio non solo degli ingenui, ma anche di molte persone di spirito. Quanti, ad esempio, il 25 giugno u.s. e dopo, hanno finito per credere che i coreani del nord avessero aggredito i coreani del sud! Non l'hanno detto e ripetuto ogni giorno, ogni ora con esasperante monotonia la radio e il 90 per cento dei giornali? Ciò che è stampato, nero su bianco, ha sempre agli occhi del grande pubblico un valore di verità. Questa tecnica della menzogna ereditata dall’hitlerismo e dal fascismo è applicata e monopolizzata dalla propaganda americana. La stampa è diventata, nei paesi del Patto atlantico, un'industria di montaggio coi produzione standardizzata. I temi ideologici arrivano dall'America assieme ai carri armati: si tratta della parte ideologica del piano Marshall. Veramente non so se si possa parlare di ideologia, giacchè non si tratta mai di argomentazione seria, ma di disinformazione, di propaganda subdola che non tende a convincere i più intelligenti, ma che ha lo scopo dichiarato di conquistare la parte più arretrata, di influire sulla parte meno esperta del pubblico e di soddisfare i gusti più bassi. Tutta la “propaganda” organizzata in tutti i paesi capitalisti dall’imperialismo americano e dalle sue agenzie è un cumulo di menzogne. Basta dare uno sguardo alla stampa dei vari paesi per accorgersi che gli stessi temi vengono trattati in Inghilterra, in Francia, in Italia, in Belgio, con le stesse parole d'ordine, gli stessi slogan vengono lanciati dappertutto contemporaneamente. Ultima e più recente, la crociata della verità è stata iniziata da Truman e condotta per suo ordine in tutti i paesi alleati dal Patto atlantico. In Italia come in Inghilterra, come in Francia viene condotta la stessa campagna, sugli stessi temi, nella stessa forma, con gli stessi argomenti, con eguali parole: quinte colonne, traditori della patria, ecc. ecc. Gli scioperi vengono presentati come sabotaggio, le lotte sociali come complotti, l'opposizione alla politica di guerra come tradimento. I temi trattati in questi anni dalla stampa americanizzata sia in Francia che in Italia, sono principalmente i seguenti: 1) La riabilitazione in Francia dei collaborazionisti, degli uomini di Petain e di Vichy, e in Italia dei vecchi gerarchi fascisti e anche dei fascisti repubblichini; l'apologia delle imprese e dell'assoluzione di Borghese, di Graziani e degli altri eroi del tradimento e della disfatta. 2) La sistematica diffamazione della Resistenza. Si falsifica la storia della guerra di liberazione nazionale; si vuol far dimenticare che la classe operaia, i lavoratori sono stati la forza motrice e decisiva della Resistenza e della guerra partigiana; che i partiti comunisti sono stati alla testa di quella lotta, l'hanno diretta e organizzata, hanno inviato al combattimento contro lo straniero, per la libertà della patria, le loro forze migliori; si tenta di insinuare, con l’orchestrazione di insistenti campagne, che la guerra di liberazione è stata condotta in Francia dai gaullisti, e in Italia dai conservatori borghesi, dai ‘democristiani’ e si presentano i comunisti come delinquenti che hanno cercato di approfittare della lotta per scopi criminali. 3) La diffamazione e la lotta contro i partiti comunisti, condotta quotidianamente in modo sempre più bestiale. 4) La diffamazione sistematica dell’Unione Sovietica. Quest’ultimo è il tema centrale. Su di esso la stampa americana e filoamericana ritorna continuamente negli articoli, nel notiziario, nell’informazione falsa, nel commento tendenzioso. Lo scopo è evidente. L’imperialismo americano prepara la guerra contro l’Unione Sovietica e contro i paesi a democrazia popolare. La campagna ideologica e propagandistica ha quindi soprattutto per obiettivo l’Unione Sovietica. A dire il vero dal 1917 ad oggi la campagna di calunnie e diffamazione contro l’Unione Sovietica non è mai cessata un istante. Nessun paese del mondo è mai stato sottoposto ad un attacco denigratorio di questa durata. La fabbrica delle invenzioni non è mai in crisi. La stessa merce, le stesse menzogne vengono rimesse in circolazione con esasperante monotonia. Gli stessi argomenti ritornano, abbandonati oggi sono ripresi domani. Vi sono alcune idee fisse alle quali la propaganda del dollaro ritorna senza posa: l’aggressività dell’URSS, l’assenza di democrazia, di partiti, di libertà. Ma queste idee fisse sono ogni giorno accompagnate da un cumulo di notizie false, di testimonianze inventate, di interpretazioni tendenziose. L'antisovietismo e l'anticomunismo sono stati i mezzi più efficaci impiegati da Hitler e Mussolini per ingannare i loro avversari, ubriacare l'opinione pubblica e creare una psicosi di guerra. Non è sempre facile per il grande pubblico comprendere che cosa si cela di falso e di tendenzioso dietro a certe notizie. I fatti s'incaricano poi di ristabilire la verità, ma occorre del tempo e spesso è necessaria una dura esperienza. Quanti prima del 1941 in Italia e negli altri paesi erano convinti che l'Esercito Rosso era tecnicamente arretrato e mal equipaggiato, guidato di capi ignoranti, tenuto assieme solo da una disciplina terroristica, incapace di tener testa ai grandi eserciti moderni! Persino Hitler e Mussolini finirono col credere alle menzogne da essi stessi fabbricate: pensarono seriamente alla conquista di Mosca e dell'intiera Russia. Oggi non è più possibile far credere che l'esercito sovietico è un'accozzaglia di pezzenti e la propaganda antisovietica ha rettificato il tiro. I giornali del Patto atlantico ripetono a sazietà che l'esercito sovietico è una forza immensa, terribile, fanatizzata, pronta a lanciarsi, ad un segnale di Stalin e con l'aiuto delle quinte colonne, alla conquista dell'Occidente e che i cosiddetti “popoli liberi” devono stringersi in un patto di difesa sotto la paterna protezione degli Stati Uniti. Nel campo dell'azione ideologica e propagandistica gli imperialisti americani agiscono in Italia direttamente e indirettamente senza risparmio di mezzi : direttamente con l'invio in Italia di una abbondante letteratura che va dal quotidiano, al settimanale a rotocalco, al romanzo a fumetti, ai giornaletti per fanciulli, alle edizioni italiane del Reader Digest, del Life, del New Week, del Time, ecc.; indirettamente col progressivo accaparramento, pel tramite del partito clericale dominante, di tutta la stampa italiana. Milioni di italiani che ogni giorno leggono Il Messaggero, Il Corriere della Sera, Il Giornale d’Italia, La Stampa, Il Tempo, ecc., ignorano che tutte le notizie provenienti dal mondo intiero e pubblicate su questi giornali vengono cucinate nelle cucine di Hearst e degli altri agenti dell’imperialismo americano. Attualmente si pubblicano in Italia 105 quotidiani dei quali 50 di partito o cosiddetti politici e il rimanente chiamati comunemente “indipendenti” o “di informazione” nonostante la loro smaccata faziosità. Complessivamente questi 105 quotidiani hanno una diffusione giornaliera di tre milioni di copie, ma i due terzi di essi non superano le 30 mila copie di tiratura. I quotidiani democratici non sono più di quindici (il più diffuso di tutti è l’Unità) con una tiratura complessiva di un milione di copie al giorno. Poiché una copia di giornale, specie nelle classi popolari, è letta in media da 3-4 persone, si può ragionevolmente stimare il numero complessivo di lettori quotidiani in 10-12 milioni, concentrati soprattutto nell’Italia settentrionale. Vi sono ancora, specie nell’Italia meridionale, molti comuni dove non arriva alcun giornale, o dove arriva solo un giornale reazionario. Per quanto riguarda la diffusione dei giornali comunisti e democratici il grafico segue la stessa linea discendente dal Nord al Sud, anzi la curva si abbassa ancora di più perché nell'Italia meridionale e nelle isole sono più diffusi i giornali democristiani e di destra che non quelli democratici. Però, se la tiratura dei quotidiani comunisti e democratici corrisponde ad un terzo della tiratura complessiva di tutti i quotidiani, il numero dei loro lettori è proporzionalmente superiore a quello dei giornali di destra e si può calcolare corrisponda non ad un terzo ma al 40-45 per cento del numero totale dei lettori. Nel campo dei settimanali il rapporto è assai più sfavorevole per la stampa democratica, perchè oltre a 150 settimanali politici, l'avversario dispone di una fitta rete di giornaletti parrocchiali nonchè di numerosi settimanali a rotocalco che vanno dall’Europeo, ad Oggi, all’Elefante, alla Settimana Incom e via via sino alla Domenica del Corriere, alla Tribuna Illustrata e simili, molti dei quali a grande tiratura. Per contro il solo settimanale democratico a grande tiratura è oggi Vie Nuove. Subito dopo la liberazione la situazione era molto più favorevole per la stampa democratica, ma progressivamente il grande capitale italiano e americano, per mezzo del partito dominante, delle banche e di alcune imprese editoriali è venuto impossessandosi della grande maggioranza dei giornali decidendo della loro vita e della loro morte. Il Corriere della Sera è tornato ai Crespi, Il Messaggero di Roma e Il Secolo XIX appartengono ai Fratelli Perrone, Il Tempo ad Angiolillo ed a Campilli, Il Giornale d’Italia alla Banca dell’Agricoltura e al conte Armenise, La Stampa alla Fiat, Il Risorgimento, Il Roma e Il Mattino di Napoli all’armatore Lauro e al Banco di Napoli, la Gazzetta del popolo alla società Idroelettrica piemonte, Il Corriere Lombardo all’industriale Cella, Il Gazzettino di Venezia già del conte Volpi di Misurata, al senatore Mentasti e così via. La libertà di stampa sancita dall’art.21 della Costituzione, tende così a diventare una beffa. Quale libertà di stampa vi può essere in un paese dove la grande maggioranza dei giornali sono proprietà monopolistica del partito clericale, del Vaticano e dei grandi industriali dei quali esprimono la politica e gli interessi? Che cosa fare? Noi non possiamo certamente proporci di battere la stampa del Vaticano e dell’America in una gara per l’acquisto di nuovi giornali, di tipografie, ecc.. Saremmo sconfitti in partenza. Ma i dati in nostro possesso ed i pochi più sopra esposti testimoniano che possiamo e dobbiamo battere la stampa reazionaria, clericale e guerrafondaia sul terreno della diffusione. Le sperequazioni che si riscontrano nella diffusione della stampa democratica anche tra province che hanno caratteristiche analoghe - eguale livello politico e culturale, eguale forza del movimento operaio e democratico -–dimostrano che un maggiore sforzo organizzativo può dare risultati considerevoli. I difetti che ogni giorno rileviamo in questo campo, sono dovuti alla sottovalutazione della grande importanza che ha la stampa comunista e democratica in tutte le lotte della classe operaia, dei lavoratori e del popolo italiano soprattutto nella situazione attuale. Ad esempio, milioni di lavoratori si sentono impegnati a lottare contro il trasporto del materiale da guerra, ma non si preoccupano di frenare la circolazione e la diffusione del materiale ideologico che prepara la guerra e nessuna campagna sistematica viene condotta contro la stampa dei guerrafondai e dei reazionari; non lavorano ancora con tutto l'impegno necessario per diffondere più largamente la stampa comunista, socialista e democratica, per farla rientrare in tutti gli ambienti sociali, per immettere nell'ambiente avvelenato dalla politica clerico-americana l'aria fresca della nostra concezione della vita. “La diffusione del giornale comincerebbe di per sé a creare un legame effettivo. Il lavoro organizzativo acquisterebbe un’ampiezza cento volte maggiore e i successi ottenuti in un luogo incoraggerebbero a perfezionare continuamente il lavoro, inciterebbero i militanti di altre regioni del paese ad approfittare dell’esperienza. Il lavoro locale migliorerebbe infinitamente in ampiezza ed in varietà”. (Lenin, Che fare?). Questi insegnamenti di Lenin sulla funzione del giornale non solo come agitatore e propagandista collettivo, ma anche come organizzatore collettivo sono sempre attuali e validi soprattutto per le organizzazioni dell’Italia meridionale, per un certo numero di quelle del Veneto e del Piemonte, poiché la funzione dell’Unità e della stampa comunista e democratica in generale non è solo di far conoscere la verità, ma di dirigere politicamente e ideologicamente le grandi masse della popolazione. I giornali comunisti devono essere sempre più un mezzo effettivo di direzione del partito e delle masse nelle lotte del lavoro e nelle lotte politiche per la pace e per l’avvenire del Paese, uno strumento di organizzazione e di applicazione della linea politica del partito, di educazione dei compagni e dei lavoratori. La preparazione dei quadri dirigenti del partito e delle organizzazioni di massa è un problema essenziale per il partito e per le forze democratiche, e questo problema non può essere risolto senza l’ausilio della nostra stampa. I compiti della nostra stampa nel campo dell’educazione sono anzi oggi più complessi di ieri perché il livello politico dei compagni e dei lavoratori è più elevato che in passato. Il giornale comunista deve perciò distinguersi non solo per la passione che lo anima, ma per il suo alto livello educativo. Dobbiamo dunque migliorare la stampa del partito, renderla più interessante per tutti gli strati della popolazione, per tutte le famiglie, per gli uomini e le donne di tutte le età, e di tutte le condizioni, dall’operaio all’ingegnere, dal contadino e dal bracciante, all’artista e allo scienziato, eliminare ogni residuo di settarismo. Non si tratta solo di risolvere un problema di diffusione e di organizzazione, per quanto questi problemi siano oggi essenziali. Si tratta anche di migliorare i giornali democratici. E la critica è l’arma più efficiente non solo per smantellare le menzogne e le argomentazioni dell’avversario, ma anche per mettere a nudo e correggere i difetti del nostro lavoro.

