Informazione


www.resistenze.org - associazione e dintorni - s.o.s. yugoslavia - 13-10-09 - n. 290

E' morto Ibraj Musa,
albanese kosovaro, partigiano della giustizia, della libertà e dell'amicizia tra i popoli: del Kosovo, della Serbia e della Jugoslavia.
 
Con profondo e sentito cordoglio informiamo che è morto a Nis dove era rifugiato e profugo con la sua famiglia, Ibraj Musa, albanese kosovaro, capofamiglia di uno dei nuclei familiari adottati dalla nostra Associazione, all'interno del Progetto Kosovo Metohija.
Un uomo con una storia di vita quasi unica e forse irripetibile.
La sua vita, le sue scelte di vita sono state un pezzo di storia del novecento, un pezzo di storia dei Balcani e dei suoi popoli. Ed egli l'ha vissute da protagonista, con coscienza e coraggio.
 
Musa Ibraj era nato il 24 Aprile 1923; aveva 13 figli da tre matrimoni: la prima moglie albanese, la seconda rom e l'attuale, la signora Rosa, serba.
Veterano della II Guerra Mondiale, durante l'occupazione nazifascista della Jugoslavia, ha combattuto nella Resistenza come partigiano, prima in Albania, poi in Serbia e infine in Bosnia. Egli e la sua famiglia vivevano a Osek Hila, villaggio a 5 Km da Djakovica, abitato da 1600 albanesi e poche decine di serbi.
Dopo l'aggressione della Nato e la conseguente occupazione del Kosovo nel giugno '99, che ha dato via libera alle forze terroriste dell'UCK nella provincia serba, come altre migliaia di famiglie di albanesi kosovari, gli Ibraj sono dovuti scappare in Serbia per non essere uccisi dai secessionisti.
Infatti furono da essi definiti come "traditori" e "collaboratori" dei serbi, per il solo fatto di non credere nell'indipendenza ed essersi battuti per l'unità e l'amicizia tra i popoli del Kosovo, contro le violenze e le sopraffazioni terroriste dell'UCK.
 
Per questo la sua famiglia ha pagato forse il prezzo più alto di tutte le famiglie degli scomparsi nel Kosovo Metohija, pur essendo albanesi kosovari: tre figli e tre nipoti rapiti ed assassinati dalle bande UCK, di cui 5 identificati ed uno ancora disperso. Ibraj ha saputo dei corpi ritrovati solo poco prima di morire, in quanto il figlio maggiore superstite, che andò ad identificare i propri fratelli, nipoti e un suo figlio, non lo disse al vecchio Musa, per non dargli ulteriore dolore.
La vicenda di quest'uomo, un vero e proprio pezzo di storia vissuta dei Balcani, che ha attraversato gli avvenimenti succedutisi nel secolo scorso, con grande coraggio, sempre partigiano, nel senso più pieno di questo termine, schierato cioè dalla parte della sua gente, della giustizia, della libertà, costi quel che costi: dal 1941 quando prese la via della montagna per combattere i nazifascisti, fino al 1998 quando fu eletto comandante della "Milizie di autodifesa albanesi del Kosovo" contro il terrorismo e le violenze dell'UCK. Queste milizie erano formate in gran parte da kosovari albanesi, ed in molti paesi miste, erano presenti in oltre 130 comuni del Kosmet, come forma di autodifesa per proteggere la popolazione civile dalle bande e dalle imposizione violente dell'UCK,.
 
Quando, attraverso l'Associazione Srecna Porodica, con cui abbiamo uno dei Progetti di solidarietà per il Kosovo Methoija, ci fu proposta questa famiglia da sostenere, come vittima del terrorismo UCK, non sapevamo tutta la storia del vecchio Musa; fu per noi una giornata indimenticabile quando ci recammo nella loro attuale disagiata casa, a Hum un paese di campagna vicino a Nis, dove vivono come profughi, per scappare dalle ritorsioni dei criminali UCK, oggi "padroni" del Kosovo sotto comando NATO.
 
Quel giorno facemmo un intervista video dell'incontro, dove Ibraj Musa ci raccontò della sua straordinaria e incredibile storia di vita. Quando gli feci alcune domande riguardo il presente e le vicende più recenti, riguardanti gli avvenimenti tragici accadutigli nella guerra del Kosovo, egli, che nonostante gli 85 anni di età, era di una lucidità e vitalità stupefacenti, mi rispose che dopo aver conosciuto e combattuto i nazifascisti, null'altro poteva spaventarlo, e che dato che anch'essi alla fine furono cacciati e spazzati via dal popolo, stessa sorte toccherà ai banditi ed assassini dell'UCK.
 
Sulla sua esperienza di comandante di queste Milizie locali di autodifesa (formatesi nel maggio giugno 1998), egli disse:
" ...Quando vidi quello che stavano facendo contro la nostra gente per costringerli ad andare con loro e contro i nostri amici e paesani serbi, per cacciarli dal villaggio che era di tutti noi, decisi che dovevamo organizzarci per impedire all'UCK di entrare nel paese e terrorizzare la nostra gente…ho deciso semplicemente questo... abbiamo sempre vissuto insieme, perché questi banditi volevano distruggere tutto quanto era stato cercato di fare? A quale scopo? I popoli devono vivere insieme in pace, onestà e lealtà reciproca... Questo era la Jugoslavia... ".
 
Il vecchio Musa fu indicato dalla sua gente grazie alla sua storia di combattente partigiano ed al rispetto di cui era circondato, e considerato uomo giusto e saggio.
Quando gli chiesi quale fu il momento preciso che gli fece prendere una decisione così difficile e che avrebbe avuto conseguenze drammatiche per lui e la sua famiglia, egli rispose: "… una notte vennero alla nostra casa e in altre case, gente dell'UCK e ci disse che avremmo dovuto andarcene da Osek Hila ed abbandonare il villaggio perché ci sarebbero stati attacchi contro la polizia serba e l'esercito jugoslavo nei giorni seguenti. Noi ed il resto del villaggio rifiutammo, perché quello era il nostro paese e la nostra terra. Nei giorni seguenti tornarono ancora una volta ma stavolta per minacciarci. Poi la mattina trovai questo pezzo di carta di quaderno attaccato sulla porta di casa…".
 
Musa ci fece vedere questo foglio con su scritto con una penna a sfera:
"O state con noi o bruceremo le vostre case. Arruolati con i tuoi fratelli.
 UCK (Ushtria Clirimtare e Kosoves ).".
"...Allora capimmo cosa stava per succedere, abbiamo raccolto tutto quello che avevamo come armi, fucili da caccia, accette, coltelli e cominciammo a vigilare e non girare più soli... formammo delle pattuglie di noi del villaggio 24 ore al giorno, notte e giorno. Alcuni giorni dopo individuammo tre dell'UCK che si aggiravamo nelle vicinanze delle case, li disarmammo e li consegnammo alla polizia, che ci dette il permesso di tenere le loro armi e di restare armati...". 
 
Il figlio maggiore che era con noi nella stanza a quel punto ci fa vedere appesi dietro alla porta un Kalashnikov ed un fucile da caccia, che ancora possedevano.
Alla domanda come si erano procurati le armi per la loro Milizia egli rispose che in Kosovo, quasi tutti, da sempre possedevano un arma, ribadendo che: "...ogni arma della Milizia era nostra, dovevamo avere solo il permesso di tenerle legalmente, per il resto erano nostre...".
Queste Milizie furono poi autorizzate in tutto il Kosovo, a tenersi le armi che sequestravano all'UCK.
"...Noi cercavamo di costringerli a restare fuori dal villaggio, cercando di evitare conflitti armati e violenze. In questo modo in tutto il nostro villaggio fino al giugno '99, non ci fu neanche una casa bruciata. ..Neanche una gallina è rimasta ferita... Nessuna devastazione o distruzione è stata permessa, né da una parte, né dall'altra...".
"...Non tutti erano d'accordo nel villaggio, perché una contrapposizione così netta, poteva esporre il villaggio a rappresaglie terroriste, infatti quando furono istituite queste milizie per l'autodifesa locale, alcuni suoi membri furono uccisi dall'UCK in altri villaggi, così molti avevano paura e non entrarono direttamente; ma visto come è andata... facemmo un buon lavoro e con buoni risultati... Poi è arrivata la NATO...".
 
Sulla sua situazione e della sua famiglia oggi, egli rispose: "...oggi viviamo qui in Serbia come profughi, ma solamente profughi senza una casa ed un lavoro, perché la Serbia è anche il mio paese, e sempre in tutta la mia vita abbiamo vissuto, come albanesi kosovari, insieme. Nel bene come nelle cose brutte, e qui non mi sento straniero, ma certamente non mi sento bene, oggi viviamo in tanti in questa piccola casa, con due piccole pensioni, le spese sono tante, soprattutto quelle sanitarie e per l'affitto, è una vita molto dura e difficile. A tutti ci manca il nostro Kosovo, la nostra gente, i nostri vicini, albanesi, serbi, rom, con cui abbiamo vissuto insieme e in pace per oltre 50 anni... Poi sono arrivati quei maledetti terroristi dell'UCK... e hanno fatto quello che sapete, e sulla mia famiglia si sono accaniti, e si sono presi il sangue dei miei figli e nipoti. Si sono vendicati perché non siamo stati loro complici... maledetti... perché siamo stati leali e corretti con il nostro stato, in cui abbiamo sempre vissuto e ci aveva sempre rispettato e accettato. Perché dovevamo andare con loro e distruggere tutto quello che avevamo costruito faticosamente insieme con gli altri? ...Forse dovevamo cercare di avere di più e più cose, questo è normale, è giusto. Per migliorare e correggere cose sbagliate, questo sì... Ma perché uccidere, distruggere, bruciare case, chiese, ammazzarsi tra fratelli, paesani, amici... Perché avremmo dovuto diventare complici di terroristi e criminali, che terrorizzavano la propria stessa gente? ...Questo per noi non poteva essere accettabile, siamo sempre stati leali e onesti cittadini del nostro paese, perché dovevamo diventare criminali?..Perché? Forse loro avevano i loro obiettivi, interessi, profitti, qualcuno li usava, ma quelli non potevano essere gli interessi della nostra gente albanese del Kosovo... E poi si è visto cosa hanno fatto del nostro Kosovo oggi, aiutati dai loro amici americani... Un regno governato da banditi e delinquenti, dove vi è solo criminalità e paura, per la gente semplice, per il popolo... Anche nel nostro villaggio oggi, c'è solo paura e la gente onesta è silenziosa solo per paura, ce lo dicono loro stessi di nascosto... Per questo avremmo dovuto collaborare con loro?...Io ho fatto il partigiano contro i nazifascisti nella II guerra mondiale, ma noi eravamo partigiani per liberare il nostro popolo, non per terrorizzarlo e farlo ubbidire. E' una bella differenza non pensi?...Che mi diano del traditore non mi tocca, "loro" sono dei traditori della nostra gente, perché gli hanno portato solo odio e sofferenze per i loro sporchi interessi...".
 
Dopo alcuni secondi di silenzio e l'ennesima sljiva offertaci in segno di amicizia, così concludeva:
"...Sai, figlio mio, troppe tragedie abbiamo vissuto, tanto dolore abbiamo nel cuore, la nostra vita è stata stravolta e ferita da tutti gli avvenimenti successi, questo non si può più cambiare, questo ci accompagnerà fino alla tomba... ed io sono vicino al mio giorno. Ma per loro che restano bisogna avere fiducia e speranza che qualcosa cambierà, che tornino tempi più giusti, di pace, di amicizia, di onestà. Io di guerre ne ho fatte tante, ma sempre dalla parte delle cose giuste. Mai per me stesso, ma per la nostre genti, i nostri popoli. Per questo sono sereno e riesco ancora a sorridere e spero che un giorno si rivedrà un paese libero e giusto... Io non ci sarò, ma ci saranno i miei nipoti, ed i nipoti e figli delle nostre genti, e torneranno a vivere, lavorare e divertirsi insieme, uniti come fratelli... Vedrai che sarà così... La storia non la può fermare nessuno... Però ora voglio abbracciarti per l'aiuto che ci hai portato con la vostra Associazione. Per me e per tutta la nostra famiglia è un onore avervi qui nella nostra piccola casa, avervi potuto accogliere come amici e fratelli. Perché da oggi questo saremo... Grazie per l'aiuto, ma soprattutto grazie che ci avete riconosciuti degni della vostra solidarietà e ci avete tenuti in considerazione... Da ora in poi la nostra casa sarà sempre anche la tua, figlio mio...".
 
Penso sia inutile sottolineare che un GRAZIE senza limiti, siamo noi che sentivamo di dirgli e dovergli, il nostro modesto contributo economico non può avere alcun tipo di paragone con la vita vissuta e l'operato della vita di un uomo così. Un uomo giusto, onesto, semplice, un uomo che ha attraversato la storia sempre in piedi e a testa alta, pagando prezzi umani terribili, ma anche un uomo con cui abbiamo riso e sorriso di piccole cose, di aneddoti della sua esistenza. Per esempio del succo di frutta che gli toccava bere, perché la moglie ed il figlio non gli lasciavano più bere la sljivovica... così mi è toccato, essendo seduto accanto a lui, una sequela di brindisi continui... anche per lui, mi diceva, dovevo sacrificarmi... Ed ho "dovuto" sacrificarmi... volentieri.
Non so se con queste righe sono riuscito a ricordare degnamente quest'uomo e la sua storia, ma due cose sono certe: una è che per la nostra Associazione, che ha potuto averlo come parte dei suoi progetti solidali (che continueranno), è stato un onore avere la sua amicizia e rispetto (per questo la nostra riconoscenza va a Radmila Vulicevic, nostro referente a Nis, ed al suo lavoro, che sono stati il tramite, in quanto la famiglia Ibraj sono membri dell'Associazione Srecna Porodica).
La seconda è che la speranza e l'impegno che un tempo migliore si delinei all'orizzonte dei popoli, nel Kosovo, nei Balcani e nel mondo, può avvenire solo con l' apporto e l'esempio di vita, di uomini così. Di uomini come Ibraj Musa, albanese kosovaro del Kosovo Metohija, cittadino e costruttore della Jugoslavia, coraggioso difensore del Kosovo e dei popoli che lo abitavano, e leale ed onesto cittadino della Serbia poi.
 
