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Nuovi passi verso lo smembramento del Belgio
1) Belgium risks break-up and 'Kosovo' situation (Daily Telegraph - May 7, 2010)
2) Risoluzione sulla crisi comunitaria del Consiglio nazionale del Partito del Lavoro del Belgio (PTB)
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http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/belgium/7691949/Belgium-risks-break-up-and-Kosovo-situation.html
Daily Telegraph - May 7, 2010
Belgium risks break-up and 'Kosovo' situation
A former Belgian prime minister has warned that national elections next month could lead to the break up of Belgium and a potentially explosive "Kosovo" situation in the heart of Europe
Bruno Waterfield in Brussels
Mark Eyskens, an economics professor and the country's Christian Democrat premier in 1981, said that Belgium stood on the brink of disaster.
Bitter fights for political control between Belgium's Flemish-Dutch speakers and francophone Walloons caused the collapse of the Belgian government two weeks ago, forcing early elections, to be held on June 13.
Opinion polls published earlier this week, showed that separatist Flemish parties, who support secession and the creation of an independent Flanders in the north of Belgium, were close to winning a majority of Dutch speaking voters.
Mr Eyskens, 76, predicted that victory for the separatists would lead to a breakaway Flanders "for the simple reason that French-speaking people and the inhabitants of Brussels would never accept" a constitutional separation.
He warned Flemish nationalists that in the event of an "unhappy and unfriendly" break-up, the remaining "petite Belgique" would block European Union membership for Flanders, leaving the new state isolated and struggling for international recognition.
"Independence for Flanders is likely to make Flanders a type of Kosovo," he said.
Mr Eyskens ruled out a violent Balkans style break up of Belgium but nevertheless stressed that the resulting diplomatic war and economic fallout from a split would be disastrous.
"In Belgium blood never runs, saliva runs much more. But it is saliva which can cost us dear because we are a very vulnerable country economically," he said.
The former Belgian prime minister, of Flemish origin, forecast that a Flemish separatist majority would instantly create a Greek style economic "catastrophe" for Belgium, which has one of Europe's highest levels of public debt.
"The separatists risk undermining Belgium's financial credibility, with extremely serious and negative consequences for the economic future," he said.
Opinion polls published on Thursday found that the separatist New-Flemish Alliance, or NVA, had the largest share of the vote in Flanders, with 23 per cent, for the first time. Other nationalist parties, including the far right Vlaams Belang had 16.5 per cent.
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Nuovi passi verso lo smembramento del Belgio
Risoluzione sulla crisi comunitaria del Consiglio nazionale del Partito del Lavoro del Belgio (PTB)
1. La vittoria della N-VA (Nuova Alleanza fiamminga) in occasione delle elezioni rischia di accelerare lo smantellamento del Belgio e dello stato sociale, la divisione del movimento operaio, l’installazione di una Fiandra neo liberale e conservatrice è l’inizio di una concorrenza tra le Regioni nefasta per le conquiste sociali. Oggi si sta negoziando una scissione parziale dello stato sociale. Si permette che il centro di gravità del Belgio si sposti dal federale alle entità federate; si accetta dunque, la rivoluzione istituzionale confederalista. Il confederalismo è un nuovo passo verso lo smembramento del Belgio e l’ultima fermata prima del capolinea della secessione del Belgio.
2. Dobbiamo considerare molto seriamente l’avanzata delle forze nazionaliste che abbiamo sottovalutato negli ultimi anni. Le elezioni del giugno 2010 hanno mostrato una avanzata impressionante del nazionalismo al nord del Paese. Anni di propaganda sul “Belgio che frena il progresso della Fiandra” e sui “Valloni ladroni” hanno finito per conquistare una parte della popolazione. Invece di cercare in alto un responsabile, tra i milionari e i banchieri, gli occhi si sono rivolti verso un capro espiatorio facile, i vicini valloni. La borghesia dominante in Fiandra mira ad indebolire il movimento operaio belga, a trascinare i lavoratori fiamminghi nel suo progetto di una Fiandra neo liberale conservatrice e aggressiva. Questo nazionalismo è un veleno mortale per il movimento operaio e per tutti i progressisti.
3. Non è da mettere sullo stesso piano del « fronte dei francofoni » che rigettiamo ugualmente. I partiti francofoni si sono opposti alla secessione dello stato sociale e delle tasse, ma hanno dato l’impressione che la loro unica motivazione fosse la perdita di danaro di Bruxelles e della Vallonia. Invece di dare il loro sostegno alle correnti di opinione in Fiandra che difendono lo stato sociale nazionale, invece di aiutarli a dimostrare come una tale scissione non sarà d’aiuto ai lavoratori del nord del paese, hanno preferito sostenere l’idea di una Fiandra per la maggioranza nazionalista e separatista. Noi critichiamo i socialisti che non fanno nulla per contrastare la logica regionalista e nazionalista delle due parti del Paese. Piuttosto che costruire dei ponti tra le due comunità, come fanno i sindacati, collaborano con i fronti fiamminghi e francofoni. Dobbiamo vigilare contro i tentativi della parte francofona di provocare anche un nazionalismo vallone o francofono, una “identità” vallone.
4. Opporsi al nazionalismo non significa difendere lo statu quo. Dopo cinque riforme dello Stato, il Belgio ancora non funziona. Si potrebbe razionalizzare e semplificare molto, ma la fuga in avanti verso il separatismo sta complicando tutto, sta impoverendo e indebolendo i lavoratori delle due parti e conduce a delle dispute comunitarie interminabili, poiché una secessione pacifica è impossibile a causa di Bruxelles e degli intrecci tra le regioni in Belgio.
Da dove ha origine questa spinta al separatismo?
5. Il Belgio nasce nel 1830 in seguito alla scissione dei Paesi Bassi. Non si tratta di chiedersi se il Belgio era una costruzione artificiale; le nazioni lo sono quasi sempre. [1] Il Belgio, quale Stato plurinazionale, costituiva un caso particolare tra gli Stati europei moderni.
6. Nel corso di molti anni nel diciannovesimo secolo e all’inizio del ventesimo, il Belgio ha condotto una politica di discriminazione nei confronti dei fiamminghi. La rivoluzione belga del 1930 ha portato al potere politico una élite censuaria francofona in uno Stato unitario centralizzato. Spesso la lingua ha rappresentato un elemento determinante nella creazione della nazione; era più congruo che tutti parlassero la stessa lingua in seno al mercato interno [2]. In Belgio la borghesia ha tentato di unificare il paese nell’ambito del francese, la lingua di prestigio e di comunicazione dell’élite e delle classi medio-superiori, compresa la borghesia fiamminga [3]. All’indomani dell’indipendenza, le scuole, le amministrazioni statali e municipali, i tribunali etc. hanno utilizzato, negli atti ufficiali, unicamente il francese e hanno abbandonato l’olandese ormai declassato.
7. La conoscenza del francese, per l’élite e la piccola borghesia, è diventata la condizione per poter occupare posti importanti e ottenere una promozione; il solco linguistico è diventato solco sociale. Il monopolio francofono dei posti di élite è coinciso con il declino economico della Fiandra. Il parlare “fiammingo” era associato alla povertà e ad un ritardo intellettuale e sociale. Tra l’ élite regnava il disprezzo del fiammingo; ci si rifiutava di apprendere una lingua di scarso prestigio, infatti coloro che utilizzavano la lingua cosiddetta inferiore, per ottenere una promozione facevano lo sforzo di diventare bilingui.
8. Certe discriminazioni di cui erano vittime i fiamminghi non potevano essere assimilate ad una oppressione di una nazione nei confronti di un’altra, o da parte di una borghesia straniera. La Fiandra e la popolazione di lingua olandese non sono state incorporate al Belgio contro la loro volontà. La classe dominante non era straniera; essa è in parte anche fiamminga. Il mercato interno non porta profitti essenzialmente ad una borghesia straniera. La banca centrale non è nelle mani di una classe dominante straniera.
9. Vi era una disuguaglianza di sviluppo tra le due regioni poiché l’industria pesante primaria si è sviluppata nel sud del paese intorno al bacino carbonifero e in prossimità dei corsi d’acqua importanti che permettevano di inviare i prodotti utilizzando la navigazione interna. Il peso della borghesia vallone era più importante di quello della borghesia fiamminga, ma non esisteva alcuna relazione di tipo coloniale tra la Fiandra e la Vallonia. L’industria fiamminga era più debole e meno sviluppata di quella vallone. Tuttavia non dipendeva finanziariamente né tecnicamente dalla Vallonia. A partire dal 1870 l’economia fiamminga come quella vallona passeranno sotto il controllo del capitale finanziario di Bruxelles. Non ci troviamo nella situazione di una nazione oppressa che non dispone di proprie istituzioni. La borghesia fiamminga è al Parlamento, fornisce anche primi ministri. Sono i lavoratori e i contadini tanto fiamminghi che valloni che sono privi di diritti. Non hanno diritto di voto né di essere eletti. Il Belgio ha subito l’oppressione nazionale soltanto durante la Seconda Guerra Mondiale.
10. La questione fiamminga ha costituito un problema democratico per quanto concerne il diritto di poter parlare la propria lingua, di ricevere un insegnamento nella propria lingua etc. Se i lavoratori, in Belgio, avessero avuto l’occasione di apprendere le due lingue nazionali, le cose andrebbero meglio dal punto di vista della loro unità. Ma l’unità non è possibile se si discrimina una parte della popolazione. In tal senso, non è possibile comparare la francesizzazione della Fiandra al modo in cui la borghesia italiana o francese ha imposto il francese o l’italiano a scapito dei numerosi dialetti, a volte anche con violenza.
11. La lotta contro la discriminazione era una lotta corretta. Il movimento socialista era obbligato a condurla e anche a farla passare in seno alla popolazione francofona. Il fatto che questo non sia stato fatto che parzialmente e tardivamente, spiega le sensibilità linguistiche che persistono tuttora sia a Bruxelles che in periferia.
12. Nel corso di lunghi anni nel diciannovesimo e dell’inizio del ventesimo secolo “il movimento fiammingo” ha combattuto la discriminazione verso i fiamminghi, anche da parte della borghesia fiamminga. Per farsi riconoscere come élite sociale e poter rivendicare rapidamente una fetta della torta capitalista, i borghesi fiamminghi hanno scientemente deciso di far loro la lingua francese. Questa borghesia era quindi una “borghesia amministrativa” che si è fatta carico del legame amministrativo con la popolazione. In ragione della conoscenza delle due lingue (e dei diversi dialetti fiamminghi), essa era la sola a poter assumere tale funzione su di sé. Per assicurare questa posizione ha bloccato il processo di democratizzazione, ha rifiutato, non solo che la lingua della popolazione diventasse la lingua ufficiale, ma anche il diritto di voto. In Belgio l’introduzione del diritto all’insegnamento nella propria lingua, come anche l’introduzione del suffragio universale, hanno richiesto molto più tempo che negli altri paesi capitalisti [4].
13. Questa discriminazione ledeva una parte sempre crescente della piccola borghesia che non trovava lavoro, neanche nell’amministrazione. Questa nuova piccola borghesia è stata molto attiva nel movimento fiammingo. Prima del 1850, gli attivisti erano soprattutto scrittori, poeti e filologi impegnati contro la francesizzazione: il "fiammingo linguistico" come viene definito. Mano mano che il movimento si sviluppa, diventa "fiammingantismo culturale". La piccola borghesia comincia ad identificarsi con il "popolo" e con la "cultura del popolo". Da lotta per il diritto all’utilizzo della propria lingua, il movimento fiammingo si trasforma in lotta per il "popolo" e la sua "cultura". La lotta diventa reazionaria, poiché non esiste in seno ad una nazione una cultura di popolo. In ogni nazione ci sono due culture: una cultura della classe operaia e una cultura della classe dominante. La cultura dei lavoratori è internazionalista e da ogni cultura mutua ciò che tende verso il progresso rigettandone tutti gli elementi reazionari. In questo modo nasce quella mescolanza di culture che oggi vediamo prodursi sempre più.
14. Questo movimento nato dalla piccola borghesia urbana ha attratto non poca simpatia da parte del popolo. La lotta concreta contro la miseria spaventosa degli operai e dei contadini non rientra nel suo programma. Non ha mai combattuto i "fransquillons" (*) come classe che deteneva il potere economico e finanziario legata alla borghesia di Bruxelles o vallona, che controllava le principali imprese del paese e sfruttava i lavoratori valloni. I fiammingheggianti esaminavano la miseria materiale da un punto di vista culturale (attraverso lo sviluppo spirituale e l’insegnamento in olandese).
15. Il movimento fiammingo aveva delle correnti. Per il clero, il fiammingo era un’arma che permetteva di proteggere lo stile di vita tradizionale, soprattutto nelle campagne fiamminghe, contro fattori associati alla modernità e al francese, lingua della rivoluzione, dell’incredulità e della rilassatezza dei costumi. Questa fazione si alleerà con l’occupante tedesco nel 1914. Il periodo dell’occupazione verrà utilizzato per militare a favore di una Fiandra indipendente. Più tardi si alleerà con il fascismo e, sotto l’influenza del basso clero cattolico, si batterà a fianco delle SS contro il bolscevismo. Il fiammingantismo liberale voleva lottare sia contro la francesizzazione che contro la supremazia del clero. Per loro, solo il fiammingo, lingua del popolo, era la chiave dell’emancipazione. L’insegnamento nella lingua madre si inscriveva così nella lotta contro il socialismo nascente. L’insegnamento primario obbligatorio permetteva l’instaurazione del suffragio elettorale capacitario (saper leggere e scrivere) e assicurava l’integrazione degli operai al sistema permettendo di evitare delle “derive rivoluzionarie” e la conciliazione delle classi al posto della lotta di classe.
16. Intorno al 1890 vi è stato un movimento democristiano fondato dal giornalista-editore Pieter Daens che difendeva i lavoratori e i piccoli contadini contro i padroni e i castellani francofoni, un carattere decisamente fiammingo. Nel 1893, il prete Daens ha fondato il Christene Volkspartij (partito popolare cristiano), ma fu un fallimento. La corrente socialista ha mostrato scarsissimo interesse per le rivendicazioni fiamminghe, anche perché la Comune di Parigi e la rivolta sociale del 1886 hanno fatto oscillare i fiammingheggianti nel campo cattolico. Alla fine del secolo, il partito cattolico ha creduto che la crisi sociale fosse provocata dalla separazione tra le élites di lingua francese e le masse popolari fiamminghe, diventava dunque necessario parlare il fiammingo in Fiandra per impedire alle masse popolari di rivolgersi verso i socialisti. Per il POB (partito operaio belga, diventato PBS, partito socialista belga, dopo la seconda guerra mondiale), la questione linguistica è vista come un “obiettivo giustificato, ma tuttavia secondario, che avrebbe trovato una soluzione nel suffragio universale”. I socialisti hanno criticato, a buon diritto, i numerosi fiammingheggianti che avevano la bocca piena di rimostranze linguistiche fiamminghe, ma che non volevano cambiare granché dell’ingiustizia sociale. I socialisti valloni una volta hanno anche votato perché l’olandese diventasse la lingua ufficiale della Fiandra, tuttavia l’alleanza con i liberali (per il diritto di voto), l’anticlericalismo e un certo sciovinismo si sono imposti in un partito essenzialmente francofono.
17. Gli attivisti fiamminghi chiedevano che i fiamminghi fossero protetti da leggi linguistiche. Nel 1873 una prima legge linguistica concerneva l’utilizzo dell’olandese nei tribunali della Fiandra che sarà seguita nel 1878 da una legge che regolamenterà l’uso delle lingue in materia amministrativa come nelle scuole della Fiandra.
18. Riguardo alle lingue, erano possibili due opzioni: o la scelta del bilinguismo generalizzato (principio di personalità) – ciascuno sceglie la lingua da utilizzare – o l’adattamento alla lingua ufficiale di una regione (principio di territorialità). Spesso le minoranze chiedono l’applicazione del principio di territorialità per proteggersi da una lingua di maggior diffusione e prestigio. Stranamente, i dirigenti valloni per ragioni essenzialmente anticlericali (la dominazione della maggioranza fiamminga è descritta come cattolica) e demografiche si sono opposti al bilinguismo. Essi esigevano che la Vallonia restasse monolingua Nel 1921, il Belgio veniva scisso in due regioni monolingui: la Fiandra e la Vallonia, e in una regione bilingue: Bruxelles. Nel 1932 la legislazione linguistica è stata interamente basata sul principio di territorialità. Ma la frontiera linguistica non era fissa; poteva essere adattata ogni dieci anni in funzione dei risultati dei censimenti linguistici. Se una minoranza del 30% faceva la sua comparsa, il comune entrava nel regime del “bilinguismo esterno” e diventava un comune “a facilità linguistica”. Se la maggioranza degli abitanti, al momento del censimento, dichiarava di parlare l’altra lingua rispetto a quella della regione, il comune doveva cambiare regime linguistico, cosa che veniva a spostare la frontiera. Vista la forza del francese, questi adattamenti erano effettuati a danno degli olandofoni [5].
19. I partiti fiamminghi hanno finito per ottenere la fissazione della frontiera linguistica nel 1962-63 e l’autonomia culturale negli anni ’70. La frontiera linguistica ha diviso il paese in quattro regioni linguistiche: una regione olandofona (Fiandra), una francofona (Vallonia), una germanofona (nei pressi della frontiera tedesca) e una bilingue francese-olandese (i 19 comuni di Bruxelles). Ogni comune belga fa parte esplicitamente di una (e una sola) di queste quattro regioni linguistiche. La frontiera linguistica può essere modificata solamente se una maggioranza dei due terzi e la maggioranza dei parlamentari di ogni gruppo linguistico lo richiede. Anche il principio di territorialità è generalizzato.
20. Fanno eccezione una serie di comuni situati da una parte e dall’altra della frontiera linguistica e nella periferia intorno a Bruxelles, ma lì i partiti fiamminghi si sono limitati a delle facilitazioni elementari, transitorie, partendo dal principio che non ci sono minoranze linguistiche e che gli “immigrati” devono adattarsi ed integrarsi alla comunità linguistica. La territorialità non è una strategia di estrema destra. Lo diventa quando nelle regioni frontaliere non rispettano di diritti delle minoranze o quando non si accetta alcuna evoluzione, come per esempio la normale estensione di una grande città come Bruxelles. Lungo le frontiere sul piano linguistico si sviluppano sempre delle regioni di transizione con gruppi minoritari e gruppi misti; la democrazia esige allora che si armonizzino i diritti linguistici collettivi con queste minoranze. Infrastrutture linguistiche collettive e bilinguismo possono essere introdotti nel settore pubblico.
21. Nel 1970 sono state create le “comunità culturali” di lingua olandese e di lingua francese. Nel 1973 la “comunità culturale” di lingua tedesca. Le Regioni sono state create nel 1970, ma solamente sulla carta. La creazione delle Comunità, da una parte, e le Regioni dall’altra, risponde a due logiche totalmente diverse. Le Comunità sono una richiesta fiamminga per una maggiore autonomia in materia culturale, l’uso della lingua, conduce alla conunitarizzazione dell’insegnamento. Sotto l’influenza del nazionalismo vallone sono piuttosto considerazioni economiche che si sono anteposte nella creazione delle Regioni: il territorio, la sua gestione e alcune competenze in materia economica, d’impiego etc. Si pensa che una maggiore autonomia aiuterà la lotta contro il declino della Regione vallona.
Se problema della discriminazione è stato risolto da molto tempo, perché allora questo ritorno del nazionalismo fiammingo?
22. Dopo la seconda guerra mondiale gli eminenti rappresentanti del nazionalismo fiammingo erano screditati per aver collaborato con i nazisti. Dagli anni sessanta però, si è nuovamente sviluppato parallelamente al rafforzamento della posizione economica della Fiandra. Il risorgimento del movimento fiammingo va di pari passo con la crescita di una nuova borghesia fiamminga. Con la fase del capitalismo finanziario o delle holdings (1870-1940), si assiste ad una concentrazione della casse capitalista. I detentori capitalisti del potere sono concentrati a Bruxelles. All’inizio del ventesimo secolo, gruppi economici con un profilo fiammingo, sono, da una parte, i Boerenbond, i Gevaert, la Kredietbank e, dall’altra, i Vlaams Handelsverbond (VEV). Queste iniziative sono poco importanti sulla scala del capitalismo belga globale. Tutto ciò cambia a partire dagli anni settanta e ottanta del secolo attuale, quando si sviluppa in Fiandra, intorno alle grandi multinazionali belghe e straniere, una borghesia locale nei settori dei servizi, dei trasporti, del commercio, delle banche e delle assicurazioni e in parte il subappalto delle multinazionali (la maggior parte delle subappaltatrici erano esse stesse delle multinazionali americane, tedesche, francesi etc.) Le multinazionali, per quanto riguarda la gestione delle loro imprese [6], fanno capo a dei manager locali, dunque spesso fiamminghi. La nascita di una borghesia fiamminga importante deve essere situata in questo periodo. Questa classe ha costituito un fronte per la difesa dei suoi interessi, che erano anche quelli del capitale monopolistico americano, contro quelli della borghesia finanziaria belga. Il nazionalismo fiammingo è diventato un mezzo per accaparrare a proprio profitto interi pezzi di finanza (e competenze) dello Stato, diventando un nazionalismo economico e ponendo sotto la sua influenza: trasferimenti di fondi, regionalizzazione dello stato sociale, imposte, legislazione sociale etc.. La classe dirigente politica fiamminga è diventata, nel suo insieme, più nazionalista sotto la spinta del VEV con il suo quotidiano De Financieel Economische Tijd, influenzando ogni sorta di circolo di studi e clubs.