PIETRO SECCHIA
(articolo pubblicato su Rinascita nr.8-9, a.VII, agosto-settembre 1950, pp.388/390)



GOTT MIT UNS - SU RADIO VATICANA

Nel corso di una trasmissione dedicata alla Croazia, andata in onda su Radio Vaticana ii pomeriggio del 27 settembre 2010, sono intervenuti tre sacerdoti nazionalisti, che non hanno mancato di spendere parole di elogio e simpatia per il cantante nazista Marko Perkovic Thompson. 

Perkovic, che ha combattuto per la secessione dalla Jugoslavia e la pulizia etnica dei serbi dalla Croazia, usa slogan razzisti e simbologie ustascia nei suoi concerti. Evidentemente però ha buone entrature in Vaticano: era già trapelata infatti la sua participazione, il 12 novembre 2009, a un'udienza pubblica di papa Ratzinger assieme a un monsignore croato. 

Sulla tetra figura di Perkovic si veda anche, ad esempio: 
Croazia: esaltazione del nazismo tra i giovani - http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6135
Zagreb : le concert de Thompson se transforme en parade oustachie - http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6072
Manifestazione nazista di massa in Croazia -
L'UOMO GIUSTO PER COMMEMORARE WOJTYLA - http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5461



Con una dozzina di anni di ritardo, qualche nota dal Kosovo

E' raro ed è tardi, ma qualcosa ogni tanto trapela: mentre sul sito de "La Stampa" è in corso la pubblicazione di un diario a puntate dal Kosovo, Amnesty International chiede all'Ue di sospendere i rimpatri forzati dei rom in Kosovo. Toni prudenti e verità frammentarie, labili e tardivi segnali di denuncia del regime di apartheid instaurato nella regione dalla NATO e dai suoi alleati terroristi e mafiosi dell'UCK. A rompere la censura dei media di regime sulla situazione in Kosovo, in questi anni, finora era stato solo Iacona con il suo ottimo documentario "Nove anni dopo", che torniamo a segnalare: https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia2.htm#iacona08


1) Amnesty International chiede all'Ue di sospendere i rimpatri forzati dei rom in Kosovo

2) Un diario di viaggio dal Kosovo, sul sito de La Stampa
a cura di Domenico Di Tullio e Alexandra Javarone


=== 1 ===

---------- Messaggio inoltrato ----------
Da: <press@...>
Date: 28 settembre 2010 12:59
Oggetto: [Stampa] Amnesty International chiede all'Ue di sospendere i rimpatri forzati dei rom in Kosovo
A: stampa@...


COMUNICATO STAMPA                                                                                                                                     
CS85-2010 

AMNESTY INTERNATIONAL CHIEDE ALL’UNIONE EUROPEA DI SOSPENDERE I RIMPATRI FORZATI DEI ROM IN KOSOVO 

In occasione del lancio di un nuovo rapporto intitolato ‘Benvenuti da nessuna parte: stop ai rimpatri forzati dei rom in Kosovo’, Amnesty International ha chiesto ai paesi dell’Unione europea (Ue) di sospendere il rimpatrio forzato dei rom e di altre minoranze etniche in Kosovo. 

Il rapporto descrive come rom e appartenenti ad altre minoranze, anche coi loro bambini, siano costretti con la forza a rientrare in Kosovo, spesso coi soli vestiti che indossano, verso un possibile futuro di discriminazione e violenza. 

‘I paesi dell’Ue rischiano di violare il diritto internazionale rinviando persone verso paesi dove potrebbero subire persecuzione. L’Ue, invece, dovrebbe continuare a dare protezione internazionale ai rom e alle altre minoranze kosovare, fino a quando non potranno tornare in condizioni di sicurezza’ – ha dichiarato Sian Jones, esperto di Amnesty International sul Kosovo. ‘Le autorita’ del Kosovo, a loro volta, devono garantire che i rom e le altre minoranze possano rientrare in modo volontario e reintegrarsi a pieno nella societa’’. 

Nel rapporto, Amnesty International descrive come molte persone rimpatriate in Kosovo siano state fermate dalla polizia alle prime luci del giorno e trasferite spesso coi soli vestiti che indossavano. Una volta rientrate in Kosovo, poche ricevono assistenza e molte incontrano problemi nell’accesso all’istruzione, alle cure mediche, agli alloggi e ai servizi sociali. 

Sono pochissimi i rom in grado di trovare un lavoro e il livello di disoccupazione in questa comunita’ raggiunge il 97 per cento. All’interno del 15 per cento della popolazione kosovara che vive in condizioni di poverta’ estrema, i rom costituiscono il doppio degli altri gruppi etnici. 

La violenza interetnica in Kosovo continua e la discriminazione contro i rom rimane massiccia e sistematica, anche a causa della percepita associazione di questi con i kosovari di etnia serba. Poiche’ la maggior parte di loro parla il serbo e spesso vive nelle aree serbe, i rom sono visti come alleati della comunita’ serba. 

‘Nonostante il governo del Kosovo abbia recentemente introdotto alcune misure destinate a migliorare le condizioni in cui i rom vengono rimpatriati e reintegrati, le autorita’ non hanno fondi, capacita’, risorse e volonta’ politica per assicurare loro un ritorno sostenibile’ – ha precisato Jones. 

Si stima che il 50 per cento delle persone rimpatriate a forza lascera’ nuovamente il Kosovo. 