D'ora in poi Membro onorario della nostra Associazione SOS Yugoslavia- SOS Kosovo Metohija.
Anche nel suo ricordo ed esempio, andiamo avanti nel nostro impegno di solidarietà e amicizia tra i popoli, e nello specifico con il Progetto Kosovo Metohija.
 
“...Tu paladino della libertà, torrente d’entusiasta giovinezza
or mandi a noi di luce, un caldo raggio dal tuo sepolcro.
E giunge a noi. Perché... sentisti, ...del dolor,
e come un cavaliere del poema ariostesco,
...offristi il tuo soccorso.
Ora... altri innalzano il tuo vessillo e lottano e resistono
Per l’avvenire comune...”.
(Stralci adattati di V. Nazor, poeta jugoslavo, di un poema dedicato ai partigiani italiani, che combatterono in terra jugoslava contro il nazifascismo)
 
 
Addio Musa Ibraj... i HVALA (Grazie)!
 
Enrico Vigna, Associazione SOS Yugoslavia – SOS Kosovo Metohija



(Da mesi si susseguono analisi e prese di posizione allarmate, in campo occidentale, per una possibile "fine" della Bosnia-Erzegovina di Dayton e persino per un conseguente ritorno al conflitto armato. L'articolo che segue sottolinea la cattiva coscienza di tali posizioni, ricordando che la Bosnia-Erzegovina è uno Stato sostanzialmente privo di sovranità, per il quale dalla cessazione delle ostilità - 1996 - fino ad oggi i colonizzatori stranieri hanno speso in media 300 dollari all'anno pro-capite in aiuti, una cifra che fa impallidire persino gli aiuti giunti per la ricostruzione di Germania o Giappone dopo la II Guerra Mondiale... Le politiche imposte dall'esterno hanno portano ad un taglio drastico dei servizi di cui si poteva gratuitamente fruire durante il socialismo, nonchè alla privatizzazione e ad un impoverimento generalizzato, e ad una disoccupazione che è attualmente del 27%. In questa situazione la gente si chiede a che cosa dovrebbe servire il "miraggio" dell'entrata nella UE - prima responsabile del disastro socioeconomico ma anche, a ben vedere, dello scoppio della guerra fratricida nel 1992 - e prova oramai una totale avversione per la "politica". E mentre da fuori si punta il dito sempre e solamente sulla parte serba, accusata di voler "spaccare il paese" perchè ne difende la attuale struttura confederativa - proprio quella di Dayton! -, si dimentica generalmente di descrivere quello che succede in importanti contesti: ad esempio a Mostar. A Mostar lo sciovinismo croato, dopo avere trasformato la città in una macelleria distruggendone persino il celeberrimo ed antico simbolo - il ponte di epoca turca - ne impedisce tuttora l'amministrazione ordinaria: la costituzione di una Giunta comunale è in sospeso sin dalle ultime elezioni, svolte addirittura un anno fa. Tutto a Mostar marcia attraverso "istituzioni parallele" fondate sull'appartenenza religiosa. E la lobby cattolica - quella di Medjugorije, per intenderci, che è ad un tiro di schioppo -, con i suoi interessi in effetti non solamente religiosi, è stata il fattore determinante di questa cancrena. A cura di Italo Slavo)



Bosnia faces collapse

By Paul Mitchell 
8 October 2009

A number of reports have pointed to the increasing threat of Bosnia and Herzegovina collapsing. Some have talked about the possibility of war breaking out.


In October 2008, former Bosnian High Representative Paddy Ashdown and Richard Holbrooke, now US Special Envoy to Pakistan and Afghanistan, warned that Bosnia was a “powder keg” and “in real danger of collapse.”

In February 2009, US Director of Intelligence Dennis Blair told the US Congress that Bosnia’s survival as a multi-ethnic state was “seriously in doubt.” The Dayton Agreement that ended the Bosnian war in 1995, Blair continued, had “created a decentralized political system that has entrenched rather than eradicated ethnic prejudices and insecurities.”

The following month the International Crisis Group, which numbers former presidents, ministers and businessmen amongst its members, warned that the Dayton agreement “is arguably under the greatest threat since the war ended in 1995.”

In May, the US Congress passed a resolution on Bosnia calling for the appointment of a new US special envoy to the Balkans region and for the post of High Representative—created by the Dayton agreement as a pro-consular official with ultimate authority in Bosnia—to continue. It called on the European Union to reconsider its plans to pull out the European peacekeeping force, EUFOR, which replaced the NATO-led one in December 2004. Also in May US Vice President Joseph Biden visited the Balkans and warned the Bosnian parliament not to fall back into “old patterns and ancient animosities.”

Last month, professors Patrice McMahon and Jon Western warned in Foreign Affairs magazine that 14 years after the agreement was signed, Bosnia “now stands on the brink of collapse.” More ominously, they say that Bosnians “are once again talking about the potential for war.”

In their article “The Death of Dayton: How to Stop Bosnia From Falling Apart,” McMahon and Western explain that Bosnia was once touted as “the poster child for international reconstruction” and received financial and logistical support that made the post-World War II rebuilding of Germany and Japan “look modest” in comparison.

By the end of 1996, they say, the country was occupied by 60,000 troops and the focus of reconstruction efforts by 17 different foreign governments, 18 United Nations agencies, 27 intergovernmental organizations, and about 200 nongovernmental organizations. Since then the country has received over $14 billion in foreign aid, equivalent to $300 per person per year, which compares to $65 per person in Afghanistan. Much of that aid has vanished into thin air. One investigation revealed that more than $1 billion in aid—nearly one-fifth of the total handed out between 1996 and 1999—had disappeared.

Despite all this assistance, McMahon and Western complain, Bosnia’s economy is stalled and there is huge unemployment and poverty. The country remains divided into the two semi-independent entities created by the Dayton agreement: the Federation of Bosnia and Herzegovina, inhabited mainly by Bosnian Muslims and Bosnian Croats, and the Serb-dominated Republika Srpska, each with its own government controlling taxation, educational policy, and even foreign policy. A single Bosnian army has been created, but each brigade is comprised of ethnically based battalions.

According to McMahon and Western, Bosnian Serb leader Milorad Dodik is actively pursuing secession for Republika Srpska and Bosnian Croat politicians are demanding more autonomy within the Federation. Haris Silajdzic, the Bosnian Muslim representative in the collective presidency, has called for a more centralized state (there are already 160 government ministers) and the dissolution of Republika Srpska.

Dodik has attempted to downplay warnings of collapse and war. In a letter to the New York Times (September 21, 2009) he asserted that “there is absolutely no threat of a return to violence” and for those making “alarmist cries” to stop. But in the next breath he boasts that his Republika Srpska has survived the financial storm better than the Federation and that “We do not support the centralized model that some in the international community have sought to impose on Bosnia and Herzegovina.”

At the same time Dodik was writing, Rajko Vasic, general secretary of the largest Serb party, the Alliance of Independent Social Democrats, reacted to statements by the Bosnian Muslim Party of Democratic Action that the “patriots of Bosnia” would prevent the country’s dissolution as itself “a direct threat of war.”

Nowhere is ethnic division more defined than in the Federation capital of Mostar. The Croat majority now live mainly in the western part of the city, and the Bosnian Muslims in the east. Of the 24,000 Serbs that lived in Mostar before the war, only a handful remain. Many Croats have taken advantage of their right to Croatian citizenship to emigrate to Croatia, with a recent report suggesting that their number has dropped from about 820,000 before the war to 466,000 today.

The administration of Mostar is collapsing largely as a result of attempts by Croat politicians to impose a Croat identity on the city. They argue that Sarajevo is “Muslim” and Banja Luka is “Serb,” but the Croats have no capital of their own. As a result, there has been no mayor, budget or functioning city council since elections in October 2008. City workers have not been paid for months. Councillors have failed on 14 separate occasions to elect a mayor or create any common institutions. Even a basic utility such as the Mostar water company operates as two parallel structures, with a Croat director and staff overseeing supply to the Croat west bank, while a Bosnian Muslim director looks after the supply to the eastern side of the city.

The situation in Bosnia is a foreign policy disaster for the US and EU and a tragedy for the Balkan peoples. The Balkans region was meant to be the arena in which the US established the ground rules and the EU would take over, flexing its muscles for the first time following the launch of the Common Security and Defence Policy a decade ago. The EU’s main strategy in the region has been to offer the prospect of EU membership, but several EU member states are now opposed to further enlargement of the bloc until fundamental “reforms” are carried out.

Increasing numbers of people in the Balkans region are questioning the advantages of EU membership in a period of global recession. Bosnia has been forced to take out a $1.6 billion emergency loan from the International Monetary Fund. As a result, “structural adjustment” is to be speeded up involving more privatizations, wage cuts and reductions in social and war-related benefits—entailing what the IMF describes as “extreme public discomfort” and a threat to “social stability.” This takes place in a country in which the population already suffers 27 percent unemployment and 25 percent poverty rates.

The Western powers are largely responsible for the region’s division into ethnically based regimes dominated by nationalists. The US and Germany in particular deliberately engineered Yugoslavia’s break-up along ethnic lines, with a complete indifference to the inevitable tragic consequences of their intervention. It was inevitable, given the history and politics of Yugoslavia, that the piecemeal break-up of the federation would lead to civil war and create new ethnically based states incapable of providing a progressive solution to the problems facing the Balkan people—entrenched poverty, unemployment, crime and corruption.

The situation brought about by the Western powers and the nationalist politicians in Bosnia has led to a collapse in support for the country’s political institutions. A recent poll showed Bosnia “outperforms all other [World Values Survey] transformation countries” in showing “no interest at all” in politics. Most young people are “outside the political process,” and nearly 80 percent of all Bosnians feel that none of the political parties represent their interest.


The inability of the EU, the US and various ethnically based governments to solve the social disaster in the Balkans can only be resolved by the building of an internationalist party based on the perspective of the United Socialist States of the Balkans.


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ANCHE I COMPUTER FANNO LAPSUS FREUDIANI

Nel corso di una presentazione tenuta dal generale dell'esercito croato Lovric ad inviati della NATO, il logo dell'Alleanza Atlantica usato sulle sue "slides" ha cominciato a mutarsi in una svastica... L'incidente è stato probabilmente causato da un file immagine animato, scaricato da internet. Nessun imbarazzo ne' proteste dai presenti in sala, che sono d'altronde abituati ad essere associati ai nazisti... ed a replicarne le politiche, in Croazia - dove hanno cancellato mezzo milione di abitanti di "razza serba" - e altrove. (Italo Slavo)

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Znak NATO-a pretvorio se u svastiku na velikom ekranu pred 200 stranih uzvanika

Piše: Krešimir Žabec

Tijekom prezentacije znak NATO-a nekoliko se puta pretvorio u kukasti križ pa vratio u prvobitni oblik

ZAGREB - Trebala je to biti klasična prezentacija, jedna u nizu više desetaka koliko ih je general Drago Lovrić, hrvatski vojni izaslanik pri NATO-u, održao u svojoj vojnoj karijeri.
Pred auditorijem od oko 200 vojnih atašea, diplomata i pripadnika Oružanih snaga Drago Lovrić je, kao sudionik međunarodne konferencije “Odgovornost i djelovanje: izgrađujući sigurniji svijet”, na Hrvatskom vojnom učilištu stavio oko 15 sati i 15 minuta memorijski stick u računalo.

General okrenut leđima

Tema prezentacije bile su “Suvremene vojne operacije i nove sposobnosti vojnika” u sklopu panela “Razvijanje odgovarajućih sposobnosti - vojni odgovori”. Iza njegovih leđa bila su dva panoa.
Na jednom je bila njegova fotografija kao govornika, a na drugom prezentacija. Dok je na panou stajala prva stranica njegove prezentacije, Lovrić je pozdravljao cijenjene uzvanike. Okrenut leđima, nije niti vidio što se događa na panou. U jednom se trenutku službeni znak NATO-a, koji je bio dio grafičke podloge prezentacije, počeo pretvarati u svastiku.

Akcija Vojne policije


General nije niti primijetio što se događa, a svjedoci tvrde da to nije vidio ni dio prisutnih u dvorani. Nakon nekoliko sekundi vratio se znak NATO-a koji se nakon nekog vremena ponovno preoblikovao u svastiku. Nakon što je pozdravio goste, prešao je na druge slajdove na kojima više nije bilo znaka NATO-a pa, dakle, ni svastike. 

Osim rijetkih visokih gostiju, skandal su primijetili pripadnici Vojne policije i osoba zadužena za informatiku. No, nitko nije želio prekinuti izlaganje jer se uvidjelo da dobar dio nazočnih nije primijetio što se događa. Nakon otprilike 30 minuta rasprava na panelu je završila. 

Pripadnici Vojne policije tada su prišli generalu Lovriću i priopćili mu što se dogodilo. Odmah su izuzeli memorijski stick te je naložena istraga o toj iznimno neugodnoj situaciji.

Ovom neugodnom događaju nisu prisustvovali visoki civilni dužnosnici - predsjednik Republike, premijerka i ministar obrane - koji su bili na otvaranju konferencije. No, nazočili su načelnik Glavnog stožera general Josip Lucić, državni tajnik MORH-a Pjer Šimunović i drugi.

Potvrda iz MORH-a


Glasnogovornik MORH-a, Goran Grošinić, danas nam je potvrdio cijeli događaj, a proslijedio nam je i mišljenje generala Lovrića o uzrocima cijelog događaja. Naime, general Lovrić smatra da je to “indirektna posljedica zaostalih virusnih inficiranja NATO-ova znakovlja te da nije bilo apsolutno nikakve namjere od strane osoba koje su pripremale ovu prezentaciju da se dogodi to što se dogodilo”. 

General Lovrić već je uputio svoje mišljenje o cijelom slučaju ministru obrane, načelniku Glavnog stožera i Uredu predsjednika.

Rekonstrukcija događaja


U razgovoru s više osoba uspjeli smo donekle rekonstruirati kako se moglo dogoditi da hakirani znak NATO-a završi u prezentaciji generala Lovrića pred oko 200 visokih vojnih i civilnih uglednika. Grafičku podlogu za naslovnu stranicu radio je časnik Ivica Olujić koji se nalazi u Savezničkom zapovjedništvu za transformacije u Norffolku u Sjedinjenim Državama. 
Kako bi naslovna strana prezentacije bila što bolja, s Googlea je skinuo znak NATO-a. Tijekom postavljanja i kasnijeg pregledavanja ni u jednom trenutku nije se pokazivala svastika. 

Sugovornici tvrde kako je najvjerojatnije haker, koji je virusom zarazio NATO-ov znak, stavio ograničenje da se on počne pretvarati u svastiku tek nakon početka prezentacije, a naslovna stranica stajala je neko vrijeme. Program je također omogućio da se transformacija znaka dogodi nekoliko puta u kratkom vremenu. Prema našim saznanjima, prezentacija je nekoliko puta pregledana, ali nije se moglo uočiti da je znak NATO-a hakiran.   

Zaplijenjena videosnimka


Kako doznajemo, osim memorijskog sticka, Vojna policija je izuzela i videosnimku cijelog događaja, ali ne treba očekivati dublju istragu o pozadini cijelog slučaja jer je zapravo i nema. 

Naime, ne može se govoriti da je generalu Lovriću netko namjerno smjestio ovaj nemili događaj, nego je riječ o žrtvi hakerskog napada. 

Ipak, to je dobro upozorenje svim nadležnim službama da ubuduće moraju sve službene znakove i potrebne dokumente skidati sa službenih stranica institucija.

Znak i tajmer

Znak NATO-a s Googlea je preuzet u gif formatu kao fotografija. U tom formatu glavna slika u sebi ima više podslika koje sadrže animaciju te se jedna slika mijenja u drugu. U ovom slučaju to je bio kukasti križ. Onaj tko je hakirao znak vjerojatno je stavio i neki vremenski tajmer kojim se znak NATO-a aktivira u određeno vrijeme, pojasnio nam je jedan programer način kako je hakiran znak NATO-a. 

Ljevičarske skupine često uspoređuju NATO i naciste

“Razotkrivanje” NATO-a kao suvremenog sljednika nacističke teorije i prakse uobičajena je zanimacija mnogih, uglavnom krajnje ljevičarskih skupina, prepoznatljivih po raznim bojama, od Crnog bloka, preko Crvene akcije pa do ultraradikalnih frakcija Zelenih. Potonje ekologističke i pacifističke skupine rijetko se služe nasiljem, ali ima i takvih, kako među najžešćim zaštitarima drugih živih vrsta, tako i među najogorčenijim nezadovoljnicima unutar njemačkih Zelenih. Takvi su na stranačkom kongresu prije deset godina tadašnjeg šefa berlinske diplomacije, Joschku Fischera, pogodili kanticom crvene boje, ozlijedili mu uho i oštetili sluh jer su se kao navodni mirovnjaci protivili intervenciji kojom je NATO zaustavio Srbiju u “čišćenju” Kosova od Albanaca.


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http://www.b92.net/eng/news/region-article.php?yyyy=2009&mm=10&dd=18&nav_id=62427

Jutarnji List - October 18, 2009

Zagreb: NATO logo morphs into swastika 

ZAGREB: An animated picture of the NATO logo morphed into a Nazi swastika during a presentation given by Croatia's military envoy to the western alliance.
The conference was held in Zagreb, Croatia, local daily Jutarnji List writes, and says that Gen. Drago Lovric was speaking in front of some 200 military attaches, diplomats and members of armed forces.
The GIF image was apparently downloaded from the internet and used in the presentation file, while the newspaper suggests that "some hacker probably infected the alliance's logo with a virus". 
The incident happened as Lovrić was speaking, with two screens behind his back, one projecting his photograph, the other the presentation. 
At one point, the NATO logo, which was used as the background, started turning into a swastika, but the general was apparently oblivious to what was happening, as were most of those present in the room, says Jutarnji List. 
The animation continued to go back and forth between the logo and the swastika until Lovric moved on to the next page. 
"Beside a few high-ranking guests, the scandal was also noted by military police members and IT personnel," writes the newspaper. 
"However, no one was willing to interrupt the presentation, because it was obvious that most of those present did not notice what was happening. After some 30 minutes, the panel discussion was over." 
An investigation has been ordered of this "very unpleasant situation", says the daily, and adds that Croatian Ministry of Defense spokesman Goran Grosinic confirmed that the incident did take place, and that Lovric stated that there was "absolutely no intention on the part of anyone who prepared the presentation for it to happen". 
Instead, the Croatian general believes that the animation was "an indirect consequence of virus infections of NATO logos".  



(riceviamo e giriamo per conoscenza. L'opuscolo in formato PDF si può scaricare all'indirizzo: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/convegnoidentitaserbaRoma2009.pdf )

«Sapienza» - Università di Roma

con il patrocinio della Accademia dei Lincei


Identità europea della Serbia:

il futuro del passato

Giornate di studio dedicate all'illuminista serbo

Dositej Obradovic (1739-1811)

Roma, 26-28 ottobre 2009

Facoltà di Lettere e Filosofia

Dipartimento di Studi Europei ed Interculturali

Facoltà di Scienze Politiche

Master in Istituzioni Parlamentari Europee per consulenti di assemblea


Lunedì 26 ottobre

Prima Sessione

Dositej Obradovic, vita e avventure di un intellettuale europeo

Villa Mirafiori, via Carlo Fea 2 - Biblioteca della Sezione

di Slavistica del Dipartimento di Studi Europei e Interculturali

ore 15, INDIRIZZI DI SALUTO

Franco PIPERNO, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia

Roberto NICOLAI, Preside della Facoltà di Scienze Umanistiche

Sanda Raskovic-Ivic, Ambasciatore della Repubblica di Serbia in Italia

Introduce i lavori Sante GRACIOTTI, Professore emerito, Accademico dei Lincei

Presiede Marija MITROVIC

RELAZIONI

ore 15,40, Mario CAPALDO («Sapienza»), La Serbia e il discorso illuministico sulle due Europe al tempo di Dositej Obradovic

Mihajlo PANTIC (Università di Belgrado), Dositej Obradovic al giorno d'oggi

Zlata BOJOVIC (Università di Belgrado), Il classicismo di Dositej Obradovic

Rosanna MORABITO (Università di Napoli "L'Orientale"), Europeismo e questione della lingua in Dositej Obradovic

Ore 17, Pausa caffè

Presiede Zlata BOJOVIC

ore 17,20 Nikola GRDINIC (Università di Novi Sad), La costruzione della frase in Dositej alla luce della tradizione europea

Marija MITROVIC (Università di Trieste), Dositej e Trieste: poetica e contesto storico

Luca VAGLIO, Testimonianza, insegnamento, svago. Sull'autobiografia di Dositej Obradovic

ore 18,20 DIBATTITO


Martedì 27 ottobre

Seconda Sessione

Villa Mirafiori, via Carlo Fea 2 - Biblioteca della Sezione

di Slavistica del Dipartimento di Studi Europei e Interculturali

Presiede Janja JERKOV, «Sapienza»

ore 9,30 Ljiljana BJELICA («Sapienza»), Tra sapere e conoscenza: la biblioteca di Dositej

Wladimir FISCHER (Università di Vienna), "I had been born again into a new world". What was behind Dositej's Admiration for the West

Radovan BIGOVIC (Facoltà Teologica - Università di Belgrado), Fede e ragione in Dositej

Maria Rita LETO (Università di Chieti-Pescara), Mrs Livie legge i giornali: Dositej e la sfera pubblica

ore 11,30, Pausa caffè

Presiede Mihajlo PANTIC

Accademia Serba delle Scienze e delle Arti

ore 11,40 Persida LAZAREVIC (Università di Chieti-Pescara), Un passo avanti e due indietro: Dositej Obradovic e Pavle Solaric

Janja JERKOV («Sapienza»), "Io scriverò per la mente, per il cuore e per l'indole degli uomini...". Dositej Obradovic e la ragion pratica

Sanela MUSIJA, Dositej Obradovic e la forma epistolare

Matteo ESPOSITO, Dositej e la favola

ore 13,  Pausa pranzo

Terza Sessione

La Serbia nei Balcani e in Europa: il punto di vista italiano

Tavola Rotonda

Città Universitaria, Facoltà di Lettere e Filosofia - Aula I

Presiede Antonello Folco Biagini, Professore di Storia dell'Europa orientale e Prorettore per le Relazioni Internazionali

ore 15,  INDIRIZZI DI SALUTO

Luigi FRATI, Magnifico Rettore della «Sapienza»

Branko KOVACEVIC, Magnifico Rettore dell'Università di Belgrado

Gianluigi ROSSI, Preside della Facoltà di Scienze Politiche

ore 15,30, INTERVENGONO:

Bruno ARCHI, Consigliere Diplomatico del Presidente del Consiglio

Sanda RASKOVIC-IVIC, Ambasciatore della Repubblica di Serbia in Italia

Umberto VATTANI, Presidente dell'Istituto nazionale per il Commercio Estero

Fulco LANCHESTER, Direttore del Master in Istituzioni Parlamentari Europee e Professore di Diritto costituzionale italiano e comparato («Sapienza»)

Mario CAPALDO, Professore di Filologia slava («Sapienza»)

Paolo QUERCIA, Responsabile Ricerca e Politiche Internazionali della Fondazione Farefuturo

Umberto RANIERI, Professore di Storia dell'Europa (Corso interfacoltà Cooperazione internazionale e sviluppo)

Roberto VALLE, Professore di Storia dell'Europa orientale («Sapienza»)

Cocktail presso la Residenza dell'Ambasciatore di Serbia in Italia


Mercoledì 28 ottobre

Quarta Sessione

1989-2009. Vent'anni dopo la fine della Storia: la Serbia fra Unione Europea e Russia

Tavola Rotonda

Città Universitaria, Facoltà di Lettere e Filosofia - Aula I

Presiede Giuliano AMATO, Presidente dell'Enciclopedia Italiana

ore 10, INTERVENGONO:

Anders BJURNER, Ambasciatore del Regno di Svezia

Aleksej MESKOV, Ambasciatore della Federazione Russa

Sanda Raskovic-IVIC, Ambasciatore della Repubblica di Serbia

Michael STEINER, Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania

ARMANDO VARRICCHIO, Ambasciatore italiano presso la Repubblica di Serbia

ENZO SCOTTI, Sottosegretario presso il Ministero degli Affari Esteri


Direzione scientifica

Prof. Janja Jerkov

Prof. Fulco Lanchester

Prof. Roberto Valle

Segreteria

Valerio Castellani

(valerio.castellani@...)

Sergio Giovannini

(sergio.giovannini@...)

Villa Mirafiori

via Carlo Fea, 2 - 00161 Roma

Tel. 06 49917250



(the original text, in english:
http://rickrozoff.wordpress.com/2009/10/08/new-threat-of-conflict-in-europe-western-sponsored-greater-albania/  or:


Minaccia di ripresa del conflitto in Europa: una Grande Albania patrocinata dall’occidente

Rick Rozoff Mondialisation.ca 10 Ottobre 2009 Stop NATO
Rick Rozoff è un collaboratore di Mondialisation.ca

 
L'Europa potè essere appollaiata sul precipizio del suo primo conflitto armato dopo i 78 giorni di bombardamenti della guerra della NATO contro la Jugoslavia, nel 1999 e l'invasione armata della Macedonia, lanciata due anni dopo, a seguito dell’occupazione della NATO del Kosovo. 
Con l'adesione formale, nel mese di aprile, dell'Albania alla NATO come membro a pieno titolo e la rielezione (almeno formale) che ne seguì del Primo Ministro della nazione, Sali Berisha, il teatro è pronto per il progetto per una nuova riconfigurazione dei confini dell’Europa sud-orientale, alla ricerca di una grande Albania. 
I passaggi precedenti, in questa direzione, sono stati la guerra combattuta dagli Stati Uniti e della NATO contro la Repubblica federale di Iugoslavia, un decennio fa, a nome del cosiddetto Esercito di Liberazione del Kosovo (AKL, in albanese UCK) e di collusione con esso, una violazione del diritto penale internazionale che si è conclusa con la separazione della provincia serba del Kosovo dalla Serbia e dalla Jugoslavia. 
50000 soldati della NATO riversati in Kosovo nel giugno 1999, accompagnati dai dirigenti e dai combattenti dell'UCK, basato in Albania, sotto l'egida della risoluzione 1244 delle Nazioni Unite, tra gli altri, ha condannato gli atti "terroristici commessi da entrambe le parti "e" [ribadito] l'impegno di tutti gli Stati membri per la sovranità e l'integrità territoriale della Repubblica federale di Jugoslavia e degli altri stati della regione, secondo l’Atto finale di Helsinki e l'allegato 2". 
Gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO non avevano intenzione di rispettare la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite e hanno dimostrato il loro disprezzo per un documento che essi stessi avevano firmato, riarmando i combattenti del KLA, che per anni avevano aggredito, sequestrato e ucciso civili di tutte le etniche, e trasformando l'ex gruppo armato separatista nel Kosovo Protection Corps. 
La risoluzione 1244 delle Nazioni Unite ordinò espressamente che il KLA ed i suoi affiliati teppisti dovevano essere disarmati, ma le potenze della NATO hanno aggirato tale requisito con un gioco di prestigio, fornendo nuove uniformi, nuove armi e un nuovo nome all’UCK. Ma non un nuovo comandante. Chi è stato scelto per questo ruolo è stato Agim Ceku, comandante dell'esercito croato durante la brutale campagna dell’Operazione Tempesta del 1995: "la più grande offensiva terrestre europea dopo la seconda guerra mondiale" [1] - e capo di stato maggiore dell’UCK durante la guerra in comune con la NATO contro la Jugoslavia, quattro anni dopo. 
Incoraggiato dal sostegno militare dell'Occidente nel raggiungere il suo programma separatista, l'UCK ha scatenato i suoi affiliati contro il sud della Serbia e la Macedonia: l’Esercito di liberazione di Presevo, Bujanovac e Medveda nel primo caso, dal 1999, e l'Esercito di Liberazione Nazionale nel secondo, che nel 2001 ha iniziato gli attacchi all'interno della Macedonia, dalla sua base in Kosovo. 
Solo la capitolazione del governo della Serbia, dopo l'ottobre 2000 e un accomodamento simile, sotto pressione - pressione occidentale - del governo della Macedonia nel 2001, hanno soddisfatto le aspettative di molti estremisti armati pan-albanesi in entrambe le nazioni, dell'eventuale unificazione che attraversi i diversi confini nazionali, con il sostegno degli Stati Uniti e dei loro alleati della NATO. 
La conferma decisiva del sostegno occidentale è venuta nel febbraio 2008, con la dichiarazione unilaterale d’indipendenza delle forze separatiste in Kosovo. L'ex capo del KLA e protetto americano Hashim Thaci, allora Primo Ministro provvisorio, ha dichiarato la secessione dalla Serbia, e la maggior parte dei paesi della NATO si affrettò a gratificare l'entità illegale del riconoscimento diplomatico. 
Venti mesi dopo, oltre i due terzi del mondo, compresa la Russia, la Cina e l'India, non hanno legittimato col riconoscimento questo abominio, ma l'Occidente è rimasto fermo nel suo disprezzo per la legge e nel suo sostegno internazionale agli estremisti violenti in Kosovo, che hanno ambizioni più grandi verso l'intera regione, ambizioni incoraggiate dal sostegno consistente degli USA e della NATO, e dalla convinzione che l'Occidente continuerà questo supporto in futuro. 
L'Albania è oggi uno Stato membro della NATO e, come tale, è sotto la protezione della clausola relativa alla reciproca assistenza militare dell'articolo 5 della Alleanza, e gli appelli a una Grande Albania, a scapito della territorio di diversi altri paesi europei, sono diventati più forti e più aspri. 
In risposta alla crescente campagna per estendere il modello del Kosovo nella Serbia meridionale, in Macedonia, in Montenegro e anche in Grecia (Epiro), due mesi fa il Ministro degli affari esteri russo, Sergei Lavrov, ha ammonito le nazioni che considerano di riconoscere la statualità del Kosovo, consigliando loro di "pensarci molto attentamente prima di prendere questa decisione molto pericolosa, che può portare a risultati imprevedibili, e che non ha nulla di buono per la stabilità dell'Europa." [2] 
Nove giorni dopo, il Primo Ministro albanese Berisha ha affermato senza mezzi termini che "il progetto di unità nazionale di tutti gli albanesi dovrebbe essere un faro per i politici in Albania e in Kosovo." Ha detto con enfasi che, "l’Albania e il Kosovo non devono in alcun modo vedersi come degli Stati esteri."[3] 
Un commentatore russo ha risposto a questa dichiarazione affermando che "ogni tentativo di attuare l'idea di una Grande Albania è simile a quello dell’apertura del vaso di Pandora. Questo potrebbe destabilizzare la situazione nei Balcani e provocare un guerra sul continente, simile a quella della fine degli anni ‘90". [4] 
Parlando del "progetto di una cosiddetta Grande Albania, che abbraccia tutti i territori dei Balcani abitati da albanesi, compreso il Kosovo, parti della Macedonia, Montenegro e di molti altri paesi", l’analista politico russo Pyotr Iskenderov ha detto che "la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo e il riconoscimento di questo atto illegale da parte degli Stati Uniti e dei membri chiave dell'Unione europea, hanno stimolato la realizzazione dell'idea di una cosiddetta Grande Albania."[5] 
Anche il resto della Serbia ne è colpita – nella valle di Presevo nel sud della nazione, dove Serbia, Kosovo e Macedonia confinano - e, analogamente, la Grecia, se dobbiamo credere a un rapporto del 2001. All’epoca, Ali Ahmeti, il fondatore e comandante dell'UCK, e poi capo del National Liberation Army (DLA), che aveva cominciato a lanciare attacchi mortali contro la Macedonia, dalla sua base nella città di Prizren, in Kosovo, è stato indicato come capo glorioso dell’Esercito di Liberazione di Chameria, nella regione dell'Epiro, nel nord-ovest della Grecia, un esercito dotato di un impressionante arsenale di armi.
La bandiera nazionale introdotta dal febbraio 2008, contiene un profilo del Kosovo, con sei stelle bianche sopra di esso. Ciò che non è stato riconosciuto, per ovvi motivi, è che le stelle sono chiamate a rappresentare le nazioni con popolazione di etnia albanese come Kosovo, Albania, Serbia, Macedonia, Montenegro e Grecia. 
L'addestramento militare e la capacità di combattimento dei gruppi separatisti e irredentisti pan-albanesi sono aumentati ad un livello superiore, rispetto al passato, grazie ai grandi paesi della NATO. Nel marzo la Kosovo Force guidata dalla NATO (KFOR) ha cominciato a riorganizzare il Corpo di Protezione del Kosovo, che è una copertura dell'Esercito di liberazione del Kosovo, in un embrionale esercito nazionale, la Forza di Sicurezza del Kosovo, il cui capo di stato maggiore è il tenente generale [Generale di Corpo d’armata] Sylejman Selimi, in transizione diretta dal comando del Corpo di protezione del Kosovo. Un simpatico reportage dello scorso dicembre, ha descritto più precisamente la sua nuova posizione di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito della Repubblica del Kosovo. [6] 
La Forza di Sicurezza in Kosovo (FSK), come il Corpo di Protezione del Kosovo, prima che fosse vantato dai circoli occidentali come una presunta forza di polizia multietnica, non è né etnica, né una forza di polizia, ma un esercito alle prime armi, un esercito che il sedicente presidente del Kosovo, Fatmir Sejdiu, a giugno ha definito come "una forza moderna, che è costruita in conformità con gli standard della NATO". [7] 
Nello stesso mese, la NATO ha annunciato che l'esercito prototipo del Kosovo sarebbe stato pronto a settembre, e "che la NATO dovrebbe aumentare la sua capacità di monitoraggio all'interno del FSK, al fine di garantirne una migliore efficienza". [8]
Una precedente relazione del Kosovo ha dimostrato, inoltre, che le nuove forze armate dell'entità illegittima sarebbero niente più che un accessorio militare della NATO: "La forza di sicurezza deve essere addestrata da funzionari dell’esercito inglese, le divise sono state fornite dagli Stati Uniti ed i veicoli sono stati forniti dalla Germania. "La forza di sicurezza in Kosovo deve essere conforme agli standard della NATO." [9] 
A febbraio, per tale procedimento, l'Italia ha annunciato di voler donare 2 milioni di euro e la Germania avrebbe dato 200 veicoli militari per l'esercito. Il Comandante supremo alleato della NATO in Europa, al momento, il generale John Craddock, ha viaggiato per il Kosovo per iniziare la creazione della Forza di Sicurezza in Kosovo e ha visitato il campo nazionale di addestramento del FSK, a Vucitrn, un viaggio durante il quale ha detto: "Sono soddisfatto dei progressi fatti fino ad oggi. Alla fine della prima fase di reclutamento, abbiamo 4.900 candidati per 300 posti nell’FSK, in questa prima fase d’arruolamento.” [10]
Nel maggio di quest'anno, il Ministero della Difesa britannico ha firmato un accordo con le forze di sicurezza del neonato Kosovo, per "offrire una formazione ai membri del FSK in diverse aree, secondo gli standard della NATO." 
L'ambasciatore britannico in Kosovo, Andrew Sparks, avrebbe detto: "Ci auguriamo che dopo la firma di questo accordo e l'espansione della nostra cooperazione, il Kosovo riuscirà a diventare un membro della NATO." [11] 
Con i soldati albanesi cui la NATO ha portato l'esperienza delle zone di combattimento in Iraq e in Afghanistan, il nuovo esercito in Kosovo sarà, come le forze armate delle altre nuove nazioni della NATO, utilizzato per le guerre all'estero. Un esempio recente, ad agosto, il capo di stato maggiore generale della Macedonia, il tenente-colonnello generale Miroslav Stojanovski, "fa notare che più di un quarto dei componenti delle unità che del servizio combattente delle AMR (Forze Armate Macedoni), 1746 soldati, hanno partecipato alle missioni di pace", il che significa che sono stati dispiegati dalla NATO. [12] Ma finora sono stati uccisi più soldati macedoni, nel 2001, dalla National Liberation Army, una sigla del KLA, che quelli morti in Afghanistan e in Iraq.
Una relazione informativa del maggio scorso, fornisce ulteriori dettagli sull’ampiezza originale e sull’obiettivo a lungo termine del nuovo esercito in Kosovo: "Secondo la Costituzione della Repubblica del Kosovo, l'FSK dovrebbe essere formato da 3000 soldati, 2000 attivi e 1000 di riserva. Essi sono organizzati in base agli standard della NATO. C'è anche la possibilità del loro impiego all'estero, garantendo la situazione mondiale in futuro." [13] 
Quando il nuovo Segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, ha fatto la sua prima visita con tale carica, in Kosovo, nel mese di agosto, per incontrare il Comandante della KFOR, Giuseppe Emilio Gay, il presidente del Kosovo Fatmir Sejdiu, il primo ministro Hashim Thaci e il Ministro della Forza di sicurezza del Kosovo Fehmi Mujota, "il presidente del Kosovo, Fatmir Sejdiu, ha dichiarato che sperava che il Kosovo partecipasse alle operazioni per il mantenimento della pace della NATO all'estero." [14] 
L'Afghanistan è il primo schieramento apparente.
Sei anni prima, Agim Ceku aveva offerto truppe del Corpo di Protezione del Kosovo agli Stati Uniti, per la guerra e l'occupazione dell’Iraq, come corrispettivo per il mantenimento delle truppe NATO in Kosovo.
La NATO ha dispiegato in Afghanistan, i soldati di nazioni come la Georgia, Azerbaijan, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Finlandia, per l'addestramento al combattimento in condizioni realistiche, per poi utilizzarli a casa, una volta rientrati, come è stato ammesso apertamente da parte dei funzionari delle forze armate delle nazioni sopra menzionate. Molte migliaia di soldati provenienti dall’Albania e dal Kosovo, induriti dalle operazioni nella zona di guerra afgana, saranno le formidabili forze che combatteranno nei futuri conflitti nei Balcani. 
La distinzione tra le forze armate di Albania e del Kosovo, diventa in gran parte accademica. In agosto, il Primo Ministro albanese Berisha ha rilasciato una dichiarazione inequivocabile, secondo cui "l'idea di unità nazionale è fondata sui principi e gli ideali d'Europa .... Così è per il Primo Ministro del Kosovo Hashim Thaci, e io stesso lavoro per la rimozione di tutti gli ostacoli che impediscono agli albanesi di sentirsi uniti, a prescindere dal luogo in cui vivono", aggiungendo che "non dovrebbe esserci alcuna amministrazione doganale e l'Albania e il Kosovo non dovrebbero guardarsi come dei paesi stranieri..." [15] 
L'Albania è ora membro a pieno titolo della NATO, come l'alleanza stessa potrebbe essere chiamata a rispondere, se le autorità del Kosovo provocassero uno scontro con i vicini, come la Serbia, e insistendo nel dire che la Macedonia, l'Albania e il Kosovo non sono "stranieri". Se l'Albania interviene, in nome del suo "popolo fratello", in un conflitto militare con la non-opposizione dell'Alleanza, la NATO ne sarà coinvolta ipso facto. 
Nel mese di settembre, i ministri degli Esteri della Russia e della Romania hanno espresso serie preoccupazioni per quanto riguarda gli sviluppi relativi al Kosovo. La Romania è uno dei soli tre paesi membri della NATO che non ha riconosciuto l'indipendenza del Kosovo, gli altri sono la Spagna e la Slovacchia. Tutte e tre le nazioni sono preoccupate del fatto che il precedente del Kosovo contribuirà alla divisione armata del proprio paese. 
Il portavoce del ministero degli Esteri russo, Andrei Nesterenko, ha detto che un "significativo potenziale conflitto”, persisterà in Kosovo, e che si aspettava che i rappresentanti della comunità internazionale agiscano in modo imparziale, per evitare "ulteriori provocazioni anti-serbe".
Egli ha aggiunto che "gli eventi della provincia mostrano un significativo potenziale di conflitto resta, e che i più recenti scontri inter-etnici sono stati il risultato della volontà dei cittadini albanesi in Kosovo a comprimere, a tutti i costi, il territorio dell’etnia serba”, e che "In generale, il problema del Kosovo rimane uno dei problemi più gravi che affliggono la sicurezza regionale." [16] 
Per nulla intimidita, la NATO ha annunciato il 16 settembre, sul suo sito web della KFOR, che la "Kosovo Security Force” (FSK) ha acquisito la capacità operativa iniziale (IOC). "La decisione è stata presa dopo l'esercitazione ‘Lion Agile’, che è stato il culmine di poco più di sette mesi di duro lavoro della KFOR e della FSK nel reclutare, addestrare ed equipaggiare la forza. Il prossimo obiettivo dell’FSK è quello di raggiungere la piena capacità operativa. La KFOR controllerà e sosterrà questo processo, che dovrebbe richiedere da 2 a 5 anni." [17]
Il giorno prima, il nuovo ambasciatore USA in Kosovo, Christopher Dell, aveva firmato il primo accordo interstatale degli Stati Uniti con l'entità secessionista, dimostrando "l'impegno dell'America per un Kosovo indipendente", con Fatmir Sejdiu e Hashim Thaci. Il presunto presidente Sejdiu ha dichiarato, nell'occasione: "Questo accordo alza il livello di cooperazione tra il Kosovo e gli Stati Uniti, non solo attraverso vari organismi degli Stati Uniti e del Kosovo, come è stato fino ad ora." [18] 
Ciò che l'estensione del "Kosovo indipendente" suggerisce, è stato indicato alla fine di settembre, quando la polizia serba aveva scoperto un nascondiglio di armi di grandi dimensioni, nella vicina valle di Presevo, alla frontiera di Serbia-Kosovo-Macedonia, e che comprendeva "mitragliatrici, bombe, lanciarazzi, 16 bombe a mano e più di 20 mine e un grosso quantitativo di munizioni" [19], e più tardi, ai primi di ottobre, quando la polizia di frontiera macedone è stata "attaccata con armi automatiche, mentre pattugliava il confine con il Kosovo..." [20]. 
Ciò che può essere ugualmente nei depositi, è stato rivelato alla fine del mese scorso, quando la Germania ha espulso il primo dei 12.000 Rom (zingari) che rispedisce con la forza in Kosovo. Verso l'esclusione, le persecuzioni, gli attentati e la morte. I Rom che restano rischiano di morire nei rifugi, dove la missione dell’amministrazione provvisoria dell'ONU in Kosovo (UNMIK) li ha abbandonati, dopo l'assunzione del controllo della provincia da parte della NATO e dell'UCK, nel giugno 1999. 
"I campi, nei pressi di un complesso minerario e metallurgico chiuso, che ospita scorie di materiali tossici per 100 milioni di tonnellate, sono state considerate come una misura temporanea, dopo che un quartiere, che era stato la casa per 9000 zingari, è stato distrutto dagli albanesi, dopo che le forze di sicurezza serbe avevano lasciato la zona, negli ultimi giorni del conflitto in Kosovo, nel giugno 1999."[21] 
A poche settimane prima che la Russia aveva avvertito che sta valutando "fermare la missione dell'OSCE [Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa] in Kosovo istituito per proteggere i diritti delle comunità etniche inaccettabile". 
L'ambasciatore russo presso l'OSCE, Anvar Azimov, ha dichiarato: "Queste misure, sanzionate da nessuno, sono unilaterali e riguardano l'attività complessiva del mandato di questa missione." [22] 
Il 5 Settembre, un notiziario serbo ha riferito che più di 200000 rifugiati provenienti dal Kosovo sono stati registrati in Serbia, comprese l'etnia serba, Rom, Gorani e altri non-albanesi. Questo numero non comprende coloro che non erano iscritti, coloro che erano fuggiti in altri paesi, come la Macedonia, e quelli cacciati dalle loro case, ma rimasti in Kosovo. 
Negli ultimi dieci anni, centinaia di migliaia di abitanti del Kosovo, anche di etnia albanese, sono stati uccisi e cacciati dalla provincia. Organizzazioni Rom hanno stimato che il numero di rom, ashkali ed egiziani colpiti arriva alle sei cifre. Serbi, Gorani, turchi, bosniaci, montenegrini e altre vittime del terrore razziale e dello sterminio in Kosovo si contano anche loro a centinaia di migliaia. 
I media occidentali hanno detto regolarmente, ormai da dieci anni, che il Kosovo è per il 90 per cento di etnia albanese. Potrebbe anche essere il caso adesso, dopo un provvedimento del genere su larga scala, ma le cifre di cui sopra confutano che fosse così in precedenza, in una provincia di non più di due milioni di abitanti. 
Dopo la prima dichiarazione del Primo Ministro albanese, che il suo paese e il popolo del Kosovo e il suo sono uno solo, il ministro degli Affari esteri della Russia, Sergei Lavrov, ha emesso una condanna su tale dichiarazione e sul forte coinvolgimento dell’occidente: "Siamo molto preoccupati dalla dichiarazione del Primo Ministro dell'Albania. Riteniamo che ci dovrebbero essere risposte adeguate alla dichiarazione - in primo luogo, dall'UE e anche dalla NATO. Non abbiamo avuto tali reazioni. Ci auguriamo che, nonostante il fatto che non ci siano dichiarazioni pubbliche provenienti dalle capitali europee, i negoziati con le autorità albanesi siano in corso.” [23]
"Mosca è preoccupata per le dichiarazioni di Tirana sull'’unità essenziale di tutti gli albanesi'."[24] 
A meno che i commenti di Lavrov siano state rigorosamente retoriche, si dovrà aspettare molto tempo prima che i leader di Stati Uniti, NATO e UE facciano qualche dichiarazione, molto meno critiche, sulle affermazioni di Berisha e delle sue controparti in Kosovo e in Macedonia, per una unica Grande Albania (o Grande Kosovo). Le nazioni della NATO hanno armato, addestrato e dotato di supporto logistico l'Esercito di Liberazione del Kosovo, nella sua guerra contro le forze di sicurezza serbe e jugoslave alla fine degli anni ‘90, sono entrati fianco a fianco con l’UCK in Kosovo e l’hanno istituzionalizzato come Corpo di Protezione del Kosovo, nello stesso anno; hanno sottratto l’Esercito di liberazione nazionale da una pesante sconfitta da parte dell'esercito macedone, nel 2001; l’hanno ricreato quest’anno, come nucleo di un futuro esercito nazionale del Kosovo, la Forza di Sicurezza nel Kosovo, e l’anno scorso hanno riconosciuto la dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo, guidata dal ex leader del KLA, Hashim Thaci. 
Non vi è alcuna ragione di credere che Washington e Bruxelles abbandoneranno ora i loro clienti e il loro progetto di sovversione e mutilazione di quattro paesi confinanti, per creare un esteso super-stato Albania-Kosovo etnicamente pulito, in preda alla criminalità, mentre quest'ultimo si avvicina alla sua attuazione. 
Il 6 ottobre, Berisha è stato a Pristina, capitale del Kosovo, "a firmare una serie di accordi. Secondo [Berisha], il suo governo lavorerà per completare i progetti di infrastruttura che prevedono l'unificazione dei sistemi economici di Albania e Kosovo, la creazione di vie di comunicazione per il trasporto merci e prevede la migrazione economica della popolazione.” [25] 
Un rapporto di fonte italiane della visita, ha detto che "l'Albania ha anche ceduto al Kosovo il porto adriatico di Shendjin (Shengjin), dando ak nuovo Stato indipendente uno sbocco sul mare". [26] 
Nelle parole di Berisha, "il porto di Shengjin è ora l’accesso sul Mare del Kosovo." [27] L'accesso al mare Adriatico che la Serbia non ha più dal crollo dell'Unione di Serbia e Montenegro, di tre anni fa. 
La sua controparte, l’ex capocosca Hashim Thaci, ha fatto eco alla dichiarazione precedente del suo invitato, dicendo: "Gli albanesi vivono in molti paesi, ma siamo una nazione. I paesi della regione hanno due paesi amici nel Kosovo e nell’Albania, paesi partner per la cooperazione, la pace e la stabilità degli investimenti nella regione e per l'integrazione europea". [28] 
Il primo ministro albanese è stato citato, sul sito web del Presidente del Kosovo, il 7 ottobre, promettendo che "l'Albania dovrà assistere il Kosovo in ogni modo possibile. L’Albania è determinata a rinnovare, nel modo più veloce possibile, tutte i suoi collegamenti infrastrutturali con il Kosovo. Nei prossimi quattro anni, la costruzione dell’autostrada Qafe Morine-Scutari è stata completata e darà al Kosovo occidentale un veloce accesso al mare l'anno prossimo, il mio governo attuerà uno studio di fattibilità per sviluppare il progetto di una ferrovia Albania-Kosovo. Molte altre linee ed infrastrutture sono e saranno costruite.” [29]
Berisha ha incontrato anche il comandante della Kosovo Force (KFOR), il tenente generale tedesco Markus Bentler e ha detto: "Le truppe albanesi potrebbero far parte della KFOR", prima di deporre una corona sulla tomba di Adem Jashari, il primo comandante del KLA. [30]
Il giorno prima della riunione Berisha-Thaci a Pristina, l’accomodante governo del presidente serbo Boris Tadic e del ministro degli Esteri, Vuk Jeremic, si sono dichiarati concordi sulle ragioni per cui le intenzioni della NATO e le intenzioni della comunità Pan-albanese nella regione hanno incontrato poca opposizione. Jeremic, pur dichiarando nella forma che la sua nazione non aderirà alla NATO, nel futuro immediato, (anche se ha aderito al programma di transizione del Partenariato per la Pace) ha dichiarato: "Continuiamo la stretta collaborazione, perché che la NATO è il fattore più importante per garantire la sicurezza nel mondo". 
Un sito d’informazioni russo, riferendo di questa affermazione, ha ricordato ai suoi lettori che "nel 1999 le forze aeree della NATO hanno bombardato Belgrado e altre città della Serbia, per sostenere il separatismo albanese in Kosovo. E più di 3000 serbi sono morti e decine di migliaia di persone sono state ferite. La NATO promuove anche la separazione del Kosovo dalla Serbia..." [31]
Alla fine del mese scorso l'ammiraglio statunitense James Stavridis, capo del Comando Europeo degli USA e Comandante supremo alleato della NATO in Europa, ha partecipato alla riunione sulla Carta Atlantica, che Washington ha firmato con l'Albania, Macedonia, Croazia, Bosnia e Montenegro nel 2003,  di fatto tutti i Balcani, per prepararli all’adesione alla NATO. Stavridis, poi, è partito per la Croazia, per supervisionare le manovre militari multinazionali ‘Jackal Stone 09’, il cui scopo è "migliorare con successo le capacità dei partecipanti nel condurre operazioni di contro-insurrezione." 
Co-organizzato dallo Special Operations Command Europe degli Stati Uniti, il comandante di quest'ultimo, il generale Frank Kisner, ha elogiato il successo di tale operazione: "Questa programmazione ininterrotta ha riunito i rappresentanti di 10 nazioni e ha permesso loro di eseguire efficacemente una moltitudine di compiti in aria, terra e mare.” [32] 
‘Jackal Stone 09’ è stata la prima esercitazione militare condotta in Croazia, dopo la sua adesione alla NATO, all'inizio di quest'anno. Funzionari degli Stati Uniti e della NATO hanno ripetutamente detto che dopo la Croazia e l'Albania, la Macedonia, la Bosnia e il Montenegro saranno i primi a divenirne membri a pieno titolo, e che la Serbia e il Kosovo sarebbero stato i prossimi. 
Il 2 ottobre, la Bosnia ha presentato al Segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, una richiesta formale per un piano d'azione d'adesione alla NATO; una domanda de facto per una piena adesione. Rasmussen ha detto, "Credo che questa domanda sia la strada migliore per una stabilità durevole nell'area euro-atlantica. E’ la mia visione, vedere tutti i paesi dei Balcani occidentali integrarsi nella NATO." [33] 
La NATO ha usato vari pretesti per l’intervento militare nei Balcani, nel corso degli ultimi quindici anni, molte di queste scuse erano contraddittorie, come il Kosovo contro la Repubblica serba di Bosnia e con il Kosovo nel suo insieme contro il nord di Kosovska Mitrovica. La sua intenzione, tuttavia, non è cambiata e rimane: assorbire ogni nazione e pseudo-nazione della regione nei suoi ranghi, e reclutare nuovi membri e partner per le sue guerre più lontane. 
Il separatismo armato è stato lo strumento utilizzato per avviare la distruzione della Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia nel 1992, un processo che ha frammentato questa nazione nelle sue sei repubbliche costituenti quella federale, e nel caso del Kosovo, una provincia strappata a un’ex-repubblica. 
Ma la revisione dei confini nazionali, con le perturbazioni e le violenze che comporta inevitabilmente, non è completa. 
Il Kosovo è senza dubbio un vaso di Pandora, in fondo a cui non ci attende, necessariamente, la speranza. Resta una scintilla potenziale, in grado di aumentare il pericolo, come osservato in precedenza, di "destabilizzare la situazione nei Balcani e di scatenare una guerra sul continente, simile a quella della fine degli anni ‘90". 

