Informazione


Il terremoto invisibile e altre vergogne giornalistiche

da Alessandro Di Meo, di "Un Ponte per...", riceviamo e volentieri segnaliamo:

1) Lettera di protesta a Repubblica
sulla disinformazione a proposito della visita di Tadic in Croazia

2) I serbi sono soli
sulla mancata informazione a proposito del terremoto che ha devastato l'area di Kraljevo

3) Emergenza Terremoto a Kraljevo, Serbia
sulla raccolta fondi straordinaria per le vittime del terremoto di Kraljevo 


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Lettera di protesta a Repubblica

inviata il 5/11/2010

Posso dirlo che avete da tempo superato la soglia dell'indecenza, per quanto riguarda l'approccio al tema ex Jugoslavia?
Oggi questo articolo in prima pagina ( http://www.repubblica.it/esteri/2010/11/05/news/tadic_vukovar-8766359/?ref=HREC1-4#commenta ) sulle scuse di Tadic, così come tanto spazio avete dedicato al simbolo del male (sottintendendo male uguale Serbia) Ivan il terribile e non una parola sulle scuse del presidente croato Josipovic per eccidi compiuti dai croati neosecessionisti, precedenti a Vukovar. Scuse fatte in contemporanea alla visita di Tadic!
E tutto questo dopo aver dedicato zero spazio alla notizia del terremoto di ieri l'altro, che non sarà stato Haiti, per fortuna (ma magari qualcuno fra di voi, della scuola di Adriano Sofri, a questo punto credo se lo auguri) ma che almeno per rispetto al dovere dell'informazione un comune lettore si aspettava di trovare.
Davvero senza speranza e senza più parole (e da oggi, anche senza più alcun interesse per il vostro lavoro che se è in malafede qui, può esserlo sicuramente anche altrove).

Alessandro Di Meo


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MERCOLEDÌ 3 NOVEMBRE 2010


I serbi sono soli


E certo, non c'era mica il famigerato "Ivan, il terribile" da mostrare alle televisioni, coi suoi tatuaggi celtici e cetnici da "Grande Serbo", "violento e massacratore", "pulitore etnico a denominazione d'origine controllata!". No, non c'era Ivan, c'era solo un terremoto, con due morti nel villaggio di Grdica, dove vivono famiglie profughe dal Kosovo che dopo tanti anni, con tanta fatica, si sono rifatte una casa dove provare a far crescere i propri figli. Case oggi crepate, di terremoto, ma chissenefregherà mai? 
No, nessuna televisione ha mostrato qualcosa di questo terremoto di una intensità pari a quello che ha sconvolto L'Aquila, con povere case fatte di mattoni che hanno resistito molto meglio di case dello studente fatte con l'approvazione delle italiche concessioni edilizie! I serbi non valgono queste notizie, i siti di giornali come La Repubblica (e non solo...) non hanno degnato di un trafiletto quei morti e quei feriti e quelle tante case danneggiate per gente che dovrà affrontare il terribile, quello si, inverno balcanico, aggiustando crepe e tetti, rinunciando alla legna per il riscaldamento, rinunciando a molte di quelle cose normali al nostro mondo. 
Non meritano i vostri articoli, mentre li merita Ivan il terribile, corrispettivo ideologico di chi si permette di affermare che i serbi sono la schifezza di questo mondo (vero Sofri?) tralasciando di commentare le loro disgrazie.
I serbi sono soli, a questo mondo. Sono soli e lo sanno. Lo so da tempo, anche io. I serbi sono soli, noi che ci sbattiamo per loro, siamo soli. Siamo già in due.

(per contribuire: http://www.unponteper.it/informati/article.php?sid=1890)
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Da: Alessandro Di Meo 
Data: 04 novembre 2010 10.42.23 GMT+01.00
Oggetto: Emergenza Terremoto a Kraljevo, Serbia

cari tutti,
le scosse di terremoto a Kraljevo continuano, anche se di intensità minore (hvala Bogu, si dice...).
Resta molta paura, ma restano pure i danni alle case, soprattutto per quel che riguarda i tetti, le murature portanti e i tramezzi interni, le canne fumarie, gli intonaci.

Abbiamo ritenuto utile lanciare una raccolta fondi straordinaria dal sito di Un Ponte per...
(per contribuire vedi: http://www.unponteper.it/informati/article.php?sid=1890 )




Buone notizie dal processo per i fatti del 13 maggio 1999:

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Da: Comitato 13 maggio 1999
Oggetto: L'appello ha funzionato! Grazie! Prescritti i 13 condannati a Firenze
Data: 05 novembre 2010 15.23.15 GMT+01.00

Cari/e tutti/e,
Grazie per aver sottoscritto il nostro appello: 
http://www.altracitta.org/2010/11/03/firenze-in-1500-chiedono-giustizia-ed-equita-per-chi-manifesto-contro-la-guerra-nel-1999/

Stamane la sentenza d'appello ha riconosciuto le attenuanti, che non erano state concesse in primo grado, e pertanto il reato di resistenza è andato in prescrizione. 
Continuiamo a pensare che manifestare contro la guerra non sia reato, così come il subire una immotivata carica da parte delle forze dell'ordine.
In ogni caso l'importante è che per i 13 imputati è finito un incubo!

Grazie per l'adesione all'appello, che ha raggiunto le duemila firme, ed è stato portato in aula dagli avvocati difensori.

Il Comitato 13 maggio 1999
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Il giorno 03/nov/2010, alle ore 14.54, Coord. Naz. per la Jugoslavia ha scritto:

Firenze 13 maggio 1999: Grande manifestazione contro i bombardamenti della NATO, aggressione a sangue freddo contro i manifestanti, cinque gravemente feriti
Firenze 26 gennaio 2008: Processo politico e scandalose condanne contro i partecipanti a quella manifestazione
Firenze 5 novembre 2010: Nuova udienza per il riesame della sentenza

Si veda la documentazione, anche foto/video, raccolta alla pagina: https://www.cnj.it/24MARZO99/firenze.htm 
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Sent: Friday, October 29, 2010 1:21 PM
Subject: Sette anni di carcere per aver manifestato contro la guerra. Firma anche tu!

 Comitato di Solidarietà 13 maggio 1999


Appello 
Giustizia ed equità per chi manifestò contro la guerra
E' possibile sottoscrivere il testo all'indirizzo http://bit.ly/d8q0VG

Tra i primi firmatari Alessandro Santoro, Andrea Satta, Angela Staude Terzani, Enzo Mazzi, Folco Terzani, Luigi Ciotti, Ornella De Zordo, Marco Vichi, Sandro Veronesi, Sergio Staino, Simona Baldanzi

Il 5 novembre comincerà il processo di appello per i fatti avvenuti oltre dieci anni fa, il 13 maggio 1999, nei pressi del consolato statunitense di Firenze. Quel giorno migliaia di persone parteciparono a una manifestazione contro la guerra in Jugoslavia, che si concluse appunto sotto il consolato. Vi fu un breve concitato contatto fra le forze dell'ordine e i manifestanti, per fortuna senza conseguenze troppo gravi, se non alcuni manifestanti contusi, fra cui una ragazza che dovette essere operata ad un occhio.

Nessuno, sul momento, fu fermato o arrestato, ma in seguito vi furono identificazioni e denunce. Si è arrivati così alle condanne di primo grado, molto pesanti per i 13 imputati: ben sette anni, per le accuse di resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Nel dibattimento si sono confrontate le tesi - molto divergenti – delle forze dell'ordine e dei manifestanti.

Non intendiamo sindacare le procedure legali, né esprimere giudizi tecnico-giuridici sulla sentenza, ma ci pare che le pene inflitte in primo grado e le loro conseguenze sulla vita delle persone imputate, siano del tutto sproporzionate rispetto alla reale portata dei fatti.

Non vi furono, il 13 maggio 1999, reali pericoli per l'ordine pubblico o per l’incolumità delle persone, e non è giusto - in nessun caso – infliggere pene pesanti, in grado di condizionare e stravolgere l'esistenza di una persona, per episodi minimi: perciò esprimiamo la nostra pubblica preoccupazione in vista del processo d'appello, convinti come siamo che la giustizia non possa mai essere sinonimo di vendetta e nemmeno strumento per mandare messaggi "esemplari" a chicchessia.

Seguiremo il processo e invitiamo la cittadinanza a fare altrettanto, perché questa non è una storia che riguarda solo 13 persone imputate, ma un passaggio significativo per la vita cittadina e per il senso di parole e concetti che ci sono cari, come democrazia, giustizia, equità.

***

Alessandro Santoro, Comunità delle Piagge | Andrea Calò, consigliere provinciale | Andrea Satta, musicista, Tete de bois | Angela Staude Terzani, scrittrice | Beatrice Montini, Giornalisti contro il razzismo | Carlo Bartoli, giornalista | Catia di Sabatorappresentante studenti universitari | Chiara Brilli, giornalista | Christian De Vito, ricercatore | Corrado Mauceri, Comitato per la difesa della Costituzione | Cristiano Lucchi, giornalista | Domenico Guarino, giornalista | Emiliano Gucci, scrittore | Enrico Fink, musicista | Enzo Mazzi, Comunità ; dell'Isolotto | Filippo Zolesi, Si nistra unita e plurale | Folco Terzani, scrittore | Francesca Chiavacci, consigliera comunale | Francesco di Giacomo, musicista Banco del Mutuo Soccorso | Francesco Pardi, senatore | Giuliano Giuliani e Haidi Gaggio Giuliani, genitori di Carlo Giuliani | John Gilbert, Statunitensi contro la guerra | Lisa Clark, Beati i costruttori di pace | Lorenzo Guadagnucci, Comitato verità e giustizia su Genova | Luigi Ciotti, prete | Mauro Banchini, giornalista | Mauro Socini, presidenza Anpi Firenze | Marcello Buiatti, biologo | Marco Vichi, scrittore | Maria Grazia Campus, Comitato bioetica Regione Toscana | Maurizio De Zordo, Lista di cittadinanza perUnaltracittà |& nbsp;Miriam Giovanzana, Terre di mezzo |&n bsp;Moreno Biagioni Rete Antirazzista fiorentina | Ornella De Zordo, consigliera comunale | Paolo Ciampi, giornalista e scrittore | Paolo Solimeno, Giuristi democratici | Petra Magoni, musicista | Pietro Garlattirappresentante studenti universitari | Raffaele Palumbo, giornalista | Riccardo Torregiani Comitato fermiamo la guerra Firenze | Sandra Carpilapi, Sinistra unita e plurale | Sandro Targetti, Comitato No Tav | Sandro Veronesi, scrittore | Sara Vegni, Comitato 3 e 32 | Sergio Staino, vignettista | Simona Baldanzi, scrittrice | Ulderi co Pesce, attore e regista | Vincenzo Striano, referente associazionismo ...





Notizie dal movimento antimilitarista

1) APPELLO DELLA RETE NAZIONALE DISARMIAMOLI PER UN 4 NOVEMBRE ANTIMILITARISTA

2) Anche Bologna accoglie l'appello della Rete Nazionale Disarmiamoli! 

3) Appello: Giustizia ed equità per chi manifestò contro la guerra (sui fatti di Firenze del 13 maggio 1999)

4) I difensori dei diritti umani negli USA vittime di un'ondata repressiva senza precedenti

5) Vertice della NATO il 19-20 novembre a Lisbona
- Appello contro la NATO, in vista del suo vertice in Portogallo
- Il PC portoghese chiede al parlamento di rifiutare la nuova Concezione Strategica della NATO

6) Un miliardo e cento milioni di euro per un progetto da “guerre stellari”


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Iniziative a Bologna, Milano, Novara, Trieste, Pisa, Spoleto, Catania, Novara, Cameri... Per le info da tutte le città vedi su:

http://www.disarmiamoli.org/index.php?option=com_content&task=blogcategory&id=15&Itemid=99
 
TUTTE LE REALTA' CHE PROMUOVERANNO INIZIATIVE POSSONO INVIARE UNA MAIL A info@... 

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APPELLO DELLA RETE NAZIONALE DISARMIAMOLI PER UN 4 NOVEMBRE ANTIMILITARISTA.    

LA GUERRA È FINITA?

Il nostro paese ha espresso per decenni alti livelli di coscienza, capacità di reazione e mobilitazione intorno ai temi del no alla guerra e all’intervento militare in Iraq e Afghanistan, al militarismo ed al riarmo unici in tutto il mondo occidentale.
Sino a pochi anni fa le piazze si riempivano per dire  NO alle guerre di aggressione ed ai suoi sponsor, inchiodando alle proprie responsabilità governi di diverso posizionamento nell’emiciclo parlamentare.
 
A vedere l’Italia di oggi sembra siano passati anni luce da quelle grandi mobilitazioni.
Il tema della guerra viene costantemente distorto o espulso dal dibattito politico nazionale.
Quasi tutte le nuove espressioni del dissenso antiberlusconiano non annoverano tra le proprie parole d’ordine il no alla guerra ed alle missioni all’estero.  Le vertenze a difesa dei posti di lavoro e dei servizi sociali non evidenziano la stridente contraddizione tra i tagli al salario diretto ed indiretto e aumento esponenziale della spesa militare.
Una rimozione collettiva di tale portata troverebbe giustificazione in una effettiva diminuzione dei pericoli di conflitto nel mondo, quantomeno nell’area geografica prossima al nostro paese. Potrebbe essere giustificata da una diminuzione dei processi di militarizzazione dei territori e della vita sociale e culturale interna.

La realtà che ci circonda, le scelte politiche interne ed internazionali ci raccontano una realtà ben diversa. Ci dicono che
 
LA GUERRA È TRA NOI.
 
I dati macroscopici evidenziati dalle grandi agenzie internazionali di calcolo economico ci parlano delle industrie armiere come uniche capaci di chiudere con attivi di bilancio annuali astronomici. Finmeccanica, holding italiana al 37% pubblica è tra i colossi mondiali di questo commercio di morte.
Le missioni militari all’estero continuano a produrre debito pubblico (3 milioni di euro al giorno per l’erario italiano) e guadagni privati per i soliti noti, morte e distruzione per i paesi aggrediti.
La società nel suo complesso sta subendo un processo di militarizzazione che arriva, con il protocollo La Russa – Gelmini per i corsi paramilitari nelle scuole, ad investire direttamente la formazione delle future generazioni.
 
La rimozione di questa realtà dipende quindi dal venir meno di una critica politica, sociale e culturale al meccanismo bellico come ingranaggio centrale dell’attuale sistema di produzione, specie in una fase di crisi sistemica come l’attuale.
In forme diverse si stanno velocemente ricreando le condizioni dell’allucinante meccanismo - ben rodato durante il secolo scorso – del “distruggere per ricostruire, per ricreare le ragioni della produzione di merci e di profitto”.
 
LA GUERRA TRASFORMA I NOSTRI TERRITORI.
 
Le basi della guerra sono essenziali per proiettare queste politiche sui territori circostanti, vicini e lontani. Così procedono i lavori al Dal Molin di Vicenza, crescono le basi di camp Darby e si ipotizza di costruire il più grande Hub militare d’Italia nel limitrofo aeroporto di Pisa, continuano i lavori di potenziamento di Sigonella e delle basi radar a Niscemi, si potenzia la produzione degli F35 a Cameri (Novara).
Territori che cambiano di segno, divenendo nei fatti grandi aree a stretta sorveglianza militare. Una immensa seconda linea organizzata per distruggere e depredare i paesi limitrofi.
 
SENZA UN NO ALLE POLITICHE DI GUERRA NON ESISTONO ALTERNATIVE POSSIBILI ALLO STATO DI COSE PRESENTI
 
Il nostro paese sarà progressivamente investito da una crisi economica sempre più pesante, che già ha ridotto milioni di lavoratori, giovani e pensionati in condizioni economiche molto critiche. Uomini e donne che cercheranno di rispondere ad una realtà senza futuro con lotte, rivendicazioni, istanze di legittima affermazione esistenziale.
L’assenza attuale della tematica antimilitarista, del no alla guerra ed alle sue proiezioni rischia di contribuire al sorgere di pulsioni nazionaliste e reazionarie all’interno dei futuri movimenti di massa.

È urgente che tutte le realtà sociali, culturali, sindacali e politiche che si muovono sul terreno di una alternativa radicale al modello sociale dominante rimettano al centro delle proprie piattaforme i temi del
NO ALLA GUERRA, ALLE SPESE MILITARI, ALLA MILITARIZZAZIONE DELLA SOCIETA’ E DELLA CULTURA.
PER IL RITIRO DELLE TRUPPE DALL’AFGHANISTAN E DA TUTTI I CONFLITTI BELLICI.
 
Su questi grandi temi proponiamo a tutte le realtà pacifiste e antiguerra presenti sul territorio nazionale di impegnarsi in una scadenza comune di mobilitazione, attraverso cortei, presidi, manifestazioni, iniziative. Indichiamo la settimana del 4 novembre prossimo, per ribaltare i contenuti di una giornata che invece galvanizza le forze armate.
 
DA VICENZA A SIGONELLA, DA NOVARA A PISA E LIVORNO, DA ROMA A MILANO, DA CAGLIARI A TRIESTE, DA COLLEFERRO A GHEDI,  SI ALZI DI NUOVO FORTE E CHIARA LA VOCE DI CHI SI OPPONE ALLE PRODUZIONI DI ARMI, ALLE POLITICHE DI MORTE ED ALLE SUE BASI.

Chiediamo a tutte le realtà che decideranno di promuovere una iniziativa nella prima settimana di novembre di darcene notizia, in modo da poter rafforzare e socializzare la mobilitazione.

La Rete nazionale Disarmiamoli!
www.disarmiamoli.org info@...

3381028120 - 3384014989


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Anche Bologna accoglie l'appello della Rete Nazionale Disarmiamoli!
PRESIDIO SABATO 6/11/2010
Anche Bologna accoglie l'appello della Rete Nazionale Disarmiamoli ! PRESIDIO SABATO 6/11/2010

Dall'Afghanistan all'Italia, basta con le politiche di guerra!

Riprendiamo l'iniziativa contro le basi sul nostro territorio e contro le missioni miliari italiane all'estero

Anche Bologna accoglie l'appello della Rete Nazionale Disarmiamoli !

Sabato 6 novembre 2010 dalle 9 alle 12 siamo in Piazza Re Enzo

Per dire alla città che la sensibilità antimilitarista è ancora viva, e che occorre continuare le lotte contro le spese militari, contro il rilancio dell'industria bellica, contro la realizzazione di nuove basi e l'ampliamento di quelle esistenti, per il ritiro dei militari italiani all'estero per missioni di conquista neocoloniale mascherate da missioni di pace, per la promozione di autentiche politiche di
pace ed equità tra i popoli, e per restituire alle politiche sociali le risorse sottratte dalle spese militari

Per questi motivi pensiamo che la mobilitazione contro la guerra debba essere rilanciata ed approfondita a livello nazionale, in uno scenario in cui i cadaveri dei nostri soldati continuano a rientrare dall'Afghanistan, come prima rientravano dall'Iraq o da altri contesti, mentre i mass-media complici nascondono all'opinione pubblica immagini e notizie degli uccisi per mano italiana e della NATO su quelle terre.
Pensiamo che Bologna non possa "chiamarsi fuori" da questa mobilitazione anche se la presenza militare sul territorio cittadino appare in diminuzione - come sembra viste le numerose ed estese servitù militari in stato di abbandono, attorno alle quali già si scatenano gli appetiti della speculazione edilizia privata - in realtà l'intera Emilia Romagna è una regione chiave dal punto di vista delle attività militari, e questo non può essere tollerato. Industrie e cooperative della regione - incluse coop considerate "rosse" come la CMC di Ravenna - svolgono un ruolo vergognoso nella realizzazione di strutture e strumenti di guerra fuori regione, incluse le basi di Vicenza e della Sicilia. Fare la guerra all'estero ha una sola precisa conseguenza per i lavoratori italiani: la delocalizzazione delle imprese nei paesi "conquistati" e l'abbattimento dei salari e dei diritti dei lavoratori del nostro paese. Si pensi alla FIAT e alla OMSA, che si 
trasferiscono in Serbia, dopo che quel paese è stato da noi bombardato e soggiogato politicamente ed economicamente. E fare il soldato non è un mestiere come gli altri, e non può essere considerato come un'alternativa alla disoccupazione ed alla precarietà generata dalla crisi
profonda del sistema capitalista occidentale. Analogamente l'addestramento militare non può diventare "materia di studio" da introdurre nella scuola, proprio mentre i finanziamenti all'istruzione e alla ricerca sono tagliati, e il livello culturale della popolazione italiana è soggetto ad un drammatico calo, a causa di politiche mirate all'imbarbarimento dei rapporti sociali, all'impoverimento non solo economico delle classi subalterne ed all'annullamento del dissenso.
In prospettiva, come nodo bolognese della Rete Disarmiamoli, auspichiamo la costituzione di un Coordinamento Cittadino per il ritiro delle truppe italiane all'estero, che si dia come obiettivi prioritari ed urgenti:

. Il ritiro delle truppe dall'Afghanistan
. Lo stop a tutti i progetti di nuove basi militari su territorio italiano e all'ampliamento di quelle esistenti
. Il taglio delle spese militari e la restituzione dei fondi alle politiche sociali: istruzione, sanità, pensioni, lavoro

Rete Disarmiamoli Bologna
disarmiamoli.bologna@...



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Firenze 13 maggio 1999: Grande manifestazione contro i bombardamenti della NATO, aggressione a sangue freddo contro i manifestanti, cinque gravemente feriti
Firenze 26 gennaio 2008: Processo politico e scandalose condanne contro i partecipanti a quella manifestazione
Firenze 5 novembre 2010: Nuova udienza per il riesame della sentenza

Si veda la documentazione, anche foto/video, raccolta alla pagina: https://www.cnj.it/24MARZO99/firenze.htm 
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Sent: Friday, October 29, 2010 1:21 PM
Subject: Sette anni di carcere per aver manifestato contro la guerra. Firma anche tu!

 Comitato di Solidarietà 13 maggio 1999


Appello 
Giustizia ed equità per chi manifestò contro la guerra
E' possibile sottoscrivere il testo all'indirizzo http://bit.ly/d8q0VG

Tra i primi firmatari Alessandro Santoro, Andrea Satta, Angela Staude Terzani, Enzo Mazzi, Folco Terzani, Luigi Ciotti, Ornella De Zordo, Marco Vichi, Sandro Veronesi, Sergio Staino, Simona Baldanzi

Il 5 novembre comincerà il processo di appello per i fatti avvenuti oltre dieci anni fa, il 13 maggio 1999, nei pressi del consolato statunitense di Firenze. Quel giorno migliaia di persone parteciparono a una manifestazione contro la guerra in Jugoslavia, che si concluse appunto sotto il consolato. Vi fu un breve concitato contatto fra le forze dell'ordine e i manifestanti, per fortuna senza conseguenze troppo gravi, se non alcuni manifestanti contusi, fra cui una ragazza che dovette essere operata ad un occhio.

Nessuno, sul momento, fu fermato o arrestato, ma in seguito vi furono identificazioni e denunce. Si è arrivati così alle condanne di primo grado, molto pesanti per i 13 imputati: ben sette anni, per le accuse di resistenza aggravata a pubblico ufficiale. Nel dibattimento si sono confrontate le tesi - molto divergenti – delle forze dell'ordine e dei manifestanti.

Non intendiamo sindacare le procedure legali, né esprimere giudizi tecnico-giuridici sulla sentenza, ma ci pare che le pene inflitte in primo grado e le loro conseguenze sulla vita delle persone imputate, siano del tutto sproporzionate rispetto alla reale portata dei fatti.

Non vi furono, il 13 maggio 1999, reali pericoli per l'ordine pubblico o per l’incolumità delle persone, e non è giusto - in nessun caso – infliggere pene pesanti, in grado di condizionare e stravolgere l'esistenza di una persona, per episodi minimi: perciò esprimiamo la nostra pubblica preoccupazione in vista del processo d'appello, convinti come siamo che la giustizia non possa mai essere sinonimo di vendetta e nemmeno strumento per mandare messaggi "esemplari" a chicchessia.

Seguiremo il processo e invitiamo la cittadinanza a fare altrettanto, perché questa non è una storia che riguarda solo 13 persone imputate, ma un passaggio significativo per la vita cittadina e per il senso di parole e concetti che ci sono cari, come democrazia, giustizia, equità.

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Alessandro Santoro, Comunità delle Piagge | Andrea Calò, consigliere provinciale | Andrea Satta, musicista, Tete de bois | Angela Staude Terzani, scrittrice | Beatrice Montini, Giornalisti contro il razzismo | Carlo Bartoli, giornalista | Catia di Sabatorappresentante studenti universitari | Chiara Brilli, giornalista | Christian De Vito, ricercatore | Corrado Mauceri, Comitato per la difesa della Costituzione | Cristiano Lucchi, giornalista | Domenico Guarino, giornalista | Emiliano Gucci, scrittore | Enrico Fink, musicista | Enzo Mazzi, Comunità ; dell'Isolotto | Filippo Zolesi, Si nistra unita e plurale | Folco Terzani, scrittore | Francesca Chiavacci, consigliera comunale | Francesco di Giacomo, musicista Banco del Mutuo Soccorso | Francesco Pardi, senatore | Giuliano Giuliani e Haidi Gaggio Giuliani, genitori di Carlo Giuliani | John Gilbert, Statunitensi contro la guerra | Lisa Clark, Beati i costruttori di pace | Lorenzo Guadagnucci, Comitato verità e giustizia su Genova | Luigi Ciotti, prete | Mauro Banchini, giornalista | Mauro Socini, presidenza Anpi Firenze | Marcello Buiatti, biologo | Marco Vichi, scrittore | Maria Grazia Campus, Comitato bioetica Regione Toscana | Maurizio De Zordo, Lista di cittadinanza perUnaltracittà |& nbsp;Miriam Giovanzana, Terre di mezzo |&n bsp;Moreno Biagioni Rete Antirazzista fiorentina | Ornella De Zordo, consigliera comunale | Paolo Ciampi, giornalista e scrittore | Paolo Solimeno, Giuristi democratici | Petra Magoni, musicista | Pietro Garlattirappresentante studenti universitari | Raffaele Palumbo, giornalista | Riccardo Torregiani Comitato fermiamo la guerra Firenze | Sandra Carpilapi, Sinistra unita e plurale | Sandro Targetti, Comitato No Tav | Sandro Veronesi, scrittore | Sara Vegni, Comitato 3 e 32 | Sergio Staino, vignettista | Simona Baldanzi, scrittrice | Ulderi co Pesce, attore e regista | Vincenzo Striano, referente associazionismo ...


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I difensori dei diritti umani negli USA vittime di un'ondata repressiva senza precedenti

su www.cubadebate.cu del 03/11/2010


Traduzione di l'Ernesto online

Il Comitato per Fermare l'FBI (Committee to Stop FBI, in inglese) ha lanciato un appello urgente alla solidarietà internazionale perchè si unisca alla campagna a sostegno degli attivisti dei diritti umani che sono oggetto di violenti attacchi della polizia federale per le loro azioni contro gli interventi militari nordamericani all'estero.

Il gruppo ricorda, nel suo sito web stopfbi.net, come lo scorso 24 settembre, agenti dell'FBI hanno fatto irruzione nelle abitazioni di attivisti, in particolare di quelli che solidarizzano con le lotte in Palestina e Colombia. Le retate alla ricerca di "sospetti" e le perquisizioni di case hanno avuto luogo in Illinois, Minnesota, California, e Carolina del Nord.

Attivisti di Illinois, Minnesota e Michigan hanno ricevuto mandati di comparizione davanti alla Corte, un metodo ampiamente utilizzato dalla polizia per intimidire le persone che, se si rifiutano di fare dichiarazioni, possono ricevere sentenze di incarcerazione.

Ciò costituisce "un abuso di potere da parte dell'FBI evidentemente concepito per creare un clima di paura tra coloro che hanno il coraggio di lottare per la pace e la giustizia", sottolinea il comitato che difende il diritto del cittadino a sviluppare attività di solidarietà internazionale senza essere molestato.

Il comitato denuncia la "scalata degli attacchi" dell'FBI non solo contro militanti dei diritti umani, ma anche "contro le comunità arabe e musulmane e gli immigrati negli Stati Uniti".

"E' la continuazione della repressione della dissidenza avviata con il maccartismo, della brutale persecuzione dei movimenti popolari da parte di COINTELPRO ( un programma di infiltrazione da parte dell'FBI attivo tra il 1956 e il 1971) e, più recentement, degli attivisti per la "giustizia ambientale", segnala il gruppo, osservando "una crescente ondata di odio della destra".

Il comitato rivolge un appello ai militanti contro la guerra, a favore dei diritti umani, "agli attivisti della solidarietà internazionale, agli attivisti anti-razzisti" perchè operino in solidarietà con chi si trova nel mirino della repressione poliziesca, indirizzando la loro denuncia all'ambasciata USA del proprio paese.

Lo scorso 30 settembre, la nota commentatrice Amy Goodman aveva dichiarato che la mattina di venerdì 24 settembre, "agenti dell'FBI hanno fatto una violenta irruzione, con le pistole in pugno, in varie abitazioni di attivisti contro la guerra, perquisendole per ore".

L'FBI "ha confiscato computer personali e portatili, fotografie e altri effetti personali", ha precisato Goodman denunciando che "le vittime hanno ricevuto mandati di comparizione davanti al Gran Giurì di Chicago".

"Si tratta dell'incidente più recente nell'attuale offensiva contro la dissidenza negli Stati Uniti, che perseguita gli attivisti per la pace accusandoli di appoggiare "organizzazioni terroriste straniere", ha sottolineato.

E' degno di rilievo come tale ondata repressiva dell'FBI negli Stati Uniti non stia ricevendo la pur minima attenzione da parte delle agenzie internazionali di stampa.



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Appello contro la NATO, in vista del suo vertice in Portogallo

di

su www.wpc-in.org del 01/09/2010

Dichiarazione del Consiglio Mondiale della Pace e del Consiglio Portoghese per la pace e la cooperazione

Traduzione a cura de l’Ernesto online

Il Consiglio Mondiale della Pace (WPC) e il Consiglio Portoghese per la Pace e la Cooperazione (CPPC) salutano i popoli del mondo amanti della pace e i movimenti della pace che si mobilitano continuando a denunciare le guerre imperialiste, le occupazioni illegali e l’ingiustizia sociale, e li invitano a continuare a rafforzare gli sforzi e le lotte comuni contro l’imperialismo e i suoi apparati, in particolare contro la NATO, la più grande macchina da guerra del mondo.

Il WPC denuncia di fronte ai popoli del mondo i crimini che la NATO ha commesso e continua a commettere contro l’umanità con il pretesto sia della protezione dei “diritti umani” che della lotta contro il “terrorismo”, secondo la propria interpretazione.

La NATO è stata sin dalla sua fondazione nel 1949 un organismo aggressivo. Dopo il 1991, con la sua nuova dottrina militare si è trasformata nello “sceriffo” mondiale degli interessi imperialisti. E’ stata spesso in relazione con i regimi sanguinari e le dittature, con le forze reazionarie e le Giunte. Ha partecipato attivamente allo smembramento della Jugoslavia, ai barbarici bombardamenti della Serbia durati 78 giorni, al rovesciamento di regimi mediante “rivoluzioni colorate”, all’occupazione dell’Afghanistan. La NATO persevera nei suoi piani per un “Grande Medio Oriente”, allargando il suo raggio d’azione con la “Partnership per la Pace” e la “cooperazione speciale” in Asia e America Latina, in Medio Oriente, nel Nord Africa, ed anche con l’ “Esercito Europeo”.

Tutti i governi degli stati membri condividono responsabilità nella NATO, sebbene il ruolo di direzione spetti all’amministrazione statunitense. La presenza di approcci diversi su alcune questioni è il riflesso di particolari punti di vista e rivalità, ma essi comunque sempre conducono ad un confronto aggressivo comune con i popoli.

Noi condanniamo la politica dell’Unione Europea, che coincide con quella della NATO e il Trattato di Lisbona che va a braccetto con la NATO in materia politica e militare. Le spese militari degli USA in missioni estere sono cresciute tra il 2002 e il 2009 da 30 miliardi di euro a 300 miliardi di euro.

I popoli e le forze amanti della pace del mondo non accettano la NATO nel suo ruolo di “sceriffo” globale. Respingono tutti gli sforzi tesi ad incorporare la NATO nel sistema delle Nazioni Unite. Chiedono lo scioglimento di questa offensiva macchina da guerra militare. Persino l’ingannevole pretesto dell’esistenza del Patto di Varsavia oggi è venuto meno.

Il Consiglio Mondiale della Pace e i suoi membri e amici organizzeranno in decine di paesi diverse iniziative nazionali e internazionali contro la NATO e la sua concezione strategica, che si annuncia verranno adottate al prossimo vertice in Portogallo. Organizzeremo, insieme al Consiglio Portoghese per la Pace e la Cooperazione, manifestazioni e conferenze e un’iniziativa centrale di massa prima e durante i giorni del vertice NATO (novembre 2010) a Lisbona.

Sotto lo slogan “NATO, nemica dei Popoli e della Pace: Smantelliamola!”, il WPC chiama tutte le organizzazioni degli stati membri della NATO e il mondo intero a sottoscrivere un appello che mette in rilievo le seguenti questioni:

- La NATO è stata una forza aggressiva e reazionaria fin dalla sua fondazione nel 1949. Il Trattato di Varsavia è stato creato in seguito ed è stato smantellato prima.
- La NATO per 60 anni si è sporcata le mani del sangue di tante persone e non costituisce una forza “che mantiene la pace” nell’ambito dell’ONU.
- Anche se sotto direzione USA, le aggressioni vengono perpetrate insieme ad altre forze imperialiste, non cambia il carattere della NATO.
- La NATO è direttamente collegata all’Unione Europea e viceversa, dal momento che un notevole numero di paesi dell’UE sono anche membri della NATO, attraverso le clausole e gli impegni assunti nel “Trattato di Lisbona”.
- Tutti i governi dei paesi membri della NATO portano la responsabilità delle sue azioni; essi sostengono i suoi piani imperialisti.
- La guerra della NATO contro la Jugoslavia ha rappresentato una pietra miliare del nuovo dogma, ai tempi del vertice di Washington del 1999. In seguito fu svelato il fatto che l’UE non rappresenta certo un “contrappeso democratico” agli USA.
- La NATO agisce come un poliziotto globale con collaboratori in tutti i continenti, che eseguono il suo Piano per un “Più Grande Medio Oriente” ed intervengono attivamente in Europa Orientale, nel Caucaso e altrove.

Noi approviamo e sosteniamo la campagna portoghese “Si alla pace, No alla NATO” che unisce decine di movimenti e organizzazioni sociali. Noi facciamo appello a tutte le Organizzazioni amanti della pace perché uniscano le loro voci e le loro forze attorno a questo appello e si ritrovino con noi nel novembre 2010 a Lisbona.

Il Consiglio Mondiale della Pace (WPC)
Il Consiglio Portoghese per la Pace e la Cooperazione (CPPC)


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Il PC portoghese chiede al parlamento di rifiutare la nuova Concezione Strategica della NATO

su www.pcp.pt del 01/11/2010

I deputati comunisti portoghesi chiedono al parlamento di rifiutare la nuova Concezione Strategica della NATO

Traduzione di l'Ernesto online

In Italia, l'imminente vertice della NATO, che si svolgerà il 19-20 novembre a Lisbona non sembra avere ancora suscitato non solo mobilitazione, ma neppure un qualche minimo interesse, nonostante si tratti della scadenza in cui l'organizzazione militare imperialista tradurrà in concezione strategica la sua più recente pratica di ingerenza, di aggressione e di guerra in ogni angolo del mondo.
In Portogallo, sede del vertice, la riunione della NATO è invece oggetto di grande attenzione da parte del movimento pacifista e delle forze progressiste, in particolare del Partito Comunista Portoghese, impegnato attivamente nell'organizzazione di una forte iniziativa che si protrae ormai da qualche mese e che culminerà in una manifestazione di massa in concomitanza con lo svolgimento del vertice.
Per l'occasione, il gruppo parlamentare del PCP ha presentato anche una proposta di risoluzione all'Assemblea della Repubblica, che condanna la nuova dottrina della NATO.
La proponiamo all'attenzione dei nostri lettori.
Sperando possa servire a suscitare qualche interesse tra i comunisti e la sinistra anche in Italia.

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All'Assemblea della Repubblica del Portogallo (il parlamento nazionale), una risoluzione del Partito Comunista Portoghese propone il rifiuto della nuova Concezione Strategica della NATO che sta per essere ratificata al Vertice di Lisbona del 19-20 novembre.

Il Progetto di Risoluzione N.º 294/XI-2ª propone il rifiuto della nuova Concezione Strategica della NATO.

L'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) ha annunciato lo svolgimento di un vertice dal 19 al 20 novembre, in Portogallo, dove prevede di rivedere la sua concezione strategica, il che rappresenta un nuovo e pericoloso salto qualitativo nel ruolo, nella missione e negli obiettivi bellicisti di questa Organizzazione.

Con la sua nuova concezione strategica la NATO pretende di trasformare nella sua dottrina ciò che è già la sua pratica: allargare il raggio territoriale del suo intervento e la proiezione delle forze a tutto il globo; ampliare l'ambito delle sue missioni a questioni, come l'energia, l'ambiente, le migrazioni e le questioni della sicurezza interna degli Stati; riaffermarsi come blocco militare nonostante la retorica sul disarmo nucleare, prevedendo l'uso del'arma nucleare in attacchi militari; sviluppare ancora di più il complesso militare-industriale e la ricerca militare; ed esigere da tutti i suoi membri un aumento delle spese militari; promuovere la corsa agli armamenti e all'installazione di nuovi sistemi di missili in Europa; includere nelle sue missioni azioni di ingerenza diretta e occupazione sotto la copertura delle missioni di interposizione e mantenimento della pace; aumentare la strumentalizzazione dell'ONU per proseguire nei suoi propositi e approfondirne il ruolo di braccio armato dell'imperialismo.

La NATO svolge un ruolo centrale nella militarizzazione delle relazioni internazionali e nella corsa agli armamenti, essendo il principale motore dei conflitti e delle tensioni che segnano il momento attuale. La NATO impone una scalata negli armamenti e bellica di grandi dimensioni, di cui la guerra in Afghanistan è un elemento centrale.

La realizzazione del Vertice in Portogallo significa la conferma di una politica di coinvolgimento del paese nei propositi militaristi di questo blocco politico-militare che costituisce una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale. Il Governo rende subalterni gli interessi del Portogallo e del popolo portoghese e mette al servizio degli interessi degli Stati Uniti d'America, della NATO e dell'Unione Europea, la sua politica estera e le forze armate portoghesi, di cui sono esempio gli interventi in Afghanistan e nel Kosovo.

Nel momento in cui il Governo Socialista annuncia nuove misure che mirano ad attaccare i diritti dei lavoratori, ad aumentare la precarietà e lo sfruttamento, e peggiora le condizioni di vita dei lavoratori, dei pensionati, del popolo portoghese; nel momento in cui il Governo Socialista impone nuovi sacrifici a coloro che meno hanno, con il furto dei salari, l'aumento dei prezzi, la riduzione delle pensioni, la riduzione e la messa sotto condizione dell'accesso alle prestazioni sociali, la riduzione dell'investimento pubblico e l'inasprimento dell'attacco alla scuola pubblica e al diritto alla salute; il mantenimento e l'invio di forze militari portoghesi al servizio dei suoi interessi, al servizio della strategia della NATO, che non ha nulla a che vedere con gli interessi nazionali.

L'impegno del governo portoghese nella NATO è in rotta di collisione con i principi fondamentali che dovrebbero reggere le relazioni internazionali del paese inscritti nella Costituzione della Repubblica Portoghese: di "indipendenza nazionale, di rispetto dei diritti dell'uomo, dei diritti dei popoli, di uguaglianza tra gli stati, di soluzione pacifica dei conflitti internazionali, di non ingerenza negli affari interni di altri Stati e di cooperazione con tutti gli altri popoli per l'emancipazione e il progresso dell'unmanità", auspicando "l'abolizione dell'imperialismo, del colonialismo e di qualsiasi altra forma di aggressione, dominio e sfruttamento nelle relazioni tra i popoli, come anche il disarmo generale, simultaneo e controllato, la dissoluzione dei blocchi politico-militari e l'instaurazione di un sistema di sicurezza collettiva, con in vista la creazione di un ordine internazionale capace di assicurare la pace e la giustizia nelle relazioni tra i popoli.

In questi termini, e tenendo in considerazione quanto sopra esposto, in base alle disposizioni legali e regolamentari in vigore, i Deputati firmatari del Gruppo Parlamentare del PCP propongono che l'Assemblea della Repubblica adotti la seguente:

Risoluzione

L'Assemblea della Repubblica raccomanda al Governo, nei termini del n.° 5 dell'articolo 166.° della Costituzione, l'adozione delle seguenti misure:

- La difesa dello scioglimento di questa organizzazione, dalla cui struttura militare il Portogallo deve progressivamente svincolarsi;

- Una politica che ricusi l'orientamento contenuto negli obiettivi del Vertice della NATO di promozione della corsa agli armamenti e di aumento delle spese militari;

- Il ritiro delle forze portoghesi coinvolte in missioni militari della NATO;

- La fine delle basi militari straniere e delle installazioni della NATO in territorio nazionale;

- il rifiuto della militarizzazione dell'Unione Europea, che la trasforma nel pilastro militare della NATO;

- Battersi per una politica di disarmo e per la fine delle armi nucleari e di distruzione di massa;

- L'effettiva realizzazione di una politica estera portoghese in consonanza con i principi consacrati nella Costituzione della Repubblica Portoghese e nella Carta delle Nazioni Unite, nel rispetto del diritto internazionale, e per la sovranità e uguaglianza dei popoli.

Assemblea della Repubblica, 18 ottobre 2010


=== 6 ===

Un miliardo e cento milioni di euro per un progetto da “guerre stellari”

“C’è un’eccellenza italiana da seguire come modello”. Cosi Mariastella Gelmini parla dell’investimento miliardario che vede protagonista MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca), Ministero della Difesa e Finmeccanica, attraverso le consorziate Thales Alenia Space, selex Galileo e Telespazio.

Si tratta del “Cosmo Skymed”, programma spaziale dell’ASI (Agenzia Spaziale Italiana), che giunge con questo lancio al quarto satellite spia nello spazio. La base militare dalla quale sarà inviato è quella di Vanderberg, in California, con un vettore realizzato dalla Boeing.

A che servirà questo satellite ce lo spiega da Santa Barbara (California) Vincenzo Camporini, Capo di Stato Maggiore della Difesa italiana. Dalle pagine de “La Stampa” del 31 ottobre Camporini ci afferma che “Cosmo Skymed…..ha straordinarie potenzialità militari. A volte si dà per scontato che noi si conosciamo il mondo come conosciamo il cortile di casa nostra…Non avete idea di come sia difficile mettere insieme delle mappe dell’Afghanistan affidabili”.

In un articolo di spalla del quotidiano torinese un altro giornalista si diletta a descrivere quello che gli statunitensi vedono come un piccolo “complesso militare-industriale” all’italiana, composto dal sottosegretario alla Difesa Guido Corsetto, i dirigenti di Finmeccanica e il presidente dell’ASI Enrico Maggese, accorsi in California ad assistere al lancio.

Viaggio andato di nuovo a vuoto come ci dice un dispaccio ANSA delle 07.21 del 02 novembre: “Il conto alla rovescia ….e' stato bloccato per motivi di sicurezza … quando mancavano due minuti al lancio a causa di un problema di fuoriuscita di azoto dalla struttura di terra

Inutile parlare degli ulteriori costi economici causati da questo secondo rinvio. Sciocchezze di fronte all’investimento complessivo: un miliardo e cento milioni di euro, sborsati da noi contribuenti attraverso una sinergia tra Ministero dell’Istruzione, della Difesa ed Unione Europea

Il progetto “Cosmo Skymed”, insieme ai programmi che introducono nella scuola forme d’addestramento militare - parliamo del protocollo Gelmini/La Russa per la Mini-naja e “Allenati per la vita”, finanziato con i residui di bilancio degli istituti scolastici - ci dicono quanto questo Ministero sia proiettato verso una stretta integrazione dell’Istruzione pubblica con il sistema di guerra tricolore, indubbiamente una “eccellenza” a livello internazionale, grazie al colosso Finmeccanica, che da decenni produce e smercia sofisticati di sistemi d’arma per guerre e regimi militari ai quattro angoli della terra.

Così, mentre l’Italia è in clamoroso ritardo nella spesa dei fondi UE 2007 – 2013, mentre centinaia di migliaia di precari della scuola e dell’Università stanno per essere gettati in mezzo ad una strada, Mariastella Gelmini si vanta dalle pagine del Sole24Ore di sostenere un progetto “motivo d’orgoglio in un paese in cui si parla spesso in termini negativi della capacità di fare ricerca”.

Ci auspichiamo che questo Ministro - auspicabilmente insieme ad un esecutivo che fa rimpiangere il regno del terzo imperatore romano di Roma Gaio Cesare, meglio noto come Caligola - venga al più presto spazzato via dal movimento di lotta per la difesa dell’istruzione pubblica, che progressivamente va assumendo le parole d’ordine del No alla guerra ed alle spese militari, come dimostrano le mobilitazioni di questi giorni a Milano con “Make School Not War, Si alla Scuola No alla Guerra!” ed in tutto il paese contro le parate del 4 novembre.

La Rete nazionale Disarmiamoli!
www.disarmiamoli.org  info@...
3381028120  3384014989







("A quale scopo l'aiuto della Russia, se voi concedete tutto quello che l'Occidente vi chiede?"
La saggista russa Jelena Guskova sostiene che stanno per arrivare i guai maggiori nel Sangiaccato, e che la Serbia non sarà premiata per la sua "flessibilità" riguardo al Kosovo...)


Prenosimo

Šta će Srbiji pomoć Rusije, kad dajete sve što Zapad traži


Jelena Guskova   
sreda, 27. oktobar 2010.
(Alo, 25.10.2010)

Direktorka Centra za izučavanje savremene balkanske krize u okviru Instituta za slavistiku Ruske akademije nauka Jelena Guskova, koja se decenijama bavi srpskim i balkanskim temama, u intervjuu za „Alo!“ simbolično opisuje situaciju u Srbiji rečima da „nam kuća gori, a mi čitamo uputstvo o gašenju požara“.
Ona smatra da nam tek predstoje nevolje u Sandžaku i da za „popustljivost“ u vezi sa Kosovom Srbija neće biti nagrađena.
- Nema sumnje da je Sandžak novo žarište sukoba. Pri tom, vi sami raspaljujete probleme i u Vojvodini, i u Sandžaku. Čini se nespornim da ako pristaneš na ustupak jednoj strani, drugoj strani daješ znak da to možeš učiniti i drugi, treći, četvrti put...
Mislite da su događaji u Sandžaku povezani sa Kosovom?
- Sve teritorije sa većinskim albanskim stanovništvom u Srbiji, Makedoniji, Crnoj Gori i Grčkoj samo čekaju signal kako bi pošle putem Kosova. Taj signal će dobiti kada Kosovo stekne status nezavisne države, što će neizostavno voditi ka stvaranju „velike Albanije“. Šteta što je Srbija pasivna povodom toga. Na budućim pokoljenjima Srba će biti da razmrse to što su zapetljali današnji srpski političari.
Šta je najpametnije što bi Beograd mogao da uradi u vezi sa Sandžakom?
Kakav savet biste dali čoveku čija je kuća u plamenu, a on sedi u fotelji i čita knjigu o načinima gašenja požara?! Treba da uzme kofu sa vodom i pozove susede u pomoć!
Može li Srbija i dalje da računa na podršku Rusije?
- Ako Srbija uporno pravi ustupke u pitanjima o Kosovu, Vojvodini, Sandžaku, zašto vam treba podrška Rusije?!
>Kako Moskva gleda na to što je Beograd prihvatio zahtev Brisela i izmenio rezoluciju o Kosovu u UN-u?
- Moskva je reagovala suzdržano, potvrđujući svoju poziciju o neprikosnovenosti Rezolucije 1244. Međutim, postavlja se pitanje zašto je toliko dugo trebalo podržavati Beograd, kada je Srbija rešila da se odrekne svoje pozicije? Meni je iskreno žao što Srbija nije iskoristila to što je na njenoj strani bila Rusija i što je bilo moguće još dugo ne priznavati nezavisnost Kosova. Ipak, na kraju krajeva, to je vaša zemlja i na vama je da rešite da li ćete dati deo svoje teritorije.
Da li je, kako neki tvrde, Srbija nedavno usvojenom rezolucijom u UN-u faktički priznala nezavisnost Kosova?
Na prvi pogled, nova rezolucija ne nosi u sebi neposrednu pretnju za Srbiju, ona je neutralna, bezuba, bukvalno nikakva. Ipak, ima u rezoluciji jedna nijansa na koju bi trebalo obratiti pažnju. Tekst u kome se govori o nastavku dijaloga između Beograda i Prištine srpska sredstva javnog informisanja prevode kao dijalog između strana, a na Zapadu tvrde da je u pitanju dijalog između dve države. Uzalud je Srbiji da tvrdi da ne priznaje nezavisnost Kosova, odgovoriće joj da u njenoj rezoluciji nema ni reči o tome. I u pregovorima će pokušati da postave stvari kao da se govori o dijalogu dve nezavisne države.
Šta Srbija može očekivati od Evrope posle svojih ustupaka?
Verovatno se Boris Tadić saglasio sa izmenom rezolucije zato što je na pregovorima sa Ketrin Ešton razmatrao pitanja zaštite spomenika kulture, srpskih enklava, možda autonomije za severni deo Kosova, Kosovsku Mitrovicu. Ipak, ne treba zaboraviti da EU nikada nije bila „prva violina“ pri rešavanju balkanskih pitanja, prema tome, da li Srbi treba da se nadaju poštovanju dogovorenog? Mislim da će ipak odlučujuću ulogu imati SAD. U svakom slučaju, tako je bilo do sada. Pa zar nema NATO na Kosovu svojih interesa - vojnu bazu „Bondstil“, koja nije pod kontrolom nijedne međunarodne organizacije? Osim toga, ne rešiti pitanje u korist Albanaca posle toliko godina pojačanog pritiska, za SAD bi značilo gubitak prestiža, tim pre jer se proces suviše odužio i davno izašao iz roka koji je predvideo Vašington. Nije za poverovati da će Srbiju brzo primiti u EU. Nju, istina, žele da nagrade za popuštanje, ali ne znaju na koji način.
Koliko vam realno deluje priča da će doći do podele Kosova?
Zašto ustupiti Srbiji deo teritorije Kosova, kada će ona ionako sve dati? Da, još uz to, neće požaliti ni Sandžak, Preševo, Bujanovac, Medveđu, kao i sve što budu tražili...
- U poslednje vreme u Srbiji i Rusiji je došlo do veoma dobre saradnje u mnogim oblastima ekonomije, nauke, vojnoj sferi. To nije moglo ostaviti Zapad ravnodušnim. Vas su tako dugo uništavali, a vi ste nastojali da osigurate podršku Moskve i, štaviše, da vodite samostalnu politiku. Zbog toga je cilj SAD i Engleske da naruše ovu saradnju, obećavajući u zamenu idilu nakon pristupanja EU. Oni će učiniti sve da biste vi odustali od „Južnog toka“, od ruskog Centra za vanredne situacije u Nišu, predložiće pristupanje NATO... A to ne može da ne utiče na rusko-srpske odnose.
(razgovor vodio: G. Simonović)

KOMENTARI:

http://www.nspm.rs/component/option,com_yvcomment/ArticleID,31869/url,aHR0cDovL3d3dy5uc3BtLnJzL3ByZW5vc2ltby9zdGEtY2Utc3JiaWppLXBvbW9jLXJ1c2lqZS1rYWQtZGFqZXRlLXN2ZS1zdG8temFwYWQtdHJhemkuaHRtbD9hbHBoYWJldD1sI3l2Q29tbWVudDMxODY5/view,comment/#yvComment31869




(Segnaliamo l'uscita di questo nuovo libro trilingue, di giornalismo investigativo sulle vicende di Srebrenica. Sull'argomento si vedano anche i testi e le segnalazioni raccolte alla nostra pagina: https://www.cnj.it/documentazione/srebrenica.htm )


The propaganda »Srebrenica«
is NATO’s Auschwitz fake

Alexander Dorin, Zoran Jovanović

Srebrenica

what really happened


Edited and with a foreword by Peter Priskil

181 p.
English / German / Serbian
incl. Dossier Srebrenica, a Documentary DVD by D. Josipović and M. Knežević
EUR 28,90
ISBN: 978-3-89484-820-0
October 2010



Contents • Inhalt • Sadržaj
  • Foreword
    Zum Geleit
    Predgovor
  • A master race’s joke in Nazi manner
    Ein Herrenwitz nach Nazi-Art
    Gospodski vic u nacističkom žargonu
  • Pre-history of and background to a historical lie
    Vorgeschichte und Hintergründe einer Geschichtslüge
    Predistorija i pozadina jedne istorijske laži
  • Pictorial Documentation
    Bilddokumentation
    Dokumentacija slika
  • Murdered Serbian civilians and soldiers
    Ermordete serbische Zivilisten und Soldaten
    Ubijeni srpski civili i vojnici
    • Witness report by Janja Simić
    • Zeugenaussage von Janja Simić
    • Izjava svedoka: Janja Simić
  • Destroyed houses of Serbs in the area of Srebrenica
    Zerstörte Häuser von Serben in der Umgebung von Srebrenica
    Uništene srpske kuće u okolini Srebrenice
    • Witness report by Milorad Marjanović
    • Zeugenaussage von Milorad Marjanović
    • Izjava svedoka: Milorad Marjanović
  • The perpetrators: Muslim death squadrons
    Die Täter: moslemische Todesschwadronen
    Počinioci: Muslimanske eskadrone
    • Witness report by Tatomir Gvozdenović
    • Zeugenaussage von Tatomir Gvozdenović
    • Izjava svedoka: Tatomir Gvozdenović
  • Funerals of Serbian Victims of Massacre
    Beerdigungen von serbischen Massakeropfern
    Sahrane srpskih žrtava masacra
    • Witness report by Milka Božić
    • Zeugenaussage von Milka Božić
    • Izjava svedoka: Milka Božić
  • Serbian Cemeteries
    Serbische Friedhöfe
    Srpska groblja
    • Witness report by Rajko Jovanović
    • Zeugenaussage von Rajko Jovanović
    • Izjava svedoka: Rajko Jovanović
  • Memorial Sites for the Serbian Victims
    Gedenkstätten für die serbischen Opfer
    Spomenobeležja srpskih žrtava rata
    • Witness report by »Drago« Zikić
    • Zeugenaussage von »Drago« Zikić
    • Izjava svedoka: »Draga« Zikić
  • Muslim combatants on the retreat from Srebrenica
    Moslemische Kombattanten beim Rückzug aus Srebrenica
    Muslimanski borci pri povlačenjuiz Srebrenice
  • Epilogue: The latest from the Srebrenica lobby’s lie factory
    Epilog: Das Neueste aus der Lügen-Werkstatt der Srebrenica-Lobby
    Epilog: Najnovije iz radionice laži srebreničkog lobija
  • List of the names of Serbs killed during the massacres in the area of Srebrenica between 1992 and 1995
    Namensliste der bei den Massakern 1992–1995 in der Umgebung von Srebrenica ermordeten Serben
    Imena ubijenih Srba u masakrima muslimanskih trupa izvršenim na području Srebrenica u vremenu između 1992. i 1995. godine
  • Documentary Appendix
    Dokumentarischer Anhang
    Dokumentarni apendiks
  • Dossier Srebrenica – Documentary (DVD) by Dalibor Josipović and Milan Knežević
    Dossier Srebrenica – Dokumentarfilm (DVD) von Dalibor Josipović und Milan Knežević
    Dosije Srebrenica – Dokumentarni (DVD) od Dalibora Josipovića i Milana Kneževića




Foreword

Srebrenica is a small town in the East of the former Yugoslavian republic (and today the state, founded with a baptism of fire by NATO) of Bosnia-Herzegovina, an enclave in the Serbian area of settlement inhabited mostly by Muslims until the mid-1990s.
    But Srebrenica was more: in the constituent republic which was soon to be occupied by UN and NATO troops and torn by civil war, it was a (pseudo-)demilitarised "safe area", installed by the occupying powers, in addition to Žepa, Goražde, Sarajevo, Tuzla and Bihać. All of these "safe areas" were located in areas inhabited mostly by Serbs but were under UN or (which is the same thing) NATO control. Under the protection of the foreign occupying forces, the Muslims, who were anything but "demilitarised", being equipped with modern weapons (who were also described in the witness statements from surviving Serbs as "Ustaša" or "Turks"), launched attacks on the surrounding Serbian villages, whose inhabitants they manhandled bestially, tortured and slaughtered. This happened in the area around Srebrenica from 1992 until the summer of 1995, when Serb forces took the town without a fight (!), and this documentation is about the crimes committed against Serbian civilians that have remained unpunished to this day: Srebrenica – what really happened.
    But Srebrenica is even more: it is, when Western politicians and their aligned, US-controlled media mention its name, a topos charged with powerful emotions, a gruesome, bloodthirsty metaphor, in which racism, fascism, genocide, chauvinism, imperial nationalism, ethnic cleansing, mass rape – in short, all of the tried and tested labels for politically correct baiting of the last two decades – are not only uttered, but shouted deafeningly into one’s ears. And let it be noted: the Serb is always the murderer, just like in World War I, just like in Hitler’s invasion of Yugoslavia, and now for the third and presumably last time. The US Empire and its vassals have achieved the perversion of facts that allows the Serbs, instead of being, as they were, the victims of a genocide perpetrated by the Catholic Church and the Nazis, to be portrayed as a fascist people of perpetrators. Clinton, former German SPD Chancellor Schröder and former Green Foreign Minister Fischer are the political executors of Hitler’s legacy.
    "Srebrenica" in its official version is a propaganda lie that will not become the truth however loudly and frequently it is repeated. What the Sender Gleiwitz was to the Nazis, the little town of Srebrenica is to NATO.
    In proportion to the size of this lie is the scale of the crime itself, which was only made possible by the lie in the first place; it can only be compared with the allegedly murdered incubator babies and the alleged weapons of mass destruction in Iraq. As was taking place at the same time in Iraq, tens of thousands of people fell victim to the economic sanctions that had been imposed on Serbia since 1992. In spring 1999, the remains of Yugoslavia was bombed for eleven weeks by NATO, and then the historical and religious core of Serbia, the Amselfeld ("Kosovo"), was amputated, occupied and, in violation of the relevant UN stipulations, which guaranteed the territorial integrity of the rump of Yugoslavia, "released into independence". Now, 15 years later, this lie is being warmed up again, because now it is time to pass judgements on both the political and military leadership of the Serbs and ordinary combatants in show trials conducted by the victors and bury them alive for decades in prisons – provided, of course, that they have not already died there under dubious circumstances. And the world will discover, apart from the bawling in the obligatory five-minute hate broadcast, nothing of importance, least of all on the internet. It is ghostly: Radovan Karadžić or Vojislav Šešelji, whose adherents number millions, mutate into media monsters, stereotypes of terror. The ruling class has undoubtedly learned since the Nazis’ debacle in the Reichstag fire trial of Georgi Dimitroff et al: the lying runs like clockwork, and technology makes it possible worldwide. The propaganda "Srebrenica" is NATO’s Auschwitz fake.
    Srebrenica, as it really was: one of hundreds of war zones in Bosnia-Herzegovina, torn apart by the civil war between catholic Croats, orthodox Serbs and Muslims forcibly converted under Turkish rule. Just like the Nazis, the US imperialists subjugated the country by using the Islamic-Catholic axis, and the lie ruled right from the start: the Bosnian Serbs are supposed to have killed more than 250,000, while it has been proved that a total of between 30,000 and 60,000 people of all the parties to the civil war died; the evil, evil Serbs are supposed to have "systematically mass-raped" 60,000 women, no, 40,000, no, 20,000, until finally 119 documented cases remained (without the Serbian rape victims, of course) etc., etc. The propaganda "Srebrenica" is to a certain degree the generic term of this orgy of lies that has been raining down on our heads for years. There was fighting in the real Srebrenica too – of course, one almost is willing to say – resulting in about 2000 Muslims dying in battle. There are serious studies that exist on this matter, none more exemplary than that presented by the co-author of this documentation, Alexander Dorin (‘Srebrenica – Die Geschichte eines salonfähigen Rassismus’, Berlin 2010), the Bulgarian Germinal Civikov and several others. Admittedly, their voices are faint, which is inevitable under a worldwide regime of censorship.
    But before the propaganda "Srebrenica" there were real crimes committed in the same region, which have been suppressed, kept silent, covered up, swept under the carpet: because they were committed against Serbs. And these are what this documentation is about. Alexander Dorin has spared neither effort, time nor money in his years of painstaking research in order to bring these denied facts to light, and without a stroke of luck – in the form of a meeting with the co-author Zoran Jovanović – he still would not have succeeded. What they have brought to light is horrendous but none the less true for that. (Will some state censorship authority spring into action this time too, acting on behalf of "youth protection", "misogyny", "racism" or whatever? We’ll see…)
    In any case, it has become possible for the unbiased observer to hear the proverbial "other side", whose voice would otherwise have been silenced for all time – a sufficient, indeed urgent, reason for this publication.

Freiburg, July 2010

Peter Priskil




(Diese Interview auf deutscher Sprache: 
http://www.jungewelt.de/2010/10-05/051.php 




Intervista a Krsljanin: ‘La Serbia è un paese occupato’


24/10/2010

By sitoaurora

Workers World 17 ottobre 2010


Il 5 ottobre, 2000, un colpo di stato progettato da agenzie imperialiste USA e sostenuto da governi imperialisti europei occidentali rovesciò il partito socialista al governo in Jugoslavia, guidato da Slobodan Milosevic. Al momento – solo 16 mesi dopo una esiziale  guerra aerea di 79 giorni guidata darli Usa e dalla NATO contro il popolo della Jugoslavia – vi era molta confusione anche tra i progressisti e le forze pacifiste dei paesi imperialisti, a causa della schiacciante propaganda anti-Milosevic nei media corporativi. La seguente intervista di Cathrin Schütz all’ex assistente di Milosevic, Vladimir Krsljanin getta luce su tali avvenimenti e gli sviluppi in Serbia degli ultimi 10 anni.


Dieci anni fa, il 5 ottobre, il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic fu  rovesciato. Cosa si nasconde dietro questa “rivoluzione democratica per la libertà” celebrata dai media e dai politici occidentali?

Per 10 anni la Serbia aveva resistito con successo alla guerra contro la Jugoslavia, che ha avuto inizio nei primi anni ‘90. Dopo che la guerra di aggressione della NATO contro il nostro paese si concluso nel 1999 senza una chiara vittoria, Londra e Washington effettuarono una vasta operazione speciale per rovesciare Milosevic, la madre di tutte le successive “rivoluzioni colorate“.
Attraverso un decreto presidenziale, Bill Clinton  diede carta bianca alla CIA per effettuare un colpo di stato in Jugoslavia. Somme enormi furono investite nei partiti politici, organizzazioni non governative e nei media. L’opposizione frammentata [a Milosevic e al Partito socialista di Serbia], fu unificata sotto la guida straniera. Una coalizione di 18 partiti sotto l’ombrello chiamato “opposizione democratica“, o DOS, fu formato con un unico obiettivo: rovesciare Milosevic.
William Montgomery, la persona che più tardi fu nominato ambasciatore USA a Belgrado, istituì un ufficio appositamente attrezzato a Budapest [nella vicina Ungheria]. Gli attivisti dell’opposizione frequentarono corsi che erano tenuti da agenti della CIA. Il cosiddetto gruppo studentesco  conosciuto come “Otpor” (Resistenza), usava lo slogan “Gotov je” (E’ finito) per condurre le elezioni – tutto questo fu un progetto delle agenzie di intelligence occidentali.


Come ebbe luogo il golpe?

Nelle elezioni presidenziali jugoslave del 24 settembre l’uscente Milosevic ottenne il quindici per cento in meno, dei voti ottenuti dal candidato filo-occidentale Vojislav Kostunica. Tuttavia, poiché nessuno di questi due candidati aveva ottenuto la maggioranza assoluta, si sarebbe dovuto giungere ad un ballottaggio elettorale. I partiti del DOS affermarono che Milosevic aveva falsificato le elezioni e Kostunica aveva vinto al primo turno. Otpor guidò le violente proteste di piazza.
Il DOS voleva impedire il secondo turno, anche se avesse vinto di sicuro. Milosevic rifiutò di dimettersi senza il secondo turno di votazione.
Al culmine della lite, la Corte Suprema emise una decisione strana: a causa delle voci di irregolarità nel primo scrutinio, la votazione dalla provincia meridionale serba del Kosovo, fu semplicemente cancellata. Certo, il voto in quei distretti avrebbe dovuto essere ripetuto.
Con i voti annullati del Kosovo, il voto a Kostunica aumentò di oltre il 50 per cento. Milosevic riconobbe la decisione e il 5 ottobre si congratulò per la vittoria di Kostunica. Questo passaggio, che era stato appena riferito, fu sepolto in quello che i media presentarono come “sollevazione popolare“. Otpor incendiò  il parlamento, e le forze Kostunica occuparono l’apparato di governo immediatamente e completamente. Con questo colpo di Stato fu evitato un passaggio controllato di potere.


Non fu dunque semplicemente una vittoria elettorale per l’opposizione?

L’immagine di Milosevic come “dittatore“, nei media occidentali, sarebbe apparsa assurdo se fosse stati semplicemente rimosso con un voto democratico. L’Occidente non voleva rischiare  questa perdita di credibilità. Principalmente, però, la “rivoluzione” doveva essere effettuata con violenza, per accorciare i tempi, fino a quando il nuovo regime potesse consentire l’intervento occidentale nello stato e nell’economia, rendendo così la trasformazione irreversibile.
Dopo il 5 ottobre, uffici e imprese governativi furono occupate da cosiddette unità di crisi, e quelli precedentemente in carica furono cacciati. Dopo pochi mesi 40.000 funzionari erano stati illegalmente rimossi dagli uffici. Oggi, il ministro dell’Economia Mladjan Dinkic, ha iniziato la sua illustre carriera, utilizzando le mitragliatrici per prendere il controllo della Banca nazionale.
Il partito di Dinkic, G17 Plus, è stato originariamente creato come ONG da parte dell’Occidente. Nonostante il suo risultato elettorale marginale, negli ultimi 10 anni ha controllato le finanze pubbliche sotto governi successivi. Il primo atto di Dinkic come direttore della banca nazionale fu di sciogliere le quattro maggiori banche serbe su richiesta del Fondo monetario internazionale – con la conseguenza che il sistema bancario serbo è ormai in mani straniere, e ogni anno 6 miliardi di euro vengono esportati dal paese. Ricordo le parole di Milosevic prima delle elezioni: “Non attaccano la Serbia per catturare Milosevic, ma Milosevic per catturare la Serbia“.
Ma al di là della propaganda occidentale, vi era in realtà un grande malcontento tra la popolazione [nel 2000]… Sotto la guida di e in stretta collaborazione con i loro sponsor stranieri, l’opposizione ha capito come dare la colpa a Milosevic per la sofferenza causata dalle sanzioni occidentali e dalla guerra della NATO, e come fare grandi promesse per vincere le elezioni.
Le bombe avevano distrutto l’economia e le infrastrutture, aggravando il malcontento sociale. Quando il governo ha utilizzato i fondi rimanenti per la riparazione dei principali collegamenti stradali e ferroviari, gli elettori si sentiva ancor più addolorati e furono sensibili anche alla propaganda dell’opposizione, che dichiarava che votando contro Milosevic si sarebbe fermato la pressione estera e aumentato il tenore di vita. E’ in questo senso che si dovrebbe capire il portavoce della Casa Bianca, Ari Fleischer, che osservava che la guerra faceva parte della strategia del “cambio di regime” della NATO e degli Stati Uniti, perché indeboliva Milosevic e lo portava alla sua caduta.


Perché i principali paesi occidentali compirono un intervento aggressivo contro la Jugoslavia e la Serbia?

Dai primi anni ‘90 non ci sono state diverse guerre in Jugoslavia – in Slovenia, Croazia, Bosnia, Kosovo – erano tutte una sola guerra: quella dell’occidente contro la Jugoslavia. In questa affermazione sono pienamente d’accordo con Milosevic. l’ex presidente USA, George Bush Sr., parlando durante la celebrazione della riunificazione tedesca, discusse dell’eliminazione delle conseguenze del Trattato di Versailles in Europa. Un punto chiave per quanto riguarda Versailles, all’inizio del 20° secolo, fu quello di indebolire la Germania a favore dei paesi dell’est europeo, considerando la Germania come un satellite nella dottrina dell’”Europa Centrale“.
Così, a Versailles per la prima volta venne riconosciuta la Jugoslavia come stato. Fino alla dissoluzione della Jugoslavia, gruppi cattolici e musulmani in Jugoslavia erano stati usati dalle potenze occidentali per contrastare l’influenza russa, che si basava sulla vicinanza storica con i serbi. Nel 1990, tuttavia, il ruolo di un risorgente Germania, era di servire quale membro della NATO per indebolire la Russia e l’Europa orientale, che doveva essere trasformata in una “regione euro-atlantica” – ma naturalmente solo come colonia. In linea con il desiderio a lungo accarezzato dagli inglesi, di una Serbia, soprattutto, che doveva essere indebolita, in quanto potenziale alleato della Russia.
Con Milosevic non poteva mai accadere. Il Kosovo è ora sede di Camp Bondsteel, la più grande base militare USA in Europa, nella zona dei grandi progetti di oleogasdotti dal Mar Caspio.


Forse la caduta di Milosevic è stata un vantaggio per la popolazione della Serbia? 

Immediatamente dopo 5 ottobre 2000, il Parlamento serbo dominato dall’SPS di Milosevic fu reso impotente attraverso la formazione di un governo di transizione. Si tennero elezioni anticipate. Il DOS vinse con una maggioranza dei due terzi dei voti e venne nominato Zoran Djindjic, il favorito numero uno dell’occidente, a primo ministro, l’ufficio più potente della politica jugoslava. Così, il colpo di stato fu completato.
La Serbia di oggi è un paese occupato. “Consulenti” esteri siedono in governo, esercito, polizia e servizi segreti. L’economia è a terra, il sistema bancario in mani straniere. Privatizzazione e vendita di grandi imprese portano povertà e  fame alla Serbia. L’esercito è composto di soli quattro brigate, i media sono stati ridotti al silenzio, i politici sono corrotti. Il Montenegro si è separato e il Kosovo ha dichiarato la sua indipendenza.
E mentre prima del 5 ottobre 2000, la Corte distrettuale di Belgrado processò in contumacia e condannò i leader della NATO per crimini di guerra, condannandoli a 20 anni di carcere, la pena è stata abrogata poco dopo il golpe. Il capo della TV governativa fu accusato della morte del suo staff – coloro che erano morti sotto le bombe della NATO. Successivamente Milosevic e diversi alti funzionari statali e generali furono consegnati all’Inquisizione della NATO a L’Aia, in violazione della Costituzione.
Così nulla è migliorato. Al contrario, il nostro presidente telecomandato e il coro dei politici e degli “esperti” comprati, parlano di grandi vittorie sulla strada per l’adesione all’Unione europea. Ma sembra evidente che questa via non sia quella giusta.


Pubblicato il 6 ottobre dal quotidiano tedesco Junge Welt. Tradotto da Workers World, editore John Catalinotto. Copyright 1995-2010 Workers World. Copia e diffusione di questo articolo, nella sua integrità, sono permesse con qualsiasi mezzo, a condizione che questa nota sia riprodotta.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – Aurora03.da.ru




Moldavia, Europa

In Moldavia, il malcontento, generato dai primi anni di massacro neoliberista ad opera delle forze nazionaliste "filo-romene" che si erano impadronite del potere dopo la dissoluzione dell'URSS, proclamando l'indipendenza, è sfociato, nel 2001, nella travolgente vittoria (maggioranza assoluta e 70% dei seggi) del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova. Per la prima volta, dalla fine dell'URSS, in Europa orientale i comunisti tornavano in modo assolutamente democratico alla direzione dello Stato, eleggendo quale presidente della Repubblica il loro leader Vladimir Voronin.Da quel momento i comunisti, pur tra enormi difficoltà e in un contesto internazionale non certo favorevole alle forze di progresso dopo la caduta del contrappeso socialista, hanno cercato di trovare una soluzione alla terribile crisi economica e sociale nel paese più povero d'Europa, ereditata dal decennio di potere della borghesia compradora. Si sono introdotte misure tese ad assicurare una maggiore presenza regolatrice dello Stato. Si è cercato di frenare la corruzione dilagante e di migliorare i servizi sociali. I mezzi finanziari a disposizione sono stati indirizzati allo sviiluppo della produzione industriale e dell'agricoltura. I comunisti si sono poi sforzati di ricercare l'integrazione nel mercato ex sovietico, sapendo bene che questo rappresentava l'unico modo per garantire una ragionevole ripresa della dissanguata economia nazionale. Il conseguente avvicinamento alla Russia ha comportato anche la ricerca tenace di un accordo con le autorità della Transnistria, regione moldava a prevalente composizione etnica russa, scenario di un sanguinoso conflitto seguito alla secessione avvenuta all'indomani dello scioglimento dell'URSS. Si è cercato anche di diversificare l'iniziativa internazionale, intessendo nuove relazioni, ad esempio attraverso la sigla di accordi commerciali con la Repubblica Popolare Cinese. Ma soprattutto, nel rispetto della Costituzione che impone la neutralità, si è conservata una posizione di principio di fronte alle pressioni per integrare la repubblica nei meccanismi militari delle alleanze occidentali, a cominciare dalla NATO, pur mantenendo un atteggiamento di apertura alla collaborazione con l'Unione Europea, Era dunque scontato che il cambiamento avvenuto in Moldavia dovesse provocare reazioni in ambito occidentale, e soprattutto da parte della Romania, che ha esplicitato in varie occasioni la sua contrarietà alle scelte di riavvicinamento alla Russia. Nei mesi scorsi si è completato un vero e proprio piano di destabilizzazione, appoggiato esplicitamente dalla Romania e dalla NATO, con caratteristiche analoghe a quelle delle altre "rivoluzioni colorate" che hanno cercato di destabilizzare le repubbliche ex sovietiche. A più riprese, in questi anni, violente manifestazioni hanno sconvolto la capitale Kishinev, rivendicando la discriminazione della lingua russa, inneggiando alla "Grande Romania" e invocando l'intervento della NATO, per "rovesciare il regime comunista". Il piano ha avuto il suo epilogo nella contestazione di presunti brogli elettorali e nella richiesta di ripetizione della consultazione nel 2009, sfociata nella sconfitta, anche se per un soffio, del Partito Comunista che, sebbene continui a rappresentare la prima forza politica del paese (46% dei voti), viene minacciato oggi di subire le stesse odiose persecuzioni riservate ai partiti fratelli di altri paesi della regione. Si è cercato anche di emarginare il Partito Comunista attraverso un referendum che che si proponeva di modificare le prerogative costituzionali, svoltosi il 7 settembre scorso. E' stato un autentico flop, con il mancato raggiungimento del già ridicolo quorum (un terzo del corpo elettorale): i moldavi hanno aderito in massa (oltre il 75%) alla richiesta dei comunisti di boicottare la consultazione. E' un segnale che non si presta ad equivoci. Che fa ben sperare in un drastico ridimensionamento delle speranze coltivate dal blocco reazionario e dai suoi sponsor occidentali, in vista delle elezioni politiche anticipate previste per la fine di novembre, rese necessarie dalla dura sconfitta del governo. Una consultazione, in cui molti danno quasi per scontata una vittoria dei comunisti che potrebbe permettere il loro ritorno al governo.
Sugli sviluppi in Moldavia che, non dimentichiamo, non solo è un paese europeo, ma la patria di molti migranti presenti in Italia, dovrebbe concentrarsi l'attenzione della nostra sinistra. Purtroppo questo non avviene. E la cosa che sorprende è il fatto che neppure l'adesione del PCRM (che peraltro non ha mai manifestato la minima intenzione di rinunciare alla propria identità comunista) alla "Sinistra Europea" sembra avere provocato anche solo un minimo movimento di solidarietà da parte delle forze progressiste , a cominciare da quelle, come PRC e SEL, che della "Sinistra Europea" sono componente fondativa.

Mauro Gemma

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=19820

Moldavia: il fallimento del referendum costituzionale

su www.pcrm.md del 27/10/2010

Dichiarazione del Partito Comunista della Repubblica di Moldova (PCRM)

Traduzione dal russo di Mauro Gemma per l'Ernesto online

Il 5 settembre scorso, il nostro popolo e il nostro partito hanno superato una seria prova storica. Indetto per quel giorno dalle autorità al governo, il referendum costituzionale avrebbe dovuto non solamente rafforzare il potere dell'alleanza liberale nel paese, ma anche aprire il cammino all'annientamento del nostro Stato, pianificato dai partiti del tradimento della nazione e dai loro protettori stranieri. La lunga e minuziosa preparazione, le enormi risorse amministrative, la massiccia propaganda nei media, la grossolana manipolazione della legislazione, l'abbassamento senza precedenti del quorum, la feroce pressione su tutti gli elettori del paese avrebbero dovuto garantire ai promotori di questa farsa antipopolare una sicura, facile e convincente vittoria. Una vittoria che, a loro parere, sarebbe risultata decisiva nella lotta contro il Partito dei Comunisti, la principale forza politica, che non permette ai poteri liberali di realizzare i propri perfidi disegni.

Ma l'alleanza ha sbagliato i calcoli. Poiché non ha capito che non combatteva solo contro il Partito dei Comunisti, ma con la maggioranza del popolo, con tutto il popolo. I risultati del referendum mancato, che ha rappresentato senza esagerazione la più grande disfatta dell'alleanza liberale da quando si trova al potere, dimostrano in modo esemplare che i nostri concittadini sono pronti a difendere la propria dignità, le proprie opinioni, la propria libertà e il proprio paese, persino in così difficili condizioni di feroce pressione degli strumenti amministrativi in mano al potere. Il nostro popolo ha dimostrato di essere capace di gesti rivoluzionari: gesti rivoluzionari di disobbedienza nei confronti di un potere ad esso estraneo.

Per questo, la vittoria, conseguita dal nostro partito in questa difficile battaglia, rappresenta non solo una nostra vittoria, ma quella di tutto il popolo, di tutto il paese!

Il Comitato Centrale del PCRM rivolge il suo più sentito ringraziamento e la sua riconoscenza a tutti quei cittadini della Repubblica Moldova, che hanno dato prova di consapevolezza e coraggio e hanno risposto al nostro appello a boicottare il referendum antipopolare e antistatale.
Il Comitato Centrale ringrazia anche in modo particolare i rappresentanti degli organi locali del potere, i consiglieri, i sindaci e i rappresentanti delle organizzazioni sociali che non hanno avuto paura di invitare pubblicamente la popolazione ad ignorare la farsa inscenata dal potere. Nonostante le minacce dirette e le azioni pratiche di pressione, lo scorso mese sono state approvate e pubblicate più di duecento dichiarazioni e appelli al boicottaggio da parte di rappresentanti delle amministrazioni locali in tutto il territorio della Moldova. Il vostro contributo alla nostra vittoria comune è stato significativo.

Un apporto di grande valore è venuto dal lavoro della maggior parte delle nostre organizzazioni di partito, che sono state capaci di trasmettere agli elettori il nostro appello, e sono riuscite ad assicurare un'affluenza bassissima praticamente in tutto il territorio del paese.

Particolarmente efficace e proficuo è stato il lavoro anche del nostro gruppo parlamentare. Il Comitato Centrale esprime un grande apprezzamento per il contributo alla vittoria di ogni nostro deputato al Parlamento, che ha operato sia con un confronto diretto con gli elettori, che attraverso gli strumenti di comunicazione di massa.

Il Comitato Centrale del PCRM si congratula con tutto il popolo moldavo per la convincente vittoria che non ha precedenti per la causa della difesa dell'indipendenza e della sovranità della Repubblica Moldova e del suo ritorno sulla strada di un normale sviluppo.

Il Partito dei Comunisti considera la fiducia politica accordatagli come un incoraggiamento a sviluppare il massimo sforzo per la vittoria nelle prossime elezioni parlamentari anticipate, per il ritorno di un potere autenticamente popolare, pro-moldavo ed effettivamente democratico nel nostro paese.

Settembre 2010

(The original article, in english:
Kosovo is American
http://www.nspm.rs/nspm-in-english/kosovo-is-american.html
or http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6883 )

http://sitoaurora.altervista.org/Eurasia/Balkanija70.htm

Il Kosovo è americano

Hannes Hofbauer

Strategic Culture Foundation, 24.8.2010


Traduzione di Alessandro Lattanzio

"Il Kosovo è Serbo", è uno degli slogan chiave di ogni dichiarazione politica di Belgrado e dei meeting della diaspora Serbia in tutto il mondo. I monasteri ortodossi in tutto il paese sembrano dimostrare questo punto di vista. "Il Kosovo è territorio albanese", è la risposta della maggioranza di 1,9 milioni di persone che vivono in questo territorio. La loro prova sembra essere basata sulla quantità della semplice maggioranza etnica, che - per inciso - non necessariamente ha a che fare con uno Stato. "Il Kosovo è europeo", è la dichiarazione delle autorità di Bruxelles, che sottolineano il fatto che il Kosovo fa parte dell'"Eurozona" ed è sotto sorveglianza dell'UE. Storicamente serba, etnicamente albanese, economicamente della periferia europea. Sì e no. Tuttavia, geopoliticamente, il Kosovo è statunitense.
Il 22 luglio 2010, 10 su 14 giudici della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) dell'Aja hanno approvato la dichiarazione d'indipendenza kosovara come compatibile con le norme del diritto internazionale. L'indipendenza è stata dichiarata il 17 febbraio 2008 da un "Assemblea del Kosovo" nel parlamento di Pristina. La dichiarazione dell'ICJ s'è limitata alla proclamazione dell'indipendenza e non fa riferimento alla legittimità della secessione. Questa è una contraddizione minore. Una contraddizione più grave sta nel fatto che l'assemblea kosovara in parlamento, al momento era (ed è ancora oggi) formalmente non in rappresentanza del Kosovo, in ambito internazionale. La risoluzione ONU 1244 del 1999, che indicava un "Rappresentante speciale del Segretario generale" come rappresentante ufficiale della provincia, che viene definita parte integrante della Jugoslavia e della Serbia, rispettivamente. Per dirla precisamente: Il parlamento kosovaro non era legittimato a rappresentare il Kosovo sulla scena internazionale. Secondo il diritto internazionale, nessun corpo legale aveva chiesto l'indipendenza. Nel comunicato stampa della Corte internazionale di giustizia, si può leggere della legittimità dell'"Assemblea del Kosovo", che ha dichiarato l'indipendenza: "Su questo punto, la Corte giunge alla conclusione che gli autori della dichiarazione di indipendenza... non hanno agito come una delle istituzioni provvisorie di autogoverno nel quadro costituzionale, ma piuttosto come persone che hanno agito nella loro veste di rappresentanti del popolo del Kosovo, al di fuori del quadro dell'amministrazione ad interim (..) Gli autori della dichiarazione d'indipendenza non erano vincolati dal quadro delle competenze stabilite per governare (...)". Pertanto, la Corte Internazionale di Giustizia, "rileva che la dichiarazione d'indipendenza non ha violato il quadro costituzionale". In altre parole: poiché l'organismo che ha dichiarato la propria indipendenza non si compone di rappresentanti legali del Kosovo, le norme del diritto internazionale non erano state violate. Questa è una grave contraddizione.
La Corte internazionale di giustizia con il suo verdetto, di fatto segue la posizione degli Stati Uniti e della maggior parte degli stati UE. L'alleanza occidentale aveva già provato, prima della dichiarazione di indipendenza, di attuare una cosiddetto "indipendenza sotto sorveglianza" delle Nazioni Unite. Il piano Ahtisaari è stato liquidato dalla Russia (e dal Sud Africa). Così Washington, Parigi, Londra e Berlino, hanno realizzato questo piano, senza mandato delle Nazioni Unite.
De jure, la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite, è ancora valida. Il Kosovo è quindi parte della Serbia e l'amministrazione delle Nazioni Unite ha ufficialmente uno status neutrale.
Il ricorso all'ICJ pone la questione dell'indipendenza dello stato a livello internazionale. Ed è stata la Serbia che ne ha fatto richiesta. Quindi Belgrado non può semplicemente ignorare il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia. Ripetere lo slogan "Kosovo è Serbia" non aiuterà a superare la sua posizione difensiva. Per non parlare del rifiuto serbo di prendere in considerazione la realtà kosovara. Il 90% della popolazione non è disposta ad accettare le insegne nazionali serbe. Questo fatto non può essere ignorato.


Un Precedente


Come precedente, il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia sulla dichiarazione di indipendenza kosovara, è di vasta portata. Prima di tutto si sottolinea il passaggio dal diritto internazionale verso una preponderante gestione dei conflitti sui diritti umani. Negli ultimi due decenni, la gestione dei conflitti occidentale sempre più opera con gli argomenti dei diritti umani, invece del diritto internazionale. L'intera guerra della NATO contro la Jugoslavia, che ha spezzato il diritto internazionale, quando iniziò nel marzo 1999, seguiva l'argomento dei diritti umani per salvare la popolazione albanese dalla presunta aggressione serba. Il codice del diritto delle nazioni, in tal modo è stato messo da parte, escluso. La guerra della NATO contro la Jugoslavia pose anche fine al quadro giuridico, ad esempio, del CSCE nel garantire la sovranità nazionale, l'integrità territoriale e il rispetto dei confini nazionali. Da allora, invece del diritto internazionale codificato, i diritti umani servirono come argomenti per le aggressioni e gli interventi militari (ad esempio, anche in Afghanistan). La gamma di possibili interpretazioni dei diritti umani rende facile usare argomenti manipolativi che servano come strumenti per i propri interessi.
L'accettazione dell'indipendenza del Kosovo contro la volontà di Belgrado, è anche un precedente per molti casi concreti. Su tutto il territorio della ex-Jugoslavia. Dopo il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia, sarà più difficile da spiegare perché "la Republika Srpska" debba rimanere all'interno della Federazione della Bosnia-Erzegovina e perché dovrebbe essere impossibile dividersi e unirsi alla Serbia. Allo stesso modo, non sarà facile spiegare alla minoranza albanese in Macedonia, perché dovrebbe essere contro il diritto internazionale dichiarare l'indipendenza da Skopje o unirsi con l'Albania e/o Kosovo. Per non parlare dei serbi nel nord del Kosovo, che non accettano l'autorità Prishtina. Perché dovrebbero rimanere in uno Stato comune con gli albanesi? La loro possibile indipendenza e/o unificazione con la Serbia avrebbe seguito la stessa logica dell'ICJ.
La dichiarazione dell'ICJ approfondisce l'argomento dell'indipendenza nazionale ben al di là dell'ex-Jugoslavia. Come precedente, è importante ad esempio anche per Tiraspol. La Repubblica Moldava di Pridnestrovia (PMR) da 20 anni chiede l'indipendenza dalla Moldavia e il riconoscimento internazionale. Solo poche ore dopo il verdetto della Corte Internazionale di Giustizia sul Kosovo, le autorità del PMR hanno sottolineato il loro punto di vista. E nella periferia georgiana, il precedente del Kosovo ha già portato ad una reazione da parte russa, quando Mosca ha riconosciuto le dichiarazioni d'indipendenza di Abkhasia e Ossezia del Sud, nell'agosto 2008.



Autodeterminazione contro governo coloniale


La dichiarazione di indipendenza del Kosovo, il suo riconoscimento da parte - al momento – di 69 stati (su 192) e il verdetto dell'ICG non può nascondere che il Kosovo, in realtà, non è indipendente per nulla. Ciò non è previsto dal comunque dagli USA. L'autodeterminazione è assai fuori portata.
Per quanto riguarda l'aspetto militare, questo è più evidente. Dopo che le truppe russe si ritirarono nel giugno 1999 e successivamente nel 2003, la NATO a guida USA si stabilì in ogni angolo del paese. A Camp Bondsteel, dal nome di una ufficiale USA che fu ucciso in Vietnam, l'esercito USA ha installato il suo più grande campo militare in Europa, che copre un territorio di quasi 4 chilometri quadrati. Ma anche l'amministrazione civile non è nelle mani del governo o del parlamento locale. Il Piano Ahtisaari del marzo 2007, è il progetto della costituzione kosovara. Questa costituzione rileva chiaramente lo stato coloniale, nell'articolo 143: "Tutte le autorità della Repubblica del Kosovo devono rispettare tutti gli obblighi della Repubblica del Kosovo, sotto la proposta globale per lo status del Kosovo del 26 marzo 2007 (che è il Piano Ahtisaari; HH). (...) Le disposizioni della proposta globale per lo status del Kosovo del 26 marzo 2007 devono avere la precedenza (priorità, HH) su tutte le altre disposizioni giuridiche in Kosovo. (...) Se ci sono incongruenze tra le disposizioni di questa Costituzione, le leggi o altri atti giuridici della Repubblica del Kosovo e le disposizioni di detto regolamento, prevalgono queste ultime".
"L'indipendenza sotto sorveglianza" è stata (ed è) la parola chiave della politica occidentale in programma per il Kosovo. I profittatori di questa "indipendenza sotto sorveglianza", oltre alla criminalità organizzata che infatti gestisce le attività tra le strutture legali e illegali, sono decine di migliaia di colonizzatori. Sotto abbreviazioni come UNMIK, EULEX e migliaia di ONG, riempiono i loro conti in banca con un salario mensile da 10 a 20 volte superiore a quello di un dipendente medio del paese. Il Kosovo è un enorme campo di sperimentazione: militare, politico, giuridico, amministrativo. Rispetto al fatto che il potere esecutivo e legislativo non sono divisi, sotto l'amministrazione dell'UNMIK del "Rappresentante speciale del Segretario generale" (SRSG) e dell'"International Civilian Representative" (ICR) dell'EULEX, si dimostra come la politica può essere fatta senza i procedimenti politici occidentali. Il Rappresentante speciale e le amministrazioni dell'ICR, sono al di sopra delle leggi locali e degli standard internazionali.
Da quando la Russia non ha potuto fermare l'attuazione del piano Ahtisaari, non sembra esserci alcuna alternativa allo status coloniale della regione. La proposta di Belgrado dal 2007, per unire l'integrità territoriale e la sostanziale autonomia del Kosovo, non ha nemmeno trovare un sostegno sufficiente in Serbia. La soluzione più ragionevole sarebbe quella di dividere il Kosovo lungo il fiume La popolazione serba a nord di esso sarebbe diventata quello che di fatto è: cittadina della Serbia. A sud di Ibar, un secondo stato albanese è diventato realtà dal 1999. Parallelamente a questa divisione, una mossa anti-coloniale potrebbe portare all'autodeterminazione all'interno del Kosovo albanese.
Diversi ostacoli si oppongono a questa visione: il governo di Pristina, che agisce come un corpo esteso di Washington ha recentemente minacciato un intervento militare, in caso in cui i serbi nel nord dichiarassero l'indipendenza da Prishtina; il governo di Belgrado, che segue le linee guida di Bruxelles e gli interessi geopolitici ed economici degli Stati Uniti e dell'Unione europea. Le vaghe promesse da parte di Bruxelles d'inserire il Kosovo nel quadro dell'Unione europea, non devono essere prese sul serio. Già oggi Bruxelles ha tutti i mezzi economici nelle sue mani, e valuta e controlla il processo di privatizzazione. Una più stretta integrazione avrebbe confrontato Bruxelles agli interessi USA. Così lo status quo è utile per entrambe le parti, anche se viene realizzato mettendo i serbi e gli albanesi gli uni contro gli altri.

LA SLOVENIA RACCOGLIE QUELLO CHE HA SEMINATO DAL 25 GIUGNO 1991 IN POI

Il Piccolo (Trieste), 29 ottobre 2010 - http://ilpiccolo.gelocal.it/

Dalla Slovenia proteste per il volo delle Frecce Tricolori

L'esibizione, martedì pomeriggio, delle Frecce tricolori nel cielo sopra Trieste in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità nazionale e i 56 anni del ritorno della città all'Italia è stata vissuta dai triestini e dai loro ospiti come uno dei momenti più emozionanti dell'intera giornata.
Oltreconfine, però, in Slovenia non tutti hanno gradito. Sul quotidiano "Delo" ieri è apparso infatti un articolo dal titolo "Le Frecce tricolori italiane hanno violato lo spazio aereo sloveno". Per l'articolista, i jet italiani non avevano il permesso di entrare nello spazio sloveno, anche se dalle risposte che il giornale ha avuto dal Servizio di controllo dello spazio aereo e dal Ministero della difesa sloveni appare abbastanza chiaro che l'accordo tra Slovenia e Italia nell'ambito della Nato prevede che nel caso di aerei militari che hanno la licenza di sorvolo (come appunto le Frecce tricolori) sia sufficiente notificare l'ingresso nello spazio aereo sloveno, cosa in questo caso fatta. Di più: l'Italia fornisce per accordi Nato con i suoi jet e radar la copertura dello spazio aereo sloveno. Del resto, sempre per la Difesa slovena, nel 2010 si registra una media di sette sorvoli al giorno di aerei militari stranieri nello spazio aereo sloveno. Come dire, non è successo nulla di anomalo né di strano. Per il "Delo" però il volo delle Frecce sopra l'Istria non è stato né permesso né casuale ma si sarebbe trattato di una specie di "gita" sopra la penisola, che «nel 1954 non è stata annessa all'Italia ma è rimasta alla Jugoslavia». Del volo delle Frecce Tricolori, che sono arrivate fino sopra il monte Taiano, ha scritto ieri anche il quotidiano "Primorske Novice", il quale tuttavia rileva che la Slovenia era informata che gli aerei sarebbero entrati nel suo spazio aereo.

Serbia ed Unione Europea, 10 anni dopo il golpe

1) Dieci anni di... teppismo liberista in Serbia (A. Martocchia / L'Ernesto online)
2) Ora tocca alla Serbia (Tanja Trikic / Blic)


=== 1 ===

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=19817

DIECI ANNI DI... TEPPISMO LIBERISTA IN SERBIA

di A. Martocchia*

per l'Ernesto Online del 26/10/2010

*Segretario Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus


Visto quello che ha fatto a Genova, vista la "celebrità" che gli hanno accordato i media, vista la sua provenienza da un... esotico paese slavo - la Serbia - affibbiargli il soprannome è facile: "Ivan il Terribile". Ma capire la logica delle sue azioni è ben altra impresa.

I danneggiamenti e gli scontri di cui si è reso protagonista assieme ai suoi accoliti si sarebbero potuti evitare con una normale prevenzione poliziesca, così come si sarebbe potuta evitare questa sovraesposizione mediatica, di fronte alla quale in tanti siamo rimasti perplessi. Da Belgrado accusano: "Sapevate cosa stava per succedere". (1) I servizi di sicurezza serbi spiegano di avere preavvertito, nel corso di un vertice e poi di nuovo attraverso il delegato della Uefa, sulle intenzioni degli "ultras" (teppisti, a tutti gli effetti) che dalla Serbia dovevano giungere in Italia per la partita tra le due nazionali di calcio lo scorso 12 ottobre. Il presidente della Federcalcio serba, Tomislav Karadzic, ha dichiarato che i tifosi della nazionale "non erano venuti soli a Genova": per Karadzic infatti si sarebbe trattato di un piano preordinato per creare incidenti e far saltare l'incontro. E' la stessa impressione che hanno avuto i giocatori della Serbia, alcuni dei quali il giorno stesso, prima della partita, avevano ricevuto inedite minacce, restandone sconvolti.

Anche se i responsabili serbi non avessero preavvertito, è quantomeno bizzarro che i servizi di sicurezza italiani non abbiano saputo prevenire le distruzioni e le escandescenze, data la "stretta" securitaria ordinata da Maroni già da qualche tempo (tessera del tifoso eccetera). Cosicchè, in Italia quei fatti sono subito diventati materia per una effimera polemica politica. Il Pd ha chiesto al ministro degli interni "come sia stato possibile che questo gruppo di violenti sia potuto giungere in Italia, a Genova e dentro allo stadio con tutto il corredo di armi improprie". Il sindaco di Genova, Marta Vincenzi, ha rivelato anche che, messasi in contatto con la Questura, aveva percepito una scarsa volontà di prevenzione: "Ho capito che c'era una linea morbida per evitare la tragedia" (sic). (2)

Nei giorni successivi però da Belgrado sono arrivati altri dettagli, che dimostrano che il problema non è solo di politica interna, ma ha implicazioni molto gravi di politica internazionale. E' stato rivelato infatti che i teppisti erano stati "pagati per creare incidenti a Genova". Secondo il principale quotidiano belgradese Politika, due boss latitanti avrebbero versato 200 mila euro ai teppisti per organizzare i disordini. (3) Inoltre, i quotidiani di Belgrado hanno scandagliato la figura di "Ivan il Terribile", scoprendo alcune cose che i media italiani si sono guardati bene dal riportare.

Ivan Bogdanov appartiene ad una ben precisa tipologia di teppisti. E' stato un protagonista degli incidenti di piazza a Belgrado il 5 Ottobre 2000, quando bande di (ribadiamo) teppisti anti-jugoslavi assaltarono il Parlamento, diedero fuoco agli uffici elettorali e alle sedi dei partiti della sinistra, e realizzarono così quella che da noi è stata candidamente elogiata come la "rivoluzione anti-Milosevic" ("Belgrado ride", intitolò vergognosamente Liberazione). In particolare, Bogdanov guidò l'attacco alla stazione di polizia e i connessi saccheggi sulla Via Jevrosime Madre. Quest'anno è ricorso il decennale di quella "rivoluzione" - nessuno in realtà lo ha festeggiato. Non sappiamo se "Ivan il Terribile" già allora viveva nel lussuoso quartiere di Dedinje - i "Parioli" o la "Via San Babila" di Belgrado -, in Bulevar Karadjordjevic, di fronte all'ambasciata di Israele. Uno dei suoi più prossimi vicini di casa è il Ministro dell'Interno Ivica Dacic. (4)

La tipologia cui appartiene "Ivan il terribile" è dunque quella del teppista provocatore, ben pagato e rifornito di ogni comfort. Ciò che Ivan, con i suoi colleghi di lavoro, ha ottenuto è stato di accentuare l'immagine già negativa che è stata appiccicata addosso alla Serbia e ai serbi negli ultimi 20 anni. (5) Il fatto che questi teppisti ostentino simbologie e slogan "ultranazionalisti serbi" e bigotti-reazionari in occasione dei loro show più recenti (ricordiamo anche, ad esempio, la manifestazione contro il "gay pride" a Belgrado lo scorso 10 ottobre) non ci dice molto del significato "politico" di queste loro azioni, ma viceversa serve a distorcerlo o capovolgerlo: questo è d'altronde il mestiere dei provocatori.

Come CNJ-onlus valutiamo che << certamente, negli stadi e nelle piazze l'estremismo teppista trova anche alimento nei settori sociali sconfitti, delusi ed impoveriti dagli eventi balcanici degli ultimi 20 anni - inclusi ovviamente i profughi dallo stesso Kosovo. Ma non ci sembra questa la componente determinante, quanto piuttosto quella costituita dai numerosissimi provocatori infiltrati dai "servizi di sicurezza" che esistono in tutte le tifoserie, calcistiche o meno, e svolgono un ruolo ben preciso e prevedibile.
Quale potrebbe essere la strategia provocatoria in questo caso? Ci sono almeno due funzioni "utili" che questi "hooligans" stanno svolgendo.
Innanzitutto, gli incidenti non sono affatto "destabilizzanti" per il governo serbo. Viceversa, con essi la stessa questione del Kosovo viene relegata a questione "di ordine pubblico" e definitivamente sepolta - assieme ai serbi-kosovari, che sono oggi o profughi oppure prigionieri nei "bantustan" della provincia.
L'unica destabilizzazione possibile che gli incidenti di Genova possono arrecare è quella dei rapporti tra Berlusconi e Tadic, il cui incontro previsto in questi giorni, in occasione di un summit bilaterale, era già stato rimandato. >> (6)

E' impressionante anche la coincidenza degli incidenti al Marassi di Genova con la visita della Hillary Clinton a Belgrado, avvenuta lo stesso giorno, dopo la tappa a Sarajevo e prima di quella a Pristina. A Belgrado la Clinton ha usato parole di scontato sostegno all'orientamento capitalista-atlantista della Serbia, nel decennale appunto del "nuovo corso", ed ha affermato anche che i tempi sarebbero maturi per l'entrata della Serbia nella UE. In effetti, questo argomento era stato messo all'ordine del giorno a Bruxelles per il 25 ottobre.

Ma il giorno dopo essere stata a Belgrado, in Kosovo la Clinton ha ribadito piuttosto il sostegno degli USA all'irredentismo pan-albanese nei Balcani, chiedendo che tutti i paesi riconoscano la "indipendenza" e dunque la secessione della provincia dalla Serbia. La Segretaria di Stato è stata salutata come una eroina da centinaia di persone convenute in Bulevar Bill Clinton, all'incrocio dove sorge la statua che raffigura suo marito Bill, alta circa quattro metri. (7) Sempre lo stesso giorno, 13 ottobre, il parlamento olandese ha votato all'unanimità una risoluzione che chiede agli altri paesi UE di posporre la valutazione della candidatura serba almeno fino a fine 2010, e cioè almeno fino al prossimo rapporto del procuratore dell'Aia sulla cooperazione di Belgrado con il "tribunale ad hoc". E' ben noto che la questione dei "processi" dell'Aia è usata ad ogni piè sospinto, in maniera pretestuosa, a giustificare la costante applicazione dei "due pesi due misure" nei confronti della Serbia.

Chi sia veramente favorevole, e chi contrario, alla adesione della Serbia alla UE è questione che meriterebbe lunga e complessa analisi. La nostra impressione è che su questo punto tra i singoli paesi europei e gli USA ci sia uno strano "gioco delle parti". L'Italia potrebbe essere uno dei paesi più favorevoli alla "normalizzazione" dei rapporti internazionali con la Serbia. Tale politica sarebbe coerente anche con la linea abbastanza autonoma perseguita dal governo Berlusconi nei confronti di vari paesi "scomodi" (Libia, Russia); ma la gestione degli incidenti di Genova fa pensare che qualcuno, a Roma oppure a Belgrado, "remi contro" la politica del proprio governo e preferisca mantenere l'isolamento internazionale della Serbia.

Dunque dieci anni sono passati, la Jugoslavia (Serbia-Montenegro) è stata cancellata ed è stata forzata una secessione de facto del Kosovo dal resto della Serbia; dal punto di vista economico e sociale, sono state prese tutte le principali misure per cancellare quanto rimaneva in Serbia delle strutture e delle prerogative del sistema socialista jugoslavo: le banche e le grandi industrie sono state privatizzate (si pensi al caso Zastava Auto, dove la FIAT ha avuto gratis la fabbrica con un migliaio di operai sottopagati da usare contro quelli di Pomigliano) e si passa adesso ad altre svendite. L'ultima operazione annunciata è quella su Telekom Serbia, di cui stanno per essere messe in vendita il 51% delle azioni detenute dalla Stato, per un valore stimato sui 1,4 miliardi di euro. (8) Dunque è passato un decennio in cui le politiche liberiste e filo-atlantiche sono state imposte in tutti i modi ad ogni anfratto della società e dell'economia della Serbia - eppure ancora qualcuno è contrario alla "normalizzazione" dei rapporti con quel paese.

Il problema della collocazione internazionale della Serbia ha assunto una cronicità che dovrebbe preoccupare anche i diplomatici più cauti. Secondo l'istituto di analisi geopolitica statunitense Stratfor (9) il clima che si è instaurato attorno e all'interno della Serbia è quello della Repubblica di Weimar. Frustrata in tutte le sue legittime ambizioni, la Serbia potrebbe covare al suo interno forze animate da un forte spirito revanscista; e questo si potrebbe ritorcere contro l'Europa come a suo tempo successe con la Germania.

Anche se questa valutazione fosse esagerata, va riconosciuto che in ampi settori della opinione pubblica serba domina lo scontento per la situazione che si è determinata dopo quel fatidico 5 Ottobre. E' opinione comune che il paese sia in mano a corrotti e ladri: se ne scrive tutti i giorni sui giornali. La situazione economica e occupazionale non è mai migliorata. Infine, non è solo opinione dell'ex collaboratore di Slobodan Milosevic, Vladimir Krsljanin, che la Serbia sia oggi "un paese sotto occupazione straniera" (10). Questa è in effetti l'impressione generale, benché ancora in Serbia i paesi della NATO non abbiano potuto installare direttamente alcuna base militare (fatta eccezione per il Kosovo, ovviamente). Insistentemente peraltro si parla di adesione del paese alla NATO: nella scorsa primavera a fronte delle dichiarazioni esplicite del Ministro della Difesa, che si è detto favorevole, c'è stata la reazione di vasti settori di intellettuali (11) e semplici cittadini. E le pressioni continuano, da ultimo attraverso una visita a Belgrado di una delegazione del "Parlamento NATO" guidata dal vicepresidente Vincenzo Bianco. (12)

Anche molti di quelli che condivisero il moto di protesta dieci anni fa, dichiarano oggi di essere profondamente delusi. A suo tempo costoro salutarono la "svolta", incarnata in particolare dal neopresidente Vojislav Kostunica, pensando che tale ricambio della classe dirigente in senso liberista-europeista poteva meglio garantire la difesa piena degli interessi nazionali, ritenuti a rischio per la "impresentabilità" della vecchia classe dirigente erede dei valori jugoslavisti e socialisti. Con il passare degli anni, però, Kostunica è stato estromesso, ed è stato infine relegato all'opposizione. L'attuale governo ha una posizione di compromesso sulla questione del Kosovo, che in tanti ritengono rinunciataria: no alle secessione formale ed al riconoscimento di qualsiasi statualità, si invece ad una interlocuzione da pari a pari con la classe dirigente dell'ex UCK. Insomma una rinuncia de facto a quel territorio, benchè da non formalizzare e "salvaguardando" le enclave non-albanesi ed i locali simboli e tesori della storia serba.

Uno dei paradossi serbi oggi è che al governo, a perseguire tali politiche liquidazioniste (privatizzazioni e svendita dello stato sociale, rinuncia al Kosovo), c'è un governo composto anche dal Partito Socialista della Serbia (SPS) - o meglio, da ciò che ne rimane. Già Milosevic dal carcere dell'Aia contestava come opportunisti e traditori diversi esponenti dell' SPS che si trovano oggi al governo. Dopo quel 5 Ottobre, il partito ha subito fuoriuscite e scissioni. Tra le varie formazioni "socialiste" che sono nate, vale la pena di segnalare il "Pokret Socijalista" guidato dal giovane Aleksandar Vulin, che appare tra le formazioni più vivaci e ferme su di una linea contemporaneamente attenta alla sovranità nazionale e ai diritti dei lavoratori.

Vivace è anche l'area comunista, che registra continue "fondazioni" di organizzazioni nuove ma anche incessanti tentativi di unificazione. Questi ultimi si scontrano però da un lato con il soggettivismo e le logiche di piccolo gruppo - che "a pensar male" sembrano talvolta di carattere provocatorio - e dall'altro con settarismi ideologici di vecchia data tra l'area "cominformista", quella "trotzkista" variamente declinata, e i "titoisti". Va detto anche che tale vivacità in campo comunista (nel bene e nel male) ha pressoché gli stessi connotati in tutta l'area jugoslava, cioè anche nelle repubbliche confinanti con la Serbia. Un esercizio semplice ma abbastanza istruttivo può essere il seguente: si provi in Facebook a digitare "Jugoslavija" oppure "Tito" oppure "Komunisticka partija", e simili. Si troveranno decine di migliaia di risultati di gruppi e singoli individui che si richiamano (anche solo simbolicamente, anche solo nel nome o nell'immagine del profilo) al passato socialista. Evidentemente, nonostante le pressioni di ogni genere che hanno subito, gli jugoslavi (serbi e non solo) sanno distinguere tuttora molto bene che cosa sia nel loro comune interesse, e che cosa no.

Note:

(1) Repubblica online, 15 ottobre 2010: http://www.repubblica.it/sport/calcio/nazionale/2010/10/15/news/serbia_italia_15_ottobre-8069677/ .

(2) Si veda: http://www.repubblica.it/sport/calcio/nazionale/2010/10/13/news/arresti_italia_serbia-7997211/?ref=HREA-1 e http://www.repubblica.it/sport/calcio/nazionale/2010/10/13/news/polemica_maroni-8010519 .

(3) Repubblica online, 16 ottobre 2010: http://www.repubblica.it/sport/calcio/2010/10/16/news/serbi_pagati_per_incidenti-8119237/ .

(4) Fonte: http://www.pressonline.rs/sr/vesti/vesti_dana/story/136784/Huligan+sa+Dedinja!.html .

(5) << Addirittura il presidente del Senato Renato Schifani ha dichiarato: "Quello che è accaduto ieri allo stadio di Genova (...) mostra il volto peggiore di un'Europa ancora troppe volte attraversata dalla violenza di chi rifiuta la civiltà, la dignità, il rispetto della persona". Non ci vuole una particolare fantasia per associare tale "volto peggiore" alla Serbia e ai serbi, attribuendo così a tutto un popolo (etnia? razza?) il rifiuto della superiore "civiltà" di Schifani. >> (Dal Comunicato stampa di CNJ-onlus: "Hooligans serbi? Sgombriamo il campo dagli equivoci" - https://www.cnj.it/CNJ/huligani2010.htm )

(6) Ibidem.

(7) Voice of America, 14 ottobre 2010: http://www.voanews.com/english/news/europe/Clinton-to-Push-for-Wider-Kosovo-Recognition-104901414.html .

(8) B92, 19 ottobre 2010. La privatizzazione dell'altra compagnia di telefonia mobile, la Mobtel, era già avvenuta nel 2006. In Kosovo alla Telekom Serbia poche settimane fa hanno arbitrariamente "spento" le antenne. E' anche interessante confrontare questa prevista privatizzazione con l'operazione Telekom Serbia che tanto scandalo scatenò in Italia alla fine degli anni 90: in quel caso allo Stato serbo rimaneva il "golden share" della maggioranza assoluta del pacchetto azionario...

(9) Stratfor 14.10.2010: "Serbia: A Weimar Republic?" - http://www.nspm.rs/nspm-in-english/serbia-a-weimar-republic-q.html .

(10) Intervista rilasciata a "junge Welt" (Berlino), 6 ottobre 2010.

(11) Da registrare il cosiddetto "Appello dei Trecento": http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6647 .

(12) Tanjug, 22 ottobre 2010.


=== 2 ===

http://www.presseurop.eu/it/content/article/371561-ora-tocca-alla-serbia

Ora tocca alla Serbia

26 ottobre 2010
BLIC BELGRADO


Il 25 ottobre i ventisette hanno deciso di inoltrare alla Commissione la domanda di adesione di Belgrado. Ma restano da compiere diversi passi cruciali, primo tra tutti l'arresto del criminale di guerra Ratko Mladic.

Tanja Trikić


Finalmente dal Lussemburgo arriva una buona notizia: i ministri degli esteri dell'Unione europea hanno deciso di inoltrare alla Commissione la domanda di candidatura della Serbia all'ingresso nell'Ue. La decisione è stata presa all'unanimità dopo il successo delle pressioni sui Paesi Bassi, che volevano condizionare l'intera procedura di adesione all'arresto di Ratko Mladic – accusato di crimini di guerra e genocidio dal Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia.

La fermezza dei Paesi Bassi è stata tuttavia presa in debita considerazione. I ventisette hanno insistito affinché ogni tappa del processo di adesione sia approvata da tutti i governi dell'Ue, ed esigono che Belgrado collabori in modo soddisfacente con il Tribunale. In altri termini, la Serbia deve arrestare Ratko Mladic e gli altri ricercati.

La palla passa quindi in campo serbo. E non soltanto per ciò che concerne l'arresto di Mladic, impegno che la Serbia tarda a soddisfare. Nel questionario che sarà presto spedito a Belgrado, la Serbia dovrà rispondere sui progressi fatti per rispettare i criteri politici ed economici preliminari a una sua adesione all'Ue, come la lotta alla corruzione e l'instaurazione di rapporti diplomatici con il Kosovo.

Come ha fatto notare Štefan Füle, il commissario europeo incaricato dell'allargamento, l'appoggio che la Serbia ha ottenuto da parte delle autorità europee è proporzionale alle attese di queste ultime nei confronti di Belgrado.

L'euforia, dunque, avrà breve durata. Se non vuole restare un'eterna promessa, Belgrado farà bene a mettersi al lavoro senza perdere altro tempo. Bisognerà infatti intraprendere profondi e radicali cambiamenti, a prescindere da quanto difficili si riveleranno.

Dopo le spiacevoli esperienze di Bulgaria e Romania, Bruxelles ha ribadito che la Serbia non potrà entrare nell'Ue dalla porta di servizio. L'Unione europea non abboccherà a un altro bluff.

(traduzione di Anna Bissanti)

Dove sarebbero andate esposte le opere di Ivan Mestrovic ...

... se non ci fosse stata la Jugoslavia? Era una domanda che qualcuno, a suo tempo, si poneva. Infatti ecco, oggi 19.10.2010 sono stato vedere la Mostra del Centenario al Vittoriano di Roma, intitolata "Roma verso il 2011". Tra i documenti esposti ho visto la rivista "Panorama" del 1911, aperta alla pagina dedicata all' arte slava nel padiglione serbo all' Esposizione internazionale d' arte a Roma, 1911. Eh si, giacche' non esisteva ancora la Jugoslavia, anche Mestrovic fu indicato come artista serbo.
Allego qui l' articolo apparso su "Il Messaggero" del 1911. Ieri in Jugoslavia, oggi in tutte le ex Repubbliche jugoslave si trovano opere d' arte di questo maestro originario dalla Dalmazia interna. Primeggiano senz' altro il mausoleo al Milite ignoto sul monte Avala vicino Belgrado, il Vincitore sul Kalemegdan di Belgrado e, sulla cima più alta del monte Lovcen in Montenegro, il mausoleo a Petar Petrovic-Njegos.

Ivan per CNJ-onlus

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http://mestrovic.kkz.hr/web_redizajn/ART-srppavilj.htm

Il padiglione della Serbia

"Il Messaggero", Roma 11 aprile 1911

Se è vero che in tutti gli atti e le idee vi sia un punto culminante che adombra ed identifica il miracolo, ecco, il miracolo di Valle Giulia è questo: il padiglione della Serbia. Certamente i visitatori di questa esposizione internazionale, dotti ed indotti, riporteranno nel padiglione serbo le impressioni più profonde e indimenticabili.
Qui storia e leggenda vivono insieme – prodigio inatteso ai nostri tempi – a formare l'epopea palpitante, quale dovette essere nell'antichissima Ellade, quando dal loro connubio nacque, e in organismo vivo e contemporaneo, il paganesimo puro. Di tutto ciò noi supponevamo e favoleggiavamo: oggi è sotto gli occhi nostri un caso moderno di questa vera realizzazione dell'ormai irrealizzabile.

Cosa son mai davanti a ciò le tragedie, i poemi mitologici od epici che noi sentiamo adesso con uno spossante ed imponente sforzo cerebrale?
Qui si vede, qui si tocca con mano come la nostra civiltà, già troppo lontana da ciò che fu a' tempi eroici, deve aver il coraggio di rinunziare definitivamente alla loro reincarnazione; che ci riesce muta o grottesca: manierata ed insensata sempre.
Dio mio, che sgomento a dover fissare in brevi e frettolose note ciò che meriterebbe un libro ed un libro che fosse poema! Ah, lasciatemelo dire sotto l'impressione immediata e col coraggio di chi non ha paura a riconoscer se stesso; noi tutti del bacino mediterraneo occidentale e di quello nord-atlantico, noi tutti civili e liberi siam gente troppo dotta, vissuta, raffinata: scienza, coscienza e civiltà hanno finito per deprimere, livellare, distruggere naturalezza, subcoscienza, sensibilità; siamo davanti a costoro, come una stirpe di signori che ha lineamenti aristocratici e finezze di esperienza, ma non ha più né muscoli, né volontà, siamo una gente che scende per l'altro dell'altro versante della montagna della storia e della vita, mentre costoro si arrampicano su per il versante opposto con una violenza inaudita.
Oltre a ciò la meravigliosa esposizione, così povera di dottrina e così ricca di forza, ispirazione e passione, ha due caratteri, uno frequente, sebbene non troppo, e l'altro che è unico. Ha il carattere nazionale evidentissimo che elimina ogni idea di conglomerati e di antecedenti: ed ha poi un vero e proprio – tanto più prezioso per quanto meno voluto – carattere politico: una orma costante di rivolta e speranza, di dolore e d'odio, che potrebbe far fremere (io faccio qui esame d'arte e posso parlar sincero) i vani tentativi di rinnovamento cerebrale, scolastico, accademico, privi di un contenuto nazionale, deboli di vita, di un'altra mostra assai vicina a quella della Serbia.
Il grande regno di Dusciano, re e zar dei Serbi e dei Greci, conquistatore dei Balcani. Il di cui impero nel secolo XIV scendeva fino al mare Adriatico, fu pari a quello di Alessandro il Macedone e di Napoleone il Grande, così nelle vittorie, come nella sua fine prematura.
Il regno dei Nemagna cade nella fatale battaglia di Kosovo (1389). Ecco l'invasione turca che poi si stende in Croazia ed Ungheria: e comincia il martirio del popolo serbo, durato quattro secoli. Furono i primi, i serbi, i più vicini, i più ferocemente trattati dalle barbarie arabe prima e poi mongoliche e tartare.
Pochi esempi vi sono di popoli eroici e liberi trattati con più crudele signoria. Il sangue che si versava ogni giorno sui pali, sotto le mannaie, nelle terre spopolate, deserte, ogni gloriosa traccia del passato distrutta a ferro e fuoco, le fanciulle violate, rapite, l'armata dell'oppressore composta ormai di uomini che da fanciulli erano stati rubati alle madri serbe per poi essere scristianizzati ed evirati, tutto questo inferno di secoli avrebbe distrutto qualunque nazione non fosse stata fortissima: ma non riuscì a distruggere l'invitta Serbia.
Dove il miracolo fu compiuto dalla poesia, frutto, a sua volta, delle mirabili energie della razza. I canti nazionali serbi, che quel popolo rassomiglia ai canti di Omero, conservarono lo spirito nazionale, prepararono la rivincita.
I cantori di gusle: vecchi, ciechi, povera gente inerme, condotta a mano da fanciulletti scalzi, per quattro secoli ricantarono nella più schietta lingua, nella forma più commovente le leggende della gloria e del dolore. Le gesta dei re magnanimi fino alla morte del grande Dusciano, la tragedia di Kosovo con la fine di Lazaro, ultimo zar, e la morte grandiosamente eroica della Niobe serba, la madre dei nove figli Jugovici, che non pianse nemmeno dinanzi ai cadaveri degli otto figli sgozzati, ma si spense di angoscia quando i corvi le gettarono in grembo la mano troncata del suo ultimo nato; tutto cantarono i guslari, aggiungendovi l'epopea di Marko Kraljevic, l'eroe nazionale, il Sigfried serbo, figlio di re, gigante di corpo, fanciullo d'animo, che accorrendo dovunque, come un arcangelo, sul suo grande cavallo nero, libera fanciulle, debella mostri, combatte infedeli, tracanna fiumi di vino, esuberante di vita e di gioia, e s'addormenta infine nell'antro fatato delle Villi dei monti, conficcando nella rupe la spada favolosa che lo risveglierà da morte soltanto nel dì della riscossa.
E la battaglia di Kosovo fu vendicata. Guai a quella nazione moderna, civile od incivile, che volesse nuovamente allungare la mano sacrilega su la indipendenza della Serbia! Son pochi: ma pronti a tutto. Le rivolte albanesi, in cui freme un medesimo dolore, possono darne un esempio.
La figura di Marko Kraljevic, famigliarizzata dalla passione patriottica del popolo serbo e al tempo stesso sovrannaturalizzata, è una delle più belle e vive incarnazioni svoltesi lungo il corso del Danubio e dei secoli, della figura del paladino errante dell'eterno eroe di Roncisvalle, simbolo della magnanimità e del valore. Ma io mi accorgo di essermi troppo trattenuto su ciò che è il contenuto nazionale, etnico e passionale della mostra serba: della quale avrei piuttosto dovuto parlare.
E non me ne dolgo. Un soffio di poesia e di fede è sempre la più alta espressione e celebrazione delle forti intenzioni e delle grandi opere. Parleremo in seguito con qualche particolare di ciò che vi è di più mirabile in codesto padiglione, dove il disegno è ancora – quasi sempre – primitivo, ma la colorazione è violenta e l'espressione è tragica e potentissima sempre.
Nel bel padiglione, che arieggia all' esterno e all'interno, un tempio neoegiziano, stanti i caratteri specifici dell'architettura locale, trionfa fra tutti Ivan Mestrovic: un giovine dall'aspetto dolce e pensieroso, quasi umile, vicino alla caratteristica voluttuosa bellezza slava della sua signora che, nelle linee del volto e negli occhi, ricorda un poco la regina Elena.
Ivan Mestrovic è il Giotto serbo: ed egli, come quasi tutti gli artisti suoi connazionali, ha avuto la eccezionale fortuna di poter immergere la sua nativa e vigorosa ingenuità artistica nel flusso della piena civiltà circostante; quindi il miracolo! Ivan Mestrovic quindici anni a dietro pasceva le greggi su le balze della Dalmazia: ed oggi è più e meglio che un Giotto, un Michelangelo quasi, ancor tarsognato ed informe, ma che dove tocca con la sua stecca o batte col suo scalpello crea una vita formidabile e sempre nuova. Egli giganteggia nella mostra, tutta pervasa dall'opera sua, con la quale sono stati costruiti i frammenti, le materie prime ed essenziali di quel gran Tempio del Kosovo che presto sorgerà, ricordo della stirpe e della risurrezione, monumento gigantesco e perenne come quello di Vittorio Emanuele a Roma.
La mano di questo improvviso aedo nazionale dello scalpello, di questo nuovo Omero della pietra, questo creatore di mondo sparito – al quale, tenendo conto della sua abbondanza e della sua potenza, le associazioni artistiche internazionali, il comitato, la cittadinanza devono e renderanno certamente onori eccezionali ed indimenticabili, perchè sarà egli uno dei trionfatori nelle mostre del 1911 – sollevò l'enorme statua ignuda di Marko Kraljevic sopra un membruto cavallo danubiano di quelli che le legioni di Traiano riportarono e che prevalsero nella scultura dell'Impero. E impone stupore e terrore questo grandioso simulacro dell'ira nazionale e delle forze indomite frementi e giubilanti che scossero e atterrarono il Moloch asiatico, tiranno della intera Jugoslavia.
All'appello del Mestrovic, dissotterrante atletiche divinità mai viste e plasmante innumeri genti, come coloro che effigiarono la potenza di Roma diffusa per tutto il mondo conosciuto, accorse una schiera di giovani forze, serbi e croati, figli di una madre comune e parlando una stessa lingua, che han voluto e saputo aiutarlo a creare l'arte nazionale, sempre con la stessa ingenuità e spesso con identico vigore, ed a fissare in perpetuo la storia della razza, l'epopea del passato.
Ma – e con molto dispiacere – devo qui fermarmi.
Un'altra volta parleremo singolarmente delle opere migliori, vale a dire di quasi tutte.
(.....)

G.D.

QUANTE ALTRE COSE DA RESTITUIRE...

Fonte: Glas Srbije - http://www.glassrbije.org

La Germania ha oggi restituito alla Serbia la Croce santa che appartiene al monastero Zica.

http://glassrbije.org/I/index2.php?option=com_content&task=view&id=10062&pop=1&page=0&Itemid=26

19.10.2010.

La Germania ha oggi restituito alla Serbia la Croce santa che appartiene al monastero Zica. La croce e' sparita durante la Seconda guerra mondiale. In seguiro essa e' stata esposta per molti decenni, come un dono del milite ignoto, nel Museo della diocesi cattolica nella citta' di Paderborn. La croce e' stata consegnata nell'ambasciata serba a Berlino al vescovo serbo di Zica Hrizostom da parte dell'arcivescovo di Paderborn Hans-Josef Becker. Alla cerimonia hanno presenziato i rappresentanti del Ministero degli Esteri della Germania e i dignitari ecclesiastici dei due Paesi. La Croce santa, dono del re serbo Aleksandar Obrenovic, e' stata deposta nel monastero Zica nell'anno 1889. La croce d'oro e di legno intarsiato di Prizren e' fissata su una base di metallo. Il monastero Zica e' stato costruito piu' di otto secoli fa. Nel corso della Seconda guerra mondiale e' stato bombardato. Un anno dopo la guerra un soldato ignoto della Germania ha regalato la croce alla diocesi cattolica di Paderborn. Nel 1991 il vescovo serbo Tomislav Markovic l'ha vista per caso durante la sua visita al museo della diocesi. La diplomazia serba ha iniziato nel 2003 le attivita' affinche' la croce fosse restituita alla Serbia.