Informazione

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IL GIOCO DELLE TRE CARTE DELLA DIPLOMAZIA

1) «EULEX», IL GIOCO DELLE TRE CARTE DELLA DIPLOMAZIA (E. Remondino)
2) MITROVICA Settimana di fuoco. Violenti scontri dopo due attentati albanesi (T. Di Francesco)
3) E intanto... Demolita un'altra chiesa serba 
4) KOSOVO 2009... UPDATES:
"Kosovo situation very alarming" / KM calm, Serbs accuse Albanians / Kosovska Mitrovica: Albanians assault Serbs / Punish perpetrators, asks Ivanovic / Albanian stabbers freed, Kosovo Serb house attacked / Two Serbs beaten in Kosovska Mitrovica / Tadic calls on UN, EU to protect Kosovo Serbs /DSS: Kosovo Serbs without protection / 

Fears of violence mar Kosovo Serbs' Orthodox Christmas / Germany reconfirms support for Republic of Kosovo / NATO Warns Kosovo Violence Could Spread 


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Il Manifesto, 6.01.2009


APERTURA   |   di Ennio Remondino

«EULEX», IL GIOCO DELLE TRE CARTE DELLA DIPLOMAZIA

Ali Babà IN KOSOVO

È il caos. La missione Ue, voluta come braccio dell'Ico per garantire giustizia, polizia e dogane, diventa appalto Onu da contendere a Unmik. E la Kfor-Nato rispetta la Risoluzione Onu che nega l'«indipendenza»

C'è una maledizione kosovara del numero 3. Al primo posto c'è il Kosovo indipendente e albanese di Pristina, secondo, il Kosovo internazionale delle ricche missioni civili e delle munite caserme Nato e, al terzo posto il Kosovo delle enclavi e di Mitrovica nord che sognano un futuro in serbo. Per i tre Kosovo, ovviamente, tre diversi passaporti. Quello vecchio, jugoslavo, al momento considerato il migliore per viaggiare, quello dell'altro ieri con la sigla U.N.M.I.K. che vale quanto una nostra banconota di vecchie lire; tre, il nuovo e fiammante passaporto della «Repubblica del Kosovo» con cui, senza visto, puoi andare soltanto sino a Skopje o a Tirana. Il vero guaio arriva con i tre diversi codici penali in concorrenza tra loro e tutti applicati da qualcuna delle tre diverse magistrature. Il vecchio codice jugoslavo contro chi delinque a Mitrovica nord, quello nuovo e fiammante della Repubblica del Kosovo per i sospetti criminali oltre il fiume Ibar e quello Onu per i pochi che si sono fatti beccare dalla polizia in questi anni di colonia internazionale. Solo le galere sono unificate, ma con detenuti e secondini divisi accortamente per etnia. 

Resta solo la risoluzione 1244

Ora è cambiato tutto, ci dicono. Dal 9 dicembre, ad Unmik (Onu) è subentrata Eulex (Unione europea) ed il Kosovo fiorirà presto come un giardino a primavera. Se vai a grattare sotto la vernice delle ipocrisie internazionali, trovi sempre l'ormai maledetto 3 kosovaro. Il progetto pubblicizzato «urbi et orbi» ci prometteva, come premessa, una nuova risoluzione Onu a superare la vecchia 1244 della guerra, quella che insiste a raccontarci che il Kosovo è parte della Serbia. Al vertice politico del Kosovo immaginato da Stati Uniti ed Unione europea, una sorta di superman istituzionale chiamato «International Civilian Office» - Ai Si O, letto all'americana - col ruolo di garante per guidare l'azione della comunità internazionale in Kosovo da qui all'eternità. Meno Consiglio di Sicurezza Onu e quindi meno Russia era la furbata pensata a Bruxelles. Numero due, l'ormai «schierata» ma poco operativa Eulex, con i muscoli intorpiditi di 2000 magistrati, sbirri in divise e specializzazioni varie, doganieri e spie europei ed americani, ed un forziere di 220 milioni di euro solo per cominciare. Il braccio operativo di ICO, era l'intenzione. Tre, l'eterna garanzia di Kfor, i 16 mila militari della Nato e dintorni che, avendo visto giusto, in Kosovo si sono acquartierati in confortevoli villaggi per durare diversi decenni. La frittata comincia dalla premessa. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu non partorisce nessuna nuova risoluzione. La Russia e la Cina non digeriscono l'unilateralismo Usa di Bush sul Kosovo e nel mondo e, non soltanto bloccano tutto, ma insistono a ribadire il vincolo alla vecchia risoluzione 1244. Tutti sanno di partecipare ad una recita, ma tutti sono costretti in commedia. La risoluzione Onu che ha messo il cappello ai bombardamenti Nato del 1999, a Jugoslavia già spianata, nasce come pezza ad un buco e come tale continua a stonare. La premessa imposta allora dai russi ci dice del Kosovo come «territorio della Repubblica serba». «Semplice premessa», arriva a dire Marty Ahtisaari che prima convince Milosevic ad arrendersi per mantenere la sovranità sul Kosovo e poi paga la cambiale firmata dagli americani agli albanesi. Il finlandese ci guadagna un discutibile Nobel per la pace, l'Unione europea un arzigogolo giuridico su cui far esercitare contorte intelligenze. Gli Stati Uniti, seguiti da 20 paesi dell'Unione, tra cui l'Italia, decisi a riconoscere il Kosovo indipendente a qualsiasi costo, arrivano a sostenere che la loro decisione è coerente con la 1244. L'interpretazione del settimo comandamento da parte di Ali Babà e i suoi 40 soci.
Più sorprendente ancora la storia dell'International Civilian Office. L'«AiCiO» trova posto persino nella costituzione del nuovo Kosovo indipendente e vincola il nuovo Stato alla tutela di questa specie di «papa internazionale» di vaticana memoria. Non a caso, in questa trovata risulta ci sia lo zampino di un fine giurista italiano. Scrivono di uno Stato a sovranità controllata in cambio della promessa di una marea di riconoscimenti internazionali subito e della sua integrità territoriale garantita, territori a maggioranza di popolazione serba compresi. Più o meno come Totò quando cercava di vendere la Fontana di Trevi. Riconoscimenti fermi a 53 e integrità territoriale sempre irrealizzata. Anche l'ICO finisce male. Entrata in Conclave come futuro Papa, ne esce che non è manco prete. Nessuna nuova risoluzione e nessun nuovo garante internazionale per il Kosovo. Resta l'Onu e basta. ICO nel frattempo, dopo impegnativa lottizzazione internazionale, aveva assegnato all'Olanda il suo comando e spartito tra il resto del mondo i suoi ricchi incarichi di missione estera. L'ICO nasce lo stesso per volontà degli Stati Uniti, della Commissione europea, e di alcuni dei paesi che hanno riconosciuto l'indipendenza del Kosovo. Una sorta di libera associazione di tifosi simile ad una costosa Organizzazione umanitaria. Dai 20 ai 25 milioni di euro soltanto per partire, metà a carico della Commissione europea, il 25% degli Stati uniti ed il resto ai non europei. Al comando c'è l'olandese Peter Feith e, al momento, 380 suoi «inviati» sul campo. Manca soltanto di capire a cosa servono.
Eulex, pensata come braccio operativo dell'ICO per garantire i settori strategici di polizia, giustizia e dogane, finisce per diventare semplice sub appaltatrice del potere Onu da spartire a gomitate con Unmik. Una curiosità rilevata da pochi. Il «dispiegamento di Eulex» è deliberato dall'Unione europea soltanto due giorni prima della proclamazione unilaterale d'indipendenza del 17 febbraio 2008. Si scrive genericamente di Kosovo e gli Stati contrari (Spagna, Grecia, Romania, Cipro, Slovacchia, ecc.), che avrebbero dovuto votare contro ad indipendenza dichiarata, accettano di astenersi. Il gioco delle parti per evitare di affondare Eulex prima ancora di farla nascere. Diplomazia da prestigiatori. Pezza dopo pezza, la comunità internazionale sembra intanto aver perso di vista il buco.

E Belgrado «incassa»

A cominciare dalla Serbia che cambia rapidamente. Una Belgrado diplomaticamente più duttile e dichiaratamente europeista incassa due punti decisivi: la formale dichiarazione di neutralità di Eulex imposta dal Segretario Generale dell'Onu rispetto allo «status» finale del Kosovo e l'approvazione, da parte dell'Assemblea generale Onu, del suo ricorso alla Corte internazionale di giustizia sulla legittimità della dichiarazione d'indipendenza kosovara. 
Il segretario Onu Ban Ki Moon è costretto a cambiare le carte in tavola. Visto che non c'è speranza di arrivare ad una nuova risoluzione sul Kosovo, manda il suo nuovo «Alto rappresentante», l'italiano Lamberto Zannier, a fare da arbitro nella partita che s'è riaperta. Un Kosovo albanese decisamente arrabbiato, un Kosovo serbo che crea più imbarazzi internazionali quando fa il buono, un mare di ambizioni nate tutte con le gambe storte. A questo punto torniamo alla maledizione kosovara del numero 3 e multipli. Sei i punti «pragmatici» di intervento internazionale inventati da Zannier e firmati da Ban Ki Moon nel nome della «Dodici quarantaquattro». Per Eulex solo il 3 di polizia, giustizia e dogane. 
Per la polizia c'è un capo scelto ovviamente dal governo kosovaro in carica, ma al numero due c'è un vice che deve essere serbo. In caso di controversia il vice può scavalcare il capo appellandosi al terzo capo della polizia, creato con un colpo di bacchetta magica: il «Senior Police Chief», un internazionale di nomina Onu che può fischiare fallo o assegnare il goal al capo albanese o a quello serbo. Dalla trinità degli sbirri a quella dei magistrati. Dei tre diversi codici penali contemporaneamente in vigore abbiamo detto. A Mitrovica i magistrati in carica hanno giurato fedeltà alle leggi jugoslave, a Pristina sulla neonata Costituzione kosovara e, gli internazionali, quando finiranno di litigare tra toghe Unmik ed Eulex, dovranno spiegare quali codici intendono applicare. Nel frattempo, finita la corsa all'auto legittimazione di Eulex che ha messo la sua bandierina a Mitrovica, il pasticcio resta senza soluzione. Neppure da immaginare un giudice albanese a Mitrovica o un giudice serbo a Pristina. Altrettanto fantasiosa l'ipotesi di una richiesta di arresti fatta dalla magistratura di una parte nei confronti di presunti colpevoli dell'altra parte. La partizione dei criminali che coincide con quella del territorio. 

Dogane unitarie ma bucate

Il solo Kosovo territorialmente unitario sia per Pristina che per Belgrado è quello doganale. Peccato che al momento, quell'area abbia due buchi: i confini fatti saltare per aria sopra Mitrovica e verso il Sangiaccato. «Gate 1 e 31», li chiama la Nato. La pacchia del contrabbando transnazionale dove ad incassare c'è la sola realtà interetnica esistente oggi in Kosovo, quella criminale, e a perderci sono tutti e due gli Stati litiganti. Due milioni di euro di danno erariale la settimana, calcolano a Pristina, con una serie di trucchi e una rete di complicità da fare invidia alle più famose mafie nostrane. Un esempio. Benzina raffinata in Serbia e destinata, nominalmente al Kosovo. Paga dogana ma non le iperboliche «accise» sui carburanti. Viaggiano i documenti, ma la benzina resta in Serbia dove è venduta a guadagno moltiplicato per 1000. In Kosovo restano i rivoli di soldi della corruzione capillare che garantisce occhi distratti e un timbro facile. Dogane senza frontiere, potremmo dire oggi. Accordi serbo-albanesi su questi punti, possibili. L'opinione popolare, da ambedue i lati del confine gruviera è ovviamente contraria.
Fotografia finale. Il Kosovo albanese chiede alla Nato e ad Eulex di garantirgli l'unità territoriale. I militari Nato rispondono che il loro mandato è soltanto quello di garantire la sicurezza e non di decidere chi governa. Eulex, che forse vorrebbe poterlo fare, non ne ha il mandato e non ne ha la forza. Resta la realtà del Kosovo diviso e incasinato che ci trasciniamo da quasi 10 anni, nell'attesa del giudizio della Corte internazionale come ha deciso l'assemblea dell'Onu su richiesta di Belgrado. Previsioni sulla sentenza. La Suprema corte dell'Aja dichiara l'indipendenza unilaterale del Kosovo illegittima (la sovranità non si eredita), ma conclude che il fatto (l'indipendenza realizzata) «innova il diritto». Pristina prima applaude e poi capisce. Il principio del «fatto compiuto», vale anche per la Mitrovica serba ed i territori a nord del fiume Ibar. Come nel gioco dell'Oca, si torna sempre alla casella di partenza. I trucchi giuridici attorno alla 1244 per evitare di dover fare i conti politici con la partizione del Kosovo che è già nei fatti. Prendere tempo. Qualche decennio e miliardi di euro dopo, prima di arrivare a riconoscere universalmente il tragico errore della «guerra umanitaria» del 24 marzo 1999.


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Il Manifesto, 6.01.2009


TAGLIO MEDIO   |   di Tommaso Di Francesco

storie MITROVICA Settimana di fuoco

Violenti scontri dopo due attentati albanesi

L'anno non poteva aprirsi nel modo «migliore», a poco meno dall'anniversario del 17 febbraio 2008, data della proclamazione unilaterale a Pristina dell'indipendenza del Kosovo. Vale a dire, con una lunga fiammata di violenza che dura ormai da una settimana in uno dei luoghi di maggiore frizione, Kosovska Mitrovica divisa in due sul fiume Ibar e dove più è presente quella parte della minoranza serba che è stata costretta in massima parte ad abbandonare il paese sotto la minaccia del terrore.
Dopo due violente esplosioni sono scoppiati incidenti e negli scontri decine di persone sono rimaste ferite. La prima esplosione è avvenuta nella tarda serata del 2 gennaio presso un caffè nella parte nord di Kosovska Mitrovica, quella controllata dai serbi, danneggiando numerose auto. Così il 3 a notte i serbi infuriati, hanno dato fuoco a due negozi albanesi nel quartiere di Bosnjacka Mahala, piccola entità albanese dentro la zona serba. Mentre i pompieri accorrevano, è esploso un secondo ordigno. Il portavoce della polizia locale, Besim Hoti, ha detto che sette vigili del fuoco e almeno altre tre persone sono rimasti leggermente feriti. Negli incidenti sono rimasti feriti anche una giornalista e un cameraman, entrambi serbi, che erano impegnati nelle riprese sui luoghi delle esplosioni per conto della tv serba Most. I due sono stati aggrediti dai dimostranti albanesi. La giornalista, Mirjana Nedeljkovic, ha riportato ferite alla testa. La situazione a Kosovska Mitrovica sarebbe ora «sotto controllo» dopo che la Forza multinazionale della Nato e la missione di polizia dell'Unione europea, Eulex, hanno rafforzato la loro presenza. Ma l'atmosfera resta molto tesa. Anche perché è il secondo scontro in pochi giorni. E sono richeggiati anche stavolta lungamente colpi di armi automatiche. Martedi scorso un giovane serbo era stato gravemente ferito a coltellate da due albanesi secondo il portavoce kosovaro-albanese della polizia Besim Hoti, e l'attacco aveva scatenato la rabbia di centinaia di serbi che avevano incendiato negozi di albanesi e auto con targhe kosovare. 
A ben vedere dunque, non è dato sapere a cosa sia realmente servito il dispiegarsi già il 9 dicembre scorso a Kosovska Mitrovica della «missione Eulex», con tanto di annuncio da Bruxelles di Javier Solana. O meglio, ora si capisce che Eulex stessa diventa un terreno di conflitto. Inoltre si comincia a comprendere di più perché sia fortemente osteggiata dalla leadership albanese al potere a Pristina, nonostante i sorrisi di convenienza e gli applausi iniziali. Il fatto è che Eulex di fatto, per ora, non riconosce l'indipendenza e subito si caratterizza per il ruolo di polizia e della magistratura, nonché per il controllo delle dogane. Una specie di supervisione che preoccupa Pristina. I cui leader sono legati a filo doppio con il malaffare, come dimostra il recente arresto nell'altra zona franca della regione, il Montenegro del cognato del premier Hashim Thaqi, Bajrush Sejdiu considerato uno dei re del contrabbando nei Balcani. Mentre restano pendenti tutte le questioni del caso dell'ex premier Ramush Haradinay, incriminato all'Aja per stragi e crimini di guerra contro civili serbi commessi già nel 1998: lui è stato incredibilmente scarcerato all'Aja ma il caso resta aperto. Sia perché, legittimamente, i serbi accusano il Tribunale internazionale di fare «due pesi e due misure», sia perché all'Aja in questi giorni per le minacce esercitate contro testimoni, è stato condannato l'ex ministro della cultura kosovaro albanese Astrit Haracija. Corruzione e mafie che insieme a lasciare nella disperazione la maggior parte dei kosovari, assillati da una disoccupazione al 50% nonostante fiumi di aiuti internazionali, vede coinvolto anche l'Unmik, quel che resta della colpevole amministrazione Onu. Non a caso il Wall Street Journal ha concluso l'anno denunciando la vicenda del funzionario americano dell'Onu di Pristina, James Wasserstrom, licenziato per avere denunciato uno scandalo di malversazioni di denaro.

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www.glassrbije.org  italiano


E’ stata demolita la chiesa serba a Livadje

08. gennaio 2009.

L’eparchia di Raska e Prizren della Chiesa serba ortodossa ha comunicato che nella notte tra il 7 e l’8 gennaio è stata demolita la chiesa di santo Grigorio a Livadje, il villaggio che si trova nei pressi di Gracanica, nel Kosovo centrale. Quando abbiamo trovato stamattina, il secondo giorno del Natale, la porta della chiesa spalancata, siamo entrati ed abbiamo vista una scena tremenda. Le icone sono state distrutte, i soldi sono stati rubati e gli oggetti sacri sono stati rotti, ha dichiarato il parroco Svetislav Trajkovic. La polizia kosovara di Lipljane ha fatto il sopraluogo. Questo è l’ultimo incidente, in una serie di incidenti di questo genere, il quale dimostra che il patrimonio culturale e religioso corre grande pericolo in Kosovo, ha comunicato l’eparchia di Raska e Prizren.

 

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KOSOVO UPDATES
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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2009&mm=01&dd=03&nav_id=56186
Beta News Agency - January 3, 2009

"Kosovo situation very alarming" 

BELGRADE, PRISTINA - This week's stabbing of a Serb
boy, and the arrest of the Gnjilane [KLA} Group have
added turbulence to Kosovo's poor security situation,
an expert warns.
Military analyst Zoran Dragisic told B92 TV in
Belgrade on Saturday that the latest string of
incidents, including last night's explosions, could
cause more violence unless measures to calm the
situation are undertaken urgently.
"If we go back ten days we'll see a series of various
incidents, and certainly the arrest of the Gnjilane
Group and everything that ensued – demonstrations and
protests – have additionally complicated the
situation." 
"We have incidents, not only in northern Kosovska
Mitrovica but also in the Kosovo Pomoravlje region
where shots were fired at a home of a humanitarian
organization's president," Dragisic said. 
"At this point," he concluded, "the situation in
Kosovo and Metohija, especially in northern Kosovska
Mitrovica, can be appraised as very alarming, unless
something is done urgently." 
Also today, Beta news agency reports from Priština,
KFOR and EULEX announced that they will step up their
presence in northern Kosovo and in Kosovska Mitrovica,
calling at the same time on residents to remain calm
and cease with all acts of violence. 
EULEX will continue to patrol and implement its
mandate, that includes leading, monitoring and
advising the local authorities, a statement said. 

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2009&mm=01&dd=04&nav_id=56188
B92 - January 4, 2009

KM calm, Serbs accuse Albanians 

KOSOVSKA MITROVICA - Kosovska Mitrovica is calm this
morning after a string of incidents earlier in the
week.
Minister for Kosovo Goran Bogdanovic is arriving to
this ethnically divided town today for a visit, to
meet with municipal presidents of the Serb-dominated
northern Kosovo, and the head of the
Kosovsko-Mitrovacki District.
Strong KFOR troops helped by Kosovo police, KPS, and
EULEX have been positioned in the Bosnjacka Mahala
neighborhood where several incidents took place
earlier this week. 
A KPS spokesman it this town confirmed that the
situation is now calm. 
Bogdanovic will also visit the firefighters recovering
in hospital after a hand grenade was thrown at them
while they were putting out a fire early on Saturday. 
In a meeting with KFOR yesterday afternoon, Serb
representatives have asked for permanent checkpoints
to be set up between Bosnjacka Mahala and Suvi Do,
instead of sporadic patrols. 
This is the area where most of the incidents happened,
Marko Jaksic, one of the Kosovo Serb leaders, told
B92. 
"It's calm at this point. What the Serb
representatives have asked is primarily [bearing in
mind] that these are planned provocations as far as
we're concerned. Ahead of the New Year a KPS patrol
was attacked in Bošnjaèka Mahala, then Nikola Bozovic
was wounded, then a bomb was thrown at a cafe where
Serbs were gathered," he explained. 
"After that, when the Serbs set an Albanian store on
fire, Albanians threw a hand grenade at Serb firemen.
Therefore we hope that these planned actions will not
take place in the future," said Jakšiæ. 
Earlier, Minister Bogdanovic said that the
international community and police "must to all to
bring those responsible for the bomb attack against
the firefighters to justice".  

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2009&mm=01&dd=05&nav_id=56203
Tanjug News Agency - January 5, 2009

Kosovska Mitrovica: Albanians assault Serbs 

KOSOVSKA MITROVICA - A group of some 20 Albanians
assaulted two Serbs in the northern part of Kosovska
Mitrovica late on Sunday.
Kosovo police, KPS, have confirmed the latest incident
in this ethnically divided town, with deputy police
chief Predrag Vasovic telling Tanjug that the victims
stated the attack took place at around 21:30 CET at
the corner of Knjaza Milosa and Osloboðenja streets.
Kosovo Serbs Bato Ðorðevic, 32, and Petar Gusinic, 33,
reported to a local hospital with light injuries in
the wake of the incident. 
"According to a statement they gave to the police,
they were attacked by a group of some 20 Albanians,
after their car broke down and they were forced to
stop in this part of Kosovska Mitrovica. The car was
damaged, and they were lightly injured," Vasovic said.
He added that the KPS had started an investigation
into the case. 
Reports said that police intervention last night
prevented a more serious confrontation. Due to a wave
of unrest KFOR has been in control of the town for the
past three days, but Vasoviæ said they failed to react
last night. 
"Unfortunately, KFOR's reaction was missing. Based on
what the patrol policemen told us, they were nearby,
but did not react," he said, adding his office is in
communication with KFOR trying to find out the reason
for this. 
This comes after several incidents in the past few
weeks, that included stabbing and hand grenade
attacks, and after Sunday's appeals from Minister for
Kosovo Goran Bogdanovic.  

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2009&mm=01&dd=05&nav_id=56214
Beta News Agency/Tanjug News Agency - January 5, 2009

Punish perpetrators, asks Ivanovic 

BELGRADE - Oliver Ivanovic says the police, EULEX and
KFIR should determine who initiated the most recent
incidents in northern Kosovska Mitrovica.
The state secretary with the Kosovo Ministry told
Tanjug on Monday that "there should be no speculation
about who caused the latest incidents", and that the
police should conduct a comprehensive investigation
and bring the perpetrators to justice.
Ivanovic stated that tensions have been evident in
northern Kosovo since Feb 17, 2008, when Kosovo
Albanians unilaterally declared independence, while
the Serbs clearly stated they would not accept it. 
He went on to say that he is optimistic, and believes
the situation would stabilization, adding that "the
fact that KFOR has upped its presence and deployed its
troops in the city is encouraging". 
Meanwhile police are describing the situation in
Kosovska Mitrovica as "calm, but fragile". 
Kosovo police, KPS, are yet to arrest the perpetators
who struck on Saturday, first throwing an explosive
device at a cafe frequented by Serbs, and then at
firefighters putting out the flames at an
Albanian-owned store set on fire after the first
incident. 
Six Serb firefighters, a reporter and a cameraman were
hurt in the hand grenade explosion. 
Last night, two Serbs were assaulted, while last week
a 16-year-old Serb was stabbed. 

"Albanians, Serbs organize in groups"

In the Bosnjacka Mahala community of northern Kosovska
Mitrovica, after the last inter-ethnic incidents,
there are now several groups of security: KFOR,
police, but also groups of Albanians and Serbs, Koha
Ditore writes. 
According to this Albanian language daily, the
Albanians organized the groups themselves because they
"do not trust the police officials in the northern
police station of Kosovska Mitrovica".
They are demanding the presence of officials of the
“special units of Kosovo police,” and reparations for
the damages incurred from the attacks “by organized
Serbian state structures". 
At the same time, the newspaper says, Serbs are also
demanding permanent checkpoints manned by KFOR troops
to be located on the ethnic dividing lines which
separate Serbs and Albanians in the northern part of
the city. 
....

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http://www.focus-fen.net/?id=n165832
Focus News Agency (Bulgaria) - January 5, 2009

Albanian stabbers freed, Kosovo Serb house attacked 

Pristina - Two Kosovo Albanians that stabbed a Serbian
teenager in Kosovska Mitrovica have been freed,
reports the police in Kosovo, Serbianna agency
reports.
The police said that the accused Albanians are from
Djakovica and that one is 21 and the other 22 years of
age.
Police declined to give their names.
“According to the deposition made, the reason for
their arrival in Kosovska Mitrovica is to walk,” said
spokesman for the police Besim Hoti, an ethic
Albanian.
Hoti said that the case is now under the jurisdiction
of the municipal prosecutor and by orders of that
prosecutor the two Albanians have been let go.
In another part of Kosovo, unidentified assailants
have attacked a house owned by a Kosovo Serb, Zoran
Maksimovic, in the village of Gornji Livoc near the
city of Gnjilane.

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http://www.focus-fen.net/?id=n165796 
Focus News Agency (Bulgaria) - January 5, 2009

Two Serbs beaten in Kosovska Mitrovica 

Kosovska Mitrovica - Two Serbs were beaten in North
Kosovska Mitrovica last night, the online edition of
the Serbian Politika newspaper reports on Monday. 
The two said they were kicked, beaten and hit with
baseball bats by Albanians. 
The accident took place a couple of meters away from
the Kosovo Force (KFOR) control station. 
The soldiers did not interfere in the fight. 
This is the fourth assault against Serbs in only a
week in North Kosovska Mitrovica.

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2009&mm=01&dd=05&nav_id=56221
Beta News Agency - January 5, 2009

Tadic calls on UN, EU to protect Kosovo Serbs 

BELGRADE -- President Boris Tadic has sent a letter of
protest to the UN and EU regarding the incidents in
northern Kosovska Mitrovica against the Serb
population.
The letter to UN Security Council member-states and
Secretary General Ban-Ki Moon, as well as to the Czech
Republic, which is currently presiding over the
European Union.
According to the president’s cabinet, Tadic stated
that KFOR, EULEX and UNMIK did not react in time in
order to stop the attacks on Serbs in Kosovska
Mitrovica. 
Tadic said that the “real intention of the Kosovo
government and Albanian extremists to use violence in
order to provoke conflicts with Serbs in order to stop
the implementation of the six-point agreement reached
between Serbia and the United Nations, which was
confirmed by the Security Council.“ 
The Kosovo Albanian leadership in Pristina rejected
that agreement, which Belgrade cited as its condition
for approving the EU mission EULEX's deployment in the
province. 
Tadic also demanded immediate measures to protect the
Serbs who are in danger. 
“There was a lack of adequate reaction by the
peacekeeping forces which are obligated to protect and
secure the Serbs who are the most endangered in Kosovo
and Metojija." 
"Such incidents can lead to a worsening of the overall
security situation in Kosovo and I am therefore asking
for officials of the international community to
immediately increase the level of security and to
prevent attacks against Kosovo Serbs,“ Tadic stated in
his letter.  

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2009&mm=01&dd=05&nav_id=56220
Tanjug News Agency - January 5, 2009

DSS: Kosovo Serbs without protection 

BELGRADE - Slobodan Samardzic believes that "the
withdrawal of UNMIK from Kosovo and Metohija would
leave Kosovo Serbs unprotected".
This, the Democratic Party of Serbia (DSS)
vice-president said, comes since the European Union
mission (EULEX) is not authorized to directly
intervene in conflicts.
“We are witnesses to indications of Albanian terrorism
against the Serb population and the full passivity of
EULEX, UNMIK and KFOR,” Samardzic told a news
conference in Belgrade on Monday. 
According to him, EULEX is not authorized to directly
intervene in conflicts, which is why Serbs will be
left unprotected after UNMIK's withdrawal and the
transfer of its competencies. 
"EULEX may only monitor the work of the police,
customs and justice,” underscored Samardzic. 
He believes that Serbia should now strengthen its
institutions in Kosovo "and give them a stronger
financial and every other support", while another step
would be a diplomatic process to review the legal
grounds on which EULEX acts in Kosovo.  

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http://news.yahoo.com/s/afp/20090107/wl_afp/kosovoserbiareligionunrest_newsmlmmd
Agence France-Presse - January 7, 2009

Fears of violence mar Kosovo Serbs' Orthodox Christmas
by Maja Radojevic 

KOSOVSKA MITROVICA – Serbs celebrated their first
Christmas in Kosovo since independence on Wednesday
amid fears of a fresh flare-up of violence in the
ethnically-divided town.
Like Serbia, the Serb minority in Kosovo celebrates
Christmas on January 7, in accordance with the Julian
calendar.
Dozens of people prayed in the Orthodox church St
Dimitrije in the northern part of Kosovska Mitrovica,
a town populated mostly by Serbs. But due to a recent
wave of violence, the traditional midnight mass was
postponed until early in the morning.
Serb houses and premises were decorated with yule logs
while the time-honoured burning of a pile of logs
known as "badnjak" took place on Christmas Eve in
front of the church, followed by fireworks.
The town is divided with Serbs living on the north
bank of the Ibar River and ethnic Albanians south,
where there are many Serb cemeteries and the main
Orthodox church, the St Sava.
Escorted by NATO-led peacekeepers Kosovo Force (KFOR)
and European mission (EULEX) police, a group of Serbs
visited the church. Police said no incidents were
reported during the brief pilgrimage.
But 65-year old Milijana Radovanovic complained that
celebrations were darkened with fears of further
violence.
"Instead of joy for our holiday, we are all in fear of
possible incidents. What's happening here is
terrible," said Radovanovic.
An uneasy calm has returned to the streets of Kosovska
Mitrovica after KFOR reinforcements arrived in the
northern Serb half of the town following two
explosions last week.
Seven firefighters, all Serbs, were injured in the
second blast while trying to put out a blaze at an
Albanian-owned building apparently started by a group
of ethnic Serbs angered by the first explosion.
Milan Djordjevic, 28, said Christmas was not as joyous
as usual due to the violence. "Our fellow townsmen
were injured while trying to do their job. This is a
real tragedy."
KFOR since has bolstered its presence, with troops
patrolling the tiny Bosnjacka Mahala quarter, which
has a small Albanian community, in northern Mitrovica.
But skirmishes have been frequent, and on Christmas
Eve, groups of dozens of Serbs and Albanians faced off
in the area after an apparent car crash.
Only a strong police presence prevented the incident
from sparking wider unrest.
"As soon as we think the situation is calm, incidents
start over again," Radovanovic said.
Her neighbour, 57-year-old Dragan Milisavljevic, said
Christmas was "celebrated with respect to tradition
and old habits, but with increased anxiety."
"These incidents not only confuse us, but also bring
up questions about whether we will be able to survive
here," Milisavljevic added.
Kosovo declared independence nearly a year ago after
being under the UN umbrella since a 1999 NATO air war
wrested control of the province from Serbia. More than
50 countries have recognised Kosovo's statehood, which
Serbia and Russia strongly oppose.

---

http://www.newkosovareport.com/200901081534/Politics/Germany-reconfirms-support-for-Republic-of-Kosovo.html
Kosovo Radio and Television - January 8, 2009

Germany reconfirms support for Republic of Kosovo 

The head of the German Parliament Norbert Lammert met
yesterday with the President of Kosovo Fatmir Sejdiu
with whom he discussed about the further deepening of
cooperation between the two countries. 
The head of the German Parliament on this occasion
spoke about the engagement of his government in the
process of recognitions for the independent state of
Kosovo. He also expressed his displeasure with the
manner in which the three German BND secret service
agents were arrested.
The focus of yesterday’s meeting between Lammert and
Sejdiu were the interstate relations.
President Sejdiu on this occasion thanked the head of
German Parliament for the support his country has
offered in the reconstruction of Kosovo. He also
expressed his belief that German engagement in
obtaining recognitions for the independence of Kosovo
will be forthcoming.
Although the arrest of the three German agents was not
a subject in the discussions, Lammert expressed his
disapproval with the manner in which they were
arrested and with the manner the event was reported in
the media.
This was an unfortunate event, which should not have
happened, however it did not reflect as the main point
in the bilateral diplomatic relations, said Lammert.
“I would add one more thing: the manner in which this
case was presented, that is the arrest of the three
German agents, was as if they were criminals and this
displeased me,” said Lammert.
Lammert emphasized that his visit in Kosovo has to do
with the interest of Germany for the political and
economic development of Kosovo, a year since the
declaration of independence. He expressed the
dedication of his country to contribute to further
recognition of Kosovo. 
“I believe that the recognition of Kosovo from the
majority of EU countries has been a result of German
leaning and engagement to recognize the independence
of Kosovo. This is a sign of our dedication for Kosovo
and also a signal for our dedication in the future so
that other countries recognize Kosovo as well,”
Lammert added.
Germany is one of the first and most influential EU
countries to recognize the Republic of Kosovo.

---

http://www.dw-world.de/dw/article/0,,3933804,00.html
Deutsche Welle - January 9, 2009

NATO Warns Kosovo Violence Could Spread 

Recent violence in Mitrovica could spread across the
newly independent state of Kosovo, the commander of
French peacekeepers in NATO, General Michel Yakovleff,
warned on Friday.
For over a week now, the ethnically divided city of
Mitrovica has seen violent incidents with people
injured and cars and shops set alight. Tensions
between Kosovo's ethnic Albanian majority and Serb
minority have been running high since the region
declared independence from Serbia nearly a year ago. 
"This is urban violence," said Yakovleff. "But it has
political implications, meaning that it can mobilize
people. That can lead to major conflict."
Yakovleff said his soldiers are prepared to put down
any violence in the northern sector of Kosovo. 
"Be aware of the strong determination of KFOR to
respond, even brutally if necessary, to all forms of
violence," he said.  
The stabbing of a Serb sparked two explosions in
Mitrovica on January 3. Seven Serb firefighters were
injured in the second blast while trying to put out a
fire at an Albanian-owned building. 
The spike in violence has caused groups of Serbs and
Albanians to organize 24-hour neighborhood vigils.
....
Serbian President Boris Tadic has accused KFOR and the
European Union's EULEX mission of failing to respond
to the unrest. He urged the EU and the United Nations
to reinforce security for the Serb minority. 
....
The city is divided with the north home to Serbs and
the south populated mainly by ethnic Albanians.

Serbia strongly opposes Kosovo's independence, and
Serbs living in the new state still see Belgrade in
Serbia as their capital.



(english / italiano)

MOLTO OLTRE IL RIDICOLO


Pristina sta per diventare la prima e (speriamo) unica città del mondo in cui una strada sia stata intitolata a George W. Bush.
Nella città capoluogo della repubblichetta coloniale della NATO, esiste già da anni un Boulevard intitolato a Bill Clinton.
Evidentemente i responsabili per la toponomastica cittadina hanno una predilezione per chi commette gravi crimini contro la pace.
(Italo Slavo)


http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2008&mm=12&dd=25&nav_id=55986

Beta News Agency
December 25, 2008

Pristina street named after Bush 

PRISTINA - Kosovo Albanian authorities have decided to
name one of the main streets in Pristina after
outgoing U.S. President George Bush.

The decision, explained as a sign of respect for Bush,
was made during a government meeting on Wednesday, and
it passed unanimously.

"This is a step of great state respect and
gratefulness for the United States' engagement in
favor of Kosovo's independence," PM Hashim Thaci said.

Another former U.S. president, Bill Clinton, already
has a boulevard named after him in Pristina. 

He was honored for holding office in 1999, when NATO
attacked Serbia. However, the construction of
Clinton's statue required additional funds, and the
Kosovo government set EUR 5,000 aside for this purpose
at its session yesterday. 

According to a Beta news agency report, Bush is seen
in Kosovo as one of the most important world leaders
that supported Kosovo Albanians' declaration, which
Washington recognized a day after it was made. 

===========================
Stop NATO
http://groups.yahoo.com/group/stopnato




8-14 gennaio 2009

INTERNATIONAL FILM FESTIVAL KÜSTENDORF 2009
• Welcome
• Film and Events 09
• Press and News 09
• Music Programme 09
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ИНТЕРНАЦИОНАЛНИ ФЕСТИВАЛ ФИЛМА КУСТЕНДОРФ 2009. 
• Добродошли
• Филмски програм
• Press и Вести
• Музички програм
• Контакт
• Превоз


Sulla frequentazione Maradona-Kusturica, e sul villaggio del cinema fondato dal grande regista a Mokra Gora / Kustendorf, si vada anche alle pagine:

---

Maradona per la prima volta a Mokra Gora   

(www.glassrbije.org - 8 gennaio 2009)

Il secondo festival cinematografico internazionale Kustensorf sarà aperto oggi nel villaggio etnologico Drvengrad (la città di legno) a Mokra gora (la Montagna umida), nella Serbia occidentale, con la prima visione del film documentario a lungo metraggio Maradona del famoso regista serbo Emir Kusturica. Fino al 14 gennaio, nell’organizzazione della casa cinematografica Rasta film international di Kusturica e sotto il patrocinio del Ministero della Cultura della Serbia, al festival saranno presentati 46 film, sarà tenuta una serie di officine e discorsi, e sarà tenuto un interessante programma musicale. Le opere di 35 studenti di cinematografia di 16 paese parteciperanno al programma di concorso. Le uova di oro, argento e bronzo saranno assegnate della giuria, a capo della quale si troverà l’attrice Anica Dobra. I suoi membri saranno anche il produttore tedesco Karl Baumgartner e il direttore della cineteca di Bologna Gianluca Farinelli. 

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Počeo 2. filmski festival Kustendorf   

(www.glassrbije.org - 08. januar 2009. 20:59  - Izvor: Tanjug)

Domaćem premijerom dugometražnog dokumentarnog filma "Maradona", po scenariju i u režiji Emira Kusturice, u Drvengradu, na Mećavniku, počeo je 2. festival Kustendorf . U filmu o životu i karijeri argentinske i svetske fudbalske zvezde Dijega Armanda Maradone,  Kusturica se pojavljuje kao sagovornik i narator. Posle projekcije, Kusturica je održao predavanje studentima iz 16 zemalja, koji sa svojim prvim filmovima učestvuju u takmičarskom programu Kustendorfa.



(hrvatskosrpski / italiano
Inviamo nuovamente questo messaggio, che a molti non è pervenuto a
causa di un problema tecnico. Ci scusiamo con chi lo ha già ricevuto)

BIECO OPPORTUNISMO


In Croazia un gruppo di accademici sostiene la necessità che il
presidente croato Stjepan (Stipe) Mesic decori quegli ex comunisti,
membri del CC della Lega dei Comunisti Croati, "meritevoli per i
cambiamenti politici e lo sviluppo della democrazia" - responsabili
cioè di aver contribuito alla distruzione della Jugoslavia socialista.
Dunque Mesic dovrebbe in primo luogo decorare se stesso. Certo, lui
sarebbe sicuramente la persona adatta per un passo del genere, avendo
direttamente rivendicato il suo operato come squartatore della
Jugoslavia nel libro "Come abbiamo distrutto la RFS di Jugoslavia".
Stipe Mesic fu sin dai primi anni Settanta tra i sostenitori del
movimento antijugoslavo, nazionalista e secessionista croato detto
"primavera croata" (vedi: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3609
). Alto esponente della Lega dei Comunisti e poi braccio destro di
Tudjman sin dalla fine degli anni Ottanta, fu imposto nel 1991 dalla
Comunita' Europea come *ultimo* Presidente della RFS di Jugoslavia,
ruolo del quale si è poi vantato egli stesso nel suddetto libro,
pubblicato nella Croazia oramai "indipendente". (a cura di I&I)


Vecernji list - www.vecernji.hr (si faccia riferimento al sito per
leggere i commenti...)
07. 01. 2009. 19,30



Grupa akademika podržala ideju da se oda priznanje dvojcu iz CK SKH za
višestranačje:

Zahtjev predsjedniku da odlikuje zaslužne komuniste

Autor Jasmina Popović

Sardelić je govorom na plenumu CK SKJ 1989. označio potpuni raskid s
politikom 'hrvatske šutnje'; na slici s Mesićem
Foto: Arhiva VL


Celestin Sardelić i Drago Domitrović dva su ključna čovjeka
zaslužna za promjene koje su se počele događati prije dvadeset
godina. Ta su dva političara bila u vrhu Partije te su zaslužni za
višestranačke izbore više nego Ivica Račan i mislim da trebaju za
to dobiti priznanje. Oni su iznijeli koncepciju i proveli je.

