Informazione


Gomorra (segue...)

1) Ufficiali Nato in affitto nella villa del boss (CdS 26/10/2008)

2) ACQUA INQUINATA, STOP AFFITTI US NAVY A CASAL DI PRINCIPE (novembre 2008)


Sul libro Gomorra e sul legame strutturale tra Camorra e NATO si veda anche:

Alcuni degli articoli che seguono sono stati segnalati su:

Segnaliamo anche: Loran Perham, chi era costui?


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I CARABINIERI: MILITARI AMERICANI IN ALTRE 40 RESIDENZE DEI CLAN

Ufficiali Nato in affitto nella villa del boss

Casalesi: é la proprietà di famiglia del latitante Iovine

DAL NOSTRO INVIATO
CASAL DI PRINCIPE (Caserta) — Via Toti numero 10. Sul confine tra la municipalità di Casal di Principe e San Cipriano. La villa è circondata e protetta da un alto muro, su di un ampio perimetro. Il portone e il cancello in ferro. Gli accessi sono sorvegliati dall'interno da telecamere ultima generazione. Potrebbe essere una delle tante villone che riempiono gli spazi di questa regione del casalese: costruite come fortini, ricordano la logica medioevale a difesa del clan, piegate su se stesse, affacciate su quello che viene chiamato «il luogo », la corte interna. Con una differenza però. Questa è una delle proprietà immobiliari note della famiglia di Antonio Iovine, classe 1964, detto «ninno» perché piccolo di statura, tra i più pericolosi boss d'Italia, ricercato da oltre 12 anni. E con una peculiarità ancora più curiosa: la villa è ormai da tempo affittata ad ufficiali americani in servizio nelle vicine basi Nato. «Paradossale e assurdo, no? Le casse della Nato, cui contribuisce anche il governo italiano, alimentano quelle della camorra organizzata», dice Franco Roberti, coordinatore della direzione distrettuale antimafia di Napoli. Un fatto noto al comando provinciale dei carabinieri di Caserta, che assieme alla magistratura da tempo cercano di mettere sotto sequestro i beni della camorra, comprese le ville affittate alla Nato.

Quante? «Probabilmente centinaia — commenta il colonnello Carmelo Burgio, ex comandante della missione dei carabinieri a Nassiriya che da oltre 4 anni dirige gli oltre 1.360 carabinieri della provincia —. Con introiti milionari per la malavita locale, che così riesce a riciclare in modo pulito gli introiti delle sue attività illecite. Solo l'anno scorso, nel marzo 2007, riuscimmo a sequestrare beni pari a cento milioni di euro del clan Bianco-Corvino e a localizzare una cinquantina delle loro ville, che erano state acquistate grazie ad un largo giro di truffe alle assicurazioni auto. Di queste oltre 40 erano state affittate a militari americani stanziati nelle basi Nato campane. Oggi quasi tutte sono ancora abitate da ufficiali Usa con le loro famiglie. Ma gli affitti, che sono alti per queste regioni e variano in genere dai 1.500 agli oltre 3.000 euro mensili, vanno ora ad un fiduciario dello Stato». Alla procura di Napoli sospettano tra l'altro che anche il clan di Giuseppe Setola, considerato tra gli autori del massacro di sei giovani di colore poche settimane fa, abbia affittato alla Nato. «Occorre capire chi sono gli intermediari della camorra presso gli americani », dice preoccupato Raffaele Cantone, magistrato di Cassazione esperto dei Casalesi. La villa di via Toti ha un iter molto particolare. «Antonio Iovine, assieme a Michele Zagaria, detto " Capa storta", e gli Schiavone è al comando della camorra casalese. Si arricchiscono anche con gli affitti alla Nato», dicono i carabinieri. «Calcoliamo che quella dove vive la famiglia di Iovine, sempre tra Casal di Principe e San Cipriano, valga almeno un milione di euro e quella molto vicina di via Toti oltre 800mila. Nell'aprile di quest'anno gli abbiamo sequestrato beni per il valore di 80 milioni di euro. Ma il giudice per le indagini preliminari ci ha negato i sequestri delle ville. In particolare, per quella intestata alla madre di Iovine e affittata agli americani, ci è stato detto che non ci sono prove sufficienti per dimostrare che è stata comprata con fondi sporchi», specifica il tenente dell'Arma Giuseppe Tomasi, da oltre trent'anni impegnato nella lotta alla camorra.

La scorsa estate i carabinieri hanno arrestato la moglie di Iovine, Enrichetta Avallone, 40 anni, accusata di aver garantito i contatti tra i il marito latitante e i camorristi. La villa venne intestata alla madre al momento del suo acquisto nel 1986: valore di allora 15 milioni di lire per oltre 500 metri quadri edificati. Come dimostrare che è stata acquistata con fondi illegali? Risponde il colonnello Burgio: «Sono maestri nella truffa. La moglie di Iovine aveva ideato un ottimo sistema per i beni più costosi. Vestiti, mobili, televisori, video erano tutti corredati dai bigliettini da cui risultava che erano regali di amici, conoscenti e parenti, così non doveva dimostrare con che soldi li aveva comprati». Persino le centinaia di scarpe con marchi costosi negli armadi erano contrassegnate come improbabili doni.

Lorenzo Cremonesi
26 ottobre 2008(ultima modifica: 30 ottobre 2008)


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US NAVY: ACQUA INQUINATA, VIA 11 FAMIGLIE DA CASAL DI PRINCIPE
NAPOLI, 13 NOV - Presenza di ”percentuali inaccettabili di sostanze chimiche solventi nell’acqua di rubinetto delle loro abitazioni”: lo ha attestato il Comando della Marina militare statunitense (Nsa) di Napoli che ha annunciato che 11 famiglie americane che risiedevano nel Casertano, a Casal di Principe, saranno trasferite in nuovi alloggi, a Gricignano, nella base della US Navy.
Dall’esito delle analisi a campione condotte nella prima fase dello studio sulla salute pubblica a Napoli, la US Navy, circa due mesi fa, aveva gia’ identificato acqua inquinata in tre case di Casal di Principe. Successivamente, e’ stata analizzata l’acqua del rubinetto di altre undici abitazioni date in fitto a personale statunitense, e situate nel raggio di 1,5 km dalle altre tre abitazioni: anche qui le analisi chimiche hanno rilevato la presenza di sostanze chimiche solventi.
Le undici famiglie, come detto, saranno trasferite nella base della Us Navy di Gricignano dove viene garantita acqua potabile. Non sussiste alcun motivo, dice il Comando, per cui anche altre famiglie che risiedono nella zona di Casal di Principe debbano essere trasferite immediatamente.
(ANSA)
—–
US NAVY: ACQUA INQUINATA, STOP AFFITTI IN AREE CASERTANO
NAPOLI, 13 NOV - Il Comando della Marina Militare statunitense di Napoli ha annunciato l’istituzione di una moratoria temporanea per i nuovi contratti di locazione nelle zone di Arzano, Casal di Principe, Marcianise e Villa Literno, tutte in provincia di Caserta.
La decisione e’ stata presa dopo che in 14 abitazioni di Casal di Principe, occupate da personale americano, e’ stata riscontrata la presenza di acqua del rubinetto inquinata. Sono stati adottati, si legge in una nota, ”parametri estremamente precauzionali e conservatori - si considera un arco temporale di esposizione di 30 anni - nel valutare il fattore rischio nelle zone in questione”. L’analisi delle informazioni rilasciate sia dalle autorita’ sanitarie italiane che statunitensi, ha condotto il Comando a stabilire delle ”zone a sospensione di nuovi contratti di locazione”; cioe’ delle aree non piu’ disponibili al personale statunitense per firmare contratti di locazione attraverso l’Ufficio Alloggi della marina americana.
Le zone a sospensione di nuovi contratti di locazione sono state stabilite in base ai dati sulla salute pubblica rilasciati sia dalle autorita’ sanitarie italiane che statunitensi. La zona ”a sospensione fitto” piu’ estesa include Casal di Principe e Villa Literno; le altre due includono Arzano e Marcianise.
(ANSA)



---------- Messaggio inoltrato ----------
Da: Rifondazione Comunista PI <info@...>
Date: 19 gennaio 2009 15.22
Oggetto: L'olocausto "dimenticato" degli zingari: 27 gennaio giorno della memoria, iniziativa a Rebeldìa
A: Rifondazione Comunista PI <prcpisa@...>


Venerdì 23 gennaio ore 18 a REBELDIA! via C. Battisti, 51 PISA

presentazione del DVD

"A forza di essere vento..." (Editrice A Milano)

partecipano:

Luca BRAVI (Univ. di Firenze) Piero COLACICCHI (presidente dell'ONG dei diritti dei Rom "osservAzione") coordina Sergio Bontempelli

BIBLIOTECA FRANCO SERANTINI - LABORATORIO DELLE DISOBBEDIENZE REBELDIA!

 

"27 gennaio 2009 Giorno della Memoria" L'Olocausto "dimenticato" degli zingari Il 23 gennaio 2009 verrà organizzato dalla Biblioteca Franco Serantini e dal Laboratorio delle disobbedienze Rebeldia! un incontro dibattito dedicato all'olocausto dimenticato degli zingari. Gli Zingari durante la Seconda guerra mondiale ebbero una sorte simile a quella degli Ebrei, dei prigionieri politici e degli omosessuali. Essi furono perseguitati dai nazisti e rinchiusi nei campi di sterminio, sterilizzati in massa, usati come cavie per esperimenti, condannati ai lavori forzati, ed infine destinati alle camere a gas ed ai crematori. Cinquecentomila zingari morirono nei campi di concentramento, solo nel "Zigeunerlager", il campo loro riservato ad Auschwitz-Birkenau, tra il febbraio 1943 e l'agosto 1944 oltre ventimila tra rom e sinti vennero uccisi. Malgrado ciò nessuno zingaro venne chiamato a testimoniare nei processi ai gerarchi nazisti, neppure a Norimberga.  Infine, quando in Germania alcuni sopravvissuti si decisero a chiedere un risarcimento, questo fu loro negato con il pretesto che le persecuzioni subite non erano motivate da ragioni razziali ma dalla loro "asocialità" (caratteristica che i nazisti attribuivano a ragioni biologiche e che quindi li destinava ad una "soluzione finale" al pari degli Ebrei). Dall'oblio oggi riemergono le testimonianze e la documentazione storica di questo "olocausto dimenticato". Recentemente è stato pubblicato dalla casa editrice A di Milano un eccellente doppio DVD intitolato "A forza di essere vento" che sarà presentato presso la sede di Rebeldia (Via Cesare Battisti, n. 51) venerdì 23 gennaio alle ore 18,00 dal prof. Luca Bravi dell'Università di Firenze e da Piero Colacicchi (presidente dell'ONG dei diritti dei rom Osservazione). Il lavoro prodotto in ricordo di Fabrizio De Andrè, che fu amico dei nomadi ed ai quali dedicò una canzone-poesia, è costituito da una ricca documentazione audiovisiva (6 documentari per una durata complessiva di circa due ore e mezza): interviste a due Zingari internati ad Auschwitz- Birkenau, uno spettacolo di Moni Ovadia con i musicisti Rom rumeni Taraf da Metropulitana, un filmato dell'Opera Nomadi dal titolo "Porrajmos" (la "Shoà" zingara), una serata multimediale tenutasi alla Camera del Lavoro di Milano ed una illuminante intervista di Marcello Pezzetti del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea sulla storia dello Zigeunerlager. Il rapporto tra le vicende del popolo zingaro e del popolo ebraico trova un significativo riconoscimento nel coinvolgimento dell'UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) in tre dei sei documentari e dimostra una reciproca attenzione: gli Zingari, come gli Ebrei, hanno forgiato la propria identità nella diaspora, attraverso l'incontro con le altre nazioni. Oggi entrambe le comunità si debbono confrontare con una società omologante, lontana dai valori tradizionali e da modelli di vita che la gente condivideva in passato, una società che pone in modo drammatico le minoranze di fronte al pericolo dell' estinzione culturale, un rischio che può e deve essere efficacemente contrastato attraverso il recupero e la valorizzazione dell'identità fondata sulla memoria. La confezione dei DVD include un libretto di 72 pagine, che ospita interventi di Gloria Arbib, Giovanna Boursier, Paolo Finzi, Giorgio Bezzecchi e Maurizio Pagani, oltre al testo della canzone di Fabrizio De Andrè e Ivano Fossati, "Khorakhané". "A forza di essere vento" è quindi un'opera che aiuta a non dimenticare il passato, a non abbassare la guardia di fronte al pericolo di risorgenti sentimenti di intolleranza e di nazionalismo xenofobo, per colmare nelle biblioteche e soprattutto nelle scuole la negligente assenza di informazioni dei libri di testo, per trasmettere a tutti il messaggio "mai più Shoà, mai più Porrajmos".

Per informazioni: Rebeldia, via C. Battisti, 51 – Pisa (e-mail: rebeldia@...) Biblioteca Franco Serantini, largo C. Marchesi s. n. civ., 56124 Pisa (e-mail: biblioteca@...), tel. 050 570995

Partito della Rifondazione Comunista -Sinistra Europea 
Federazione di Pisa. Via Battichiodi 6, 56127. PISA 
Tel.050/9711526 Fax 050/3136119 
e-mail info@... 




UN MILIONE DI MORTI


LIBERISMO Uno studio sugli effetti delle privatizzazioni degli anni '90
Un milione di morti a est grazie alle riforme-shock

di Astrit Dakli
da Il manifesto del 16.1.2009 p. 7

Un milione di morti. Questo potrebbe essere il terribile bilancio reale delle privatizzazioni accelerate imposte ad alcuni paesi dell'ex Unione sovietica negli anni '90, secondo uno studio dell'università di Oxford pubblicato ieri dalla più autorevole rivista medica internazionale, Lancet. La mostruosa cifra, una delle più alte che si possano direttamente associare a un deliberato atto politico, è la traduzione di quel 12,8 per cento di aumento della mortalità che gli analisti di Oxford hanno riscontrato nella dinamica demografica del decennio scorso nei paesi presi in esame: un aumento (quasi interamente fra i maschi in età lavorativa) che lo studio mostra essere strettamente legato, nel tempo e nello spazio, al parallelo aumento della disoccupazione provocato dall'applicazione forsennata delle politiche neoliberiste - e in particolare i programmi di privatizzazione di massa - dopo il crollo dei regimi «socialisti».
Nell'insieme dei paesi dell'Europa orientale e dell'ex Urss, fra il 1991 e il 1994 le privatizzazioni portarono a un aumento del 56 per cento nel numero dei disoccupati (e a quel 12,8 per cento di crescita della mortalità citato prima); ma all'interno del quadro complessivo cinque paesi conobbero in quegli anni uno shock particolarmente violento. Russia, Kazakhstan, Lituania, Lettonia ed Estonia ebbero aumenti di disoccupazione fino al 300 per cento, mentre nel resto della macroregione il contraccolpo delle privatizzazioni fu minore, per le diverse condizioni sociali e culturali presenti. 
Il rapporto fra privatizzazioni accelerate e disoccupazione non ha bisogno di troppe spiegazioni: l'arrivo di privati - e con essi di una logica di profitto - alla guida di aziende in cui l'efficienza produttiva era da decenni subordinata all'utilità sociale, ha provocato quasi sempre il licenziamento di moltissimi lavoratori, in un contesto economico di crisi molto grave in cui trovare un nuovo impiego (soprattutto per persone non giovanissime) era praticamente impossibile. E il lavoro «a vita» in aziende di stato era in quei paesi, fino al '91-'92, una condizione esistenziale globale: con il lavoro si aveva la casa, l'assistenza sanitaria, le vacanze, un'immagine sociale: perdendo il lavoro, si perdeva tutto in un colpo. E in paesi dove il fumo, l'alcol e stili di vita imprudenti erano già pericolosamente diffusi tra la popolazione maschile, lo shock psicologico di questa perdita ha portato a un vero e proprio crollo fisico. Si aggiungano altri due effetti diretti (e contemporanei) delle politiche neoliberiste come il collasso delle strutture sanitarie gratuite e il vertiginoso aumento del prezzo dei farmaci, e gli ingredienti per l'avvio di quella che a tutti gli effetti è stata una strage di massa diventano chiari. 
Meglio è andata, sottolinea lo studio dei professori David Stuckler e Lawrence King, in paesi magari più arretrati ma con una migliore rete di sostegno famigliare, come in Albania, o dove c'erano organizzazioni di difesa sociale più efficienti, come in Polonia o nella Repubblica Cèca, o ancora in alcune repubbliche asiatiche dove le privatizzazioni sono state introdotte in modo molto più graduale. Lì l'aumento di disoccupazione è stato molto minore, e non ci sono state variazioni nella mortalità - anzi in qualche caso questa è addirittura diminuita. Il che induce, secondo gli autori dello studio, a trarre delle importanti lezioni sul modo in cui i cambiamenti economici e sociali possono essere introdotti nei paesi dove questi sono ancora in corso, come in Cina, in India o altrove: le «terapie di shock» costano care in termini di vite umane.
Ma di quel milione di morti qualcuno dovrebbe ben portare la responsabilità: la scelta - in Russia, dove si è concentrato il disastro peggiore - di applicare in modo brutale, senza preparazione, senza esperimenti-pilota, senza nessun tipo di paracadute sociale possibile, le privatizzazioni dell'intero sistema produttivo è una scelta che non è venuta dal cielo come la pioggia. Ci sono uomini in carne ed ossa che questo hanno voluto e imposto: l'allora presidente Boris Eltsin, ovviamente, ma ancor più di lui che forse non era in grado di capire quel che stava succedendo sono stati gli «economisti» affascinati dal neoliberismo come Egor Gaidar o Anatoly Chubais (che tuttora ha una posizione di altissima responsabilità) a volerlo e a imporlo ad ogni costo, per non parlare della schiera di «consiglieri» occidentali come Jeffrey Sachs o Anders Aslund, tuttora prodighi di consigli rivolti ai governanti russi (o di critiche per il fatto di non applicare politiche abbastanza «di mercato»). E, naturalmente, non poca responsabilità dovrebbero prendersi i leader che allora tennero sotto l'ala Eltsin, a patto che non si fermasse «sulla strada delle riforme»: il democratico Bill Clinton prima di tutti.




sul testo "Foibe - Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica", e sulle imminenti iniziative di presentazione in molte città italiane, si veda:

CONTRO LA CENSURA DEI LIBRI DI STORIA A PISA - CONTRO IL REVISIONISMO STORICO BIPARTISAN

L’Amministrazione comunale di Pisa ci nega la Biblioteca Comunale di Pisa per un libro sulle foibe.

Assessorato alla Cultura o alla Censura?

Comunicato stampa della Rete dei Comunisti di Pisa

cpianopisa@...  cell 3296947952

Convocazione di un incontro pubblico di tutte le forze democratiche ed antifasciste 
lunedì 19 gennaio alle ore 17,30 presso il saloncino Concetto Marchesi al II Liceo


Lo scorso 5 gennaio La Rete dei Comunisti di Pisa ha richiesto la Biblioteca Comunale per presentare gli atti del convegno "Foibe - Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica" (Kappa Vu edizioni), svoltosi il 9.1.08 a Sesto San Giovanni. La richiesta è stata fatta per svolgere la presentazione il prossimo 5 febbraio.

Convinti che la battaglia contro il revisionismo storico sia patrimonio comune di tutte le forze antifasciste, in questi giorni abbiamo chiesto ed ottenuto da varie forze politiche e sociali la compartecipazione alla presentazione.

L’Assessora alla Cultura del Comune di Pisa, Silvia Panichi, a nome dell’Amministrazione Comunale, con lettera protocollata 1751/0111 ci comunica il diniego della sala scrivendoci che:

 “ ...Si tratta di un argomento particolarmente doloroso e ancora in via di elaborazione storiografica per cui un analisi troppo netta e orientata rischierebbe di offendere la sensibilità di alcuni, soprattutto in prossimità della data del 10 febbraio, scelta in modo ufficiale come giorno del ricordo”. l’Assessora parla evidentemente della Giornata della memoria istituita con legge n. 92 del 30.4.04. Se, come dice l’Amministrazione, l’argomento foibe è ancora in via di elaborazione storiografica, perché è stata promulgata una legge che ricorda quella tragedia? Qual è l’approfondimento storiografico lecito che ha indotto il Parlamento a promulgarla?

Ci auspichiamo che tutta la Pisa democratica ed antifascista colga la gravità della negazione di uno spazio pubblico per la presentazione degli atti di un convegno al quale hanno aderito storici del calibro di Angelo del Boca, Mario Coglitore, Sandi Volk, scienziati come Margherita Hack, partigiani come Miriam Pellegrini Ferri ed Ezio Scavazzini, insieme a decine di altri esponenti del mondo della politica e della cultura italiana e istriana. Il lungo elenco delle  adesioni al convegno di cui presenteremo gli atti si può leggere a pag. 19 del testo stesso.

La presentazione degli atti del convegno sulle foibe cade, tra l’altro, in un momento particolare della vita politica della città e della provincia di Pisa, caratterizzata dalla ripresa dello squadrismo di destra e dal tentativo fascista di infiltrazione sociale e culturale.

Di questi pericolosi tentativi di rilegittimazione del fascismo annoveriamo la presentazione nel luglio scorso del libro sui “ragazzi di Salò” nella sala consiliare di San Giuliano terme, quando l’amministrazione di centro sinistra della cittadina termale non si fece scrupoli a cedere una sala dedicata al Partigiano Uliano Martini per presentare un libro apologetico di quella repubblica sociale formata da massacratori che del 1943 - 45 insanguinarono la Toscana fianco a fianco con gli occupanti nazisti. I fatti parlano chiaro: anche le amministrazioni di centro sinistra censurano i libri della sinistra e si concedono spazi pubblici, piazze e strade all’estremismo di destra. È questa la democrazia proposta dagli amministratori del PD?


Chiediamo all’Assessore alla Cultura, alla Giunta ed al Sindaco del Comune di Pisa un repentino passo indietro, con la concessione della sala per la presentazione del libro, a garanzia di un elementare diritto di espressione, garantito dalla Costituzione italiana.

In attesa di una conferma della sala convochiamo un INCONTRO PUBBLICO DI TUTTE LE FORZE DEMOCRATICHE ED ANTIFASCISTE per condividere questa che si configura come una battaglia antifascista e di libertà, da intraprendere con la massima determinazione.




MEDAGLIA PRESIDENZIALE PER VIOLAZIONE DI DIRITTI UMANI

 

Il narco-paramilitare presidente della Colombia, Álvaro Uribe Vélez, riceverà la "medaglia presidenziale della libertà" dalle mani del più grande violatore di diritti umani del mondo, George W. Bush.

Disonorevole per chi la offre e per chi la riceve: ricordiamo ad esempio che Al Gore, ex vicepresidente di Bill Clinton (creatore del Plan Colombia),  defraudato della vittoria elettorale da Bush stesso, nel 2007 si è rifiutato di sedersi a fianco di Uribe per via dei suoi rapporti con i paramilitari. Anche Uribe è stato eletto per mezzo di frodi, corruzione e violenze; Bush ha assassinato più di un milione di iracheni; Uribe ha assassinato 13.650 civili colombiani. Si abbracciano reciprocamente per festeggiare il nefasto Plan Colombia (anche se sarà rivisto, secondo quanto ha affermato il futuro presidente Barack Obama, perché il Congresso statunitense non approverà il Trattato di Libero Commercio).

Ci sono omaggi che fanno vergognare chi li riceve, se questi ha un minimo di dignità morale. Evidentemente questo non è il caso del presidente Uribe.


(fonte: NuevaColombia@ yahoogroups.com)


(Ricordiamo che anche CNJ-onlus ha aderito alla Assemblea nazionale contro la guerra e
la NATO che si terrà a Roma sabato: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-
mailinglist/message/6265 )


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IL PATTO PERMANENTE CONTRO LA GUERRA PROMUOVE

UNA ASSEMBLEA NAZIONALE CONTRO LA GUERRA

sabato 17 gennaio dalle ore 10 alle ore 14
a Roma presso il Nuovo Cinema Aquila,
Via Aquila n.68- quartiere Pigneto ( tram da Termini nn. 5 e 14)

I punti all'odg sono due:
-La mobilitazione per la Palestina. Fermare il massacro a Gaza e
sostenere una campagna di iniziative per i diritti del popolo
palestinese.
-La campagna europea per il disarmo e lo scioglimento della NATO.
Mobilitazione a Strasburgo il 4 aprile secondo l'appello di Stoccarda
del social forum europeo ( in allegato).
L'assemblea si chiuderà in tempo per facilitare la partecipazione alla
manifestazione per la Palestina che avrà inizio alle 15,30 da piazza
Vittorio.

vedi anche: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/DISARMIAMOLI.htm#patto09


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vedi anche: http://www.forumpalestina.org/

Sabato 17 gennaio riempiamo Roma di gente, di kefje e bandiere palestinesi

Basta con il massacro dei palestinesi a Gaza

Basta con l'impunità del terrorismo di stato israeliano

Rompere ogni complicità politica, militare, economica tra lo stato italiano e Israele

Le bombe uccidono le persone, l'informazione manipolata uccide le coscienze


Il corteo del 17 si concluderà a Porta San Paolo

Il corteo di sabato 17 gennaio per la Palestina si concluderà a Porta San Paolo, luogo
simbolo della Resistenza

partenza: Piazza Vittorio ore 15.30 (vicino la Stazione Termini)
percorso: via dello Statuto, via Merulana, Santa Maria Maggiore, via Cavour, via dei Fori
Imperiali, Colosseo, via S. Gregorio, Circo Massimo, viale Aventino, Porta S. Paolo (comizio
conclusivo)

Indicazioni utili:
A Porta S. Paolo c'è la fermata della metro B (Piramide) che porta ai parcheggi pullman
Ponte Mammolo (per chi viene da Nord/Est) e/o Laurentina (per chi viene dalla dorsale
tirrenica). A Termini c'è lo scambio con la metro A che porta al parcheggio pullman di
Anagnina (per chi viene da Sud).
Nei pressi di Porta San Paolo c'è anche la stazione delle FS Roma Ostiense.

PULLMAN per la Manifestazione Nazionale a Roma

BARI
Pullman - Info: 347.3311319

BOLOGNA
partenza da bologna ore 9 autostazione Bologna
3409892393
comitato palestina bologna

BRESCIA
pullman che partirà sabato mattina alle ore 9 dal piazzale dell'iveco (via volturno) d
per prenotazioni 03045670 - radio onda d'urto

BRINDISI
Per favorire la partecipazione il Comitato organizza un pullman che parte alle ore 5,00 del
17 gennaio dal piazzale del tribunale di Brindisi.
Per le prenotazioni del pullman si può chiamare : 368 582406 , 329 1184097 , 360
884040.
Comitato provinciale di solidarietà con il popolo Palestinese di Brindisi

FIRENZE
PULMANN da Firenze con partenza ore 9.00 Mercato di Novoli - ore
9.30 Saschall - per prenotazioni 0556580479

LECCE
339.5670015 - 339.8277593

MASSA CARRARA
Il costo del viaggio è di 10 euro. La partenza è fissata per sabato alle ore 08.00 (ritrovo
07.30) in largo Matteotti a Massa (ex piazza delle corriere). Ci raccomandiamo la
puntualità.
presidio permanente per la Palestina (Massa Carrara)
giona_p@...

MILANO
pullman.
Partenza ore 6.30 stazione Garibaldi
3477851682 - francesco

PADOVA
Pullman organizzati dal PdCI di Padova
Partenza alle 7, piazzale Stazione
Costo del biglietto di andata e ritorno: 20 euro
Per info: contattare il 335-1990945

PALERMO
palermo@...

PARMA
3318885966
Vedi Volantino

PISA
Telefonare a 050500442 o 3296947952

PISTOIA
Info e prenotazioni: 333/9110255
Francesco Coordinamento Pistoiese per la Palestina

VERONA
pulman
partenza piazzale stadio
tel 3290762402

VIAREGGIO
Partirà un autobus per la manifestazione del 17 a Roma,
con partenza ore 9,30 davanti alla stazione vecchia (15-20 euro)
per informazioni telefonare al n° 3286770937

VICENZA
La Cub di Vicenza organizza uno o più pullman per la manifestazione del 17 gennaio a
Roma indetta dal Forum Palestina.
Partenza verso le 7 , zona ancora da decidere.
Costo del biglietto di andata e ritorno: 30 euro
Per info: contattare il 333-4465346


Carnevale a Vevcani - Macedonia


Gli abitanti del villaggio festeggiano un rituale pagano, vecchio ormai di 1300 anni, nel villaggio di Vevcani, a 170 km dalla capitale macedone, nella giornata del 13 gennaio - festa del San Vasilij ("San Silvestro" del calendario ortodosso).

Alcune foto dell'ultimo Carnevale di Vevcani:
http://www.politika.rs/rubrike/exyu/Vevchanske-izmotancije.lt.html
La prima foto delle maschere, in questo collegamento, rappresenta gli effetti della crisi del gas metano.

Per il carnevale 2006 gli abitanti del villaggio avevano inscenato una mascherata piuttosto macabra, con le proprie teste sui piatti...:
http://www.nypost.com/news/2006photos/photo23.htm

Ogni edizione del carnevale è incentrata sulla satira politica, in cui i paesani recitano i ruoli e le situazioni del mondo odierno.

(a cura di Dk)


Vevčanske izmotancije


Na dan Svetog Vasilija u glavnoj ulici „države”, Vevčani izvrgavaju podsmehu političare, javne ličnosti, sveštenike, bankare, i sve događaje koji su obeležili prethodnu godinu


Skoplje – Vevčanski karneval koji se svake godine održava na verski praznik Vasilica, 13. januara, je kulturni i društveni događaj. Reč je o manifestaciji koja je nadrasla granice Makedonije, jednom od fenomena Vevčana, legendarnog sela, opštine, i samoproklamovane „države” sa jugozapada Makedonije.
Ako je verovati Vevčancima, to je najstariji karneval u Evropi, sa tradicijom dugom 14. vekova, jedinstvena manifestacija kojom su Vevčanci kroz vreme prkosili imperijama, silama i vlastima. Zahvaljujući čuvenim vevčanskim zidarima, trgovcima i učenjacima, magičnom niti vezanih za zavičaj, ovo živopisno selo u podnožju šumovite Jablanice uvek je bilo u žiži globalnih događanja. Vevčani će se pročuti uoči raspada Jugoslavije, kad su ne slažući se preuređenjem sveta, proglasili autonomiju potvrdivši je sopstvenim pasošem i valutom. Svet sa strane je to tumačio kao svojevrsno ismejavanje globalnih društveno-političkih promena, pa je po toj inerciji i vlast u Makedoniji tretirala „vevčanske izmotancije”.
A Vevčanci su takvo poimanje njihove egzistencije razumno koristili izborivši status opštine i autonomiju kojom se ne može pohvaliti nijedno slično naselje. Kad su poslednje komunističke vlasti u Makedoniji, krajem osamdesetih godina minulog veka pokušale da čuvene vevčanske izvore kanališu u regionalni vodovod, suočili su se sa neviđenim otporom i vevčanskom „revolucijom za vodu”. O tim događajima izveštavali su i strani mediji, a slučaj je okončan pobedom Vevčana, koji su sačuvali izvore, pretvorivši ih u turističku atrakciju.
U svetu su se pročuli i po karnevalu koji je uobličen krajem minulog veka, u vreme kad su Vevčanci na dan Svetog Vasilija, zaštitnika sela, maskama i paganskim igrarijama počeli da ismejavaju makedonsku ali i globalnu stvarnost.
Poslednjih desetak godina, vevčanski karneval je apsolutno najposećenija manifestacija u Makedoniji, događaj koji se posle mesecima prepričava i reprodukuje filmskim i fotografskim zapisima.
Na strmoj, glavnoj vevčanskoj ulici, koja se proteže dužinom vevčanske „države” podsmehu se izvrgavaju makedonski i svetski, političari, javne ličnosti, sveštenici, bankari, mafijaši i svi događaji koji su obeležili prethodnu godinu.
Vevčanske maske su autentične i nastaju tokom godine, u strogoj tajnosti, a tako se uvežbavaju i grupni nastupi, pa su karnevalski akteri iznenađenje i za ostale učesnike.U karneval su uključeni svi meštani a samo maske zeta i neveste, glupog Avgusta i muzičara ostaju nepromenjeni, dok je sve ostalo je prepušteno mašti. Karakteristično je da na karnevalu ne učestvuju, barem ne javno, žene, a po završetku karnevalske promenade, sve maske se spaljuju, kad i počinje priprema za sledeći karneval. Upravo zato, vevčanski karneval je punopravni član svetske asocijacije karnevala FECC i jedan od retkih kojem prisustvuju gosti iz pedesetak zemalja sveta.
Ovogodišnji karneval je započeo juče svečanim otvaranjem u centru sela a danas je održana glavna manifestacija, na kojoj nije izostala ni „bagdadska cipela”, kojom su Vevčanci Džordža Buša ispratili na „smetlište istorije”.

Mile Radenković
[objavljeno: 14/01/2009]


"INSOSPETTABILE" APPOGGIO ALLA RESISTENZA ARMATA PALESTINESE


IL DISCORSO DI BETTINO CRAXI ALLA CAMERA, 6 NOVEMBRE 1985:
(Il video è flashvideo ma si apre anche con Realplayer)




Che D'Alema, sulla Palestina si stia dando una tinteggiata veloce, una "romanella", come dicono a Roma, può anche far piacere. In fondo, che gli costa? Tutti a dire bene di Israele, hai visto mai che così facendo riprende quota a sinistra grazie a questa ennesima tragedia? Ma vedere come si ostini a non fare un passo indietro sullo scempio del Kosovo e di quel che restava dell'allora Jugoslavia, è insopportabile. "Ci sono state migliaia di vittime anche kosovare, nel 99 e i bombardamenti servirono a fermare una strage" dice imperterrito D'Alema.Chissà a quali stragi si riferisce, forse a quella di Racak, fasulla fin dall'inizio. O a quella di tanti serbi fatti sparire nel nulla già nel 98, un anno prima delle bombe Nato, dalle milizie Uck. Anzi, non nel nulla... molti finirono a Lapusnik, come carne da macello per espianti di organi per finanziare la mafia e la guerriglia albanese. O a quella successiva, dovuta all'uranio impoverito usato in quei bombardamenti tanto utili che ha provocato, e ancora provoca, malattie terribili del sangue e tumori vari.Dimentica, il nostro, che il Kosovo era (è) Serbia e, quindi, era Jugoslavia. E gli albanesi, sotto la spinta USA, mai dimenticarlo!... volevano separarsi da uno stato sovrano. Che c'entra la Palestina?Quando si parla con le donne profughe di quella guerra, vedove col loro dolore mai attenuato, con le loro speranze violentate, verrebbe voglia di portarcelo, il signor D'Alema, a raccontare che si, quelle bombe servivano. Forse, servivano soltanto perchè a fare i conti con gli USA, all'epoca, c'era lui.E no, signor D'Alema, così è troppo facile, stavolta non possiamo berla. Anche nel 2003 sfilaste contro l'aggressione finale all'Iraq, ricorda? Eravamo 3 milioni di persone ma poi si è visto come è andata. Basta, anche con queste "romanelle".

Alessandro Di Meo





GIORNATA DELLA MEMORIA: 
IL RASTRELLAMENTO DI BORŠT.


La foto “ufficiale” della “banda Collotti” (la trovate anche nella nostra galleria fotografica), cioè quella sorta di “squadrone della morte” guidato dal vice dirigente dell’Ispettorato speciale di PS, il commissario Gaetano Collotti, è stata scattata nel gennaio 1945 nel paesino di Moccò, presso il villaggio di Boršt (S. Antonio in Bosco), in occasione di una serie di sanguinosi rastrellamenti che provocarono quattro morti, diversi feriti ed una trentina di arrestati.
In occasione della Giornata della Memoria 2009 vogliamo ricordare la storia di questo crimine di guerra, basandoci in parte su rapporti di polizia, in parte sui racconti dei protagonisti. Iniziamo con un rapporto dell’Ispettorato Speciale, datato 15/1/45. 
< Si deve alla tenacia ed allo spirito di sacrificio senza limiti del V. Commissario dott. Gaetano Collotti, dirigente la Squadra Speciale di questo Ispettorato che, proseguendo egli solo con la collaborazione degli agenti componenti la Squadra Speciale, l’importante servizio riportava il successo più completo.
Dopo il più scrupoloso rastrellamento del terreno intorno alla località di S. Dorligo della Valle - Bagnoli - Moccò e S. Antonio in Bosco, nel corso della quale venivano fermate altre 10 persone responsabili di attività partigiana e favoreggiatrice a questi, venivano individuati i bunkers, che possiamo senz’altro classificare capolavori di abilità, sia per la concezione di costruzione, sia, soprattutto per la mimetizzazione, che li nasconde all’occhio più indagatore anche quando vi si è dinanzi.
In un primo bunker venivano rinvenuti armi e munizioni in abbondanza, in un secondo un considerevole quantitativo di uniformi militari ed oggetti vari di vestiario, nel terzo la sede del comando del VDV per la cosiddetta Istria Slovena.
All’ingresso di quest’ultimo bunker si accendeva un vivacissimo quanto breve conflitto nel corso del quale sono stati uccisi:
il bandito comunista Žitomir non ancora generalizzato, membro del distretto del VDV per l’Istria Slovena;
il bandito comunista Gruden Carlo - Stanko, ispettore del supremo comando partigiano presso il VDV per l’Istria;
il bandito comunista Mikau Vipavec capo del servizio informativo del VDV;
e venivano feriti e catturati.
Il bandito comunista Pettirosso Danilo - membro del comando VDV alle dipendenze dello Žitomir.
Il bandito comunista Rapotec Romano, componente la Ceta operaia.
Dall’interno del bunker veniva recuperato al completo una stazione radio trasmittente e ricevente con i relativi cifrari (...) altresì materiale di archivio (...) la cassa del VDV con un fondo di lire 214.000 nonché i documenti di molte persone aggredite, rapinate od uccise fra le quali diversi appartenenti alle forze armate ed alla polizia (...) >.
I nomi degli uccisi erano: Ivan Grzetic (Žitomir), nato nel 1922 a Podgorje (Piedimonte del Taiano), che era stato incaricato dalla VDV (Vojska Državna Varnosti - Esercito per la difesa dello stato, n.d.a.) di organizzare i collegamenti radio; Stanko Gruden (Carlo), nato a Šempolaj (San Pelagio, nel comune di Duino Aurisina) nel 1926 e Dušan Munih (Vojko, ma si trova anche come Darko), nato a Sela pri Volčah (Sella di Volce) nel 1924, il comandante dell’Ozna nella zona di Trieste; a questi bisogna aggiungere Danilo Petaros (Lisjak), nato a Boršt nel 1924, catturato dopo essere stato gravemente ferito, che risulta ucciso in Risiera il 5/4/45. 

Sentiamo ora il racconto di Jordan Zahar allora sedicenne. 
< A quei tempi, quando la guerra volgeva ormai alla fine, Boršt (S. Antonio in Bosco) si trovava in una posizione particolare tra Trieste e il cosiddetto Banditen Gebiet (termine usato dai nazisti che significa letteralmente territorio dei banditi, cioè dei partigiani, n.d.a.): il paese fungeva da prima base per gli attivisti provenienti dalla città e da punto di partenza per le unità partigiane nelle loro operazioni in città. Qui i combattenti trovavano ristoro e riposo, e dovevano nascondere tempestivamente durante la notte il bottino nei bunker a tale scopo predisposti dagli attivisti del paese.
Il dottor Collotti, collaborazionista al servizio della Gestapo nonché commissario del famigerato Ispettorato Speciale tentò più volte di penetrare in questa zona del territorio, ma invano. L’8 gennaio 1945, il commissario, seguendo le tracce di un partigiano ferito, che i suoi compagni dopo una fulminea azione presso San Sabba erano riusciti a trarre in salvo, giunse al mio paese. Arrestò mio padre che si stava recando al lavoro e il figlio dell’oste Petaros, Danilo, e li condusse a Trieste dove li avrebbe torturati. I suoi scagnozzi per l’intero giorno terrorizzarono i paesani e perquisirono tutte le case; appena alla sera se ne andarono, a mani vuote.
Il mattino del 10 gennaio 1945 era ancora buio e la squadra di Vojko era appena tornata dall’ultima azione, quando i Tedeschi iniziarono a circondare il paese da tutte le parti. Era necessario pertanto far uscire al più presto dal paese la posta e un pacco di documenti importanti. Al corriere Zmaga riuscì per un pelo di sgusciare dal cerchio che inesorabilmente si stava stringendo. Subito dopo entrarono in paese gli agenti del Collotti e in quel momento iniziò per me e per i miei compaesani il giorno più lungo.
La mattina era fredda, la neve ghiacciata scricchiolava sotto i piedi, il cielo era plumbeo. Mi svegliai presto quel mattino perché mia madre si doveva preparare per fare visita nelle carceri triestine a mio padre: mancava già da due giorni. Tutto era ghiacciato e mentre stavo per andare allo stagno per prendere dell’acqua nel nostro cortile fece irruzione un gruppo di uomini in borghese armati fino ai denti. Dietro di loro vidi arrivare un uomo giovane, elegante, ben vestito, con una lunga pistola in mano; i suoi capelli erano accuratamente pettinati, composti, lucidi di brillantina: era il dottor Collotti.
Già da alcuni giorni mi stava appresso facendomi un monte di domande, ora invece mi afferrò deciso per il petto trascinandomi quasi in cantina: “Dove sono i bunker? Dove sono i partigiani?” Non sentii altro dato che i suoi agenti erano alquanto impazienti e mi riempivano di manganellate. Rinvenni sentendo la neve che mi veniva strofinata in faccia: avevo perso tre denti e il sangue che mi scorreva dalla bocca scioglieva la neve bianca.
Mi portarono all’osteria di Petaros. Durante il tragitto mi accorsi che i Tedeschi avevano cinto d’assedio il paese. Ero terrorizzato; sapevo quanto i fascisti italiani sanno essere dei veri eroi quando sono ben protetti. Nel frattempo nell’osteria veniva ammassata anche altra gente da tutto il paese. Mi condussero in una stanza al primo piano proprio sopra il banco della mescita.
“Non riuscirai a nascondere nulla a questo apparecchio” mi dissero indicandomi uno strano congegno simile ad una macchina da scrivere. Sopra un tavolo infatti c’era una macchina laccata di rosso piena di tasti luminosi e di resistenze elettriche che in cima aveva sette lampadine, ciascuna di diversa forma e di diverso colore: era l’atroce macchina per la tortura con la corrente elettrica. Da essa uscivano due cavi: il primo era collegato a due catenine d’acciaio che terminavano con due morsetti, l’altro invece penzolava libero nell’aria. Mi legarono ad una sedia e la rovesciarono a terra, poi il dottore in persona iniziò a premere leggermente il cavo libero sulle mie dita, sulle mie unghie e sul mio viso. Percorso da terribili scosse elettriche vidi accendersi la prima, la seconda e la terza lampadina, poi il buio. Mi fecero rinvenire con uno straccio inzuppato d’acqua e cominciarono: “Dove sono i bunker? Dove sono i bunker?” L’insistente domanda echeggiava tra le fiammate della corrente elettrica. Tutto durò 45 minuti, facendo fede all’orologio che si trovava accanto a quel terribile marchingegno. La disumana tortura suscitò in me una sempre maggiore ribellione: queste cose sanno mettere nel sangue una avversione cieca ed istintiva: non volli rispondere più in italiano. Ma quasi subito mi pentii: temevo infatti che così sarebbero stati ancora più crudeli. Il dottor Collotti era un uomo molto garbato, possedeva un linguaggio forbito ed eccezionali doti di pazienza. Dopo ogni tortura si aggiustava con cura il vestito e la cravatta, si sistemava il fazzoletto da tasca sulla scura giacca di moderna fattura e infine si puliva le gocce di sangue sulle scarpe laccate. La mia inaspettata resistenza non lo meravigliò affatto, chiamò un giovane ufficiale della Bela Garda (“Guardia bianca”, corpo collaborazionista sloveno, n.d.a.) e gli ordinò di tradurre. L’ufficiale si chiamava Milan e proveniva da Klanec presso Kozina. Mi si avvicinò quasi irritato per il compito che gli avevano affidato; evidentemente si vergognava di parlare in sloveno davanti a Collotti, dato che di tanto in tanto mi colpiva rabbiosamente in viso con lo straccio bagnato. All’improvviso mi venne in mente che nel muro sotto la ferrovia c’era una piccola breccia dove nel settembre del 1943 avevamo nascosti alcuni fucili italiani, di cui però i partigiani non avevano mai potuto impossessarsi. “Se dirò questo” pensai “mi lasceranno in pace per un po’ e forse finirà questo inferno”. Così speravo in silenzio e mentre poi marciavamo verso quel luogo riuscii a riprendere un po’ di forza. Ma dato che quel posto non era il bunker che cercavano, mi bastonarono di nuovo finché non persi i sensi. Troppo breve la pausa per la fatica sopportata. Mi condussero di nuovo davanti a quella macchina che durante la mia assenza era servita a torturare altri miei compaesani: Pepi Piconov, Romano Rapotec e Lojze Kenda. Dovetti attendere il mio turno, stavano ancora torturando Venče Jurčkov. Così vidi come si svolgeva tutto, Collotti faceva scorrere in modo elegante e del tutto disinvolto quel cavo libero sul corpo delle sue vittime. Ad ogni tocco la corrente elettrica lasciava sulla pelle un’ustione che veniva di tanto in tanto inumidita con uno straccio bagnato. Questa operazione serviva contemporaneamente a cancellare le bruciature e a far rinvenire la povera vittima. Il sangue scorreva dal naso e dalla bocca, mentre quelle dannate lampadine indicavano l’intensità della tensione. Giunse il mio turno, ma durò poco: memore dell’esperienza precedente colsi l’attimo giusto e parlai di un altro bunker che sapevo vuoto. Così mi trascinarono fino al castello di Moccò al cui ingresso io e Giuseppina fummo collocati come ostaggi: il bunker era davvero vuoto. Per la terza volta mi ritrovai davanti alla macchina elettrica. Il pavimento era ormai tutto sporco di sangue e l’aria era satura del puzzo di carne bruciata, di capelli e di unghie carbonizzati. “Come potrà mai finire tutto ciò?” pensai. Io e Collotti ci scambiammo una fugace e fredda occhiata. Al mattino aveva avuto di fronte a sé un ragazzo di appena sedici anni, ora invece un uomo. Collotti inizia con la sua terza inesorabile missione. Ad un tratto dal centro del paese si sente scoppiare un tuono che riempie la valle, raffiche, colpi sordi ingranditi dall’eco: la battaglia! Il suo scoppio era per me come una liberazione da quell’inferno; riconobbi la raffica della mitragliatrice russa di Vojko, tutti la conoscevamo. Non poteva essere diversamente. Era la battaglia, i nostri erano scesi in azione - finalmente la vendetta contro la masnada dei fascisti. Le raffiche sembravano non finire mai, ma il silenzio che le seguì fu ancora più lungo. Poi due colpi sordi da uno Scharz tedesco: la tragedia era compiuta. Avevano scoperto i bunker che cercavano. Morirono due compagni e Vojko cadde più in là, raggiunto da una pallottola in un campo sotto il paese.
Collotti non perse la sua flemmatica calma e la compostezza: continuò la sua opera di persuasione. Poi qualcuno arrivò: “Li abbiamo scovati, abbiamo subito quattro perdite, ne abbiamo uccisi tre e feriti due”. A quel punto Collotti premette fino in fondo il tasto di quella micidiale macchina e la settima lampadina si accese, quella alla fine della fila, alla fine dell’umana sopportazione e ad un passo dall’eternità. Quando ripresi conoscenza vidi chino su di me l’ufficiale della Bela Garda. Probabilmente desiderava contribuire anche lui alla vittoria: teneva in mano quel cavo sciolto e lo premeva sulle mie dita. Dietro a lui sento Collotti che lo ammonisce di non causare un cortocircuito se non vuole avere un’altra vittima sulla coscienza. L’ufficiale incurante si abbassava ancora di più e vedevo penzolare su di me la croce d’oro sulla catenina che teneva appesa al collo. Subito dopo trascinarono dentro Danilo Petaros, che era ferito ad una guancia da una scheggia di bomba a mano e aveva il ventre crivellato dalle pallottole. Accanto a lui c’era anche Romano colpito ad una spalla e ad un braccio in più punti. Gli strapparono la manica della camicia ed un fiume di sangue si riversò per terra. Tončka tagliò un lenzuolo e lo fasciarono; il giorno dopo il sangue attraverso il soffitto gocciolò sul banco dell’oste. Alla sera presero me e altri diciassette e ci fecero salire su un camion per portarci in via Giulia (la sede dell’Ispettorato a Trieste si trovava in via Cologna, nei pressi di via Giulia).
Nel lungo corridoio della caserma di Collotti ci contarono e ci divisero; in mezzo giaceva Romano delirante di febbre, sulla sedia accanto a lui stava Danilo piegato in due per la ferita al ventre, attorno a loro sedici tra ragazze, donne e vecchi che fissavano in silenzio il vuoto accanto a sé. Ognuno pensava al proprio calvario attendendo la prossima stazione. Non ne avremmo mai più parlato.
Da lì ci trasferirono in varie prigioni triestine. Ero minorenne, perciò finii al Coroneo. Mi gettarono in una piccola cella in cui si trovavano già sette ragazzi: erano stati arrestati durante l’offensiva di Natale al IX Korpus. Due bambini dei Novak sopra Cerkno, Ivan e Konrad; gli altri invece minorenni della brigata Gregorčič. Il loro comandante era rinchiuso già da alcuni mesi nei sotterranei di piazza Oberdan. Aveva tutte le membra spezzate e perciò lo trasferirono al Coroneo. Giaceva come un mucchio di carne sulla paglia nella cella numero 100. Il nostro denominatore comune era solo la sofferenza; la barbarie fascista piegò i nostri corpi ma non spezzò la nostra fede nella vittoria e in un mondo libero. Gloria ai caduti. Quelli invece che sono sopravvissuti testimonino ai giovani come era la lotta contro il fascismo affinché non ritorni >.
Zahar raccontò poi che l’ufficiale della Bela Garda fu processato, in Jugoslavia, dopo la fine della guerra. < Mi avevano chiamato a testimoniare, c’era sua madre che piangeva perché lo volevano condannare a morte. Mi chiesero se lo riconoscessi, ed io dissi di no, perché volevo chiudere con quella storia >.
Ed ancora: < Nel dicembre del 1945 dovevo richiedere la carta d’identità. Mi dissero che l’ufficio che le rilasciava era situato in via Cologna, nell’ex sede dell’Ispettorato. Quando arrivai lì dentro e vidi che l’ufficio per le carte d’identità era stato sistemato proprio in una delle stanze in cui si torturava e che l’appendiabiti a cui era stato legato un mio compagno per essere torturato era nello stesso posto in cui si trovava otto mesi prima, mi sentii male, ero quasi deciso ad andarmene e rinunciare a richiedere i documenti. Vidi anche che due degli agenti di Collotti erano rimasti a lavorare lì, li avevano adibiti al servizio carte d’identità. Anche loro mi riconobbero, ma non ci dicemmo nulla >.

Ci fu un altro strascico di questa vicenda. Tra il 1949 ed il 1950 alcuni partigiani furono processati per avere “infoibato” nel Pozzo della miniera di Basovizza (oggi noto come “foiba” di Basovizza, monumento nazionale) un poliziotto dell’Ispettorato, Mario Fabian. Leggiamo cosa scrisse “l’Unità” del 28/6/50 di questo processo.
< Daniele Pettirosso (omonimo del Pettirosso ucciso in Risiera, n.d.a.) ha raccontato come l’8 gennaio del 1945 in seguito ad un rastrellamento effettuato dai nazisti e da agenti della Collotti a S. Antonio Moccò, egli venne arrestato e condotto all’Ispettorato di via Cologna. Quivi fu interrogato saltuariamente per ben diciassette giorni e fra i suoi aguzzini il Fabian fu quello la cui fisionomia gli restò impressa. Infatti fu proprio il Fabian che lo legò alla famosa “sedia elettrica” durante “l’interrogatorio” all’osteria di Moccò. Nei primi giorni del maggio 1945 il Pettirosso venne mobilitato dal Comitato clandestino del Fronte popolare e aggregato al IV Korpus, IV Armata, 26^ Divisione Dalmata (...) avvertì il capitano dell’esercito jugoslavo, Jelas, il quale (...) gli comunicò che il Fabian con altri agenti della Collotti era stato condannato a morte da un tribunale partigiano perché colpevole di numerosi rastrellamenti e deportazioni di antifascisti in Germania. Il capitano gli ordinò pertanto di procedere all’arresto e all’esecuzione della sentenza nei confronti del Fabian >. 
< L’imputata Hrvatič ha detto: “Avevo notato il Fabian fra gli agenti che parteciparono al rastrellamento del 10 gennaio 1945 nel paese di Moccò”, fatto confermato indirettamente dalle dichiarazioni della teste Vittoria Zerial, vicina di casa della famiglia Fabian: “Conoscevo il Fabian. Un giorno (...) mi disse di avere partecipato a un rastrellamento in quel di Moccò e se avesse comandato lui, avrebbe fatto arrestare anche il parroco del paese che aveva suonato le campane per dare l’allarme agli abitanti”. (...) Nel secondo rastrellamento i delinquenti di Collotti volevano arrestare 45 persone e il parroco intervenne presso l’ufficiale tedesco il quale dichiarò che per quella volta bastavano soltanto cinque arrestati.
Nel frattempo quelli della Collotti si erano dati alla più completa razzia (...) nelle povere case dei contadini, uno dei quali ricorse al prete: “Mi hanno portato via persino l’ultimo pezzettino di lardo che avevo in casa”. Il parroco intervenne anche questa volta e il lardo venne restituito da un agente che per la rabbia gridò ai “camerati”: “Spareghe un colpo a quel porco de prete!” >.
Questa la deposizione del parroco don Francesco Malalan: < Il parroco si trovava all’osteria di Pettirosso quando esse cominciarono a suonare e i banditi fascisti gridarono di uccidere il prete che dava l’allarme, al che lo stesso don Malalan corse al campanile e trovò l’ispettore della Collotti attaccato alla fune delle campane. Si voleva far uscire tutti i paesani dalle case, per meglio scegliere la preda. Infatti poco dopo i “collottiani” sparavano addosso alla popolazione, “come alle lepri”, ha detto don Malalan >. Don Malalan descrisse anche la stanza sopra l’osteria, dove i “collottiani” avevano sistemato gli strumenti di tortura, tra cui la “sedia elettrica”. < “Quando torturavano Danilo Pettirosso, sua madre ed io piangevamo insieme” è detto nel verbale di don Malalan “poi ho visto la stanza, (molte persone erano state torturate e bastonate) tutta insanguinata sulle pareti ed una larga chiazza di sangue sul pavimento...” >.

Zahar racconta infine che sua madre andò il 10 gennaio 1945 al comando SS in piazza Oberdan a cercare il marito arrestato due giorni prima. Nel cortile vide la sua bicicletta: allora la donna si rivolse ad un ufficiale che stava passando e che seppe poi trattarsi di Dietrich Allers (il comandante del lager della Risiera di San Sabba): < questa è la bicicletta di mio marito > gli disse < e allora dov’è mio marito? >. < Signora > le rispose il comandante delle SS < io non so dove sia suo marito, però se la bicicletta è la sua, se la riporti pure a casa >. 
Nel 1958 Zahar, che si trovava ad Amburgo per motivi di lavoro, ebbe modo di incontrare Allers che gli disse che si ricordava di sua madre. Allers e Zahar parlarono anche di Collotti e Allers disse: < Mi ricordo. Era il nostro più crudele (usò la parola schlimmste) collaboratore >.
Quando negli anni ‘70 Allers seppe che stava per iniziare il processo per i crimini della Risiera, si mise in contatto con Zahar, per chiedergli se la madre sarebbe stata disposta a venire a testimoniare in suo favore, dato che le aveva restituito la bicicletta del marito arrestato.

Gennaio 2009


(english / italiano)

IL GIOCO DELLE TRE CARTE DELLA DIPLOMAZIA

1) «EULEX», IL GIOCO DELLE TRE CARTE DELLA DIPLOMAZIA (E. Remondino)
2) MITROVICA Settimana di fuoco. Violenti scontri dopo due attentati albanesi (T. Di Francesco)
3) E intanto... Demolita un'altra chiesa serba 
4) KOSOVO 2009... UPDATES:
"Kosovo situation very alarming" / KM calm, Serbs accuse Albanians / Kosovska Mitrovica: Albanians assault Serbs / Punish perpetrators, asks Ivanovic / Albanian stabbers freed, Kosovo Serb house attacked / Two Serbs beaten in Kosovska Mitrovica / Tadic calls on UN, EU to protect Kosovo Serbs /DSS: Kosovo Serbs without protection / 

Fears of violence mar Kosovo Serbs' Orthodox Christmas / Germany reconfirms support for Republic of Kosovo / NATO Warns Kosovo Violence Could Spread 


=== 1 ===

Il Manifesto, 6.01.2009


APERTURA   |   di Ennio Remondino

«EULEX», IL GIOCO DELLE TRE CARTE DELLA DIPLOMAZIA

Ali Babà IN KOSOVO

È il caos. La missione Ue, voluta come braccio dell'Ico per garantire giustizia, polizia e dogane, diventa appalto Onu da contendere a Unmik. E la Kfor-Nato rispetta la Risoluzione Onu che nega l'«indipendenza»

C'è una maledizione kosovara del numero 3. Al primo posto c'è il Kosovo indipendente e albanese di Pristina, secondo, il Kosovo internazionale delle ricche missioni civili e delle munite caserme Nato e, al terzo posto il Kosovo delle enclavi e di Mitrovica nord che sognano un futuro in serbo. Per i tre Kosovo, ovviamente, tre diversi passaporti. Quello vecchio, jugoslavo, al momento considerato il migliore per viaggiare, quello dell'altro ieri con la sigla U.N.M.I.K. che vale quanto una nostra banconota di vecchie lire; tre, il nuovo e fiammante passaporto della «Repubblica del Kosovo» con cui, senza visto, puoi andare soltanto sino a Skopje o a Tirana. Il vero guaio arriva con i tre diversi codici penali in concorrenza tra loro e tutti applicati da qualcuna delle tre diverse magistrature. Il vecchio codice jugoslavo contro chi delinque a Mitrovica nord, quello nuovo e fiammante della Repubblica del Kosovo per i sospetti criminali oltre il fiume Ibar e quello Onu per i pochi che si sono fatti beccare dalla polizia in questi anni di colonia internazionale. Solo le galere sono unificate, ma con detenuti e secondini divisi accortamente per etnia. 

Resta solo la risoluzione 1244

Ora è cambiato tutto, ci dicono. Dal 9 dicembre, ad Unmik (Onu) è subentrata Eulex (Unione europea) ed il Kosovo fiorirà presto come un giardino a primavera. Se vai a grattare sotto la vernice delle ipocrisie internazionali, trovi sempre l'ormai maledetto 3 kosovaro. Il progetto pubblicizzato «urbi et orbi» ci prometteva, come premessa, una nuova risoluzione Onu a superare la vecchia 1244 della guerra, quella che insiste a raccontarci che il Kosovo è parte della Serbia. Al vertice politico del Kosovo immaginato da Stati Uniti ed Unione europea, una sorta di superman istituzionale chiamato «International Civilian Office» - Ai Si O, letto all'americana - col ruolo di garante per guidare l'azione della comunità internazionale in Kosovo da qui all'eternità. Meno Consiglio di Sicurezza Onu e quindi meno Russia era la furbata pensata a Bruxelles. Numero due, l'ormai «schierata» ma poco operativa Eulex, con i muscoli intorpiditi di 2000 magistrati, sbirri in divise e specializzazioni varie, doganieri e spie europei ed americani, ed un forziere di 220 milioni di euro solo per cominciare. Il braccio operativo di ICO, era l'intenzione. Tre, l'eterna garanzia di Kfor, i 16 mila militari della Nato e dintorni che, avendo visto giusto, in Kosovo si sono acquartierati in confortevoli villaggi per durare diversi decenni. La frittata comincia dalla premessa. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu non partorisce nessuna nuova risoluzione. La Russia e la Cina non digeriscono l'unilateralismo Usa di Bush sul Kosovo e nel mondo e, non soltanto bloccano tutto, ma insistono a ribadire il vincolo alla vecchia risoluzione 1244. Tutti sanno di partecipare ad una recita, ma tutti sono costretti in commedia. La risoluzione Onu che ha messo il cappello ai bombardamenti Nato del 1999, a Jugoslavia già spianata, nasce come pezza ad un buco e come tale continua a stonare. La premessa imposta allora dai russi ci dice del Kosovo come «territorio della Repubblica serba». «Semplice premessa», arriva a dire Marty Ahtisaari che prima convince Milosevic ad arrendersi per mantenere la sovranità sul Kosovo e poi paga la cambiale firmata dagli americani agli albanesi. Il finlandese ci guadagna un discutibile Nobel per la pace, l'Unione europea un arzigogolo giuridico su cui far esercitare contorte intelligenze. Gli Stati Uniti, seguiti da 20 paesi dell'Unione, tra cui l'Italia, decisi a riconoscere il Kosovo indipendente a qualsiasi costo, arrivano a sostenere che la loro decisione è coerente con la 1244. L'interpretazione del settimo comandamento da parte di Ali Babà e i suoi 40 soci.
Più sorprendente ancora la storia dell'International Civilian Office. L'«AiCiO» trova posto persino nella costituzione del nuovo Kosovo indipendente e vincola il nuovo Stato alla tutela di questa specie di «papa internazionale» di vaticana memoria. Non a caso, in questa trovata risulta ci sia lo zampino di un fine giurista italiano. Scrivono di uno Stato a sovranità controllata in cambio della promessa di una marea di riconoscimenti internazionali subito e della sua integrità territoriale garantita, territori a maggioranza di popolazione serba compresi. Più o meno come Totò quando cercava di vendere la Fontana di Trevi. Riconoscimenti fermi a 53 e integrità territoriale sempre irrealizzata. Anche l'ICO finisce male. Entrata in Conclave come futuro Papa, ne esce che non è manco prete. Nessuna nuova risoluzione e nessun nuovo garante internazionale per il Kosovo. Resta l'Onu e basta. ICO nel frattempo, dopo impegnativa lottizzazione internazionale, aveva assegnato all'Olanda il suo comando e spartito tra il resto del mondo i suoi ricchi incarichi di missione estera. L'ICO nasce lo stesso per volontà degli Stati Uniti, della Commissione europea, e di alcuni dei paesi che hanno riconosciuto l'indipendenza del Kosovo. Una sorta di libera associazione di tifosi simile ad una costosa Organizzazione umanitaria. Dai 20 ai 25 milioni di euro soltanto per partire, metà a carico della Commissione europea, il 25% degli Stati uniti ed il resto ai non europei. Al comando c'è l'olandese Peter Feith e, al momento, 380 suoi «inviati» sul campo. Manca soltanto di capire a cosa servono.
Eulex, pensata come braccio operativo dell'ICO per garantire i settori strategici di polizia, giustizia e dogane, finisce per diventare semplice sub appaltatrice del potere Onu da spartire a gomitate con Unmik. Una curiosità rilevata da pochi. Il «dispiegamento di Eulex» è deliberato dall'Unione europea soltanto due giorni prima della proclamazione unilaterale d'indipendenza del 17 febbraio 2008. Si scrive genericamente di Kosovo e gli Stati contrari (Spagna, Grecia, Romania, Cipro, Slovacchia, ecc.), che avrebbero dovuto votare contro ad indipendenza dichiarata, accettano di astenersi. Il gioco delle parti per evitare di affondare Eulex prima ancora di farla nascere. Diplomazia da prestigiatori. Pezza dopo pezza, la comunità internazionale sembra intanto aver perso di vista il buco.

E Belgrado «incassa»

A cominciare dalla Serbia che cambia rapidamente. Una Belgrado diplomaticamente più duttile e dichiaratamente europeista incassa due punti decisivi: la formale dichiarazione di neutralità di Eulex imposta dal Segretario Generale dell'Onu rispetto allo «status» finale del Kosovo e l'approvazione, da parte dell'Assemblea generale Onu, del suo ricorso alla Corte internazionale di giustizia sulla legittimità della dichiarazione d'indipendenza kosovara. 
Il segretario Onu Ban Ki Moon è costretto a cambiare le carte in tavola. Visto che non c'è speranza di arrivare ad una nuova risoluzione sul Kosovo, manda il suo nuovo «Alto rappresentante», l'italiano Lamberto Zannier, a fare da arbitro nella partita che s'è riaperta. Un Kosovo albanese decisamente arrabbiato, un Kosovo serbo che crea più imbarazzi internazionali quando fa il buono, un mare di ambizioni nate tutte con le gambe storte. A questo punto torniamo alla maledizione kosovara del numero 3 e multipli. Sei i punti «pragmatici» di intervento internazionale inventati da Zannier e firmati da Ban Ki Moon nel nome della «Dodici quarantaquattro». Per Eulex solo il 3 di polizia, giustizia e dogane. 
Per la polizia c'è un capo scelto ovviamente dal governo kosovaro in carica, ma al numero due c'è un vice che deve essere serbo. In caso di controversia il vice può scavalcare il capo appellandosi al terzo capo della polizia, creato con un colpo di bacchetta magica: il «Senior Police Chief», un internazionale di nomina Onu che può fischiare fallo o assegnare il goal al capo albanese o a quello serbo. Dalla trinità degli sbirri a quella dei magistrati. Dei tre diversi codici penali contemporaneamente in vigore abbiamo detto. A Mitrovica i magistrati in carica hanno giurato fedeltà alle leggi jugoslave, a Pristina sulla neonata Costituzione kosovara e, gli internazionali, quando finiranno di litigare tra toghe Unmik ed Eulex, dovranno spiegare quali codici intendono applicare. Nel frattempo, finita la corsa all'auto legittimazione di Eulex che ha messo la sua bandierina a Mitrovica, il pasticcio resta senza soluzione. Neppure da immaginare un giudice albanese a Mitrovica o un giudice serbo a Pristina. Altrettanto fantasiosa l'ipotesi di una richiesta di arresti fatta dalla magistratura di una parte nei confronti di presunti colpevoli dell'altra parte. La partizione dei criminali che coincide con quella del territorio. 

Dogane unitarie ma bucate

Il solo Kosovo territorialmente unitario sia per Pristina che per Belgrado è quello doganale. Peccato che al momento, quell'area abbia due buchi: i confini fatti saltare per aria sopra Mitrovica e verso il Sangiaccato. «Gate 1 e 31», li chiama la Nato. La pacchia del contrabbando transnazionale dove ad incassare c'è la sola realtà interetnica esistente oggi in Kosovo, quella criminale, e a perderci sono tutti e due gli Stati litiganti. Due milioni di euro di danno erariale la settimana, calcolano a Pristina, con una serie di trucchi e una rete di complicità da fare invidia alle più famose mafie nostrane. Un esempio. Benzina raffinata in Serbia e destinata, nominalmente al Kosovo. Paga dogana ma non le iperboliche «accise» sui carburanti. Viaggiano i documenti, ma la benzina resta in Serbia dove è venduta a guadagno moltiplicato per 1000. In Kosovo restano i rivoli di soldi della corruzione capillare che garantisce occhi distratti e un timbro facile. Dogane senza frontiere, potremmo dire oggi. Accordi serbo-albanesi su questi punti, possibili. L'opinione popolare, da ambedue i lati del confine gruviera è ovviamente contraria.
Fotografia finale. Il Kosovo albanese chiede alla Nato e ad Eulex di garantirgli l'unità territoriale. I militari Nato rispondono che il loro mandato è soltanto quello di garantire la sicurezza e non di decidere chi governa. Eulex, che forse vorrebbe poterlo fare, non ne ha il mandato e non ne ha la forza. Resta la realtà del Kosovo diviso e incasinato che ci trasciniamo da quasi 10 anni, nell'attesa del giudizio della Corte internazionale come ha deciso l'assemblea dell'Onu su richiesta di Belgrado. Previsioni sulla sentenza. La Suprema corte dell'Aja dichiara l'indipendenza unilaterale del Kosovo illegittima (la sovranità non si eredita), ma conclude che il fatto (l'indipendenza realizzata) «innova il diritto». Pristina prima applaude e poi capisce. Il principio del «fatto compiuto», vale anche per la Mitrovica serba ed i territori a nord del fiume Ibar. Come nel gioco dell'Oca, si torna sempre alla casella di partenza. I trucchi giuridici attorno alla 1244 per evitare di dover fare i conti politici con la partizione del Kosovo che è già nei fatti. Prendere tempo. Qualche decennio e miliardi di euro dopo, prima di arrivare a riconoscere universalmente il tragico errore della «guerra umanitaria» del 24 marzo 1999.


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Il Manifesto, 6.01.2009


TAGLIO MEDIO   |   di Tommaso Di Francesco

storie MITROVICA Settimana di fuoco

Violenti scontri dopo due attentati albanesi

L'anno non poteva aprirsi nel modo «migliore», a poco meno dall'anniversario del 17 febbraio 2008, data della proclamazione unilaterale a Pristina dell'indipendenza del Kosovo. Vale a dire, con una lunga fiammata di violenza che dura ormai da una settimana in uno dei luoghi di maggiore frizione, Kosovska Mitrovica divisa in due sul fiume Ibar e dove più è presente quella parte della minoranza serba che è stata costretta in massima parte ad abbandonare il paese sotto la minaccia del terrore.
Dopo due violente esplosioni sono scoppiati incidenti e negli scontri decine di persone sono rimaste ferite. La prima esplosione è avvenuta nella tarda serata del 2 gennaio presso un caffè nella parte nord di Kosovska Mitrovica, quella controllata dai serbi, danneggiando numerose auto. Così il 3 a notte i serbi infuriati, hanno dato fuoco a due negozi albanesi nel quartiere di Bosnjacka Mahala, piccola entità albanese dentro la zona serba. Mentre i pompieri accorrevano, è esploso un secondo ordigno. Il portavoce della polizia locale, Besim Hoti, ha detto che sette vigili del fuoco e almeno altre tre persone sono rimasti leggermente feriti. Negli incidenti sono rimasti feriti anche una giornalista e un cameraman, entrambi serbi, che erano impegnati nelle riprese sui luoghi delle esplosioni per conto della tv serba Most. I due sono stati aggrediti dai dimostranti albanesi. La giornalista, Mirjana Nedeljkovic, ha riportato ferite alla testa. La situazione a Kosovska Mitrovica sarebbe ora «sotto controllo» dopo che la Forza multinazionale della Nato e la missione di polizia dell'Unione europea, Eulex, hanno rafforzato la loro presenza. Ma l'atmosfera resta molto tesa. