Informazione


Allora rivolete il comunismo!?





(sullo stesso argomento vedi anche JUGOINFO 11 marzo 2008:


Delo

Slovénie : l’État et l’Église se disputent l’île de Bled


Traduit par Ognjenka Fejić
Publié dans la presse : 28 août 2009
Mise en ligne : jeudi 24 septembre 2009

Le lac de Bled, perle des Alpes slovènes est au coeur d’une polémique. En effet, l’Etat et l’Eglise catholique se disputent la possession de la petite île du lac – la seule île du pays, dont les bâtiments, appartenant autrefois à l’Église, avaient été nationalisés en 1945. Un accord avait été passé en 2008 par l’ancien gouvernement, mais il a été dénoncé par la nouvelle ministre de la Culture, Majda Širca.

Par Klara Škrinjar et Dejan Karba

Au printemps dernier, l’actuelle ministre de la Culture, Majda Širca, avait décidé de faire appel à la justice pour contester, au nom de son ministère, l’accord passé en octobre 2008 entre son prédécesseur Vasco Simoneti et l’Eglise catholique slovène.

Par cet accord, il était prévu que l’archevêché de Ljubljana récupérerait trois bâtiments de l’îlot, de même qu’il aurait en location, gratuitement, l’ensemble de celui-ci pour une période de 45 ans. En échange, l’Eglise renoncerait à sa plainte contre l’Etat auprès de la Cour européenne des droits de l’homme. De fait, l’îlot restait propriété de l’Etat et tous les biens situés sur celui-ci devenaient propriété de l’Eglise. L’objectif était de résoudre un long conflit lié à la dénationalisation des anciens biens de l’Église confisqués par l’État après 1945.

À première vue, même les spécialistes semblaient satisfaits du partage mais les élections législatives ont amené au pouvoir en novembre 2008 une nouvelle équipe gouvernementale et donc une nouvelle approche de la question. L’actuelle ministre est en effet convaincue que cet accord est contraire à la législation slovène et au sein de son ministère on le considère comme caduc.

Comme premier argument, on avance le fait que le département juridique du ministère n’a pas participé à l’élaboration de l’accord et plus grave encore, qu’il n’a pas été informé de l’élaboration d’un tel document. Outre cet aspect technique, la contestation est également principielle : il est en effet difficilement compréhensible qu’au cours des dernières semaines de son mandat, un ministre ait pu faire à ce point abstraction de l’intérêt de l’Etat et bafouer la séparation des pouvoirs.

Cependant, Majda Širca et son équipe ne sont pas opposés à un dialogue et ont également souhaité – parallèlement à la procédure juridique - s’entretenir avec l’archevêque de Ljubljana, Mgr Uran, ainsi qu’avec les autres protagonistes concernés. La ministre a expliqué qu’elle souhait parvenir dans cette délicate question à un modus vivendi qui permettrait une cohabitation des acteurs, à condition bien sûr que l’accord d’octobre fût reconnu comme caduc par toutes les parties.

Et Majda Širca d’ajouter : « L’archevêché nous a confirmé qu’il était d’accord avec le principe de cohabitation. Nous attendons actuellement les solutions concrètes qu’il proposerait. Pour notre part, nous sommes conscients que l’Eglise a besoin de locaux pour assurer le déroulement régulier des services religieux sur l’îlot ou pour nourrir son personnel et nous sommes tout à fait prêts à mettre ces locaux à sa disposition à condition que ces derniers ne soient pas déclarés propriété ecclésiastique. Nous verrons quel cours prendront les discussions dans un avenir proche. De toute façon, une procédure a été ouverte et si nous ne parvenons pas à un accord direct ce sera au tribunal de régler le problème ».

Interrogée pour savoir si l’Eglise serait prête à déclarer caduc l’accord d’octobre, Majda Širca a répondu : « Ils sont d’accord avec nous sur la nécessité de protéger ce bijou du patrimoine national dans un esprit de dialogue, mais nous attendons toujours une réponse précise ».




http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=18477 
 
Grecia: KKE è il terzo partito
 
06/10/2009
 
Le elezioni politiche che si sono tenute in Grecia domenica 4 ottobre sono interessanti da diversi punti di vista. 

La partecipazione al voto è stata molto alta (71% sui 9.929.440 cittadini aventi diritto), segno di una competizione elettorale molto accesa nel paese e che ha spinto i cittadini a ritornare in massa alle urne pochi mesi dopo le elezioni europee. Dopo una campagna elettorale polarizzata, si assiste alla vittoria del Movimento Socialista Panellenico (Pasok), che giunge al potere dopo sei anni di governo conservatore (ND, Nuova Democrazia). Il Pasok infatti ha raccolto il 44% dei voti e, grazie alla legge elettorale in vigore, acquisisce la maggioranza assoluta del parlamento: 160 seggi su 300 (53,3%). Alle elezioni del 2007 aveva ottenuto il 38,10% dei voti e 102 seggi. Nel giro di pochi giorni dovrebbe essere ufficializzato il nuovo governo, presumibilmente monocolore. Il partito conservatore che esprimeva il governo precedente, Nuova Democrazia, ha raccolto invece il 33,48% dei voti e 91 seggi. Ne aveva 152 con il 41,83% dei voti. La terza forza del paese rimane il KKE, Partito Comunista di Grecia, che passa dall’8,15% e 22 seggi di due anni fa al 7,54% e 21 seggi di oggi. La quarta forza dell’arco parlamentare non è più la Coalizione di Sinistra Radicale Syriza, animata dal Synaspismos (che ottiene il 4,6% e 13 parlamentari), ma la forza di destra Laos (Raggruppamento Ortodosso Popolare) che passa dal 3,8% e 10 parlamentari, al 4,6% e 15 parlamentari che, con questo risultato, è riuscito a bloccare l’ingresso dei Verdi in Parlamento, fermi al 2,53% (la soglia di sbarramento è al 3%).

Tutta la campagna elettorale (e conseguentemente i comportamenti degli elettori nelle urne) hanno avuto una forte impronta bipolare. E questo anche perché la storia politica greca sembra essere quella di un paese governato da due dinastie in guerra come gli Orazi e i Curiazi. Da un alto infatti c’è il vincitore Giorgio Papandreou, figlio di Andrea, ex professore universitario e fondatore del Pasok, che nel 1981 andò al potere sconfiggendo il vecchio Costantino Karamanlis, il “padre della patria”. Dall’altro Costas Karamanlis, dimissionario a seguito del risultato elettorale, ma fino ad ora premier e capo di ND. Anche lui è nipote e figlio di primi ministri e ministri della Grecia del dopoguerra. 

La caduta del governo conservatore è riconducibile non solo alla debole maggioranza parlamentare (poche unità di voti di scarto), ma soprattutto ad un malcontento popolare crescente rispetto all’incapacità di far fronte ai problemi del paese (sociali, economici, ma anche ambientali, come dimostrano gli incendi che hanno devastato l’isola in questi anni). L’assenza di misure efficaci contro tali emergenze ed i continui scandali che hanno posto con forza la “questione morale” al centro del dibattito politico, hanno determinato l'avanzata dei socialisti del Pasok, il cui appello al voto utile ha blandito fasce sensibili di elettori di sinistra. 

Papandreou si trova ora ad affrontare problemi economici e sociali molto seri di cui gli eventi ed i disordini di dicembre scorso non sono stati che l’epifenomeno di quanto si muove nel profondo. Inoltre, l'economia stagnante ed il forte indebitamento ( La Grecia è seconda solo all’Italia) non lasciano presagire alcun segno di ripresa.

Traslando l'attenzione nel campo dell'estrema destra, l'avanzata del Laos fa pensare a un’ulteriore emorragia di voti di Karamanlis a favore del suo vecchio avversario interno Karatzaferis, sul terreno insidioso dell’immigrazione e della sicurezza. Inoltre, presentandosi con un programma a forte contenuto ecologista, ha sottratto voti ai verdi. In un tessuto sociale povero e fortemente attraversato da fenomeni migratori, principalmente provenienti dai vicini Balcani, parole d’ordine populiste e razziste, hanno pagato elettoralmente, come insegnano tutte le altre esperienze simili europee.

A sinistra si assiste invece a dati incoraggianti ed interessanti. La coalizione Syriza ha ottenuto il 4,6%, perdendo un solo parlamentare dalle scorse elezioni (ne aveva 14, con il 5,04%). Un risultato di tutto rispetto se pensiamo al fatto che durante la campagna elettorale, erano quotidiani gli articoli sulla stampa che descrivevano di una situazione interna al Synaspismos assolutamente turbolenta ed incerta. Il vecchio gruppo dirigente, capeggiato da Alekos Alavanos, ha infatti cercato di mettere in minoranza la nuova leadership (nata nel febbraio del 2008 attorno al giovane Alexis Tsipras), impedendo la sua candidatura come capolista della coalizione. E questo perché, dal recente congresso vinto dall’ala più radicale del partito, è in atto uno scontro interno molto duro che avrebbe potuto pregiudicare l’esito elettorale. Il Synaspismos vive infatti una discussione non diversa da quella di tutte le coalizioni di sinistra riformista e non comunista, che oscillano da posizioni di radicalismo di sinistra (talvolta massimalista) a posizioni di concertazione con i governi sta con i socialisti e le forze socialdemocratiche (come nei fatti chiede Alavanos per il caso greco). E questo sempre in nome di una radicalità di contenuti e pratiche che ci ricorda molto da vicino il dibattito del Prc del congresso di Venezia.

Assolutamente straordinario il risultato del Partito Comunista di Grecia che, pur perdendo un parlamentare rispetto al 2007, resta la terza forza politica del paese. Che è ancora più apprezzabile se si pensa alla campagna discriminatoria portata avanti nei confronti di questo partito, in Grecia ed all’estero (inclusa l’Italia, dove a dicembre scorso si è assistita una campagna anti-Kke sui quotidiani di sinistra, al limite della deontologia professione). I risultati di questo partito acquistano ancora più valore se li osserviamo negli anni: 5.89% e 12 eletti nel 2004; 8,15% e 22 eletti nel 2007 e 7,54% e 21 eletti oggi, con una fidelizzazione di voti che li porta sopra il mezzo milione di voti assoluti (erano 436mila nel 2004). Un trend che sta quindi a significare non solo un non scontato segno di tenuta, ma una assoluta capacità di crescita per una forza coerentemente comunista e rivoluzionaria. E questo premia soprattutto un radicamento sociale capillare ed un legame di massa molto forte, che rende possibile risultati e consensi come questi recenti, che arrivano dopo il buon risultato delle europee ed il risultato straordinario dell’associazione studentesca della Kne (la Gioventù Comunista di Grecia), alle elezioni studentesche dopo i fatti del dicembre scorso. A testimonianza, qualora ce ne fosse bisogno, della non estraneità del Kke dal movimento di protesta e giovanile.

A sinistra è interessante osservare come le formazioni politiche alla sinistra del Pasok (Kke e Syriza) conservano praticamente intatto il peso elettorale accumulato negli ultimi cinque anni: un'altro segnale della tenuta delle forze comuniste ed anticapitaliste in Europa, che dovrebbe essere maggiormente apprezzato e che dovrebbe far riflettere anche in Italia. Il Pasok, pur essendo il vincitore assoluto di questa tornata elettorale greca e pur lanciando un segnale di ottimismo alle forze europee di centrosinistra uscite ridimensionate dalla disfatta dei socialdemocratici in Germania (e non dimentichiamoci che Papandreou è leader del Pse), non inverte il ciclo di crisi e difficoltà che ha investito le forze socialdemocratiche del vecchio continente. Già dalle prime dichiarazioni si capisce come in Grecia sia cambiato governo, ma non politica. Al punto che Aleka Papariga, segretaria generale del Kke, subito dopo il voto dichiara: “la nave ha cambiato il suo “capitano” ma non la rotta”! E non può essere diversamente perché la politica del Pasok si inscrive nel solco neoliberista che ha caratterizzato i recenti governi di Nuova Democrazia, che associa al liberismo tipico della socialdemocrazia (oramai, non tanto più “temperato”, a causa della crisi economica) con la fedeltà totale ai dettami dell’Ue. Ed è proprio l’Europa, una cartina di tornasole per registrare le differenti posizioni a sinistra, con il Pasok apertamente europeista, il Synaspismos sostenitore, seppur critico, di questa Europa (e sottolineiamo “questa Europa” e non il progetto di Ue) ed i comunisti che lottano contro l’Ue.

Anche per questo motivo pensiamo che i risultati che vengono fuori da questa tornata elettorale ellenica, debbano far riflettere anche a sinistra nel nostro paese. Purché però si tenga conto delle diversità in campo e non si commetta l’errore, come forse qualcuno fa, di voler giudicare i positivi risultati di partiti diversi (dalla Linke al Pc portoghese, passando dal Bloco ed il Synaspismos, fino al Kke) quasi che la spiegazione risieda in una comune appartenenza al campo delle forze della sinistra alternativa e non nella specificità e peculiare radicamento, proposta politica e profilo politico ideologico di ciascuna forza.