 
Note
1) Wikipedia
2) Black Sea Press, August 6, 2009
3) Voice of Russia, August 20, 2009 3
4) Ibid
5) Ibid
6) New Kosova Report, December 20, 2009
7) Kosovo Times, June 9, 2009
8) Kosovo Times, June 8, 2009
9) Kosovo Times, May 27, 2009
10) NATO, Supreme Headquarters Allied Powers Europe, February 18, 2009
11) Southeast European Times, May 21, 2009
12) Makfax, August 17, 2009
13) New Kosova Report, May 20, 2009
14) Focus News Agency, August 13, 2009
15) Sofia News Agency.
16) Tanjug News Agency, September 4, 2009
17) NATO, Kosovo Force, September 16, 2009
18) Beta News Agency, September 15, 2009
19) Tanjug News Agency, September 23, 2009 
20) Makfax, October 2, 2009
21) Washington Times, May 3, 2009
22) FoNet, September 11, 2009
23) Russia Today, October 5, 2009
24) Voice of Russia, October 6, 2009
25) Ibid
26) ADN Kronos International, October 6, 2009
27) B92, October 6, 2009
28) B92, Beta News Agency, Tanjug News Agency, October 6, 2009
29) President of the Republic of Kosovo, October 7, 2009
30) Beta News Agency, October 7, 2009


DECADENTISMO ITALIANO, ANZI BARATRO



VIOLENZA

Casapound esalta i picchiatori con un manifesto: «Faremo tutto a pezzi»
Affisso per le strade dell'Esquilino

ROMA - «Faremo sistematicamente tutto a pezzi solo per il gusto di farlo», per «esaltare il gesto gratuito, violento e sconsiderato». «Urgono fratture», perciò serve il picchiatore che «dispensa virtù» Sono alcuni dei passaggi di un agghiacciante manifesto comparso sui muri del quartiere Esquilino, intitolato «Il manifesto del turbodinamismo». Lo stile del documento, un testo in 10 punti con una grafica scarna e la scritta «avviso» in testa, richiama quella delle comunicazioni al popolo del regime fascista degli anni Trenta e Quaranta. Il turbodinamismo che, recita il primo punto del documento, intende «esaltare il gesto gratuito, violento e sconsiderato, con deferenza e riguardo al vestirsi bene", viene presentato come un movimento artistico-letterario che si rifà al futurismo, nato da una costola dell’organizzazione di estrema destra Casapound.

ESALTATI - Il testo si ritrova anche sul sito del cosiddetto ideodromo, il pensatoio del movimento, dove compaiono documenti intitolati «Come appiccare un incendio», in una sezione dedicata, tradotto in cinque lingue. Tra i documenti collegati compare il «manuale del fanatico emulatore», che spiega come diventare «turbodinamisti». Due i capitoli: «colpisci più forte che puoi» e «questa città ti appartiene». Pochi dubbi lascia il testo, esaltando il ruolo dei picchiatori: «il menatore», spiega, «dispensa virtù», al contrario del «teppismo di facciata». «Contro l’ansia da air-bag delle vostre mura imbottite - recita un altro punto, in tono goliardico - noi esaltiamo le suture e l’ortopedia, il pronto soccorso e maxillo-facciale, poiché urgono fratture per flirtare con le infermiere. Siamo stufi di sentir cantare le vittime e i reietti, di veder glorificate profezie desertiche: rivendichiamo quel certo stile necessario ad appiccare un incendio». Il movimento è stato inaugurato da Casapound il 29 marzo scorso, con l’affissione di decine di manifesti che celebravano Robert Brasillach, uno scrittore e critico cinematografico francese, che durante la seconda guerra mondiale espresse la sua forte simpatia per il nazismo. Il 15 giugno poi i militanti del turbodinamismo hanno allestito una esposizione, affiggendo alcune gigantografie su un muro di Trastevere nei pressi di Piazza Trilussa, «in spregio - spiegava il comunicato degli organizzatori - ai musei, alle astrazioni intellettuali, all’esibizione artistica che affoga nel pigro compiacimento».


12 ottobre 2009


(si veda: http://www.ideodromocasapound.org/index.php?option=com_content&view=article&id=98&Itemid=127 )




IL BOSCO DOPO IL MARE. Partigiani italiani in Jugoslavia, 1943-1945


"Obbedire non è una virtù, soprattutto quando la storia obbliga tutti indistintamente a prendere delle decisioni individuali.  Giacomo Scotti ci racconta una storia apparentemente piccola ma emblematica di italiani che hanno scelto di entrare nelle file partigiane jugoslave titine, un risveglio di coscienza che ha trasformato degli occupanti in liberatori. Pagine apparentemente lontane di resistenza ma che in modo inquietante ci interrogano ancor oggi sulla nostra capacità di scegliere con la nostra testa, senza credere che gli eventi siano ineluttabili. Ne parliamo con l'autore (a sua volta partito dalla campagna napoletana per diventare jugoslavo nel 1947), cercando insieme di riannodare i fili della memoria senza aver paura delle tragedie che essa riserva.

Il bosco dopo il mare, di Giacomo Scotti (Infinito Edizioni, 2009)


Giovedì, 15 Ottobre, 2009 - 21:30

La Scighera, Milano, via Candiani 131, nel cuore del quartiere Bovisa.

Ingresso libero con tessera ARCI





BIRN

Kosovo : bientôt une statue de Bill Clinton à Pristina


Traduit par Jacqueline Dérens
Mise en ligne : samedi 26 septembre 2009

Pristina possédait déjà un boulevard Bill Clinton, orné d’un immense portrait de l’ancien Président américain... Une association privée a entrepris d’édifier une statue en bronze du grand homme, en signe de « remerciement » pour l’engagement des USA. L’américanophile demeure toujours très forte chez les Albanais du Kosovo.

Par Shepa A.Mula


Agim Rexhepi, responsable de l’association « Les Amis des USA », qui a déjà été à l’initiative de plusieurs événements visant à remercier les USA pour leur soutien au Kosovo, explique que la statue va bientôt être installée sur le Boulevard Bill Clinton à Pristina : « Nous voulons montrer que nous sommes capables d’organiser et de coordonnera la tenue d’un événement de cette importance en coopération avec la société civile et les institutions gouvernementales ».


Bill Clinton est considéré comme un héros par les Albanais du Kosovo après avoir apporté son soutien à l’intervention de l’Otan en 1999.

Agim Rexhepi a expliqué que l’idée de faire une statue de Bill Clinton était venue du sculpteur Izeir Mustafa, dès la fin du conflit. Une banque commerciale lui a fourni l’aide financière nécessaire.

Après plusieurs vaines tentatives pour obtenir la permission d’ériger la statue dans la ville, Izir Mustafa s’est rapproché des Amis des USA. Cette démarche a été accueillie à bras ouverts et le projet est devenu la priorité de l’association. « Nous avons décidé de l’aider parce qu’il était très découragé et nous avons pu nous assurer de l’emplacement de la statue », explique Agim Rexhepi.

En 2007, les Amis des USA ont obtenu l’autorisation de la municipalité de Pristina d’utiliser le terrain qui se trouvait sous une grande affiche portant le portrait de Bill Clinton suspendue à un immeuble sur le Boulevard Bill Clinton.

Après avoir obtenu le soutien de la municipalité et du gouvernement, il a encore fallu batailler pour venir à bout du projet, précise Agim Rexhepi qui affirme que le projet est maintenant dans sa phase finale.

« Le gouvernement nous a donné 30.000 euros pour le financement de l’inauguration qui sera un grand événement à cause de tout ce que Bill Clinton a fait pour nous ». Agim Rexhepi aurait même reçu des signaux positifs de l’entourage de l’ancien président des USA sur une possible présence de Bill Clinton à l’inauguration.

« Il a reçu une invitation officielle du gouvernement et, encore plus important, une invitation du peuple du Kosovo qui n’oubliera jamais ce qu’il fait pour nous ».

La date officielle pour l’inauguration n’est pas encore annoncée car Bill Clinton doit confirmer sa venue à Pristina, mais Agim Rexhepi espère que la cérémonie pourra avoir lieu prochainement.

La statue fait six mètres de haut avec son socle. Bill Clinton tient dans ses mains le document du 24 mai 1999, qui autorise l’entrée des troupes américaines au Kosovo.

Pour le moment, la statue se trouve encore à Tirana où on lui applique un revêtement de bronze.

Le terrain autour de la statue sera transformé en square avec des arbustes et des bancs pour les promeneurs.




Ne nascano altri cento

La scomparsa di Giuseppe Antonini, il comandante partigiano "Andrea", ci colpisce profondamente. Recentemente suo figlio Riccardo ci aveva parlato della vitalità di Giuseppe e del suo persistente impegno antifascista, incessante anche in età molto avanzata. Durante l'occupazione nazista Giuseppe era stato prima testimone dei crimini orrendi degli occupatori e dei loro complici repubblichini, poi protagonista, da comandante della brigata Ugo Muccini, della Resistenza nella Versilia e nelle Alpi Apuane. La memoria e lo spirito combattente che "Andrea" ha trasmesso alle generazioni più giovani hanno dato e continueranno a produrre i loro frutti preziosi. In particolare al figlio Riccardo, nostro compagno nelle odierne battaglie antifasciste e antirazziste (*), va la nostra affettuosa vicinanza in questo frangente.

Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus

Link consigliati:



COMUNICATO del sindacato ZASTAVA sulla FIAT


Da: "JSO Zastava" <jsozastava @ nadlanu.com>
Data: 08 ottobre 2009 12:15:11 GMT+02:00


Con riferimento agli articoli recentemente pubblicati nei giornali italiani tra i quali l’articolo del 25 settembre 2009 (quotidiano La Stampa – Fiat sbarca a Belgrado con la nuova low cost [riprodotto in fondo a questo messaggio]) il Sindacato Zastava comunica:
• Fino ad oggi la Fiat non ha versato nemmeno 1 euro dell’ investimento previsto dal Contratto.
• Azienda Fiat Auto Serbia (ufficialmente costituita) non ha ancora assunto lavoratori.
• La vettura Punto viene assemblata a Kragujevac con i particolari di produzione italiana, quindi non si tratta di produzione ma di assemblaggio.
• Per ogni vettura Punto venduta, la Zastava guadagna 722 euro che servono per coprire parte delle spese di produzione (energia, fluidi, vernici ecc.) e la parte dei salari (salario medio nella Fabbrica Zastava Auto 300 euro), il resto viene sovvenzionato dal governo serbo. 



Di seguito riportiamo la traduzione dell’articolo [ Srecan rodjendan, dragi "Fiate": https://www.cnj.it/documentazione/FiatOktobar2009.pdf ] pubblicato il 24.09.2009. nel quotidiano Politika, il più diffuso in Serbia:

BUON COMPLEANNO CARA FIAT

Per la Zastava e la Serbia non ci sono molti motivi per la festa. Per la Fiat invece si 

Nenad Popovic
Presidente del Consiglio economico, Partito democratico serbo

La settimana prossima sarà un anno dalla costituzione formale della Fiat Automobili Serbia, uno dei progetti più pubblicizzati del governo attuale, progetto che doveva riavviare l’industria automobilistica in Serbia. Tale progetto è „il prediletto“ e la speranza più grande degli esperti economici del governo attuale.
La sua realizzazione viene rappresentata come l'investimento straniero più grosso nel settore industriale con un versamento iniziale da parte della Fiat pari a circa 700 milioni di euro. Hanno annunciato la produzione di 200.000 unità all’anno e l'esportazione di oltre 1 miliardo di euro entro il 2011. Si prevedeva lavoro per almeno 10.000 disoccupati e Kragujevac è stata denominata Detroit serba.
Il primo compleanno è la bella occasione in cui in una atmosfera piacevole si incontrano le persone e si fanno auguri reciproci per il successo comune. Temo che questa avrà caratteristiche un po' diverse. Non c’è motivo per festeggiare perchè non possiamo dimenticare che la Fiat entro il 31 marzo dell’anno corrente doveva versare 200 milioni del capitale iniziale, che l’anno prossimo doveva partire la produzione del modello nuovo, e che 2.433 lavoratori già da sei mesi dovevano essere assunti dall’azienda nuova.
Che cosa c’è da festeggiare? Festeggiamo il fatto che abbiamo lo stesso prodotto con un nome diverso, assemblato con pezzi importati? Oppure il fatto che tutta la produzione viene eseguita sugli impianti che la Zastava aveva pagato 14 milioni di euro tre anni fa invece di lavorare sulle attrezzature che la Fiat aveva promesso di portare a Kragujevac? Forse festeggiamo perchè abbiamo rinunciato alla licenza per la produzione della „Zastava 10“ la quale abbiamo pagato tre milioni di euro tre anni fa, fino al punto di rinunciare al 50 percento del guadagno sul modello attuale a favore della Fiat? Forse festeggiamo perchè i salari ai lavoratori ancora vengono pagati dal budget, perchè rinunciando alla tradizione che dura da un decennio forse potremmo attirare una maledizione sul budget che così potrebbe scivolare in deficit o qualcosa di simile? Forse festeggiamo perchè 20.000 fornitori della Zastava sono rimasti senza lavoro mentre i fornitori della Fiat lavorano a piena capacità? Forse festeggiamo perchè abbiamo un'altra zona franca per cui, oltre a tutti i favori fatti per la Fiat, la Serbia rinuncerà anche alle tasse doganali e dazi relativi alle attività della Fiat? Per la Zastava e per la Serbia non ci sono troppi motivi per la festa.
Per la Fiat invece si. In base al contratto redatto dagli esperti socioeconomici del governo attuale, il produttore italiano, pur non avendo investito nemmeno un euro della somma promessa, ha un guadagno significativo. La Fiat ha il profitto garantito del 10 percento per ogni vettura venduta, e siccome sugli impianti esistenti a Kragujevac vengono assemblate 2.000 vetture al mese possiamo facilmente calcolare che la Fiat in un anno incasserà circa 17 milioni di euro. Tenendo presente che di tale entrata vengono retribuiti solo i salari per i 35 managers della Fiat residenti a Kragujevac, quasi l'intera entrata si può ritenere profitto. Tutte le spese di produzione sono sostenute dalla Zastava e dallo Stato, la Zastava paga mano d’opera e bolle alla città di Kragujevac mentre lo Stato dal budget paga i contributi per i lavoratori più 10 milioni di euro all’anno per le sovvenzioni per l’acquisto per la vettura Punto.
Nessuno in Serbia dovrebbe essere contento per l’insuccesso del governo relativamente a tale progetto. A me personalmente dispiace perchè un'idea bella che poteva trasformarsi in un progetto efficace (se il Contratto si fosse realizzato in modo professionale e responsabile) si è consumata, e perchè invece di essere utile per lo Stato e per i cittadini serbi è diventata il sinonimo l’imbroglio più grosso di questo governo dall’inizio del suo mandato.


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La Stampa 
venerdì 25 settembre 2009, pagina 33

Fiat sbarca a Belgrado con la nuova low cost

Emanuele Novazio
inviato a Belgrado

IL PROGETTO AL VIA IN UN MESE, PRODUZIONE IN DUE ANNI  - Il 13 novembre sarà presentato a Torino il prototipo del nuovo modello 

Fra cinque-sei settimane partirà il progetto per la produzione di un nuovo modello Fiat negli stabilimenti serbi di Kragujevac - dove già si produce la Punto Classic - probabilmente una city car low cost, con un investimento dii 800 milioni di euro. Lo ha annunciato a Belgrado il ministro dell'Economia e vice primo ministro serbo Mladjan Dinkic, intervenendo all'apertura del Forum sugli investimenti in Serbia insieme col vice ministro allo Sviluppo economico Adolfo Urso. La produzione comincerà fra un paio d'anni. Dinkic ha aggiunto che sarà a Torino insieme al presidente serbo Boris Tadic il 13 novembre «su invito dell'ad Fiat Sergio Marchionne per la presentazione del nuovo modello». Lo stesso giorno si svolgerà a Roma il primo vertice intergovernativo italo-serbo.

Il progetto favorirà un forte sviluppo dell'indotto. Urso e Dinkic hanno firmato un accordo che prevede incentivi per gli investimenti in Serbia da parte dell'industria automobilistica italiana. «L'intesa con la Fiat è di straordinario interesse per l'Italia e l'economia serba. Quella sull'indotto consente un ulteriore salto di qualità», ha commentato Urso. In Italia fanno capo all'indotto auto circa 300 aziende, con 350 mila occupati:

Undici le imprese interessate a investimenti in Serbia: Magneti Marelli, Sigit, Delphi, Proma, Sbe, Adler, Toscana Gomma, Faurecia, Lear, Johnson Controls e Axcent. Chi investe riceverà dal governo serbo fra i 4 e i 5000 euro per ogni nuovo posto di lavoro; se l'investimento sarà superiore a 8 milioni e darà lavoro a più di 100 persone, per un certo periodo non si pagheranno tasse. Belgrado garantirà inoltre il terreno gratis per gli impianti. Intese simili riguarderanno altri settori, dal tessile al calzaturiero, dall'arredamento all'agroalimentare.

La Serbia, riassume Urso, «ha tutte le condizioni per diventare la piattaforma produttiva dell'industria dell'auto italiana al fine di penetrare nella regione». La Serbia, fa eco Dinkic, offre molti vantaggi: è l'unico Paese dei Balcani ad avere un regime di libero scambio con gli altri Stati dell'ex Jugoslavia, la Turchia, la Russia e la Bielorussia. Chi produce in Serbia può esportare senza pagare dazi verso questi Paesi, un mercato di 800 milioni di persone. Il regime esentasse non è valido, nell'auto, per la Russia: ma, ha precisato Dinkic, sono in corso trattative con Mosca.

http://rassegna.governo.it/rs_pdf/pdf/NHL/NHLTX.pdf




Rick Rozoff


Europe may be perched above the precipice of its first armed conflict since NATO's 78-day bombing war against Yugoslavia in 1999 and the resultant armed invasion of Macedonia from NATO-occupied Kosovo two years later.