23. Noi dobbiamo studiare più a fondo i legami tra la crisi del capitalismo a partire dalla fine degli anni settanta, l'accresciuta concorrenza tra i gruppi capitalisti e l'offensiva regionalista in certe regioni ricche dell'Europa. Una frazione del padronato fiammingo spera di condurre la popolazione ad accettare una regressione sociale rapida in nome della competitività e della Fiandra come prima regione d'Europa. Essa spera di dividere la classe operaia fiamminga dai suoi fratelli valloni accusati di coltivare la cultura dello sciopero, del tornaconto sociale e di frenare lo sviluppo della Fiandra. L'Europa delle regioni è d'altronde, utilizzata anche dall'ala destra della borghesia tedesca per consolidare la dominazione tedesca in Europa. I regionalisti europei sono sostenuti dall'ala destra della democrazia cristiana tedesca che asseconda dappertutto i movimenti eticisti, in Italia, in Francia, in Spagna, in Belgio, nei Balcani e in Europa dell'Est. Un'Europa che vede una Germania omogenea di fronte a Stati spezzettati in regioni, non può che assecondare la dominazione tedesca in Europa; ecco qual'è il calcolo.
24. Le riforme dello Stato a partire dal 1980 vanno tutte nella direzione del trasferimento di competenze dallo Stato centrale (che diventa "federale") alle Regioni e alle Comunità, che gestiscono la cultura, le materie cosiddette della persona, quali la salute, e l'assistenza pubblica, le materie territoriali, come l'ambiente, la gestione del territorio, lo sviluppo economico regionale e le politiche per l'occupazione. Le Regioni e le Comunità dispongono anche di un parlamento e di un governo le cui disposizioni hanno lo stesso peso legale di quelle promulgate a livello nazionale. In Fiandra, la Regione e la Comunità si fondono, le loro competenze sono esercitate da un solo parlamento e un solo governo. Per risolvere i conflitti di interesse tra le istituzioni nazionali e le Regioni, sarà creata una Corte di Arbitrato, visto che non esiste una gerarchia tra i decreti regionali e le leggi votate sul piano nazionale.
25. Nel 1988-89, l'insegnamento è affidato alle Comunità. Nel 1989 viene alla luce la Regione di Bruxelles-Capitale. La sua creazione era rimasta congelata; i francofoni volevano la creazione di una regione autonoma, mentre i fiamminghi pensavano che fossero la comunità fiamminga e la comunità francese insieme a dover cogestire Bruxelles. Nel 1993 la nuova riforma dello Stato modifica la Costituzione inserendo l’articolo primo che prevede che il Belgio sia uno Stato federale che si compone di Comunità e di Regioni. Nel 1993 i parlamenti vallone e fiammingo saranno eletti direttamente. La provincia del Brabante è divisa in due, la provincia del Brabante fiamminga e la provincia del Brabante vallona. La riforma del 2001 approfondisce alcuni trasferimenti di competenze e regola il finanziamento delle entità statali. Le Regioni e le Comunità che dipendono da “donazioni” da parte del governo nazionale potranno contare su una parte delle entrate fiscali.
La secessione è una catastrofe sociale e democratica.
26. Dopo 40 anni di riforme successive dello Stato, il movimento si è realizzato sempre più nel trasferimento di competenze alle Regioni e alle Comunità. Per i grandi partiti politici fiamminghi è questo il senso della Storia. Il federalismo belga è un federalismo centrifugo. Non esiste alcuna gerarchia tra lo Stato federale, le Comunità e le Regioni; questa evoluzione va nella direzione di quasi tutti gli altri Stati federali. Oggi si parla di confederalismo: questa è l’ultima fermata prima del capolinea della secessione e dell’indipendenza della Fiandra voluta dai nazionalisti fiamminghi.
27. Il 3 marzo 1999, in Fiandra, c’è stata la rottura della diga a livello politico. Il Parlamento fiammingo ha adottato a larga maggioranza (ad esclusione dei Verdi) cinque risoluzioni, che se si realizzeranno trasformerebbero il Belgio in uno Stato confederale, cioè una confederazione di due Stati indipendenti. Le risoluzioni prevedono un Belgio con due Regioni e uno statuto speciale per la Regione di Bruxelles e per i germanofoni. Il livello federale si occupa solamente di ciò che le entità federate non possono svolgere. La solidarietà “sì, ma tra Regioni”. Esse chiedono l’autonomia fiscale in materia di tasse e di persone fisiche. Le tasse sulle società restano federali, ma le Regioni (compresa Bruxelles) possono ottenere alcuni vantaggi fiscali da Bruxelles, le materie della persona sono di competenza esclusiva delle Comunità, una rappresentanza rinforzata per i fiamminghi (ottenuta nel 2001), una fusione dei comuni e dei funzionari bilingui dappertutto. Si chiede la regionalizzazione della cura della salute e della politica per le famiglie, quindi l’assicurazione della cura della salute e gli assegni familiari. Lo sfruttamento delle ferrovie deve essere regionalizzato. Esigono un Belgio confederale. Tutti i partiti tradizionali del nord sono attualmente su queste posizioni che sono alla base del documento Octopus adottato dal governo fiammingo (CD&V, N‑VA, SP.a) nei negoziati con i francofoni.
28. Si vuole separare le imposte per mettere termine ad “una legge di finanziamento” che ripartisce i mezzi in modo solidale tra lo Stato federale, le provincie, Le Regioni e le Comunità, un sistema che comporta un meccanismo di solidarietà federale. Separare le imposte distrugge la solidarietà interregionale automatica; il danaro del contribuente fiammingo sarà versato nelle casse dei fiamminghi. La Fiandra stessa può determinare la durata e l’ammontare di questa solidarietà; se necessario potrà anche decidere di non essere più solidale, ma il danaro guadagnato in questo modo non andrà ai lavoratori, ai pensionati o agli ammalati della Fiandra; i padroni separatisti fiamminghi vogliono approfittarne per ridurre le tasse sulle società dal 34 al 25%. Se ogni Regione può determinare le proprie imposte, ne nascerà inevitabilmente una nuova concorrenza, quella tra le Regioni. Questo si tradurrà in una ulteriore riduzione dei fondi sociali e dei servizi pubblici. La separazione delle tasse favorirà anche le delocalizzazioni tra Regioni su base fiscale.
29. Vogliono separare lo stato sociale per trasformare più facilmente lo stato sociale in Fiandra su basi neo liberali, recuperare i trasferimenti, ridurre ulteriormente le quote sociali padronali. La N-VA vuole anche una secessione per rendere attrattivo il separatismo in Fiandra e soprattutto a Bruxelles; vuole anche che le indennità siano di competenza delle Comunità. I cittadini di Bruxelles dovranno scegliere a quale Comunità vogliano appartenere: la fiamminga o la francese. Per la N-VA è un passo verso la soppressione della regione di Bruxelles e la sua integrazione alla Fiandra.
30. Vogliono separare le politiche per l’occupazione. I partiti del nord vogliono che le Regioni possano decidere cosa significa “essere disponibili al mercato del lavoro”, “lavoro adeguato”, o “comportamento attivo nella ricerca del lavoro”. Si vuole anche trasferire alla Regione le competenze in materia di sanzioni, che competono attualmente all’ONEM federale. Anche il lavoro interinale deve afferire alle Regioni. Questo accanimento alla separazione delle politiche occupazionali è ispirato al programma segreto del padronato fiammingo Voka, che è convinto di ottenere più facilmente ciò che vuole dal governo fiammingo. Una politica che trascina soprattutto i giovani, i disoccupati e le persone anziane sul mercato del lavoro mettendo uno stop alle indennità di attesa per i giovani che lasciano la scuola, riducendo più rapidamente le loro indennità e limitandole nel tempo praticando sanzioni più severe, sopprimendo il prepensionamento, scoraggiando le persone ad andare in pensione prima dei 65 anni e rendendo più difficoltoso il completamento della carriera. Il padronato vuole che gli sia facilitato il ricorso alla manodopera interinale. L’organizzazione padronale fiamminga vuole vedere il maggior numero di persone possibile battersi per un unico posto di lavoro. In questo modo i padroni potranno mantenere i salari al livello più basso e obbligare chi cerca lavoro ad accettarne uno qualsiasi. La N-VA riprende questo programma di sana pianta. A livello nazionale, la Voka e i partiti come la N-VA si scontrano, su pesto punto, con una vivace resistenza dei sindacati, definiti conservatori.
31. La Fiandra di De Wever e del Voka sarà antisociale, reazionaria e antidemocratica. De Wever è un sostenitore della “signora di ferro” di estrema destra ladyThatcher ed è influenzato da pensatori conservatori che vedono l’ineguaglianza tra le persone come un "ordine naturale" e perfino come un dato positivo; rigetta l’idea di una redistribuzione radicale e di un livellamento ad opera dello Stato delle ricchezze e dei redditi, così come rigetta l’insegnamento gratuito e democratico sotto il controllo dello Stato. I conservatori sono i sostenitori più ferventi del libero mercato. Nel pensiero di De Wever non vi è posto per le condizioni socio economiche di vita delle persone, cerca di definirsi come il difensore fiammingo medio, ma se gli interessi del fiammingo medio entrano in conflitto con quelli del padronato fiammingo, De Wever sceglie risolutamente gli interessi del padronato. La N-VA ha una stretta relazione con la Voka, il padronato fiammingo, che comprende anche scambi di idee e di personale. Sono note la avversione per il Maggio 68 e soprattutto la sua avversione per la democrazia e le conquiste del movimento operaio nel dopoguerra del1945. Come il direttore del Voka, De Bruycker, la N‑VA non ha alcuna simpatia per le contrattazioni salariali collettive con i sindacati. La Voka non vuole "più perder tempo nelle innumerevoli strutture di concertazione dove ci si incontra con obiettivi miranti alla conservazione dei diritti". Vuole una “coalizione dei coraggiosi”, dirigenti politici, dirigenti sindacali e capi di impresa; se questo non funziona nella concertazione, allora funzionerà tra dirigenti saggi, in piccoli comitati. Bisogna farla finita con la democrazia popolare, ci vuole un nuovo dirigismo. Nel dossier del Lange Wapper, De Wever non sapeva che farsene dell’opinione dei cittadini di Anversa. Il suo appello ad una coesione nazionale ha già portato ad incidenti con persone di opinioni diverse, come la deputata liberale fiamminga di Bruxelles Els Ampe. Chi non è un nazionalista fiammingo non è un buon fiammingo. La N-VA d’ora in poi stabilirà quello che possiamo pensare e sentire e soprattutto quello che non possiamo.
32. Di fronte all’offensiva nazionalista fiamminga, alcuni indicano la via dell’autonomia della Vallonia; è una politica suicida per il mondo del lavoro della Vallonia.Una regionalizzazione delle imposte e dello stato sociale avrà conseguenze drammatiche per i lavoratori valloni. Ogni vallone rischia di perdere 1783 euro l’anno. Il 22% dei valloni scenderebbero sotto la soglia di povertà, cioè ad un reddito di 850 euro al mese. Un accresciuta autonomia aumenterebbe la pressione per una regionalizzazione dei sindacati e un indebolimento dei rapporti di forza. La Vallonia non resterebbe al riparo delle misure antisociali che sarebbero imposte alla Fiandra. Al contrario, il risultato sarà una concorrenza sfrenata tra le imprese del nord e quelle del sud che si tradurrà in una spirale verso il basso dei diritti sociali e salariali. Lo si vede già attualmente con la caccia al disoccupato più forte in Vallonia che in Fiandra. In Vallonia non andrebbe meglio con l’UWE che in Fiandra con la Voka. Saranno i lavoratori valloni a pagare il regalo ai padroni.
33. Nella lotta sociale non tutti i settori, non tutte le regioni sono allo stesso livello, ma i lavoratori non hanno che la forza della loro unità. La classe operaia è costituita da una massa di lavoratori estremamente diversificata, messa insieme dal capitalismo industriale a partire dalle campagne, poi dai paesi più vicini e via via da quelli sempre più lontani. Unificare questa classe presenta notevoli difficoltà, poiché la formazione del proletariato, sotto il capitalismo, avveniva e avviene sotto il segno della competizione. Il capitalismo impone la competizione generalizzata tra individui, la guerra di tutti contro tutti, poiché il padronato vuole fronteggiare una massa di lavoratori sbriciolati sul mercato del lavoro. La via dell’autonomia aumenta ancora questa competizione.
Quale avvenire per il Belgio?
Una repubblica socialista del Belgio in un’Europa socialista
34. Una secessione del Belgio è reazionaria e non è possibile con le buone maniere. Costerebbe molto cara. I sostenitori di una Fiandra indipendente prendono spesso la Cecoslovacchia come esempio, ma il Belgio non è la Cecoslovacchia. Ogni tentativo di costringere Bruxelles a confluire con la Fiandra o la Vallonia si tradurrà in questioni interminabili e in violenze nazionaliste.
35. La secessione è reazionaria; il capitalismo ha creato gli Stati nazionali; la borghesia industriale in ascesa voleva vendere ad un numero sempre più elevato di consumatori e aveva bisogno di un grande mercato per smaltire la sua produzione. Essa ha soppresso le barriere proprie di una società feudale: i ducati, i contadi ed altre entità feudali con le loro differenze di pesi e misure, le loro tasse alle porte delle città, i loro diversi dialetti ed ha creato un mercato nazionale, una legge, uno Stato.
36. Lo sviluppo economico ha rimpiazzato i “mercati nazionali” ed ha creato un mercato mondiale. Questo ha condotto alla creazione dei blocchi continentali: Stati Uniti, Giappone, Unione Europea in costruzione. Un ritorno verso la frammentazione regionale o verso i piccoli mercati nazionali è un passo indietro.
37. Il mercato mondiale e la mondializzazione dei processi di produzione creano anche una migrazione internazionale. I grandi agglomerati urbani si sviluppano rapidamente; la metà della popolazione mondiale vive nelle città. A livello mondiale si manifesta una grande contraddizione tra la cultura del grande capitale (con i suoi valori di concorrenza, individualismo, la legge del più forte, la ricerca del profitto a qualsiasi costo e il controllo delle menti) e la cultura popolare (e dei suoi valori di solidarietà, di giustizia, di uguaglianza, di internazionalismo e di democrazia).
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Perché salvare la sede di via Cologna significa conservare la memoria storica?
martedì 9 novembre alle ore 17,
presso la Sala Tessitori
piazza Oberdan 6
conferenza - dibattito:
I crimini dell’Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia
parleranno
Claudia Cernigoi,
ricercatrice storica
Samo Pahor,
storico
verrà proiettato un documentario realizzato da Saša Ota e Fabio Mosca
organizzano
Il Coordinamento antifascista di Trieste
Cittadini liberi e uguali
Associazione Edinost
in collaborazione con il
Gruppo consiliare regionale della Sinistra Arcobaleno
---
Zakaj rešiti sedež ul. Cologna pomeni ohraniti zgodovinski spomin
V torek 9. novembra ob 17 uri,
v dvorani Tessitori
Trg Oberdan 5
predavanje:
Zločini Posebnega inšpektorata J.V.
za Julijsko Benečijo
Govorila bosta
Claudia Cernigoi
zgodovinska raziskovalka
Samo Pahor
zgodovinar
na ogled bo dokumentarec, ki sta ga pripravila
Saša Ota in Fabio Mosca
organizirajo
Tržaški antifašistični odbor
Svobodni in enakopravni državljani
Društvo Edinost
in
Deželna svetniška skupina Levica Mavrica
LA DERIVA KAFKIANA DELLA LINGUA SERBOCROATA
La "lingua serba", nei nuovi codici identificatori MS per le lingue, è descritta dettagliatamente in questo modo:
SR-Latn-BA
SR-Cyrl-BA
SR-Cyrl-RS
SR-Latn-RS
SR-Latn-ME
SR-Latn-ME
SR-Latn-CS (in pochi anni anche questo è stato superato, poichè 'CS' stava per Serbia & Montenegro)
SR-Cyrl-CS (in pochi anni anche questo è stato superato, poichè 'CS' stava per Serbia & Montenegro)
Per il "croato" e per il "bosniaco" (sic) vale invece:
Croato:
hr-HR
hr-BA
Bosniaco:
bs-Latn-BA
bs-Cyrl-BA
Certo da un punto di vista meramente informatico, questa suddivisione dovrebbe chiarire le necessità di programmatori ed utenti, come d'altronde già nel caso della lingua inglese***, dove oltre alla sigla della lingua sta il suffisso per la sua territorialità, mentre nel caso del serbo e del "bosniaco" si è dovuta aggiungere anche la descrizione per l'alfabeto.
Comunque, lo schema per le suddette lingue ci indica che i processi politici hanno avuto delle conseguenze pesanti nell'informatica.
Il ginepraio è tale che risulta arduo percepire quale differenza ci possa essere ad esempio tra SR-Cyrl-BA (il "serbo" parlato in Bosnia e scritto in cirillico) e bs-Cyrl-BA (il "bosniaco" scritto in cirillico); certo, il cirillico è un'ottimo e intuitivo alfabeto, tanto che persino i Turchi Ottomani lo utilizzarono per quasi due secoli nei Balcani...
Più ragionevolmente, nel mondo di "Internet", il serbo molto spesso è considerato tale solo in quanto è scritto in cirillico.
Invece, l'unica "lingua" propriamente "bosniaca" che si sarebbe potuta inserire era il "bosgnacco" (variante con alcuni turcismi, parlata negli ambienti musulmani), che manca.
Così come manca del tutto ogni codifica per la lingua comune parlata in Serbia, Croazia e Bosnia-Erzegovina, che comprende tutte le altre, e della quale oramai abbiamo terrore a pronunciare il nome.
Fonte: Windows Language Code Identifier (LCID) Reference
Basato su una segnalazione di Dk.
Sulla disputa linguistica serbo-croato-bosniaca si veda tutta la documentazione raccolta alla nostra pagina: https://www.cnj.it/CULTURA/jezik.htm
*** lingua inglese: en-US, en-GB, en-AU, en-CA, en-NZ, en-IE, en-ZA, en-JM, en-CB, en-BZ, en-TT, en-ZW, en-PH, en-ID, en-HK, en-IN, en-MY, en-SG.
Il terremoto invisibile e altre vergogne giornalistiche
da Alessandro Di Meo, di "Un Ponte per...", riceviamo e volentieri segnaliamo:
1) Lettera di protesta a Repubblica
sulla disinformazione a proposito della visita di Tadic in Croazia
2) I serbi sono soli
sulla mancata informazione a proposito del terremoto che ha devastato l'area di Kraljevo
3) Emergenza Terremoto a Kraljevo, Serbia
sulla raccolta fondi straordinaria per le vittime del terremoto di Kraljevo
=== 1 ===
Lettera di protesta a Repubblica
inviata il 5/11/2010
Posso dirlo che avete da tempo superato la soglia dell'indecenza, per quanto riguarda l'approccio al tema ex Jugoslavia?
Oggi questo articolo in prima pagina ( http://www.repubblica.it/esteri/2010/11/05/news/tadic_vukovar-8766359/?ref=HREC1-4#commenta ) sulle scuse di Tadic, così come tanto spazio avete dedicato al simbolo del male (sottintendendo male uguale Serbia) Ivan il terribile e non una parola sulle scuse del presidente croato Josipovic per eccidi compiuti dai croati neosecessionisti, precedenti a Vukovar. Scuse fatte in contemporanea alla visita di Tadic!
E tutto questo dopo aver dedicato zero spazio alla notizia del terremoto di ieri l'altro, che non sarà stato Haiti, per fortuna (ma magari qualcuno fra di voi, della scuola di Adriano Sofri, a questo punto credo se lo auguri) ma che almeno per rispetto al dovere dell'informazione un comune lettore si aspettava di trovare.
Davvero senza speranza e senza più parole (e da oggi, anche senza più alcun interesse per il vostro lavoro che se è in malafede qui, può esserlo sicuramente anche altrove).
Oggi questo articolo in prima pagina ( http://www.repubblica.it/esteri/2010/11/05/news/tadic_vukovar-8766359/?ref=HREC1-4#commenta ) sulle scuse di Tadic, così come tanto spazio avete dedicato al simbolo del male (sottintendendo male uguale Serbia) Ivan il terribile e non una parola sulle scuse del presidente croato Josipovic per eccidi compiuti dai croati neosecessionisti, precedenti a Vukovar. Scuse fatte in contemporanea alla visita di Tadic!
E tutto questo dopo aver dedicato zero spazio alla notizia del terremoto di ieri l'altro, che non sarà stato Haiti, per fortuna (ma magari qualcuno fra di voi, della scuola di Adriano Sofri, a questo punto credo se lo auguri) ma che almeno per rispetto al dovere dell'informazione un comune lettore si aspettava di trovare.
Davvero senza speranza e senza più parole (e da oggi, anche senza più alcun interesse per il vostro lavoro che se è in malafede qui, può esserlo sicuramente anche altrove).
Alessandro Di Meo
=== 2 ===
MERCOLEDÌ 3 NOVEMBRE 2010
I serbi sono soli
E certo, non c'era mica il famigerato "Ivan, il terribile" da mostrare alle televisioni, coi suoi tatuaggi celtici e cetnici da "Grande Serbo", "violento e massacratore", "pulitore etnico a denominazione d'origine controllata!". No, non c'era Ivan, c'era solo un terremoto, con due morti nel villaggio di Grdica, dove vivono famiglie profughe dal Kosovo che dopo tanti anni, con tanta fatica, si sono rifatte una casa dove provare a far crescere i propri figli. Case oggi crepate, di terremoto, ma chissenefregherà mai?
No, nessuna televisione ha mostrato qualcosa di questo terremoto di una intensità pari a quello che ha sconvolto L'Aquila, con povere case fatte di mattoni che hanno resistito molto meglio di case dello studente fatte con l'approvazione delle italiche concessioni edilizie! I serbi non valgono queste notizie, i siti di giornali come La Repubblica (e non solo...) non hanno degnato di un trafiletto quei morti e quei feriti e quelle tante case danneggiate per gente che dovrà affrontare il terribile, quello si, inverno balcanico, aggiustando crepe e tetti, rinunciando alla legna per il riscaldamento, rinunciando a molte di quelle cose normali al nostro mondo.
Non meritano i vostri articoli, mentre li merita Ivan il terribile, corrispettivo ideologico di chi si permette di affermare che i serbi sono la schifezza di questo mondo (vero Sofri?) tralasciando di commentare le loro disgrazie.
I serbi sono soli, a questo mondo. Sono soli e lo sanno. Lo so da tempo, anche io. I serbi sono soli, noi che ci sbattiamo per loro, siamo soli. Siamo già in due.
(per contribuire: http://www.unponteper.it/informati/article.php?sid=1890)
No, nessuna televisione ha mostrato qualcosa di questo terremoto di una intensità pari a quello che ha sconvolto L'Aquila, con povere case fatte di mattoni che hanno resistito molto meglio di case dello studente fatte con l'approvazione delle italiche concessioni edilizie! I serbi non valgono queste notizie, i siti di giornali come La Repubblica (e non solo...) non hanno degnato di un trafiletto quei morti e quei feriti e quelle tante case danneggiate per gente che dovrà affrontare il terribile, quello si, inverno balcanico, aggiustando crepe e tetti, rinunciando alla legna per il riscaldamento, rinunciando a molte di quelle cose normali al nostro mondo.
Non meritano i vostri articoli, mentre li merita Ivan il terribile, corrispettivo ideologico di chi si permette di affermare che i serbi sono la schifezza di questo mondo (vero Sofri?) tralasciando di commentare le loro disgrazie.
I serbi sono soli, a questo mondo. Sono soli e lo sanno. Lo so da tempo, anche io. I serbi sono soli, noi che ci sbattiamo per loro, siamo soli. Siamo già in due.
(per contribuire: http://www.unponteper.it/informati/article.php?sid=1890)
=== 3 ===
Da: Alessandro Di MeoData: 04 novembre 2010 10.42.23 GMT+01.00Oggetto: Emergenza Terremoto a Kraljevo, Serbiacari tutti,
le scosse di terremoto a Kraljevo continuano, anche se di intensità minore (hvala Bogu, si dice...).
Resta molta paura, ma restano pure i danni alle case, soprattutto per quel che riguarda i tetti, le murature portanti e i tramezzi interni, le canne fumarie, gli intonaci.
Abbiamo ritenuto utile lanciare una raccolta fondi straordinaria dal sito di Un Ponte per...
(per contribuire vedi: http://www.unponteper.it/informati/article.php?sid=1890 )
Buone notizie dal processo per i fatti del 13 maggio 1999:
---
Da: Comitato 13 maggio 1999
Oggetto: L'appello ha funzionato! Grazie! Prescritti i 13 condannati a Firenze
Data: 05 novembre 2010 15.23.15 GMT+01.00
Cari/e tutti/e,
Grazie per aver sottoscritto il nostro appello:
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Da: Comitato 13 maggio 1999
Oggetto: L'appello ha funzionato! Grazie! Prescritti i 13 condannati a Firenze
Data: 05 novembre 2010 15.23.15 GMT+01.00
Cari/e tutti/e,
Grazie per aver sottoscritto il nostro appello:
http://www.altracitta.org/2010/11/03/firenze-in-1500-chiedono-giustizia-ed-equita-per-chi-manifesto-contro-la-guerra-nel-1999/
Stamane la sentenza d'appello ha riconosciuto le attenuanti, che non erano state concesse in primo grado, e pertanto il reato di resistenza è andato in prescrizione.
Continuiamo a pensare che manifestare contro la guerra non sia reato, così come il subire una immotivata carica da parte delle forze dell'ordine.
In ogni caso l'importante è che per i 13 imputati è finito un incubo!
Grazie per l'adesione all'appello, che ha raggiunto le duemila firme, ed è stato portato in aula dagli avvocati difensori.
Il Comitato 13 maggio 1999
Stamane la sentenza d'appello ha riconosciuto le attenuanti, che non erano state concesse in primo grado, e pertanto il reato di resistenza è andato in prescrizione.
Continuiamo a pensare che manifestare contro la guerra non sia reato, così come il subire una immotivata carica da parte delle forze dell'ordine.
In ogni caso l'importante è che per i 13 imputati è finito un incubo!
Grazie per l'adesione all'appello, che ha raggiunto le duemila firme, ed è stato portato in aula dagli avvocati difensori.
Il Comitato 13 maggio 1999
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Il giorno 03/nov/2010, alle ore 14.54, Coord. Naz. per la Jugoslavia ha scritto:
Firenze 13 maggio 1999: Grande manifestazione contro i bombardamenti della NATO, aggressione a sangue freddo contro i manifestanti, cinque gravemente feritiFirenze 26 gennaio 2008: Processo politico e scandalose condanne contro i partecipanti a quella manifestazioneFirenze 5 novembre 2010: Nuova udienza per il riesame della sentenzaSi veda la documentazione, anche foto/video, raccolta alla pagina: https://www.cnj.it/24MARZO99/firenze.htm---From: Comitato di SolidarietàSent: Friday, October 29, 2010 1:21 PMSubject: Sette anni di carcere per aver manifestato contro la guerra. Firma anche tu!Comitato di Solidarietà 13 maggio 1999
AppelloGiustizia ed equità per chi manifestò contro la guerraTra i primi firmatari Alessandro Santoro, Andrea Satta, Angela Staude Terzani, Enzo Mazzi, Folco Terzani, Luigi Ciotti, Ornella De Zordo, Marco Vichi, Sandro Veronesi, Sergio Staino, Simona BaldanziIl 5 novembre comincerà il processo di appello per i fatti avvenuti oltre dieci anni fa, il 13 maggio 1999, nei pressi del consolato statunitense di Firenze. Quel giorno migliaia di persone parteciparono a una manifestazione contro la guerra in Jugoslavia, che si concluse appunto sotto il consolato. Vi fu un breve concitato contatto fra le forze dell'ordine e i manifestanti, per fortuna senza conseguenze troppo gravi, se non alcuni manifestanti contusi, fra cui una ragazza che dovette essere operata ad un occhio.Nessuno, sul momento, fu fermato o arrestato, ma in seguito vi furono identificazioni e denunce. Si è arrivati così alle condanne di primo grado, molto pesanti per i 13 imputati: ben sette anni, per le accuse di resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Nel dibattimento si sono confrontate le tesi - molto divergenti – delle forze dell'ordine e dei manifestanti.Non intendiamo sindacare le procedure legali, né esprimere giudizi tecnico-giuridici sulla sentenza, ma ci pare che le pene inflitte in primo grado e le loro conseguenze sulla vita delle persone imputate, siano del tutto sproporzionate rispetto alla reale portata dei fatti.Non vi furono, il 13 maggio 1999, reali pericoli per l'ordine pubblico o per l’incolumità delle persone, e non è giusto - in nessun caso – infliggere pene pesanti, in grado di condizionare e stravolgere l'esistenza di una persona, per episodi minimi: perciò esprimiamo la nostra pubblica preoccupazione in vista del processo d'appello, convinti come siamo che la giustizia non possa mai essere sinonimo di vendetta e nemmeno strumento per mandare messaggi "esemplari" a chicchessia.Seguiremo il processo e invitiamo la cittadinanza a fare altrettanto, perché questa non è una storia che riguarda solo 13 persone imputate, ma un passaggio significativo per la vita cittadina e per il senso di parole e concetti che ci sono cari, come democrazia, giustizia, equità.***Alessandro Santoro, Comunità delle Piagge | Andrea Calò, consigliere provinciale | Andrea Satta, musicista, Tete de bois | Angela Staude Terzani, scrittrice | Beatrice Montini, Giornalisti contro il razzismo | Carlo Bartoli, giornalista | Catia di Sabato, rappresentante studenti universitari | Chiara Brilli, giornalista | Christian De Vito, ricercatore | Corrado Mauceri, Comitato per la difesa della Costituzione | Cristiano Lucchi, giornalista | Domenico Guarino, giornalista | Emiliano Gucci, scrittore | Enrico Fink, musicista | Enzo Mazzi, Comunità ; dell'Isolotto | Filippo Zolesi, Si nistra unita e plurale | Folco Terzani, scrittore | Francesca Chiavacci, consigliera comunale | Francesco di Giacomo, musicista Banco del Mutuo Soccorso | Francesco Pardi, senatore | Giuliano Giuliani e Haidi Gaggio Giuliani, genitori di Carlo Giuliani | John Gilbert, Statunitensi contro la guerra | Lisa Clark, Beati i costruttori di pace | Lorenzo Guadagnucci, Comitato verità e giustizia su Genova | Luigi Ciotti, prete | Mauro Banchini, giornalista | Mauro Socini, presidenza Anpi Firenze | Marcello Buiatti, biologo | Marco Vichi, scrittore | Maria Grazia Campus, Comitato bioetica Regione Toscana | Maurizio De Zordo, Lista di cittadinanza perUnaltracittà |& nbsp;Miriam Giovanzana, Terre di mezzo |&n bsp;Moreno Biagioni Rete Antirazzista fiorentina | Ornella De Zordo, consigliera comunale | Paolo Ciampi, giornalista e scrittore | Paolo Solimeno, Giuristi democratici | Petra Magoni, musicista | Pietro Garlatti, rappresentante studenti universitari | Raffaele Palumbo, giornalista | Riccardo Torregiani Comitato fermiamo la guerra Firenze | Sandra Carpilapi, Sinistra unita e plurale | Sandro Targetti, Comitato No Tav | Sandro Veronesi, scrittore | Sara Vegni, Comitato 3 e 32 | Sergio Staino, vignettista | Simona Baldanzi, scrittrice | Ulderi co Pesce, attore e regista | Vincenzo Striano, referente associazionismo ...
Notizie dal movimento antimilitarista
1) APPELLO DELLA RETE NAZIONALE DISARMIAMOLI PER UN 4 NOVEMBRE ANTIMILITARISTA
2) Anche Bologna accoglie l'appello della Rete Nazionale Disarmiamoli!
4) I difensori dei diritti umani negli USA vittime di un'ondata repressiva senza precedenti
5) Vertice della NATO il 19-20 novembre a Lisbona
- Appello contro la NATO, in vista del suo vertice in Portogallo
- Il PC portoghese chiede al parlamento di rifiutare la nuova Concezione Strategica della NATO
6) Un miliardo e cento milioni di euro per un progetto da “guerre stellari”
APPELLO DELLA RETE NAZIONALE DISARMIAMOLI PER UN 4 NOVEMBRE ANTIMILITARISTA.
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Iniziative a Bologna, Milano, Novara, Trieste, Pisa, Spoleto, Catania, Novara, Cameri... Per le info da tutte le città vedi su:
http://www.disarmiamoli.org/index.php?option=com_content&task=blogcategory&id=15&Itemid=99
TUTTE LE REALTA' CHE PROMUOVERANNO INIZIATIVE POSSONO INVIARE UNA MAIL A info@...
http://www.disarmiamoli.org/index.php?option=com_content&task=blogcategory&id=15&Itemid=99
TUTTE LE REALTA' CHE PROMUOVERANNO INIZIATIVE POSSONO INVIARE UNA MAIL A info@...
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APPELLO DELLA RETE NAZIONALE DISARMIAMOLI PER UN 4 NOVEMBRE ANTIMILITARISTA.
LA GUERRA È FINITA?
Il nostro paese ha espresso per decenni alti livelli di coscienza, capacità di reazione e mobilitazione intorno ai temi del no alla guerra e all’intervento militare in Iraq e Afghanistan, al militarismo ed al riarmo unici in tutto il mondo occidentale.
Sino a pochi anni fa le piazze si riempivano per dire NO alle guerre di aggressione ed ai suoi sponsor, inchiodando alle proprie responsabilità governi di diverso posizionamento nell’emiciclo parlamentare.
A vedere l’Italia di oggi sembra siano passati anni luce da quelle grandi mobilitazioni.
Il tema della guerra viene costantemente distorto o espulso dal dibattito politico nazionale.
Quasi tutte le nuove espressioni del dissenso antiberlusconiano non annoverano tra le proprie parole d’ordine il no alla guerra ed alle missioni all’estero. Le vertenze a difesa dei posti di lavoro e dei servizi sociali non evidenziano la stridente contraddizione tra i tagli al salario diretto ed indiretto e aumento esponenziale della spesa militare.
Una rimozione collettiva di tale portata troverebbe giustificazione in una effettiva diminuzione dei pericoli di conflitto nel mondo, quantomeno nell’area geografica prossima al nostro paese. Potrebbe essere giustificata da una diminuzione dei processi di militarizzazione dei territori e della vita sociale e culturale interna.
La realtà che ci circonda, le scelte politiche interne ed internazionali ci raccontano una realtà ben diversa. Ci dicono che
LA GUERRA È TRA NOI.
I dati macroscopici evidenziati dalle grandi agenzie internazionali di calcolo economico ci parlano delle industrie armiere come uniche capaci di chiudere con attivi di bilancio annuali astronomici. Finmeccanica, holding italiana al 37% pubblica è tra i colossi mondiali di questo commercio di morte.
Le missioni militari all’estero continuano a produrre debito pubblico (3 milioni di euro al giorno per l’erario italiano) e guadagni privati per i soliti noti, morte e distruzione per i paesi aggrediti.
La società nel suo complesso sta subendo un processo di militarizzazione che arriva, con il protocollo La Russa – Gelmini per i corsi paramilitari nelle scuole, ad investire direttamente la formazione delle future generazioni.
La rimozione di questa realtà dipende quindi dal venir meno di una critica politica, sociale e culturale al meccanismo bellico come ingranaggio centrale dell’attuale sistema di produzione, specie in una fase di crisi sistemica come l’attuale.
In forme diverse si stanno velocemente ricreando le condizioni dell’allucinante meccanismo - ben rodato durante il secolo scorso – del “distruggere per ricostruire, per ricreare le ragioni della produzione di merci e di profitto”.
LA GUERRA TRASFORMA I NOSTRI TERRITORI.
Le basi della guerra sono essenziali per proiettare queste politiche sui territori circostanti, vicini e lontani. Così procedono i lavori al Dal Molin di Vicenza, crescono le basi di camp Darby e si ipotizza di costruire il più grande Hub militare d’Italia nel limitrofo aeroporto di Pisa, continuano i lavori di potenziamento di Sigonella e delle basi radar a Niscemi, si potenzia la produzione degli F35 a Cameri (Novara).
Territori che cambiano di segno, divenendo nei fatti grandi aree a stretta sorveglianza militare. Una immensa seconda linea organizzata per distruggere e depredare i paesi limitrofi.
SENZA UN NO ALLE POLITICHE DI GUERRA NON ESISTONO ALTERNATIVE POSSIBILI ALLO STATO DI COSE PRESENTI
Il nostro paese sarà progressivamente investito da una crisi economica sempre più pesante, che già ha ridotto milioni di lavoratori, giovani e pensionati in condizioni economiche molto critiche. Uomini e donne che cercheranno di rispondere ad una realtà senza futuro con lotte, rivendicazioni, istanze di legittima affermazione esistenziale.
L’assenza attuale della tematica antimilitarista, del no alla guerra ed alle sue proiezioni rischia di contribuire al sorgere di pulsioni nazionaliste e reazionarie all’interno dei futuri movimenti di massa.
È urgente che tutte le realtà sociali, culturali, sindacali e politiche che si muovono sul terreno di una alternativa radicale al modello sociale dominante rimettano al centro delle proprie piattaforme i temi del
NO ALLA GUERRA, ALLE SPESE MILITARI, ALLA MILITARIZZAZIONE DELLA SOCIETA’ E DELLA CULTURA.
PER IL RITIRO DELLE TRUPPE DALL’AFGHANISTAN E DA TUTTI I CONFLITTI BELLICI.
Su questi grandi temi proponiamo a tutte le realtà pacifiste e antiguerra presenti sul territorio nazionale di impegnarsi in una scadenza comune di mobilitazione, attraverso cortei, presidi, manifestazioni, iniziative. Indichiamo la settimana del 4 novembre prossimo, per ribaltare i contenuti di una giornata che invece galvanizza le forze armate.
DA VICENZA A SIGONELLA, DA NOVARA A PISA E LIVORNO, DA ROMA A MILANO, DA CAGLIARI A TRIESTE, DA COLLEFERRO A GHEDI, SI ALZI DI NUOVO FORTE E CHIARA LA VOCE DI CHI SI OPPONE ALLE PRODUZIONI DI ARMI, ALLE POLITICHE DI MORTE ED ALLE SUE BASI.
Chiediamo a tutte le realtà che decideranno di promuovere una iniziativa nella prima settimana di novembre di darcene notizia, in modo da poter rafforzare e socializzare la mobilitazione.
La Rete nazionale Disarmiamoli!
www.disarmiamoli.org info@...
3381028120 - 3384014989
Il nostro paese ha espresso per decenni alti livelli di coscienza, capacità di reazione e mobilitazione intorno ai temi del no alla guerra e all’intervento militare in Iraq e Afghanistan, al militarismo ed al riarmo unici in tutto il mondo occidentale.
Sino a pochi anni fa le piazze si riempivano per dire NO alle guerre di aggressione ed ai suoi sponsor, inchiodando alle proprie responsabilità governi di diverso posizionamento nell’emiciclo parlamentare.
A vedere l’Italia di oggi sembra siano passati anni luce da quelle grandi mobilitazioni.
Il tema della guerra viene costantemente distorto o espulso dal dibattito politico nazionale.
Quasi tutte le nuove espressioni del dissenso antiberlusconiano non annoverano tra le proprie parole d’ordine il no alla guerra ed alle missioni all’estero. Le vertenze a difesa dei posti di lavoro e dei servizi sociali non evidenziano la stridente contraddizione tra i tagli al salario diretto ed indiretto e aumento esponenziale della spesa militare.
Una rimozione collettiva di tale portata troverebbe giustificazione in una effettiva diminuzione dei pericoli di conflitto nel mondo, quantomeno nell’area geografica prossima al nostro paese. Potrebbe essere giustificata da una diminuzione dei processi di militarizzazione dei territori e della vita sociale e culturale interna.
La realtà che ci circonda, le scelte politiche interne ed internazionali ci raccontano una realtà ben diversa. Ci dicono che
LA GUERRA È TRA NOI.
I dati macroscopici evidenziati dalle grandi agenzie internazionali di calcolo economico ci parlano delle industrie armiere come uniche capaci di chiudere con attivi di bilancio annuali astronomici. Finmeccanica, holding italiana al 37% pubblica è tra i colossi mondiali di questo commercio di morte.
Le missioni militari all’estero continuano a produrre debito pubblico (3 milioni di euro al giorno per l’erario italiano) e guadagni privati per i soliti noti, morte e distruzione per i paesi aggrediti.
La società nel suo complesso sta subendo un processo di militarizzazione che arriva, con il protocollo La Russa – Gelmini per i corsi paramilitari nelle scuole, ad investire direttamente la formazione delle future generazioni.
La rimozione di questa realtà dipende quindi dal venir meno di una critica politica, sociale e culturale al meccanismo bellico come ingranaggio centrale dell’attuale sistema di produzione, specie in una fase di crisi sistemica come l’attuale.
In forme diverse si stanno velocemente ricreando le condizioni dell’allucinante meccanismo - ben rodato durante il secolo scorso – del “distruggere per ricostruire, per ricreare le ragioni della produzione di merci e di profitto”.
LA GUERRA TRASFORMA I NOSTRI TERRITORI.
Le basi della guerra sono essenziali per proiettare queste politiche sui territori circostanti, vicini e lontani. Così procedono i lavori al Dal Molin di Vicenza, crescono le basi di camp Darby e si ipotizza di costruire il più grande Hub militare d’Italia nel limitrofo aeroporto di Pisa, continuano i lavori di potenziamento di Sigonella e delle basi radar a Niscemi, si potenzia la produzione degli F35 a Cameri (Novara).
Territori che cambiano di segno, divenendo nei fatti grandi aree a stretta sorveglianza militare. Una immensa seconda linea organizzata per distruggere e depredare i paesi limitrofi.
SENZA UN NO ALLE POLITICHE DI GUERRA NON ESISTONO ALTERNATIVE POSSIBILI ALLO STATO DI COSE PRESENTI
Il nostro paese sarà progressivamente investito da una crisi economica sempre più pesante, che già ha ridotto milioni di lavoratori, giovani e pensionati in condizioni economiche molto critiche. Uomini e donne che cercheranno di rispondere ad una realtà senza futuro con lotte, rivendicazioni, istanze di legittima affermazione esistenziale.
L’assenza attuale della tematica antimilitarista, del no alla guerra ed alle sue proiezioni rischia di contribuire al sorgere di pulsioni nazionaliste e reazionarie all’interno dei futuri movimenti di massa.
È urgente che tutte le realtà sociali, culturali, sindacali e politiche che si muovono sul terreno di una alternativa radicale al modello sociale dominante rimettano al centro delle proprie piattaforme i temi del
NO ALLA GUERRA, ALLE SPESE MILITARI, ALLA MILITARIZZAZIONE DELLA SOCIETA’ E DELLA CULTURA.
PER IL RITIRO DELLE TRUPPE DALL’AFGHANISTAN E DA TUTTI I CONFLITTI BELLICI.
Su questi grandi temi proponiamo a tutte le realtà pacifiste e antiguerra presenti sul territorio nazionale di impegnarsi in una scadenza comune di mobilitazione, attraverso cortei, presidi, manifestazioni, iniziative. Indichiamo la settimana del 4 novembre prossimo, per ribaltare i contenuti di una giornata che invece galvanizza le forze armate.
DA VICENZA A SIGONELLA, DA NOVARA A PISA E LIVORNO, DA ROMA A MILANO, DA CAGLIARI A TRIESTE, DA COLLEFERRO A GHEDI, SI ALZI DI NUOVO FORTE E CHIARA LA VOCE DI CHI SI OPPONE ALLE PRODUZIONI DI ARMI, ALLE POLITICHE DI MORTE ED ALLE SUE BASI.
Chiediamo a tutte le realtà che decideranno di promuovere una iniziativa nella prima settimana di novembre di darcene notizia, in modo da poter rafforzare e socializzare la mobilitazione.
La Rete nazionale Disarmiamoli!
www.disarmiamoli.org info@...
3381028120 - 3384014989
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Anche Bologna accoglie l'appello della Rete Nazionale Disarmiamoli! PRESIDIO SABATO 6/11/2010 |
Anche Bologna accoglie l'appello della Rete Nazionale Disarmiamoli ! PRESIDIO SABATO 6/11/2010 Dall'Afghanistan all'Italia, basta con le politiche di guerra! Riprendiamo l'iniziativa contro le basi sul nostro territorio e contro le missioni miliari italiane all'estero Anche Bologna accoglie l'appello della Rete Nazionale Disarmiamoli ! Sabato 6 novembre 2010 dalle 9 alle 12 siamo in Piazza Re Enzo Per dire alla città che la sensibilità antimilitarista è ancora viva, e che occorre continuare le lotte contro le spese militari, contro il rilancio dell'industria bellica, contro la realizzazione di nuove basi e l'ampliamento di quelle esistenti, per il ritiro dei militari italiani all'estero per missioni di conquista neocoloniale mascherate da missioni di pace, per la promozione di autentiche politiche di pace ed equità tra i popoli, e per restituire alle politiche sociali le risorse sottratte dalle spese militari Per questi motivi pensiamo che la mobilitazione contro la guerra debba essere rilanciata ed approfondita a livello nazionale, in uno scenario in cui i cadaveri dei nostri soldati continuano a rientrare dall'Afghanistan, come prima rientravano dall'Iraq o da altri contesti, mentre i mass-media complici nascondono all'opinione pubblica immagini e notizie degli uccisi per mano italiana e della NATO su quelle terre. Pensiamo che Bologna non possa "chiamarsi fuori" da questa mobilitazione anche se la presenza militare sul territorio cittadino appare in diminuzione - come sembra viste le numerose ed estese servitù militari in stato di abbandono, attorno alle quali già si scatenano gli appetiti della speculazione edilizia privata - in realtà l'intera Emilia Romagna è una regione chiave dal punto di vista delle attività militari, e questo non può essere tollerato. Industrie e cooperative della regione - incluse coop considerate "rosse" come la CMC di Ravenna - svolgono un ruolo vergognoso nella realizzazione di strutture e strumenti di guerra fuori regione, incluse le basi di Vicenza e della Sicilia. Fare la guerra all'estero ha una sola precisa conseguenza per i lavoratori italiani: la delocalizzazione delle imprese nei paesi "conquistati" e l'abbattimento dei salari e dei diritti dei lavoratori del nostro paese. Si pensi alla FIAT e alla OMSA, che si trasferiscono in Serbia, dopo che quel paese è stato da noi bombardato e soggiogato politicamente ed economicamente. E fare il soldato non è un mestiere come gli altri, e non può essere considerato come un'alternativa alla disoccupazione ed alla precarietà generata dalla crisi profonda del sistema capitalista occidentale. Analogamente l'addestramento militare non può diventare "materia di studio" da introdurre nella scuola, proprio mentre i finanziamenti all'istruzione e alla ricerca sono tagliati, e il livello culturale della popolazione italiana è soggetto ad un drammatico calo, a causa di politiche mirate all'imbarbarimento dei rapporti sociali, all'impoverimento non solo economico delle classi subalterne ed all'annullamento del dissenso. In prospettiva, come nodo bolognese della Rete Disarmiamoli, auspichiamo la costituzione di un Coordinamento Cittadino per il ritiro delle truppe italiane all'estero, che si dia come obiettivi prioritari ed urgenti: . Il ritiro delle truppe dall'Afghanistan . Lo stop a tutti i progetti di nuove basi militari su territorio italiano e all'ampliamento di quelle esistenti . Il taglio delle spese militari e la restituzione dei fondi alle politiche sociali: istruzione, sanità, pensioni, lavoro Rete Disarmiamoli Bologna disarmiamoli.bologna@... |
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Firenze 13 maggio 1999: Grande manifestazione contro i bombardamenti della NATO, aggressione a sangue freddo contro i manifestanti, cinque gravemente feriti
Firenze 26 gennaio 2008: Processo politico e scandalose condanne contro i partecipanti a quella manifestazione
Firenze 5 novembre 2010: Nuova udienza per il riesame della sentenza
Si veda la documentazione, anche foto/video, raccolta alla pagina: https://www.cnj.it/24MARZO99/firenze.htm
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From: Comitato di Solidarietà
Sent: Friday, October 29, 2010 1:21 PM
Subject: Sette anni di carcere per aver manifestato contro la guerra. Firma anche tu!
Comitato di Solidarietà 13 maggio 1999
Appello
Giustizia ed equità per chi manifestò contro la guerra
Tra i primi firmatari Alessandro Santoro, Andrea Satta, Angela Staude Terzani, Enzo Mazzi, Folco Terzani, Luigi Ciotti, Ornella De Zordo, Marco Vichi, Sandro Veronesi, Sergio Staino, Simona Baldanzi
Il 5 novembre comincerà il processo di appello per i fatti avvenuti oltre dieci anni fa, il 13 maggio 1999, nei pressi del consolato statunitense di Firenze. Quel giorno migliaia di persone parteciparono a una manifestazione contro la guerra in Jugoslavia, che si concluse appunto sotto il consolato. Vi fu un breve concitato contatto fra le forze dell'ordine e i manifestanti, per fortuna senza conseguenze troppo gravi, se non alcuni manifestanti contusi, fra cui una ragazza che dovette essere operata ad un occhio.
Nessuno, sul momento, fu fermato o arrestato, ma in seguito vi furono identificazioni e denunce. Si è arrivati così alle condanne di primo grado, molto pesanti per i 13 imputati: ben sette anni, per le accuse di resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Nel dibattimento si sono confrontate le tesi - molto divergenti – delle forze dell'ordine e dei manifestanti.
Non intendiamo sindacare le procedure legali, né esprimere giudizi tecnico-giuridici sulla sentenza, ma ci pare che le pene inflitte in primo grado e le loro conseguenze sulla vita delle persone imputate, siano del tutto sproporzionate rispetto alla reale portata dei fatti.
Non vi furono, il 13 maggio 1999, reali pericoli per l'ordine pubblico o per l’incolumità delle persone, e non è giusto - in nessun caso – infliggere pene pesanti, in grado di condizionare e stravolgere l'esistenza di una persona, per episodi minimi: perciò esprimiamo la nostra pubblica preoccupazione in vista del processo d'appello, convinti come siamo che la giustizia non possa mai essere sinonimo di vendetta e nemmeno strumento per mandare messaggi "esemplari" a chicchessia.
Seguiremo il processo e invitiamo la cittadinanza a fare altrettanto, perché questa non è una storia che riguarda solo 13 persone imputate, ma un passaggio significativo per la vita cittadina e per il senso di parole e concetti che ci sono cari, come democrazia, giustizia, equità.
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Alessandro Santoro, Comunità delle Piagge | Andrea Calò, consigliere provinciale | Andrea Satta, musicista, Tete de bois | Angela Staude Terzani, scrittrice | Beatrice Montini, Giornalisti contro il razzismo | Carlo Bartoli, giornalista | Catia di Sabato, rappresentante studenti universitari | Chiara Brilli, giornalista | Christian De Vito, ricercatore | Corrado Mauceri, Comitato per la difesa della Costituzione | Cristiano Lucchi, giornalista | Domenico Guarino, giornalista | Emiliano Gucci, scrittore | Enrico Fink, musicista | Enzo Mazzi, Comunità ; dell'Isolotto | Filippo Zolesi, Si nistra unita e plurale | Folco Terzani, scrittore | Francesca Chiavacci, consigliera comunale | Francesco di Giacomo, musicista Banco del Mutuo Soccorso | Francesco Pardi, senatore | Giuliano Giuliani e Haidi Gaggio Giuliani, genitori di Carlo Giuliani | John Gilbert, Statunitensi contro la guerra | Lisa Clark, Beati i costruttori di pace | Lorenzo Guadagnucci, Comitato verità e giustizia su Genova | Luigi Ciotti, prete | Mauro Banchini, giornalista | Mauro Socini, presidenza Anpi Firenze | Marcello Buiatti, biologo | Marco Vichi, scrittore | Maria Grazia Campus, Comitato bioetica Regione Toscana | Maurizio De Zordo, Lista di cittadinanza perUnaltracittà |& nbsp;Miriam Giovanzana, Terre di mezzo |&n bsp;Moreno Biagioni Rete Antirazzista fiorentina | Ornella De Zordo, consigliera comunale | Paolo Ciampi, giornalista e scrittore | Paolo Solimeno, Giuristi democratici | Petra Magoni, musicista | Pietro Garlatti, rappresentante studenti universitari | Raffaele Palumbo, giornalista | Riccardo Torregiani Comitato fermiamo la guerra Firenze | Sandra Carpilapi, Sinistra unita e plurale | Sandro Targetti, Comitato No Tav | Sandro Veronesi, scrittore | Sara Vegni, Comitato 3 e 32 | Sergio Staino, vignettista | Simona Baldanzi, scrittrice | Ulderi co Pesce, attore e regista | Vincenzo Striano, referente associazionismo ...
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I difensori dei diritti umani negli USA vittime di un'ondata repressiva senza precedenti
su www.cubadebate.cu del 03/11/2010
Traduzione di l'Ernesto online
Il Comitato per Fermare l'FBI (Committee to Stop FBI, in inglese) ha lanciato un appello urgente alla solidarietà internazionale perchè si unisca alla campagna a sostegno degli attivisti dei diritti umani che sono oggetto di violenti attacchi della polizia federale per le loro azioni contro gli interventi militari nordamericani all'estero.
Il gruppo ricorda, nel suo sito web stopfbi.net, come lo scorso 24 settembre, agenti dell'FBI hanno fatto irruzione nelle abitazioni di attivisti, in particolare di quelli che solidarizzano con le lotte in Palestina e Colombia. Le retate alla ricerca di "sospetti" e le perquisizioni di case hanno avuto luogo in Illinois, Minnesota, California, e Carolina del Nord.
Attivisti di Illinois, Minnesota e Michigan hanno ricevuto mandati di comparizione davanti alla Corte, un metodo ampiamente utilizzato dalla polizia per intimidire le persone che, se si rifiutano di fare dichiarazioni, possono ricevere sentenze di incarcerazione.
Ciò costituisce "un abuso di potere da parte dell'FBI evidentemente concepito per creare un clima di paura tra coloro che hanno il coraggio di lottare per la pace e la giustizia", sottolinea il comitato che difende il diritto del cittadino a sviluppare attività di solidarietà internazionale senza essere molestato.
Il comitato denuncia la "scalata degli attacchi" dell'FBI non solo contro militanti dei diritti umani, ma anche "contro le comunità arabe e musulmane e gli immigrati negli Stati Uniti".
"E' la continuazione della repressione della dissidenza avviata con il maccartismo, della brutale persecuzione dei movimenti popolari da parte di COINTELPRO ( un programma di infiltrazione da parte dell'FBI attivo tra il 1956 e il 1971) e, più recentement, degli attivisti per la "giustizia ambientale", segnala il gruppo, osservando "una crescente ondata di odio della destra".
Il comitato rivolge un appello ai militanti contro la guerra, a favore dei diritti umani, "agli attivisti della solidarietà internazionale, agli attivisti anti-razzisti" perchè operino in solidarietà con chi si trova nel mirino della repressione poliziesca, indirizzando la loro denuncia all'ambasciata USA del proprio paese.
Lo scorso 30 settembre, la nota commentatrice Amy Goodman aveva dichiarato che la mattina di venerdì 24 settembre, "agenti dell'FBI hanno fatto una violenta irruzione, con le pistole in pugno, in varie abitazioni di attivisti contro la guerra, perquisendole per ore".
L'FBI "ha confiscato computer personali e portatili, fotografie e altri effetti personali", ha precisato Goodman denunciando che "le vittime hanno ricevuto mandati di comparizione davanti al Gran Giurì di Chicago".
"Si tratta dell'incidente più recente nell'attuale offensiva contro la dissidenza negli Stati Uniti, che perseguita gli attivisti per la pace accusandoli di appoggiare "organizzazioni terroriste straniere", ha sottolineato.
E' degno di rilievo come tale ondata repressiva dell'FBI negli Stati Uniti non stia ricevendo la pur minima attenzione da parte delle agenzie internazionali di stampa.
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Appello contro la NATO, in vista del suo vertice in Portogallo
di
su www.wpc-in.org del 01/09/2010
Dichiarazione del Consiglio Mondiale della Pace e del Consiglio Portoghese per la pace e la cooperazione
Traduzione a cura de l’Ernesto online
Il Consiglio Mondiale della Pace (WPC) e il Consiglio Portoghese per la Pace e la Cooperazione (CPPC) salutano i popoli del mondo amanti della pace e i movimenti della pace che si mobilitano continuando a denunciare le guerre imperialiste, le occupazioni illegali e l’ingiustizia sociale, e li invitano a continuare a rafforzare gli sforzi e le lotte comuni contro l’imperialismo e i suoi apparati, in particolare contro la NATO, la più grande macchina da guerra del mondo.
Il WPC denuncia di fronte ai popoli del mondo i crimini che la NATO ha commesso e continua a commettere contro l’umanità con il pretesto sia della protezione dei “diritti umani” che della lotta contro il “terrorismo”, secondo la propria interpretazione.
La NATO è stata sin dalla sua fondazione nel 1949 un organismo aggressivo. Dopo il 1991, con la sua nuova dottrina militare si è trasformata nello “sceriffo” mondiale degli interessi imperialisti. E’ stata spesso in relazione con i regimi sanguinari e le dittature, con le forze reazionarie e le Giunte. Ha partecipato attivamente allo smembramento della Jugoslavia, ai barbarici bombardamenti della Serbia durati 78 giorni, al rovesciamento di regimi mediante “rivoluzioni colorate”, all’occupazione dell’Afghanistan. La NATO persevera nei suoi piani per un “Grande Medio Oriente”, allargando il suo raggio d’azione con la “Partnership per la Pace” e la “cooperazione speciale” in Asia e America Latina, in Medio Oriente, nel Nord Africa, ed anche con l’ “Esercito Europeo”.
Tutti i governi degli stati membri condividono responsabilità nella NATO, sebbene il ruolo di direzione spetti all’amministrazione statunitense. La presenza di approcci diversi su alcune questioni è il riflesso di particolari punti di vista e rivalità, ma essi comunque sempre conducono ad un confronto aggressivo comune con i popoli.
Noi condanniamo la politica dell’Unione Europea, che coincide con quella della NATO e il Trattato di Lisbona che va a braccetto con la NATO in materia politica e militare. Le spese militari degli USA in missioni estere sono cresciute tra il 2002 e il 2009 da 30 miliardi di euro a 300 miliardi di euro.
I popoli e le forze amanti della pace del mondo non accettano la NATO nel suo ruolo di “sceriffo” globale. Respingono tutti gli sforzi tesi ad incorporare la NATO nel sistema delle Nazioni Unite. Chiedono lo scioglimento di questa offensiva macchina da guerra militare. Persino l’ingannevole pretesto dell’esistenza del Patto di Varsavia oggi è venuto meno.
Il Consiglio Mondiale della Pace e i suoi membri e amici organizzeranno in decine di paesi diverse iniziative nazionali e internazionali contro la NATO e la sua concezione strategica, che si annuncia verranno adottate al prossimo vertice in Portogallo. Organizzeremo, insieme al Consiglio Portoghese per la Pace e la Cooperazione, manifestazioni e conferenze e un’iniziativa centrale di massa prima e durante i giorni del vertice NATO (novembre 2010) a Lisbona.
Sotto lo slogan “NATO, nemica dei Popoli e della Pace: Smantelliamola!”, il WPC chiama tutte le organizzazioni degli stati membri della NATO e il mondo intero a sottoscrivere un appello che mette in rilievo le seguenti questioni:
- La NATO è stata una forza aggressiva e reazionaria fin dalla sua fondazione nel 1949. Il Trattato di Varsavia è stato creato in seguito ed è stato smantellato prima.
- La NATO per 60 anni si è sporcata le mani del sangue di tante persone e non costituisce una forza “che mantiene la pace” nell’ambito dell’ONU.
- Anche se sotto direzione USA, le aggressioni vengono perpetrate insieme ad altre forze imperialiste, non cambia il carattere della NATO.
- La NATO è direttamente collegata all’Unione Europea e viceversa, dal momento che un notevole numero di paesi dell’UE sono anche membri della NATO, attraverso le clausole e gli impegni assunti nel “Trattato di Lisbona”.
- Tutti i governi dei paesi membri della NATO portano la responsabilità delle sue azioni; essi sostengono i suoi piani imperialisti.
- La guerra della NATO contro la Jugoslavia ha rappresentato una pietra miliare del nuovo dogma, ai tempi del vertice di Washington del 1999. In seguito fu svelato il fatto che l’UE non rappresenta certo un “contrappeso democratico” agli USA.
- La NATO agisce come un poliziotto globale con collaboratori in tutti i continenti, che eseguono il suo Piano per un “Più Grande Medio Oriente” ed intervengono attivamente in Europa Orientale, nel Caucaso e altrove.
Noi approviamo e sosteniamo la campagna portoghese “Si alla pace, No alla NATO” che unisce decine di movimenti e organizzazioni sociali. Noi facciamo appello a tutte le Organizzazioni amanti della pace perché uniscano le loro voci e le loro forze attorno a questo appello e si ritrovino con noi nel novembre 2010 a Lisbona.
Il Consiglio Mondiale della Pace (WPC)
Il Consiglio Portoghese per la Pace e la Cooperazione (CPPC)
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Il PC portoghese chiede al parlamento di rifiutare la nuova Concezione Strategica della NATO
su www.pcp.pt del 01/11/2010
I deputati comunisti portoghesi chiedono al parlamento di rifiutare la nuova Concezione Strategica della NATO
Traduzione di l'Ernesto online
In Italia, l'imminente vertice della NATO, che si svolgerà il 19-20 novembre a Lisbona non sembra avere ancora suscitato non solo mobilitazione, ma neppure un qualche minimo interesse, nonostante si tratti della scadenza in cui l'organizzazione militare imperialista tradurrà in concezione strategica la sua più recente pratica di ingerenza, di aggressione e di guerra in ogni angolo del mondo.
In Portogallo, sede del vertice, la riunione della NATO è invece oggetto di grande attenzione da parte del movimento pacifista e delle forze progressiste, in particolare del Partito Comunista Portoghese, impegnato attivamente nell'organizzazione di una forte iniziativa che si protrae ormai da qualche mese e che culminerà in una manifestazione di massa in concomitanza con lo svolgimento del vertice.