LIBERTA' DI CENSURA


Personalmente ho aderito all'appello dei giuristi promosso da
Repubblica e andrò alla manifestazione triestina di supporto a quella
nazionale del 3 ottobre per la libertà di stampa. Però vorrei far
notare che il Piccolo (che fa parte del gruppo Espresso) non ha
bisogno di essere censurato dall'alto, su certi argomenti censura di
propria iniziativa. Tralasciando le questioni personali (è da diversi
anni che nonostante abbia una vita pubblica piuttosto attiva, non esce
nulla su ciò che pubblico e neppure mi pubblicano le lettere che invio
alla redazione, neppure le smentite ai sensi della legge sulla stampa)
voglio ricordare che del convegno promosso dal Coordinamento
antifascista di Trieste dell'aprile scorso il Piccolo ha parlato solo
a margine del fatto che un noto provocatore era stato fermato mentre
cercava di fare un attentato incendiario durante lo svolgimento
dell'iniziativa; che tutte le attività del Coordinamento sono state
censurate compresi i ringraziamenti che abbiamo fatto alle forze
dell'ordine per la conclusione senza danni del fattaccio; che le
iniziative sulla Tav, sul rigassificatore, presidi organizzati da
associazioni e partiti di sinistra vengono regolarmente ignorate, non
vengono neppure pubblicati i comunicati.
Allora, una breve osservazione a questo giornalismo locale: giusto
protestare contro la censura, ma un po' ipocrita protestare solo
quando la si subisce, dato che la si applica regolarmente a quelli che
non fanno comodo.
saluti
Claudia Cernigoi

(english / italiano)


PULIZIA ETNICA IN INTERNET

Circolano da giorni le notizie sulla forzosa e frettolosa cancellazione da internet dei siti con dominio che termina in .yu.
Il provvedimento dell'ICANN - l'autorità, guarda caso, statunitense che governa la rete - non ha alcuna giustificazione tecnica, visto che esistono molti domini che non hanno a che fare con alcuno Stato o che fanno riferimento a Stati non più esistenti.
Esso è dettato esclusivamente da un terrore di carattere politico, e l'unica conseguenza che può avere è quella di costringere soggetti ed iniziative balcaniche di carattere trans-frontaliero a negare tale carattere nel loro indirizzo internet. Si tratta quindi di una vera e propria "pulizia etnica", nel senso che costringe a dichiarare una "appartenenza etnica" contro l'appartenenza jugoslava, plurinazionale e "laica". Il provvedimento è quindi in linea con la politica di separazione "etnica" lucidamente perseguita nei Balcani da certe altre "autorità" da venti anni a questa parte.
Gli articoli che spiegano il provvedimento contengono innumerevoli inesattezze, a partire dal fatto che lo Stato jugoslavo non è "morto" 18 anni fa, ma casomai 6 anni fa, in seguito alla secessione del Montenegro dalla Federazione Jugoslava (vedi: https://www.cnj.it/POLITICA/serimo2003.htm ). Non viene detto, inoltre, che una importante fetta della popolazione delle repubbliche jugoslave ha continuato, finchè ha potuto, a proclamarsi "di nazionalità jugoslava" anche formalmente (si vedano ad esempio i risultati dell'ultimo censimento effettuato nella RFSJ: https://www.cnj.it/documentazione/DOSSIER96/Pages/2.html ), e continua tuttora a proclamarsi tale in tutte le sedi, oramai informali, in cui le è concesso.
E' proprio questo aspetto, questa appartenenza unitaria principalmente culturale, sociale, umana e non semplicemente politica, che a certuni ripugna - e faranno di tutto per "segregare" ancora artificialmente, formalmente, ciò che era e rimane inseparabile.
(Italo Slavo)

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http://punto-informatico.it/2718211/PI/News/anche-yugoslaviayu-non-piu.aspx

Anche la Yugoslavia.yu non c'è più

Da due decenni rappresentava una nazione che non esiste. Adesso ICANN ha ufficializzato l'eliminazione del dominio dell'ex balcanico
Roma - La Yugoslavia ha iniziato a perdere pezzi nel 1991, fino ad arrivare all'attuale divisione politica. Tuttavia il dominio .yu che ne sanciva la presenza su Internet dal 1989 è sopravvissuto ben 18 anni più della nazione che rappresentava.
Pare adesso che ICANN voglia seppellire definitivamente il contrassegno telematico della nazione fondata dal generale Tito, creandone allo stesso tempo degli altri dedicati agli stati formatisi dopo la separazione.
Già nel 2007 l'organo che gestisce i domini aveva avviato la procedura per cancellare l'ultima traccia tangibile dello stato yugoslavo. Da domani, nonostante la richiesta di rinvio del registry serbo, .yu cesserà di esistere.
Non è chiaro cosa accadrà a quelle migliaia di siti che ancora non hanno effettuato la migrazione ai domini .rs e .me. Sta di fatto che il dominio .su, riferito all'Unione Sovietica, è ancora in vita nonostante i suoi sostituti esistano già da parecchi anni.

Giorgio Pontico

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http://vitadigitale.corriere.it/2009/09/la_jugoslavia_non_esiste_piu_o.html

La Jugoslavia non esiste più. Ora neanche online

30/09/2009 - Scritto da: Federico Cella alle 12:09
Se le notizie su Internet viaggiano (quasi) alla velocità del pensiero, la Rete talvolta si dimostra invece assai lenta nel recepire i cambiamenti, anche storici, che avvengono nella realtà. E' il caso della ex Jugoslavia, finita di esistere nel 1992 - con i conseguenti sanguinosi conflitti nella zona -, cessa di avere vita sul Web solo oggi. Già, perché è solo da oggi, 30 settembre, che il suffisso internet ".yu" viene ufficialmente rimosso dalla Icann dalla Rete. Un adeguamento alla realtà geopolitica che ancora deve verificarsi, a dire il vero e per esempio, con la storica estensione ".su" che tuttora identifica online la vecchia Unione Sovietica. Della notizia, forse piccola ma significativa, ne parlano diversi siti inglesi - dalla Bbc al Guardian -, che spiegano però come in realtà ben 4 mila siti ex jugoslavi "resistenti" hanno chiesto un ritardo della chiusura dell'interruttore per poter organizzare meglio la migrazione.
Migrare sì, ma dove? La vecchia estensione, nata nel 1989 per identificare i siti residenti nell'allora Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, sarà sostituita dalle nuove ".rs" per la Serbia e ".me" per il Montenegro. Questo perché il ".yu", dismesso fin dal 2006 dall'ente americano (con funzioni mondiali) che assegna gli indirizzi web, continuava dal 1994 a essere utilizzato dalla cosiddetta Repubblica Federale Jugoslava, ossia lo Stato formatosi nel 1992 dall'unione delle repubbliche appunto di Serbia e Montenegro.

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http://balkaland.blogspot.com/2009/09/end-in-site-for-yugoslav-domains.html

End in site for Yugoslav domains

Websites using the .yu domain extension will cease to be available online from 30 September.
The extension - assigned to the former Republic of Yugoslavia - has been replaced by .rs (for Serbia) and .me (for Montenegro).
Icann - which oversees the assigning of top-level domain names - allowed extra time for sites to make the transition before removing the .yu extension.
It is thought up to 4,000 websites have still not migrated to a new domain.
However, the Serbian National Register of Internet Domain Names has requested a postponement of several months; The Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (Icann) is meeting to consider the request.
Icann removed the .yu extension from their list of approved country domain names in 2006.
The former Republic of Yugoslavia was renamed Serbia and Montenegro in 2003, although Montenegro subsequently broke from the union in 2006.
Icann says the .rs and .me extensions are now the appropriate domain names as the Republic of Yugoslavia no longer exists.
Established in 1989, the .yu domain was first assigned to the Socialist Federal Republic of Yugoslavia.
With the break-up of the Socialist Republic at the start of the Balkan wars, the .yu domain was held by newly independent Slovenia but was eventually passed on to the Federal Republic of Yugoslavia in 1994.
Since then, it has been managed by the Yugoslav Domain Registry at the University of Belgrade.
(BBC)



1949-2009: la Cina è il nuovo centro del mondo

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Altri link consigliati:

B. Casati: A PECHINO CON ADAM SMITH E GIULIO TREMONTI
Supplemento allegato al n. 6 di “Gramsci oggi” - settembre 2008

Le vittorie decisive delle forze rivoluzionarie e la costituzione della RPC
http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/cust9i25-005567.htm

Il passaggio dell’esercito popolare di liberazione all’offensiva strategica

Nuovo libro - Mao: Scritti filosofici
Libro online - Mao: Sulla dittatura democratica popolare

60° anniversario della Repubblica Popolare Cinese - dal people's Daily Online

INCLUDING CELEBRATIONS' VIDEO LIVE COVERAGE:


Watch CCTV Live!


Chi vuole balcanizzare la Cina e perché (rassegna di articoli)

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www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 24-09-09 - n. 288

1949: nasce la Repubblica Popolare cinese.
2009: la Cina è il nuovo centro del mondo.
 
di Sergio Ricaldone
 
Il 1949 è stato un anno cruciale della storia contemporanea.
Il 4 aprile, con la firma a Washington del Trattato Nord Atlantico (Nato), l’Occidente mette a punto la sua poderosa macchina militare anticomunista. La guerra fredda contro l’URSS supera la soglia del conflitto ideologico e la Nato mostra al suo mortale nemico i suoi denti al plutonio. Le bellicose intenzioni di fermare con qualsiasi mezzo, inclusa la bomba atomica, l’espansione delle idee comuniste e dei movimenti di liberazione antimperialisti erano già state annunciate dai kilotoni che quattro anni prima avevano incenerito Hiroshima e Nagasaki.
 
Dopo avere imbottito i propri servizi segreti e quelli dei paesi alleati con migliaia di gaglioffi nazisti riciclati, l’imperialismo americano sta velocemente scivolando nel maccartismo. I fascisti al potere in Portogallo e Turchia diventano membri a pieno titolo della Nato. Nella Spagna di Francisco Franco si tengono manovre militari congiunte con gli Stati Uniti. Col dito sul grilletto il Pentagono scruta quel che succede a Berlino e lungo la frontiera dell’Elba, oltre la cosiddetta “cortina di ferro”. Il nemico storico per antonomasia sta a Mosca ed è guidato da Giuseppe Stalin, il più popolare tra i vincitori della seconda guerra mondiale. E quel che è peggio ecco arrivare il 14 luglio l’annuncio che l’URSS ha sperimentato con successo il suo primo test atomico. Si dissolve così il pesante ricatto nucleare antisovietico del dopo-Hiroshima.
 
La vittoria della rivoluzione cinese.
 
E’ probabile che Washington si sia distratta o abbia sottovalutato quello che stava succedendo alcuni fusi orari più ad oriente di Mosca (più tardi Mac Arthur cercherà di rimediare alla distrazione proponendo il bombardamento atomico della Cina…)  E’ in quel contesto internazionale che la Lunga Marcia dei comunisti cinesi guidata da Mao, iniziata quindici anni prima, si avvia verso il suo trionfale epilogo. Nel gennaio l’Esercito Rosso libera Pechino e in aprile, in singolare coincidenza con il Congresso Mondiale dei Partigiani della Pace, anche Nanchino, capitale del regime nazionalista, viene liberata dall’Esercito rosso. Infine, con la caduta dell’ultima roccaforte, Chunking, il regime nazionalista di Ciang collassa e il poco che rimane si rifugia sull’isola di Formosa scortato dalla IV flotta americana. Il primo ottobre dello stesso anno, con la proclamazione della Repubblica Popolare, viene sanzionata la vittoria della terza grande rivoluzione che ha segnato e cambiato il corso della storia mondiale moderna dopo quella francese del 1789 e dopo quella russa del 1917.
 
Gli anni della Lunga marcia
 
Dopo 15 anni la Lunga Marcia è conclusa. Il lungo cammino dei centomila partigiani cinesi guidati da Mao per sottrarsi alla feroce repressione dei nazionalisti di Ciang Kai-shek era iniziato il 16 ottobre 1934 da Ruijin. Dopo undicimila km percorsi superando montagne e grandi fiumi e sostenendo durissimi scontri armati, il 19 ottobre 1935 raggiungono Yanan e qui i soppravissuti si fermano. Sono rimasti solo in ottomila ed è l’inizio di una lunga epopea. Si preparano politicamente e si formano militarmente per poter affrontare una “guerra popolare di lunga durata”. Ma da quel pugno di uomini d’acciaio, “flessibili come il bambù”, nasce un esercito di operai e contadini sempre più grande che nello spazio di 15 anni saprà compiere imprese sbalorditive: prima resistendo ai ripetuti tentativi militari di annientamento del Kuomintang, poi nella dura lotta contro l’occupazione giapponese (magistralmente evocata da Katharine Hepburn nel vecchio film “La stirpe del drago”), e infine, terminata la seconda guerra mondiale, travolgendo e sconfiggendo per l’ultima volta i nazionalisti di Ciang sostenuti dagli americani.
 
Americani e giapponesi sostengono il Kuomintang contro l’Esercito Rosso
 
Per dissipare ogni dubbio sul sostegno offerto dall’imperialismo americano al loro alleato Ciang Kai-shek ricordiamo che fin dal giorno stesso della capitolazione del Giappone gli Stati Uniti agirono freneticamente per sottrarre al popolo cinese i frutti della vittoria. Lo racconta nel suo libro, “Breve storia della Cina moderna” edito da Feltrinelli nel 1956, il giornalista inglese della Reuter, Israel Epstein, un testimone oculare che ha trascorso quasi tutta la sua vita in Cina, sia nelle zone controllate dal Kuomintang che in quelle liberate: “Il primo passo fu l’ordine del generale Mac Arthur all’esercito giapponese in Cina di non arrendersi alle forze popolari, seguito dalle precise istruzioni di Ciang Kai-shek al generale Okamura, comandante in capo del nemico, di resistere alle forze comuniste”. Significava che gli aggressori giapponesi avrebbero continuato a conservare le proprie armi e mantenuto il controllo delle grandi città della Cina settentrionale e centrale fino all’arrivo delle truppe americane che, nel frattempo, dai sessantamila soldati impiegati nel periodo cruciale della guerra contro il Giappone, quelli sbarcati in Cina a sostegno del Kuomintang furono aumentati fino a centoquarantatremila. Ma non era più il 1919 o il 1939. I rapporti di forza tra imperialismo e movimenti rivoluzionari erano cambiati, sopratutto in Cina. E Mao lo ricorda senza ambiguità: “…Se l’Unione Sovietica non fosse esistita, se non ci fosse stata la vittoria sul fascismo nella seconda guerra mondiale, se l’imperialismo giapponese non fosse stato sconfitto, se non fossero sorte le democrazie popolari, se le nazioni oppresse dell’Oriente non fossero insorte, e se non ci fosse stata la lotta tra le masse di popolo e i dirigenti reazionari degli Stati Uniti, dell’Inghilterra, della Francia, dell’Italia, del Giappone e di altri paesi capitalisti, se tutti questi fattori non si fossero combinati, le forze reazionarie internazionali che si gettavano su di noi sarebbero state incomparabilmente più forti di quello che non siano ora. Avremmo potuto vincere in tali circostanze? Evidentemente no.” (1).  
 
Una massa sempre più grande di popolo si stava raccogliendo intorno al partito comunista ormai pienamente maturo, il cui prestigio cresceva senza interruzione intorno al vittorioso esercito popolare. Politicamente e militarmente, come fu tristemente ammesso da una relazione militare americana riassunta nel “Libro bianco sulla Cina” del Dipartimento di Stato, le truppe del Kuomintang finirono per trovarsi “in una posizione non dissimile da quella dei giapponesi durante la loro guerra contro la Cina”.
 
Il peso geopolitico del gigante Cina
 
Per le sue dimensioni geopolitiche (già nel 1949 la Cina contava con i suoi 600 milioni di abitanti, un quarto della popolazione del pianeta) e la poderosa spinta antimperialista proiettata sui popoli del Terzo Mondo la vittoria della rivoluzione cinese è stato un punto saliente della storia contemporanea. Qualunque sia il giudizio su Mao – errori politici inclusi – difficile per chiunque negare l’entità storica dei suoi risultati: ha sconfitto l’accoppiata Kuomintang/imperialismo americano, ha inflitto durissime lezioni all’impero del Sol Levante, ha ricomposto l’unità della nazione e reso la Cina indipendente e sovrana realizzando quello che l’imperatore Qin, più volte citato da Mao, aveva compiuto 22 secoli prima (2).
 
Il potenziale innovativo dei comunisti cinesi
 
Un dettaglio che molti trascurano, osservando la Cina di oggi, è lo stretto, inscindibile rapporto esistente tra la natura comunista del potere politico e i ritmi sempre più incalzanti del suo sviluppo economico. Pur segnata – come ogni sfida rivoluzionaria – da passi avanti e passi indietro e da una dialettica interna, talvolta molto acuta, che ha imposto in certe fasi dello sviluppo economico correzioni di linea e cambiamenti di rotta (talvolta sorprendenti), le scelte innovative e le riforme compiute dai comunisti cinesi mostrano una sostanziale continuità con quelle tracciate sessant’anni prima dai padri fondatori della Repubblica popolare. Già ai tempi di Mao il PIL cinese presentava un rispettabile livello di crescita medio del 6,2% (3).  Da quando la riforma economica di Deng ha optato per un riedizione della NEP leninista in salsa cinese, lo sviluppo ha raggiunto ritmi quantitativi e qualitativi che nessun altro paese al mondo è in grado di eguagliare. E’ così che, dopo 60 anni di leggende anticomuniste, di previsioni apocalittiche e di tentativi di strangolamento, Pechino è ora diventata il centro del mondo. Il turista occidentale rimane sbalordito dalla selva di grattacieli che stanno connotando l’urbanistica delle grandi città cinesi. Le autostrade, le ferrovie, gli aeroporti offrono un’immagine di modernità ed efficienza che è quanto di meglio si possa vedere oggi. Fino a pochi anni fa il confronto di città come Pechino e Shangai veniva fatto con Nuova Delhi e Mumbai, ora viene fatto con New York e Los Angeles ed è l’America a mostrare i segnali della propria decadenza (4).  Ma questa è solo l’immagine esotica della Repubblica Popolare.  
 
“Diritti umani” finti o reali ?
 
Il bilancio della Rivoluzione cinese è di ben altro spessore e non teme confronti proprio a partire dai tanto evocati “diritti umani”. Il più importante di questi diritti, quello del cibo, è stato risolto da alcuni decenni in una nazione che prima della liberazione era devastata da micidiali carestie: “Le razioni alimentari procapite sono più alte in Cina che negli Stati Uniti” ricordava già 10 anni fa, il 29/12/1999 su La Stampa di Torino, Neal D. Barnard. Ma anche gli altri “diritti umani”, istruzione, lavoro, sanità, casa, sono in espansione assai più rapida di quanto lo siano in altri Paesi di capitalismo globalizzato. Mentre nel resto del mondo la distanza tra ricchi e poveri è in continua, scandalosa crescita, in Cina la tendenza è di segno contrario: nel rapporto con i più ricchi i poveri diventano sempre meno poveri. A fare la differenza è ancora una volta il colore rosso del potere politico. Se è vero che il comunismo, inteso come “sistema”, non è ancora nato in nessun paese al mondo, Cina inclusa, il partito politico al potere a Pechino sta dimostrando di saper fare egregiamente il suo lavoro in questa fase di transizione senza perdere di vista il punto d’approdo finale. Con buona pace di coloro che si autoconsolano all’idea che il comunismo in tutte le sue versioni sia morto e seppellito.
 
Come evolve la competizione Cina – USA.
 
Senza tediare chi legge con cifre e statistiche rintracciabili ovunque (persino nei santuari del capitalismo globale, BM e FMI) ci limitiamo a ricordare ciò che scrivono oggi certi sostenitori della bizzarra tesi che il comunismo sia defunto, ora che la Cina, col mondo in piena crisi recessiva, è più che mai la locomotiva trainante dell’economia mondiale: “Obama studia il modello cinese (…) La Cina è l’unica grande economia mondiale che può vantarsi di avere evitato il contagio della recessione (…) A fine anno il suo PIL aumenterà del 7,9%. Un exploit che sembrava impossibile. (…) Questa divaricazione (con l’Occidente) si spiega con la diversa natura del sistema cinese. Economia mista con tanto mercato e tanto Stato. (…) Nella gara sulla modernità delle infrastrutture, è l’America che arranca con anni di ritardo dietro la Cina” (5).  Da un quadro del genere risulta chiaro su quale terreno Cina e Stati Uniti si affrontino nella sempre più serrata competizione economica-finanziaria, politica e militare. Per gli Stati Uniti d’America la coppia capitale finanziario-cannoniere rimane l’inseparabile opzione di sempre e poggia su un bilancio militare di oltre 600 miliardi di dollari, su centinaia di basi militari sparse su gran parte del pianeta e sui B52 sempre pronti al decollo per esportare ovunque la “democrazia” modello Bagdad e Kabul. Si chiamava e si chiama imperialismo. La Cina, viceversa, pur non rinunciando con mezzi adeguati alla sua difesa, si afferma invece, sui mercati e in politica estera, utilizzando un ben altro “arsenale”, quello finanziario e industriale. Nessun soldato cinese ha mai varcato le frontiere del paese. Le sue armi offensive sono: i prezzi competitivi e gli standard tecnologici dei suoi prodotti con cui “bombarda” e conquista i ricchi mercati del Nord; il libretto degli assegni con cui la Bank of China elargisce prestiti ai paesi in via di sviluppo, con tassi di interesse vicini allo zero; l’esercito di tecnici e operai che edificano modernissime infrastrutture in Africa, Asia e America latina. A giudicare dai risultati devono essere proprio queste le armi che fanno più paura all’imperialismo.
 
Note:
 
(1) “Storia della Cina contemporanea” a cura del collettivo dell’Accademia politico-militare di Tung-Pei. Editori Riuniti, 1955.
 
(2) “Anche i critici più severi devono riconoscere che la Lunga Marcia diede un contributo essenziale contro l’invasione imperialista, contro i residui feudali, per la costruzione di uno Stato moderno nella più grande nazione del pianeta. Ebbe una grande influenza su tutti i popoli del Terzo mondo nella decolonizzazione del pianeta. F.Rampini, La Repubblica, 16 ottobre 2004.
 
(3) Samir Amin : Il socialismo di mercato in Cina. La rivista del manifesto, gennaio 2001.
 
(4) “Oggi lasciare Pechino e arrivare a New York è un po’ come fare un salto nel passato. Parti da un aeroporto che forse è il più bello e moderno del mondo (…) una vetrina luccicante di modernità, pulizia, efficienza e cortesia. (…) Già a bordo del volo Continental CO88 Pechino-New York sei subito confrontato con i segnali fisici della decadenza americana: gli aerei sempre più vecchi e sporchi, il servizio penoso, un’aria di trasandatezza che contrasta con l’attenzione al consumatore-passeggero delle compagnie asiatiche. L’arrivo avviene allo scalo di Newark, che è pur sempre meglio del caotico JFK, eppure anche lì il primo contatto è con il “vecchiume” dell’America: tutto é antiquato, talvolta lercio, talaltra cade a pezzi. Se prendi il taxi per andare in città, è il decadimento della rete stradale-autostradale che ti colpisce rispetto alla Cina. In fatto di infrastrutture la Cina non sta solo vincendo la gara con l’India: per ora ha stravinto anche la sfida con l’America”  F.Rampini, La Repubblica delle donne, - Pensieri in trasloco - 29 agosto 2009.
 
(5) La Repubblica, F.Rampini – Obama studia il modello cinese – 27 luglio 2009
 
Gramsci Oggi, settembre 2009 – www.gramscioggi.org 
 
 

(deutsch / italiano)

Il muro di Berlino: un altro punto di vista

1) Il muro di Berlino: un altro punto di vista (Adriana Chiaia, Kurt Gossweiler)

2) Ostdeutsche Seen - einst Volkseigentum, bald Privatbesitz?
Alte und neue Naherholungsgebiete werden Opfer des Privatisierungswahns (Jens Berger)
(nei "Lander" tedeschi dell'est, i laghi - già patrimonio ambientale e sociale di Stato - sono in via di privatizzazione/appropriazione da parte dei capitalisti...)


vedi anche:
Erich Honecker: Discorso-Autodifesa pronunciato davanti al Tribunale di Berlino


=== 1 ===


www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 14-09-09 - n. 286

Il muro di Berlino: un altro punto di vista
 
di Adriana Chiaia
 
Siamo, in questi giorni, in occasione dell’anniversario della caduta del muro di Berlino, sommersi dagli inni in onore alla riconquistata libertà dai “totalitarismi”. L’evento ha perfino meritato una legge commemorativa del Parlamento italiano (1). Naturalmente non sono altrettanto esecrati i tanti muri nel frattempo eretti dai regimi “democratici” borghesi: da quello dello Stato di Israele che trasforma in carceri a cielo aperto i territori palestinesi occupati, a quello che “mette al riparo” gli Stati Uniti dall’immigrazione messicana.
 
Sulla storia rivisitata o meglio capovolta dalla versione revisionista relativa agli anni del secondo dopoguerra, Annie Lacroix-Riz, docente di Storia contemporanea all’Università di Parigi 7, così scrive (2): “… Quando la Rft assorbì la Germania intera, l’obiettivo della revisione drastica della storia del fascismo tedesco, dei suoi sostenitori (padroni nazionali e internazionali) e dei suoi nemici interni (il KPD) ed esterni (l’URSS), ebbe nuove possibilità di successo. Queste crebbero ancora di più per il fatto, generalmente del tutto sconosciuto, che i docenti universitari dell’Est persero la loro cattedra nel giorno dell’unificazione, come i magazzini persero i loro prodotti made in GDR”.
 
Ci sembra quindi giusto dare la parola a Kurt Gossweiler, uno di questi docenti, militante comunista ed eminente storico della Rdt, che così aveva commentato i fatti del 13 agosto [1961 - Inizio della costruzione del muro di Berlino, n.d.r.]:
 
1961
 
13 agosto – Presa di posizione affissa da me (Kurt Gossweiler, n.d.r.) nel giornale murale della Sezione Storia dell’Università Humboldt (di Berlino Est, n.d.r.) il 13 agosto 1961.
 
“Finalmente!
 
Questo 13 agosto 1961 ha recato finalmente una decisione che da tempo era dovuta.
 
Nel dicembre 1958, dunque 13 anni dopo la fine della guerra, il primo ministro sovietico (Chruščëv, n.d.r) dichiarava essere ormai finalmente tempo di concludere un trattato di pace con la Germania e per questo aveva indicato come termine estremo il maggio 1959.
 
Nel frattempo, da questo annuncio sono passati non 6, ma 33 mesi! In questi due anni e mezzo le potenze occidentali più Bonn non hanno tuttavia predisposto la conclusione della seconda guerra mondiale mediante un trattato di pace, ma – utilizzando le loro posizioni a Berlino Ovest – il sabotaggio dell’ordinamento economico e politico della Rdt come gradino per il passaggio dalla guerra fredda alla guerra mondiale n.3.
 
Nessun paese socialista è stato mai esposto, dopo la seconda guerra mondiale, ad un tale concentrato fuoco di fila da parte dell’insieme dell’imperialismo mondiale contro la sua economia come la nostra Rdt in questi due anni e mezzo. Washington e Bonn hanno speso per questa guerra economica centinaia di milioni. Adesso possono registrare questi milioni sul libro delle perdite, così come già hanno dovuto fare con le consegne di armi a Chang-Kai-Shek e con le somme che hanno dovuto spendere per l’invasione a Cuba.
 
Credevano questi signori dunque veramente che noi fossimo suicidi? Consideravano la nostra dirigenza di Partito e di Stato come figure amletiche, alle quali sarebbe mancata la forza di decidere l’azione necessaria? Si immaginavano veramente che avremmo consentito senza fine che cittadini della nostra Repubblica, adescati dalle loro melodie di cacciatori di topi, si consegnassero nel campo dei loro nemici e pervertitori, alla propria infelicità? Il 13 agosto li ha istruiti con rigore che devono gettare a mare illusioni del genere. Per essi questa domenica è stata veramente un cattivo 13.
 
Per noi invece è stata una delle più belle feste.
 
Ciò nonostante, non tutti coloro, che pur vi avrebbero motivo, la hanno intesa come tale. In parecchi lo sferragliare dei carri armati, con cui noi abbiamo reso sicura la nostra frontiera sinora aperta, ha suscitato uno spavento ottuso, senza senso.
 
Abituati dal passato tedesco, per cui diritto e forza erano fra loro ostili; che il diritto è stato sempre debole e impotente, il non diritto invece in pugno alla forza, a taluni l’esercizio della forza appare di per sé come segno del non diritto o comunque di un diritto non del tutto puro, per impulso di abitudine parecchia simpatia inclina verso il lato del più debole, che si vede costretto a indietreggiare di fronte alla forza.
 
Ma non deriva la grandezza e bellezza del nostro tempo, fra l’altro, proprio anche dal fatto che ciò che spetta al bene dell’umanità: diritto e forza, finalmente si trovano riuniti; che il diritto cresce forte e potente, il non diritto si fa sempre più debole e alla fine impotente? Ciò però solo se il diritto non paventa di applicare senza remissione la forza attribuitagli contro il pur sempre potente non diritto.
 
Ciò è accaduto in questo 13 agosto 1961 e dovrà accadere in futuro ancora molto e spesso – affinché con il diritto la pace riporti la vittoria definitiva sul non diritto e la guerra”3.
 
Contro il revisionismo per la verità sulla storia del movimento operaio rivoluzionario e comunista.
 
 

1 Il parlamento italiano, con la legge n. 61 del 15 aprile 2005, ha dichiarato il 9 novembre "Giorno della libertà", quale ricorrenza dell'abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo.
 
2 Nella sua presentazione al libro di Kurt Gossweiler: La (ir)resisitibile ascesa al potere di Hitler. Zambon editore, 2009.
 
3 Dal Vol. II dei Diari, p.353-364 (stralci). I diari costituiscono una parte del libro: Kurt Gossweiler, Contro il revisionismo. Da Chruščëv a Gorbačëv. Saggi, diari e documenti, Zambon editore, che sarà disponibile nelle librerie dal prossimo dicembre.


=== 2 ===

http://www.heise.de/tp/r4/artikel/30/30912/1.html

Ostdeutsche Seen - einst Volkseigentum, bald Privatbesitz?

Jens Berger 
15.08.2009

Alte und neue Naherholungsgebiete werden Opfer des Privatisierungswahns

Dort wo stressgeplagte Menschen ihre Freizeit beim Baden, Angeln,
Sonnen oder Segeln verbringen, könnte vielerorts schon bald der Spaß
ein Ende haben: "Privatbesitz - Zutritt verboten". Zu Zeiten der DDR
galten Seen als Volkseigentum und der Freizeitspaß an den idyllischen
Kleinoden war kostenfrei. Das ehemalige Volkseigentum der DDR-Bürger
wurde im Einigungsvertrag neu verteilt. Die meisten ostdeutschen Seen
gingen dabei in das Finanzvermögen des Bundes über und werden seitdem
nach und nach verkauft. Zu diesen bestehenden Seen kommen seit jüngstem
jedoch auch neu geschaffene künstliche Seen, die auf den Arealen des
aufgegebenen Braunkohlebergbaus entstehen. So soll beispielsweise die
Lausitz in den nächsten Jahrzehnten durch private Investoren zu einem
Naherholungs-Dorado ausgebaut werden. Ein Unternehmen, das Risiken
birgt, wie nicht zuletzt die Katastrophe von Nachterstedt zeigt, bei
der ein Erdrutsch zwei Häuser in den neuen Concordia-See zog und drei
Menschen dabei den Tod fanden.

Bauernland in Junkerhand

Zwanzig Kilometer vor den Toren Berlins liegt der Wandlitzsee. Früher
war der idyllische See ein beliebtes Ziel, an dem jedermann kostenlos
segeln, baden, rudern, angeln oder tauchen konnte. Mit der
Wiedervereinigung ging der Wandlitzsee in das Vermögen des Bundes über
und wurde zunächst von der Treuhand, und später dann von deren
Nachfolgerin BVVG verwaltet. Ziel der BVVG ist es, ehemaliges
Volkseigentum zu privatisieren. Im Juli 2003 kam auch der Wandlitzsee
unter den Hammer. Zunächst wurde der Gemeinde Wandlitz ein
Vorkaufsrecht eingeräumt, mit dem sie den See für 420.000 Euro dem Bund
hätte abkaufen können. Warum aber sollte eine Gemeinde einen See
kaufen, der schon immer im Besitz der Bürger war? Ist dies nicht
letztendlich nur eine Umverteilung von Ost nach West?

Die Gemeinde Wandlitz hatte allerdings auch gar nicht das nötige Geld,
um ihren See zurückzukaufen. Bei der öffentlichen Ausschreibung bekam
die Düsseldorfer Immobilienfirma Teutonia den Zuschlag.
Teutonia-Vorstand Becker führte den See daraufhin in die Wandlitzsee AG
über und forderte von den Altnutzern der Stege eine Beteiligung via
Vorzugsaktie für 7.500 Euro das Stück. Dies hätte den Düsseldorfer
Spekulanten rund 750.000 Euro in die Kassen gespült, eine schöne
Rendite für ehemaliges Volkseigentum. Aber auch die Gemeinde sollte
bluten - für den Steg zum kommunalen Strandbad sollte sie eine
Jahresmiete von 10.000 Euro entrichten. Die Gemeinde klagte und man
einigte sich auf einen Vergleich - unbestätigten Angaben  zufolge, hat
(1) sich die Gemeinde Wandlitz gegen eine einmalige Zahlung von 50.000
Euro ihre Nutzungsrechte am Steg zum Strandbad im Grundbuch absichern
lassen. Der Fall des brandenburgischen Wandlitzsees zeigt, wie aus
Privatisierung schnell modernes Raubrittertum werden kann.

Brandenburg for sale!

Allein in Brandenburg hat die BVVG bereits mehr als 14.000 Hektar
Gewässer veräußert. In den kommenden Jahren sollen nun weitere 15.000
Hektar Seenlandschaft  privatisiert werden (2). Derzeit stehen der
Fahrlander See in Potsdam, sowie der Schulzensee bei Fürstenberg zum
Verkauf. Wenn die Gemeinden die geforderte Summe nicht aufbringen
können oder wollen, wird die BVVG die Seen an die meistbietenden Käufer
veräußern. Für Bade- oder Naturfreunde in der Region könnten dann neue
Zeiten anbrechen. Dem neuen Besitzer steht es - je nach Ausgestaltung
der Verträge - frei, ob er sich für die "Nutzung" seines Sees bezahlen
lässt, oder ob er sie gleich ganz unterbindet. Vor allem in Kombination
mit erschlossenen oder zu erschließendem Bauland kann dies ein sehr
lukratives Geschäft sein. Eine Villa mit eigenem See, auf dem das
gemeine Volk nichts zu suchen hat, ist nicht nur in Zeiten der
Wirtschaftskrise ein begehrtes Objekt.

Die Privatisierung der Brandenburger Seen nutzt nur sehr wenigen,
schadet aber sehr vielen. Kann es im Sinne der Allgemeinheit sein, wenn
sich einige wenige Grundstücksspekulanten und zahlungskräftige
Investoren eine goldene Nase an einem Stück Natur verdienen, das allen
Bürgern gehört? Warum sollten die chronisch armen Gemeinden
Ostdeutschlands Seen vom Bund kaufen, um damit zu verhindern, dass
Privatinvestoren sie künftig zur Kasse bitten? Mit welchem Recht kann
Bürgern verboten werden, ein Stück Natur zu betreten?

Erster Erfolg der Privatisierungsgegner

Der Kampf gegen die Privatisierung der ostdeutschen Seen hat im letzten
Jahr an Fahrt gewonnen. Eine Online-Petition des  BUND (3) verfehlte
ihr Ziel von 50.000 Zeichnern zwar knapp, aber da auch in Brandenburg
in diesem Jahr ein neuer Landtag gewählt wird, äußert nun auch die
Politik Kritik an der äußerst unpopulären Privatisierung. Nachdem
zunächst der brandenburgische Ministerpräsident Platzeck öffentlich
Stellung bezog, legten in den letzen Tagen auch die Bundesminister
Tiefensee und Gabriel nach und forderten ein Moratorium bei der
Seenprivatisierung. Die BVVG reagierte und  verkündete (4) am 11.
August einen Ausschreibungsstopp für das laufende Jahr, um "die
Diskussion über den Seenverkauf zu versachlichen und zu einer
vernünftigen Absicherung der berechtigten Interessen der Allgemeinheit
zu kommen." Was aber passiert, wenn sich die Diskussion nicht
versachlicht und im nächsten Jahr keine neuen Wahlen vor der Tür
stehen? Die Privatisierung ist einstweilen ausgesetzt, gestoppt ist sie
aber noch nicht.

Kohle zu Wasser zu Geld

Es sind jedoch nicht nur die "alten" Seen, die zum Verkauf stehen. Die
Lausitzer- und Mitteldeutsche Bergbau- und Verwaltungsgesellschaft mbh
(LMBV) hat weitere 70 Seen in ihrem Angebot, die stolze 14.200 Hektar
umfassen und im Namen Brandenburgs und Sachsens samt Stränden und
Gewässerrandbereichen an private Investoren verkauft werden sollen. Das
besondere an den Seen der LMBV ist, dass es sich hierbei um ehemalige
Braunkohletagebaureviere handelt. Im Einigungsvertrag wurden diese
Reviere dem Bund -  und somit der Treuhand - übereignet und werden nun
von deren Nachfolgerin LMBV zunächst saniert und dann privatisiert.

Die Sanierung dieser "Altlasten" ist jedoch eine anspruchsvolle und
kostenintensive Aufgabe. Wenn riesige Areale geflutet werden, besteht
vor allem an den Böschungsrändern die Gefahr von Erdrutschen. Diese
Gefahr wurde im sachsen-anhaltinischen Nachterstedt traurige
Wirklichkeit. Dort riss ein solcher Erdrutsch ein 350 Meter breites
Areal mit zwei Häusern in die Tiefe, wobei drei Menschen den Tod
fanden. Nachterstedt liegt am Südufer des neu geschaffenen  
Concordia-Sees (5). Dort sollte bis zur vollständigen Flutung im Jahre
2018 ein Tourismus-Mekka mit Marina, Surfschule und vielen privaten
Ferienwohnungen entstehen.

Die genaue Ursache der Katastrophe von Nachterstedt ist noch nicht
bekannt - im September soll ein Untersuchungsbericht Klarheit schaffen.
Nachterstedt ist jedoch kein Einzelfall. Im Januar  ereignete (6) sich
im Brandenburgischen Calau ein noch größerer Erdrutsch. Eine Fläche in
der Größe von 36 Fußballfeldern rutschte dort um durchschnittlich fünf
bis sechs Meter ab, allerdings kam kein Mensch dabei zu Schaden,
weshalb der Fall nie publik wurde. Anders als in Nachterstedt galt der
ehemalige Tagebergbau in Calau jedoch als saniert und wurde bereits
verkauft.

Die "größte von Menschenhand gestaltete Wasserlandschaft Europas", die
im deutschen Osten, entsteht birgt für die Bewohner und die künftigen
Touristen noch einige Risiken. Einen Vorteil hat die Katastrophe von
Nachterstedt jedoch - das Vorkaufsrecht für die ostdeutschen Kommunen
wird in Zukunft günstiger ausfallen. Die Kaufverträge der LMBV sehen
nämlich keine Haftung für Schäden vor, die aus der ehemaligen
Bergbaunutzung resultieren. Private Investoren werden angesichts der
Risiken in Zukunft wohl ihre Finger von der neuen Seenpracht in
ehemaligen Kohlerevieren lassen.

LINKS

(1)
http://www.berlinonline.de/berliner-zeitung/archiv/.bin/dump.fcgi/2007/0
515/brandenburg/0018/index.html
(2)
http://www.fr-online.de/top_news/1855519_Land-privatisiert-Gewaesser-See
paree-in-Brandenburg.html
(3) http://bund-brandenburg.de/
(4)
http://www.die-newsblogger.de/bvvg-schreibt-vorerst-keine-seen-zum-verka
uf-aus-7111300
(5) http://www.bwk-lsa.de/download/seeland.pdf
(6)
http://www.fr-online.de/in_und_ausland/politik/aktuell/?em_cnt=1842667

Telepolis Artikel-URL: http://www.heise.de/tp/r4/artikel/30/30912/1.html

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Mercredi, 16 Septembre 2009 12:53
 
Serbie : les «nouveaux entrepreneurs», des mafieux protégés par l’État ?

Dimitrije Boarov   

Depuis cet été, une vague de grèves affectent la Serbie : les travailleurs réclament le paiement de salaires bloqués depuis des mois, ou bien dénoncent des privatisations irrégulières. Le gouvernement se déclare incompétent, car il ne pourrait intervenir dans l’économie de marché. En réalité, les « nouveaux entrepreneurs » serbes, qui ont bâti des fortunes colossales, sont de généreux sponsors des partis politiques, et l’État les protège. Pourtant, le modèle économique choisi pourrait vite tomber en panne.


Cet été, les médias serbes ont dénoncé les patrons qui ne versent pas les salaires de leurs employés et qui ne paient pas les contributions de santé ni de retraite, ce qui entraîne des pertes pour les entreprises et les licenciements pour les travailleurs.

Mi-août, 32.000 personnes étaient en grève en Serbie dans une cinquantaine d’entreprises, ce qui représente moins de 0,2% de l’ensemble des salariés serbes. Ce chiffre n’est pas inquiétant, il n’annonce pas forcément un automne « chaud » suivi d’une catastrophe économique. De plus, les données publiées par le quotidien Večernje novosti indiquent que 8.300 travailleurs de 29 entreprises font grève à cause de retards dans le paiement des salaires (parfois de plusieurs années), tandis que 15.672 travailleurs de 11 entreprises protestent à cause des « privatisations illégales ». Ils se sentent trompés ou négligés en tant que « co-propriétaires » des entreprises privatisées, et demandent que les nouveaux propriétaires soient remplacés par d’autres, plus sérieux.