With the formal accession of Albania into full NATO membership this April and the subsequent reelection victory (at least formally) of the nation's prime minister Sali Berisha, the stage is set for completing the project of further redrawing the borders of Southeastern Europe in pursuit of a Greater Albania.

Preceding steps in this direction were the U.S.'s and NATO's waging war against the Federal Republic of Yugoslavia a decade ago on behalf of and in collusion with the so-called Kosovo Liberation Army (KLA), a criminal violation of international law that terminated in the Serbian province of Kosovo being wrested from both Serbia and Yugoslavia.

50,000 NATO troops poured into Kosovo in June of 1999, accompanied by KLA leaders and fighters based in Albania, under the auspices of United Nations Resolution 1244 which among other matters condemned "terrorist acts by any party" and "Reaffirm[ed] the commitment of all Member States to the sovereignty and territorial integrity of the Federal Republic of Yugoslavia and the other States of the region, as set out in the Helsinki Final Act and annex 2."

The U.S. and its NATO allies had no intention of abiding by the provisions of UN Resolution 1244 and demonstrated that contempt for a document they themselves had signed by rearming KLA fighters, who for years had attacked, abducted and murdered civilians of all ethnic backgrounds, and transforming the erstwhile armed secessionist group into the Kosovo Protection Corps.

UN Resolution 1244 expressly dictated that the KLA and affiliated underworld gangs were to be disarmed, so the NATO powers circumvented that demand by the sleight of hand maneuver of providing the KLA with new uniforms, new arms and a new name. But not a new commander. Chosen for that role was Agim Ceku, commander in the Croatian army during the brutal Operation Storm campaign of  1995 - "the largest European land offensive since World War II" [1] - and the chief of staff of the KLA during its joint war with NATO against Yugoslavia four years later.

Emboldened by Western military support in achieving its separatist agenda, the KLA unleashed affiliate groups against southern Serbia and Macedonia: The Liberation Army of Presevo, Medveda and Bujanovac in the first case from 1999 onward and the National Liberation Army in the second, which started attacks inside Macedonia from its base in Kosovo in 2001.

Only the capitulation of the government of Serbia after October of 2000 and a similar bowing to pressure - Western pressure - by the government of Macedonia in 2001 satisfied long-term expectations by pan-Albanian armed extremists in both nations for eventual unification across several national borders with the backing of the U.S. and its NATO allies.

The decisive confirmation of Western support came in February of 2008 with the unilateral declaration of independence by separatist forces in Kosovo. The former head of the KLA and American protege Hashim Thaci, by then nominal prime minister, proclaimed secession from Serbia and most all NATO nations fell over each other to grant the illegal entity formal diplomatic recognition.

Twenty months later over two-thirds of the world's nations, including Russia, China and India, have not legitimized this abomination through recognition, but the West has held steadfast in its contempt for international law and support for violent extremists in Kosovo who have broader ambitions for the entire region, ambitions emboldened by consistent support from the U.S. and NATO and the conviction that the West will continue that backing in future.

With Albania now a full NATO member state and as such under the protection of the Alliance's Article 5 mutual military assistance clause, calls for a Greater Albania at the expense of the territory of several other European nations have grown louder and more unrelenting.

In response to the mounting campaign for extending the Kosovo model to southern Serbia, Macedonia, Montenegro and even Greece (Epirus), two months ago Russian Foreign Minister Sergei Lavrov admonished nations considering recognizing Kosovo's statehood to "think very carefully before making this very dangerous decision that has an unforeseeable outcome and is not good for stability in Europe." [2]

Nine days later Albanian Prime Minister Berisha bluntly stated that "the national unity for all Albanians project should be a guiding light for politicians in Albania and Kosovo." He insisted that "Albania and Kosovo must under no circumstances consider each other as foreign states." [3]

A Russian commentator responded to this pronouncement by warning that "Any attempt to implement the idea of Greater Albania is similar to the reopening of a Pandora's Box. This could destabilize the situation in the Balkans and unleash a war on the continent, similar to that of the late 1990s." [4]

Speaking of the "so-called Greater Albania project that embraces all territories in the Balkans where ethnic Albanians live, including
Kosovo, some areas of Macedonia, Montenegro and several other countries," Russian political analyst Pyotr Iskenderov said that "the declaration of Kosovo independence and the recognition of this illegal act by the US and leading members of the European Union have stimulated the implementation of the idea of so-called Greater Albania." [5]

The remainder of Serbia is also affected - the Presevo Valley in the nation's south where Serbia proper, Kosovo and Macedonia meet - and so is Greece if a report of 2001 is to be credited. At that time Ali Ahmeti, founder and commander of the KLA and then leader of the National Liberation Army (NLA) that had begun deadly attacks against Macedonia from its base in the Kosovo city of Prizren, was reported to have boasted of a Liberation Army of Chameria in the northwestern Greek region of Epirus, one equipped with an impressive arsenal of weapons.

The national flag introduced after February 2008 contains an outline of Kosovo with six white stars above it. While for obvious reasons not acknowledged, the stars are assumed to represent nations with ethnic Albanian populations: Kosovo, Albania, Serbia, Macedonia, Montenegro and Greece.

The military training and combat readiness of pan-Albanian separatist and irredentist groups is being augmented on a larger scale than ever before by leading NATO nations. This March the NATO-led Kosovo Force (KFOR) began revamping the Kosovo Protection Corps, itself an avatar of the Kosovo Liberation Army, into an embryonic national army, the Kosovo Security Force, whose Chief of Staff is Lieutenant General Sylejman Selimi, seamlessly transitioning from commander of the Kosovo Protection Corps. A sympathetic news report of last December described his new post more accurately as the Chief of Staff of the Republic of Kosovo Army. [6]  

The Kosovo Security Force (KSF) like the Kosovo Protection Corps before it is touted in Western circles as an alleged multi-ethnic police force; it is neither multi-ethnic nor a police force, but a nascent army, one which self-proclaimed Kosovo President President Fatmir Sejdiu last June characterized as "a modern force being build in accordance with NATO standards." [7]

In the same month NATO announced that the prototype Kosovo army would be ready by September and "that NATO should increase its monitoring capacities inside the KSF in order to ensure the best capacity building for the KSF." [8]

An earlier report from Kosovo also demonstrated that the new armed forces of the illegitimate entity would be nothing other than a NATO military adjunct: "The security force is to be trained by British army officers, uniforms have been supplied by the United States and vehicles have been supplied by Germany.

"The Kosovo Security force is to be in line with NATO standards." [9]

In February Italy announced that it would donate 2 million euros and Germany that it would give 200 military vehicles for the army in progress. NATO Supreme Allied Commander Europe at the time, General John Craddock, traveled to Kosovo to launch the creation of the Kosovo Security Force and visited the KSF National Training Camp in Vucitrn, during which trip he said "I am satisfied with the progress to date. At the end of the first recruiting phase we have some 4,900 applicants seeking about 300 KSF positions in this first recruiting tranche." [10]   

In May of this year the British Defense Ministry signed an agreement with the fledgling Kosovo Security Force to "provide training to KSF members in different fields according to NATO standards."

British Ambassador to Kosovo Andrew Sparks was quoted as saying "We hope that after signing this agreement and expanding our co-operation, Kosovo will manage to become a NATO member." [11]

Like troops from Albania for which NATO has provided combat zone experience in Iraq and Afghanistan, Kosovo's new army will like other new NATO nations' armed forces be used for wars abroad. As a recent example, in August the Head of the General Headquarters of Macedonia, General Lieutenant Colonel Miroslav Stojanovski, "pointed out that over a forth of the composition of battle service units of the AMR (Macedonian Armed Forces) or 1,746 soldiers participated in peace missions," meaning NATO deployments. [12] Though more Macedonian soldiers were killed in 2001 at the hands of the KLA's National Liberation Army offshoot than have died to date in Afghanistan and Iraq.

A news report this past May provided more details on the initial scope and long-term purpose of the new Kosovo army: "According to the Constitution of the Republic of Kosovo, the KSF is expected to have 3,000 active troops and 2,000 reservists. They are being organized according to NATO standards....[T]here is also the possibility of their being deployed abroad as the world situation warrants in the future." [13]

When new NATO Secretary General Anders Fogh Rasmussen paid his first visit in that capacity to Kosovo in August to meet with KFOR Commander Giuseppe Emilio Gai, Kosovo President Fatmir Sejdiu, Prime Minister Hashim Thaci and Minister of the Kosovo Security Forces Fehmi Mujota, "President of Kosovo Fatmir Sejdiu stated that he hopes the state will take part in the peacekeeping operations of NATO abroad." [14] Afghanistan is the apparent first deployment.

Six years earlier Agim Ceku had offered Kosovo Protection Corps troops to the United States for the war and occupation in Iraq as a quid pro quo for maintaining NATO troops in Kosovo.

NATO has deployed troops from nations like Georgia, Azerbaijan, Estonia, Latvia, Lithuania, Poland and Finland to Afghanistan for training under real-life combat conditions for use closer to home once they return, as military officials of the above-named nations have openly acknowledged. Several thousand Albanian and Kosovo soldiers steeled by operations in the Afghan war zone will be formidable fighting forces for future conflicts in the Balkans.

The distinction between the armed forces of Albania and Kosovo is becoming largely an academic one. In August Albanian Prime Minister Berisha issued an unequivocal statement that "the idea of national unity is based on European principles and ideals....Because of that the Kosovo PM, Hashim Thaci, and I will work towards removing all barriers that keep Albanians from feeling united no matter where they live," adding that "there must not be a customs administration, and Albania and Kosovo should not look at each other as foreign countries...." [15]

Albania is now a full NATO member and as such the Alliance itself could be called upon to react if Kosovo authorities provoke a confrontation with neighbors like Serbia and Macedonia and Albania insist that it and Kosovo are not "foreign countries." If Albania intervenes on behalf of its "brother nation" in a military conflict with a non-Alliance adversary, NATO will ipso facto become involved.

In September the foreign ministries of Russia and Romania expressed serious concerns about developments in and pertaining to Kosovo. Romania is one of only three NATO member states that haven't recognized Kosovo's independence, the other two being Spain and Slovakia. All three nations fear that the Kosovo precedent could contribute to the forcible breakup of their own nations.

The spokesman of the Russian Foreign Ministry, Andrei Nesterenko, said that "considerable conflict potential" persisted in Kosovo and that he expected representatives of the international community to act impartially to prevent "new anti-Serb provocations."

He added that "events in the province 'show that considerable conflict potential remains' and that the most recent inter-ethnic clashes were a result of the Kosovo Albanians' desire to compress Serb ethnic territory at all costs," and that "overall, the Kosovo problem remains one of the most serious challenges to security in the region." [16]

Undaunted, on September 16 NATO announced on its KFOR website that "the Kosovo Security Force (KSF) has achieved Initial Operational Capability (IOC).

"The decision was made after Exercise Agile Lion, which was the culmination point of just over seven months of hard work by KFOR and the KSF to recruit, train and equip the force.

"The next goal for the KSF is to reach Full Operational Capability.
KFOR will mentor and support this process which is expected to take 2-5
years." [17]

The preceding day the new U.S. ambassador to Kosovo, Christopher Dell, signed the U.S.'s first inter-state agreement with the breakaway entity, demonstrating America's "commitment to an independent Kosovo," with Fatmir Sejdiu and Hashim Thaci. Putative president Sejdiu said on the occasion: "This agreement elevates this to the level of state cooperation between the U.S. and Kosovo, not just through various U.S. agencies, as was the case up to now." [18]

What the extension of "independent Kosovo" portends was indicated in late September when Serbian police discovered a large arms cache in the Presevo Valley near the Serbia-Macedonia-Kosovo borders which included "machine guns, bombs, rocket launchers, 16 hand grenades and over 20 mines, as well as a large supply of ammunition" [19] and later in early October when Macedonian border police were "attacked with automatic weapons while conducting a routine patrol along the border with Kosovo...." [20].

What may also be in store was revealed late last month when Germany deported the first of 12,000 Roma (gypsies) it will force back to Kosovo. To exclusion, persecution, attacks and death. Roma remaining are perishing in shelters where the United Nations Interim Administration Mission in Kosovo (UNMIK) cast them off after NATO and the KLA took over the province in June of 1999.

"The camps, near a closed mining and smelting complex that includes a slag heap of 100 million tons of toxic materials, were intended as a temporary measure after a neighborhood that had been home to 9,000 gypsies was destroyed by ethnic Albanians as Serb security forces pulled out of the area in the final days of the Kosovo conflict in June 1999." [21] 

Weeks earlier Russia warned that it considered "the shutting down of the OSCE's [Organization for Security and Co-operation in Europe's] Kosovo mission set up to protect the rights of ethnic communities unacceptable."

Russia's ambassador to the OSCE, Anvar Azimov, stated, "Such steps, sanctioned by no one, are unilateral, and they affect the overall activity under the mandate of that mission." [22]

On September 5 a Serbian news source reported that over 200,000 Kosovo refugees were registered in Serbia including ethnic Serbs, Roma, Gorans and other non-Albanians. That number excluded those not registered, those who fled to other countries like Macedonia and those driven from their homes but remaining in Kosovo.

Over the past decade hundreds of thousands of Kosovo residents, including ethnic Albanians, have been murdered and driven out of the province. Roma organizations have estimated that the number of Roma, Ashkalis and Egyptians so afflicted are in the six figures. Serbs, Gorans, Turks, Bosnians, Montenegrins and other victims of racial terror and extermination in Kosovo also number in the hundreds of thousands.

Western media have for ten years now routinely asserted that Kosovo was 90 percent ethnic Albanian. In may well be so now after such large-scale expulsions, but the above figures refute that it was formerly the case in a province of no more than two million inhabitants.

After Albanian Prime Minister's first statement that his country and people and Kosovo and its are one, Russian Foreign Minister Sergei Lavrov issued a condemnation of it and by strong implication the West: "We are very concerned about the Albanian prime minister's statement.

"We are convinced that there should be appropriate feedback to the statement - first, from the EU, and from NATO as well. We haven't had such feedback yet. We hope that despite the fact that no public statements have come from the European capitals, negotiations with Albanian authorities are under way." [23]

"Moscow is concerned about statements from Tirana on 'the indispensable
unification of all Albanians.'" [24] 

Unless Lavrov's comments were strictly rhetorical, he will have a long time to wait before American, NATO and European Union officials make any, much less critical, statements on Berisha's and his Kosovo and Macedonian counterparts' demands for a unified Greater Albania (or Greater Kosovo). NATO nations armed, trained and provided logistical support to the Kosovo Liberation Army in its war with Serbian and Yugoslav security forces in the late 1990s; marched shoulder-to-shoulder with the KLA into Kosovo and institutionalized it as the Kosovo Protection Corps in the same year; delivered its National Liberation Army from a resounding defeat at the hands of the Macedonian army in 2001; recreated it again this year as the nucleus of a future Kosovo national army, the Kosovo Security Force; and recognized the unilateral declaration of independence of a Kosovo led by former KLA chief Hashim Thaci last year.

There's no reason to believe that Washington and Brussels will now abandon their clients and their project for subverting and mutilating four neighboring countries to create an ethnically cleansed, crime-ridden, expanded Albania-Kosovo super-state as the latter nears its completion.

On October 6 Berisha was in Pristina, the capital of Kosovo, "to sign a number of agreements. According to [Berisha], his government will work to carry out infrastructure projects that provide for unifying Albania's and Kosovo's economic systems, build transport communications to ship goods and provide for the population's economic migration." [25]

An Italian news account of the visit reported that "Albania has also ceded to Kosovo the Adriatic port of Shendjin (Shengjin), thus giving the
newly independent state an exit to the sea." [26]

In Berisha's own words, “The Shengjin port is now Kosovo’s exit to the sea.” [27] Access to the Adriatic that Serbia no longer has since the breakup of the Union of Serbia and Montenegro three years ago.

His counterpart, former KLA chieftain Hashim Thaci, echoed his guest's earlier statement in saying “Albanians live in many countries, but we are one nation. Countries in the region have two friendly countries in Kosovo and Albania, partner countries, for cooperation, peace and stability, for investment in the region, and for European integration.” [28]

The Albanian prime minister was quoted on the website of the Kosovo president on October 7 pledging that "Albania will assist Kosovo in any way it can. Albania is resolved to renew, in the quickest way possible, all its infrastructural ties with Kosovo. Within the next four years, the construction of the Qafe Morine–Shkoder highway will be completed and this will give  Western Kosovo fast access to the sea. In the next year, my government will carry out a feasibility study and will draw up the project for an Albania-Kosovo railway. Many other infrastructural lines are and will be constructed." [29]

Berisha also met with the commander of NATO's Kosovo Force (KFOR), German Lieutenant General Markus Bentler, and said "Albanian troops could be a part of KFOR" before laying a wreath at the graveside of Adem Jashari, the first commander of the KLA. [30]

The day before the Berisha-Thaci meeting in Pristina, the compliant Serbian government of President Boris Tadic and Foreign Minister Vuk Jeremic proved in part why NATO and pan-Albanian designs in the region have encountered little opposition. Jeremic, while pro forma stating his nation would not join NATO in the imminent future (though it has joined the Partnership for Peace transitional program), said "We pursue close cooperation because NATO is the most important factor to ensure security in the world."

A Russian news site reporting on this claim reminded its readers that "In 1999 NATO air forces bombed Belgrade and other Serbian cities supporting Albanian separatists in Kosovo. Then more than 3,000 Serbian people died and tens of thousands of people were wounded. NATO also promoted Kosovo's separation from Serbia...." [31]

Late last month U.S. Admiral James Stavridis, the head of U.S. European Command and NATO Supreme Allied Commander Europe, attended a meeting of the Adriatic Charter which Washington signed with Albania, Macedonia, Croatia, Bosnia and Montenegro in 2003 to prepare them and indeed the entire Balkans for NATO membership. Stavridis then departed for Croatia to oversee the multinational Jackal Stone 09 war games whose objective was to "successfully improve the ability of the participants to conduct counter-insurgency operations." 

Co-organized by the U.S Special Operations Command Europe, the latter's commander Major General Frank Kisner boasted of the exercise's success: "Dedicated planning seamlessly brought together representatives from 10 nations and allowed them to effectively execute a myriad of tasks from the air, on land and at sea." [32]

Jackal Stone 09 was the first military exercise conducted in Croatia since its induction into NATO earlier this year. U.S. and NATO officials have repeatedly asserted that after Croatia and Albania, first Macedonia, Bosnia and Montenegro would become full members and then Serbia and Kosovo would follow.

On October 2 Bosnia presented NATO Secretary General Anders Fogh Rasmussen with a formal application for a NATO Membership Action Plan, a de facto request for full membership. Rasmussen stated, "I believe that this application is the best route to lasting stability in the Euro-Atlantic area. It is my vision for all countries in the Western Balkans to be integrated in NATO." [33]

NATO has employed several pretexts for military intervention in the Balkans over the last fifteen years, many of them contradictory as with Kosovo versus the Bosnian Serb Republic and with Kosovo as a whole versus North Kosovska Mitrovica. Its intention, however, has been unvarying and persistent: To absorb every nation and pseudo-nation in the region into its ranks and to recruit from its new members and partners troops for wars further afield.

Armed separatism was the tool used to begin the breakup of the Socialist Federal Republic of Yugoslavia in 1992, a process that has now fragmented that nation into its six constitutive federal republics and in the case of Kosovo torn a province from a former republic.

But the redrawing of national borders, with the disruption and violence that it inescapably entails, is not over. 

Kosovo is indisputably a Pandora's box and one where Hope doesn't necessarily wait at the bottom. It remains a potential spark for and could increase the danger of, as was observed earlier, "destabiliz[ing] the situation in the Balkans and unleash[ing] a war on the continent, similar to that of the late 1990s."    


1) Wikipedia
2) Black Sea Press, August 6, 2009
3) Voice of Russia, August 20, 2009
4) Ibid
5) Ibid
6) New Kosova Report, December 20, 2009
7) Kosovo Times, June 9, 2009
8) Kosovo Times, June 8, 2009
9) Kosovo Times, May 27, 2009
10) NATO, Supreme Headquarters Allied Powers Europe, February 18, 2009
11) Southeast European Times, May 21, 2009
12) Makfax, August 17, 2009
13) New Kosova Report, May 20, 2009
14) Focus News Agency, August 13, 2009
15) Sofia News Agency. August 16, 2009
16) Tanjug News Agency, September 4, 2009
17) NATO, Kosovo Force, September 16, 2009
18) Beta News Agency, September 15, 2009
19) Tanjug News Agency, September 23, 2009
20) Makfax, October 2, 2009
21) Washington Times, May 3, 2009
22) FoNet, September 11, 2009
23) Russia Today, October 5, 2009
24) Voice of Russia, October 6, 2009
25) Ibid
26) ADN Kronos International, October 6, 2009
27) B92, October 6, 2009
28) B92, Beta News Agency, Tanjug News Aegncy, October 6, 2009
29) President of the Republic of Kosovo, October 7, 2009
30) Beta News Agency, October 7, 2009
31) Voice of Russia, October 5, 2009
32) United States European Command, September 28, 2009
33) NATO, October 2, 2009
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(srpskohrvatski / francais / italiano)

Succede a Novo Brdo

1) Oliver Ivanovic: le azioni dell’Eulex destano preoccupazione / Continua la protesta dei serbi che vivono nel comune di Novo Brdo in Kosovo (GlasSrbije.org)
2) ОСУДА НАСИЛНИЧКОГ ПОНАШАЊА ПОЛИЦИЈЕ ЕУЛЕКСА-А (Comunicato del Forum di Belgrado per un mondo di eguali)
3) Kosovo : Eulex arrête quatre Serbes soupçonnés de crimes de guerre (B92 / CdB)


=== 1 ===

www.glassrbije.org  (in italiano)


Oliver Ivanovic: le azioni dell’Eulex destano preoccupazione

24. settembre 2009 20:08                  

Il segretario statale nel Ministero per il Kosovo Oliver Ivanovic ha dichiarato che desta preoccupazione il fatto che dopo tanti crimini che sono stati commessi ai danni della popolazione serba a partire dal 1999 in presenza dei rappresentanti internazionali, l’Eulex ha iniziato la sua missione con l’arresto dei serbi a Novo Brdo. Ivanovic ha espresso la convinzione che i motivi politici hanno indotto l’Eulex ad arrestare i cittadini serbi. La popolazione serba a Novo Brdo è allarmata, specialmente perché tutti sono convinti che i serbi arrestati non abbiano fatto alcun crimine di guerra, ha ribadito Oliver Ivanovic. 


Continua la protesta dei serbi che vivono nel comune di Novo Brdo in Kosovo

24. settembre 2009. 20:08         

I serbi che vivono nel comune di Novo Brdo nel Kosovo orientale hanno protestato anche oggi perché la polizia dell’Eulex ha arrestato cinque serbi, quattro dei quali sono accusati di crimini di guerra, ha comunicato il presidente del comune di Novo Brdo Stojan Stanojevic. Egli ha detto che i serbi che partecipano alle manifestazioni di protesta sostenevano che i serbi che sono stati arrestati non hanno commesso nessun crimine di guerra. Nel frattempo è stato rilasciato in libertà Dobrivoje Topalovic, dopo che è stato accertato che egli non era la persona ricercata.  


=== 2 ===

Comunicato del Forum di Belgrado per un mondo di eguali, a proposito della azione della polizia EULEX a Novo Brdo (Kosovo).


Inizio messaggio inoltrato:

Da: "Zika Jovanovic" 
Data: 25 settembre 2009 16:25:37 GMT+02:00

 
S poštovanjem,
 
Živadin Jovanović
Predsednik Beogradskog foruma za svet ravnopravnih
Kneza Milosa 82
11000  Beograd
 
Tel. + 381 11 26 44 293
 


БЕОГРАДСКИ ФОРУМ ЅА СВЕТ РАВНОПРАВНИХ
11000 Б е о г р а д
Кнеза Милоша 82
25. септембар 2009.
011 26 44 293 


ОСУДА НАСИЛНИЧКОГ ПОНАШАЊА ПОЛИЦИЈЕ ЕУЛЕКСА-А


Београдски форум за свет равноправних најоштрије осуђује арбитрарно хапшење и насилничко понашање полиције ЕУЛЕКС-а према Србима у општини Ново Брдо. Чињеница да полиција ЕУЛЕКС-а, у стилу препада и рација, да примењује најгрубљу силу према мирним грађанима, укључујући и малолетну децу, да сеје страх, хаос и несигурност међу Србима, отвара питање њене стварне улоге и циљева на Косову и Метохији.
Ако ЕУЛЕКС на основу лажних дојава хапси и примењује нагрубљу силу према Србима мирним грађанима у општини Ново Брда, а истовремено нема никаквих резултата у утврђивању одговорних за терористичке злочине тзв. ОВК према Србима, то је најмање доказ законитости и «неутралности». 
             Насиљем према Србима у Новом Брду ЕУЛЕКС-а сеје страх и несигурност, одвраћа повратнике и директно иде на руку заговорницима етничког чишћења преосталих Срба. 
Београдски форум је изненађен да насиље полиције ЕУЛЕКС-а према мирним грађанима није наишло на јасну осуду надлежних институција и органа Србије иако се ради о насиљу и кршењу основних људских права грађана Србије на територији која је према Уставу и резолуцији СБ УН 1244 интегрални део државе Србије. Одсуство енергичних и недвосмислених демарша званичних органа на насиље и дискриминаторски однос ЕУЛЕКС-а према грађанима Србије на Косову и Метохији  није израз конструктивне политике већ самообмањивања које води погоршању положаја Срба и укупне ситуације у Покрајини.

БЕОГРАДСКИ ФОРУМ ЗА СВЕТ  РАВНОПРАВНИХ 


=== 3 ===


B92

Kosovo : Eulex arrête quatre Serbes soupçonnés de crimes de guerre


Traduit par Stéphane Surprenant
Publié dans la presse : 23 septembre 2009
Mise en ligne : jeudi 24 septembre 2009

La police d’Eulex a arrêté mercredi matin quatre Serbes des villages de Bostane et de Jasenovik, près de Gnjilane et de Novo Brdo, dans l’est du Kosovo, soupçonnés de crimes de guerre. Un cinquième individu est également détenu pour entrave au travail des policiers.

Des Serbes de la commune de Novo Brdo ont aussitôt organisé une manifestation qui a duré une trentaine de minutes, afin de faire valoir l’innocence de leurs concitoyens. Le président du conseil municipal de Novo Brdo, Stojan Stanojević, a déclaré que les manifestants tenaient à exprimer leur opposition aux arrestations.

Appelant au calme et à la patience, il a affirmé que les suspects étaient innocents et qu’il n’y avait eu aucun heurt ou agression contre des Albanais à cet endroit durant le conflit de 1999.

« La police d’Eulex, avec le concours de la police du Kosovo et de la Kfor, ont procédé à l’arrestation de quatre personnes appartenant à la minorité serbe, car ces personnes sont soupçonnées d’avoir pris part à des crimes de guerre », a indiqué la porte-parole d’Eulex. « Cette opération a été ordonnée par le procureur compétent d’Eulex, et une enquête est déjà en cours », a-t-elle poursuivi.

Le gouverneur du district (serbe) de Kosovsko Pomoravski, Dragan Nikolić, a pour sa part précisé l’identité des cinq personnes apréhendées mercredi matin. Il s’agit de Svetlana Stojanović, du village de Bostane ; de Dobrivoje Trajković, Slobodan et Srećko Martinović, de Plavica ; et enfin de Srdjan Filić, originaire de Jasenovik, non loin de Novo Brdo.

Eulex a déclenché l’opération menant à ces arrestations à 6h30 mercredi matin. Le gouverneur du district a fait savoir que la police kosovare n’avait pas participé aux événements.

Vlada Martinović, dont le père et l’oncle ¬Slobodan et Srećko Martinović – ont été arrêtés ce matin, a confirmé à Radio KIM qu’ils avaient été placés en état d’arrestation en vertu d’accusations de crimes de guerre.

« Au cours de l’arrestation de mon père et de mon oncle, les policiers d’Eulex leur ont dit que cela était relié à des crimes de guerre », a-t-il raconté. Il a immédiatement ajouté que son père et ou oncle n’avaient jamais quitté le Kosovo et que les accusations étaient sans fondement.

« Les accusations sont loin de la vérité. Ce sont des villageois ordinaires qui ne travaillent pas ailleurs et n’ont rien à voir avec la guerre ou des crimes de guerre », a assuré Vlada Martinović. Il a aussi soutenu que la police avait saisi les téléphones portables des membres des familles des suspects durant les arrestations.