Per l'occasione, il gruppo parlamentare del PCP ha presentato anche una proposta di risoluzione all'Assemblea della Repubblica, che condanna la nuova dottrina della NATO.
La proponiamo all'attenzione dei nostri lettori.
Sperando possa servire a suscitare qualche interesse tra i comunisti e la sinistra anche in Italia.
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All'Assemblea della Repubblica del Portogallo (il parlamento nazionale), una risoluzione del Partito Comunista Portoghese propone il rifiuto della nuova Concezione Strategica della NATO che sta per essere ratificata al Vertice di Lisbona del 19-20 novembre.
Il Progetto di Risoluzione N.º 294/XI-2ª propone il rifiuto della nuova Concezione Strategica della NATO.
L'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) ha annunciato lo svolgimento di un vertice dal 19 al 20 novembre, in Portogallo, dove prevede di rivedere la sua concezione strategica, il che rappresenta un nuovo e pericoloso salto qualitativo nel ruolo, nella missione e negli obiettivi bellicisti di questa Organizzazione.
Con la sua nuova concezione strategica la NATO pretende di trasformare nella sua dottrina ciò che è già la sua pratica: allargare il raggio territoriale del suo intervento e la proiezione delle forze a tutto il globo; ampliare l'ambito delle sue missioni a questioni, come l'energia, l'ambiente, le migrazioni e le questioni della sicurezza interna degli Stati; riaffermarsi come blocco militare nonostante la retorica sul disarmo nucleare, prevedendo l'uso del'arma nucleare in attacchi militari; sviluppare ancora di più il complesso militare-industriale e la ricerca militare; ed esigere da tutti i suoi membri un aumento delle spese militari; promuovere la corsa agli armamenti e all'installazione di nuovi sistemi di missili in Europa; includere nelle sue missioni azioni di ingerenza diretta e occupazione sotto la copertura delle missioni di interposizione e mantenimento della pace; aumentare la strumentalizzazione dell'ONU per proseguire nei suoi propositi e approfondirne il ruolo di braccio armato dell'imperialismo.
La NATO svolge un ruolo centrale nella militarizzazione delle relazioni internazionali e nella corsa agli armamenti, essendo il principale motore dei conflitti e delle tensioni che segnano il momento attuale. La NATO impone una scalata negli armamenti e bellica di grandi dimensioni, di cui la guerra in Afghanistan è un elemento centrale.
La realizzazione del Vertice in Portogallo significa la conferma di una politica di coinvolgimento del paese nei propositi militaristi di questo blocco politico-militare che costituisce una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale. Il Governo rende subalterni gli interessi del Portogallo e del popolo portoghese e mette al servizio degli interessi degli Stati Uniti d'America, della NATO e dell'Unione Europea, la sua politica estera e le forze armate portoghesi, di cui sono esempio gli interventi in Afghanistan e nel Kosovo.
Nel momento in cui il Governo Socialista annuncia nuove misure che mirano ad attaccare i diritti dei lavoratori, ad aumentare la precarietà e lo sfruttamento, e peggiora le condizioni di vita dei lavoratori, dei pensionati, del popolo portoghese; nel momento in cui il Governo Socialista impone nuovi sacrifici a coloro che meno hanno, con il furto dei salari, l'aumento dei prezzi, la riduzione delle pensioni, la riduzione e la messa sotto condizione dell'accesso alle prestazioni sociali, la riduzione dell'investimento pubblico e l'inasprimento dell'attacco alla scuola pubblica e al diritto alla salute; il mantenimento e l'invio di forze militari portoghesi al servizio dei suoi interessi, al servizio della strategia della NATO, che non ha nulla a che vedere con gli interessi nazionali.
L'impegno del governo portoghese nella NATO è in rotta di collisione con i principi fondamentali che dovrebbero reggere le relazioni internazionali del paese inscritti nella Costituzione della Repubblica Portoghese: di "indipendenza nazionale, di rispetto dei diritti dell'uomo, dei diritti dei popoli, di uguaglianza tra gli stati, di soluzione pacifica dei conflitti internazionali, di non ingerenza negli affari interni di altri Stati e di cooperazione con tutti gli altri popoli per l'emancipazione e il progresso dell'unmanità", auspicando "l'abolizione dell'imperialismo, del colonialismo e di qualsiasi altra forma di aggressione, dominio e sfruttamento nelle relazioni tra i popoli, come anche il disarmo generale, simultaneo e controllato, la dissoluzione dei blocchi politico-militari e l'instaurazione di un sistema di sicurezza collettiva, con in vista la creazione di un ordine internazionale capace di assicurare la pace e la giustizia nelle relazioni tra i popoli.
In questi termini, e tenendo in considerazione quanto sopra esposto, in base alle disposizioni legali e regolamentari in vigore, i Deputati firmatari del Gruppo Parlamentare del PCP propongono che l'Assemblea della Repubblica adotti la seguente:
Risoluzione
L'Assemblea della Repubblica raccomanda al Governo, nei termini del n.° 5 dell'articolo 166.° della Costituzione, l'adozione delle seguenti misure:
- La difesa dello scioglimento di questa organizzazione, dalla cui struttura militare il Portogallo deve progressivamente svincolarsi;
- Una politica che ricusi l'orientamento contenuto negli obiettivi del Vertice della NATO di promozione della corsa agli armamenti e di aumento delle spese militari;
- Il ritiro delle forze portoghesi coinvolte in missioni militari della NATO;
- La fine delle basi militari straniere e delle installazioni della NATO in territorio nazionale;
- il rifiuto della militarizzazione dell'Unione Europea, che la trasforma nel pilastro militare della NATO;
- Battersi per una politica di disarmo e per la fine delle armi nucleari e di distruzione di massa;
- L'effettiva realizzazione di una politica estera portoghese in consonanza con i principi consacrati nella Costituzione della Repubblica Portoghese e nella Carta delle Nazioni Unite, nel rispetto del diritto internazionale, e per la sovranità e uguaglianza dei popoli.
Assemblea della Repubblica, 18 ottobre 2010
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Un miliardo e cento milioni di euro per un progetto da “guerre stellari”
“C’è un’eccellenza italiana da seguire come modello”. Cosi Mariastella Gelmini parla dell’investimento miliardario che vede protagonista MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca), Ministero della Difesa e Finmeccanica, attraverso le consorziate Thales Alenia Space, selex Galileo e Telespazio.
Si tratta del “Cosmo Skymed”, programma spaziale dell’ASI (Agenzia Spaziale Italiana), che giunge con questo lancio al quarto satellite spia nello spazio. La base militare dalla quale sarà inviato è quella di Vanderberg, in California, con un vettore realizzato dalla Boeing.
A che servirà questo satellite ce lo spiega da Santa Barbara (California) Vincenzo Camporini, Capo di Stato Maggiore della Difesa italiana. Dalle pagine de “La Stampa” del 31 ottobre Camporini ci afferma che “Cosmo Skymed…..ha straordinarie potenzialità militari. A volte si dà per scontato che noi si conosciamo il mondo come conosciamo il cortile di casa nostra…Non avete idea di come sia difficile mettere insieme delle mappe dell’Afghanistan affidabili”.
In un articolo di spalla del quotidiano torinese un altro giornalista si diletta a descrivere quello che gli statunitensi vedono come un piccolo “complesso militare-industriale” all’italiana, composto dal sottosegretario alla Difesa Guido Corsetto, i dirigenti di Finmeccanica e il presidente dell’ASI Enrico Maggese, accorsi in California ad assistere al lancio.
Viaggio andato di nuovo a vuoto come ci dice un dispaccio ANSA delle 07.21 del 02 novembre: “Il conto alla rovescia ….e' stato bloccato per motivi di sicurezza … quando mancavano due minuti al lancio a causa di un problema di fuoriuscita di azoto dalla struttura di terra
Inutile parlare degli ulteriori costi economici causati da questo secondo rinvio. Sciocchezze di fronte all’investimento complessivo: un miliardo e cento milioni di euro, sborsati da noi contribuenti attraverso una sinergia tra Ministero dell’Istruzione, della Difesa ed Unione Europea
Il progetto “Cosmo Skymed”, insieme ai programmi che introducono nella scuola forme d’addestramento militare - parliamo del protocollo Gelmini/La Russa per la Mini-naja e “Allenati per la vita”, finanziato con i residui di bilancio degli istituti scolastici - ci dicono quanto questo Ministero sia proiettato verso una stretta integrazione dell’Istruzione pubblica con il sistema di guerra tricolore, indubbiamente una “eccellenza” a livello internazionale, grazie al colosso Finmeccanica, che da decenni produce e smercia sofisticati di sistemi d’arma per guerre e regimi militari ai quattro angoli della terra.
Così, mentre l’Italia è in clamoroso ritardo nella spesa dei fondi UE 2007 – 2013, mentre centinaia di migliaia di precari della scuola e dell’Università stanno per essere gettati in mezzo ad una strada, Mariastella Gelmini si vanta dalle pagine del Sole24Ore di sostenere un progetto “motivo d’orgoglio in un paese in cui si parla spesso in termini negativi della capacità di fare ricerca”.
Ci auspichiamo che questo Ministro - auspicabilmente insieme ad un esecutivo che fa rimpiangere il regno del terzo imperatore romano di Roma Gaio Cesare, meglio noto come Caligola - venga al più presto spazzato via dal movimento di lotta per la difesa dell’istruzione pubblica, che progressivamente va assumendo le parole d’ordine del No alla guerra ed alle spese militari, come dimostrano le mobilitazioni di questi giorni a Milano con “Make School Not War, Si alla Scuola No alla Guerra!” ed in tutto il paese contro le parate del 4 novembre.
La Rete nazionale Disarmiamoli!
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“C’è un’eccellenza italiana da seguire come modello”. Cosi Mariastella Gelmini parla dell’investimento miliardario che vede protagonista MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca), Ministero della Difesa e Finmeccanica, attraverso le consorziate Thales Alenia Space, selex Galileo e Telespazio.
Si tratta del “Cosmo Skymed”, programma spaziale dell’ASI (Agenzia Spaziale Italiana), che giunge con questo lancio al quarto satellite spia nello spazio. La base militare dalla quale sarà inviato è quella di Vanderberg, in California, con un vettore realizzato dalla Boeing.
A che servirà questo satellite ce lo spiega da Santa Barbara (California) Vincenzo Camporini, Capo di Stato Maggiore della Difesa italiana. Dalle pagine de “La Stampa” del 31 ottobre Camporini ci afferma che “Cosmo Skymed…..ha straordinarie potenzialità militari. A volte si dà per scontato che noi si conosciamo il mondo come conosciamo il cortile di casa nostra…Non avete idea di come sia difficile mettere insieme delle mappe dell’Afghanistan affidabili”.
In un articolo di spalla del quotidiano torinese un altro giornalista si diletta a descrivere quello che gli statunitensi vedono come un piccolo “complesso militare-industriale” all’italiana, composto dal sottosegretario alla Difesa Guido Corsetto, i dirigenti di Finmeccanica e il presidente dell’ASI Enrico Maggese, accorsi in California ad assistere al lancio.
Viaggio andato di nuovo a vuoto come ci dice un dispaccio ANSA delle 07.21 del 02 novembre: “Il conto alla rovescia ….e' stato bloccato per motivi di sicurezza … quando mancavano due minuti al lancio a causa di un problema di fuoriuscita di azoto dalla struttura di terra
Inutile parlare degli ulteriori costi economici causati da questo secondo rinvio. Sciocchezze di fronte all’investimento complessivo: un miliardo e cento milioni di euro, sborsati da noi contribuenti attraverso una sinergia tra Ministero dell’Istruzione, della Difesa ed Unione Europea
Il progetto “Cosmo Skymed”, insieme ai programmi che introducono nella scuola forme d’addestramento militare - parliamo del protocollo Gelmini/La Russa per la Mini-naja e “Allenati per la vita”, finanziato con i residui di bilancio degli istituti scolastici - ci dicono quanto questo Ministero sia proiettato verso una stretta integrazione dell’Istruzione pubblica con il sistema di guerra tricolore, indubbiamente una “eccellenza” a livello internazionale, grazie al colosso Finmeccanica, che da decenni produce e smercia sofisticati di sistemi d’arma per guerre e regimi militari ai quattro angoli della terra.
Così, mentre l’Italia è in clamoroso ritardo nella spesa dei fondi UE 2007 – 2013, mentre centinaia di migliaia di precari della scuola e dell’Università stanno per essere gettati in mezzo ad una strada, Mariastella Gelmini si vanta dalle pagine del Sole24Ore di sostenere un progetto “motivo d’orgoglio in un paese in cui si parla spesso in termini negativi della capacità di fare ricerca”.
Ci auspichiamo che questo Ministro - auspicabilmente insieme ad un esecutivo che fa rimpiangere il regno del terzo imperatore romano di Roma Gaio Cesare, meglio noto come Caligola - venga al più presto spazzato via dal movimento di lotta per la difesa dell’istruzione pubblica, che progressivamente va assumendo le parole d’ordine del No alla guerra ed alle spese militari, come dimostrano le mobilitazioni di questi giorni a Milano con “Make School Not War, Si alla Scuola No alla Guerra!” ed in tutto il paese contro le parate del 4 novembre.
La Rete nazionale Disarmiamoli!
www.disarmiamoli.org info@...
3381028120 3384014989
("A quale scopo l'aiuto della Russia, se voi concedete tutto quello che l'Occidente vi chiede?"
La saggista russa Jelena Guskova sostiene che stanno per arrivare i guai maggiori nel Sangiaccato, e che la Serbia non sarà premiata per la sua "flessibilità" riguardo al Kosovo...)
Prenosimo | |||
Šta će Srbiji pomoć Rusije, kad dajete sve što Zapad traži |
sreda, 27. oktobar 2010. | |
(Alo, 25.10.2010) Direktorka Centra za izučavanje savremene balkanske krize u okviru Instituta za slavistiku Ruske akademije nauka Jelena Guskova, koja se decenijama bavi srpskim i balkanskim temama, u intervjuu za „Alo!“ simbolično opisuje situaciju u Srbiji rečima da „nam kuća gori, a mi čitamo uputstvo o gašenju požara“. Ona smatra da nam tek predstoje nevolje u Sandžaku i da za „popustljivost“ u vezi sa Kosovom Srbija neće biti nagrađena. - Nema sumnje da je Sandžak novo žarište sukoba. Pri tom, vi sami raspaljujete probleme i u Vojvodini, i u Sandžaku. Čini se nespornim da ako pristaneš na ustupak jednoj strani, drugoj strani daješ znak da to možeš učiniti i drugi, treći, četvrti put... Mislite da su događaji u Sandžaku povezani sa Kosovom? - Sve teritorije sa većinskim albanskim stanovništvom u Srbiji, Makedoniji, Crnoj Gori i Grčkoj samo čekaju signal kako bi pošle putem Kosova. Taj signal će dobiti kada Kosovo stekne status nezavisne države, što će neizostavno voditi ka stvaranju „velike Albanije“. Šteta što je Srbija pasivna povodom toga. Na budućim pokoljenjima Srba će biti da razmrse to što su zapetljali današnji srpski političari. Šta je najpametnije što bi Beograd mogao da uradi u vezi sa Sandžakom? Kakav savet biste dali čoveku čija je kuća u plamenu, a on sedi u fotelji i čita knjigu o načinima gašenja požara?! Treba da uzme kofu sa vodom i pozove susede u pomoć! Može li Srbija i dalje da računa na podršku Rusije? - Ako Srbija uporno pravi ustupke u pitanjima o Kosovu, Vojvodini, Sandžaku, zašto vam treba podrška Rusije?! >Kako Moskva gleda na to što je Beograd prihvatio zahtev Brisela i izmenio rezoluciju o Kosovu u UN-u? - Moskva je reagovala suzdržano, potvrđujući svoju poziciju o neprikosnovenosti Rezolucije 1244. Međutim, postavlja se pitanje zašto je toliko dugo trebalo podržavati Beograd, kada je Srbija rešila da se odrekne svoje pozicije? Meni je iskreno žao što Srbija nije iskoristila to što je na njenoj strani bila Rusija i što je bilo moguće još dugo ne priznavati nezavisnost Kosova. Ipak, na kraju krajeva, to je vaša zemlja i na vama je da rešite da li ćete dati deo svoje teritorije. Da li je, kako neki tvrde, Srbija nedavno usvojenom rezolucijom u UN-u faktički priznala nezavisnost Kosova? Na prvi pogled, nova rezolucija ne nosi u sebi neposrednu pretnju za Srbiju, ona je neutralna, bezuba, bukvalno nikakva. Ipak, ima u rezoluciji jedna nijansa na koju bi trebalo obratiti pažnju. Tekst u kome se govori o nastavku dijaloga između Beograda i Prištine srpska sredstva javnog informisanja prevode kao dijalog između strana, a na Zapadu tvrde da je u pitanju dijalog između dve države. Uzalud je Srbiji da tvrdi da ne priznaje nezavisnost Kosova, odgovoriće joj da u njenoj rezoluciji nema ni reči o tome. I u pregovorima će pokušati da postave stvari kao da se govori o dijalogu dve nezavisne države. Šta Srbija može očekivati od Evrope posle svojih ustupaka? Verovatno se Boris Tadić saglasio sa izmenom rezolucije zato što je na pregovorima sa Ketrin Ešton razmatrao pitanja zaštite spomenika kulture, srpskih enklava, možda autonomije za severni deo Kosova, Kosovsku Mitrovicu. Ipak, ne treba zaboraviti da EU nikada nije bila „prva violina“ pri rešavanju balkanskih pitanja, prema tome, da li Srbi treba da se nadaju poštovanju dogovorenog? Mislim da će ipak odlučujuću ulogu imati SAD. U svakom slučaju, tako je bilo do sada. Pa zar nema NATO na Kosovu svojih interesa - vojnu bazu „Bondstil“, koja nije pod kontrolom nijedne međunarodne organizacije? Osim toga, ne rešiti pitanje u korist Albanaca posle toliko godina pojačanog pritiska, za SAD bi značilo gubitak prestiža, tim pre jer se proces suviše odužio i davno izašao iz roka koji je predvideo Vašington. Nije za poverovati da će Srbiju brzo primiti u EU. Nju, istina, žele da nagrade za popuštanje, ali ne znaju na koji način. Koliko vam realno deluje priča da će doći do podele Kosova? Zašto ustupiti Srbiji deo teritorije Kosova, kada će ona ionako sve dati? Da, još uz to, neće požaliti ni Sandžak, Preševo, Bujanovac, Medveđu, kao i sve što budu tražili... - U poslednje vreme u Srbiji i Rusiji je došlo do veoma dobre saradnje u mnogim oblastima ekonomije, nauke, vojnoj sferi. To nije moglo ostaviti Zapad ravnodušnim. Vas su tako dugo uništavali, a vi ste nastojali da osigurate podršku Moskve i, štaviše, da vodite samostalnu politiku. Zbog toga je cilj SAD i Engleske da naruše ovu saradnju, obećavajući u zamenu idilu nakon pristupanja EU. Oni će učiniti sve da biste vi odustali od „Južnog toka“, od ruskog Centra za vanredne situacije u Nišu, predložiće pristupanje NATO... A to ne može da ne utiče na rusko-srpske odnose. (razgovor vodio: G. Simonović) |
KOMENTARI:
http://www.nspm.rs/component/option,com_yvcomment/ArticleID,31869/url,aHR0cDovL3d3dy5uc3BtLnJzL3ByZW5vc2ltby9zdGEtY2Utc3JiaWppLXBvbW9jLXJ1c2lqZS1rYWQtZGFqZXRlLXN2ZS1zdG8temFwYWQtdHJhemkuaHRtbD9hbHBoYWJldD1sI3l2Q29tbWVudDMxODY5/view,comment/#yvComment31869
(Segnaliamo l'uscita di questo nuovo libro trilingue, di giornalismo investigativo sulle vicende di Srebrenica. Sull'argomento si vedano anche i testi e le segnalazioni raccolte alla nostra pagina: https://www.cnj.it/documentazione/srebrenica.htm )
The propaganda »Srebrenica«
is NATO’s Auschwitz fake
Alexander Dorin, Zoran Jovanović
Srebrenica
what really happened
Edited and with a foreword by Peter Priskil
181 p.