Questi rimpatri forzati avvengono sulla base di accordi bilaterali negoziati, o in corso di negoziazione, tra le autorita’ del Kosovo e gli stati dell’Ue piu’ la Svizzera. Le autorita’ della Germania hanno intimato di lasciare il paese a quasi 10.000 rom, che sono dunque a rischio di rimpatrio forzato. 

Anche se non si puo’ escludere che vi siano stati casi di rimpatrio volontario, Amnesty International si e’ detta preoccupata per le notizie secondo cui l’assenso sia stato ottenuto solo con la minaccia del rimpatrio forzato. 

‘Fino a quando le autorita’ del Kosovo non saranno in grado di garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali dei rom e delle altre minoranze, queste persone andranno incontro a un clima di violenza e di discriminazione’ – ha concluso Jones. 

Due casi 

Irfan aveva lasciato il Kosovo, insieme alla sua famiglia, nel 1992, all’eta’ di 5 anni. Quest’anno ad aprile la polizia tedesca si e’ presentata senza preavviso alle 3.30 di mattina, lo ha ammanettato, fatto salire su un furgone e portato all’aeroporto di Baden Baden. Non ha fatto in tempo a prendere alcun oggetto personale. Ha ricevuto 300 euro da un’organizzazione non governativa. Arrivato all’aeroporto, e’ stato registrato, gli sono stati dati 50 euro e una stanza d’albergo per due notti. Giunto in Kosovo, si e’ recato dove una volta c’era la casa di famiglia, a Plemetina, e ha tentato di renderla abitabile. Ha rimosso le macerie ma non aveva denaro per sostituire tetto, finestre e porte di casa. ‘E adesso che devo fare?’- ha chiesto ad Amnesty International. 

Anche Luli, 20 anni, fuori dal Kosovo da quando ne aveva due, e’ stato rimpatriato dalla Germania nell’aprile di quest’anno. Svegliato dalla polizia in piena notte, gli sono stati concessi solo 10 minuti per vestirsi e radunare le sue cose. Non parla serbo ne’ albanese e coi pochi rudimenti di romanes non riesce a comunicare neanche col fratello maggiore, rimpatriato in Kosovo diversi anni prima. Gli sono stati forniti sei mesi di assistenza, 350 euro e un appartamento in affitto. Nessuno si e’ offerto di aiutarlo ad apprendere il serbo o l’albanese. 

Ulteriori informazioni 

Dopo la guerra del 1999, molti serbi e rom hanno lasciato il Kosovo diretti in Serbia, in paesi dell’Ue e in Svizzera. Nel marzo 2004, i serbi e i rom sono stati di nuovo costretti alla fuga, a seguito delle violenze interetniche tra albanesi e serbi, che hanno interessato anche le comunita’ rom. 

Molti di coloro che ora subiscono rimpatri forzati hanno lasciato il Kosovo persino all’inizio degli anni ’90, quando scoppio’ la guerra nell’allora Repubblica federale socialista di Jugoslavia. 

Dopo la dichiarazione unilaterale d’indipendenza del febbraio 2008, le autorita’ del Kosovo hanno subito pressioni sempre piu’ insistenti da parte degli stati membri dell’Ue affinche’ accettassero i rientri dei rom e delle altre minoranze. 

FINE DEL COMUNICATO                                                                 
Roma, 28 settembre 2010 

Il rapporto ‘Benvenuti da nessuna parte: stop ai rimpatri forzati dei rom in Kosovo’ e’ disponibile in lingua inglese all’indirizzo: http://www.amnesty.it/Unione-europea-rimpatria-forzatamente-rom-in-Kosovo e presso l’Ufficio stampa di Amnesty International Italia. 

Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste: 
Amnesty International Italia - Ufficio stampa 
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@... 


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Berlusconi, con le sue storielle personali, è anche lo zimbello della starlette delle TV privata bosniaca OBN - Lanina vremenska prognoza za 13.09.2010: