Informazione
Sulla disinformazione strategica a proposito di Srebrenica si vedano i
materiali raccolti alla pagina:
https://www.cnj.it/documentazione/srebrenica.htm
ed il libro: Il Dossier nascosto del "genocidio" di Srebrenica
https://www.cnj.it/documentazione/srebrenica.htm#dossier )
SREBRENICA
Rezolucija Evropskog parlamenta o 11.julu kao Danu
sećanja na genocid u Srebrenici je prepotentna i licemerna. Teško da
evropske zemlje (Portugalija, Španija, Holandija, Francuska, Engleska,
Belgija, Nemačka) i SAD mogu suditi nekoj drugoj zemlji za učinjeni
genocid dok ne priznaju i ne osude sopstvene zločine počinjene nad
drugim narodima i zemljama, pa i rasama i kontinentima. Njihova
zverstva i nedela nad narodima i zemljama Južne Amerike, Afrike,
Azije, Australije, Istočne i Jugoistočne Evrope traju od XVI v. do
danas. U njima su nestajali čitavi narodi i njihove civilizacije.
Vreme je da se demistifikuje navodna civilizacijska uloga
ovih zemalja u razvoju čovečanstva i razotkrije razbojnički i
pljačkaški duh koji u njima vlada. To je put za stvaranje boljeg
sveta.
Srbija i srpski narod su više puta u svojoj istoriji bili
objekat njihovog „civilizacijskog tretmana“, više nego ijedna
druga zemlja na svetu. I danas smo : dok liju „krokodilske suze“
nad Srebrnicom, etničko čišćenje i genocid nad Srbima u Sloveniji,
Hrvatskoj, BiH i na KiM ih mnogo ne uzbuđuje. Valjda zato što smo se
uvek suprostavljali tim razbojnicima , ne samo rečima već i puškom i
uvek im vratili „ milo za drago“. I ovog puta ćemo!
Zato se glas Srbije u osudi ovih kolonijalnih bandita
mora čuti nadaleko. Poltronsko i ksenomansko ponašanje nevladinih
organizacija (13) u podršci njihovoj rezoluciji o Srebrnici deluje
otužno.
Znam da Srbi i Muslimani, do kojih mi je stalo, neće
nikada zaboraviti zločin u Srebrnici ni sve druge učinjene na
jugoslovenskom prostoru jer su odgojeni i vaspitani u duhu bratstva i
jedinstva i živeli tako u SFRJ. Ne treba niko sa strane da nam govori
šta da radimo a najmanje zlikovci iz Vašingtona i Brisla.
Stevan D.Mirkovic, predsednik CENTRA TITO
30.1.2009
--- italiano ---
SREBRENICA
La risoluzione del Parlamento Europeo che istituisce l’ 11 luglio
quale Giorno del ricordo del genocidio a Srebrenica è prepotente ed
ipocrita.
Difficilmente i paesi europei (il Portogallo, la Spagna, l’ Olanda,
la Francia, Inghilterra, il Belgio e la Germania) e gli USA possono
giudicare un altro paese, fintantochè non ammettono e condannano i
propri delitti commessi contro altri popoli e paesi, addirittura
contro altre razze e continenti. I loro crimini e misfatti contro
popoli e paesi dell’America Latina, Africa, Asia, Australia, Europa
Orientale ed Occidentale continua dal 16. secolo fino ad oggi, periodo
in cui sono stati fatti scomparire interi popoli e le loro civiltà.
E' arrivato il momento di demistificare il cosiddetto ruolo
civilizzatore nello sviluppo dell’ umanità di questi paesi, e che si
scopra l'intento assassino e saccheggiatore che domina in loro. Questa
è la strada che bisogna percorrere per costruire un mondo migliore.
La Serbia e i serbi nella loro storia sono stati più volte oggetto del
“trattamento civilizzatore” di lorsignori, più di ogni altro paese
al mondo.
Anche oggi lo siamo. La pulizia etnica ed il genocidio sui serbi in
Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, nel Kosmet (Kosovo e
Metohija) non turba costoro più di tanto, mentre “piangono lacrime
di coccodrillo” su Srebrenica. Probabilmente perchè ci siamo sempre
opposti a questi briganti, non soltanto a parole ma anche con il
fucile, ed abbiamo restituito “pan per focaccia” (milo za drago). E
così faremmo anche questa volta!
Perciò la voce della Serbia nel condannare questi banditi colonialisti
si deve sentire lontano.
Il comportamento delle ONG (13) nel sostenere la loro risoluzione e
quello da poltroni e xenomani (ksenomansko) sono perciò degni di
miserabili.
So che i serbi ed i musulmani, ai quali tengo, non dimenticheranno mai
il crimine di Srebrenica ne' tutti gli altri commessi sul territorio
jugoslavo, perchè sono stati educati nello spirito della fratellanza e
dell'unità, ed in esso sono vissuti nella Repubblica Federativa
Socialista di Jugoslavia.
Non abbiamo bisogno che nessuno da fuori ci dica che cosa fare, e
tantomeno i criminali di Washington e Bruxelles.
Stevan Mirkovic, presidente del Centro Tito di Belgrado
30 gennaio 2009
a Pisa
c/o la sala convegni della stazione Leopolda
presentazione del libro:
“Foibe: revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica”
Atti del Convegno “Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico”
tenuto a Sesto San Giovanni (Mi) il 9 febbraio 2008
Così ha decretato l’amministrazione comunale di Pisa negando la biblioteca comunale per la presentazione del libro “Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica” (Atti del convegno “Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico”).
La giunta “democratico di centro” (Pd, IdV, Sdi e lista civica), in totale sintonia con FI e AN, nella seduta consiliare del 29 gennaio ha respinto la mozione presentata dai consiglieri della S.A. per la concessione della biblioteca comunale.
Polo liberale e polo conservatore, tutti uniti, tutti assieme per sancire la censura politica di questo libro. Non c’era miglior argomento (antifascismo e Resistenza) per accordi bipartisan ...
Gli esponenti di AN hanno applaudito (“fino a spellarsi le mani”- così hanno pubblicamente dichiarato) la decisione dell’assessora alla cultura, signora Panichi, di negare la biblioteca e, ripetutamente, l’hanno ringraziata.
La realtà conferma che i lorsignori, la classe politica che governa ed amministra, la maggioranza e l’opposizione, in un abbraccio unico e condiviso, hanno sposato la tesi del giudice Violante sui “ragazzi di Salò”; ragazzi che si macchiarono, assieme ai nazisti, di efferati crimini nei confronti delle popolazioni civili (donne, bambini, anziani) da annientare, e che distrussero interi paesi e villaggi. Le decine e decine di stragi nazi-fasciste al confine orientale, nei Balcani e sulla “linea gotica” mostrano e confermano questo.
Noi continuiamo a denunciare, a informare e a ricordare questi crimini a differenza di chi vuole dimenticare e far dimenticare o addirittura fa comunella con chi ne fu responsabile, e continuiamo a difendere la memoria di chi si oppose e combatté il nazismo ed il fascismo.
Noi respingiamo qualsiasi tipo di falsificazione della storia, di denigrazione del movimento partigiano e di cancellazione di quel periodo straordinario che fu la Resistenza 1943-45.
Per conoscere una verità non addomesticata sulle Foibe e contrastare il revisionismo storico, invitiamo i giovani, i lavoratori, i cittadini alla presentazione del libro “Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica” che si terrà:
giovedì 5 febbraio alle ore 21 c/o la sala convegni della stazione Leopolda di Pisa
Partecipa Alessandra Kersevan, ricercatrice storica, coordinatrice della collana “Resistenzastorica” delle edizioni Kappa Vu, che da anni si dedica allo studio della storia del Novecento delle terre del confine orientale.
31 gennaio 2009
Il Comitato che ha curato la pubblicazione del libro
e-mail: convegnofoibe2008 @ libero.it
Il clou dell’iniziativa è stato l’intervento (sermone?) del sacerdote “tradizionale”, don Floriano Abramowicz, che ha detto che i “martiri” (militari, civili e religiosi ) non sono stati uccisi per la fede ma perché erano italiani. Don Floriano ha poi spiegato che fino alla rivoluzione francese le guerre venivano combattute per desiderio di espansione, di vendetta o per odio, mentre dopo s’è inserito un nuovo connotato: l’ideologia. E l’ideologia alla base delle due guerre mondiali, secondo il prete, è il fatto che l’umanità, avendo “dimenticato” Dio, su suggerimento di Satana, mette al centro di tutto l’uomo. Perché “l’ideologia di Satana” suggerisce all’uomo il paradiso in terra e quindi il desiderio di ricchezza genera una catena di vizi alla fine della quale c’è il crimine. Le due guerre mondiali furono combattute nell’ideologia di Mammona, la prima per distruggere il baluardo della cristianità che era l’impero austroungarico, la seconda come prosecuzione della prima. In esse il blocco occidentale e quello comunista avevano lo stesso odio per Gesù Cristo, lo stesso desiderio satanico per i beni terreni.
Riguardo agli “infoibati” di Basovizza, don Floriano ha parlato di “corpi vivi gettati qua dentro e morti lentamente” che risorgeranno; sono stati “spiritualmente infoibati nell’ideologia totalitaria”, ma la stessa Chiesa cattolica romana sarebbe stata “martirizzata”, vittima di un “infoibamento spirituale” causato dell’ideologia democratica.
A suggello di tutto questo, la cerimonia si è conclusa con il richiamo del primo relatore ai presenti, appellati “fedeli cattolici, amici, camerati” ad onorare i “martiri” in questo modo: al grido “per i caduti delle foibe!” gli astanti hanno risposto in coro “presente!” con tanto di saluto romano, il tutto ripetuto tre volte.
Savez komunisticke omladine Jugoslavije SKOJ - The League of Yugoslav Communist Youth SKOJ
Nemanjina 34/III , 11000 Beograd - Nemanjina 34/III, 11000 Belgrade, Serbia
web: www.skoj.org.yu *
web: www.youtube.com/user/skoj05 * e-mail skoj05@... * skoj@...
Belgrade , December 30, 2008 .
SAOPŠTENJE SKOJ-a POVODOM ATAKA KAPITALISTIKOG REŽIMA NA PROSTORIJE NKPJ:
TOMIĆU DALJE RUKE OD KOMUNISTA!
Drugarice i drugovi,
Ne dozvolimo da buržoaski režim guši komunističku ideju u Srbiji! U uslovima svetskog kolapsa kapitalističkog sistema, u trenutku kada radnička Srbija diže glas protiv samovolje eksploatatora-poslodavaca i kapitalističke vlade,u vremenu kada sve veći broj mladih ljudi pristupa komunističkom pokretu, režim vodi prljavu kampanju laži i prevare u kojoj želi da oduzme prostorije Novoj komunističkoj partiji Jugoslavije (NKPJ) u kojima se Partija nalazi od 1991. godine i redovno plaća njihov zakup. Buržoaska vlada koja je vlasnik prostorija u Nemanjinoj 34 gde na trećem spratu NKPJ ima tri kancelarije i salu, koristeći sebi naklonjene medije, kao što je dnevni list Pres koji kontrolisu pojedine frakcije pro-imperijalističke Demokratske stranke, želi da izbaci komuniste na ulicu pri tome ne nudeći NKPJ alternativni smeštaj. Razlog za izbacivanje NKPJ iz prostorija u kojima legalno boravi već 18 godina je želja režima da otupi oštricu narodnog i radničkog pokreta Srbije koji sve češe i sve glasnije protestuje protiv neoliberalne politike koju sprovodi vlada Srbije. Kapitalistički režim zna da NKPJ ponosno koraca u istoj koloni sa svima onima koji se bore protiv pro-imperijalističke i neoglobalističke politike koju sprovodi. Savez komunističke omladine Jugoslavije (SKOJ) kao najborbeniji odred naše Partije najoštrije protestvuje zbog ataka Tadićevog burzžaskog režima na NKPJ i komunistički pokret u Srbiji. Poručujemo srpskim buržujuma da se marskisti-lenjinisti Srbije nisu uplasili ni njihovih divljačkih hordi koje su u kontrarevolucionarnom puču 5.oktobra 2000. godine spalili prostorije NKPJ pa se tako ni sada ne plašimo pretnji buržoaskog režima oličenog u Milanu Tomiću, direktoru Direkcije za imovinu koji bestidno laže da NKPJ ne plaća zakup prostorija i halucinira kada priča o aktivnostima koje se sprovode u sedištu Partije. Mi, članovi SKOJ-a poručujemo da ćemo isto kako smo u vreme kontrarevolucionarnog puča čuvali naše prostorije od reakcionarnih bandi isto tako i sada svojim telima štiti naše prostorije od bilo kakvog ataka. SKOJ će obavestiti bratske komunističke organizacije u svetu o makartističkim atacima na nasu Partiju. Takodje, organizovaćemo i sve druge akcije u cilju zaštite imovine naše Partije. Pozivamo sve progresivne organizacije i ljude u Srbiji da podrže našu borbu i pomognu da NKPJ sačuva svoje prostorije!
Buržuji dalje ruke od prostorija NKPJ!
Živela NKPJ!
Živeo SKOJ!
Živeo marksizam-lenjinizam!
Sekretarijat SKOJ-a
21. januar 2009. god.
RIFORNIREMO CIASCUN ITALIANO DEL SUO FORCONE?
Italy: Widespread Racism in the Day of Memory of the Holocaust
A wave of racial hate is being spread in Italy by mass-media and
politicians. The aim is to fully control the public opinion and
consent by redirecting social dissatisfaction and tensions against the
weakest: minorities and immigrants. After pogroms against Roma
settlements took place in 2008, e.g. in Naples and Rome, following
false accusations of kidnapping children, news about rapes and other
crimes committed by foreigners are being amplified at the highest
level... Please click the links below to see some of the consequences.
All this is happening on the "Day of Memory of the Holocaust"!!
http://tv.repubblica.it/copertina/guidonia-assalto-alla-caserma/28646?video
Guidonia, caserma assediata. ''Bastardi, finalmente vi hanno presi''.
La folla contro i quattro romeni fermati per lo stupro (27 gennaio 2009)
http://roma.repubblica.it/multimedia/home/4541198
Scritte razziste a Roma
http://roma.repubblica.it/multimedia/home/4538131
Guidonia, quattro romeni fermati per lo stupro, la folla tenta il
linciaggio
http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/cronaca/violenza-roma-2/guidonia-lugli/guidonia-lugli.html
A Guidonia, dopo il raid antistranieri: "Lo rifaremo, ma con la benzina"
See also:
[JUGOINFO] COE Special Report on Human Rights Violations in Italy
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6115
https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?Ref=CommDH(2008)18
[JUGOINFO] Pogroms in Italy / Il caso Ponticelli è una montatura
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6042
"Più immigrati non significa più criminalità". Uno studio pubblicato
della Banca d’Italia
http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/temidi/td08/TD698_08/TD_698_08/en_698.pdf
-ORE 16 DA CASAGGì: FIACCOLATA IN RICORDO DEI MARTIRI DELLE FOIBE E CONTRO IL COMUNISMO
-ORE 20,30 A CASAGGì CONCERTO IDENTITARIO
-CAMERA 302
-LPG
-SOTTILELINEANERA
-DECIMA BALDER
-CHIARETTA
BIRRA A FIUMI E GRIGLIATE PER TUTTA LA NOTTE...
by Bill Templer
http://mrzine.monthlyreview.org/templer170109.html
The president of the European Roma and Travellers Forum, Rudko Kawczynski, has expressed outrage at the decision by the U.N. to formally exclude the Roma from its commemoration ceremony on International day in Memory of the Holocaust, January 27, in the General Assembly Hall in New York City. He noted that "the Holocaust was the implementation of the Final Solution, Hitler's genocide programme intended to eradicate the genetic contaminants in his plan to create a master race. Only Jews and Roma were subject to the Final Solution, and both peoples lost the same percentage of their total number. However, since the end of the war in 1945, nothing has been done to acknowledge the Romani survivors."
The European Roma and Travellers Forum, based in Strasbourg/France, is Europe's largest and most inclusive Romani organization, bringing together Europe's main international and national Romani NGOs and organizations. The Romanies across Europe, from Britain to Turkey, continue to face exclusion and discrimination at all levels. Regarding the January 27th commemoration, the anniversary of the 1945 liberation of Auschwitz by the Red Army, no Romani representation was sought. Inquiries from Romani leaders have gone unanswered. Prominent Romani activist Ian Hancock (Director, The Romani Archives and Documentation Center, University of Texas/Austin) stresses: "The United Nations' decision to exclude Romanies from Holocaust remembrance only perpetuates the marginalization of our people in the historical record."
The National Socialists killed between 25 and 35 percent of all Romanies living in Europe, and as many as 70 percent in those areas under Nazi control the longest. Hancock and others argue that it is outrageous that there is no inclusion whatsoever of the Romani victims of the Holocaust in the planned UN event. Letters of complaint questioning this decision can be directed to Ms. Kimberly Mann (at kmann@...), manager of the United NationsHolocaust Outreach Programme.
Gypsies under Fire in Gaza
This exclusion from the space of history and memory comes against the backdrop of the assault on Gaza, where a number of Domari Gypsies, direct cousins of the European Roma, have become victims of the Israeli onslaught. In so doing, the Israeli political class and its conscript army have viciously trampled upon a centuries-old bond of solidarity specifically between Jews and Romanies.
Amoun Sleem, head of the Domari Society of Gypsies in East Jerusalem, has noted: "We receive a lot of information and alarming signals from Dom families. Many Gypsies have already lost their lives, and many more have been left wounded. Those who are left live in fear and despair, worrying about what is yet to come. The ones living in Gaza have often lost everything they had." Her organization is seeking material help to aid distribution of food boxes to some 1,000 Palestinian Domari families in dire need in Gaza, the West Bank and East Jerusalem, as well as blankets and clothes for the needy Domari Gypsies who are bombed out or have fled their homes in Gaza.
The Dom community constitutes an impoverished and discriminated underclass in Palestinian society, and likewise across much of the Arab world, Turkey, and West Asia, including occupied Iraq Amoun reflects: "Although the Dom consider themselves Palestinian, their non-Arab ethnicity elicits such intense abuse that nearly 60% of the Dom community has failed to complete elementary school. Unskilled and uneducated, the Dom are locked into a cycle of dire poverty and derision."
The work of the Domari Society in Palestine is exemplary in the Arab world. In this dark hour of brutal massacre in Gaza, it is mobilizing to assist its community under Israeli military attack -- the close Asian cousins of that other pariah people who in Europe suffered together with Jews in the Nazi extermination camps.
Bill Templer is a linguist based in Southeast Asia
On 27 January 2009 the United Nations' will hold its annual observance of the International Day of Commemoration in memory of the victims of the Holocaust from 10:00 a.m. to 12:00 p.m. in the General Assembly Hall in New York. No Romani representation was sought. Requests asking why and for inclusion from several Romani agencies, including the Union Romani and the IRU to both Ms. Mona Gillet (gillet@...) of the Department of Public Information and to Ms. Kimberly Mann (kmann@...), manager of the United Nations Holocaust Outreach Programme, have remained unanswered. The one answer that was received consisted of a reminder that the UN had underwritten an exhibit on Roma at the Hungarian Mission, and had hosted the reception of a Romani delegation earlier in the year.
This year, the theme of the memorial ceremony will be “An Authentic Basis for Hope: Holocaust Remembrance and Education” and the keynote speaker will be Rabbi Yisrael Meir Lau, Chairman of the Yad Vashem Council. Under-Secretary-General for Communications and Public Information Kiyo Akasaka will open the event, which will include a message from United Nations Secretary-General Ban Ki-moon. Statements will be made by H.E. Mr. Miguel d'Escoto Brockmann, President of the 63rd session of the United Nations General Assembly, and H.E. Ambassador Gabriela Shalev, Permanent Representative of Israel to the United Nations. Ruth Glasberg Gold, a survivor of the Transnistria camps (in the former USSR) and WWII veteran Leonid Rosenberg, liberator of a concentration camp, will share their personal stories. Cantor Ya'akov Motzen will recite "Kel Ma'le Rachamim" and "Ani Ma'amin". The ceremony will also include musical performances by Elisha Abas (piano) and Yoon Kwon (violin).
The Holocaust was the implementation of the Final Solution, Hitler's genocidal programme intended to eradicate the genetic contaminants in his plan to create a master race. Only Jews and Romanies were subject to the Final Solution; both peoples lost the same percentage of their total number. Nothing was done to acknowledge the Romani survivors after 1945. The United Nations' decision to exclude Romanies from Holocaust remembrance only perpetuates the marginalization of our people in the historical record.
TRA MEMORIA E RICORDO.
Per non dimenticare i giorni della Resistenza
e della ferocia del nazifascismo,
per ricordare Giorgio Marzi presidente provinciale dell’Anpi scomparso due mesi or sono,
in memoria di Saša Ota caduto a Mostar nel 1994 assieme ai suoi colleghi Rai mentre documentavano l’orrore delle guerre,
organizzano
la proiezione del filmato sulla Villa Triste di via Bellosguardo (sede dell’Ispettorato Speciale di PS di Trieste, luogo di repressione e torture), realizzato da Saša Ota
e rielaborato da Fabio Mosca.
LUNEDÌ 9 FEBBRAIO 2009 ALLE ORE 18
presso la Casa del popolo “Giorgio Canciani”
di Sottolongera (TRIESTE), via Masaccio 24
Ancora una volta si torna a parlare di “pacificazione” e di “riconciliazione” tra Italia, Slovenia e Croazia da tenersi a Trieste nei luoghi della memoria, questa volta su impulso del presidente croato Stipe Mesic, che ha aggiunto \"a patto che non vengano messi sullo stesso piano il fascismo e coloro che contro il fascismo hanno combattuto\".
Pronta la risposta del capo di Stato sloveno Danilo Türk, che ha affermato che Roma soffrirebbe ancora di un \"deficit etico\" sulle colpe del fascismo nelle terre al confine orientale.
E come ha risposto il nostro ministro degli esteri? \"La risposta al presidente sloveno è nella Costituzione italiana, in vigore da 60 anni e prova vivente della coscienza democratica e antifascista del nostro Paese\".
Bella risposta, significativa: ma con la Costituzione italiana mal si accompagnano certe abitudini inveterate della nostre istituzioni. Citiamo ad esempio il fatto che l’amministrazione comunale di Gorizia continui a celebrare l’anniversario della battaglia di Tarnova assieme ai reduci della Decima Mas, fatto questo denunciato dal solo rappresentante provinciale del PDCI; ma anche l’attribuzione delle onorificenze da parte del Quirinale ai cosiddetti “infoibati” tra i quali troviamo non solo militari che avevano combattuto agli ordini del Reich germanico aiutando i nazifascisti ad uccidere, torturare e deportare altri cittadini italiani, ma addirittura un criminale di guerra denunciato dalle Nazioni Unite, Vincenzo Serrentino, processato e fucilato in Jugoslavia.
E come inserire nella “coscienza democratica e antifascista del nostro Paese” le due recenti proposte di legge in discussione al Parlamento: quella sul riconoscimento dello status di combattenti alla Guardia civica triestina (un corpo che fu alle dirette dipendenze del Reich germanico, di fatto collaborazionista, che partecipò attivamente ai rastrellamenti, alle repressioni ed alle deportazioni a fianco dei militari e della SS germanici); e quella per l’istituzione dell’“Ordine del Tricolore”, onorificenza “conferita a coloro che hanno prestato servizio militare, per almeno sei mesi, in zona di operazioni, anche a più riprese, nelle Forze armate italiane durante la guerra 1940-1945 e invalidi, o nelle formazioni armate partigiane o gappiste, regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari della libertà, ai combattenti della guerra 1940-1945, ai mutilati e invalidi della guerra 1940-1945 titolari di pensione di guerra e agli ex prigionieri o internati nei campi di concentramento o di prigionia, nonché ai combattenti nelle formazioni dell\'esercito nazionale repubblicano durante il biennio 1943-1945”.
Ecco qui infine scandalosamente equiparati i combattenti per la libertà con i combattenti per il nazifascismo, le vittime con i loro aguzzini, gli occupati con gli occupatori, i torturati con i torturatori, i fucilati con i fucilatori (ricordate il bando firmato da Almirante che ordinava la fucilazione alla schiena dei renitenti alla leva dell’esercito repubblichino?).
Poi Frattini ha liquidato (citiamo dall’Ansa) “il tema delicato delle foibe” dicendo: \"tutto quello che ha offeso in modo assolutamente irreversibile la dignità anche di una sola persona è stato il male assoluto\".
Ma le cose che hanno offeso in modo irreversibile la dignità delle persone sono moltissime. Come possiamo definire la situazione delle vittime di piazza Fontana e dei loro parenti, che ancora non sanno come e perché sono morti i loro cari? E Pino Pinelli, caduto per “malore attivo”, come da sentenza irrevocabile, dal quarto piano della questura di Milano, è o non è stato offeso in modo irreversibile nella propria dignità? Potremmo continuare con questi esempi, e concludere che anche la gestione della cosa pubblica italiana nel dopoguerra è stata “male assoluto”. Ma sappiamo che non si può generalizzare, e che c’è una certa qual differenza dalla politica dello sterminio così come intesa dal nazifascismo che la pianificò con le leggi razziali e con la repressione indiscriminata degli oppositori, e gli episodi di violenza e di ingiustizia commessi in altri modi ed altri tempi da altre e diverse forme di potere, tra le quali anche il ricorso alla pena di morte come fece la Jugoslavia nel dopoguerra.
Infine una parola sulla questione di Norma Cossetto, dato che a febbraio dovrebbe venire Fini a Trieste ad inaugurare un monumento a lei dedicato. Ricordiamo che Norma Cossetto viene ricordata non perché la sua vita sia stata di esempio per chicchessia (non come Salvo d’Acquisto che offrì la propria vita per salvare dei condannati a morte) ma per essere stata (presumibilmente: prove non ne sono) violentata e poi uccisa sommariamente: come migliaia di altre ragazze è stata una vittima della guerra e della violenza maschile.
Alla memoria di Norma Cossetto sono state intitolate vie, attribuite medaglie ed onorificenze, ed oggi si vuole anche farle un monumento. Un pensiero va alle due ragazze del Circeo torturate violentate massacrate: Rosaria Lopez, vent’anni, uccisa, e Donatella Colasanti, diciassettenne, ridotta in fin di vita ma sopravvissuta, che trovò il coraggio e la forza di denunciare e far finire in galera i suoi aggressori, giovanotti “bene” politicamente viranti a destra. Non meriterebbero un monumento anche queste due donne? Oppure il problema è che quando la memoria viene finalizzata alla propaganda si perdono di vista i veri valori?
gennaio 2009
Per non dimenticare, in questi giorni di memorie e di ricordi, ecco quanto risulta dagli archivi a proposito dell’attività repressiva dell’Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia, comandato dall’Ispettore Generale Giuseppe Gueli, il cui vice era il commissario Gaetano Collotti, tristemente famoso per la violenza sadica con cui si dedicava agli interrogatori dei “ribelli” o presunti tali. Parte degli atti del processo Gueli si trovano nell’Archivio dell’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste (“Carteggio processuale Gueli”, archivio IRSMLT n. 914).
LA TORTURA COME METODO DI REPRESSIONE.
Non fu certo l’arrivo dei nazisti a rendere particolarmente efferati i metodi di interrogatorio dell’Ispettorato Speciale, difatti moltissime delle testimonianze raccolte nel corso dei processi contro i suoi appartenenti si riferiscono a periodi antecedenti la destituzione di Mussolini. Le violenze e le torture erano pratica comune e notoria, al punto che lo stesso vescovo di Trieste Antonio Santin, già nella primavera del 1943, aveva cercato di intervenire per far cessare le vessazioni, pur sostenendo che all’inizio non aveva preso sul serio le testimonianze che parlavano delle sevizie inflitte agli arrestati.
Sulle torture e le sevizie cui venivano sottoposti gli arrestati dalla banda Collotti esistono molte agghiaccianti testimonianze, facenti parte degli atti dei processi Gueli e Ribaudo e di quello per la Risiera di S. Sabba; si trovano nell’archivio dell’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste e dell’Odsek za Zgodovino ed alcune di esse sono anche state riportate sui giornali e trascritte in vari libri.
Ad un certo punto mi sono trovata a dover valutare se pubblicare dettagliatamente queste testimonianze, che, come tutte le testimonianze del genere, sono racconti tremendi che sconvolgono chi li legge. Una cosa che mi ha colpito, tra l’altro, dei racconti dei torturati, è che c’è sempre una sorta di pudore in questi racconti; ricordo una signora che dopo avere descritto alcune torture da lei subite si è bloccata, ha pensato un attimo e poi ha detto che il resto non aveva importanza. Psicologicamente ciò ha lo scopo di cercare di rimuovere il ricordo del dolore, che non è solo fisico ma è soprattutto il dolore di chi si rende conto di avere subito la violenza della cattiveria altrui, e prova per questo una sorta di vergogna, come se la colpa delle sevizie fosse più sua che non dei suoi torturatori.
Alla fine ho deciso di non trascrivere tutte le testimonianze nei particolari: la perversa fantasia umana ha inventato moltissimi diversi modi per torturare i propri simili, e questi modi sono sempre gli stessi, quelli di Collotti (e degli altri organi repressivi nazifascisti) li abbiamo rivisti nell’America Latina delle dittature come nella Grecia dei colonnelli, e vengono usati ancora oggi in moltissimi paesi (tanto per fare un nome, lo stato di Israele, che se ne frega delle convenzioni internazionali; ma va ricordato anche lo scandalo del comportamento di alcuni militari italiani in Somalia nel 1994 e quello più recente del carcere di Abu Ghraib in Iraq). Ciò che va però detto è che nelle sedi dell’Ispettorato la tortura era la regola e non l’eccezione; che le testimonianze sono moltissime e descrivono sempre le stesse sevizie: percosse, frustate, scosse elettriche, atti vari di sadismo feroce, violenze sessuali sulle donne; che l’impressione finale è che si torturassero i prigionieri non tanto per estorcere loro confessioni o delazioni, quanto per distruggerli fisicamente e moralmente, e per fungere da deterrente alla resistenza, facendo sapere a chi voleva agire contro la dittatura a cosa andava incontro una volta catturato. La tortura come metodo terrorista, dunque: come nell’Argentina di Videla, nel Cile di Pinochet, nel Brasile di Garrastazu Medici.
Uomini e donne arrestati dall’Ispettorato a Trieste e nel corso di rastrellamenti operati nei paesi del circondario (ricordiamo che l’area controllata dall’Ispettorato comprendeva sia il Carso che l’Istria ed arrivava a nord fino alla zona di Tolmino), tra un “interrogatorio” e l’altro nella Villa Triste di via Bellosguardo, venivano rinchiusi nelle carceri dette dei “Gesuiti”, presso la chiesa di S. Maria Maggiore.
Le testimonianze che seguono si trovano nel Carteggio processuale Gueli (archivio IRSMLT 914).
C’è una testimonianza di suor Teresa Lunardi, madre superiora, che prestò servizio < alle carceri dei Gesuiti per detenute > e racconta delle sevizie di cui parlavano le donne < provenienti dalle celle di v. Bellosguardo (...) e poi di via Cologna >. Ne parlò con padre Faustino, cappellano delle carceri che ne riferì al Vescovo. < Padre Faustino mi narrò che Gueli lo minacciò di inviarlo al confino > aggiunge suor Teresa.
Ecco la testimonianza di padre Faustino Maria Piemonte:
< Dall’istituzione dell’Ispettorato di v. Bellosguardo (1942) fino all’aprile del 1945 sono state commesse sevizie, atti nefandi, quali violenze carnali, perfino stupri (...) da parte di commissari ed agenti dell’Ispettorato. (...) Al Vescovo esposi quanto mi era noto (...). Gueli mi diffidò minacciandomi di spedirmi al confino e denunciandomi al Tribunale Speciale (...) >.
Il Vescovo di Trieste, Antonio Santin, scrisse il 12/3/43 al sottosegretario agli Interni Buffarini Guidi, esponendogli quanto segue:
< È da tempo che si sente che coloro che vengono fermati vengono violentemente percossi perché parlino. Queste voci in questi ultimi tempi si sono fatte più insistenti. Vi posso assicurare che vi è nella popolazione un sordo malcontento ed una viva indignazione per questo trattamento. Ciò è contrario alle leggi dell’umanità e pregiudica il buon nome italiano. In un primo tempo non volevo credere a simili voci (...) ma ora non più (...) recentissimamente queste cose le ho sapute da fonte diretta (...) Uomini e donne vengono seviziati nel modo più bestiale. Vi sono dei particolari che fanno inorridire. Giovani donne e perfino minorenni vengono denudate completamente e si abusa di loro in modo osceno e crudele. Pieni di lividure, uomini e donne sentono il più vivo disprezzo per coloro che così li martoriano (...).
Quando la persona umana non ha più nessun diritto, si rivolta violentemente perché non ha più nulla da perdere. Perciò io guardo con spavento a questi fatti (...) >.
A proposito dell’intervento del vescovo su questi fatti, vale la pena di riferire un’altra annotazione dello studioso triestino Diego de Henriquez, al quale il funzionario dell’Ispettorato Speciale, dottor Maddalena avrebbe detto di essere andato un giorno in visita al vescovo Santin e di essere stato rimproverato per l’uso dello strumento di tortura della “cassetta” (metodo del quale parleremo dopo), già usato in Sicilia dal Prefetto Mori contro la mafia. Il vescovo avrebbe detto: < capisco che la polizia usi le botte, i cazzotti, ma non questo > (Pag. 3.094 del Diario n. 16).
Questo articolo di Carlo Ventura (“Il tempo dell’angoscia” nella rivista “Trieste”, n. 20, luglio/agosto 1957) tratteggia l’attività repressiva dell’Ispettorato analizzandone anche la funzione politica.
< Prima di tutto una leggenda da sfatare: è opinione diffusa negli ambienti cittadini intossicati dalla locale stampa fascisteggiante, che il sistema di inquisizione poliziesca instaurato nella Venezia Giulia fosse una derivazione o un’imposizione in loco di principi nazisti venuti in auge o applicati su larga scala dopo l’8 settembre 1943. La verità è che tali principii preesistevano alla calata dei tedeschi e che sotto la loro occupazione vennero semmai intensificati e portati a “scientifica perfezione”; e quasi sempre, bisogna tristemente aggiungere, dietro diretta iniziativa italiana.
Basta dare un’occhiata alla nostra storia recente per accorgersene. Il fascismo ha sempre fedelmente applicato le sue massime fondamentali nelle terre di confine, inasprendone le misure durante il periodo bellico; alla vigilia della sua caduta – per quella legge fatale che rende bestiali i regimi quando fiutano odor di sedizione – si nota un’accentuazione parossistica delle repressioni poliziesche contro italiani e slavi. Oltre alle sezioni di Trieste si distinguono in ciò anche i commissariati di PS di Pisino e di Albona. Nella nostra città - federale Giovanni Spangaro e scagnozzi Mario Storini, Tiberio Forti e Beniamino Fumai – il Fascio esplica un’attività febbrile: saccheggia negozi e pubblici esercizi ebraici e slavi. Terrorizza con scorrerie notturne rioni popolari notoriamente ostili come S. Giacomo e S. Giovanni, organizza “spedizioni punitive” nelle misere borgate dell’altipiano carsico, che si concludono invariabilmente con arresti ed uccisioni di contadini ed incendi di campagne ed edifici colonici. I tedeschi qui non c’entrano.
Durante il periodo badogliano la situazione non muta (...) se lo squadrista Tamburini deve cedere il posto al monarchico Prefetto Cocuzza, costui (come del resto gli alti comandi dell’esercito) dimostra di essere preso più dalla psicosi panica dei ribelli e degli oppositori di ogni colore che dalla grave realtà della metodica e persino palese penetrazione germanica, che si va attuando un po’ dappertutto. Più significativa di qualsiasi altro episodio, a questo proposito, è una dichiarazione di quei giorni del Capo di S.M. dell’Esercito Generale Ferrero, nella quale l’accento principale è posto costantemente sulla “difficoltà di realizzare i provvedimenti di internamento devoluti all’Ispettorato centrale di PS della Venezia Giulia anche per la saturazione dei campi di concentramento” (...) >.
< Collotti (...) odiava con ferocia i partigiani italiani e slavi, ma per gli slavi nutriva un odio particolare. Infatti mentre sottoponeva gli italiani ad una serie di torture che andavano dalle busse alla (...) introduzione di decine di litri di acqua calda ed allo schiacciamento delle dita, per gli sloveni riservava dei tormenti inenarrabili (...) che costituiscono il tragico ricordo di uomini e donne della nostra città che sono passati dalle celle di Villa Triste alle camere di tortura e da qui ai campi di concentramento... > “Il Lavoratore”, 29/11/59.
< Siccome le sevizie nei confronti dei Prodan continuavano, la suocera disse al Collotti di avere pietà, al che egli rispose: “Vi distruggerò tutti, maledetta razza s’ciava!” > (“Corriere di Trieste”, 3/2/47, resoconto del processo Gueli).
< Il teste (...) specifica che il più accanito era il Miano che soleva dire alle sue vittime: “Ricordatevi di Miano che non lo dimenticherete mai più” tanto che le vittime ritenevano si trattasse di uno pseudonimo, sembrando impossibile che l’aguzzino desse il suo vero nome > (“Corriere di Trieste”, 3/2/47, resoconto del processo Gueli, testimonianza del dottor Bruno Pincherle).
< Il dottor Toncic racconta (...) che il Mazzuccato violentò diverse donne, fra cui alcune minorenni, per quanto fosse notoriamente affetto da sifilide > (“Corriere di Trieste”, 4/2/47, resoconto del processo Gueli).
Un giorno che si era recato presso l’Ispettorato Speciale, Diego de Henriquez sentì le urla, sempre più forti di una donna; gli dissero che la stavano interrogando e lo invitarono ad uscire. De Henriquez fece in tempo a vedere un pesante scudiscio ed a udire una frase: “Se non parli ti spacco la testa”. Lo studioso annotò che tali metodi erano ben noti in città. (Pag. 2438 del Diario n. 15).
< L’apparecchio di tortura elettrico è stato portato nella sede dell’Ispettorato da Collotti al quale venne regalato dalle SS secondo quanto sentivo dire dagli agenti. L’apparecchio elettrico stava nella stanza di Collotti ma qualche volta ho sentito dire che passava nell’ufficio di Perris (...) >. (Testimonianza di Giuseppe Giacomini nel carteggio processuale Gueli).
L’ispettore Umberto De Giorgi della Polizia Scientifica firmò in data 18/1/46 una < perizia sui metodi di tortura dell’Ispettorato Speciale >. Tale perizia, richiesta dal Procuratore Generale Colonna per conto della Corte d’Assise Straordinaria di Trieste (copia in archivio IRSMLT 913) descrive, tra le altre cose, i metodi di tortura della “cassetta” e della “sedia elettrica”. Leggiamone le descrizioni: < stando alle deposizioni testimoniali, allorquando la vittima non confessava (nonostante il dolore provocato dalla distensione forzata di tutto il corpo mediante trazione delle corde fissate agli arti e fatte scorrere negli anelli infissi al pavimento, che spesso provocavano la lussazione delle spalle), era costretta a subire l’introduzione nell’esofago del tubo dell’acqua, che le veniva fatta ingoiare fino a riempimento totale dello stomaco; indi per azione di compressione esercitata da un segugio sul torace, le veniva fatta rigurgitare a mo’ di fontana, che, stante la posizione supina, spesso doveva minacciare di soffocamento la vittima stessa; ed allorquando entrambe le azioni combinate non bastavano a farli confessare, gli interrogati vi venivano costretti, mediante l’azione termica di un fornello elettrico collocato sotto la pianta dei piedi denudati (...) la sedia elettrica consisteva in una sedia-poltrona, a spalliera alta, con leggera imbottitura in cuoio, a bracciuoli, su cui venivano legati gli avambracci della vittima ad uno dei quali veniva fissato un bracciale metallico unito al polo negativo di un apparecchio conduttore elettrico regolabile, a reostato. Al polo positivo era collegato una specie di pennello con manico isolato, e frangia metallica che serviva per chiudere il circuito su qualsiasi parte non isolata del corpo della vittima il quale veniva così attraversato dagli impulsi della frequenza della corrente elettrica. Questo metodo, apparentemente molto impressionante, non poteva produrre lesioni organiche o conseguenze dannose sul corpo umano. Tuttavia è noto che anche volgarissimi pregiudicati rotti a tutte le astuzie e raffinatezze per sfuggire agli interrogatori, si abbandonarono ad esaurientissime confessioni, che trovarono conferma nei fatti, alla sola visione dell’apparato, senza essere stati sottoposti alla sua azione >.
Probabilmente lo stesso estensore del rapporto si sarebbe “abbandonato ad esaurientissime confessioni” se messo nella prospettiva di dover subire la tortura della “sedia elettrica”. D’altra parte è per noi una novità che un corpo umano sottoposto a continue e potenti scariche elettriche non subisca alcuna conseguenza da questo trattamento: basterebbe chiedere a qualcuno che è stato torturato in questo modo.
ARRESTI ED INTERROGATORI.
Umberta Giacomini, quando fu arrestata il 9/3/44, era incinta di quattro mesi. Il 15 marzo venne “interrogata” da Collotti, che la picchiò selvaggiamente assieme agli agenti Brugnerotto, Sica e Mignacca. A causa di questo abortì ed ebbe una forte emorragia, perciò fu trasportata all’ospedale. Successivamente Mignacca e Ribaudo vennero per riportarla all’Ispettorato, ma date le sue condizioni fisiche (non riusciva neanche a tenersi in piedi), come testimoniò lei stessa < soprassedettero dal tradurmi dal Collotti ed il Ribaudo mi disse pensate che abbiamo avuto pietà di voi perché eravate madre... > (Carteggio processuale Gueli).
< In seguito venni inviata alle carceri dei Gesuiti, poi al Coroneo ed infine ad Auschwitz e mio marito in quello di Dachau, dove rimanemmo 18 mesi (...) Ritornammo dai campi di concentramento ammalati. Mio marito non si ristabilì più e tuttora è invalido > (“Il Lavoratore”, 29/11/54).
Marija Fontanot, nata nel 1928, fu arrestata da agenti dell’Ispettorato nella sua abitazione di via Cellini 2, perché < figlia di Bernobic Giuseppe, partigiano >. Assieme a loro fu arrestata anche la sublocatrice del loro appartamento, Giuseppina Krismann. Furono portati in via Bellosguardo, dove rimasero per 8 giorni. Marija Fontanot fu ripetutamente violentata in presenza del padre. Le due donne furono poi condotte in carcere ed in seguito deportate ad Auschwitz, da dove furono liberate con l’arrivo dell’Armata Rossa. Quanto a Giuseppe Bernobic, una certa Danila, che era detenuta in via Bellosguardo, disse a Marjia che il padre era stato ucciso in Risiera (archivio IRSMLT 917bis).
< I coniugi Giovanni ed Anna Vrabec abitano nel popolare rione di Gretta e sono proprietari di un negozio di generi alimentari; hanno un figlio, Giovanni, di 18 anni, studente all’Istituto Tecnico Leonardo da Vinci. Sono arrestati tutti e tre e portati dal Collotti, che intende far parlare il ragazzo. Ma questi non parla; non vuole o forse non sa; forse nessuno dei tre sa nulla. Cominciano ad accopparlo di legnate, sino a strappargli quasi un occhio dall’orbita. Ed il ragazzo non parla ancora; allora lo spogliano e, davanti ai genitori lo seviziano orribilmente in ogni parte del corpo. Il resto sarà compito delle SS tedesche; la madre muore a Ravensbrück, il figlio a Mauthausen; solo il padre riuscirà a ritornare da Dachau, una larva d’uomo che si spegnerà nel 1947. Così è scomparsa la famiglia Vrabec > (da Carlo Ventura, IL tempo dell’angoscia”, archivio IRSMLT .
LA CATTURA DI JAKA PLATIŠA.
Giacomo (Jaka) Platiša, nome di battaglia Franc Medved, già militante del TIGR, fu uno dei più attivi organizzatori del movimento partigiano jugoslavo. Rudi Ursini-Uršič lo indica come commissario politico della Brigata Samatorska nel 1941 (in “Attraverso Trieste”, edizioni Studio I 1996). Platiša arrivò a Trieste nel febbraio del ‘43 e fu evidentemente tradito quasi subito.
Questa la testimonianza di Floriano Del Fabbro (6/11/45), agli atti del processo Gueli.
< Ospitavo a casa mia il partigiano Giacomo Platiša. Il 27/4/43 mi accorsi di essere pedinato da un agente. Nel portone prima di casa vidi 4/5 agenti con pistole in pugno; mi hanno seguito e sono entrati con violenza in casa mia. Il partigiano era seduto tranquillamente in cucina e pranzava con i miei familiari. Gli agenti sono entrati in cucina come energumeni puntando le pistole contro Giacomo. Gli hanno intimato di alzar le mani; tuttavia hanno sparato colpendolo al viso e alla testa. Giacomo ha posto le mani in tasca sebbene ferito; invece estratta la rivoltella si è tirato due o tre colpi al cuore. Fra le persone dell’Ispettorato c’erano il Collotti, il dott. Miano, l’ispettore capo dell’Ispettorato di cui non ricordo il nome (...) È stato egli che ha preso il tavolo dove erano le scodelle della minestra, lo ha sollevato rovesciandolo e gridando “ammazzare tutti!”, senza alcuna pietà di mia moglie, di mio cognato e dei bambini che piangevano. Poi io e mia moglie fummo ammanettati e portati in via Bellosguardo (...) >.
Di seguito il rapporto di polizia del 13/6/43.
< Da tempo noi scriventi eravamo venuti a conoscenza che a seguito dell’uccisione in conflitto del commissario politico “Nino Udovici” (Giuseppe Udovič, nome di battaglia “Nino”, nato a Trieste nel rione di San Giovanni il 18/3/10, partigiano EPLJ, segretario cittadino del Fronte di Liberazione di Trieste, fu ucciso il 14/1/43 in uno scontro a fuoco con i carabinieri n.d.a.) avvenuta in questa via Ginnastica ad opera di Agenti di PS della locale Questura – dal Comando Superiore dei partigiani era stato trasferito a Trieste il commissario politico comunista a nome “Franz”, pericoloso emissario noto per capacità e non comune coraggio, trattandosi già di militante del I Battaglione “Simon Gregoric” (Gregorčič, n.d.a.) dei ribelli. Pertanto abbiamo ritenuto opportuno affidare alla Guardia Scelta di PS Cleri Gino ed alle Guardie di PS Ferro Vincenzo e Saieva Alberto l’incarico di vigilare alcune persone sospette che, secondo notizie confidenziali (a questo proposito riportiamo quanto scritto nella pubblicazione “Trieste nella lotta per la democrazia”, redatto a cura dell’Unione Antifascista Italo Slovena nel settembre 1945: < il compagno Medved, caduto vittima del tradimento del negoziante Ivan Gorkič, il quale, per ottenere la promessa libertà, tradì il suo nascondiglio di via Tigor >, n.d.a.), sarebbero state a contatto del predetto “Franz”. Tale notizia è stata confermata dal confidente, il quale – in data 27/4/43, alle ore 13 circa, incontratosi nei pressi di via Tigor 17, con (...) Ferro Vincenzo (...) gli comunicava che il “Franz” trovavasi – dalla sera precedente – presso l’abitazione di tale Del Fabbro Floriano (...) >.
Segue il telegramma inviato dal dirigente dell’Ispettorato, Gueli al Capo della Polizia di Roma: < Ore 13 oggi (27/4/43, n.d.a.) questa via Tigor n. 17 abitazione Del Fabbro Floriano (...) autista disoccupato Vice commissario dott. Miano Domenico et Vice Commissario Aggiunto dott. Collotti Gaetano questo Ispettorato con tre agenti sicurezza seguito notizia confidenziale sorprendevano sconosciuto soprannominato Franz indicato quale Commissario politico Primo Battaglione ribelli Simon Gregorčič. Atto irruzione stanza nella quale trovavasi soprannominato Franz ha spianato rivoltella Beretta calibro 7,65 carica otto cartucce di cui era armato contro funzionari che prevenendolo lo investivano con dodici colpi loro pistole riducendolo fine vita. Trasportato ospedale civile detto Franz vi decedeva ore 14 et 30. Veniva trovato possesso carta identità falsa (...) intestata Brumat Luigi (...) nonché somma L. 3.411 et foglietti propaganda sovversiva (...) Sono stati arrestati quali favoreggiatori suddetto Del Fabbro Floriano et moglie Rovan Giuseppina (...) Segnalo particolare benevola attenzione E.V. Vice commissari dott. Miano et Collotti per continue prove intelligenza, coraggio, capacità et alto spirito attaccamento dovere nonché agenti Cleri Gino, Ferro Vincenzo et Saieva Alberto che intelligentemente et coraggiosamente li hanno in diverse importanti operazioni servizio coadiuvati >.
Successivamente Gueli comunicò ai suoi superiori quanto segue: < A seguito di precedente corrispondenza, comunico che il commissario politico comunista “Franz” ucciso in conflitto a Trieste il 27/4/43, è stato identificato nella persona del pericoloso antitaliano (sic) e slavofilo Platiša Giacomo (...) nato a Poce di Circhina (Poče, n.d.a.) il 14/10/1910 (...) Il Platiša espatriò clandestinamente in Jugoslavia nel 1935, stabilendosi a Stozice di Lubiana (Stožice, n.d.a.) dove si fece notare pei suoi sentimenti a sfondo socialista e contrari alle Istituzioni italiane e del Regime. Durante la sua permanenza in Italia si addimostrò elemento caparbio, violento, capace di qualsiasi azione e di ostacolare la penetrazione nazionale nella zona di Circhina. Il Platiša era iscritto nel Bollettino delle Ricerche (schedina n. 3981-Anno 1935) per l’arresto >.
Dopo l’arresto, Del Fabbro fu violentemente picchiato da Miano e da Collotti; il 26 maggio fu condotto nei sotterranei e lì sottoposto, tra le altre, anche alla tortura della “cassetta”. Fu poi condotto al Coroneo, ma il 3 luglio riportato in via Bellosguardo per essere nuovamente torturato e rimase detenuto al Coroneo < fino al 10 settembre epoca in cui fui liberato dai partigiani triestini >.
La moglie, Giuseppina Rovan, che fu anch’essa picchiata e torturata, denunciò fra i torturatori il brigadiere Fera (forse Ferro? n.d.a.) e l’agente Mercadanti. Venne condotta ai Gesuiti < in condizioni disastrose di salute (...) sono stata visitata dal medico militare delle carceri (...) al quale ho narrato le torture subite perché perdevo sangue in gran copia dai genitali (...) era dipeso dal fatto che quando sono stata percossa nell’ufficio di Collotti, questi, mentre ero a terra abbattuta e nuda, è montato col peso della persona sul mio ventre (...) il medico ha detto che non poteva fare niente contro gli agenti di via Bellosguardo (...) ai primi di giugno durante la mia detenzione ai Gesuiti una donna proveniente da via Bellosguardo, in seguito a sevizie è stata trasportata all’Ospedale con la CRI, dove, secondo quanto si è narrato in carcere fra noi, è deceduta. Durante tale epoca è morto anche un uomo ai Gesuiti, sempre in seguito alle torture subite in via Bellosguardo (...) > (testimonianza in Carteggio processuale Gueli).
gennaio 2009
AGLI ORDINI DEL “DUCE” PER < INFRENARE L’AZIONE TERRORISTICA DELLE BANDE SLAVE E DIFENDERE L’ITALIANITÀ DI QUESTE TERRE >.
L’Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia, diretto dall’Ispettore Generale Giuseppe Gueli nacque come forza di repressione antiguerriglia. Lo stesso Gueli scrisse, all’epoca del processo che lo vide imputato (latitante), un memoriale, datato 5/8/46 ed indirizzato al Procuratore Generale della Corte d’Assise di Trieste:
< Nell’aprile del 1942 fui nominato ispettore generale di PS per la Venezia Giulia, incarico che importava il compito di infrenare l’azione terroristica delle bande slave e di difendere l’italianità della Regione > (copia di questo atto si trova nel “carteggio processuale Gueli”, archivio IRSMLT n. 914).
Per raggiungere questi scopi Gueli fece in modo che i prefetti emanassero una serie di ordinanze che imponevano ferree regole di comportamento agli abitanti delle zone nelle quali l’Ispettorato svolgeva la propria “attività antiribelle”. L’allora prefetto di Trieste, Tullio Tamburini, rispose sempre positivamente e sollecitamente alle varie richieste avanzate da Gueli, come vediamo dagli esempi che seguono.
Il 28/7/42 Gueli scrisse ai prefetti di Trieste, Gorizia, Pola e Fiume, evidenziando le “difficoltà” che trovava nella sua opera di repressione e suggerendo la possibile soluzione a certi problemi.
< Solo di pochi ribelli – e precisamente di quelli che da tempo si sono dati alla macchia, esercitando permanentemente il brigantaggio politico ai nostri danni – sono conosciuti in maniera certa i nomi. Di tutti gli altri non riesce possibile l’identificazione, né se ne conosce il numero, perché le poche e varie notizie che li riguardano vengono raccolte dalle Autorità di Polizia in un ambiente totalitariamente ostile, inquinato da irriducibili odi tra famiglie, sulla base di superficiali ed incerte conoscenze di presunta avversione al Regime Fascista e di individuale capacità a delinquere.
È noto anche che i ribelli sogliono prelevare, di volta in volta, dai vari centri abitati (...) quel contingente di uomini che loro occorre per la esecuzione di aggressioni, imboscate od atti di sabotaggio e che, subito dopo commessi i delitti preordinati, tali uomini vengono lasciati in libertà e possono tornare alle loro case ed alle loro consuete occupazioni, così che riescono quasi sempre a comparire sotto la veste di pacifici cittadini o di agricoltori, boscaioli o pastori alle Forze che, dopo ogni episodio, eseguono il rastrellamento (...)
In tali condizioni (...) è assolutamente necessario – per una ordinata ed efficace azione di Polizia, che deve avere per base la conoscenza più precisa possibile del nemico da combattere – escogitare un mezzo che possa ovviare a siffatti gravi inconvenienti e ritengo possa conseguirsi lo scopo abbandonando il sistema dei rastrellamenti di zone più o meno vaste, dimostratosi assolutamente inefficace ed impiegando invece parte della forza disponibile in eventuali inseguimenti e parte ad eseguire immediati accertamenti diretti a stabilire quali persone del luogo, senza un giustificato e palese motivo, si siano per periodi di tempo più o meno lunghi, allontanate dalle loro case e dal loro lavoro.
Fra esse dovranno identificarsi i ribelli o quanto meno i loro complici e fiancheggiatori, sui quali potranno essere più proficuamente indirizzate le ricerche, mentre a carico delle loro famiglie potranno essere, se del caso, adottati gli opportuni provvedimenti di Polizia (...) >.
Per operare questi controlli, Gueli suggerisce ai prefetti di emettere un’ordinanza < che imponga a tutti i Capi Famiglia (...) di fornirsi del certificato sullo stato di famiglia rilasciato dai Comuni e di tenerlo sempre in casa per esibirlo ad ogni richiesta delle Autorità di polizia” e che faccia pure loro obbligo di denunciare alle Autorità di polizia “ogni allontanamento definitivo e temporaneo, per qualsiasi motivo, dalle case di abitazione o dai consueti luoghi di lavoro di individui di ambo i sessi dai 16 ai 55 anni >.
In seguito i prefetti emanarono l’ordinanza così come richiesta da Gueli.
Un altro decreto prefettizio (4/3/43) prevedeva invece la < confisca di beni di favoreggiatori e di appartenenti alle bande dei ribelli >:
< Ho disposto che vengano confiscati i beni mobili ed immobili di qualsiasi natura e specie e dovunque situati, appartenenti a persone o a familiari con esse conviventi convinte di svolgimento di attività partigiana o di favoreggiamento ai ribelli. (...) Per favoreggiamento deve intendersi ogni azione od omissione tendente a secondare lo svolgimento di attività partigiana. Gli organi di polizia stabiliranno, caso per caso, secondo una valutazione discrezionale, quali fatti siano passibili della sanzione preveduta nel decreto (...) La confisca (...) potrà essere ordinata da tutti gli Ufficiali di PS e dell’Arma dei CC.RR. (...) >.
La confisca dei beni aveva anche lo scopo di risolvere il problema del rifornimento dei viveri alle “bande armate di ribelli”, come vediamo in quest’altro documento, ai questori, prefetti e comandi nuclei mobili del 27/2/43.
< Uno dei problemi più assillanti per le bande armate di ribelli è quello dell’alimentazione. Uomini obbligati a vivere nei boschi e nelle vette di alte montagne hanno bisogno di nutrirsi in maniera continua e sostanziosa. Togliere i viveri o comunque ostacolarne l’afflusso, vale praticamente a fiaccare la resistenza e ad annullare l’efficienza delle bande.
Al conseguimento di tale fine sono diretti provvedimenti in parte già disposti ed in corso di attuazione (sequestro dei beni di proprietà dei familiari dei ribelli) e provvedimenti di prossima emanazione. Sarà intanto opportuno (...) dare disposizioni a tutte le dipendenti forze di Polizia perché, nell’esercizio delle loro normali funzioni, pongano particolare cura alla repressione di tale importantissima forma di favoreggiamento, cercando con tutti i mezzi di stroncarla.
Senza eccessi inutili e sempre dannosi per la scia di malcontento, che lasciano le azioni che per essere troppo grette appaiono vessatorie, sarà sempre bene accertare se con i carri agricoli, che girano in tutta la zona anche in località quasi inaccessibili, siano trasportati quantità di viveri assolutamente sproporzionate al numero di persone alle quali sono destinate e sarà sempre bene accertare se uguale sproporzione si rilevi per il trasporto di alimenti effettuato con biciclette od a spalla con gerle.
Nei casi sospetti procedere subito al fermo delle persone ed al sequestro dei generi alimentari, informando questo Ispettorato Speciale >.
Il controllo generalizzato del territorio, così come voluto da Gueli, richiedeva azioni specifiche. Il 17/2/43 Gueli inviò la seguente lettera ai Prefetti:
< Si è avuto occasione di rilevare un notevole affollamento su varie autocorriere in servizio di linea e si ha motivo di ritenere che tale affollamento dipende dalla facilità con la quale i vari Comuni rilasciano i permessi di transito (...) è evidente che l’affollamento delle vetture pregiudica non poco il servizio di controllo dei viaggiatori, molto importante ai fini di polizia nelle attuali contingenze, specie se si tiene contro che al traffico delle autocorriere è spesso connesso il servizio informativo dei ribelli. Perché sia disciplinato il movimento dei viaggiatori (...) prego l’E.V. di compiacersi impartire le opportune disposizioni affinché i dipendenti Comuni si attengano a criteri restrittivi nel rilascio dei permessi di viaggio (...) ed affinché ai posti di blocco il controllo non si limiti alla identificazione dei viaggiatori, ma venga esteso ai bagagli ed alla persona degli stessi viaggiatori con minuziose perquisizioni >.
Una volta “disciplinato” il traffico sulle autocorriere, Gueli rilevò un altro problema.
< È stato accertato che informatori e corrieri di bande armate di ribelli fanno largo uso di biciclette per evitare lunghi viaggi a piedi, oppure per fare a meno di servirsi delle autocorriere in servizio pubblico, che sono soggette alla vigilanza degli organi di polizia. Nell’intento di stroncare tale attività, sulla quale le bande dei ribelli fanno assegnamento, specie per ottenere segnalazioni tempestive sui movimenti delle forze in servizio di rastrellamenti e di battute >, Gueli propose (27/2/43) fossero emessi < decreti che vietino l’uso di tali veicoli in determinate zone maggiormente travagliate >, il che significò, per la provincia di Trieste < gli stradali di collegamento fra tutti i comuni del Carso in cui vige il provvedimento del coprifuoco > e per la provincia di Gorizia < tutta la rete stradale della provincia, escluse le vie interne dei maggiori centri abitati e quelle che collegano questi ultimi e gli stabilimenti industriali >.
Mentre il Prefetto di Gorizia sollevò delle obiezioni all’adozione di un simile provvedimento, il Prefetto di Trieste Tamburini così decretò tempestivamente (24/2/43): < su tutta la rete stradale compresa nella zona della Provincia in cui vige il coprifuoco è vietato l’uso delle biciclette (...) gli appartenenti alle Forze armate apriranno senz’altro il fuoco contro le persone che circoleranno in bicicletta, qualora, invitati a fermarsi, non ottempereranno all’ordine >.
Gueli riscontrò anche un altro fattore di rischio che lo portò a scrivere (5/3/43) a questori, prefetti, comandi militari ed alla Direzione di PS a Roma.
< È segnalata la presenza di alcune carovane di zingari nella Venezia Giulia. Nell’attuale situazione della zona, non può essere consentita la presenza di tale categoria di vagabondi, fra i quali possono trovare asilo ribelli, corrieri comunisti, sabotatori. Prego volere esaminare l’opportunità di dare disposizioni perché sia proceduto al fermo di tutti i componenti di tali carovane e l’invio coattivo ai loro paesi d’origine >.
Ma non erano tempi duri solo per gli uomini, anche i cani se la videro brutta.
< È stato rilevato che servizi appostamento notturno o movimenti dislocazione forze dirette accerchiare centri abitati e case campestri vengono notevolmente sempre ostacolati e qualche volta frustrati da cani di guardia che percependo rumori anche a notevole distanza danno allarme abbaiando. Per evitare grave inconveniente dannoso importanti servizi polizia prego EE. VV. esaminare opportunità emettere ordinanza prescrivente sotto pena adeguate sanzioni e sequestro animali che in tutte località nelle quali vige provvedimento coprifuoco sia proibito ore notturne tener cani legati o sciolti fuori case abitazioni > (Telegramma del 3/3/43 di Gueli ai Prefetti di Trieste e Gorizia).
Di conseguenza il Prefetto Tamburini emise (25/3/43) la seguente ordinanza:
< tutti i possessori di cani da guardia abitanti nei Comuni dove vige il coprifuoco provvedano durante le ore del coprifuoco a tenere i cani in luogo chiuso. I contravventori saranno puniti a norma di legge mentre i cani saranno requisiti e consegnati al canicida dei competenti Comuni >.
(tutti i documenti citati si trovano nell’Archivio di Stato di Trieste, fondo Prefettura).
Gennaio 2009
24 GENNAIO 2009
SU DECISIONE DEL SINDACO ŽIVKO KOLEGA
Zara, via le bandiere dalla Piazza del popolo
ZARA – Le bandiere dei 24 Paesi partecipanti al campionato mondiale di pallamano, tra cui anche quella serba, innalzate sui pennoni in Piazza del popolo a Zara hanno sventolato un giorno solo. Infatti, nella mattinata di ieri, il presidente del comitato organizzatore del girone zaratino dei mondiali e allo stesso tempo sindaco della città dalmata, Živko Kolega, ha ordinato... l'ammainabandiera. Il sindaco ha spiegato di aver ricevuto numerose lamentele da parte dei cittadini per cui, analizzando i pro e i contro, ha deciso di comportarsi in questo modo tenendo principalmente conto del fatto “che si tratta di giornate particolari in cui gli zaratini ricordano gli eventi bellici e le vittime dell’operazione Maslenica”. Ragion per cui, bisogna aggiungere, la presenza del vessillo della Repubblica di Serbia nel centro di Zara, non è gradito a molti. E quale soluzione salomonica non resta che togliere tutte le bandiere. In un comunicato, il sindaco ha invitato i cittadini a dimostrare dignità e spirito sportivo visto che in questo modo si può contribuire alla promozione di Zara. Comunque, le bandiere resteranno nello spiazzo davanti al palasport di Višnjik, come prescritto dal regolamento del campionato.
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In realtà, la maggioranza dei cittadini intervistati si e' dichiarata contro la decisione del Sindaco. Anche secondo la testimonianza inviata dal nostro corrispondente Kapuralin, "tutti gli intervistati che ho potuto vedere nel programma televisivo, hanno dichiarato pacatamente e civilmente che issare le bandiere dei paesi partecipanti è normale. Nessuno degli intervistati ha sostenuto la decisione del Sindaco. Nel frattempo il rappresentante dei tifosi zaratini ha dichiarato che i tifosi serbi non sono benvenuti a Zara, e nel pomeriggio di ieri e' arrivata una telefonata anonima, che si e' dimostrata falsa, riguardo una bomba che sarebbe stata collocata nell' albergo dove sono alloggiati gli sportivi serbi. Questa notte verso le ore 2,30 al parcheggio dell' albergo zaratino la polizia ha fermato due giovani che avevano distrutto a sassate l' automobile con targa serba che appartiene al direttore della società di pallacanestro, la Hemofarn di Serbia. Mentre ieri pomeriggio, sempre a Zara, e' successo un altro incidente: uno sconosciuto ha malmenato colpendolo alla testa un 42-enne tifoso macedone. Su come vadano le cose da Zara possiamo attenderci un vero e proprio serial..."
a cura di Ivan per il CNJ
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U petak ujutro agencije su objavile da je tokom noći netko skinuo sve zastave. Nagađalo se da je to učinjeno zbog toga što je među njima bila i srpska državna zastava, a kako su zastave bile na parangalu, sve na istom špagu sve su i nestale.
Rečeno je da su zastave viđene sve do 22 sata prethodne večeri, da su za taj trg zadužena dva policajca, pa je izraženo čuđenje kako se to moglo desit.
Tokom dana informacija je upotpunjena dodatnim saznanjem, da su zastave skinute na zahtjev gradonačelnika Zadra, jer je smatrao da bi to iritiralo građane zbog srpske zastave.
Televizijske ekipe su izašle na teren i anketirale prolaznike što misle o tome. Iz onoga što sam imao prilike vidit u informativnom programu, svi anketirani su dosta staloženo i civilizirano izjavili, da isticanje zastava učesnica sportskog natjecanja smatraju normalnim. Niko od anketiranih nije podržao čin svoga gradonačelnika.
Tokom dana je objavljeno kako je predstavnik zadarskih navijača izjavio, kako su navijaći srpske reprezentacije nepoželjni, a popodne je bila i jedna anonimna telefonska prijava, za koju se ispostavili da je lažna o postavljenoj bombi u zadarskom hotelu gdje su odsjeli srpski reprezentativci Sapient sat-pametnome dosta...
Bruka i sramota u Zadru se nastavlja.
Nakon jučerašnje informacije o skidanju zastava učesnica ispred zgrade gradske palače u Zadru, upozorenja navijačima srpske reprezentacije da ne dolaze u Zadar i lažne anonimne dojave o postavljenoj bombi u hotelu gdje su odsjeli srpski reprezentativci, o čemu sam vas jučer obavjestio stižu sviježe vijesti.
Noćas u 2:30 sati policija je na parkiralištu zadarskog hotela FUNIMATION uhvatila dva mladića od 18 i 20 godina, koji su kamenovali automobil Škodu Superb srpskih registarskih oznaka, koja pripada direktoru košarkaškog kluba Hemofarm iz Srbije.
Policija je uhapsila oba dva i nalaze se na kriminalističkoj obradi.
Jučer poslijepodne dogodio se u Zadru još jedan incident.
Nepoznati napadač napao je i izudarao po glavi 42 godišnjeg navijača, makedonskog državljanina. Ozljede koje je tom prilikom zadobio makedonski navijač okarakterizirane su kao lakše.
Kako su stvari krenule, iz Zadra možemo očekivati pravi serijal.
Informacije o incidentima u Zadru na marginama svijetskog rukometnog prvenstva sustižu jedna drugu.
Kratak rezime dosadašnjih dogasđaja: Nakon skidanja zastava učesnica svjetskog rukometnog prvenstva na zadarskom glavnom trgu po naređenju gradonačelnika, upozorenja navijačima srpske reprezentacije, kamenovanja auta direktora srpskog košarkaškog kluba i prebijanja bejzbolskom palicom, navijača, državljana republike Makedonije, kojeg smo večeras vidili na TV ekranima iz zadarske bolnice, večeras je objavljena informacija, da je u Zadru kamenovan i jedan kafić u kojima su sjedili reprezentativci Njemačke.
Pozdrav do slijedečeg javljanja...
(Santiago Alba Rico)
Vediamo innanzi tutto cosa non è una crisi capitalista.
Che 950 milioni di persone soffrano la fame in tutto il mondo, questo non è una crisi
capitalista.
Che ci siano 4750 milioni di poveri in tutto il mondo, questo non è una crisi capitalista.
Che ci siano 1000 milioni di disoccupati in tutto il mondo, questo non è una crisi
capitalista.
Che più del 50% della popolazione mondiale attiva lavori in condizioni precarie, questo
non è una crisi capitalista.
Che più del 45% della popolazione mondiale non abbia accesso ad acqua potabile, questo
non è una crisi capitalista.
Che 3000 milioni di persone non abbiano accesso a servizi minimi di salute, questo non è
una crisi capitalista.
Che 113 milioni di bambini non abbiano accesso all'educazione e 875 milioni di adulti
continuino ad essere analfabeti, questo non è un crisi capitalista.
Che 12 milioni di bambini muoiano ogni anno a causa di malattie perfettamente curabili,
questo non è una crisi capitalista
Che 13 milioni di persone muoiano ogni anno a causa del degrado dall'ambiente e del
cambio climatico, questo non è una crisi capitalista.
Che 16306 specie siano in pericolo di estinzione, fra le quali un quarto dei mammiferi,
non è una crisi capitalista.
Tutto questo succedeva prima della crisi. Che cos'è, quindi, una crisi capitalista? Quando
comincia una crisi capitalista?
Parliamo di crisi capitalista quando affamare 950 milioni di persone, mantenerne 4700
milioni nella povertà, lasciare senz'acqua al 45% della popolazione mondiale e senza
servizi di salute al 50%, sciogliere i poli, negare aiuto ai bambini e farla finita con gli alberi
e gli orsi ormai non genera profitto sufficiente per 1000 imprese multinazionali e 2 milioni
e mezzo di milionari.
Ciò che dimostra la superiore efficienza e capacità di resistenza del capitalismo è che
tutte queste calamità umane che avrebbero invalidato qualunque altro sistema
economico non hanno nessun effetto sulla sua credibilità, né gli impediscono di
funzionare a pieno ritmo. È esattamente questa indifferenza meccanica che lo rende
naturale, invulnerabile, imprescindibile. Il socialismo non sopravvivrebbe a questo
disprezzo per l'essere umano, così come non sopravvisse in Unione Sovietica, perché è
pensato esattamente per soddisfare le necessità dell'essere umano; il capitalismo sì che
sopravvive e perfino si irrobustisce con le disgrazie umane, perché non è stato concepito
per alleviarle. Nessun altro sistema storico ha prodotto più ricchezza, nessun altro sistema
storico ha prodotto più distruzione. Basta considerare in parallelo queste due direttrici la
direttrice della ricchezza e la direttrice della distruzione per rendersi conto di tutto il suo
valore e di tutta la sua magnificenza. Questo doppio compito, che è il suo, il capitalismo lo
fa meglio di chiunque altro ed il suo trionfo è inappellabile; che ci siano sempre più cibo e
sempre più fame, più medicine e più malati, più case vuote e più famiglie senza tetto, più
lavoro e più disoccupati, più libri e più analfabeti, più diritti umani e più crimini contro
l'umanità.
[ ]
Le soluzioni che propongono, e applicheranno, i governi del pianeta perpetuano, in ogni
caso, la logica immanente dell'ampliamento del profitto come condizione di sopravvivenza
naturale: privatizzazione di fondi pubblici, allungamento della giornata lavorativa,
licenziamento libero, diminuzione delle spese sociali, sgravio fiscale agli imprenditori.
Cioè, se le cose non vanno bene è perché non vanno peggio. Cioè, se 950 milioni di
affamati non garantiscono abbastanza profitto, bisognerà raddoppiare questa cifra. Il
capitalismo consiste in questo: prima della crisi condanna alla povertà 4700 milioni di
esseri umani; in tempi di crisi, per uscirne, solo può aumentare il tasso di profitto
aumentando il numero delle sue vittime.
[ ]
Il problema non è la crisi del capitalismo, no, ma il capitalismo stesso. [ ] In un mondo
con molte armi e poche idee, con molto dolore e poca organizzazione, con molta paura e
poco impegno il mondo che ha prodotto il capitalismo la barbarie è molto più
probabile del socialismo. [ ]
[tradotto da M. Guainazzi]
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L'addio al Comunismo? E' costato un milione di morti
Scritto da Mara Gergolet, "corriere.it"
La rivista Lancet: nell'Est la mortalità è aumentata del 13% per le privatizzazioni
Quanti morti può fare una privatizzazione? O meglio se un conto si può fare quante
vite è costato il passaggio dal comunismo al capitalismo?
E ancora: si può conteggiare l'effetto delle ricette economiche che quella transizione
l'hanno dettata negli eltsiniani (e clintoniani) anni Novanta? Il conto è stato fatto.
Pubblicato su una delle più prestigiose riviste di medicina internazionali, l'inglese Lancet, 4
anni di lavoro, modelli matematici complessi, basandosi sui dati del'Unicef dal 1989 al
2002. La conclusione: le politiche della privatizzazione di massa nei Paesi dell'ex Unione
Sovietica e nell'Europa dell'Est hanno aumentato la mortalità del 12,8%.
Ovvero, hanno causato la morte prematura di 1 milione di persone. Non che, finora,
qualche stima non fosse stata fatta. L'agenzia Onu per lo sviluppo, l'Undp, nel '99 aveva
contato in 10 milioni le persone scomparse nel tellurico cambio di regime, e la stessa
Unicef aveva parlato dei 3 milioni di vittime. Lo studio di Lancet (firmato da David Stuckler,
sociologo dell'Oxford University, da Lawrence King, della Cambridge University e da Martin
McKee, della London School of Hygiene and Tropical Medicine) invece parte da una
domanda diversa: si potevano evitare tante vittime, e sono da addebitare a precise
strategie economiche? La risposta è sì. Ed è la «velocità » della privatizzazione che
secondo Lancet spiega il differente tasso di mortalità tra i diversi Paesi.
Si moriva di più dove veniva adottata la «shock therapy»: in Russia tra il '91 e il '94
l'aspettativa di vita si è accorciata di 5 anni. Nei Paesi più «lenti », invece, come Slovenia,
Croazia, Polonia, si è allungata di quasi un anno. Grazie, signor Jeffrey Sachs. Perché se gli
operai inglesi negli anni '80, come nel film di Ken Loach, «ringraziavano» la signora
Thatcher, gli operai delle fabbriche chiuse dell'Est devono (in parte) la loro sorte al geniale
economista americano, consigliere allora di molti governi dell'Est.
E infatti il signor Sachs ha risposto piccato, con una lettera al Financial Times. Ma quel
«milione di morti» ha ormai accesso il dibattito ai due lati dell'Oceano, sulle pagine del
New York Times e nei blog economici. «S'è scatenata risponde da Oxford David Stuckler
una rissa ideologica, ma noi non volevamo infilarci in un dibattito politico. Volevamo
puntare l'attenzione sui rischi sociali.
E poi, il nostro non è un attacco alla shock therapy, tant'è che analizziamo solo le
privatizzazione, non le liberalizzazioni o le politiche di stabilizzazione ». E il signor Sachs?
Contesta i numeri. Dice, all'Ft, che «dove sono stato consigliere, come in Polonia, non c'è
stato nessun incremento della mortalità».
E il caso russo, dove sono state «vendute 112mila imprese di Stato» dal '91 al '94 contro le
640 della Bielorussia, e i tassi di mortalità sono 4 volte maggiori? Colpa delle diete russe,
dice Sachs, ma più ancora del crollo dell'impero, «degli aiuti negati dagli occidentali a
Mosca», «tanto che nel '94 mi sono dimesso» da consigliere del Cremlino. Non rinuncia
all'occasione di seppellire Sachs il suo vecchio nemico, il Nobel Joseph Stiglitz. «Lancet ha
ragione, la Polonia è stata un caso di politiche graduali. Quanto alla shock therapy,
guardando indietro, è stata disastrosa. Pura ideologia, che ha distorto delle buone analisi
economiche». C'è un altro dato che emerge nella ricerca.
Il legame disoccupazione- mortalità nell'ex Unione sovietica. «Il perché è evidente: erano
le fabbriche che spesso garantivano screening medici», dice Stuckler. Con la loro chiusura
nell'ex Urss è crollato anche il sistema sociale. Numeri impressionanti di morti per alcol,
di suicidi. «Mentre dove c'era una forte rete sociale come nella Repubblica ceca in cui il
48% delle persone faceva parte o di un sindacato o va in Chiesa l'impatto è stato quasi
nullo».
Il sociologo Grigory Meseznikov, uno dei più apprezzati politologi dell'Europa dell'Est,
risponde al telefono al Corriere che «sì, sui ceti inferiori l'impatto è stato forte. Ma poi,
accanto ai danni immediati, bisogna valutare i benefici e l'impatto positivo a lungo
termine». A Lubiana, il sociologo Vlado Miheljak, invece, ricorda che «tra i motivi del
successo sloveno, a parte la maggiore integrazione con l'Ovest, c'è stata soprattutto la
lentezza. Allora tutto il mondo ci criticava perché non privatizzavano come i cechi, come
gli ungheresi. Invece probabilmente, è stata la nostra salvezza».
Mara Gergolet
--- In JUGOINFO, "Coord. Naz. per la Jugoslavia" ha scritto:
UN MILIONE DI MORTI
LIBERISMO Uno studio sugli effetti delle privatizzazioni degli anni '90
Un milione di morti a est grazie alle riforme-shock
di Astrit Dakli
da Il manifesto del 16.1.2009 p. 7
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-
edicola/numero/20090116/pagina/07/pezzo/239621/
Un milione di morti. Questo potrebbe essere il terribile bilancio
reale delle privatizzazioni accelerate imposte ad alcuni paesi dell'ex
Unione sovietica negli anni '90, secondo uno studio dell'università di
Oxford pubblicato ieri dalla più autorevole rivista medica
internazionale, Lancet. La mostruosa cifra, una delle più alte che si
possano direttamente associare a un deliberato atto politico, è la
traduzione di quel 12,8 per cento di aumento della mortalità che gli
analisti di Oxford hanno riscontrato nella dinamica demografica del
decennio scorso nei paesi presi in esame: un aumento (quasi
interamente fra i maschi in età lavorativa) che lo studio mostra
essere strettamente legato, nel tempo e nello spazio, al parallelo
aumento della disoccupazione provocato dall'applicazione forsennata
delle politiche neoliberiste - e in particolare i programmi di
privatizzazione di massa - dopo il crollo dei regimi «socialisti».
Nell'insieme dei paesi dell'Europa orientale e dell'ex Urss, fra il
1991 e il 1994 le privatizzazioni portarono a un aumento del 56 per
cento nel numero dei disoccupati (e a quel 12,8 per cento di crescita
della mortalità citato prima); ma all'interno del quadro complessivo
cinque paesi conobbero in quegli anni uno shock particolarmente
violento. Russia, Kazakhstan, Lituania, Lettonia ed Estonia ebbero
aumenti di disoccupazione fino al 300 per cento, mentre nel resto
della macroregione il contraccolpo delle privatizzazioni fu minore,
per le diverse condizioni sociali e culturali presenti.
Il rapporto fra privatizzazioni accelerate e disoccupazione non ha
bisogno di troppe spiegazioni: l'arrivo di privati - e con essi di una
logica di profitto - alla guida di aziende in cui l'efficienza
produttiva era da decenni subordinata all'utilità sociale, ha
provocato quasi sempre il licenziamento di moltissimi lavoratori, in
un contesto economico di crisi molto grave in cui trovare un nuovo
impiego (soprattutto per persone non giovanissime) era praticamente
impossibile. E il lavoro «a vita» in aziende di stato era in quei
paesi, fino al '91-'92, una condizione esistenziale globale: con il
lavoro si aveva la casa, l'assistenza sanitaria, le vacanze,
un'immagine sociale: perdendo il lavoro, si perdeva tutto in un colpo.
E in paesi dove il fumo, l'alcol e stili di vita imprudenti erano già
pericolosamente diffusi tra la popolazione maschile, lo shock
psicologico di questa perdita ha portato a un vero e proprio crollo
fisico. Si aggiungano altri due effetti diretti (e contemporanei)
delle politiche neoliberiste come il collasso delle strutture
sanitarie gratuite e il vertiginoso aumento del prezzo dei farmaci, e
gli ingredienti per l'avvio di quella che a tutti gli effetti è stata
una strage di massa diventano chiari.
Meglio è andata, sottolinea lo studio dei professori David Stuckler e
Lawrence King, in paesi magari più arretrati ma con una migliore rete
di sostegno famigliare, come in Albania, o dove c'erano organizzazioni
di difesa sociale più efficienti, come in Polonia o nella Repubblica
Cèca, o ancora in alcune repubbliche asiatiche dove le privatizzazioni
sono state introdotte in modo molto più graduale. Lì l'aumento di
disoccupazione è stato molto minore, e non ci sono state variazioni
nella mortalità - anzi in qualche caso questa è addirittura diminuita.
Il che induce, secondo gli autori dello studio, a trarre delle
importanti lezioni sul modo in cui i cambiamenti economici e sociali
possono essere introdotti nei paesi dove questi sono ancora in corso,
come in Cina, in India o altrove: le «terapie di shock» costano care
in termini di vite umane.
Ma di quel milione di morti qualcuno dovrebbe ben portare la
responsabilità: la scelta - in Russia, dove si è concentrato il
disastro peggiore - di applicare in modo brutale, senza preparazione,
senza esperimenti-pilota, senza nessun tipo di paracadute sociale
possibile, le privatizzazioni dell'intero sistema produttivo è una
scelta che non è venuta dal cielo come la pioggia. Ci sono uomini in
carne ed ossa che questo hanno voluto e imposto: l'allora presidente
Boris Eltsin, ovviamente, ma ancor più di lui che forse non era in
grado di capire quel che stava succedendo sono stati gli «economisti»
affascinati dal neoliberismo come Egor Gaidar o Anatoly Chubais (che
tuttora ha una posizione di altissima responsabilità) a volerlo e a
imporlo ad ogni costo, per non parlare della schiera di «consiglieri»
occidentali come Jeffrey Sachs o Anders Aslund, tuttora prodighi di
consigli rivolti ai governanti russi (o di critiche per il fatto di
non applicare politiche abbastanza «di mercato»). E, naturalmente, non
poca responsabilità dovrebbero prendersi i leader che allora tennero
sotto l'ala Eltsin, a patto che non si fermasse «sulla strada delle
riforme»: il democratico Bill Clinton prima di tutti.
--- Fine messaggio inoltrato ---
Da: Direttore Radio Città Aperta <direttore @...>Data: 23 gennaio 2009 17:30:53 GMT+01:00Oggetto: Roma, 4 febbraio: Noi e Gaza: informazione o fabbrica del falso?Noi e Gaza:informazione o fabbrica del falso?Nei 23 giorni di bombardamenti israeliani sulla popolazione di Gaza si è combattuta un’altra guerra: quella contro la verità e il diritto di informare ed essere informati. Per questo abbiamo chiesto ad alcuni rappresentanti dell’informazione ‘no embedded’ di confrontarsi insieme a noi su censura e autocensura, tabù e luoghi comuni.Perché le bombe uccidono le persone, ma l’informazione manipolata uccide le coscienzeMercoledì 4 febbraio, ore 17.30Sala Pintor,Via Scalo S. Lorenzo n° 67, RomaDibattito/Tavola rotonda
Intervengono:Roberto Natale, presidente della Federazione Nazionale della Stampa ItalianaMarco Santopadre – direttore di Radio Città ApertaPino Cabras, direttore di Megachip.infoMariano Benni, direttore dell’agenzia MisnaMaurizio Torrealta – giornalista di Rainews 24Michele Giorgio, corrispondente a Gerusalemme de Il Manifesto
Organizza: Radio Città ApertaInfo: direttore@...Cell. 3357698320