English / German / Serbian
incl. Dossier Srebrenica, a Documentary DVD by D. Josipović and M. Knežević
EUR 28,90
ISBN: 978-3-89484-820-0
October 2010
Contents • Inhalt • Sadržaj
- Foreword
Zum Geleit
Predgovor - A master race’s joke in Nazi manner
Ein Herrenwitz nach Nazi-Art
Gospodski vic u nacističkom žargonu - Pre-history of and background to a historical lie
Vorgeschichte und Hintergründe einer Geschichtslüge
Predistorija i pozadina jedne istorijske laži - Pictorial Documentation
Bilddokumentation
Dokumentacija slika - Murdered Serbian civilians and soldiers
Ermordete serbische Zivilisten und Soldaten
Ubijeni srpski civili i vojnici - Witness report by Janja Simić
- Zeugenaussage von Janja Simić
- Izjava svedoka: Janja Simić
- Destroyed houses of Serbs in the area of Srebrenica
Zerstörte Häuser von Serben in der Umgebung von Srebrenica
Uništene srpske kuće u okolini Srebrenice - Witness report by Milorad Marjanović
- Zeugenaussage von Milorad Marjanović
- Izjava svedoka: Milorad Marjanović
- The perpetrators: Muslim death squadrons
Die Täter: moslemische Todesschwadronen
Počinioci: Muslimanske eskadrone - Witness report by Tatomir Gvozdenović
- Zeugenaussage von Tatomir Gvozdenović
- Izjava svedoka: Tatomir Gvozdenović
- Funerals of Serbian Victims of Massacre
Beerdigungen von serbischen Massakeropfern
Sahrane srpskih žrtava masacra - Witness report by Milka Božić
- Zeugenaussage von Milka Božić
- Izjava svedoka: Milka Božić
- Serbian Cemeteries
Serbische Friedhöfe
Srpska groblja - Witness report by Rajko Jovanović
- Zeugenaussage von Rajko Jovanović
- Izjava svedoka: Rajko Jovanović
- Memorial Sites for the Serbian Victims
Gedenkstätten für die serbischen Opfer
Spomenobeležja srpskih žrtava rata - Witness report by »Drago« Zikić
- Zeugenaussage von »Drago« Zikić
- Izjava svedoka: »Draga« Zikić
- Muslim combatants on the retreat from Srebrenica
Moslemische Kombattanten beim Rückzug aus Srebrenica
Muslimanski borci pri povlačenjuiz Srebrenice - Epilogue: The latest from the Srebrenica lobby’s lie factory
Epilog: Das Neueste aus der Lügen-Werkstatt der Srebrenica-Lobby
Epilog: Najnovije iz radionice laži srebreničkog lobija - List of the names of Serbs killed during the massacres in the area of Srebrenica between 1992 and 1995
Namensliste der bei den Massakern 1992–1995 in der Umgebung von Srebrenica ermordeten Serben
Imena ubijenih Srba u masakrima muslimanskih trupa izvršenim na području Srebrenica u vremenu između 1992. i 1995. godine - Documentary Appendix
Dokumentarischer Anhang
Dokumentarni apendiks - Dossier Srebrenica – Documentary (DVD) by Dalibor Josipović and Milan Knežević
Dossier Srebrenica – Dokumentarfilm (DVD) von Dalibor Josipović und Milan Knežević
Dosije Srebrenica – Dokumentarni (DVD) od Dalibora Josipovića i Milana Kneževića
Foreword
Srebrenica is a small town in the East of the former Yugoslavian republic (and today the state, founded with a baptism of fire by NATO) of Bosnia-Herzegovina, an enclave in the Serbian area of settlement inhabited mostly by Muslims until the mid-1990s.
But Srebrenica was more: in the constituent republic which was soon to be occupied by UN and NATO troops and torn by civil war, it was a (pseudo-)demilitarised "safe area", installed by the occupying powers, in addition to Žepa, Goražde, Sarajevo, Tuzla and Bihać. All of these "safe areas" were located in areas inhabited mostly by Serbs but were under UN or (which is the same thing) NATO control. Under the protection of the foreign occupying forces, the Muslims, who were anything but "demilitarised", being equipped with modern weapons (who were also described in the witness statements from surviving Serbs as "Ustaša" or "Turks"), launched attacks on the surrounding Serbian villages, whose inhabitants they manhandled bestially, tortured and slaughtered. This happened in the area around Srebrenica from 1992 until the summer of 1995, when Serb forces took the town without a fight (!), and this documentation is about the crimes committed against Serbian civilians that have remained unpunished to this day: Srebrenica – what really happened.
But Srebrenica is even more: it is, when Western politicians and their aligned, US-controlled media mention its name, a topos charged with powerful emotions, a gruesome, bloodthirsty metaphor, in which racism, fascism, genocide, chauvinism, imperial nationalism, ethnic cleansing, mass rape – in short, all of the tried and tested labels for politically correct baiting of the last two decades – are not only uttered, but shouted deafeningly into one’s ears. And let it be noted: the Serb is always the murderer, just like in World War I, just like in Hitler’s invasion of Yugoslavia, and now for the third and presumably last time. The US Empire and its vassals have achieved the perversion of facts that allows the Serbs, instead of being, as they were, the victims of a genocide perpetrated by the Catholic Church and the Nazis, to be portrayed as a fascist people of perpetrators. Clinton, former German SPD Chancellor Schröder and former Green Foreign Minister Fischer are the political executors of Hitler’s legacy.
"Srebrenica" in its official version is a propaganda lie that will not become the truth however loudly and frequently it is repeated. What the Sender Gleiwitz was to the Nazis, the little town of Srebrenica is to NATO.
In proportion to the size of this lie is the scale of the crime itself, which was only made possible by the lie in the first place; it can only be compared with the allegedly murdered incubator babies and the alleged weapons of mass destruction in Iraq. As was taking place at the same time in Iraq, tens of thousands of people fell victim to the economic sanctions that had been imposed on Serbia since 1992. In spring 1999, the remains of Yugoslavia was bombed for eleven weeks by NATO, and then the historical and religious core of Serbia, the Amselfeld ("Kosovo"), was amputated, occupied and, in violation of the relevant UN stipulations, which guaranteed the territorial integrity of the rump of Yugoslavia, "released into independence". Now, 15 years later, this lie is being warmed up again, because now it is time to pass judgements on both the political and military leadership of the Serbs and ordinary combatants in show trials conducted by the victors and bury them alive for decades in prisons – provided, of course, that they have not already died there under dubious circumstances. And the world will discover, apart from the bawling in the obligatory five-minute hate broadcast, nothing of importance, least of all on the internet. It is ghostly: Radovan Karadžić or Vojislav Šešelji, whose adherents number millions, mutate into media monsters, stereotypes of terror. The ruling class has undoubtedly learned since the Nazis’ debacle in the Reichstag fire trial of Georgi Dimitroff et al: the lying runs like clockwork, and technology makes it possible worldwide. The propaganda "Srebrenica" is NATO’s Auschwitz fake.
Srebrenica, as it really was: one of hundreds of war zones in Bosnia-Herzegovina, torn apart by the civil war between catholic Croats, orthodox Serbs and Muslims forcibly converted under Turkish rule. Just like the Nazis, the US imperialists subjugated the country by using the Islamic-Catholic axis, and the lie ruled right from the start: the Bosnian Serbs are supposed to have killed more than 250,000, while it has been proved that a total of between 30,000 and 60,000 people of all the parties to the civil war died; the evil, evil Serbs are supposed to have "systematically mass-raped" 60,000 women, no, 40,000, no, 20,000, until finally 119 documented cases remained (without the Serbian rape victims, of course) etc., etc. The propaganda "Srebrenica" is to a certain degree the generic term of this orgy of lies that has been raining down on our heads for years. There was fighting in the real Srebrenica too – of course, one almost is willing to say – resulting in about 2000 Muslims dying in battle. There are serious studies that exist on this matter, none more exemplary than that presented by the co-author of this documentation, Alexander Dorin (‘Srebrenica – Die Geschichte eines salonfähigen Rassismus’, Berlin 2010), the Bulgarian Germinal Civikov and several others. Admittedly, their voices are faint, which is inevitable under a worldwide regime of censorship.
But before the propaganda "Srebrenica" there were real crimes committed in the same region, which have been suppressed, kept silent, covered up, swept under the carpet: because they were committed against Serbs. And these are what this documentation is about. Alexander Dorin has spared neither effort, time nor money in his years of painstaking research in order to bring these denied facts to light, and without a stroke of luck – in the form of a meeting with the co-author Zoran Jovanović – he still would not have succeeded. What they have brought to light is horrendous but none the less true for that. (Will some state censorship authority spring into action this time too, acting on behalf of "youth protection", "misogyny", "racism" or whatever? We’ll see…)
In any case, it has become possible for the unbiased observer to hear the proverbial "other side", whose voice would otherwise have been silenced for all time – a sufficient, indeed urgent, reason for this publication.
Peter Priskil
(Diese Interview auf deutscher Sprache:
http://www.jungewelt.de/2010/10-05/051.php
http://www.jungewelt.de/2010/10-05/051.php
This interview in english:
http://www.workers.org/2010/world/serbia_1021/
http://www.workers.org/2010/world/serbia_1021/
Intervista a Krsljanin: ‘La Serbia è un paese occupato’
Workers World 17 ottobre 2010
Il 5 ottobre, 2000, un colpo di stato progettato da agenzie imperialiste USA e sostenuto da governi imperialisti europei occidentali rovesciò il partito socialista al governo in Jugoslavia, guidato da Slobodan Milosevic. Al momento – solo 16 mesi dopo una esiziale guerra aerea di 79 giorni guidata darli Usa e dalla NATO contro il popolo della Jugoslavia – vi era molta confusione anche tra i progressisti e le forze pacifiste dei paesi imperialisti, a causa della schiacciante propaganda anti-Milosevic nei media corporativi. La seguente intervista di Cathrin Schütz all’ex assistente di Milosevic, Vladimir Krsljanin getta luce su tali avvenimenti e gli sviluppi in Serbia degli ultimi 10 anni.
Dieci anni fa, il 5 ottobre, il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic fu rovesciato. Cosa si nasconde dietro questa “rivoluzione democratica per la libertà” celebrata dai media e dai politici occidentali?
Per 10 anni la Serbia aveva resistito con successo alla guerra contro la Jugoslavia, che ha avuto inizio nei primi anni ‘90. Dopo che la guerra di aggressione della NATO contro il nostro paese si concluso nel 1999 senza una chiara vittoria, Londra e Washington effettuarono una vasta operazione speciale per rovesciare Milosevic, la madre di tutte le successive “rivoluzioni colorate“.
Attraverso un decreto presidenziale, Bill Clinton diede carta bianca alla CIA per effettuare un colpo di stato in Jugoslavia. Somme enormi furono investite nei partiti politici, organizzazioni non governative e nei media. L’opposizione frammentata [a Milosevic e al Partito socialista di Serbia], fu unificata sotto la guida straniera. Una coalizione di 18 partiti sotto l’ombrello chiamato “opposizione democratica“, o DOS, fu formato con un unico obiettivo: rovesciare Milosevic.
William Montgomery, la persona che più tardi fu nominato ambasciatore USA a Belgrado, istituì un ufficio appositamente attrezzato a Budapest [nella vicina Ungheria]. Gli attivisti dell’opposizione frequentarono corsi che erano tenuti da agenti della CIA. Il cosiddetto gruppo studentesco conosciuto come “Otpor” (Resistenza), usava lo slogan “Gotov je” (E’ finito) per condurre le elezioni – tutto questo fu un progetto delle agenzie di intelligence occidentali.
Come ebbe luogo il golpe?
Nelle elezioni presidenziali jugoslave del 24 settembre l’uscente Milosevic ottenne il quindici per cento in meno, dei voti ottenuti dal candidato filo-occidentale Vojislav Kostunica. Tuttavia, poiché nessuno di questi due candidati aveva ottenuto la maggioranza assoluta, si sarebbe dovuto giungere ad un ballottaggio elettorale. I partiti del DOS affermarono che Milosevic aveva falsificato le elezioni e Kostunica aveva vinto al primo turno. Otpor guidò le violente proteste di piazza.
Il DOS voleva impedire il secondo turno, anche se avesse vinto di sicuro. Milosevic rifiutò di dimettersi senza il secondo turno di votazione.
Al culmine della lite, la Corte Suprema emise una decisione strana: a causa delle voci di irregolarità nel primo scrutinio, la votazione dalla provincia meridionale serba del Kosovo, fu semplicemente cancellata. Certo, il voto in quei distretti avrebbe dovuto essere ripetuto.
Con i voti annullati del Kosovo, il voto a Kostunica aumentò di oltre il 50 per cento. Milosevic riconobbe la decisione e il 5 ottobre si congratulò per la vittoria di Kostunica. Questo passaggio, che era stato appena riferito, fu sepolto in quello che i media presentarono come “sollevazione popolare“. Otpor incendiò il parlamento, e le forze Kostunica occuparono l’apparato di governo immediatamente e completamente. Con questo colpo di Stato fu evitato un passaggio controllato di potere.
Non fu dunque semplicemente una vittoria elettorale per l’opposizione?
L’immagine di Milosevic come “dittatore“, nei media occidentali, sarebbe apparsa assurdo se fosse stati semplicemente rimosso con un voto democratico. L’Occidente non voleva rischiare questa perdita di credibilità. Principalmente, però, la “rivoluzione” doveva essere effettuata con violenza, per accorciare i tempi, fino a quando il nuovo regime potesse consentire l’intervento occidentale nello stato e nell’economia, rendendo così la trasformazione irreversibile.
Dopo il 5 ottobre, uffici e imprese governativi furono occupate da cosiddette unità di crisi, e quelli precedentemente in carica furono cacciati. Dopo pochi mesi 40.000 funzionari erano stati illegalmente rimossi dagli uffici. Oggi, il ministro dell’Economia Mladjan Dinkic, ha iniziato la sua illustre carriera, utilizzando le mitragliatrici per prendere il controllo della Banca nazionale.
Il partito di Dinkic, G17 Plus, è stato originariamente creato come ONG da parte dell’Occidente. Nonostante il suo risultato elettorale marginale, negli ultimi 10 anni ha controllato le finanze pubbliche sotto governi successivi. Il primo atto di Dinkic come direttore della banca nazionale fu di sciogliere le quattro maggiori banche serbe su richiesta del Fondo monetario internazionale – con la conseguenza che il sistema bancario serbo è ormai in mani straniere, e ogni anno 6 miliardi di euro vengono esportati dal paese. Ricordo le parole di Milosevic prima delle elezioni: “Non attaccano la Serbia per catturare Milosevic, ma Milosevic per catturare la Serbia“.
Ma al di là della propaganda occidentale, vi era in realtà un grande malcontento tra la popolazione [nel 2000]… Sotto la guida di e in stretta collaborazione con i loro sponsor stranieri, l’opposizione ha capito come dare la colpa a Milosevic per la sofferenza causata dalle sanzioni occidentali e dalla guerra della NATO, e come fare grandi promesse per vincere le elezioni.
Le bombe avevano distrutto l’economia e le infrastrutture, aggravando il malcontento sociale. Quando il governo ha utilizzato i fondi rimanenti per la riparazione dei principali collegamenti stradali e ferroviari, gli elettori si sentiva ancor più addolorati e furono sensibili anche alla propaganda dell’opposizione, che dichiarava che votando contro Milosevic si sarebbe fermato la pressione estera e aumentato il tenore di vita. E’ in questo senso che si dovrebbe capire il portavoce della Casa Bianca, Ari Fleischer, che osservava che la guerra faceva parte della strategia del “cambio di regime” della NATO e degli Stati Uniti, perché indeboliva Milosevic e lo portava alla sua caduta.
Perché i principali paesi occidentali compirono un intervento aggressivo contro la Jugoslavia e la Serbia?
Dai primi anni ‘90 non ci sono state diverse guerre in Jugoslavia – in Slovenia, Croazia, Bosnia, Kosovo – erano tutte una sola guerra: quella dell’occidente contro la Jugoslavia. In questa affermazione sono pienamente d’accordo con Milosevic. l’ex presidente USA, George Bush Sr., parlando durante la celebrazione della riunificazione tedesca, discusse dell’eliminazione delle conseguenze del Trattato di Versailles in Europa. Un punto chiave per quanto riguarda Versailles, all’inizio del 20° secolo, fu quello di indebolire la Germania a favore dei paesi dell’est europeo, considerando la Germania come un satellite nella dottrina dell’”Europa Centrale“.
Così, a Versailles per la prima volta venne riconosciuta la Jugoslavia come stato. Fino alla dissoluzione della Jugoslavia, gruppi cattolici e musulmani in Jugoslavia erano stati usati dalle potenze occidentali per contrastare l’influenza russa, che si basava sulla vicinanza storica con i serbi. Nel 1990, tuttavia, il ruolo di un risorgente Germania, era di servire quale membro della NATO per indebolire la Russia e l’Europa orientale, che doveva essere trasformata in una “regione euro-atlantica” – ma naturalmente solo come colonia. In linea con il desiderio a lungo accarezzato dagli inglesi, di una Serbia, soprattutto, che doveva essere indebolita, in quanto potenziale alleato della Russia.
Con Milosevic non poteva mai accadere. Il Kosovo è ora sede di Camp Bondsteel, la più grande base militare USA in Europa, nella zona dei grandi progetti di oleogasdotti dal Mar Caspio.
Forse la caduta di Milosevic è stata un vantaggio per la popolazione della Serbia?
Immediatamente dopo 5 ottobre 2000, il Parlamento serbo dominato dall’SPS di Milosevic fu reso impotente attraverso la formazione di un governo di transizione. Si tennero elezioni anticipate. Il DOS vinse con una maggioranza dei due terzi dei voti e venne nominato Zoran Djindjic, il favorito numero uno dell’occidente, a primo ministro, l’ufficio più potente della politica jugoslava. Così, il colpo di stato fu completato.
La Serbia di oggi è un paese occupato. “Consulenti” esteri siedono in governo, esercito, polizia e servizi segreti. L’economia è a terra, il sistema bancario in mani straniere. Privatizzazione e vendita di grandi imprese portano povertà e fame alla Serbia. L’esercito è composto di soli quattro brigate, i media sono stati ridotti al silenzio, i politici sono corrotti. Il Montenegro si è separato e il Kosovo ha dichiarato la sua indipendenza.
E mentre prima del 5 ottobre 2000, la Corte distrettuale di Belgrado processò in contumacia e condannò i leader della NATO per crimini di guerra, condannandoli a 20 anni di carcere, la pena è stata abrogata poco dopo il golpe. Il capo della TV governativa fu accusato della morte del suo staff – coloro che erano morti sotto le bombe della NATO. Successivamente Milosevic e diversi alti funzionari statali e generali furono consegnati all’Inquisizione della NATO a L’Aia, in violazione della Costituzione.
Così nulla è migliorato. Al contrario, il nostro presidente telecomandato e il coro dei politici e degli “esperti” comprati, parlano di grandi vittorie sulla strada per l’adesione all’Unione europea. Ma sembra evidente che questa via non sia quella giusta.
Pubblicato il 6 ottobre dal quotidiano tedesco Junge Welt. Tradotto da Workers World, editore John Catalinotto. Copyright 1995-2010 Workers World. Copia e diffusione di questo articolo, nella sua integrità, sono permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che questa nota sia riprodotta.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – Aurora03.da.ru
Moldavia, Europa
In Moldavia, il malcontento, generato dai primi anni di massacro neoliberista ad opera delle forze nazionaliste "filo-romene" che si erano impadronite del potere dopo la dissoluzione dell'URSS, proclamando l'indipendenza, è sfociato, nel 2001, nella travolgente vittoria (maggioranza assoluta e 70% dei seggi) del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova. Per la prima volta, dalla fine dell'URSS, in Europa orientale i comunisti tornavano in modo assolutamente democratico alla direzione dello Stato, eleggendo quale presidente della Repubblica il loro leader Vladimir Voronin.Da quel momento i comunisti, pur tra enormi difficoltà e in un contesto internazionale non certo favorevole alle forze di progresso dopo la caduta del contrappeso socialista, hanno cercato di trovare una soluzione alla terribile crisi economica e sociale nel paese più povero d'Europa, ereditata dal decennio di potere della borghesia compradora. Si sono introdotte misure tese ad assicurare una maggiore presenza regolatrice dello Stato. Si è cercato di frenare la corruzione dilagante e di migliorare i servizi sociali. I mezzi finanziari a disposizione sono stati indirizzati allo sviiluppo della produzione industriale e dell'agricoltura. I comunisti si sono poi sforzati di ricercare l'integrazione nel mercato ex sovietico, sapendo bene che questo rappresentava l'unico modo per garantire una ragionevole ripresa della dissanguata economia nazionale. Il conseguente avvicinamento alla Russia ha comportato anche la ricerca tenace di un accordo con le autorità della Transnistria, regione moldava a prevalente composizione etnica russa, scenario di un sanguinoso conflitto seguito alla secessione avvenuta all'indomani dello scioglimento dell'URSS. Si è cercato anche di diversificare l'iniziativa internazionale, intessendo nuove relazioni, ad esempio attraverso la sigla di accordi commerciali con la Repubblica Popolare Cinese. Ma soprattutto, nel rispetto della Costituzione che impone la neutralità, si è conservata una posizione di principio di fronte alle pressioni per integrare la repubblica nei meccanismi militari delle alleanze occidentali, a cominciare dalla NATO, pur mantenendo un atteggiamento di apertura alla collaborazione con l'Unione Europea, Era dunque scontato che il cambiamento avvenuto in Moldavia dovesse provocare reazioni in ambito occidentale, e soprattutto da parte della Romania, che ha esplicitato in varie occasioni la sua contrarietà alle scelte di riavvicinamento alla Russia. Nei mesi scorsi si è completato un vero e proprio piano di destabilizzazione, appoggiato esplicitamente dalla Romania e dalla NATO, con caratteristiche analoghe a quelle delle altre "rivoluzioni colorate" che hanno cercato di destabilizzare le repubbliche ex sovietiche. A più riprese, in questi anni, violente manifestazioni hanno sconvolto la capitale Kishinev, rivendicando la discriminazione della lingua russa, inneggiando alla "Grande Romania" e invocando l'intervento della NATO, per "rovesciare il regime comunista". Il piano ha avuto il suo epilogo nella contestazione di presunti brogli elettorali e nella richiesta di ripetizione della consultazione nel 2009, sfociata nella sconfitta, anche se per un soffio, del Partito Comunista che, sebbene continui a rappresentare la prima forza politica del paese (46% dei voti), viene minacciato oggi di subire le stesse odiose persecuzioni riservate ai partiti fratelli di altri paesi della regione. Si è cercato anche di emarginare il Partito Comunista attraverso un referendum che che si proponeva di modificare le prerogative costituzionali, svoltosi il 7 settembre scorso. E' stato un autentico flop, con il mancato raggiungimento del già ridicolo quorum (un terzo del corpo elettorale): i moldavi hanno aderito in massa (oltre il 75%) alla richiesta dei comunisti di boicottare la consultazione. E' un segnale che non si presta ad equivoci. Che fa ben sperare in un drastico ridimensionamento delle speranze coltivate dal blocco reazionario e dai suoi sponsor occidentali, in vista delle elezioni politiche anticipate previste per la fine di novembre, rese necessarie dalla dura sconfitta del governo. Una consultazione, in cui molti danno quasi per scontata una vittoria dei comunisti che potrebbe permettere il loro ritorno al governo.
Sugli sviluppi in Moldavia che, non dimentichiamo, non solo è un paese europeo, ma la patria di molti migranti presenti in Italia, dovrebbe concentrarsi l'attenzione della nostra sinistra. Purtroppo questo non avviene. E la cosa che sorprende è il fatto che neppure l'adesione del PCRM (che peraltro non ha mai manifestato la minima intenzione di rinunciare alla propria identità comunista) alla "Sinistra Europea" sembra avere provocato anche solo un minimo movimento di solidarietà da parte delle forze progressiste , a cominciare da quelle, come PRC e SEL, che della "Sinistra Europea" sono componente fondativa.
Mauro Gemma
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=19820
Moldavia: il fallimento del referendum costituzionale
su www.pcrm.md del 27/10/2010
Dichiarazione del Partito Comunista della Repubblica di Moldova (PCRM)
Traduzione dal russo di Mauro Gemma per l'Ernesto online
Il 5 settembre scorso, il nostro popolo e il nostro partito hanno superato una seria prova storica. Indetto per quel giorno dalle autorità al governo, il referendum costituzionale avrebbe dovuto non solamente rafforzare il potere dell'alleanza liberale nel paese, ma anche aprire il cammino all'annientamento del nostro Stato, pianificato dai partiti del tradimento della nazione e dai loro protettori stranieri. La lunga e minuziosa preparazione, le enormi risorse amministrative, la massiccia propaganda nei media, la grossolana manipolazione della legislazione, l'abbassamento senza precedenti del quorum, la feroce pressione su tutti gli elettori del paese avrebbero dovuto garantire ai promotori di questa farsa antipopolare una sicura, facile e convincente vittoria. Una vittoria che, a loro parere, sarebbe risultata decisiva nella lotta contro il Partito dei Comunisti, la principale forza politica, che non permette ai poteri liberali di realizzare i propri perfidi disegni.
Ma l'alleanza ha sbagliato i calcoli. Poiché non ha capito che non combatteva solo contro il Partito dei Comunisti, ma con la maggioranza del popolo, con tutto il popolo. I risultati del referendum mancato, che ha rappresentato senza esagerazione la più grande disfatta dell'alleanza liberale da quando si trova al potere, dimostrano in modo esemplare che i nostri concittadini sono pronti a difendere la propria dignità, le proprie opinioni, la propria libertà e il proprio paese, persino in così difficili condizioni di feroce pressione degli strumenti amministrativi in mano al potere. Il nostro popolo ha dimostrato di essere capace di gesti rivoluzionari: gesti rivoluzionari di disobbedienza nei confronti di un potere ad esso estraneo.
Per questo, la vittoria, conseguita dal nostro partito in questa difficile battaglia, rappresenta non solo una nostra vittoria, ma quella di tutto il popolo, di tutto il paese!
Il Comitato Centrale del PCRM rivolge il suo più sentito ringraziamento e la sua riconoscenza a tutti quei cittadini della Repubblica Moldova, che hanno dato prova di consapevolezza e coraggio e hanno risposto al nostro appello a boicottare il referendum antipopolare e antistatale.
Il Comitato Centrale ringrazia anche in modo particolare i rappresentanti degli organi locali del potere, i consiglieri, i sindaci e i rappresentanti delle organizzazioni sociali che non hanno avuto paura di invitare pubblicamente la popolazione ad ignorare la farsa inscenata dal potere. Nonostante le minacce dirette e le azioni pratiche di pressione, lo scorso mese sono state approvate e pubblicate più di duecento dichiarazioni e appelli al boicottaggio da parte di rappresentanti delle amministrazioni locali in tutto il territorio della Moldova. Il vostro contributo alla nostra vittoria comune è stato significativo.
Un apporto di grande valore è venuto dal lavoro della maggior parte delle nostre organizzazioni di partito, che sono state capaci di trasmettere agli elettori il nostro appello, e sono riuscite ad assicurare un'affluenza bassissima praticamente in tutto il territorio del paese.
Particolarmente efficace e proficuo è stato il lavoro anche del nostro gruppo parlamentare. Il Comitato Centrale esprime un grande apprezzamento per il contributo alla vittoria di ogni nostro deputato al Parlamento, che ha operato sia con un confronto diretto con gli elettori, che attraverso gli strumenti di comunicazione di massa.
Il Comitato Centrale del PCRM si congratula con tutto il popolo moldavo per la convincente vittoria che non ha precedenti per la causa della difesa dell'indipendenza e della sovranità della Repubblica Moldova e del suo ritorno sulla strada di un normale sviluppo.
Il Partito dei Comunisti considera la fiducia politica accordatagli come un incoraggiamento a sviluppare il massimo sforzo per la vittoria nelle prossime elezioni parlamentari anticipate, per il ritorno di un potere autenticamente popolare, pro-moldavo ed effettivamente democratico nel nostro paese.
Settembre 2010
In Moldavia, il malcontento, generato dai primi anni di massacro neoliberista ad opera delle forze nazionaliste "filo-romene" che si erano impadronite del potere dopo la dissoluzione dell'URSS, proclamando l'indipendenza, è sfociato, nel 2001, nella travolgente vittoria (maggioranza assoluta e 70% dei seggi) del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova. Per la prima volta, dalla fine dell'URSS, in Europa orientale i comunisti tornavano in modo assolutamente democratico alla direzione dello Stato, eleggendo quale presidente della Repubblica il loro leader Vladimir Voronin.Da quel momento i comunisti, pur tra enormi difficoltà e in un contesto internazionale non certo favorevole alle forze di progresso dopo la caduta del contrappeso socialista, hanno cercato di trovare una soluzione alla terribile crisi economica e sociale nel paese più povero d'Europa, ereditata dal decennio di potere della borghesia compradora. Si sono introdotte misure tese ad assicurare una maggiore presenza regolatrice dello Stato. Si è cercato di frenare la corruzione dilagante e di migliorare i servizi sociali. I mezzi finanziari a disposizione sono stati indirizzati allo sviiluppo della produzione industriale e dell'agricoltura. I comunisti si sono poi sforzati di ricercare l'integrazione nel mercato ex sovietico, sapendo bene che questo rappresentava l'unico modo per garantire una ragionevole ripresa della dissanguata economia nazionale. Il conseguente avvicinamento alla Russia ha comportato anche la ricerca tenace di un accordo con le autorità della Transnistria, regione moldava a prevalente composizione etnica russa, scenario di un sanguinoso conflitto seguito alla secessione avvenuta all'indomani dello scioglimento dell'URSS. Si è cercato anche di diversificare l'iniziativa internazionale, intessendo nuove relazioni, ad esempio attraverso la sigla di accordi commerciali con la Repubblica Popolare Cinese. Ma soprattutto, nel rispetto della Costituzione che impone la neutralità, si è conservata una posizione di principio di fronte alle pressioni per integrare la repubblica nei meccanismi militari delle alleanze occidentali, a cominciare dalla NATO, pur mantenendo un atteggiamento di apertura alla collaborazione con l'Unione Europea, Era dunque scontato che il cambiamento avvenuto in Moldavia dovesse provocare reazioni in ambito occidentale, e soprattutto da parte della Romania, che ha esplicitato in varie occasioni la sua contrarietà alle scelte di riavvicinamento alla Russia. Nei mesi scorsi si è completato un vero e proprio piano di destabilizzazione, appoggiato esplicitamente dalla Romania e dalla NATO, con caratteristiche analoghe a quelle delle altre "rivoluzioni colorate" che hanno cercato di destabilizzare le repubbliche ex sovietiche. A più riprese, in questi anni, violente manifestazioni hanno sconvolto la capitale Kishinev, rivendicando la discriminazione della lingua russa, inneggiando alla "Grande Romania" e invocando l'intervento della NATO, per "rovesciare il regime comunista". Il piano ha avuto il suo epilogo nella contestazione di presunti brogli elettorali e nella richiesta di ripetizione della consultazione nel 2009, sfociata nella sconfitta, anche se per un soffio, del Partito Comunista che, sebbene continui a rappresentare la prima forza politica del paese (46% dei voti), viene minacciato oggi di subire le stesse odiose persecuzioni riservate ai partiti fratelli di altri paesi della regione. Si è cercato anche di emarginare il Partito Comunista attraverso un referendum che che si proponeva di modificare le prerogative costituzionali, svoltosi il 7 settembre scorso. E' stato un autentico flop, con il mancato raggiungimento del già ridicolo quorum (un terzo del corpo elettorale): i moldavi hanno aderito in massa (oltre il 75%) alla richiesta dei comunisti di boicottare la consultazione. E' un segnale che non si presta ad equivoci. Che fa ben sperare in un drastico ridimensionamento delle speranze coltivate dal blocco reazionario e dai suoi sponsor occidentali, in vista delle elezioni politiche anticipate previste per la fine di novembre, rese necessarie dalla dura sconfitta del governo. Una consultazione, in cui molti danno quasi per scontata una vittoria dei comunisti che potrebbe permettere il loro ritorno al governo.
Sugli sviluppi in Moldavia che, non dimentichiamo, non solo è un paese europeo, ma la patria di molti migranti presenti in Italia, dovrebbe concentrarsi l'attenzione della nostra sinistra. Purtroppo questo non avviene. E la cosa che sorprende è il fatto che neppure l'adesione del PCRM (che peraltro non ha mai manifestato la minima intenzione di rinunciare alla propria identità comunista) alla "Sinistra Europea" sembra avere provocato anche solo un minimo movimento di solidarietà da parte delle forze progressiste , a cominciare da quelle, come PRC e SEL, che della "Sinistra Europea" sono componente fondativa.
Mauro Gemma
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=19820
Moldavia: il fallimento del referendum costituzionale
su www.pcrm.md del 27/10/2010
Dichiarazione del Partito Comunista della Repubblica di Moldova (PCRM)
Traduzione dal russo di Mauro Gemma per l'Ernesto online
Il 5 settembre scorso, il nostro popolo e il nostro partito hanno superato una seria prova storica. Indetto per quel giorno dalle autorità al governo, il referendum costituzionale avrebbe dovuto non solamente rafforzare il potere dell'alleanza liberale nel paese, ma anche aprire il cammino all'annientamento del nostro Stato, pianificato dai partiti del tradimento della nazione e dai loro protettori stranieri. La lunga e minuziosa preparazione, le enormi risorse amministrative, la massiccia propaganda nei media, la grossolana manipolazione della legislazione, l'abbassamento senza precedenti del quorum, la feroce pressione su tutti gli elettori del paese avrebbero dovuto garantire ai promotori di questa farsa antipopolare una sicura, facile e convincente vittoria. Una vittoria che, a loro parere, sarebbe risultata decisiva nella lotta contro il Partito dei Comunisti, la principale forza politica, che non permette ai poteri liberali di realizzare i propri perfidi disegni.
Ma l'alleanza ha sbagliato i calcoli. Poiché non ha capito che non combatteva solo contro il Partito dei Comunisti, ma con la maggioranza del popolo, con tutto il popolo. I risultati del referendum mancato, che ha rappresentato senza esagerazione la più grande disfatta dell'alleanza liberale da quando si trova al potere, dimostrano in modo esemplare che i nostri concittadini sono pronti a difendere la propria dignità, le proprie opinioni, la propria libertà e il proprio paese, persino in così difficili condizioni di feroce pressione degli strumenti amministrativi in mano al potere. Il nostro popolo ha dimostrato di essere capace di gesti rivoluzionari: gesti rivoluzionari di disobbedienza nei confronti di un potere ad esso estraneo.
Per questo, la vittoria, conseguita dal nostro partito in questa difficile battaglia, rappresenta non solo una nostra vittoria, ma quella di tutto il popolo, di tutto il paese!
Il Comitato Centrale del PCRM rivolge il suo più sentito ringraziamento e la sua riconoscenza a tutti quei cittadini della Repubblica Moldova, che hanno dato prova di consapevolezza e coraggio e hanno risposto al nostro appello a boicottare il referendum antipopolare e antistatale.
Il Comitato Centrale ringrazia anche in modo particolare i rappresentanti degli organi locali del potere, i consiglieri, i sindaci e i rappresentanti delle organizzazioni sociali che non hanno avuto paura di invitare pubblicamente la popolazione ad ignorare la farsa inscenata dal potere. Nonostante le minacce dirette e le azioni pratiche di pressione, lo scorso mese sono state approvate e pubblicate più di duecento dichiarazioni e appelli al boicottaggio da parte di rappresentanti delle amministrazioni locali in tutto il territorio della Moldova. Il vostro contributo alla nostra vittoria comune è stato significativo.
Un apporto di grande valore è venuto dal lavoro della maggior parte delle nostre organizzazioni di partito, che sono state capaci di trasmettere agli elettori il nostro appello, e sono riuscite ad assicurare un'affluenza bassissima praticamente in tutto il territorio del paese.
Particolarmente efficace e proficuo è stato il lavoro anche del nostro gruppo parlamentare. Il Comitato Centrale esprime un grande apprezzamento per il contributo alla vittoria di ogni nostro deputato al Parlamento, che ha operato sia con un confronto diretto con gli elettori, che attraverso gli strumenti di comunicazione di massa.
Il Comitato Centrale del PCRM si congratula con tutto il popolo moldavo per la convincente vittoria che non ha precedenti per la causa della difesa dell'indipendenza e della sovranità della Repubblica Moldova e del suo ritorno sulla strada di un normale sviluppo.
Il Partito dei Comunisti considera la fiducia politica accordatagli come un incoraggiamento a sviluppare il massimo sforzo per la vittoria nelle prossime elezioni parlamentari anticipate, per il ritorno di un potere autenticamente popolare, pro-moldavo ed effettivamente democratico nel nostro paese.
Settembre 2010
(The original article, in english:
Kosovo is American
http://www.nspm.rs/nspm-in-english/kosovo-is-american.html
or http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6883 )
http://sitoaurora.altervista.org/Eurasia/Balkanija70.htm
Il Kosovo è americano
Hannes Hofbauer
Strategic Culture Foundation, 24.8.2010
Traduzione di Alessandro Lattanzio
"Il Kosovo è Serbo", è uno degli slogan chiave di ogni dichiarazione politica di Belgrado e dei meeting della diaspora Serbia in tutto il mondo. I monasteri ortodossi in tutto il paese sembrano dimostrare questo punto di vista. "Il Kosovo è territorio albanese", è la risposta della maggioranza di 1,9 milioni di persone che vivono in questo territorio. La loro prova sembra essere basata sulla quantità della semplice maggioranza etnica, che - per inciso - non necessariamente ha a che fare con uno Stato. "Il Kosovo è europeo", è la dichiarazione delle autorità di Bruxelles, che sottolineano il fatto che il Kosovo fa parte dell'"Eurozona" ed è sotto sorveglianza dell'UE. Storicamente serba, etnicamente albanese, economicamente della periferia europea. Sì e no. Tuttavia, geopoliticamente, il Kosovo è statunitense.
Il 22 luglio 2010, 10 su 14 giudici della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) dell'Aja hanno approvato la dichiarazione d'indipendenza kosovara come compatibile con le norme del diritto internazionale. L'indipendenza è stata dichiarata il 17 febbraio 2008 da un "Assemblea del Kosovo" nel parlamento di Pristina. La dichiarazione dell'ICJ s'è limitata alla proclamazione dell'indipendenza e non fa riferimento alla legittimità della secessione. Questa è una contraddizione minore. Una contraddizione più grave sta nel fatto che l'assemblea kosovara in parlamento, al momento era (ed è ancora oggi) formalmente non in rappresentanza del Kosovo, in ambito internazionale. La risoluzione ONU 1244 del 1999, che indicava un "Rappresentante speciale del Segretario generale" come rappresentante ufficiale della provincia, che viene definita parte integrante della Jugoslavia e della Serbia, rispettivamente. Per dirla precisamente: Il parlamento kosovaro non era legittimato a rappresentare il Kosovo sulla scena internazionale. Secondo il diritto internazionale, nessun corpo legale aveva chiesto l'indipendenza. Nel comunicato stampa della Corte internazionale di giustizia, si può leggere della legittimità dell'"Assemblea del Kosovo", che ha dichiarato l'indipendenza: "Su questo punto, la Corte giunge alla conclusione che gli autori della dichiarazione di indipendenza... non hanno agito come una delle istituzioni provvisorie di autogoverno nel quadro costituzionale, ma piuttosto come persone che hanno agito nella loro veste di rappresentanti del popolo del Kosovo, al di fuori del quadro dell'amministrazione ad interim (..) Gli autori della dichiarazione d'indipendenza non erano vincolati dal quadro delle competenze stabilite per governare (...)". Pertanto, la Corte Internazionale di Giustizia, "rileva che la dichiarazione d'indipendenza non ha violato il quadro costituzionale". In altre parole: poiché l'organismo che ha dichiarato la propria indipendenza non si compone di rappresentanti legali del Kosovo, le norme del diritto internazionale non erano state violate. Questa è una grave contraddizione.
La Corte internazionale di giustizia con il suo verdetto, di fatto segue la posizione degli Stati Uniti e della maggior parte degli stati UE. L'alleanza occidentale aveva già provato, prima della dichiarazione di indipendenza, di attuare una cosiddetto "indipendenza sotto sorveglianza" delle Nazioni Unite. Il piano Ahtisaari è stato liquidato dalla Russia (e dal Sud Africa). Così Washington, Parigi, Londra e Berlino, hanno realizzato questo piano, senza mandato delle Nazioni Unite.
De jure, la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite, è ancora valida. Il Kosovo è quindi parte della Serbia e l'amministrazione delle Nazioni Unite ha ufficialmente uno status neutrale.
Il ricorso all'ICJ pone la questione dell'indipendenza dello stato a livello internazionale. Ed è stata la Serbia che ne ha fatto richiesta. Quindi Belgrado non può semplicemente ignorare il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia. Ripetere lo slogan "Kosovo è Serbia" non aiuterà a superare la sua posizione difensiva. Per non parlare del rifiuto serbo di prendere in considerazione la realtà kosovara. Il 90% della popolazione non è disposta ad accettare le insegne nazionali serbe. Questo fatto non può essere ignorato.
Un Precedente
Come precedente, il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia sulla dichiarazione di indipendenza kosovara, è di vasta portata. Prima di tutto si sottolinea il passaggio dal diritto internazionale verso una preponderante gestione dei conflitti sui diritti umani. Negli ultimi due decenni, la gestione dei conflitti occidentale sempre più opera con gli argomenti dei diritti umani, invece del diritto internazionale. L'intera guerra della NATO contro la Jugoslavia, che ha spezzato il diritto internazionale, quando iniziò nel marzo 1999, seguiva l'argomento dei diritti umani per salvare la popolazione albanese dalla presunta aggressione serba. Il codice del diritto delle nazioni, in tal modo è stato messo da parte, escluso. La guerra della NATO contro la Jugoslavia pose anche fine al quadro giuridico, ad esempio, del CSCE nel garantire la sovranità nazionale, l'integrità territoriale e il rispetto dei confini nazionali. Da allora, invece del diritto internazionale codificato, i diritti umani servirono come argomenti per le aggressioni e gli interventi militari (ad esempio, anche in Afghanistan). La gamma di possibili interpretazioni dei diritti umani rende facile usare argomenti manipolativi che servano come strumenti per i propri interessi.
L'accettazione dell'indipendenza del Kosovo contro la volontà di Belgrado, è anche un precedente per molti casi concreti. Su tutto il territorio della ex-Jugoslavia. Dopo il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia, sarà più difficile da spiegare perché "la Republika Srpska" debba rimanere all'interno della Federazione della Bosnia-Erzegovina e perché dovrebbe essere impossibile dividersi e unirsi alla Serbia. Allo stesso modo, non sarà facile spiegare alla minoranza albanese in Macedonia, perché dovrebbe essere contro il diritto internazionale dichiarare l'indipendenza da Skopje o unirsi con l'Albania e/o Kosovo. Per non parlare dei serbi nel nord del Kosovo, che non accettano l'autorità Prishtina. Perché dovrebbero rimanere in uno Stato comune con gli albanesi? La loro possibile indipendenza e/o unificazione con la Serbia avrebbe seguito la stessa logica dell'ICJ.
La dichiarazione dell'ICJ approfondisce l'argomento dell'indipendenza nazionale ben al di là dell'ex-Jugoslavia. Come precedente, è importante ad esempio anche per Tiraspol. La Repubblica Moldava di Pridnestrovia (PMR) da 20 anni chiede l'indipendenza dalla Moldavia e il riconoscimento internazionale. Solo poche ore dopo il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia sul Kosovo, le autorità del PMR hanno sottolineato il loro punto di vista. E nella periferia georgiana, il precedente del Kosovo ha già portato ad una reazione da parte russa, quando Mosca ha riconosciuto le dichiarazioni d'indipendenza di Abkhasia e Ossezia del Sud, nell'agosto 2008.
Autodeterminazione contro governo coloniale
La dichiarazione di indipendenza del Kosovo, il suo riconoscimento da parte - al momento di 69 stati (su 192) e il verdetto dell'ICG non può nascondere che il Kosovo, in realtà, non è indipendente per nulla. Ciò non è previsto dal comunque dagli USA. L'autodeterminazione è assai fuori portata.
Per quanto riguarda l'aspetto militare, questo è più evidente. Dopo che le truppe russe si ritirarono nel giugno 1999 e successivamente nel 2003, la NATO a guida USA si stabilì in ogni angolo del paese. A Camp Bondsteel, dal nome di una ufficiale USA che fu ucciso in Vietnam, l'esercito USA ha installato il suo più grande campo militare in Europa, che copre un territorio di quasi 4 chilometri quadrati. Ma anche l'amministrazione civile non è nelle mani del governo o del parlamento locale. Il Piano Ahtisaari del marzo 2007, è il progetto della costituzione kosovara. Questa costituzione rileva chiaramente lo stato coloniale, nell'articolo 143: "Tutte le autorità della Repubblica del Kosovo devono rispettare tutti gli obblighi della Repubblica del Kosovo, sotto la proposta globale per lo status del Kosovo del 26 marzo 2007 (che è il Piano Ahtisaari; HH). (...) Le disposizioni della proposta globale per lo status del Kosovo del 26 marzo 2007 devono avere la precedenza (priorità, HH) su tutte le altre disposizioni giuridiche in Kosovo. (...) Se ci sono incongruenze tra le disposizioni di questa Costituzione, le leggi o altri atti giuridici della Repubblica del Kosovo e le disposizioni di detto regolamento, prevalgono queste ultime".
"L'indipendenza sotto sorveglianza" è stata (ed è) la parola chiave della politica occidentale in programma per il Kosovo. I profittatori di questa "indipendenza sotto sorveglianza", oltre alla criminalità organizzata che infatti gestisce le attività tra le strutture legali e illegali, sono decine di migliaia di colonizzatori. Sotto abbreviazioni come UNMIK, EULEX e migliaia di ONG, riempiono i loro conti in banca con un salario mensile da 10 a 20 volte superiore a quello di un dipendente medio del paese. Il Kosovo è un enorme campo di sperimentazione: militare, politico, giuridico, amministrativo. Rispetto al fatto che il potere esecutivo e legislativo non sono divisi, sotto l'amministrazione dell'UNMIK del "Rappresentante speciale del Segretario generale" (SRSG) e dell'"International Civilian Representative" (ICR) dell'EULEX, si dimostra come la politica può essere fatta senza i procedimenti politici occidentali. Il Rappresentante speciale e le amministrazioni dell'ICR, sono al di sopra delle leggi locali e degli standard internazionali.
Da quando la Russia non ha potuto fermare l'attuazione del piano Ahtisaari, non sembra esserci alcuna alternativa allo status coloniale della regione. La proposta di Belgrado dal 2007, per unire l'integrità territoriale e la sostanziale autonomia del Kosovo, non ha nemmeno trovare un sostegno sufficiente in Serbia. La soluzione più ragionevole sarebbe quella di dividere il Kosovo lungo il fiume La popolazione serba a nord di esso sarebbe diventata quello che di fatto è: cittadina della Serbia. A sud di Ibar, un secondo stato albanese è diventato realtà dal 1999. Parallelamente a questa divisione, una mossa anti-coloniale potrebbe portare all'autodeterminazione all'interno del Kosovo albanese.
Diversi ostacoli si oppongono a questa visione: il governo di Pristina, che agisce come un corpo esteso di Washington ha recentemente minacciato un intervento militare, in caso in cui i serbi nel nord dichiarassero l'indipendenza da Prishtina; il governo di Belgrado, che segue le linee guida di Bruxelles e gli interessi geopolitici ed economici degli Stati Uniti e dell'Unione europea. Le vaghe promesse da parte di Bruxelles d'inserire il Kosovo nel quadro dell'Unione europea, non devono essere prese sul serio. Già oggi Bruxelles ha tutti i mezzi economici nelle sue mani, e valuta e controlla il processo di privatizzazione. Una più stretta integrazione avrebbe confrontato Bruxelles agli interessi USA. Così lo status quo è utile per entrambe le parti, anche se viene realizzato mettendo i serbi e gli albanesi gli uni contro gli altri.
Kosovo is American
http://www.nspm.rs/nspm-in-english/kosovo-is-american.html
or http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6883 )
http://sitoaurora.altervista.org/Eurasia/Balkanija70.htm
Il Kosovo è americano
Hannes Hofbauer
Strategic Culture Foundation, 24.8.2010
Traduzione di Alessandro Lattanzio
"Il Kosovo è Serbo", è uno degli slogan chiave di ogni dichiarazione politica di Belgrado e dei meeting della diaspora Serbia in tutto il mondo. I monasteri ortodossi in tutto il paese sembrano dimostrare questo punto di vista. "Il Kosovo è territorio albanese", è la risposta della maggioranza di 1,9 milioni di persone che vivono in questo territorio. La loro prova sembra essere basata sulla quantità della semplice maggioranza etnica, che - per inciso - non necessariamente ha a che fare con uno Stato. "Il Kosovo è europeo", è la dichiarazione delle autorità di Bruxelles, che sottolineano il fatto che il Kosovo fa parte dell'"Eurozona" ed è sotto sorveglianza dell'UE. Storicamente serba, etnicamente albanese, economicamente della periferia europea. Sì e no. Tuttavia, geopoliticamente, il Kosovo è statunitense.
Il 22 luglio 2010, 10 su 14 giudici della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) dell'Aja hanno approvato la dichiarazione d'indipendenza kosovara come compatibile con le norme del diritto internazionale. L'indipendenza è stata dichiarata il 17 febbraio 2008 da un "Assemblea del Kosovo" nel parlamento di Pristina. La dichiarazione dell'ICJ s'è limitata alla proclamazione dell'indipendenza e non fa riferimento alla legittimità della secessione. Questa è una contraddizione minore. Una contraddizione più grave sta nel fatto che l'assemblea kosovara in parlamento, al momento era (ed è ancora oggi) formalmente non in rappresentanza del Kosovo, in ambito internazionale. La risoluzione ONU 1244 del 1999, che indicava un "Rappresentante speciale del Segretario generale" come rappresentante ufficiale della provincia, che viene definita parte integrante della Jugoslavia e della Serbia, rispettivamente. Per dirla precisamente: Il parlamento kosovaro non era legittimato a rappresentare il Kosovo sulla scena internazionale. Secondo il diritto internazionale, nessun corpo legale aveva chiesto l'indipendenza. Nel comunicato stampa della Corte internazionale di giustizia, si può leggere della legittimità dell'"Assemblea del Kosovo", che ha dichiarato l'indipendenza: "Su questo punto, la Corte giunge alla conclusione che gli autori della dichiarazione di indipendenza... non hanno agito come una delle istituzioni provvisorie di autogoverno nel quadro costituzionale, ma piuttosto come persone che hanno agito nella loro veste di rappresentanti del popolo del Kosovo, al di fuori del quadro dell'amministrazione ad interim (..) Gli autori della dichiarazione d'indipendenza non erano vincolati dal quadro delle competenze stabilite per governare (...)". Pertanto, la Corte Internazionale di Giustizia, "rileva che la dichiarazione d'indipendenza non ha violato il quadro costituzionale". In altre parole: poiché l'organismo che ha dichiarato la propria indipendenza non si compone di rappresentanti legali del Kosovo, le norme del diritto internazionale non erano state violate. Questa è una grave contraddizione.
La Corte internazionale di giustizia con il suo verdetto, di fatto segue la posizione degli Stati Uniti e della maggior parte degli stati UE. L'alleanza occidentale aveva già provato, prima della dichiarazione di indipendenza, di attuare una cosiddetto "indipendenza sotto sorveglianza" delle Nazioni Unite. Il piano Ahtisaari è stato liquidato dalla Russia (e dal Sud Africa). Così Washington, Parigi, Londra e Berlino, hanno realizzato questo piano, senza mandato delle Nazioni Unite.
De jure, la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite, è ancora valida. Il Kosovo è quindi parte della Serbia e l'amministrazione delle Nazioni Unite ha ufficialmente uno status neutrale.
Il ricorso all'ICJ pone la questione dell'indipendenza dello stato a livello internazionale. Ed è stata la Serbia che ne ha fatto richiesta. Quindi Belgrado non può semplicemente ignorare il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia. Ripetere lo slogan "Kosovo è Serbia" non aiuterà a superare la sua posizione difensiva. Per non parlare del rifiuto serbo di prendere in considerazione la realtà kosovara. Il 90% della popolazione non è disposta ad accettare le insegne nazionali serbe. Questo fatto non può essere ignorato.
Un Precedente
Come precedente, il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia sulla dichiarazione di indipendenza kosovara, è di vasta portata. Prima di tutto si sottolinea il passaggio dal diritto internazionale verso una preponderante gestione dei conflitti sui diritti umani. Negli ultimi due decenni, la gestione dei conflitti occidentale sempre più opera con gli argomenti dei diritti umani, invece del diritto internazionale. L'intera guerra della NATO contro la Jugoslavia, che ha spezzato il diritto internazionale, quando iniziò nel marzo 1999, seguiva l'argomento dei diritti umani per salvare la popolazione albanese dalla presunta aggressione serba. Il codice del diritto delle nazioni, in tal modo è stato messo da parte, escluso. La guerra della NATO contro la Jugoslavia pose anche fine al quadro giuridico, ad esempio, del CSCE nel garantire la sovranità nazionale, l'integrità territoriale e il rispetto dei confini nazionali. Da allora, invece del diritto internazionale codificato, i diritti umani servirono come argomenti per le aggressioni e gli interventi militari (ad esempio, anche in Afghanistan). La gamma di possibili interpretazioni dei diritti umani rende facile usare argomenti manipolativi che servano come strumenti per i propri interessi.
L'accettazione dell'indipendenza del Kosovo contro la volontà di Belgrado, è anche un precedente per molti casi concreti. Su tutto il territorio della ex-Jugoslavia. Dopo il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia, sarà più difficile da spiegare perché "la Republika Srpska" debba rimanere all'interno della Federazione della Bosnia-Erzegovina e perché dovrebbe essere impossibile dividersi e unirsi alla Serbia. Allo stesso modo, non sarà facile spiegare alla minoranza albanese in Macedonia, perché dovrebbe essere contro il diritto internazionale dichiarare l'indipendenza da Skopje o unirsi con l'Albania e/o Kosovo. Per non parlare dei serbi nel nord del Kosovo, che non accettano l'autorità Prishtina. Perché dovrebbero rimanere in uno Stato comune con gli albanesi? La loro possibile indipendenza e/o unificazione con la Serbia avrebbe seguito la stessa logica dell'ICJ.
La dichiarazione dell'ICJ approfondisce l'argomento dell'indipendenza nazionale ben al di là dell'ex-Jugoslavia. Come precedente, è importante ad esempio anche per Tiraspol. La Repubblica Moldava di Pridnestrovia (PMR) da 20 anni chiede l'indipendenza dalla Moldavia e il riconoscimento internazionale. Solo poche ore dopo il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia sul Kosovo, le autorità del PMR hanno sottolineato il loro punto di vista. E nella periferia georgiana, il precedente del Kosovo ha già portato ad una reazione da parte russa, quando Mosca ha riconosciuto le dichiarazioni d'indipendenza di Abkhasia e Ossezia del Sud, nell'agosto 2008.
Autodeterminazione contro governo coloniale
La dichiarazione di indipendenza del Kosovo, il suo riconoscimento da parte - al momento di 69 stati (su 192) e il verdetto dell'ICG non può nascondere che il Kosovo, in realtà, non è indipendente per nulla. Ciò non è previsto dal comunque dagli USA. L'autodeterminazione è assai fuori portata.
Per quanto riguarda l'aspetto militare, questo è più evidente. Dopo che le truppe russe si ritirarono nel giugno 1999 e successivamente nel 2003, la NATO a guida USA si stabilì in ogni angolo del paese. A Camp Bondsteel, dal nome di una ufficiale USA che fu ucciso in Vietnam, l'esercito USA ha installato il suo più grande campo militare in Europa, che copre un territorio di quasi 4 chilometri quadrati. Ma anche l'amministrazione civile non è nelle mani del governo o del parlamento locale. Il Piano Ahtisaari del marzo 2007, è il progetto della costituzione kosovara. Questa costituzione rileva chiaramente lo stato coloniale, nell'articolo 143: "Tutte le autorità della Repubblica del Kosovo devono rispettare tutti gli obblighi della Repubblica del Kosovo, sotto la proposta globale per lo status del Kosovo del 26 marzo 2007 (che è il Piano Ahtisaari; HH). (...) Le disposizioni della proposta globale per lo status del Kosovo del 26 marzo 2007 devono avere la precedenza (priorità, HH) su tutte le altre disposizioni giuridiche in Kosovo. (...) Se ci sono incongruenze tra le disposizioni di questa Costituzione, le leggi o altri atti giuridici della Repubblica del Kosovo e le disposizioni di detto regolamento, prevalgono queste ultime".
"L'indipendenza sotto sorveglianza" è stata (ed è) la parola chiave della politica occidentale in programma per il Kosovo. I profittatori di questa "indipendenza sotto sorveglianza", oltre alla criminalità organizzata che infatti gestisce le attività tra le strutture legali e illegali, sono decine di migliaia di colonizzatori. Sotto abbreviazioni come UNMIK, EULEX e migliaia di ONG, riempiono i loro conti in banca con un salario mensile da 10 a 20 volte superiore a quello di un dipendente medio del paese. Il Kosovo è un enorme campo di sperimentazione: militare, politico, giuridico, amministrativo. Rispetto al fatto che il potere esecutivo e legislativo non sono divisi, sotto l'amministrazione dell'UNMIK del "Rappresentante speciale del Segretario generale" (SRSG) e dell'"International Civilian Representative" (ICR) dell'EULEX, si dimostra come la politica può essere fatta senza i procedimenti politici occidentali. Il Rappresentante speciale e le amministrazioni dell'ICR, sono al di sopra delle leggi locali e degli standard internazionali.
Da quando la Russia non ha potuto fermare l'attuazione del piano Ahtisaari, non sembra esserci alcuna alternativa allo status coloniale della regione. La proposta di Belgrado dal 2007, per unire l'integrità territoriale e la sostanziale autonomia del Kosovo, non ha nemmeno trovare un sostegno sufficiente in Serbia. La soluzione più ragionevole sarebbe quella di dividere il Kosovo lungo il fiume La popolazione serba a nord di esso sarebbe diventata quello che di fatto è: cittadina della Serbia. A sud di Ibar, un secondo stato albanese è diventato realtà dal 1999. Parallelamente a questa divisione, una mossa anti-coloniale potrebbe portare all'autodeterminazione all'interno del Kosovo albanese.
Diversi ostacoli si oppongono a questa visione: il governo di Pristina, che agisce come un corpo esteso di Washington ha recentemente minacciato un intervento militare, in caso in cui i serbi nel nord dichiarassero l'indipendenza da Prishtina; il governo di Belgrado, che segue le linee guida di Bruxelles e gli interessi geopolitici ed economici degli Stati Uniti e dell'Unione europea. Le vaghe promesse da parte di Bruxelles d'inserire il Kosovo nel quadro dell'Unione europea, non devono essere prese sul serio. Già oggi Bruxelles ha tutti i mezzi economici nelle sue mani, e valuta e controlla il processo di privatizzazione. Una più stretta integrazione avrebbe confrontato Bruxelles agli interessi USA. Così lo status quo è utile per entrambe le parti, anche se viene realizzato mettendo i serbi e gli albanesi gli uni contro gli altri.
LA SLOVENIA RACCOGLIE QUELLO CHE HA SEMINATO DAL 25 GIUGNO 1991 IN POI
Il Piccolo (Trieste), 29 ottobre 2010 - http://ilpiccolo.gelocal.it/
Dalla Slovenia proteste per il volo delle Frecce Tricolori
L'esibizione, martedì pomeriggio, delle Frecce tricolori nel cielo sopra Trieste in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità nazionale e i 56 anni del ritorno della città all'Italia è stata vissuta dai triestini e dai loro ospiti come uno dei momenti più emozionanti dell'intera giornata.
Oltreconfine, però, in Slovenia non tutti hanno gradito. Sul quotidiano "Delo" ieri è apparso infatti un articolo dal titolo "Le Frecce tricolori italiane hanno violato lo spazio aereo sloveno". Per l'articolista, i jet italiani non avevano il permesso di entrare nello spazio sloveno, anche se dalle risposte che il giornale ha avuto dal Servizio di controllo dello spazio aereo e dal Ministero della difesa sloveni appare abbastanza chiaro che l'accordo tra Slovenia e Italia nell'ambito della Nato prevede che nel caso di aerei militari che hanno la licenza di sorvolo (come appunto le Frecce tricolori) sia sufficiente notificare l'ingresso nello spazio aereo sloveno, cosa in questo caso fatta. Di più: l'Italia fornisce per accordi Nato con i suoi jet e radar la copertura dello spazio aereo sloveno. Del resto, sempre per la Difesa slovena, nel 2010 si registra una media di sette sorvoli al giorno di aerei militari stranieri nello spazio aereo sloveno. Come dire, non è successo nulla di anomalo né di strano. Per il "Delo" però il volo delle Frecce sopra l'Istria non è stato né permesso né casuale ma si sarebbe trattato di una specie di "gita" sopra la penisola, che «nel 1954 non è stata annessa all'Italia ma è rimasta alla Jugoslavia». Del volo delle Frecce Tricolori, che sono arrivate fino sopra il monte Taiano, ha scritto ieri anche il quotidiano "Primorske Novice", il quale tuttavia rileva che la Slovenia era informata che gli aerei sarebbero entrati nel suo spazio aereo.
Il Piccolo (Trieste), 29 ottobre 2010 - http://ilpiccolo.gelocal.it/
Dalla Slovenia proteste per il volo delle Frecce Tricolori
L'esibizione, martedì pomeriggio, delle Frecce tricolori nel cielo sopra Trieste in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità nazionale e i 56 anni del ritorno della città all'Italia è stata vissuta dai triestini e dai loro ospiti come uno dei momenti più emozionanti dell'intera giornata.
Oltreconfine, però, in Slovenia non tutti hanno gradito. Sul quotidiano "Delo" ieri è apparso infatti un articolo dal titolo "Le Frecce tricolori italiane hanno violato lo spazio aereo sloveno". Per l'articolista, i jet italiani non avevano il permesso di entrare nello spazio sloveno, anche se dalle risposte che il giornale ha avuto dal Servizio di controllo dello spazio aereo e dal Ministero della difesa sloveni appare abbastanza chiaro che l'accordo tra Slovenia e Italia nell'ambito della Nato prevede che nel caso di aerei militari che hanno la licenza di sorvolo (come appunto le Frecce tricolori) sia sufficiente notificare l'ingresso nello spazio aereo sloveno, cosa in questo caso fatta. Di più: l'Italia fornisce per accordi Nato con i suoi jet e radar la copertura dello spazio aereo sloveno. Del resto, sempre per la Difesa slovena, nel 2010 si registra una media di sette sorvoli al giorno di aerei militari stranieri nello spazio aereo sloveno. Come dire, non è successo nulla di anomalo né di strano. Per il "Delo" però il volo delle Frecce sopra l'Istria non è stato né permesso né casuale ma si sarebbe trattato di una specie di "gita" sopra la penisola, che «nel 1954 non è stata annessa all'Italia ma è rimasta alla Jugoslavia». Del volo delle Frecce Tricolori, che sono arrivate fino sopra il monte Taiano, ha scritto ieri anche il quotidiano "Primorske Novice", il quale tuttavia rileva che la Slovenia era informata che gli aerei sarebbero entrati nel suo spazio aereo.