Sardelić je prvi u Beogradu napao politiku Slobodana Miloševića.
Obojica su bila dio kruga od desetak ljudi koji su shvatili da su
pomjene nužne. To je bio razlog da pokrenem inicijativu da predsjednik
Mesić odlikuje tu dvojicu časnih i poštenih ljudi i u njoj su mi se
bez ikakvih zadrški pridružila još trojica uglednih ljudi akademik,
Vladimir Stipetić, Slavko Goldstein i Josip Šentija – potvrdio nam
je danas akademik Dušan Bilandžić.

Reformistički političari

On je incijator ideje da se Domitroviću, koji je potkraj osamdesetih
obnašao funkciju sekretara Predsjedništva CK SK Hrvatske, i
Sardeliću, koji je bio član Predsjedništva CKSKH zadužen za
ideologiju, oda priznanje za početak demokratskih promjena.

U Uredu predsjednika potvrdili su da znaju za inicijativu i da je
prijedlog u proceduri. Grad Zagreb je, naime, inicijativu akademika
Bilandžića proslijedio i sada je na redu Državno povjerenstvo za
odlikovanja i priznanja, koje će vijećati o tom prijedlogu.

Povjerenstvo, kojem je na čelu Štefanija Balog, sastaje se prema
potrebi i u dogledno bi vrijeme trebalo odlučiti s kakvim će
prijedlogom izaći pred predsjednika Mesića. Neslužbeno se može
čuti da je u planu Red hrvatskog pletera i da će odlikovanja, prođe
li prijedlog, biti dodijeljena vjerojatno uz prigodu obilježavanja
Dana državnosti. U obrazloženju inicijative stoji da su i Domitrović
i Sardelić bili predvodnici i inicijatori demokratske transformacije
koja je završila uspostavom demokratske države.

Pripadali su maloj skupini reformističkih političara, širili prostor
tolerancije i dijaloga, čime je rastao i utjecaj reformske politike i
reformskih snaga. Domitrović je potaknuo i demokratizirao donošenje
odluke o višestranačkim izborima, a Sardelić je svojim govorom na
plenumu CK SKJ u rujnu 1989. označio potpuni raskid s politikom
“hrvatske šutnje”, a nakon toga imao aktivnu ulogu u formuliranju
i donošenju odluke o prijelazu na višestranačku demokraciju.

Nepriznate zasluge

– Ne znam točno razloge zbog kojih oni nisu nastavili svoje aktivno
sudjelovanje u politici nakon promjena i smatram da je Račanova
pogreška što ih nije uspio povući. Zasluge im zbog rata i
specifičnih političkih okolnosti nisu bile priznate devedesetih, no
mislim da je krajnje vrijeme da se nepravda ispravi – smatra
Bilandžić.


venerdì 30 gennaio 
Stazzema (LU)

"A forza di essere vento"

In memoria dell'olocausto del popolo zingaro. 
- ore 15.30, presso il Museo Storico della Resistenza di Sant'Anna di Stazzema, si terrà un incontro dibattito con la presentazione di un doppio DVD intitolato "A forza di essere vento" a cura del prof. Luca Bravi dell'Università di Firenze.


------

Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea
nelle province di Biella e Vercelli "Cino Moscatelli"
Aderente all'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia "Ferruccio Parri"
13019 Varallo - via D'Adda, 6 - tel. 0163-52005 - fax 0163-562289 
direzione @... - www.storia900bivc.it
 
In occasione del Giorno della Memoria, l'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli "Cino Moscatelli" espone a Varallo (VC), nella sede di via D'Adda, 6, dal 12 al 30 gennaio 2009, la mostra Porrajmos: altre tracce sul sentiero per Auschwitz, curata da Carlo Berini, per l’Istituto di Cultura Sinta di Mantova, con la collaborazione di Paola Dispoto per l'associazione Nevo Drom di Bolzano. I testi e le foto sono tratti dal volume "Porrajmos, altre tracce sul sentiero per Auschwitz", edito dall'Istituto di Cultura Sinta nel gennaio 2006.
La mostra sarà aperta da lunedì a venerdì dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18.

Porrajmos 
altre tracce sul sentiero per Auschwitz
  
La mostra ripercorre le vicende della persecuzione e dello sterminio subiti dalle popolazioni rom e sinte ad opera dei regimi nazista e fascista.
Quanti oggi conoscono la parola porrajmos? Pochissimi.
Questo è l’indizio più significativo di come la memoria dei popoli che ci ostiniamo a chiamare zingari e nomadi fatichi a trovare ascolto e cittadinanza in Italia. Porrajmos è la parola che nelle lingue sinte e rom definisce il “divoramento” subito in Europa tra il 1934 e il 1945.
L’Europa nazista e fascista fu teatro dell’annientamento di almeno la metà dell’intera popolazione rom e sinta europea. Cinquecentomila uomini, donne e bambini perseguitati, imprigionati, uccisi, deportati nei lager e seviziati, vittime degli orrendi esperimenti medici nazisti, sterminati nelle camere a gas e nei forni crematori.
Nei processi ai nazisti colpevoli di crimini contro l’umanità che seguirono la liberazione, primo tra tutti quello di Norimberga, rom e sinti non ebbero spazio. Le loro sofferenze non solo non vennero mai indennizzate, ma nemmeno prese in considerazione. Solo nel 1980 il governo tedesco riconobbe ufficialmente che i rom e i sinti durante la guerra avevano subito una “persecuzione su base razziale”.
In Italia le popolazioni sinte e rom non hanno ancora ricevuto nessun riconoscimento ufficiale per le persecuzioni su base razziale subite durante la dittatura fascista. La legge n. 211 del 20 luglio 2000 che istituisce il “Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio, delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”, non ricorda lo sterminio subito dalle popolazioni sinte e rom.
Perpetrare l’oblio nel quale si rischia di cancellare questi eventi equivale a legittimare un’oltraggiosa indifferenza per tutte le vittime della follia nazifascista ma, soprattutto, è il segno di una cecità pericolosa. Ciò che accade oggi in Italia alle popolazioni sinte e rom è anche il risultato di questo oblio, di questa ipocrita indulgenza nei confronti della memoria storica italiana. A queste popolazioni, italiane da generazioni, viene ancora negato il diritto di essere parte integrante e interagente del Paese.

(la locandina è anche al nostro sito:




Palestina: piombo fuso e spalle coperte

13 gennaio, manifestazione davanti al Ministero degli Esteri
17 gennaio, manifestazione nazionale per la Palestina

1) PIOMBO FUSO E SPALLE COPERTE. L’ATTUALE MASSACRO ISRAELIANO NELLA STRISCIA DI GAZA E IL RUOLO DELL’UNIFIL IN SUD LIBANO. Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli!

2) La straordinaria giornata di mobilitazione al fianco dei palestinesi del 3/1/2009
3) Appello del mondo intellettuale italiano contro l’aggressione israeliana a Gaza
4) Parlarmentare greco restituisce regalo all’ambasciata israeliana

5) LINKS (francais / english / italiano)



=== PROSSIME MANIFESTAZIONI ===

Da: forumpalestina  @...

Oggetto: Roma. Martedi 13 gennaio manifestazione per Gaza alla Farnesina.

Data: 10 gennaio 2009 14:32:30 GMT+01:00


Roma,  martedi 13 gennaio manifestazione davanti alla Farnesina
 
Il governo italiano cessi di essere complice con il massacro dei palestinesi a Gaza
Chiediamo l'apertura immediata dei corridoi umanitari per far uscire i feriti da Gaza e far entrare personale e materiale sanitario.
Messa a disposizione delle strutture sanitarie in Italia per ospitare i feriti palestinesi che gli ospedali palestinesi non sono in grado di curare
 
Martedi 13 gennaio, dalle ore 16.30
MANIFESTAZIONE DAVANTI ALLA FARNESINA
(via Ministero degli Esteri)
 
E' stato chiesto un incontro urgente con i responsabili del Ministero degli esteri per la regione Mediterraneo- Medio Oriente
 
 
stopmassacrogaza@... ( rete di Roma)

---
Fermiamo il massacro dei palestinesi a Gaza
Basta con l’impunità del terrorismo di stato israeliano
Rompere ogni complicità politica, militare, economica tra lo stato italiano e Israele
Le bombe uccidono le persone, l’informazione manipolata uccide le coscienze
 

Sabato 17 gennaio
Manifestazione nazionale a Roma

 
La partenza della manifestazione è sabato 17 gennaio, ore 15.30 a Piazza Vittorio (vicino la stazione Termini)
conclusione a Piazza di  Porta Capena (Circo Massimo).
Il percorso sarà S. Maria Maggiore, Via Cavour, Colosseo, Porta Capena



=== 1 ===

Da: info @...

Oggetto: PIOMBO FUSO E SPALLE COPERTE - Comunicato

Data: 31 dicembre 2008 17:24:59 GMT+01:00

PIOMBO FUSO E SPALLE COPERTE

L’ATTUALE MASSACRO ISRAELIANO NELLA STRISCIA DI GAZA E IL RUOLO DELL’UNIFIL IN SUD LIBANO


Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli!
www.disarmiamoli.org info@... 
3381028120  3384014989

Gaza 28.06.06 Inizia l’ennesima operazione militare dell’esercito israeliano contro Gaza. Summer Rain, una “pioggia estiva” di bombe sulla popolazione. Il bilancio a fine luglio 2006 fu di 159 morti, di cui 31 bambini. Durante i raid aerei, simili seppur meno intensi di quelli d’oggi, la resistenza libanese attaccò alcune postazioni israeliane di confine, allo scopo di alleviare la pressione militare sulle popolazioni di Gaza. Sette soldati israeliani sono uccisi, due fatti prigionieri.

La reazione israeliana non si fece attendere. Distolta l’attenzione da Gaza, con l’operazione “giusta ricompensa” i vertici politico/militari sionisti portarono i loro militari nella trappola del Sud Libano, dove per la prima volta nella sua storia l’esercito israeliano subì una sonora sconfitta.
 
A soccorrere l’alleato strategico in Medio Oriente intervenne allora la diplomazia occidentale. 
Gli accordi internazionali portarono alla costituzione di una forza di “interposizione” composta principalmente da soldati europei, tra i quali spiccavano (e spiccano) gli italiani.
Grande fu il contributo all'opera dell’allora Ministro degli esteri Massimo D’Alema, osannato da tutte le forze politiche che sostenevano l’allora governo Prodi. Le ripetute dichiarazioni rilasciate in quelle settimane da D’Alema a favore d’Israele, a chiarire ruolo e funzione di quella complessa operazione, non servirono a convincere neppure l’ex “sinistra radicale” sulla funzione dei 15.000 soldati ancora oggi acquartierati in Sud Libano.

Poche furono le voci che si levarono contro quella missione. Tra esse la nostra. 
Le ragioni del NO erano (e sono) semplici ed evidenti: si occupa il solo territorio del paese aggredito senza toccare un metro quadrato di quello dell’aggressore, Israele. Non si mette mano ai problemi di fondo del conflitto nell’area: l’occupazione israeliana di porzioni di territorio libanese e siriano. Si tentò (invano) di imporre il disarmo e lo scioglimento della resistenza libanese.

Come leggere, alla luce del massacro di queste ore a Gaza, il ruolo della missione UNIFIL? 
I “benpensanti”, coloro i quali difesero e continuano a difendere quella missione, probabilmente diranno che “almeno un fronte di guerra è stato spento”. Ma il buonsenso in guerra è pane per utili idioti o, peggio, per coloro i quali sono in mala fede.

Nei fatti oggi l’esercito israeliano agisce ancora più indisturbato contro i palestinesi, massacrandoli senza alcuna sostanziale reazione militare. 
Domani, quando i rapporti di forza glielo permetteranno, Israele si sbarazzerà - con le buone o con le cattive - della forza d’interposizione in Sud Libano e attaccherà di nuovo in quella direzione. Nel lucido progetto sionista la “Grande Israele” non si è ancora realizzata. Non a caso Israele è l’unico Stato al mondo che non ha ancora dichiarato e depositato i propri confini nazionali.

Nell’esprimere tutta la nostra solidarietà alle popolazioni palestinesi ed alla loro resistenza, sottoposte in queste ore ad un criminale assedio e bombardamento, reiteriamo la nostra richiesta di 

RITIRO IMMEDIATO DELLE TRUPPE DAL SUD LIBANO ED IL LORO SPOSTAMENTO IN TERRITORIO ISRAELIANO A PROTEZIONE DEI POPOLI CIRCOSTANTI, IL DISARMO E LO SCIOGLIMENTO DI TSAHAL, L’ARRESTO DEI VERTICI POLITICI E MILITARI DELLO STATO DI ISRAELE E LA COSTITUZIONE DI UNO TRIBUNALE INTERNAZIONALE SPECIALE PER I CRIMINI DI GUERRA COMMESSI DAI GOVERNI SUCCEDUTISI IN ISRAELE DAL 1948 AD OGGI . 

Com'è noto, i crimini di guerra non cadono in prescrizione. L’umanità saprà attendere.


=== 2 ===

Da: forumpalestina @...
Oggetto: Una straordinaria giornata di mobilitazione al fianco dei palestinesi e per dire fermate il massacro di Gaza
Data: 03 gennaio 2009 21:39:27 GMT+01:00
 

Una straordinaria giornata di mobilitazione al fianco dei palestinesi e per dire fermate il massacro di Gaza


Scrivono le agenzie che oggi "Migliaia di persone sono scese in piazza, nonostante il maltempo, in 15 città italiane per manifestare solidarietà al popolo di Gaza, aderendo alla giornata di mobilitazione promossa dal Forum Palestina. La manifestazione più imponente a Roma, mentre a Milano sono state date alle fiamme bandiere israeliane". Durante le manifestazioni è giunta la temuta notizia dell'inizio dell'escalation terrestre delle forze aremate israeliane contro Gaza.

Vediamo un resoconto basato sulle notizie diffuse dalla principali agenzie stampa.

ROMA - Nellla capitale almeno 10.000 persone sono scese in piazza per protestare contro il massacro in corso contro i palestinesi di Gaza. "Fermiano il genocidio dei palestinesi a Gaza" recitava lo striscione di apertura. Portate in corteo fotografie di bambini e donne feriti a Gaza. Il corteo, che si è via via ingrossato cogliendo di sorpresa organizzatori e le stesse forze dell'ordine, è andato oltre piazza Barberini, dove doveva concludersi, per proseguire verso piazza del Popolo, riempita dai manifestanti e da centinaia di bandiere palestinesi e libanesi, dove si sono tenuti gli interventi conclusivi che hanno rilanciato l'urgenza di una manifestazione nazionale entro il mese di gennaio. «Chiediamo di fermare il massacro e la carneficina che sta avvenendo a Gaza - ha detto Sergio Cararo del Forum Palestina -, inoltre diciamo basta all'impunità di Israele e all'informazione manipolata che in questi giorni sta raccontando una falsa verità».

MILANO. A Milano il lungo corteo contro l'aggressione israeliana nella Striscia di Gaza era aperto da giovani palestinesi: alcuni avevano degli striscioni con la Stella di David sormontata dalla svastica e sono state date alle fiamme bandiere israeliane e lanciati slogan contro Israele e gli Stati Uniti. Alcuni iracheni avevano in mano delle scarpe, diventate un simbolo dopo il lancio contro Bush da parte di un giornalista tuttora in carcere. Una volta giunto in piazza San Babila, dove avrebbe dovuto sciogliersi, il corteo cresciuto con migliaia di partecipanti ha invece proseguito lungo corso Matteotti per arrivare in piazza Duomo, dove un migliaio di manifestanti ha occupato la zona antistante il sagrato.

TORINO - Anche a Torino c'è stata una manifestazione contro l'attacco militare di Israele. Il presidio organizzato dall'assemblea Free Palestine a Porta Palazzo si è trasformato in un corteo spontaneo. I partecipanti hanno raggiunto l'associazione Italia-Israele dove c'è stato un lancio di uova. Alla manifestazione, scandita dal grido «Israele assassino», hanno partecipato molti immigrati di origine araba.

VICENZA - Cinquemila, i partecipanti al corteo di Vicenza. Tanti gli stranieri, circa l'80% dei partecipanti, provenienti da tutto il Veneto. Il corteo, sfilato al grido di «assassini, assassini», è stato tenuto sotto controllo da un massiccio dispiegamento di forze dell'ordine e dal servizio predisposto dagli organizzatori. Decine gli striscioni esposti dai manifestanti: «Fermiano il massacro di Gaza», «Quanti morti ci vogliono per fermarli?», «Uno Stato libero per i palestinesi» e «Gaza libera, comunque Intifada fino alla vittoria». Alcuni cartelli riportavano gigantografie di massacri, bombardamenti, distruzioni e morti.

BOLOGNA - A Bologna sono scese in piazza circa duemila persone, in maggioranza stranieri, che hanno concluso la manifestazione pregando insieme davanti alla basilica di San Petronio in piazza Maggiore. Il corteo era aperto dai bambini per sottolineare che i bombardamenti israeliani mietono molte vittime innocenti. È stata bruciata una bandiera di Israele e sono stati esposti striscioni con la stella di David equiparata alla svastica. La manifestazione si è fermata per alcuni minuti davanti alla Prefettura per chiedere un intervento del governo italiano.

NEL MONDO Migliaia di persone sono scese in piazza in diverse città del mondo contro i bombardamenti israeliani a Gaza.

A Londra i manifestanti (50mila secondo gli organizzatori) hanno lanciato scarpe contro la griglia metallica che impedisce l'accesso a Downing Street. Alla guida del corteo l'ex cantante degli Eurythmics Annie Lennox e l'ex sindaco di Londra Ken Livingstone. In segno di protesta, i manifestanti hanno lanciato scarpe contro la griglia metallica che impedisce l'accesso a Downing Street (dove si trova la residenza del Primo ministro inglese). Tra gli organizzatori del corteo, l’associazione Stop the War e l’Iniziativa dei musulmani britannici (Bmi). Altri raduni di protesta sono stati organizzati a Glasgow, in Scozia, Manchester, Hull e Portsmouth.

A Parigi 25mila persone (secondo gli organizzatori) hanno sfilato per le strade gridando «Basta al massacro, sanzioni contro Israele», «Gaza siamo tutti con te» e «Israele assassino». A Parigi hanno manifestato al grido di "siamo tutti palestinesi", alcuni hanno dato fuoco a bandiere israeliane. Il corteo era organizzato dal «Collettivo nazionale per una pace giusta tra palestinesi e israeliani», da associazioni, sindacati e partiti di sinistra. Durante il corteo sono avvenuti alcuni incidenti, tra cui alcune auto, vetrine di negozi infrante e scontri fra manifestanti e polizia. Gli incidenti sono scoppiati in particolare nell'VIII arrondissement, zona dei grandi magazzini di boulevard Haussmann.

A Berlino, sono scese in piazza 7.500 persone, 4 mila a Dusseldorf.

Migliaia in piazza ad Atene e SaloniccoNella capitale greca circa 3.000 persone hanno sfilato fino all'ambasciata israeliana, dove tafferugli sono scoppiati fra dimostranti e polizia, che ha disperso la folla con lacrimogeni.

Madrid un migliaio in piazza.In un comunicato molti intellettuali e artisti iberici, tra cui l'attore premio Oscar Javier Bardem, hanno condannato i raid israeliani e chiesto "l'arresto immediato dell'offensiva criminale sulla Palestina". 

 Ad Amsterdam i manifestanti, 5mila secondo gli organizzatori, portavano striscioni invitando a boicottare i prodotti israeliani. In migliaia hanno manifestato sia contro gli attacchi israeliani che contro il governo olandese che non ha condannato i raid. Più di 3.000persone hanno sfilato a Salisburgo, in Austria.

Negli Usa c'è stato un corteo a Washington.

A Kabul, in Afghanistan, centinaia di persone hanno partecipato a una marcia di protesta e a Jalalabad più di 400 persone hanno protestato contro il mancato intervento delle Nazioni Unite.



=== 3 ===

Appello del mondo intellettuale italiano contro l’aggressione israeliana a Gaza
 
31 dicembre 2008
 
 
È di poche ora fa la notizia che il governo israeliano, capeggiato da un leader sconfitto e corrotto, Ehud Olmert, ha rifiutato la pur tardiva richiesta dell’Unione Europea, di concedere alla popolazione di Gaza stremata, una tregua umanitaria di 48 ore nell’operazione militare che, con proterva arroganza, è stata chiamata Piombo fuso. La notizia ci addolora e ci indigna; ma non ci sorprende. Il governo israeliano sta passando, nei confronti dei palestinesi, dalla politica della persecuzione a quella della eliminazione. Come non vedere negli eventi in corso, non da oggi, una tremenda analogia con quello che il popolo ebraico ha subìto? Ma le ingiustizie patite non danno titolo, né morale né politico, a produrre altre ingiustizie ai danni dei più deboli. Come operatori nel mondo della ricerca, dell’università, della scuola, della comunicazione, delle arti, dello spettacolo, intendiamo denunciare l’informazione menzognera dei media; e, d’altro canto, la viltà – e talora complicità – della classe politica italiana (con impercettibili distinguo nel suo seno).
Non paghi di aver, nel corso dell’anno, tributato grandi onori allo Stato d’Israele, che festeggiava il suo 60°, dimentichi che quello stesso anniversario ricordava, agli altri, gli arabi di Palestina, la catastrofe del loro popolo ( la Nakba ), politici, opinionisti, organizzatori culturali (insomma ,“l’élite italiana”),  stanno ora di nuovo dimostrando una stupefacente smemoratezza e una disonestà che lascia allibiti. D’altronde con “l’unica democrazia del Medio Oriente”, come si continua a ripetere, l’Italia (e  la Comunità  Europea ) ha accordi pesanti di collaborazione militare, politica e scientifica.
Mentre le bombe continuano a falciare vite, nel pieno delle festività di fine anno, e si minaccia un attacco di terra, da noi, in nome di un conclamato quanto ingannevole spirito di equidistanza si pongono sullo stesso piano i razzi sparati sulle città del Sud di Israele (che, peraltro, costituiscono una forma di resistenza all’invasione), con l’osceno massacro indiscriminato in atto a Gaza, già ridotta allo stremo da un embargo illegittimo e immorale. E, adottando la posizione israeliana e statunitense, si chiede ad Hamas di cessare le azioni militari, come passo indispensabile per ottenere una tregua. Si accusa Hamas, che non si dimentica mai di etichettare come “organizzazione terroristica” (il che non cancella i nostri dissensi politici e per molti aspetti ideali, da Hamas), di aver rotto la tregua in atto da tempo: mentendo, perché durante quella “tregua” fittizia, numerosi palestinesi sono stati uccisi dagli israeliani, i quali hanno anche rapito e sequestrato ministri (in numero di 8) e del legittimo governo di Hamas e deputati del Parlamento (15), nell’indifferenza della “comunità internazionale”.
Si insiste sul fatto che Hamas si è “impadronita” di Gaza con le armi, dimenticando che Hamas ha vinto libere elezioni, e un colpo di Stato (con il sostegno israeliano, statunitense e gli applausi europei), gli ha negato il governo del Paese, usando Abu Mazen se non come un Quisling, un vero collaborazionista, certo come una sponda utile. Si accetta la versione dell’attaccante che ci “informa” di colpire solo obiettivi militari, e si finge di non sapere che fra tali obiettivi sono sedi universitarie, ospedali, moschee. Si deplorano i morti civili (secondo stime ufficiali dell’Onu al 25% della popolazione nei primi giorni dell’attacco israeliano, molti dei quali adolescenti e bambini, ai quali è impedita la stessa possibilità di cura, per mancanza di medicinali e di strumentazione, a causa del blocco israeliano), ma si dimentica che da anni Gaza è il più grande campo di concentramento a cielo aperto del mondo. E che ebrei sono – questo il terribile paradosso – gli aguzzini di quel campo, mentre arabi sono gli internati, ai quali, da anni, vengono negati i più elementari diritti, a cominciare dal diritto stesso alla sopravvivenza.
Il blocco di Gaza è una delle pagine più buie di Israele, a cui noi non chiediamo nulla, convinti che la sua politica sia destinata a produrre effetti contrari a quelli perseguiti e che l’odio che sta seminando non solo nella regione, ma in tutto il mondo, non potrà che accrescersi e produrre conseguenze disastrose per uno Stato che ritiene di poter governare tutto secondo il principio della forza, non solo rispetto ai palestinesi, ma all’intera comunità internazionale, della quale si fa beffe (si pensi al mancato rientro di Israele nei confini pre-1967, malgrado le innumerevoli risoluzioni dell’Onu). E abbiamo pietà degli israeliani che oggi festeggiano i circa 400 palestinesi uccisi nelle prime ore dell’operazione Piombo fuso. La loro danza macabra testimonia come un’intera società possa corrompersi moralmente (compresa la gran parte dei cosiddetti intellettuali israeliani dissidenti), sotto il segno della guerra permanente.
La guerra odierna è tutt’altro che improvvisata: proprio come due anni e mezzo fa, nell’estate 2006, soltanto un vaghissimo pretesto  fu trovato nella cattura di un soldato israeliano da parte di Hezbollah, per l’infelice attacco al Libano, oggi il pretesto sono i razzi Kassam sparati da Gaza. Questa guerra che gli stolti salutano come benefica, oggi,  porterà a loro – e purtroppo ad altri – nuove morti, nuove distruzioni, nuove sofferenze, allontanando ogni possibile pace.  
Chiediamo a quanti operano nei nostri ambienti di adoperarsi, con tutti i mezzi a loro disposizione, per denunciare l’occultamento e il capovolgimento della verità che, assecondando la campagna propagandistica israeliana, che ha accuratamente preparato il terreno per l’attacco, si sta mettendo in campo: oggi, più che mai, la propaganda non è un semplice strumento di guerra: è essa stessa guerra. E nell’asimmetria delle “nuove guerre”, questa scatenata da Israele sul finire di un anno terribile, passerà alla storia, forse, come la guerra ai bambini.
A noi rimane lo strumento della denuncia affinché davanti all’“informazione” manipolata e corriva, abbia libero corso il sapere critico, la riflessione informata, l’educazione delle coscienze. Ora, per avviare la nostra mobilitazione, ribadiamo che all’intellettuale spetta il duro compito, se vuole salvare non la propria “genialità”, ma la propria “dignità”, di gridare sui tetti la verità. Studieremo, nei prossimi giorni, eventuali iniziative comuni, per portare avanti la nostra azione. Ma fin d’ora,  anche se servisse a poco e a pochi, pensiamo di non poter rimanere inerti, complici o succubi, davanti alle immagini che ci giungono da Gaza sotto le bombe, alle carni martoriate di quei bimbi innocenti, alle macerie fumanti di una comunità che non si arrende, e che, perciò, rischia l’annientamento, mentre noi stappiamo le nostre preziose bottiglie di champagne.  
 
Angelo d’Orsi (Storico, Università di Torino)
 
Prime adesioni
Massimo Zucchetti (docente Politecnico di Torino)
Franca Balsamo (sociologa, Università di Torino)
Diana Carminati (storica, già Università di Torino)
Carmen Betti (storica, Università di Firenze)
Alfredo Tradardi (organizzatore culturale, International Solidarity Movement, Ivrea-Torino)
Alexander Höbel (storico, Università di Napoli Federico II)
Marco Albeltaro (dottorando in Storia, Università di Torino)
Gianfranco Ragona (storico, Università di Torino)
Massimo Sestili (insegnante e studioso di storia, Roma)
Emanuela Irace (giornalista indipendente, Roma)
Renato Caputo (dottorando in Filosofia, Università di Urbino)
Lorena Barale (studiosa di storia, archivista, organizzatrice culturale, Torino)
Antonio Santoni Rugiu (storico, già Università di Firenze)
Domenico Losurdo (filosofo, Università di Urbino)
Piero Bevilacqua (storico, Università di Roma Sapienza)
Giovanna Savant (dottoranda in Storia del pensiero politico, Università di Torino)
Gesualdo Maffia (dottorando in Storia, Università di Genova)
Fulvio Grimaldi (giornalista e documentarista indipendente, Roma)
Joséphine Errante (zootecnica, già Università di Torino)
Valentina Conti (editore – AE Edizioni, Ancona; assessore Cultura Comune di Jesi)
Alessandra Dino (sociologa, Università di Palermo)
Daniela Marendino (archivista, studiosa di storia, Torino)
Francesca Chiarotto (dottoranda in Studi Politici, Università di Torino)
Armando Petrini (Facoltà di Scienze della Formazione, Università di Torino)
Antonio Prete (Professore Letterature Comparate, Università di Siena)
Pasquale Voza (italianista, Università di Bari)
Sandro Mezzadra (storico, Università di Bologna)
Giuseppe Panella (filosofo, Scuola Normale Superiore di Pisa)
Renzo Martinelli (storico, Università di Firenze)
Filomena Pompa (dottore di ricerca in Storia, Università di Perugia)
Guido Panico (storico, Università di Salerno)
Giorgio S. Frankel, giornalista professionista indipendente
 
Raimondo Vacca (Scienze della Formazione Primaria, Università degli Studi di Firenze)
Antonio Calvani (pedagogista, Università di Firenze)
Marcello Musto (Letterature Comparate, Università Orientale di Napoli)
Giorgio Pecorini (giornalista, Volterra)
Giulio Stocchi (poeta, Milano)
Deborah Strozier (architetto, Milano)
Gabriella Paolucci (sociologa, Università di Firenze)
Flavio Marcolini (giornalista e docente di storia, Montichiari) 
Silvia Lelli (antropologa, Università degli Studi di Firenze)
Margherita Bassini (funzionario pubblico, organizzatrice culturale)
Fondazione Luigi Longo, Alessandria
Vanna Boffo (ricercatrice, Università degli Studi di Firenze)
Luigi Punzo (storico della filosofia, Università di Cassino)
Flavia Bacchetti (ricercatrice, Università di Firenze)
Biagio Cutropia (docente, Bisacquino, Palermo)
Anita Troiani ( docente, Brescia)
Roberta Micheli (docente, Massa)
Santiago Zabala (filosofo, Università di Potsdam)
Stefano Nutini (redattore Edizioni Unicopli, Milano)
Fabrizio Bertoli (bibliotecario, Universita' di Verona)
Edoardo Martinelli (Centro Ricerca Formazione Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana)
Jole Silvia Imbornone (dottore di ricerca in Italianistica, Università di Bari)
Mattia Baglieri (studente di Scienze Politiche Università di Bologna e scrittore) 
Nadia Redoglia (giornalista, Torino)
Stefano Petrella (consulente scientifico WWF Italia, Roma)
Margherita Moles (docente, Università Popolare di Valcamonica-Sebino)
Alessio Bortolo Domenighini (formatore, Università Popolare di Valcamonica-Sebino)
Carlo Lucchesi (presidente dell'istituto di ricerche IRES TOSCANA, Firenze)
Stefania Pavone (giornalista, Roma)
Liliana Boranga (direttore di radio base popolare network, giornalista, Mestre - Venezia)
Edoardo Magnone (chimico, Universita` di Tokyo)
Ernesto Burgio (ISDE Italia, Cortona)
Salvatore Tassinari (insegnante, Firenze)
Arianna L'Abbate (operatrice culturale, Roma)
Massimo De Santi (fisico, Università di Pisa, Presidente Comitato Internazionale Educazione per la Pace)
Giorgio Barberis (ricercatore, Università del Piemonte Orientale)
Alessandra Kersevan (ricercatrice, Università di Udine)
Giorgio Riboldi (docente, Milano)
Mariella Megna (traduttrice,Cremona)
Associazione L'altra Lombardia - SU LA TESTA (Milano)
Saverio Tommasi (attore, Firenze) 
Romano Colombini (presidente della Commissione scuola ANPI "Dolores Abbiati, Brescia)
Angelo Chiattella (collaboratore tecnico-scientifico, studioso di storia della scienza, Torino)

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Da: "anpibarona" <anpibarona @...>
Data: 07 gennaio 2009 14:57:35 GMT+01:00
A: <Undisclosed-Recipient:;>
Oggetto: Non possiamo dimenticare...

A.N.P.I.  A S S O C I A Z I O N E  N A Z I O N A L E  P A R T I G I A N I  D ’ I T A L I A  
COMITATO NAZIONALE
 
Un “Ordine del Tricolore” che disordina la storia e le radici della Repubblica
Col disegno di legge n. 1360 la maggioranza parlamentare pretende di equiparare partigiani, militari e deportati ai repubblichini di Salò con un istituendo Ordine del Tricolore. La relazione che accompagna il disegno di legge sostiene infatti “la pari dignità di una partecipazione al conflitto di molti combattenti, giovani e meno giovani, cresciuti nella temperie culturale guerriera e imperiale del ventennio, che ritennero onorevole la scelta a difesa del regime ferito e languente”. Analoga operazione fu già tentata dalla destra nelle precedenti legislature, ma venne respinta: ora tenta un gravissimo colpo di forza. L’ANPI e tutte le forze politiche, sociali, culturali che si richiamano all’antifascismo e ai valori della Resistenza sanciti nella Costituzione della Repubblica non possono che opporsi al disegno di legge attualmente in discussione nella Commissione Difesa della Camera. Intendiamo denunciare questo ennesimo tentativo di sovvertire la nostra storia e le radici stesse della nostra Repubblica in una conferenza pubblica che si terrà a Roma  martedì 13 gennaio, alle ore 16, alla Camera dei Deputati - Sala del Cenacolo (Vicolo Valdina, 3/a). Interverranno: Giuliano Vassalli, Claudio Pavone, Marina Sereni, Raimondo Ricci e Armando Cossutta.

Cade la neve..  sulla nostre lapidi.. sulle teste canute dei nostri Partigiani... un fiocco di neve scende sul cuore di tutti noi... non possiamo dimenticare, non possiamo far coprire per sempre la nostra idea di Libertà, Antifascismo, Resistenza...   vi trascriviamo un breve stralcio del discorso di Don Gianfranco Bottoni al campo della Gloria di Milano nel novembre 2007.  

Ivano Tajetti.  ANPI Barona. Milano.  http://anpibarona.blogspot.com/  

...."La casa è di tutti se nessuno se ne appropria, come invece aveva fatto il fascismo e ancora potrebbe fare sotto mutate spoglie. Ma, in una società pluralista, la casa non sarebbe più di tutti neppure qualora, per tentare di risolvere problemi ancora aperti dell’unità nazionale o per guarire ferite non sanate nel nostro paese, si cadesse nella tentazione di sostituire alla “pietas” civile, che deve distinguere tra morti e morti, quella specifica di una fede particolare. Di nessuna fede. Lo dico pensando alla stessa mia fede di cristiano. Certamente in nome di questa posso essere spinto a considerare i morti tutti uguali davanti a Dio e a metterli, nella mia coscienza interiore e personale, gli uni accanto agli altri. Ma questo non mi sottrae dal senso della cittadinanza che condivido con più e diverse sensibilità nella “comune” città terrena, nella quale e per la quale non metterò mai sullo stesso piano né troverei accettabile l’idea di seppellire o di onorare gli uni accanto agli altri i caduti sugli opposti fronti della guerra di liberazione nazionale. Che gli uni e non gli altri siano sepolti e onorati in questo Campo della Gloria non è conseguenza delle ragioni di forza di cui disponevano i vincitori sui vinti. È invece la civica “pietas” ad esigerlo, perché la città libera e democratica ha tra i suoi padri soltanto coloro che hanno scelto di combattere per liberarla e restituirla alla sovranità popolare. Né qui né in altro luogo della nostra città, medaglia d’oro della Resistenza, il pur apprezzabile desiderio di promuovere la riconciliazione nazionale dovrà portarci a mettere tutti i morti sullo stesso piano, cadendo in una sorta di “relativismo della memoria”."...




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(NB. la foto che accompagnava il testo seguente ci è pervenuta non visibile)
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Da:  comitato antifascista Parma

Oggetto:  Due proposte di legge per legittimare i fascisti

Data:  08 dicembre 2008 16:20:30 GMT+01:00

A:  jugocoord


Parlamento: due proposte di legge per legittimare i fascisti


di Alessandro Perrone 

FOTO: Dietro Gianfranco Fini l'onorevole Menia in saluto romano

Il Parlamento sta affrontando due proposte di legge in cui s'intende legittimare i fascisti e collaborazionisti che tra il '43/'45 militarono al fianco dell'occupante nazista. Ciò non è una novità, purtroppo, ma visto il clima, occorre vigilare e per quanto possibile, impedire ogni colpo di spugna che mira alla riabilitazione dei fascisti vecchi e nuovi. 
 
Il Parlamento, infatti, in sede referente, ha iniziato l’esame delle proposte di legge recanti Istituzione dell’Ordine del Tricolore (C1360Barani - rel. Cirielli, PdL) ed il riconoscimento della qualifica di ex combattente agli appartenenti alla Guardia Civica di Trieste (C682Menia - rel. Holzmann, PdL). 
 
Per la cronaca, fra il serio e il faceto:
L'On. Barani (Nuovo PSI-PdL) riguardo la giornata del ricordo in premessa ad un suo intervento in Parlamento ha esordito così: "Signor Presidente, come sindaco di Villafranca in Lunigiana, ho avuto la fortuna e l'occasione - uno dei casi più unici che rari (n.d.a.: giuro ho solo copia-incollato la dichiarazione) - di erigere un monumento alla Giornata del Ricordo, rappresentato da una pietra carsica di una foiba"...... Perbacco che statista!   
Mentre l'On. Menia,  il "capellone" dietro Fini nella foto sopra, tipetto educato pare,  è immortalato mentre sta "salutando" la gente...... Detto tutto! 
  
Per quanto riguarda l'Ordine del Tricolore, l'onorificenza è proposta a coloro che hanno prestato servizio militare, per almeno sei mesi, in zona di operazioni, anche a più riprese, nelle Forze armate italiane durante la guerra 1940-1945 e invalidi, o nelle formazioni armate partigiane o gappiste, regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari della libertà, ai combattenti della guerra 1940-1945, ai mutilati e invalidi della guerra 1940-1945 titolari di pensione di guerra e agli ex prigionieri o internati nei campi di concentramento o di prigionia,  nonché ai combattenti nelle formazioni dell'esercito nazionale repubblicano durante il biennio 1943-1945. 
A cui per  l’articolo 6 dovrebbe essere assegnato un vitalizio annuo, non reversibile,di euro 200 da corrispondere in un’unica soluzione entro il 31 luglio di ogni anno. 

Per quanto riguarda invece, il riconoscimento di ex combattenti agli appartenenti alla Guardia Civica di Trieste, che la storica triestina Claudia Cernigoi ha definito: "Un corpo collaborazionista triestino, che giurava fedeltà a Hitler con una formula bilingue, tedesca e italiana, e da anni alcuni dei suoi ex aderenti continuano a chiedere di essere riconosciuti come combattenti dell’esercito italiano, nonostante siano stati agli ordini del Reich nazista", la proposta è composta da tre articoli, recanti disposizioni in favore di coloro che furono arruolati nella Guardia Civica di Trieste. 
In particolare, l’articolo 1 della proposta di legge è volto a consentire in loro favore il riconoscimento della qualifica di “ex combattente”. 
Inoltre, nei confronti dei citati arruolati che abbiano riportato ferite e lesioni o contratto infermità o menomazioni psico fisiche o siano stati deportati in campi di concentramento jugoslavi o siano stati collocati in congedo illimitato per infermità conseguente ad eventuale licenza per convalescenza, l’articolo 2 della proposta di legge riconosce il diritto alla fruizione di pensioni o indennità di guerra, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla vigente normativa. 

Ai fini del riconoscimento dei citati benefici l’articolo 3 attribuisce validità alle attestazioni rilasciate dal Comando del Corpo o dall'Associazione della Guardia Civica di Trieste  (che furbata!),

Un tanto, nella speranza che questo allarme sia recepito da tutt* e divulgato il più possibile. 
  
(Alessandro Perrone) 




CORREGGIO (RE) GIOVEDI’ 29 GENNAIO 2009 ORE 20.45

CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA DEL LAVORO
Camera del Lavoro – Zona Correggio

In occasione del “Giorno della Memoria” la Camera del Lavoro di Correggio organizza 
nell’ambito della Rassegna CGILINCONTRI

GIOVEDI’ 29 GENNAIO 2009 ORE 20.45
presso sala riunioni – 2° piano – Camera del Lavoro Correggio

la Presentazione del libro

LAGER ITALIANI
Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943
casa editrice Nutrimenti, 2008 - www.nutrimenti.net 

Dopo l’aggressione nazifascista alla Jugoslavia, fra il 1941 e l’8 settembre del 1943, il regime fascista e l’esercito italiano misero in atto un sistema di campi di concentramento in cui furono internati decine di migliaia di jugoslavi: donne, uomini, vecchi, bambini, rastrellati nei villaggi bruciati con i lanciafiamme.
Lo scopo di Mussolini e del generale Roatta, l’ideatore di questo sistema concentrazionario, era quello di eliminare qualsiasi appoggio della popolazione alla resistenza jugoslava e di eseguire una vera e propria pulizia etnica, sostituendo le popolazioni locali con italiani. Arbe – Rab, Gonars, Visco, Monigo, Renicci, Cairo Montenotte, Colfiorito, Fraschette di Alatri sono alcuni dei nomi dei campi in cui furono deportati sloveni, croati, serbi, montenegrini e in cui morirono di fame e malattie migliaia di internati.
Una tragedia rimossa dalla memoria nazionale e raccontata in questo libro anche grazie ad una importante documentazione in gran parte inedita fatta di foto, lettere, testimonianze dei sopravvissuti.

 MATTHIAS DURCHFELD
dell’ Istituto Storico della Resistenza di Reggio Emilia

intervista

ALESSANDRA KERSEVAN
Autrice del libro
Alessandra Kersevan, ricercatrice storica, da anni si dedica allo studio della storia del Novecento delle terre del confine orientale. Nel 1995 ha pubblicato Porzûs. Dialoghi sopra un processo da rifare, studio su una delle più controverse vicende della Resistenza italiana; nel 2003 ha svolto per conto del Comune di Gonars una ricerca sul campo di concentramento istituito in quel paese del Friuli, Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943. Nel 2005, per conto della Commissione europea e del Comune di Gonars, è stata autrice del documentario The Gonars Memorial  1942-1943: il simbolo della memoria italiana perduta. È coordinatrice della collana “Resistenzastorica” delle edizioni Kappa Vu.




I «Protocolli dei Savi dell’Islam»
ovvero
come si costruiscono le leggende nere
 
Sfogliando su Internet le reazioni al mio ultimo libro (Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci 2008), accanto a commenti largamente positivi si notano altri contrassegnati da incredulità: è mai possibile che le infamie attribuite a Stalin e accreditate da un consenso generale siano per lo più il risultato di distorsioni e a volte di vere e proprie falsificazioni storiche?
A questi lettori in particolare voglio suggerire una riflessione a partire dalla cronaca di questi giorni. E’ sotto gli occhi di tutti la tragedia del popolo palestinese a Gaza, prima affamato dal blocco e ora invaso e massacrato dalla terribile macchina da guerra israeliana. Vediamo come reagiscono i grandi organi di «informazione». Sul «Corriere della Sera» del 29 dicembre l’editoriale di Piero Ostellino sentenzia: «L’articolo 7 della Carta di Hamas non propugna solo la distruzione di Israele, ma lo sterminio degli ebrei, così come sostiene il presidente iraniano Ahmadinejad». Vale la pena di notare che, pur facendo un’affermazione estremamente grave, il giornalista non riporta alcuna citazione testuale: esige di essere creduto sulla parola.
Qualche giorno dopo (3 gennaio) sullo stesso quotidiano incalza Ernesto Galli della Loggia. Per la verità, egli non parla più di Ahmadinejad. Forse si deve esser reso conto dell’infortunio del suo collega. Dopo Israele l’Iran è il paese in Medio Oriente che ospita il maggior numero di ebrei (20 mila), ed essi non sembrano subire persecuzioni. In ogni caso, i palestinesi dei territori occupati potrebbero solo invidiare la sorte degli ebrei che vivono in Iran, i quali ultimi non solo non sono stati sterminati ma non devono neppure fronteggiare la minaccia del «trasferimento», che i sionisti più radicali progettano per gli arabi israeliani.
Ovviamente, Galli della Loggia sorvola su tutto ciò. Si limita a tacere su Ahmadinejad. In compenso rincara la dose su un altro punto essenziale: Hamas non si limita a esigere «lo sterminio degli ebrei» israeliani, come sostiene Ostellino. Occorre non fermarsi a metà strada nella denuncia delle malefatte dei barbari: «Hamas auspica l’eliminazione di tutti gli ebrei dalla faccia della terra» («Corriere della Sera» del 3 gennaio). Anche in questo caso non viene apportato uno straccio di dimostrazione: il rigore scientifico è l’ultima delle preoccupazioni di Galli della Loggia, al quale però bisogna riconoscere il coraggio di sfidare il ridicolo: secondo la sua analisi, i «terroristi» palestinesi si propongono di liquidare la macchina bellica non solo di Israele ma anche degli Usa, in modo da portare a termine le infamie di cui l’editorialista del «Corriere della Sera» denuncia l’ampiezza planetaria. Peraltro, chi è in grado di infliggere una disfatta decisiva alla solitaria superpotenza mondiale, oltre che a Israele, può ben aspirare al dominio mondiale. Insomma: è come se Galli della Loggia avesse finalmente portato alla luce I protocolli dei Savi dell’Islam!
E come a suo tempo I protocolli dei Savi di Sion, anche I protocolli dei Savi dell’Islam valgono ormai come verità acquisita e non bisognosa di alcuna dimostrazione. Su «La Stampa» del 5 gennaio Enzo Bettiza chiarisce subito il reale significato dei bombardamenti massicci da Israele scatenati dal cielo, dal mare e dalla terra, col ricorso peraltro ad armi vietate dalle convenzioni internazionali, contro una popolazione sostanzialmente indifesa: «E’ una drastica e violentissima operazione di gendarmeria di un Paese minacciato di sterminio da una setta che ha giurato di estirparlo dalla faccia della terra».
Questa tesi, ossessivamente ripetuta, si colloca nell’ambito di una tradizione ben precisa. Tra Sette e Ottocento il mite abate Grégoire si batteva per l’abolizione della schiavitù nelle colonie francesi: ecco che dai proprietari di schiavi è bollato quale leader dei «biancofagi», i neri barbari e smaniosi di pascersi della carne degli uomini bianchi. Qualche decennio più tardi qualcosa di simile avveniva negli Stati Uniti: gli abolizionisti, spesso di fede cristiana e di orientamento non-violento, esigevano «la completa distruzione dell’istituto della schiavitù»; essi erano prontamente accusati di voler sterminare la razza bianca. Ancora a metà del Novecento, in Sudafrica i campioni dell’apartheid negavano i diritti politici ai neri, con l’argomento che l’eventuale governo nero avrebbe significato lo sterminio sistematico dei coloni bianchi e dei bianchi nel loro complesso.
La leggenda nera in voga ai giorni nostri è particolarmente ridicola: più volte Hamas ha accennato alla possibilità di un compromesso, se Israele accettasse di ritornare ai confini del 1967. Come tutti sanno o dovrebbero sapere, a rendere sempre più problematica e forse ormai impossibile la soluzione dei due Stati è l’espansione ininterrotta delle colonie israeliane nei territori occupati. E comunque, la sostituzione dell’odierno Israele quale «Stato degli ebrei» con uno Stato binazionale, che abbracci al tempo stesso ebrei e palestinesi garantendo loro eguaglianza di diritti,  non comporterebbe in alcun modo lo sterminio degli ebrei, esattamente come la distruzione dello Stato razziale bianco prima nel sud degli Usa e poi in Sudafrica non ha certo significato l’annientamento dei bianchi. In realtà, coloro che idealmente agitano I protocolli dei savi dell’Islam mirano a trasformare le vittime in carnefici e i carnefici in vittime.
Non meno grottesche e non meno strumentali sono le mitologie oggi in voga in relazione a Stalin e al movimento comunista nel suo complesso. Si prenda la tesi dell’«olocausto della fame» ovvero della «carestia terroristica» che l’Unione sovietica avrebbe imposto al popolo ucraino negli anni ’30. A sostegno di questa tesi non c’è e non viene apportata alcuna prova. Ma non è neppure questo il punto essenziale. La leggenda nera diffusa in modo pianificato ai tempi di Reagan e nel momento culminante della guerra fredda serve a mettere in ombra il fatto che la «carestia terroristica» rimproverata a Stalin è da secoli messa in atto dall’Occidente liberale in particolare contro i popoli coloniali o che esso vorrebbe ridurre in condizioni coloniali o semicoloniali.
E’ quello che  ho cercato di dimostrare nel mio libro. Subito dopo la grande rivoluzione nera che alla fine del Settecento a Santo Domingo/Haiti spezzava al tempo stesso le catene del dominio coloniale e dell’istituto della schiavitù, gli Stati Uniti rispondevano per bocca di Thomas Jefferson, dichiarando di voler ridurre all’inedia (starvation) il paese che aveva avuto la sfrontatezza di abolire la schiavitù. Questa medesima vicenda si è riproposta nel Novecento. Già subito dopo l’ottobre 1917, Herbert Hoover, in quel momento alto esponente dell’amministrazione Wilson e più tardi presidente degli Usa, agitava in modo esplicito la minaccia della «fame assoluta» e della «morte per inedia» non solo contro la Russia sovietica ma contro tutti popoli inclini a lasciarsi contagiare dalla rivoluzione bolscevica. Agli inizi degli anni ’60 un collaboratore dell’amministrazione Kennedy, e cioè Walt W. Rostow, si vantava per il fatto che gli Stati Uniti erano rusciti a ritardare per «decine di anni» lo sviluppo economico della Repubblica Popolare Cinese!
E’ una politica che continua ancora oggi: è noto a tutti che l’imperalismo cerca di strangolare economicamente Cuba e possibilmente di ridurla alla condizione di Gaza, dove gli oppressori possono esercitare il loro potere di vita e di morte, prima ancora che coi bombardamenti terroristici, già col controllo delle risorse vitali. 
Siamo così ritornati alla Palestina. Prima di subire l’orrore che sta subendo in questi giorni, il popolo di Gaza era stato colpito da una prolungata  politica che cercava di affamarlo, assetarlo, privarlo della luce elettrica, delle medicine, di ridurlo ad una condizione di sfinimento e di disperazione. Tanto più che il governo di Tel Aviv si riservava il diritto di procedere come al solito, nonostante la «tregua», alle esecuzioni extragiudiziarie dei suoi nemici. E cioè, prima ancora di essere invasa da un esercito simile ad un gigantesco e sperimentato plotone di esecuzione, Gaza era già oggetto di una politica di aggressione e di guerra. Sennonché, una concentrata potenza di fuoco multimediale è scatenata soprattutto in Occidente per annientare ogni resistenza critica alla tesi falsa e bugiarda, secondo cui Israele sarebbe in questi giorni impegnata in un’operazione di autodifesa: che nessuno osi mettere in dubbio l’autenticità dei «Protocolli dei Savi dell’Islam»!
E’ così che si costruiscono le leggende nere, quella che oggi suggella la tragedia del popolo palestinese (il popolo-martire per eccellenza dei giorni nostri), così come quelle che, dipingendo Stalin come un mostro e riducendo a storia criminale la vicenda iniziata con la rivoluzione d’Ottobre, intendono privare i popoli oppressi di ogni speranza o prospettiva di emancipazione.
 
 
                                                                              Domenico Losurdo
 
6 gennaio 2009



Da: forumpalestina @...

Oggetto: Israele espelle il relatore ONU per i diritti umani. Ne parleranno i giornali italiani?

Data: 15 dicembre 2008 16:36:14 GMT+01:00


ISRAELE ESPELLE IL RELATORE O.N.U. PER I DIRITTI UMANI NEI TERRITORI PALESTINESI… LEGGEREMO QUESTA NOTIZIA SU QUALCHE GIORNALE?

Espulso ieri da Israele Richard Falk, giurista statunitense, relatore dell'ONU per i diritti umani

Il 10 dicembre, il Consiglio ONU per i diritti umani ha chiesto ad Israele di compiere passi per togliere il blocco di Gaza e liberare molti palestinesi detenuti. Lo speciale relatore ONU per i diritti umani nei Territori palestinesi, Richard Falk, ha definito la politica israeliana verso la popolazione araba molto simile a un “crimine contro l’umanità”. In una sua dichiarazione al Consiglio per i diritti umani a Ginevra, egli ha detto che “sarebbe obbligatorio per una Corte criminale internazionale investigare sulla situazione e determinare se i leader politici israeliani e i comandanti militari responsabili dell’assedio di Gaza non andrebbero accusati e processati per violazioni contro le leggi criminali internazionali”.

Falk è un ebreo americano, professore di diritto internazionale. Egli ha anche suggerito che l’Onu faccia uno sforzo per assicurare protezione alla popolazione di Gaza.

Il Consiglio ONU per i diritti umani, composto di 47 membri, ha portato avanti la discussione su Israele per 2 giorni. Alla fine sono stati consegnati al rappresentante israeliano 99 raccomandazioni per migliorare il rispetto dei diritti umani verso i palestinesi. In marzo, Israele dovrà presentare una risposta sul modo in cui intende attuare le raccomandazioni.

Secondo le agenzie dei giorni scorsi, l’ambasciatore israeliano all’ONU aveva detto, da parte sua, che “Israele è impegnato a rafforzare le aree in cui stiamo avendo successo e a migliorare i punti che necessitano miglioramenti”, aggiungendo che il dialogo nella Commissione era stato “positivo e produttivo”.

Invece, la risposta israeliana alle raccomandazioni dell’ONU è stata di tutt’altro segno e non ha atteso il prossimo marzo: il 15 dicembre, come riporta il sito del quotidiano Haaretz, il Professor Falk è stato espulso dallo Stato ebraico, con l’accusa di aver dichiarato che esistono similitudini fra il trattamento riservato dagli Israeliani ai Palestinesi e quello che i nazisti riservavano agli Ebrei. Non solo: il governo israeliano ha anche accusato il relatore ONU di “limitare le sue denunce alle violazioni israeliane dei diritti dei Palestinesi e di non includervi le violazioni dei Palestinesi verso Israele”.

www.forumpalestina.org

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http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090104/pagina/04/pezzo/238657/
INTERVISTA   |   di Michelangelo Cocco
PALESTINA RICHARD FALK
da il Manifesto del 4-1-2008 p. 4

«Un crimine terribile»

Il relatore dell'Onu: F-16, Apache e uranio impoverito contro la popolazione. Così muore Gaza Impossibile qualsiasi azione «umanitaria» finché durano l'assedio e l'occupazione. Ridicola la tesi dell'autodifesa: utilizzo della forza sproporzionato e sopraggiunto prima che ci fossero vittime israeliane. Espulso da Tel Aviv, il rappresentante dell'Onu si scaglia contro la propaganda sull'attacco alla Striscia

Il 15 dicembre scorso Richard Falk è stato espulso dall'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv dove, per conto delle Nazioni Unite, era sbarcato per indagare sulle violazioni dei diritti umani nei Territori occupati. Falk, di origine ebraica, è Relatore speciale dell'Onu per i diritti umani nei Territori occupati, nonché professore emerito di diritto internazionale alla Princeton University. Lo abbiamo raggiunto al telefono per chiedergli la sua opinione sulla situazione a Gaza.

Professor Falk, il ministro degli esteri israeliano, Tzipi Livni, ha dichiarato che «non c'è alcuna crisi umanitaria a Gaza».

Un'affermazione straordinaria, che prescinde completamente dalla realtà. Ma è ancora più sbalorditiva la prontezza dei media internazionali - quelli statunitensi in modo particolare - nel diffondere la propaganda israeliana. Anche prima dell'attacco iniziato il 27 dicembre la situazione di vecchi, donne e bambini residenti a Gaza rappresentava una grave crisi umanitaria, ben documentata da molti osservatori delle Nazioni Unite sul terreno e confermata da giornalisti israeliani indipendenti come Amira Hass. E bombardare quotidianamente una popolazione indifesa in un'area sovraffollata come quella della Striscia rappresenta un crimine. 

Crede che il governo israeliano debba essere perseguito?

Certo, il diritto penale internazionale non dovrebbe perseguire solo gli sconfitti, come è avvenuto negli ultimi 15 anni. Ma Israele, come gli Stati Uniti, non è entrato a far parte della Corte penale internazionale. Le Nazioni Unite hanno il potere - che è stato utilizzato per creare i tribunali per i crimini nella Ex Jugoslavia e in Ruanda - per creare un tribunale ad hoc per giudicare presunti crimini di guerra israeliani, ma gli ostacoli politici che incontrerebbe un'iniziativa simile sono tali da farla ritenere impossibile.

Negli ultimi giorni si è parlato molto di «tregua umanitaria». Servirebbe?

Qualsiasi attenuazione dell'emergenza è benvenuta. Ma bisogna ricordare che, prima di questo attacco, gli effetti di 18 mesi di un assedio estremo che ha negato alla popolazione cibo, carburante e medicine hanno creato una situazione di sofferenze di massa e deterioramento della salute mentale e fisica dell'intera popolazione: circa il 46% dei bambini di Gaza soffre di anemia acuta. Si può considerare positivamente qualsiasi forma di cessazione dei bombardamenti, ma chiamarla «tregua umanitaria» vuol dire manipolare il significato delle parole: non c'è alcuna possibilità di un'azione «umanitaria» finché l'assedio non sarà tolto e la gente avrà accesso regolare a cibo, medicine e carburante.

Il governo israeliano però ripete: ci stiamo solo difendendo dal lancio di razzi palestinesi e ne abbiamo pieno diritto.

A livello teorico Israele ha diritto all'autodifesa, come ogni Stato sovrano. Se però esaminiamo concretamente ciò che sta accadendo in queste ore, non lo si può in alcun modo presentare come un'autodifesa, perché - in un anno - nessun israeliano è morto per i razzi lanciati dai palestinesi, prima che scattassero i bombardamenti israeliani. Le vittime israeliane (finora quattro, ndr) sono sopraggiunte dopo i raid scattati il 27 dicembre. Inoltre anche se accettassimo la tesi secondo la quale Israele sta agendo per proteggere i suoi cittadini, resta il fatto che questi bombardamenti massicci e continui su una popolazione indifesa costituiscono un uso talmente sproporzionato della forza, tale da configurarsi certamente come violazione del diritto internazionale. L'utilizzo di F-16 ed elicotteri Apache contro la popolazione priva di difese è incontestabile. Ci sono anche rapporti che parlano dell'utilizzo di uranio impoverito nelle bombe cosiddette «bunker buster», per distruggere i tunnel che collegano Gaza con l'Egitto. E bisogna ricordare che Hamas ha espresso più volte disponibilità a una tregua (che negli ultimi sei mesi aveva funzionato) di lungo termine, in cambio di un ritiro dell'assedio israeliano alla popolazione della Striscia. Una posizione assolutamente ragionevole, dal momento che l'embargo nei confronti di una popolazione sotto occupazione può essere considerato un atto di guerra.

Perché è stato respinto da Tel Aviv?

Non conosco i motivi esatti che hanno portato a questa decisione, che però va inquadrata in una serie d'iniziative che hanno costretto fuori da Gaza giornalisti, esperti di diritti umani, e che hanno impedito a intellettuali palestinesi di lasciare la striscia, in maniera particolare nelle ultime settimane. Una politica che mira a nascondere le condizioni a cui è sottoposta la popolazione palestinese.

La stampa israeliana ha ricondotto la decisione di espellerla al suo paragone della situazione dei palestinesi di Gaza con quella degli ebrei nell'Europa occupata dai nazisti.

Un mese prima di essere nominato dall'Onu Relatore speciale, ho scritto un articolo giornalistico in cui sostengo che le punizioni collettive subite dalla gente di Gaza ricordano quelle inflitte dai nazisti agli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Non ho detto che sono la stessa cosa. Ma ritengo che la mentalità che ha prodotto queste politiche a Gaza sia paragonabile a quella che ha generato le esperienze terribili sperimentate dagli ebrei. Ho inoltre affermato che se queste politiche persistono, c'è il rischio di un «olocausto» per la gente di Gaza, che non è ovviamente la stessa cosa della «soluzione finale» che Hitler aveva previsto per gli ebrei. Ciò non toglie che per il popolo palestinese quello di Gaza rappresenti un olocausto di proporzioni gigantesche. E proprio le notizie delle ultime ore, i tiri d'artiglieria contro la Striscia e la possibilità concreta di un'invasione di terra suggeriscono che il mio commento non fosse un'esagerazione.

La situazione di Gaza rappresenta solo un problema umanitario?

No, oltre che di una crisi umanitaria si tratta di un problema politico molto complicato. Ci sono le divisioni tra i partiti palestinesi: la presa del potere da parte di Hamas che - come suggerisce Amira Hass - gli israeliani stanno utilizzando come giustificazione per mantenere l'occupazione in Cisgiordania ed espandere gl'insediamenti. In un certo senso una delle questioni più grosse è che Israele sta cercando di «pacificare» la Cisgiordania spostando l'attenzione sulla Striscia di Gaza.


PACIFICI, ANZI UMANITARI


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COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA
«Gesto umanitario» o operazione «tutta mediatica»?
Roventi polemiche per un'iniziativa «concordata con l'ambasciata
d'Israele»

«Rispondendo a un appello del ministro Frattini... l'Unione delle
Comunità ebraiche italiane e la Comunità ebraica di Roma - si legge in
un comunicato - mettono a disposizione 300 mila euro in medicinali».
200 mila destinati «ai bambini e alla gente di Gaza»», 100 mila «ai
bambini e ai civili delle cittadine israeliane del sud di Israele
colpiti dai razzi di Hamas». Domani i medicinali saranno messi a
disposizione di Frattini (a cui va un forte «apprezzamento» per la
posizione presa). Bel gesto, umanitario. «Il nostro è un gesto di
umanità», dice Renzo Gattegna, presidente dell'Ucei. E come per
qualsiasi gesto umanitario degno di tale nome «non intendiamo dare un
giudizio politico dei torti o delle ragioni dell'una o dell'altra
parte», gli fa eco Riccardo Pacifici, il presidente della Comunità
romana che pure aveva appena esternato il suo pieno appoggio ai
bombardamenti su Gaza.
E invece su quella frase si è scatenato l'inferno fra la comunità
ebraica di Roma e ambienti italo-ebraici di Israele. Un certo Shimon
Fargion, un ebreo italiano emigrato a Gerusalemme, ha attaccato
violentemente Pacifici sia per quelle parole che suonano troppo
equidistanti sia per aver speso soldi della comunità in soccorso dei
civili palestinesi di Gaza. Pacifici, fondatore e leader della lista
ultrà maggioritaria «Per Israele», non è abituato a essere attaccato
da destra e non ci ha visto più. Per cui si è seduto al computer e ha
messo in circolo un e-mail furibonda chiarendo la sua posizione
(«sostegno totale di questa guerra a Gaza») e il senso vero del «gesto
di umanità». Un'iniziativa «concordata a priori con i massimi
responsabili da parte israeliana (e permettetemi di non aggiungere
maggiori dettagli per ovvie ragioni)», assicura Faelino Luzon
intervenendo anche lui nel dibattito. Fumo negli occhi, roba buona
solo per i media «così come è stato deciso con l'ambasciatore
d'Israele di avere in questa prima fase un low profile», rassicura i
suoi Pacifici: «Posso garantirvi - scrive - che la scelta tutta
mediatica di far arrivare medicinali ai bambini palestinesi e
israeliani era ed è solo utilizzata per quando da lunedì comincerà la
nostra battaglia sui media a sostegno di Israele». E per il 10
annuncia «un megaevento» da 1500 persone selezionate con
l'ambasciatore di Israele «per spiegare le ragioni di Israele e il suo
diritto a fare questa guerra». Pacifici giura che la Comunità romana
non ha tirato fuori «neanche un euro» per quei medicinali, donati «da
un'organizzazione ebraica internazionale» e garantisce «che comunque
non arriverà un solo medicinale a Gaza che non sia autorizzato dal
Governo di Israele». Il comunicato è il coté ufficiale, l'e-mail è il
coté inter-comunitario. Poi c'è il coté personale, ossia l'altro e-
mail con cui Pacifici risponde al suo critico Fargion con rudezza
virile ma efficace: «Caro testa di cazzo... dammi il tuo indirizzo
così ti vengo a prendere a calci nel culo... io qui Per Israele mi
faccio un gran culo e vivo sotto scorta... STRONZO... Sappi che ho
fatto tutto insieme all'ambasciata d'Israele... Che cazzo ne sai cosa
stiamo facendo? STRONZOOOOOOOO».

(da Il Manifesto, 4 gennaio 2009, p. 4)

MILITARI COLOMBIANI APRONO UNA SCUOLA LATINOAMERICANA PER I DIRITTI
UMANI!


Benché appaia a dir poco paradossale, verrà aperta in Colombia la
"Scuola Interamericana per i Diritti Umani ed il Diritto
Internazionale Umanitario", che secondo l'esercito colobiano dovrebbe
addirittura rappresentare "l'ente di riferimento continentale in
materia di militari e diritti umani". Il rettore della scuola sarà il
generale Jorge Ernesto Rodrìguez, uno dei falchi del "Plan Patriota".

Dunque saranno i militari colombiani ad insegnare il rispetto dei
diritti umani agli eserciti di tutto il latinoamerica; l'obiettivo del
governo è evidentemente quello di rispondere in qualche modo allo
scandalo dei "falsos positivos"; anche se è a dir poco inquietante
l'idea che le continue violazioni delle Forze Armate possano servire
ad esempio ad altri eserciti della regione. A quando Erode alla tutela
dei diritti dei minori e Jack Lo Squartatore alle pari opportunità?

(Fonte: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.)