Informazione
I CARABINIERI: MILITARI AMERICANI IN ALTRE 40 RESIDENZE DEI CLAN
Ufficiali Nato in affitto nella villa del boss
Casalesi: é la proprietà di famiglia del latitante Iovine
DAL NOSTRO INVIATO
CASAL DI PRINCIPE (Caserta) — Via Toti numero 10. Sul confine tra la municipalità di Casal di Principe e San Cipriano. La villa è circondata e protetta da un alto muro, su di un ampio perimetro. Il portone e il cancello in ferro. Gli accessi sono sorvegliati dall'interno da telecamere ultima generazione. Potrebbe essere una delle tante villone che riempiono gli spazi di questa regione del casalese: costruite come fortini, ricordano la logica medioevale a difesa del clan, piegate su se stesse, affacciate su quello che viene chiamato «il luogo », la corte interna. Con una differenza però. Questa è una delle proprietà immobiliari note della famiglia di Antonio Iovine, classe 1964, detto «ninno» perché piccolo di statura, tra i più pericolosi boss d'Italia, ricercato da oltre 12 anni. E con una peculiarità ancora più curiosa: la villa è ormai da tempo affittata ad ufficiali americani in servizio nelle vicine basi Nato. «Paradossale e assurdo, no? Le casse della Nato, cui contribuisce anche il governo italiano, alimentano quelle della camorra organizzata», dice Franco Roberti, coordinatore della direzione distrettuale antimafia di Napoli. Un fatto noto al comando provinciale dei carabinieri di Caserta, che assieme alla magistratura da tempo cercano di mettere sotto sequestro i beni della camorra, comprese le ville affittate alla Nato.
Quante? «Probabilmente centinaia — commenta il colonnello Carmelo Burgio, ex comandante della missione dei carabinieri a Nassiriya che da oltre 4 anni dirige gli oltre 1.360 carabinieri della provincia —. Con introiti milionari per la malavita locale, che così riesce a riciclare in modo pulito gli introiti delle sue attività illecite. Solo l'anno scorso, nel marzo 2007, riuscimmo a sequestrare beni pari a cento milioni di euro del clan Bianco-Corvino e a localizzare una cinquantina delle loro ville, che erano state acquistate grazie ad un largo giro di truffe alle assicurazioni auto. Di queste oltre 40 erano state affittate a militari americani stanziati nelle basi Nato campane. Oggi quasi tutte sono ancora abitate da ufficiali Usa con le loro famiglie. Ma gli affitti, che sono alti per queste regioni e variano in genere dai 1.500 agli oltre 3.000 euro mensili, vanno ora ad un fiduciario dello Stato». Alla procura di Napoli sospettano tra l'altro che anche il clan di Giuseppe Setola, considerato tra gli autori del massacro di sei giovani di colore poche settimane fa, abbia affittato alla Nato. «Occorre capire chi sono gli intermediari della camorra presso gli americani », dice preoccupato Raffaele Cantone, magistrato di Cassazione esperto dei Casalesi. La villa di via Toti ha un iter molto particolare. «Antonio Iovine, assieme a Michele Zagaria, detto " Capa storta", e gli Schiavone è al comando della camorra casalese. Si arricchiscono anche con gli affitti alla Nato», dicono i carabinieri. «Calcoliamo che quella dove vive la famiglia di Iovine, sempre tra Casal di Principe e San Cipriano, valga almeno un milione di euro e quella molto vicina di via Toti oltre 800mila. Nell'aprile di quest'anno gli abbiamo sequestrato beni per il valore di 80 milioni di euro. Ma il giudice per le indagini preliminari ci ha negato i sequestri delle ville. In particolare, per quella intestata alla madre di Iovine e affittata agli americani, ci è stato detto che non ci sono prove sufficienti per dimostrare che è stata comprata con fondi sporchi», specifica il tenente dell'Arma Giuseppe Tomasi, da oltre trent'anni impegnato nella lotta alla camorra.
La scorsa estate i carabinieri hanno arrestato la moglie di Iovine, Enrichetta Avallone, 40 anni, accusata di aver garantito i contatti tra i il marito latitante e i camorristi. La villa venne intestata alla madre al momento del suo acquisto nel 1986: valore di allora 15 milioni di lire per oltre 500 metri quadri edificati. Come dimostrare che è stata acquistata con fondi illegali? Risponde il colonnello Burgio: «Sono maestri nella truffa. La moglie di Iovine aveva ideato un ottimo sistema per i beni più costosi. Vestiti, mobili, televisori, video erano tutti corredati dai bigliettini da cui risultava che erano regali di amici, conoscenti e parenti, così non doveva dimostrare con che soldi li aveva comprati». Persino le centinaia di scarpe con marchi costosi negli armadi erano contrassegnate come improbabili doni.
Lorenzo Cremonesi
26 ottobre 2008(ultima modifica: 30 ottobre 2008)
Dall’esito delle analisi a campione condotte nella prima fase dello studio sulla salute pubblica a Napoli, la US Navy, circa due mesi fa, aveva gia’ identificato acqua inquinata in tre case di Casal di Principe. Successivamente, e’ stata analizzata l’acqua del rubinetto di altre undici abitazioni date in fitto a personale statunitense, e situate nel raggio di 1,5 km dalle altre tre abitazioni: anche qui le analisi chimiche hanno rilevato la presenza di sostanze chimiche solventi.
Le undici famiglie, come detto, saranno trasferite nella base della Us Navy di Gricignano dove viene garantita acqua potabile. Non sussiste alcun motivo, dice il Comando, per cui anche altre famiglie che risiedono nella zona di Casal di Principe debbano essere trasferite immediatamente.
(ANSA)
La decisione e’ stata presa dopo che in 14 abitazioni di Casal di Principe, occupate da personale americano, e’ stata riscontrata la presenza di acqua del rubinetto inquinata. Sono stati adottati, si legge in una nota, ”parametri estremamente precauzionali e conservatori - si considera un arco temporale di esposizione di 30 anni - nel valutare il fattore rischio nelle zone in questione”. L’analisi delle informazioni rilasciate sia dalle autorita’ sanitarie italiane che statunitensi, ha condotto il Comando a stabilire delle ”zone a sospensione di nuovi contratti di locazione”; cioe’ delle aree non piu’ disponibili al personale statunitense per firmare contratti di locazione attraverso l’Ufficio Alloggi della marina americana.
Le zone a sospensione di nuovi contratti di locazione sono state stabilite in base ai dati sulla salute pubblica rilasciati sia dalle autorita’ sanitarie italiane che statunitensi. La zona ”a sospensione fitto” piu’ estesa include Casal di Principe e Villa Literno; le altre due includono Arzano e Marcianise.
(ANSA)
Da: Rifondazione Comunista PI <info@...>
Date: 19 gennaio 2009 15.22
Oggetto: L'olocausto "dimenticato" degli zingari: 27 gennaio giorno della memoria, iniziativa a Rebeldìa
A: Rifondazione Comunista PI <prcpisa@...>
Venerdì 23 gennaio ore 18 a REBELDIA! via C. Battisti, 51 PISA
presentazione del DVD
"A forza di essere vento..." (Editrice A Milano)
partecipano:
Luca BRAVI (Univ. di Firenze) Piero COLACICCHI (presidente dell'ONG dei diritti dei Rom "osservAzione") coordina Sergio Bontempelli
BIBLIOTECA FRANCO SERANTINI - LABORATORIO DELLE DISOBBEDIENZE REBELDIA!
"27 gennaio 2009 Giorno della Memoria" L'Olocausto "dimenticato" degli zingari Il 23 gennaio 2009 verrà organizzato dalla Biblioteca Franco Serantini e dal Laboratorio delle disobbedienze Rebeldia! un incontro dibattito dedicato all'olocausto dimenticato degli zingari. Gli Zingari durante la Seconda guerra mondiale ebbero una sorte simile a quella degli Ebrei, dei prigionieri politici e degli omosessuali. Essi furono perseguitati dai nazisti e rinchiusi nei campi di sterminio, sterilizzati in massa, usati come cavie per esperimenti, condannati ai lavori forzati, ed infine destinati alle camere a gas ed ai crematori. Cinquecentomila zingari morirono nei campi di concentramento, solo nel "Zigeunerlager", il campo loro riservato ad Auschwitz-Birkenau, tra il febbraio 1943 e l'agosto 1944 oltre ventimila tra rom e sinti vennero uccisi. Malgrado ciò nessuno zingaro venne chiamato a testimoniare nei processi ai gerarchi nazisti, neppure a Norimberga. Infine, quando in Germania alcuni sopravvissuti si decisero a chiedere un risarcimento, questo fu loro negato con il pretesto che le persecuzioni subite non erano motivate da ragioni razziali ma dalla loro "asocialità" (caratteristica che i nazisti attribuivano a ragioni biologiche e che quindi li destinava ad una "soluzione finale" al pari degli Ebrei). Dall'oblio oggi riemergono le testimonianze e la documentazione storica di questo "olocausto dimenticato". Recentemente è stato pubblicato dalla casa editrice A di Milano un eccellente doppio DVD intitolato "A forza di essere vento" che sarà presentato presso la sede di Rebeldia (Via Cesare Battisti, n. 51) venerdì 23 gennaio alle ore 18,00 dal prof. Luca Bravi dell'Università di Firenze e da Piero Colacicchi (presidente dell'ONG dei diritti dei rom Osservazione). Il lavoro prodotto in ricordo di Fabrizio De Andrè, che fu amico dei nomadi ed ai quali dedicò una canzone-poesia, è costituito da una ricca documentazione audiovisiva (6 documentari per una durata complessiva di circa due ore e mezza): interviste a due Zingari internati ad Auschwitz- Birkenau, uno spettacolo di Moni Ovadia con i musicisti Rom rumeni Taraf da Metropulitana, un filmato dell'Opera Nomadi dal titolo "Porrajmos" (la "Shoà" zingara), una serata multimediale tenutasi alla Camera del Lavoro di Milano ed una illuminante intervista di Marcello Pezzetti del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea sulla storia dello Zigeunerlager. Il rapporto tra le vicende del popolo zingaro e del popolo ebraico trova un significativo riconoscimento nel coinvolgimento dell'UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) in tre dei sei documentari e dimostra una reciproca attenzione: gli Zingari, come gli Ebrei, hanno forgiato la propria identità nella diaspora, attraverso l'incontro con le altre nazioni. Oggi entrambe le comunità si debbono confrontare con una società omologante, lontana dai valori tradizionali e da modelli di vita che la gente condivideva in passato, una società che pone in modo drammatico le minoranze di fronte al pericolo dell' estinzione culturale, un rischio che può e deve essere efficacemente contrastato attraverso il recupero e la valorizzazione dell'identità fondata sulla memoria. La confezione dei DVD include un libretto di 72 pagine, che ospita interventi di Gloria Arbib, Giovanna Boursier, Paolo Finzi, Giorgio Bezzecchi e Maurizio Pagani, oltre al testo della canzone di Fabrizio De Andrè e Ivano Fossati, "Khorakhané". "A forza di essere vento" è quindi un'opera che aiuta a non dimenticare il passato, a non abbassare la guardia di fronte al pericolo di risorgenti sentimenti di intolleranza e di nazionalismo xenofobo, per colmare nelle biblioteche e soprattutto nelle scuole la negligente assenza di informazioni dei libri di testo, per trasmettere a tutti il messaggio "mai più Shoà, mai più Porrajmos".
Per informazioni: Rebeldia, via C. Battisti, 51 – Pisa (e-mail: rebeldia@...) Biblioteca Franco Serantini, largo C. Marchesi s. n. civ., 56124 Pisa (e-mail: biblioteca@...), tel. 050 570995
Partito della Rifondazione Comunista -Sinistra Europea
Federazione di Pisa. Via Battichiodi 6, 56127. PISA
Tel.050/9711526 Fax 050/3136119
e-mail info@...
Un milione di morti a est grazie alle riforme-shock
Un milione di morti. Questo potrebbe essere il terribile bilancio reale delle privatizzazioni accelerate imposte ad alcuni paesi dell'ex Unione sovietica negli anni '90, secondo uno studio dell'università di Oxford pubblicato ieri dalla più autorevole rivista medica internazionale, Lancet. La mostruosa cifra, una delle più alte che si possano direttamente associare a un deliberato atto politico, è la traduzione di quel 12,8 per cento di aumento della mortalità che gli analisti di Oxford hanno riscontrato nella dinamica demografica del decennio scorso nei paesi presi in esame: un aumento (quasi interamente fra i maschi in età lavorativa) che lo studio mostra essere strettamente legato, nel tempo e nello spazio, al parallelo aumento della disoccupazione provocato dall'applicazione forsennata delle politiche neoliberiste - e in particolare i programmi di privatizzazione di massa - dopo il crollo dei regimi «socialisti».
Nell'insieme dei paesi dell'Europa orientale e dell'ex Urss, fra il 1991 e il 1994 le privatizzazioni portarono a un aumento del 56 per cento nel numero dei disoccupati (e a quel 12,8 per cento di crescita della mortalità citato prima); ma all'interno del quadro complessivo cinque paesi conobbero in quegli anni uno shock particolarmente violento. Russia, Kazakhstan, Lituania, Lettonia ed Estonia ebbero aumenti di disoccupazione fino al 300 per cento, mentre nel resto della macroregione il contraccolpo delle privatizzazioni fu minore, per le diverse condizioni sociali e culturali presenti.
Il rapporto fra privatizzazioni accelerate e disoccupazione non ha bisogno di troppe spiegazioni: l'arrivo di privati - e con essi di una logica di profitto - alla guida di aziende in cui l'efficienza produttiva era da decenni subordinata all'utilità sociale, ha provocato quasi sempre il licenziamento di moltissimi lavoratori, in un contesto economico di crisi molto grave in cui trovare un nuovo impiego (soprattutto per persone non giovanissime) era praticamente impossibile. E il lavoro «a vita» in aziende di stato era in quei paesi, fino al '91-'92, una condizione esistenziale globale: con il lavoro si aveva la casa, l'assistenza sanitaria, le vacanze, un'immagine sociale: perdendo il lavoro, si perdeva tutto in un colpo. E in paesi dove il fumo, l'alcol e stili di vita imprudenti erano già pericolosamente diffusi tra la popolazione maschile, lo shock psicologico di questa perdita ha portato a un vero e proprio crollo fisico. Si aggiungano altri due effetti diretti (e contemporanei) delle politiche neoliberiste come il collasso delle strutture sanitarie gratuite e il vertiginoso aumento del prezzo dei farmaci, e gli ingredienti per l'avvio di quella che a tutti gli effetti è stata una strage di massa diventano chiari.
Meglio è andata, sottolinea lo studio dei professori David Stuckler e Lawrence King, in paesi magari più arretrati ma con una migliore rete di sostegno famigliare, come in Albania, o dove c'erano organizzazioni di difesa sociale più efficienti, come in Polonia o nella Repubblica Cèca, o ancora in alcune repubbliche asiatiche dove le privatizzazioni sono state introdotte in modo molto più graduale. Lì l'aumento di disoccupazione è stato molto minore, e non ci sono state variazioni nella mortalità - anzi in qualche caso questa è addirittura diminuita. Il che induce, secondo gli autori dello studio, a trarre delle importanti lezioni sul modo in cui i cambiamenti economici e sociali possono essere introdotti nei paesi dove questi sono ancora in corso, come in Cina, in India o altrove: le «terapie di shock» costano care in termini di vite umane.
Ma di quel milione di morti qualcuno dovrebbe ben portare la responsabilità: la scelta - in Russia, dove si è concentrato il disastro peggiore - di applicare in modo brutale, senza preparazione, senza esperimenti-pilota, senza nessun tipo di paracadute sociale possibile, le privatizzazioni dell'intero sistema produttivo è una scelta che non è venuta dal cielo come la pioggia. Ci sono uomini in carne ed ossa che questo hanno voluto e imposto: l'allora presidente Boris Eltsin, ovviamente, ma ancor più di lui che forse non era in grado di capire quel che stava succedendo sono stati gli «economisti» affascinati dal neoliberismo come Egor Gaidar o Anatoly Chubais (che tuttora ha una posizione di altissima responsabilità) a volerlo e a imporlo ad ogni costo, per non parlare della schiera di «consiglieri» occidentali come Jeffrey Sachs o Anders Aslund, tuttora prodighi di consigli rivolti ai governanti russi (o di critiche per il fatto di non applicare politiche abbastanza «di mercato»). E, naturalmente, non poca responsabilità dovrebbero prendersi i leader che allora tennero sotto l'ala Eltsin, a patto che non si fermasse «sulla strada delle riforme»: il democratico Bill Clinton prima di tutti.
CONTRO LA CENSURA DEI LIBRI DI STORIA A PISA - CONTRO IL REVISIONISMO STORICO BIPARTISAN
L’Amministrazione comunale di Pisa ci nega la Biblioteca Comunale di Pisa per un libro sulle foibe.
Assessorato alla Cultura o alla Censura?
Comunicato stampa della Rete dei Comunisti di Pisa
cpianopisa@... cell 3296947952
Convocazione di un incontro pubblico di tutte le forze democratiche ed antifasciste
lunedì 19 gennaio alle ore 17,30 presso il saloncino Concetto Marchesi al II Liceo
Lo scorso 5 gennaio La Rete dei Comunisti di Pisa ha richiesto la Biblioteca Comunale per presentare gli atti del convegno "Foibe - Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica" (Kappa Vu edizioni), svoltosi il 9.1.08 a Sesto San Giovanni. La richiesta è stata fatta per svolgere la presentazione il prossimo 5 febbraio.
Convinti che la battaglia contro il revisionismo storico sia patrimonio comune di tutte le forze antifasciste, in questi giorni abbiamo chiesto ed ottenuto da varie forze politiche e sociali la compartecipazione alla presentazione.
L’Assessora alla Cultura del Comune di Pisa, Silvia Panichi, a nome dell’Amministrazione Comunale, con lettera protocollata 1751/0111 ci comunica il diniego della sala scrivendoci che:
“ ...Si tratta di un argomento particolarmente doloroso e ancora in via di elaborazione storiografica per cui un analisi troppo netta e orientata rischierebbe di offendere la sensibilità di alcuni, soprattutto in prossimità della data del 10 febbraio, scelta in modo ufficiale come giorno del ricordo”. l’Assessora parla evidentemente della Giornata della memoria istituita con legge n. 92 del 30.4.04. Se, come dice l’Amministrazione, l’argomento foibe è ancora in via di elaborazione storiografica, perché è stata promulgata una legge che ricorda quella tragedia? Qual è l’approfondimento storiografico lecito che ha indotto il Parlamento a promulgarla?
Ci auspichiamo che tutta la Pisa democratica ed antifascista colga la gravità della negazione di uno spazio pubblico per la presentazione degli atti di un convegno al quale hanno aderito storici del calibro di Angelo del Boca, Mario Coglitore, Sandi Volk, scienziati come Margherita Hack, partigiani come Miriam Pellegrini Ferri ed Ezio Scavazzini, insieme a decine di altri esponenti del mondo della politica e della cultura italiana e istriana. Il lungo elenco delle adesioni al convegno di cui presenteremo gli atti si può leggere a pag. 19 del testo stesso.
La presentazione degli atti del convegno sulle foibe cade, tra l’altro, in un momento particolare della vita politica della città e della provincia di Pisa, caratterizzata dalla ripresa dello squadrismo di destra e dal tentativo fascista di infiltrazione sociale e culturale.
Di questi pericolosi tentativi di rilegittimazione del fascismo annoveriamo la presentazione nel luglio scorso del libro sui “ragazzi di Salò” nella sala consiliare di San Giuliano terme, quando l’amministrazione di centro sinistra della cittadina termale non si fece scrupoli a cedere una sala dedicata al Partigiano Uliano Martini per presentare un libro apologetico di quella repubblica sociale formata da massacratori che del 1943 - 45 insanguinarono la Toscana fianco a fianco con gli occupanti nazisti. I fatti parlano chiaro: anche le amministrazioni di centro sinistra censurano i libri della sinistra e si concedono spazi pubblici, piazze e strade all’estremismo di destra. È questa la democrazia proposta dagli amministratori del PD?
Chiediamo all’Assessore alla Cultura, alla Giunta ed al Sindaco del Comune di Pisa un repentino passo indietro, con la concessione della sala per la presentazione del libro, a garanzia di un elementare diritto di espressione, garantito dalla Costituzione italiana.
In attesa di una conferma della sala convochiamo un INCONTRO PUBBLICO DI TUTTE LE FORZE DEMOCRATICHE ED ANTIFASCISTE per condividere questa che si configura come una battaglia antifascista e di libertà, da intraprendere con la massima determinazione.
MEDAGLIA PRESIDENZIALE PER VIOLAZIONE DI DIRITTI UMANI
Il narco-paramilitare presidente della Colombia, Álvaro Uribe Vélez, riceverà la "medaglia presidenziale della libertà" dalle mani del più grande violatore di diritti umani del mondo, George W. Bush.
Disonorevole per chi la offre e per chi la riceve: ricordiamo ad esempio che Al Gore, ex vicepresidente di Bill Clinton (creatore del Plan Colombia), defraudato della vittoria elettorale da Bush stesso, nel 2007 si è rifiutato di sedersi a fianco di Uribe per via dei suoi rapporti con i paramilitari. Anche Uribe è stato eletto per mezzo di frodi, corruzione e violenze; Bush ha assassinato più di un milione di iracheni; Uribe ha assassinato 13.650 civili colombiani. Si abbracciano reciprocamente per festeggiare il nefasto Plan Colombia (anche se sarà rivisto, secondo quanto ha affermato il futuro presidente Barack Obama, perché il Congresso statunitense non approverà il Trattato di Libero Commercio).
Ci sono omaggi che fanno vergognare chi li riceve, se questi ha un minimo di dignità morale. Evidentemente questo non è il caso del presidente Uribe.
(fonte: NuevaColombia@ yahoogroups.com)
la NATO che si terrà a Roma sabato: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-
mailinglist/message/6265 )
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IL PATTO PERMANENTE CONTRO LA GUERRA PROMUOVE
UNA ASSEMBLEA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA
sabato 17 gennaio dalle ore 10 alle ore 14
a Roma presso il Nuovo Cinema Aquila,
Via Aquila n.68- quartiere Pigneto ( tram da Termini nn. 5 e 14)
I punti all'odg sono due:
-La mobilitazione per la Palestina. Fermare il massacro a Gaza e
sostenere una campagna di iniziative per i diritti del popolo
palestinese.
-La campagna europea per il disarmo e lo scioglimento della NATO.
Mobilitazione a Strasburgo il 4 aprile secondo l'appello di Stoccarda
del social forum europeo ( in allegato).
L'assemblea si chiuderà in tempo per facilitare la partecipazione alla
manifestazione per la Palestina che avrà inizio alle 15,30 da piazza
Vittorio.
vedi anche: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/DISARMIAMOLI.htm#patto09
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vedi anche: http://www.forumpalestina.org/
Sabato 17 gennaio riempiamo Roma di gente, di kefje e bandiere palestinesi
Basta con il massacro dei palestinesi a Gaza
Basta con l'impunità del terrorismo di stato israeliano
Rompere ogni complicità politica, militare, economica tra lo stato italiano e Israele
Le bombe uccidono le persone, l'informazione manipolata uccide le coscienze
Il corteo del 17 si concluderà a Porta San Paolo
Il corteo di sabato 17 gennaio per la Palestina si concluderà a Porta San Paolo, luogo
simbolo della Resistenza
partenza: Piazza Vittorio ore 15.30 (vicino la Stazione Termini)
percorso: via dello Statuto, via Merulana, Santa Maria Maggiore, via Cavour, via dei Fori
Imperiali, Colosseo, via S. Gregorio, Circo Massimo, viale Aventino, Porta S. Paolo (comizio
conclusivo)
Indicazioni utili:
A Porta S. Paolo c'è la fermata della metro B (Piramide) che porta ai parcheggi pullman
Ponte Mammolo (per chi viene da Nord/Est) e/o Laurentina (per chi viene dalla dorsale
tirrenica). A Termini c'è lo scambio con la metro A che porta al parcheggio pullman di
Anagnina (per chi viene da Sud).
Nei pressi di Porta San Paolo c'è anche la stazione delle FS Roma Ostiense.
PULLMAN per la Manifestazione Nazionale a Roma
BARI
Pullman - Info: 347.3311319
BOLOGNA
partenza da bologna ore 9 autostazione Bologna
3409892393
comitato palestina bologna
BRESCIA
pullman che partirà sabato mattina alle ore 9 dal piazzale dell'iveco (via volturno) d
per prenotazioni 03045670 - radio onda d'urto
BRINDISI
Per favorire la partecipazione il Comitato organizza un pullman che parte alle ore 5,00 del
17 gennaio dal piazzale del tribunale di Brindisi.
Per le prenotazioni del pullman si può chiamare : 368 582406 , 329 1184097 , 360
884040.
Comitato provinciale di solidarietà con il popolo Palestinese di Brindisi
FIRENZE
PULMANN da Firenze con partenza ore 9.00 Mercato di Novoli - ore
9.30 Saschall - per prenotazioni 0556580479
LECCE
339.5670015 - 339.8277593
MASSA CARRARA
Il costo del viaggio è di 10 euro. La partenza è fissata per sabato alle ore 08.00 (ritrovo
07.30) in largo Matteotti a Massa (ex piazza delle corriere). Ci raccomandiamo la
puntualità.
presidio permanente per la Palestina (Massa Carrara)
giona_p@...
MILANO
pullman.
Partenza ore 6.30 stazione Garibaldi
3477851682 - francesco
PADOVA
Pullman organizzati dal PdCI di Padova
Partenza alle 7, piazzale Stazione
Costo del biglietto di andata e ritorno: 20 euro
Per info: contattare il 335-1990945
PALERMO
palermo@...
PARMA
3318885966
Vedi Volantino
PISA
Telefonare a 050500442 o 3296947952
PISTOIA
Info e prenotazioni: 333/9110255
Francesco Coordinamento Pistoiese per la Palestina
VERONA
pulman
partenza piazzale stadio
tel 3290762402
VIAREGGIO
Partirà un autobus per la manifestazione del 17 a Roma,
con partenza ore 9,30 davanti alla stazione vecchia (15-20 euro)
per informazioni telefonare al n° 3286770937
VICENZA
La Cub di Vicenza organizza uno o più pullman per la manifestazione del 17 gennaio a
Roma indetta dal Forum Palestina.
Partenza verso le 7 , zona ancora da decidere.
Costo del biglietto di andata e ritorno: 30 euro
Per info: contattare il 333-4465346
Carnevale a Vevcani - Macedonia
Alcune foto dell'ultimo Carnevale di Vevcani:
http://www.politika.rs/rubrike/exyu/Vevchanske-izmotancije.lt.html
La prima foto delle maschere, in questo collegamento, rappresenta gli effetti della crisi del gas metano.
Per il carnevale 2006 gli abitanti del villaggio avevano inscenato una mascherata piuttosto macabra, con le proprie teste sui piatti...:
Ogni edizione del carnevale è incentrata sulla satira politica, in cui i paesani recitano i ruoli e le situazioni del mondo odierno.
Vevčanske izmotancije
Alessandro Di Meo
La foto “ufficiale” della “banda Collotti” (la trovate anche nella nostra galleria fotografica), cioè quella sorta di “squadrone della morte” guidato dal vice dirigente dell’Ispettorato speciale di PS, il commissario Gaetano Collotti, è stata scattata nel gennaio 1945 nel paesino di Moccò, presso il villaggio di Boršt (S. Antonio in Bosco), in occasione di una serie di sanguinosi rastrellamenti che provocarono quattro morti, diversi feriti ed una trentina di arrestati.
In occasione della Giornata della Memoria 2009 vogliamo ricordare la storia di questo crimine di guerra, basandoci in parte su rapporti di polizia, in parte sui racconti dei protagonisti. Iniziamo con un rapporto dell’Ispettorato Speciale, datato 15/1/45.
< Si deve alla tenacia ed allo spirito di sacrificio senza limiti del V. Commissario dott. Gaetano Collotti, dirigente la Squadra Speciale di questo Ispettorato che, proseguendo egli solo con la collaborazione degli agenti componenti la Squadra Speciale, l’importante servizio riportava il successo più completo.
Dopo il più scrupoloso rastrellamento del terreno intorno alla località di S. Dorligo della Valle - Bagnoli - Moccò e S. Antonio in Bosco, nel corso della quale venivano fermate altre 10 persone responsabili di attività partigiana e favoreggiatrice a questi, venivano individuati i bunkers, che possiamo senz’altro classificare capolavori di abilità, sia per la concezione di costruzione, sia, soprattutto per la mimetizzazione, che li nasconde all’occhio più indagatore anche quando vi si è dinanzi.
In un primo bunker venivano rinvenuti armi e munizioni in abbondanza, in un secondo un considerevole quantitativo di uniformi militari ed oggetti vari di vestiario, nel terzo la sede del comando del VDV per la cosiddetta Istria Slovena.
All’ingresso di quest’ultimo bunker si accendeva un vivacissimo quanto breve conflitto nel corso del quale sono stati uccisi:
il bandito comunista Žitomir non ancora generalizzato, membro del distretto del VDV per l’Istria Slovena;
il bandito comunista Gruden Carlo - Stanko, ispettore del supremo comando partigiano presso il VDV per l’Istria;
il bandito comunista Mikau Vipavec capo del servizio informativo del VDV;
e venivano feriti e catturati.
Il bandito comunista Pettirosso Danilo - membro del comando VDV alle dipendenze dello Žitomir.
Il bandito comunista Rapotec Romano, componente la Ceta operaia.
Dall’interno del bunker veniva recuperato al completo una stazione radio trasmittente e ricevente con i relativi cifrari (...) altresì materiale di archivio (...) la cassa del VDV con un fondo di lire 214.000 nonché i documenti di molte persone aggredite, rapinate od uccise fra le quali diversi appartenenti alle forze armate ed alla polizia (...) >.
I nomi degli uccisi erano: Ivan Grzetic (Žitomir), nato nel 1922 a Podgorje (Piedimonte del Taiano), che era stato incaricato dalla VDV (Vojska Državna Varnosti - Esercito per la difesa dello stato, n.d.a.) di organizzare i collegamenti radio; Stanko Gruden (Carlo), nato a Šempolaj (San Pelagio, nel comune di Duino Aurisina) nel 1926 e Dušan Munih (Vojko, ma si trova anche come Darko), nato a Sela pri Volčah (Sella di Volce) nel 1924, il comandante dell’Ozna nella zona di Trieste; a questi bisogna aggiungere Danilo Petaros (Lisjak), nato a Boršt nel 1924, catturato dopo essere stato gravemente ferito, che risulta ucciso in Risiera il 5/4/45.
Sentiamo ora il racconto di Jordan Zahar allora sedicenne.
< A quei tempi, quando la guerra volgeva ormai alla fine, Boršt (S. Antonio in Bosco) si trovava in una posizione particolare tra Trieste e il cosiddetto Banditen Gebiet (termine usato dai nazisti che significa letteralmente territorio dei banditi, cioè dei partigiani, n.d.a.): il paese fungeva da prima base per gli attivisti provenienti dalla città e da punto di partenza per le unità partigiane nelle loro operazioni in città. Qui i combattenti trovavano ristoro e riposo, e dovevano nascondere tempestivamente durante la notte il bottino nei bunker a tale scopo predisposti dagli attivisti del paese.
Il dottor Collotti, collaborazionista al servizio della Gestapo nonché commissario del famigerato Ispettorato Speciale tentò più volte di penetrare in questa zona del territorio, ma invano. L’8 gennaio 1945, il commissario, seguendo le tracce di un partigiano ferito, che i suoi compagni dopo una fulminea azione presso San Sabba erano riusciti a trarre in salvo, giunse al mio paese. Arrestò mio padre che si stava recando al lavoro e il figlio dell’oste Petaros, Danilo, e li condusse a Trieste dove li avrebbe torturati. I suoi scagnozzi per l’intero giorno terrorizzarono i paesani e perquisirono tutte le case; appena alla sera se ne andarono, a mani vuote.
Il mattino del 10 gennaio 1945 era ancora buio e la squadra di Vojko era appena tornata dall’ultima azione, quando i Tedeschi iniziarono a circondare il paese da tutte le parti. Era necessario pertanto far uscire al più presto dal paese la posta e un pacco di documenti importanti. Al corriere Zmaga riuscì per un pelo di sgusciare dal cerchio che inesorabilmente si stava stringendo. Subito dopo entrarono in paese gli agenti del Collotti e in quel momento iniziò per me e per i miei compaesani il giorno più lungo.
La mattina era fredda, la neve ghiacciata scricchiolava sotto i piedi, il cielo era plumbeo. Mi svegliai presto quel mattino perché mia madre si doveva preparare per fare visita nelle carceri triestine a mio padre: mancava già da due giorni. Tutto era ghiacciato e mentre stavo per andare allo stagno per prendere dell’acqua nel nostro cortile fece irruzione un gruppo di uomini in borghese armati fino ai denti. Dietro di loro vidi arrivare un uomo giovane, elegante, ben vestito, con una lunga pistola in mano; i suoi capelli erano accuratamente pettinati, composti, lucidi di brillantina: era il dottor Collotti.
Già da alcuni giorni mi stava appresso facendomi un monte di domande, ora invece mi afferrò deciso per il petto trascinandomi quasi in cantina: “Dove sono i bunker? Dove sono i partigiani?” Non sentii altro dato che i suoi agenti erano alquanto impazienti e mi riempivano di manganellate. Rinvenni sentendo la neve che mi veniva strofinata in faccia: avevo perso tre denti e il sangue che mi scorreva dalla bocca scioglieva la neve bianca.
Mi portarono all’osteria di Petaros. Durante il tragitto mi accorsi che i Tedeschi avevano cinto d’assedio il paese. Ero terrorizzato; sapevo quanto i fascisti italiani sanno essere dei veri eroi quando sono ben protetti. Nel frattempo nell’osteria veniva ammassata anche altra gente da tutto il paese. Mi condussero in una stanza al primo piano proprio sopra il banco della mescita.
“Non riuscirai a nascondere nulla a questo apparecchio” mi dissero indicandomi uno strano congegno simile ad una macchina da scrivere. Sopra un tavolo infatti c’era una macchina laccata di rosso piena di tasti luminosi e di resistenze elettriche che in cima aveva sette lampadine, ciascuna di diversa forma e di diverso colore: era l’atroce macchina per la tortura con la corrente elettrica. Da essa uscivano due cavi: il primo era collegato a due catenine d’acciaio che terminavano con due morsetti, l’altro invece penzolava libero nell’aria. Mi legarono ad una sedia e la rovesciarono a terra, poi il dottore in persona iniziò a premere leggermente il cavo libero sulle mie dita, sulle mie unghie e sul mio viso. Percorso da terribili scosse elettriche vidi accendersi la prima, la seconda e la terza lampadina, poi il buio. Mi fecero rinvenire con uno straccio inzuppato d’acqua e cominciarono: “Dove sono i bunker? Dove sono i bunker?” L’insistente domanda echeggiava tra le fiammate della corrente elettrica. Tutto durò 45 minuti, facendo fede all’orologio che si trovava accanto a quel terribile marchingegno. La disumana tortura suscitò in me una sempre maggiore ribellione: queste cose sanno mettere nel sangue una avversione cieca ed istintiva: non volli rispondere più in italiano. Ma quasi subito mi pentii: temevo infatti che così sarebbero stati ancora più crudeli. Il dottor Collotti era un uomo molto garbato, possedeva un linguaggio forbito ed eccezionali doti di pazienza. Dopo ogni tortura si aggiustava con cura il vestito e la cravatta, si sistemava il fazzoletto da tasca sulla scura giacca di moderna fattura e infine si puliva le gocce di sangue sulle scarpe laccate. La mia inaspettata resistenza non lo meravigliò affatto, chiamò un giovane ufficiale della Bela Garda (“Guardia bianca”, corpo collaborazionista sloveno, n.d.a.) e gli ordinò di tradurre. L’ufficiale si chiamava Milan e proveniva da Klanec presso Kozina. Mi si avvicinò quasi irritato per il compito che gli avevano affidato; evidentemente si vergognava di parlare in sloveno davanti a Collotti, dato che di tanto in tanto mi colpiva rabbiosamente in viso con lo straccio bagnato. All’improvviso mi venne in mente che nel muro sotto la ferrovia c’era una piccola breccia dove nel settembre del 1943 avevamo nascosti alcuni fucili italiani, di cui però i partigiani non avevano mai potuto impossessarsi. “Se dirò questo” pensai “mi lasceranno in pace per un po’ e forse finirà questo inferno”. Così speravo in silenzio e mentre poi marciavamo verso quel luogo riuscii a riprendere un po’ di forza. Ma dato che quel posto non era il bunker che cercavano, mi bastonarono di nuovo finché non persi i sensi. Troppo breve la pausa per la fatica sopportata. Mi condussero di nuovo davanti a quella macchina che durante la mia assenza era servita a torturare altri miei compaesani: Pepi Piconov, Romano Rapotec e Lojze Kenda. Dovetti attendere il mio turno, stavano ancora torturando Venče Jurčkov. Così vidi come si svolgeva tutto, Collotti faceva scorrere in modo elegante e del tutto disinvolto quel cavo libero sul corpo delle sue vittime. Ad ogni tocco la corrente elettrica lasciava sulla pelle un’ustione che veniva di tanto in tanto inumidita con uno straccio bagnato. Questa operazione serviva contemporaneamente a cancellare le bruciature e a far rinvenire la povera vittima. Il sangue scorreva dal naso e dalla bocca, mentre quelle dannate lampadine indicavano l’intensità della tensione. Giunse il mio turno, ma durò poco: memore dell’esperienza precedente colsi l’attimo giusto e parlai di un altro bunker che sapevo vuoto. Così mi trascinarono fino al castello di Moccò al cui ingresso io e Giuseppina fummo collocati come ostaggi: il bunker era davvero vuoto. Per la terza volta mi ritrovai davanti alla macchina elettrica. Il pavimento era ormai tutto sporco di sangue e l’aria era satura del puzzo di carne bruciata, di capelli e di unghie carbonizzati. “Come potrà mai finire tutto ciò?” pensai. Io e Collotti ci scambiammo una fugace e fredda occhiata. Al mattino aveva avuto di fronte a sé un ragazzo di appena sedici anni, ora invece un uomo. Collotti inizia con la sua terza inesorabile missione. Ad un tratto dal centro del paese si sente scoppiare un tuono che riempie la valle, raffiche, colpi sordi ingranditi dall’eco: la battaglia! Il suo scoppio era per me come una liberazione da quell’inferno; riconobbi la raffica della mitragliatrice russa di Vojko, tutti la conoscevamo. Non poteva essere diversamente. Era la battaglia, i nostri erano scesi in azione - finalmente la vendetta contro la masnada dei fascisti. Le raffiche sembravano non finire mai, ma il silenzio che le seguì fu ancora più lungo. Poi due colpi sordi da uno Scharz tedesco: la tragedia era compiuta. Avevano scoperto i bunker che cercavano. Morirono due compagni e Vojko cadde più in là, raggiunto da una pallottola in un campo sotto il paese.
Collotti non perse la sua flemmatica calma e la compostezza: continuò la sua opera di persuasione. Poi qualcuno arrivò: “Li abbiamo scovati, abbiamo subito quattro perdite, ne abbiamo uccisi tre e feriti due”. A quel punto Collotti premette fino in fondo il tasto di quella micidiale macchina e la settima lampadina si accese, quella alla fine della fila, alla fine dell’umana sopportazione e ad un passo dall’eternità. Quando ripresi conoscenza vidi chino su di me l’ufficiale della Bela Garda. Probabilmente desiderava contribuire anche lui alla vittoria: teneva in mano quel cavo sciolto e lo premeva sulle mie dita. Dietro a lui sento Collotti che lo ammonisce di non causare un cortocircuito se non vuole avere un’altra vittima sulla coscienza. L’ufficiale incurante si abbassava ancora di più e vedevo penzolare su di me la croce d’oro sulla catenina che teneva appesa al collo. Subito dopo trascinarono dentro Danilo Petaros, che era ferito ad una guancia da una scheggia di bomba a mano e aveva il ventre crivellato dalle pallottole. Accanto a lui c’era anche Romano colpito ad una spalla e ad un braccio in più punti. Gli strapparono la manica della camicia ed un fiume di sangue si riversò per terra. Tončka tagliò un lenzuolo e lo fasciarono; il giorno dopo il sangue attraverso il soffitto gocciolò sul banco dell’oste. Alla sera presero me e altri diciassette e ci fecero salire su un camion per portarci in via Giulia (la sede dell’Ispettorato a Trieste si trovava in via Cologna, nei pressi di via Giulia).
Nel lungo corridoio della caserma di Collotti ci contarono e ci divisero; in mezzo giaceva Romano delirante di febbre, sulla sedia accanto a lui stava Danilo piegato in due per la ferita al ventre, attorno a loro sedici tra ragazze, donne e vecchi che fissavano in silenzio il vuoto accanto a sé. Ognuno pensava al proprio calvario attendendo la prossima stazione. Non ne avremmo mai più parlato.
Da lì ci trasferirono in varie prigioni triestine. Ero minorenne, perciò finii al Coroneo. Mi gettarono in una piccola cella in cui si trovavano già sette ragazzi: erano stati arrestati durante l’offensiva di Natale al IX Korpus. Due bambini dei Novak sopra Cerkno, Ivan e Konrad; gli altri invece minorenni della brigata Gregorčič. Il loro comandante era rinchiuso già da alcuni mesi nei sotterranei di piazza Oberdan. Aveva tutte le membra spezzate e perciò lo trasferirono al Coroneo. Giaceva come un mucchio di carne sulla paglia nella cella numero 100. Il nostro denominatore comune era solo la sofferenza; la barbarie fascista piegò i nostri corpi ma non spezzò la nostra fede nella vittoria e in un mondo libero. Gloria ai caduti. Quelli invece che sono sopravvissuti testimonino ai giovani come era la lotta contro il fascismo affinché non ritorni >.
Zahar raccontò poi che l’ufficiale della Bela Garda fu processato, in Jugoslavia, dopo la fine della guerra. < Mi avevano chiamato a testimoniare, c’era sua madre che piangeva perché lo volevano condannare a morte. Mi chiesero se lo riconoscessi, ed io dissi di no, perché volevo chiudere con quella storia >.
Ed ancora: < Nel dicembre del 1945 dovevo richiedere la carta d’identità. Mi dissero che l’ufficio che le rilasciava era situato in via Cologna, nell’ex sede dell’Ispettorato. Quando arrivai lì dentro e vidi che l’ufficio per le carte d’identità era stato sistemato proprio in una delle stanze in cui si torturava e che l’appendiabiti a cui era stato legato un mio compagno per essere torturato era nello stesso posto in cui si trovava otto mesi prima, mi sentii male, ero quasi deciso ad andarmene e rinunciare a richiedere i documenti. Vidi anche che due degli agenti di Collotti erano rimasti a lavorare lì, li avevano adibiti al servizio carte d’identità. Anche loro mi riconobbero, ma non ci dicemmo nulla >.
Ci fu un altro strascico di questa vicenda. Tra il 1949 ed il 1950 alcuni partigiani furono processati per avere “infoibato” nel Pozzo della miniera di Basovizza (oggi noto come “foiba” di Basovizza, monumento nazionale) un poliziotto dell’Ispettorato, Mario Fabian. Leggiamo cosa scrisse “l’Unità” del 28/6/50 di questo processo.
< Daniele Pettirosso (omonimo del Pettirosso ucciso in Risiera, n.d.a.) ha raccontato come l’8 gennaio del 1945 in seguito ad un rastrellamento effettuato dai nazisti e da agenti della Collotti a S. Antonio Moccò, egli venne arrestato e condotto all’Ispettorato di via Cologna. Quivi fu interrogato saltuariamente per ben diciassette giorni e fra i suoi aguzzini il Fabian fu quello la cui fisionomia gli restò impressa. Infatti fu proprio il Fabian che lo legò alla famosa “sedia elettrica” durante “l’interrogatorio” all’osteria di Moccò. Nei primi giorni del maggio 1945 il Pettirosso venne mobilitato dal Comitato clandestino del Fronte popolare e aggregato al IV Korpus, IV Armata, 26^ Divisione Dalmata (...) avvertì il capitano dell’esercito jugoslavo, Jelas, il quale (...) gli comunicò che il Fabian con altri agenti della Collotti era stato condannato a morte da un tribunale partigiano perché colpevole di numerosi rastrellamenti e deportazioni di antifascisti in Germania. Il capitano gli ordinò pertanto di procedere all’arresto e all’esecuzione della sentenza nei confronti del Fabian >.
< L’imputata Hrvatič ha detto: “Avevo notato il Fabian fra gli agenti che parteciparono al rastrellamento del 10 gennaio 1945 nel paese di Moccò”, fatto confermato indirettamente dalle dichiarazioni della teste Vittoria Zerial, vicina di casa della famiglia Fabian: “Conoscevo il Fabian. Un giorno (...) mi disse di avere partecipato a un rastrellamento in quel di Moccò e se avesse comandato lui, avrebbe fatto arrestare anche il parroco del paese che aveva suonato le campane per dare l’allarme agli abitanti”. (...) Nel secondo rastrellamento i delinquenti di Collotti volevano arrestare 45 persone e il parroco intervenne presso l’ufficiale tedesco il quale dichiarò che per quella volta bastavano soltanto cinque arrestati.
Nel frattempo quelli della Collotti si erano dati alla più completa razzia (...) nelle povere case dei contadini, uno dei quali ricorse al prete: “Mi hanno portato via persino l’ultimo pezzettino di lardo che avevo in casa”. Il parroco intervenne anche questa volta e il lardo venne restituito da un agente che per la rabbia gridò ai “camerati”: “Spareghe un colpo a quel porco de prete!” >.
Questa la deposizione del parroco don Francesco Malalan: < Il parroco si trovava all’osteria di Pettirosso quando esse cominciarono a suonare e i banditi fascisti gridarono di uccidere il prete che dava l’allarme, al che lo stesso don Malalan corse al campanile e trovò l’ispettore della Collotti attaccato alla fune delle campane. Si voleva far uscire tutti i paesani dalle case, per meglio scegliere la preda. Infatti poco dopo i “collottiani” sparavano addosso alla popolazione, “come alle lepri”, ha detto don Malalan >. Don Malalan descrisse anche la stanza sopra l’osteria, dove i “collottiani” avevano sistemato gli strumenti di tortura, tra cui la “sedia elettrica”. < “Quando torturavano Danilo Pettirosso, sua madre ed io piangevamo insieme” è detto nel verbale di don Malalan “poi ho visto la stanza, (molte persone erano state torturate e bastonate) tutta insanguinata sulle pareti ed una larga chiazza di sangue sul pavimento...” >.
Zahar racconta infine che sua madre andò il 10 gennaio 1945 al comando SS in piazza Oberdan a cercare il marito arrestato due giorni prima. Nel cortile vide la sua bicicletta: allora la donna si rivolse ad un ufficiale che stava passando e che seppe poi trattarsi di Dietrich Allers (il comandante del lager della Risiera di San Sabba): < questa è la bicicletta di mio marito > gli disse < e allora dov’è mio marito? >. < Signora > le rispose il comandante delle SS < io non so dove sia suo marito, però se la bicicletta è la sua, se la riporti pure a casa >.
Nel 1958 Zahar, che si trovava ad Amburgo per motivi di lavoro, ebbe modo di incontrare Allers che gli disse che si ricordava di sua madre. Allers e Zahar parlarono anche di Collotti e Allers disse: < Mi ricordo. Era il nostro più crudele (usò la parola schlimmste) collaboratore >.
Quando negli anni ‘70 Allers seppe che stava per iniziare il processo per i crimini della Risiera, si mise in contatto con Zahar, per chiedergli se la madre sarebbe stata disposta a venire a testimoniare in suo favore, dato che le aveva restituito la bicicletta del marito arrestato.
Gennaio 2009
http://www.zappingmcsaatchi.com/xmas/emailing/
Un giochino virtuale ispirato al gesto coraggioso di Muntadar al Zaidi
(vedi anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6270
http://tv.repubblica.it/copertina/reporter-tira-scarpe-a-bush/27303?video
http://tv.repubblica.it/copertina/reporter-tira-scarpe-a-bush-2/27304?video
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