Les représentants de l’État affirment qu’ils ne sont pas en mesure de réagir, parce qu’il s’agit de propriétaires et de capitaux privés, mais les travailleurs relèvent-ils de la propriété privée ? En réalité, l’État n’ose pas mettre en marche les mécanismes légaux contre les propriétaires qui ne respectent ni les contrats de privatisation ni les conventions collectives de crainte que cela mène à la liquidation d’un grand nombre d’entreprises privatisées, et à la perte de milliers d’emploi. L'État semble défendre la nouvelle « classe capitaliste » en prétendant protéger les employés.

« Un groupe de voyous protégés par les politiques »

En effet, le mécanisme de liquidation des entreprises en faillite ou plutôt de leur propriétaires ne fonctionne pas, et tous les nouveaux capitalistes ressemblent à un groupe de voyous protégés par les politiques. Cette caste compte beaucoup de généreux sponsors des partis politiques, qui profitent de leur position pour exercer une sorte de racket sur les hommes politiques et les services secrets, empêchant le fonctionnement normal de l’État de droit.

Beaucoup de ces investisseurs laissent l’impression d’amateurs ambitieux, de mafieux reconvertis et de profiteurs de guerre. Leur mode de vie confirme cette impression : le style de leurs maisons, de leurs voitures, de leurs restaurants, les menus dans ces restaurants et les jeunes filles du show-biz qui leur tournent autour... On finit par se poser des questions sur la nature de l’État où ces gens jouissent d’une telle reconnaissance.
Selon une théorie populaire, la crise actuelle qui touche nos entrepreneurs provient du fait que la crise mondiale a interrompu le mécanisme de la revente des entreprises privatisées aux acheteurs étrangers avec une marge bien rentable. Les revendeurs sont endettés et ils doivent maintenant rembourser les prêts qui leur ont permis d’acheter les entreprises pour les revendre ou de les transformer en terrains de construction, pour ensuite revendre les appartements construits.

Božidar Đelić, vice-Premier ministre et ministre de la Science et du Développement technologique, a récemment déclaré qu’il était « indispensable de vérifier les contrats de privatisation qui ne sont pas respectés pas les acheteurs », parce qu’il y a des exemples « où un homme riche achète vingt entreprises en Serbie et fait du profit d’un côté tout en licenciant les employés de l’autre ».

Le jeu pervers des hypothèques bancaires

De plus, nos banques - rachetées par les banques étrangères, mais souvent gérées par des cadres locaux - ont soutenu « le système pyramidal » d’acquisition de chaînes entières d’anciennes entreprises étatiques, par leurs règles de « garantie » de rendement des prêts. En réalité, le système des hypothèques (souvent d’une valeur quadruple au crédit accordé) a déstabilisé le marché de l’immobilier, à part, peut-être, pour les terrains agricoles.

En effet, on constate une nouvelle tendance à la création de grands domaines agricoles en Voїvodine, rendue possible par le bas prix et la mauvaise gestion des terrains étatiques, le tout dans le but d’augmenter « la capacité de crédit » bancaire. Ces conditions permettent à Đorđije Nicović de « cultiver » 25.000 hectares, à Miodrag Kostić 24.000 hectares, à Miroslav Mišković 16.000, à Predrag Matijević 12.000 et à Mile Jerković entre 12.000 et 14.000 hectares. On peut se demander si tous ces terrains ne font pas déjà l’objet d’hypothèques bancaires (Lire notre article « Voïvodine : les oligarques, nouveaux grands propriétaires fonciers »).

Prenons l’exemple de Mile Jerković, actuellement en prison à cause de la contrebande de cigarettes. Il a raconté qu’il avait commencé sa carrière d’entrepreneur grâce à l’hypothèque de 500 hectares de terrain agricole (d’origine inconnue), ce qui lui a permis d’acheter 19 sociétés d’État. Il en a déjà revendu neuf (sept sociétés de transport ont été rachetées par une société suisse, deux par un partenaire de Subotica, tandis que l’Agence de la privatisation avait repris six sociétés).

Le cas de Mile Jerković n’est pas unique : la majorité de nouveaux capitalistes sont obligés d’acheter sans arrêt de nouvelles entreprises, pour se procurer de nouveau crédits et couvrir les frais liés aux acquisitions précédentes. Selon une récente analyse de la revue Ekonomist magazin, l’endettement total des nouveaux entrepreneurs auprès des banques serbes et étrangères est d’environ deux milliards d’euros. Si cette dette n’augmente encore, elle va s’écrouler un jour sur le dos des nouveaux capitalistes, et l'État sera obligé de les sauver, sûrement par une renationalisation.
Le processus de privatisation en Serbie fait l’objet de nombreuses critiques. Il devait être rapide et définitif. Malheureusement, la privatisation a été lente et elle n’a pas répondu aux grandes attentes qu’elle suscitait. Aujourd’hui, sept ans après le lancement du « système de vente » des entreprises sociales, 287 (47.000 employés) n’ont pas été rachetées, ainsi que 108 entreprises étatiques tandis que 332 entreprises attendent leur liquidation. 1.828 entreprises ont été vendues par appels d’offre ou aux enchères, mais 420 contrats de privatisations ont été résiliés parce que les nouveaux propriétaires ne les ont pas respectés.

La discrétion des « nouveaux entrepreneurs »

Il est difficile de définir le portrait de la nouvelle classe capitaliste serbe, puisque ses représentants - Mišković, Ranković, Beko, Lazarević, Hamović, Matić, Babović, Mandić, Rodić et compagnie - n’aiment pas les apparitions publiques. Cette position est légitime mais elle est également prudente parce que les clans politiques ne pardonnent pas le manque de loyauté et toute apparition à la télévision peut être interprétée comme une critique de « la situation actuelle » ou s’inscrire dans le cadre de la lutte pour le pouvoir. Cependant, l’économie est une affaire publique qui demande de communiquer à propos du « partenariat avec l’État et la société », et surtout au sujet des contrats signés avec leurs employés et les citoyens de cet État.

N’est-il pas étrange que les journalistes qui rapportent les protestations d’ouvriers ne réussissent jamais à obtenir le point de vue des employeurs, injoignables et souvent anonymes ? Les rares « nouveaux capitalistes » qui daignent parler aux journalistes ont souvent des difficultés à composer leur phrases. Il est intéressant qu’ils demandent aussi une aide de l’État, comme s’ils avaient racheté leurs entreprises pour des raisons patriotiques.
Le mépris de l’opinion publique que manifestent la majorité des grands capitalistes serbes ralentit la formation de la nouvelle classe d’entrepreneurs dans le sens idéologique et nous amène à conclure que cette classe n’a aucune intention de guider le processus de modernisation vers ce qu’il est dans la plupart des pays développés.
En réalité, la question-clé porte sur la stabilisation de la classe capitaliste à la fin d’une décennie durant laquelle la Serbie a tenté de consolider sa démocratie. Les sociétés « créées » par Nikola Pavičić (Sintelon), Miodrag Babić (Hemofarm), Predrag Ranković (Invej) Ili Petar Matijević (Industrie de viande) ont déclaré des chiffres d’affaire compris entre 30 et 50 millions d’euros pour 2008, ce qui serait important même dans des pays plus développés. Les sociétés de Mišković, Drakulić, Kostić, Vukićević et d’autres hommes d’affaires connus font également partie de la liste.
Si cette classe est arrivée à une certaine stabilisation, son influence sur l’État est-elle proportionnelle à son importance dans l’économie ?

Traduit par Jasna Andjelić.

Source: Le Courrier des Balkans 
Vreme pour la version originale 




Contro la sporca guerra dell’Afghanistan

1) Stop alla sporca guerra dell’Afghanistan. Ritiro immediato delle truppe italiane
Il 4 novembre una giornata nazionale di mobilitazione antimilitarista in tutte le città
(comunicato del Patto contro la Guerra)

2) Stima e solidarietà con la dott.ssa Salacone
(volantino della Rete Naz. Disarmiamoli!)


=== 1 ===

Stop alla sporca guerra dell’Afghanistan. Ritiro immediato delle truppe italiane
Il 4 novembre una giornata nazionale di mobilitazione antimilitarista in tutte le città
 
comunicato del Patto contro la Guerra
 
Lunedì 21 settembre s’è tenuta un riunione d’emergenza del Patto contro la guerra per discutere gli sviluppi del conflitto sul fronte afgano che hanno visto il contingente militare italiano subire il suo colpo più duro in questi otto anni con l’uccisione di sei parà della Folgore.  I contraccolpi di questo evento sono rilevanti ai fini dell’azione dei movimenti No War.
 
Si conferma che – nonostante un sostanziale accordo politico bipartizan sulle missioni di guerra – la maggioranza della società è contraria alla presenza dei militari italiani in Afghanistan e favorevole al loro rientro. Si riaffaccia la contraddizione tra la maggioranza parlamentare a favore della guerra e la maggioranza sociale che resta contraria. Se ciò innescherà contraddizioni anche a livello parlamentare sia nella maggioranza che nell’opposizione è tutto da verificare.
 
Alla luce dell’escalation del ruolo attivo dei militari italiani nella guerra, si conferma la pesantezza della scelta fatta dai partiti di sinistra nel governo Prodi di non aver aperto questa contraddizione quando c’erano le condizioni per farlo. Una autocritica pubblica, ponderata e di prospettiva, è un passaggio non eludibile nel rapporto con i movimenti No War che in questi anni si sono battuti con continuità e coerenza contro le missioni di guerra all’estero ma anche nel rapporto con la società.
 
La guerra e il mattatoio afgano non possono che peggiorare nella prossima fase. La NATO e gli USA in Afghanistan stanno perdendo la guerra e la faccia, per questo intendono accrescere lo sforzo bellico. Le illusioni che la partecipazione alla guerra preventiva portasse benefici attraverso la rapina delle risorse degli altri popoli o le ricadute economiche della spesa militare, sono state spazzate via dalla crisi. Crescono tra i militari e le classi dirigenti le spinte a mettere l’opinione pubblica di fronte al fatto che l’Italia è in guerra, dunque a mettere da parte le ipocrisie sulle “missioni di pace” ed a imporne le conseguenze nella gestione dell’informazione, della politica e del sistema legislativo.
Per questi motivi riteniamo che i movimenti contro la guerra possano e debbano svolgere una funzione di attivizzazione e riferimento per tutti coloro che in modi e con sensibilità diverse si oppongono alla guerra e alle sue ricadute.
 
1) Il Patto contro la Guerra propone di mettere in moto un processo di confronto e iniziativa per il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan, per severi tagli alle spese militari e l’uso delle risorse per le spese sociali, per lo smantellamento delle basi militari a cominciare dal blocco della base di Vicenza che deve riguadagnare la sua dovuta dimensione di “questione nazionale e non locale”. Questo processo deve connettersi già da oggi alle mobilitazioni sociali e sindacali previste per l’Autunno.
 
2) Proponiamo di convocare una prima giornata nazionale di mobilitazione antimilitarista su questi contenuti per il prossimo 4 novembre (giornata della retorica militarista) con iniziative in tutte le città (cortei, sit in, azioni, assemblee in piazza) e di convocare assemblee pubbliche nel mese di ottobre per discutere le iniziative.
 
3) Non escludiamo la possibilità di convocare una manifestazione nazionale entro l’Autunno sulla base di una verifica del percorso, delle possibilità e delle disponibilità delle varie situazioni locali ma soprattutto sulla base della realtà sul fronte di guerra.
 
Roma, 21 settembre


=== 2 ===

La lettera/volantino che verrà distribuita ai genitori e agli insegnanti della scuola elementare "Iqbal Masih" di Roma

 
Stima e solidarietà con la dott.ssa Salacone
 
Vogliamo esprimere la piena stima e solidarietà alla dott.ssa Salacone – dirigente della scuola elementare Iqbal Masih - da parte di tutte le persone impegnate in questi anni nella Rete nazionale Disarmiamoli. Da anni e con coerenza sosteniamo che occorre mettere la parola fine al coinvolgimento dell’Italia nelle avventure di guerra, che occorre far rientrare immediatamente i soldati italiani dal fronte di guerra afghano e che occorre destinare alle spese sociali per l’istruzione, la sanità e il reddito a disoccupati, precari e licenziati l’oltre mezzo miliardo di euro spesi ogni anno per la missione militare in Afghanistan
La scelta della dott.ssa Salacone di non assecondare la retorica strumentale sui soldati italiani mandati a morire in una guerra sbagliata, incomprensibile dalla gente, che ha provocato quasi 43mila vittime in otto anni (11.000 sono civili) ed in cui sono morti anche 21 soldati italiani, è stata una scelta coraggiosa e niente affatto isolata.
 
E’ lo stesso coraggio civile che hanno trovato le persone che hanno invocato “Pace subito” e “Adesso ritirate i militari” durante i funerali di stato dei soldati mandati a morire in Afghanistan, lo stesso coraggio civile che hanno trovato alcuni sacerdoti in diverse città, è lo stesso coraggio civile che resiste dentro la parte migliore della nostra società e che invece non troviamo più nei partiti politici che hanno linciato la direttrice della scuola Iqbal Masih o che non hanno avuto il coraggio di difenderla da attacchi indecenti.
 
Gli attivisti della Rete Disarmiamoli ritengono invece che la dott.ssa Salacone meriti tutto il sostegno di chi non intende rinunciare alla dignità e alla coerenza, smascherando le ipocrisie e le menzogne sugli orrori e le conseguenze della partecipazione dell’Italia ad una guerra sbagliata come quella in Afghanistan.
 
Il prossimo 4 novembre in molte città italiane ci sarà una giornata antimilitarista che ha proprio l’obiettivo di smascherare la retorica e le ipocrisie di guerra. Sarà una occasione per dare voce alla maggioranza della popolazione italiana che ha ripetutamente confermato che vuole il ritiro dei militari italiani inviati nella guerra in Afghanistan e la riduzione delle spese militari per utilizzarle su obiettivi sociali.
 
Invitiamo gli insegnanti e i genitori a stringersi intorno alla dott.ssa Salacone e alla lezione magistrale di civiltà e coraggio civile che ha offerto a tutto il paese.
 
La Rete nazionale “Disarmiamoli!”
tel 338 1028120-3357698321
 
per avere tutte le informazioni che vi nascondono sulla guerra in Afghanistan consultate il sito : http://it.peacereporter.net

riceviamo e volentieri diffondiamo:

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LA COMUNITÀ GRECO ORIENTALE DI TRIESTE
presenta
“Coro misto dell’Associazione Amici della Musica di Kavala”

Sabato 26 settembre ore 20 al Teatro Sloveno di Via Petronio 4

Sabato 26 settembre si esibisce per la prima volta in Italia in una
serata organizzata dalla Comunità Greco Orientale di Trieste.
Alle ore 20, i 45 elementi dell’ensamble vocale, sul palco del Teatro
Sloveno, daranno vita a un concerto di incredibile suggestione.
Un’occasione unica per ascoltare un ricco repertorio che tra le altre
comprenderà musiche ecclesiastiche, tradizionali e di autori greci
come M. Theodorakis, M. Hatzidakis, M. Loizos, S. Koujoumtzis.
Ingresso gratuito

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RASSEGNA FINESTRE DEL MEDITERRANEO 2009 - 9a Edizione

1.18/09 h. 20:30 MARCIO RANGEL in Concerto – Casa della Musica –
Via Capitelli, 3

Chitarrista mancino naturale e compositore brasiliano, con il suo
linguaggio moderno esprime la tradizione afrobrasiliana attraverso la
scuola chitarrista brasiliana, il blues, il jazz e il flamenco.

2. 16/10 h. 20:30 Gruppo VRUJIA in Concerto – Casa della Musica – Via
Capitelli, 3

Pionieri della rinascita della musica popolare istriana

3. 29/10 h. 20:30 BANDA PILUSA in Concerto – Casa della Musica –
Via Capitelli, 3

Una scanzonata compagnia calabrese si esibisce in una conversazione
ondivaga a più voci inframmezzata da estemporanee esecuzioni musicali
della tradizione.

4. 20/11 h.20:30 Quartetto MARIO POLETTI- Casa della Musica – Via
Capitelli, 3 - http://www.myspace.com/mariopoletti

Il Quartetto propone un repertorio strumentale di brani originali
ispirati al patrimonio della musica folk europea, con particolare
attenzione all'area delle Alpi occitane.

5. 7-8/11 Seminario di Danze Balcaniche con Goran Mihajlovich
(7/11 h. 16:00-19:00 8/11 – h 10:00-13:00, h. 15:00-18:00)
Casa della Musica – Via Capitelli 3

Il maestro danzatore dall’età di 10 anni, insegna da un ventennio e
può essere considerato un custode ed un autentico portatore del
folklore serbo nonché conoscitore della tradizione balcanica in genere.

6. 28-29/11 Seminario Danze Greche con Nikos Kanellopoulos
(28/11 h. 16:00-19:00 29/11 – h 10:00-13:00, h. 15:00-18:00)
Casa della Musica – Via Capitelli, 3

Il maestro, grande conoscitore e portatore della tradizione più
autentica, si occupa di danza popolare sia a livello di ricerca che di
studio. Conduce gruppi di riproposta e seminari intensivi di
approfondimento sulle danze tradizionali Greche. E’ già stato a
Trieste nella primavera del 2005 dove ha proposto un seminario di
danza e cultura greca che ha riscosso uno straordinario successo.

# scarica la locandina: https://www.cnj.it/CULTURA/TriesteMediterraneo09.pdf
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(english / italiano)

Il "processo" contro Karadzic iniziera’ il 19 ottobre

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Nota importante:

Dal sito del "Tribunale ad hoc" dell'Aia -ICTY- sono state rimosse tutte le pagine con le trascrizioni dei "processi".
I materiali sono stati apparentemente spostati su di un'area riservata, a cui si accede attraverso registrazione online. I materiali sono adesso vincolati all'uso esclusivamente personale e ne è proibita la ridiffusione ("without any right to ... redistribute them or to compile or create derivative works therefrom": http://icr.icty.org/Registerform.aspx?e=dr21qt55jqrk1y55lgjqqsy4 )
L'adozione di queste misure conferma una volta di più il carattere non-trasparente e non-legale del "Tribunale ad hoc". Noi abbiamo provato a registrarci per accedere, ma senza successo. Invitiamo tutti gli interessati a provare a loro volta e a comunicarci l'esito della loro procedura di accesso all'archivio dell'ICTY.

All pages containing the "trials"' transcriptions have been removed from the website of the "ad-hoc Tribunal" in Den Haag - ICTY.
Those documents have been apparently moved on a reserved area, which can be accessed after online registration. The documents are now protected against non-personal use and their redistribution is said to be forbidden ("without any right to ... redistribute them or to compile or create derivative works therefrom": http://icr.icty.org/Registerform.aspx?e=dr21qt55jqrk1y55lgjqqsy4 ). 
These measures are nothing but the newest demonstration of the non-transparent and non-legal nature of the "ad-hoc Tribunal". We tried to register ourselves and get access to the pages, but without success. We invite all interested people to try registering themselves and to tell us if they can finally access the ICTY archive, or not.

(a cura di Italo Slavo per JUGOINFO)
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1) dispacci GlasSrbije.org 2009:
- Karadzic: la procura non possiede nessuna prova contro di me (1 luglio 2009)
- Karadzic ha chiesto la documentazione della NATO (23 luglio 2009)
- Karadzic chiede le informazioni sul commercio illegale di armamenti in Bosnia ed Erzegovina (6 agosto 2009)
- Karadzic: i fondamentalisti volevano uno stato islamico (17 agosto 2009)
- Karadzic incolpa le potenze occidentali per la guerra in Bosnia ed Erzegovina (21 agosto 2009)
- Kwan e’ il nuovo giudice che condurra’ il processo contro Radovan Karadzic (1 settembre 2009)
- L' Aia: Il Tribunale diminuisce le accuse contro Karadzic (1 settembre 2009)
- Il processo contro Karadzic iniziera’ il 19 ottobre (8 settembre 2009)
- Karadzic ha chiesto al tribunale dell’Aia di imporre alla Croazia a mandargli i documenti (14 settembre 2009)

2) KARADZIC TESTIFIES IN KRAJISNIK APPEAL
www.slobodan-milosevic.org - November 10, 2008

3) FLASHBACK 2008:
- KARADZIC REVIVES HOLBROOKE DEAL CLAIMS (www.iwpr.net)
- dispacci ANSA:
KARADZIC: TERMINATA UDIENZA, RINVIO / KARADZIC CONSEGNA DOCUMENTO SU ACCUSE A USA E IRREGOLARITA' / HOLBROOKE HA PIANO B, LA MIA LIQUIDAZIONE / INIMMAGINABILE PROCESSO GIUSTO AL TPI / GLI USA VOGLIONO LIQUIDARMI (01/08/2008)
- KARADZIC: PER ORDINE DELLA CORTE RICHIEDE I DATI SULL’ACCORDO CON HOLBROOKE (GlasSrbije 07.11.2008.)
- Serbian paper says U.S. paid $5 mln reward for Karadzic capture (Novosti)

4) Karadzic vs Holbrooke: lessons for Russia (Pyotr Iskenderov)

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See also: 

Karadzic Trial to Begin Next Month. New judge sets start date and asks prosecutors to cut indictment against accused once again.

By Simon Jennings in The Hague (TU No 615, 11-Sep-09)


Judge Investigates Karadzic Deal Allegations. He asks Swedish foreign minister to come forward with any information he might have.

By Simon Jennings in The Hague (TU No 604, 6-June-09)

http://www.iwpr.net/?o=353081&p=&s=f&apc_state=hena

Charges Against Karadzic Questioned. Judge asks prosecution to explain how all counts in indictment fit into single, “overarching” criminal plan.

By Simon Jennings in The Hague (TU No 600, 8-May-09)

http://www.iwpr.net/?o=352377&p=&s=f&apc_state=hena


Ashdown: Holbrooke may have lied (Tim Fenton)
including the original recirding of Ashdown's interview:
http://www.yugofile.org.uk/mp3s/20090525_PM_Ashdown_Holbrooke.mp3

KARADZIC TRIAL UNDERMINES NOTION OF INTERNATIONAL JUSTICE
NolanChart LLC - September 20, 2008
http://www.nolanchart.com/article4935.html

AN UNFAIR TRIAL: PROSECUTION LAYS OUT STRATEGY TO CONVICT KARADZIC
www.slobodan-milosevic.org - September 3, 2008 
http://www.slobodan-milosevic.org/news/smorg090308.htm

MURDERING RADOVAN KARADZIC
www.slobodan-milosevic.org - August 11, 2008
http://www.slobodan-milosevic.org/news/smorg081108.htm

VIDEO OF RADOVAN KARADZIC'S INITIAL APPEARANCE
http://video.google.com/videoplay?docid=-6657564891202183423&hl=en

RADOVAN KARADZIC'S LETTER TO THE HAGUE TRIBUNAL
August 2, 2008 (PDF File in English & Serbian) 
http://www.slobodan-milosevic.org/Karadzic_Letter.pdf
English HTML Version: http://www.slobodan-milosevic.org/news/rk080108.htm

THE KARADZIC-HOLBROOKE AGREEMENT - Kurir (Serbia) - August 2, 2008

http://www.slobodan-milosevic.org/news/kurir080108.htm 

Text of Agreement: http://www.slobodan-milosevic.org/news/kh.htm



=== 1 ===

www.glassrbije.org (Radio Serbia)
 

Karadzic: la procura non possiede nessuna prova contro di me

01. luglio 2009. 18:56

L’ex presidente della Repubblica serba Radovan Karadzic ha dichiarato alla conferenza statutaria nel tribunale dell’Aia che la sua procura non possiede nessuna prova contro di lui e per questa ragione con un numero elevato di testimoni cercherà di prolungare il processo. Il presidente del consiglio dei giudici Ian Bonomy ha detto che il processo contro Karadzic non comincerà prima di settembre. Karadzic ha dichiarato che sta aspettando le informazioni aggiuntive dall’Onu sull’accordo che aveva raggiunto con il diplomatici statunitense Richard Holbrook e che il capo attuale della diplomazia svedese Karl Bilt è disposto a collaborare con i suoi legali. Karadzic ha inviato il 25 maggio la richiesta al tribunale che l’accusa contro di lui fosse annullata, perché Holbrook gli aveva promesso che non sarebbe stato processato se si fosse ritirato dalla vita politica e pubblica. Il Dipartimento di Stato ha comunicato che con Karadzic gli Stati Uniti non hanno ottenuto nessun accordo al riguardo. La procura ha annunciato che 159 persone che saranno protette in qualche modo deporranno le testimonianze contro Karadzic. L’ex presidente della Repubblica serba si difende da solo, con l’aiuto di esperti. L’accusa modificata gli imputa il genocidio e gli altri crimini durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina tra l’anno 1992 e il 1995.     


Karadzic ha chiesto la documentazione della NATO

23. luglio 2009. 19:15

L’ex presidente della Repubblica serba Radovan Karadzic ha chiesto al tribunale dell’Aia che ordinare alla NATO che gli sia recapitata la documentazione che riguarda le consegne degli armamenti statunitensi all’esercito musulmano nell’anno 1995, nonostante fosse in vigore l’embargo. Karadzic ha chiesto che gli sia consegnata tutta la documentazione legata agli atterraggi allo scalo di Tuzla, nella zona del divieto di volo, tra il 10 e il 12 febbraio e nel marzo del 1995. Egli ha chiesto anche tutte le lettere che si sono scambiate gli Stati Uniti e la Turchia, le quali riguardano gli atterraggi all’aeroporto di Tuzla tra il 10 febbraio del 1995 e il 31 dicembre del 1996. Karadzic ha scritto nella sua richiesta di non aver ricevuto dalla NATO nessuna risposta al riguardo.    


Karadzic chiede le informazioni sul commercio illegale di armamenti in Bosnia ed Erzegovina

06. agosto 2009. 18:20    

L’ex presidente della Repubblica serba Radovan Karadzic ha chiesto al tribunale dell’Aia di imporre ai governi di Malta e Banglades di recapitargli la documentazione che riguarda il contrabbando di armamenti che erano destinati all’esercito musulmano durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina. L’ex lieder dei serbi bosniaci che è accusato di genocidio e gli altri crimini ha espresso la convinzione che i membri dell’Unprofor provenienti da Malta e il Banglades abbiano partecipato al contrabbando di armamenti in Bosnia ed Erzegovina tra l’anno 1992 e il 1995, nonostante in quel periodo fosse in vigore l’embargo delle Nazioni Unite sull’importazione delle armi in quel Paese. Il consiglio dei giudici ha comunicato anche oggi di aver imposto agli esecutivi dell’Italia e Austria di consegnare a Karadzic le informazioni legate al commercio illegale di armamenti.


Karadzic: i fondamentalisti volevano uno stato islamico

17. agosto 2009.

L’ex presidente della Repubblica Srpska ed accusato dell’Aja Radovan Karadzic afferma che molti fondamentalisti islamici sono arrivati in Bosnia ed Erzegovina durante la guerra per lottare dalla parte dei mussulmani bosniaci allo scopo di creare uno stato mussulmano in Europa e la base per gli attacchi terroristici come quello eseguito l’11 settembre 2001 negli Stati Uniti. Lo rende noto il Tribunale penale internazionale dell’Aja. Karadzic ha chiesto al Tribunale di ordinare ai governi dell’Egitto e della Giordania di consegnare la documentazione necessaria per la preparazione della sua difesa riguardante la partecipazione di gruppi islamici negli scontri in Bosnia ed Erzegovina. La polizia segreta di Aman ha annotato che sta osservando un gruppo famigerato di islamici giordani, temendo che possano tornare in Giordania per divulgare il terrorismo, ha fatto sapere Karadzic. Lui ha accusato l’allora amministrazione mussulmana in Bosnia ed Erzegovina, capeggiata da Alija Izetbegovic di aver, non solo approvato la presenza dei gruppi fondamentalistici in Bosnia, ma di essere stata anche strettamente collegata con loro. La corte giudiziaria ha chiesto oggi, su richiesta di Karadzic, ai governi di Germania e Polonia di consegnargli entro il 28 agosto la documentazione necessaria per la difesa.


Karadzic incolpa le potenze occidentali per la guerra in Bosnia ed Erzegovina

21. agosto 2009.

L’ex presidente della Repubblica Srpska, Radovan Karadzic afferma che la guerra in Bosnia ed Erzegovina è stata imposta dalle potenze occidentali, le quali hanno puntato i propri interessi strategici fra i gruppi etnici nei Balcani minandone cosi' la pace. "Spero che attraverso il mio processo davanti al Tribunale penale internazionale dell’Aja la gente in Bosnia ed Erzegovina possa capire che cosa ci hanno fatto i membri della comunità internazionale, e in che modo ci hanno manipolato", ha sottolineato Karadzic nell’intervista scritta rilasciata al londinese “Financial times”.


Kwan e’ il nuovo giudice che condurra’ il processo contro Radovan Karadzic

01. settembre 2009. 18:17    

Il presidente del tribunale dell’Aia Patric Robinson ha nominato il giudice sud-coreano Ogon Kwan presidente del consiglio dei giudici che condurra’ il processo contro l’ex presidente della Repubblica serba Radovan Karadzic. Kwan subentrera’ al giudice Ijan Bonomy, il quale ha rassegnato le dimissioni per le ragioni personali. Tra breve sara’ presa la decisione quando iniziera’ il processo contro Karadzic. Kwan e Robinson sono stati membri del consiglio dei giudici che conduceva il processo contro l’ex Presidente della Serbia e Jugoslavia Slobodan Milosevic, il quale e’ deceduto l’11 marzo nella prigione del Tribunale dell’Aia.


L' Aia: Il Tribunale diminuisce le accuse contro Karadzic

01.settembre 2009 ore 21,36 (fonte: Beta)


La procura del Tribunale dell' Aia, diminuira' il volume delle accuse contro l' ex presidente della Repubblica Srpska, Radovan Karadzic, per accellerare, su richiesta del Consiglio del Tribunale, il processo. La Procura ha annunciato la riduzione del numero delle prove sui crimini commessi in vari comuni della B ed E, come anche il numero dei testimoni. Con cio' si abbreviera' di molto il tempo prevvisto per la dimostrazione del materiale probatorio. Dei 214 testimoni prevvisti il Tribunale e' intento a chiamarne 152. La maggior parte delle accuse saranno improntate sull' assedio di Sarajevo ed il crimine di Srebrenica nel 1995.


Il processo contro Karadzic iniziera’ il 19 ottobre

08. settembre 2009.

L’inizio del processo al Tribunale dell' Aia contro l’ex Presidente della Repubblica serba di Bosnia, Radovan Karadzic, iniziera’il 19 ottobre. Lo ha comunicato il giudice che guidera’ il processo O-gon Kvon. Alla discussione odierna sul processo, Kvon ha detto che la conferenza preistruttoria si terra’ il 6 ottobre. Karadzic ha chiesto venerdi’ scorso che il suo processo fosse rimandato di 10 mesi, per avere tempo necessario alla preparazione della difesa. Egli ha ricordato che la procura gli aveva consegnato piu’ di 930.000 pagine , per la lettura delle quali sono necessari almeno 2.086 giorni. Karadzic e’ accusato di genocidio e crimini contro l’umanita’ durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina nel periodo tra il 1992 e il 1995.


Karadzic ha chiesto al tribunale dell’Aia di imporre alla Croazia a mandargli i documenti

14. settembre 2009. 19:24

L’ex presidente della Repubblica serba Radovan Karadzic ha chiesto al tribunale dell’Aia di imporre alla Croazia di concedergli l’accesso ai numerosi documenti che sono necessari per la sua difesa, includendo quelli che riguardano il contrabbando degli armamenti in Bosnia ed Erzegovina attraverso l’aeroporto Pleso a Zagabria. Il processo contro Karadzic iniziera’ il 19 ottobre. Karadzic ha chiesto che la Croazia gli recapiti i documenti che sono legati alla presenza dei specialisti militari statunitensi in Bosnia ed Erzegovina e quelli che dimostrano che l’Unprofor, gli ufficiali dell’Onu e delle organizzazioni umanitarie internazionali abbiano preso parte all’armamento dei musulmani bosniaci. Tra i documenti richiesti si trovano anche quelli che riguardano il massacro nel mercato Markale a Sarajevo nel febbraio del 1994 e dimostrano che i musulmani abbiano organizzato questo massacro. Karadzic ha chiesto che Zagabria gli consegni pure le informazioni sull’incontro che aveva avuto a Belgrado nell’estate del 1996 con Richard Holbrook, durante il quale si discutevano le sue dimissioni e l’immunita’ dai processi penali. 


=== 2 ===

http://www.slobodan-milosevic.org/news/smorg111008.htm

KARADZIC TESTIFIES IN KRAJISNIK APPEAL
www.slobodan-milosevic.org - November 10, 2008

Written by: Andy Wilcoxson

THE HAGUE (Wednesday, November 5, 2008) - Former Bosnian Serb President Radovan Karadzic appeared as a defense witness in an appeals hearing for former Bosnian-Serb parliament speaker Momcilo Krajisnik last Wednesday. 

The full scope of Karadzic's testimony is unknown because the Tribunal required the defense's evidence be given in the form of a written statement which is essentially inaccessible to the public.

What the public was able to see was prosecutor Alan Tieger's cross-examination of Dr. Karadzic. Although Tieger's questions were supposed to focus on the acts and conduct of Momcilo Krajisnik, the prosecutor used his 90-minute cross-examination to try and get Karadzic to incriminate himself. The strategy failed. The International Herald Tribune reported that "Karadzic largely avoided any incriminating slips."

Indeed, many of the prosecution's questions went unanswered. The Tribunal assigned an American lawyer named Peter Robinson to assist Karadzic. Mr. Robinson objected to the prosecutor's questions on many occasions saying at one point that they were "so far afield from what you are supposed to be interested in in this hearing. It is nothing more than a transparent attempt to use (Karadzic's) answers against him at his own trial" The judges sustained Robinson's objections and the prosecutor was forced to ask other questions.

The prosecutor asked several questions related to a document entitled "Instructions for the Organization and Activity of Organs of the Serbian People in Bosnia and Herzegovina under Extraordinary Circumstances" (also known as "Variant A and B") which had been distributed at a meeting of the SDS in 1991. According to the document, crisis staffs were to seize power in municipalities where the Serbs were in a majority (Variant A) or to form parallel institutions where they were not (Variant B). 

Karadzic explained that, "We allowed the document to circulate, but this was not our document. It was not looked at by the organs (of the SDS). It was not discussed. It was not adopted. It was simply an expert opinion proffered by officers who had witnessed the genocide in 1941 and who considered that the people should not be left without any defensive measures."

Even if it had been an official document of the SDS, Karadzic explained that "the authorities on the ground did not follow the instructions of the party because the state apparatus was not party based. People who were in key positions in the municipalities were not party members. And the municipalities as units had their powers in the sphere of defence, Territorial Defence, as part of the All Peoples Defence and social self-protection which was the defense doctrine during Tito's Yugoslavia." 

Next the prosecutor questioned Karadzic on the strategic goals of the Republika Srpska, which had been set out in a document in May 1992 as follows: the demarcation of Republika Srpska as separate from the Croatian and Muslim entities, a corridor between Semberija and Krajina, the elimination or softening of the Drina river as a border between the Serbs in Bosnia and the Serbs in Serbia, the partition of Sarajevo, and finally access to the sea.

Karadzic explained that the strategic goals outlined in the document were what had been proposed in the Cutileiro plan (also known as the Lisbon Agreement) by the European Community. He said, "We were promised a republic by the European Community, within the frameworks of the Cutileiro Plan and the conference for Yugoslavia. What we achieved is what we were given and promised in exchange for stepping down from Yugoslavia."

He said, "Republika Srpska was created before we had the army ... [it] was created when it was offered to us by the E.C." He explained that "The army defended what we received from the E.C. when all three sides accepted the Lisbon Agreement."

Karadzic was quick to point out the central flaw in the case against the Bosnian Serbs, namely that the Muslims provoked the war by signing and then withdrawing their signature from the Lisbon Agreement. He said, "had the war not occurred, and everyone accepted the Lisbon Agreement, then this would all have been moot." 

It wasn't until Krajisnik and his attorney Nathan Dershowitz (Alan Dershowitz's brother), were able to re-examine Karadzic that the proceedings turned to matters directly related to the acts and conduct of Krajisnik -- after all this was his appeals hearing.

Karadzic explained that throughout the term of the indictment against Krajisnik (March-December 1992) that the Bosnian-Serb presidency was made-up of three people: Biljana Plavsic, Nikola Koljevic, and Radovan Karadzic.

The tribunal, in its judgment against Krajisnik found that he was a member of the presidency on the basis of minutes taken during Bosnian-Serb presidency meetings. Karadzic explained that Krajisnik's presence at those meetings did not make him a member of the presidency. He said that he was invited to attend the presidency meetings in order to inform the presidency about the status of legislation in the assembly, but that he did not have a vote in the presidency's decisions.

When Karadzic was asked what role Krajisnik played in the government he explained what the speaker of the Assembly's job was. He said, Mr. Krajisnik "didn't really have any powers or authority whatsoever, MPs would propose a bill, the Presidency would process it, and then Mr. Krajisnik would put it on the parliamentary agenda."

Dershowitz asked, "Did Mr. Krajisnik ever make any comments encouraging, advocating, suggesting ethnic cleansing, the movement of civilian populations, the murder of Muslims or Croats or any of these other war crimes that he's been charged with?"

Karadzic responded, "Absolutely not. The Muslims themselves, asked that Mr. Krajisnik always be on the negotiating team because they had a good understanding."

Dershowitz asked, "was Mr. Krajisnik in a position to issue orders as a member of SDS?" and Karadzic said, "Absolutely not. He was not able to do that, nor did he do so."

The last question that Dershowitz asked was, "Was he in any way involved in the military operations either by being in a command position, an authority position, or right to issue any orders as it applied to the military part of what was going on at that time?" Karadzic's response was "Absolutely not."


Related Story See: http://www.slobodan-milosevic.org/news/smorg092806.htm

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IWPR’S ICTY - TRIBUNAL UPDATE No. 562, 1 August, 2008

KARADZIC REVIVES HOLBROOKE DEAL CLAIMS

Former Bosnian Serb leader claims the former US envoy told him that he would not be arrested if he withdrew from public life.

By Merdijana Sadovic

If Radovan Karazic’s initial appearance at the Hague tribunal is anything to go by, his trial will be one of the most interesting in this court’s history.

The former Bosnian Serb leader, and until recently one of the most wanted men in Europe, did not enter a plea this week, demanding more time to review the indictment.

However, during his first public appearance under his real name since he went into hiding 13 years ago, Karadzic caused quite a stir by restating a claim that has circulated for years that the former US envoy Richard Holbrooke made an agreement with him in 1996, allegedly promising that he would not be arrested if he withdrew from public life.

“This was offered to me on behalf of the United States in exchange for my withdrawal from …politics. I was determined not to jeopardise the Dayton peace agreement in any way, so I disappeared. In exchange, the US was to fulfill its part of the deal,” said Karadzic at his initial appearance at the Hague tribunal on July 31. He added that he wanted to appear before the Hague tribunal in 1996, soon after he was indicted, but was “in fear of being killed” if he did so.

But before Karadzic could elaborate further, he was interrupted by the presiding judge, Alphonse Orie, from Holland, who said these were not matters for the initial hearing and that he would be given an opportunity to explain this during the regular proceedings.

Judge Orie also indicated that Karadzic would have to provide some evidence to support his claims.

Over the last several years, media in the Balkans have reported rumours about the alleged deal between Karadzic and Holbrooke, and often cited Karadzic’s brother Luka who claimed this was the main reason why Radovan managed to escape arrest for more than a decade.

However, Holbrooke repeatedly dismissed these allegations as completely false.

"I have been hearing these claims for the past ten years. I will no longer pay any attention to them and I will not react," said Holbrooke in a 2007 interview with Sarajevo daily Avaz.

“It is amazing that there are still people in this world who trust the word of a war crimes indictee over that of the United States and the people who brought peace to the Balkans."

A reporter with Avaz who interviewed Holbrooke, Sead Numanovic, believes Karadzic invented the story about the alleged deal in order to justify his decade-long disappearance to the Serb people.

“I really doubt an experienced diplomat such as Holbrooke would ever make a deal with a man indicted for war crimes,” Numanovic told IWPR.

Karadzic, who was transferred to the Hague tribunal on July 30, appeared in court this week clean shaven and looking like his old self, only older and thinner. Dressed in a dark blue suit and tie, he bore little resemblance to the long-haired, bearded alternative health guru arrested earlier this month in Belgrade.

When Judge Orie asked him whether his family members were informed about his transfer to The Hague, Karadzic smiled wryly.

“I don’t believe there is a single person who doesn’t know I’m here,” he said.

He appeared to be quite relaxed throughout the hearing, and although he compared the tribunal to “a natural disaster one has to defend himself from”, he seemed rather cooperative and declared he would conduct his own defence.

Karadic was stone-faced as Judge Orie read counts of his indictment and said he would enter a plea only when he read the amended indictment he heard the prosecutors were preparing.

Prosecutor Alan Tieger confirmed to Judge Orie that he and his colleagues are currently reviewing the operative indictment and are planning to amend it as soon as possible.

Karadzic has been indicted on 11 counts of war crimes in connection with the 1992-95 war, including genocide and crimes against humanity.

Among the crimes Karadzic has been charged with are the killing of thousands of Bosniaks in Srebrenica by Bosnian Serb forces in July 1995 and the shelling of Sarajevo, as well as killing and terrorising the city's civilians during the three-and-a-half year siege

According to Hague prosecutors, Karadzic knew about the crimes that were being committed, but failed to take action to prevent them.

This week, Karadzic used his initial appearance to point out “numerous irregularities” about his transfer to The Hague. He repeated the claim his lawyer made several days ago that he was not arrested on July 21, as the Serbian government officially announced.

“I was detained on July 18 by three civilians whom I didn’t know and taken to a place I didn’t know, where I was held for three days before being handed over to the investigative judge,” he said.

Karadzic added that during those three days he was not allowed to make a phone call or send a text message to his friends who may have been worried about his disappearance.

Although there has been much speculation in relation to the actual date of Karadzic’s arrest and the identity of those who caught him – from bounty hunters to a foreign intelligence service – Numanovic believes the answer is probably quite simple. He says the way Karadzic was detained has similarities to the arrest of indicted Bosnian Serb army general Zdravko Tolimir several months ago.

Tolimir was officially detained by Bosnian Serb authorities as he was trying to cross the border with Serbia, but he claimed during his initial appearance in The Hague that he had actually been arrested in Belgrade and then transferred to Bosnia.

“It is quite possible that after they had captured Karadzic, Serbian security forces wanted to hand him over to the Bosnian Serb authorities, but they probably refused to take him fearing that would cost the Republika Srpska government too much because of the popularity Karadzic still enjoys there,” said Numanovic.

Meanwhile, Karadzic’s Belgrade lawyers have called on the Serbian authorities to help them get documents necessary for his defence. They have been told some assistance will be provided.

The lawyers also asked the Serbian police to give them a laptop and 50 CDs, which they claim were taken from Karadzic on the day he was arrested and which, they say, contain documents central to his defence case.

Head of the Serbian government’s office for cooperation with the Hague tribunal Dusan Ignjatovic could not confirm whether the Belgrade authorities were indeed in possession of these documents, but said they would provide all the material they have that could be of use to the tribunal.

“As far as we are concerned, we don’t see any problem with giving Karadzic’s lawyers those documents. But we first have to establish that he had them on him on the day he was arrested,” said ignajtovic. “We have to check whether those allegations are true.”

Merdijana Sadovic is IWPR’s international justice/ICTY programme manager. RFE reporter in Belgrade Milos Teodorovic contributed to this report.


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KARADZIC: TERMINATA UDIENZA, RINVIO AL 29 AGOSTO [2008]

(ANSA) - L'AJA (OLANDA), 31 LUG - E' terminata alle 17.10 l'udienza preliminare dell'ex leader serbo bosniaco Radovan Karadzic davanti ai giudici del Tpi. Karadzic, che vestiva un completo blu ed ha risposto alle domande del giudice Alphons Orie parlando la sua lingua. ha confermato di volersi difendere da solo e ha chiesto piu' tempo per dichiararsi 'colpevole o innocente'. Il giudice ha deciso la data della nuova udienza, il 29 agosto, in quanto l'imputato deve fare la propria dichiarazione entro 30 giorni. Nel corso dell'udienza - duranta poco piu' di un'ora - Karadzic ha fatto riferimento al presunto accordo di immunita' che gli sarebbe stato garantito nel 1996 da Richard Holbrooke, plenipotenziario americano dell'amministrazione Clinton per i Balcani negli anni '90 ed ha detto di avere documenti che intende consegnare ai giudici. A questo proposito ha dichiarato di temere per la propria vita: ''e' una questione di vita o di morte'', ha detto Karadzic. L'ex leader serbo bosniaco, accusato di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanita' per fatti compiuti durante la guerra di Bosnia Herzegovina, ha anche denunciato ''diverse irregolarita''' ed ha contestato la data del suo arresto. (ANSA). OS 
31/07/2008 17:46 

KARADZIC: CONSEGNA DOCUMENTO SU ACCUSE A USA E IRREGOLARITA'

(ANSA) - BRUXELLES, 1 AGO - L'ex leader serbo bosniaco Radovan Karadzic ha consegnato stamattina al Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia il documento contenente le accuse sulle ''irregolarita''' denunciate riguardo al suo arresto e alla sua estradizione all'Aja. ''Il documento e' stato consegnato stamattina e quindi reso pubblico'', ha riferito una portavoce del Tribunale. Nelle quattro pagine del documento, citato ieri in aula, Karadzic raccoglie le accuse formulate contro gli Usa e Richard Holbrooke, plenipotenziario americano dell'amministrazione Clinton negli anni '90, che nel 1996 gli avrebbe garantito l'immunita' in cambio dal completo ritiro dalla vita pubblica. La circostanza e' stata smentita ieri sera da Holbrooke. Nel documento Karadzic denuncia anche ''irregolarita'' sul suo arresto che sarebbe avvenuto tre giorni prima dalla data del 21 luglio comunicata dalle autorita' serbe. L'ex leader serbo bosniaco - accusato di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanita' per i fatti compiuti durante la guerra di Bosnia - afferma di essere stato ''rapito'' per tre giorni da sconosciuti e di essere stato privato dei suoi diritti. (ANSA). OS 
01/08/2008 13:15 

KARADZIC: HOLBROOKE HA PIANO B, LA MIA LIQUIDAZIONE (2)

(ANSA) - BRUXELLES, 1 AGO - L'accordo con gli Usa, ''che avrebbe dovuto garantirmi la pace e la liberta', e' diventato percio' una fonte di grande pericolo per la mia vita e per quella dei miei familiari e anche dei miei amici'', scrive l'ex leader serbo bosniaco portando ad esempio ''un raid brutale'' che sarebbe stato condotto nella casa di un prete di Pale, Jeremija Staroslah, con l'intento non di arrestare qualcuno, ma di uccidere. ''Il desiderio del signor Holbrooke di vedere la mia scomparsa, se possibile prima che io riveli questa ed altre verita', e' ancora piu' valida e piu' forte oggi e le azioni tese a raggiungere questo obiettivo sono messe in atto senza risparmi di sforzi'', denuncia ancora Karadzic. ''Mentre questi tentativi continuano, e con questa minaccia alla mia vita, io devo sedermi in un posto che lui e i suoi amici conoscono. Non ci possono essere regolarita' in tutto questo - aggiunge Karadzic, che ha deciso di difendersi da solo - perche' io non so quanto lungo e' il braccio di Holbrooke o della signora Albright, oppure di qualcun altro del loro team, o se questo braccio mi puo' raggiungere fin qui''. (ANSA). OS 
01/08/2008 14:24 

KARADZIC: DOCUMENTO, INIMMAGINABILE PROCESSO GIUSTO AL TPI

(ANSA) - BRUXELLES, 1 AGO - Nel documento consegnato oggi al Tpi, l'ex leader serbo bosniaco Radovan Karadzic contesta come la prima delle ''gravi irregolarita''' che gli fanno ritenere inimmaginabile'' di potere avere un processo giusto al Tpi, e cioe' ''la caccia alle streghe'' dei media. ''Questa campagna - denuncia Karadzic - e' cominciata nei media musulmani prima ancora del conflitto armato e mi ha proclamato criminale di guerra in un momento in cui le sole vittime erano i serbi''. Karadzic, al quale ieri il Tpi ha contestato 11 capi di imputazione, tra cui genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanita', aggiunge: ''I media internazionali hanno poi continuato questa caccia alle streghe ed io non ero nelle condizioni di rispondere in modo adeguato cosicche' e' ora inimmaginabile che questa Corte possa assolvermi. Credo che questi fatti compromettano seriamente lo stesso processo ed escludano ogni possibilita' di regolarita'''. Ieri, l'ex leader serbo bosniaco ha annunciato che intende difendersi da solo ed ha chiesto piu' tempo per studiare le carte e fare la sua dichiarazione di innocenza o colpevolezza. L'udienza preliminare e' stata aggiornata al 29 agosto. (ANSA). OS 

01/08/2008 15:11 


KARADZIC: DOCUMENTO A TPI, GLI USA VOGLIONO LIQUIDARMI/ ANSA

(di Marisa Ostolani). (ANSA) - BRUXELLES, 1 AGO - ''Non in grado di tenere fede all'impegno preso a nome degli Usa, Richard Holbrooke e' passato al piano B: liquidare Radovan Karadzic''. Con queste parole, scritte in un documento di quattro pagine consegnate oggi al Tpi, che l'ha reso pubblico, l'ex leader serbo bosniaco conferma l'accusa mossa ieri agli Usa, durante l'udienza preliminare davanti ai giudici dell'Aja, di non avere rispettato un patto che sarebbe stato sancito nel 1996 con l'allora inviato speciale di Bill Clinton nei Balcani, secondo il quale gli americani gli avrebbero garantito l'impunita' in cambio della sua totale uscita dalla scena pubblica. Oltre a Holbrooke - che ieri sera ha rigettato come '''complete falsita' '' le dichiarazioni di Karadzic - l'ex leader serbo bosniaco tira in ballo anche l'ex sottosegretario di Stato Usa Madeleine Albright che avrebbe proposto a Biljana Plavsic, l'ex presidente della Repubblica serba di Bosnia, ''che io me ne andassi via, in Russia, Grecia o Serbia o aprissi una clinica privata o me ne andassi almeno a Bjelina, comunque lasciassi Pale''. Nel documento, Karadzic elenca una serie di ''gravi irregolarita''', tra cui le circostanze del suo arresto a Belgrado, che renderebbero per lui ''inimmaginabile'' la possibilita' di poter contare su un processo giusto. In cima alle irregolarita', l'ex leader serbo bosniaco, che ieri e' stato ufficialmente imputato di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanita' per la guerra di Bosnia, denuncia ''la caccia alle streghe'' cominciata dai media musulmani, che lo avrebbe ''proclamato criminale di guerra in un momento in cui le sole vittime erano i serbi'', e proseguita poi da quelli internazionali. ''Io non ero nelle condizioni di rispondere in modo adeguato cosicche' e' ora inimmaginabile che questa Corte possa assolvermi. Credo che questi fatti compromettano seriamente lo stesso processo ed escludano ogni possibilita' di regolarita''', denuncia Karadzic, 63 anni. Ieri, l'ex capo dei serbi in Bosnia ha annunciato di volersi difendere da solo ed ha chiesto piu' tempo per studiare le carte e fare la sua dichiarazione di innocenza o colpevolezza. L'udienza preliminare e' stata quindi aggiornata al 29 agosto. La parte piu' consistente del documento e' dedicata al patto di impunita' non mantenuto dagli Usa, che sarebbe stato siglato durante i negoziati di Dayton che misero fine alla guerra bosniaca (1992-95), dopo 100 mila morti e due milioni di sfollati. L'accordo ''che avrebbe dovuto garantirmi la pace e la liberta', e' invece diventato una fonte di grande pericolo per la mia vita e per quella dei miei familiari e anche dei miei amici'', scrive Karadzic. ''Il desiderio del signor Holbrooke di vedere la mia scomparsa, se possibile prima che io riveli questa ed altre verita', e' ancora piu' valida e piu' forte oggi e le azioni tese a raggiungere questo obiettivo sono messe in atto senza risparmi di sforzi'', denuncia ancora. ''Mentre questi tentativi continuano, e con questa minaccia alla mia vita, io devo sedermi in un posto che lui e i suoi amici conoscono. Non ci possono essere regolarita' in tutto questo perche' io non so quanto lungo e' il braccio di Holbrooke o della signora Albright, oppure di qualcun altro del loro team, o se questo braccio mi puo' raggiungere fin qui''. Da mercoledi' mattina, Karadzic e' recluso nel centro di detenzione del Tpi, a Scheveningen. Come anticipato ieri con le dichiarazioni rese in aula, il documento di oggi conferma l'intento di Karadzic di difendersi contrattaccando, trasformando il processo all'Aja in una tribuna politica contro l'Occidente e le protezioni ottenute durante la latitanza. Ma per l'ex inviato speciale nei Balcani, il ministro svedese Carl Bildt, il mancato arresto di Karadzic in questi 13 anni non e' dovuto a ragioni politiche, ma alla mancanza di volonta' di Washington, 'scottata' dalla perdita di 18 uomini durante un'operazione disastrosa condotta nel 1993 per arrestare un capo di guerra in Somalia. ''Credo che la sindrome di Mogadiscio - ha detto Bildt alla radio svedese - abbia salvato Karadzic durante tutti questi anni''. (ANSA). OS
01/08/2008 18:20 

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www.glassrbije.org (Radio Serbia)

KARADZIC: PER ORDINE DELLA CORTE RICHIEDE I DATI SULL’ACCORDO CON HOLBROOKE

07.11.2008.

L’ex presidente della Repubblica Srpska Radovan Karadzic, ha chiesto al Consiglio del Tribunale dell’Aia di ordinare alla Procura a consegnargli tutte le informazioni sull’accordo con Richard Holbrooke. In ottobre Karadzic ha già  richiesto il materiale. Una richiesta ha fatto alla Corte ed un altra alla Procura, che gli  ha risposto di non avere i documenti. L’accusato richiede che gli siano riconsegnate note, video, memoradum e lettere che rapressentano i riflessi di quello che succedeva durante l’incontro con Holbrook, Slobodan Milosevic e con gli altri il 18 ed il 19 luglio nel 1996.

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Russian Information Agency Novosti
August 6, 2008

Serbian paper says U.S. paid $5 mln reward for Karadzic capture 


BELGRADE - The U.S. State Department paid $5 million
as a reward to an anonymous recipient for assistance
in the capture of former Bosnian Serb leader Radovan
Karadzic, Serbian newspaper Press said on Wednesday. 

The wartime Bosnian Serb president first appeared
before The Hague court last Thursday. Official reports
said he was arrested in Belgrade on July 21 after more
than a decade on the run. 

"Payment number RW 20-036-008/2 was made to an
anonymous account on British Virgin Islands on July
23, two days after the news of Karadzic's arrest was
released, as a reward for information that helped
catch the dangerous fugitive," Press said, citing
Western diplomats. 

The paper said the money was paid by the State
Department's Rewards for Justice Program, which

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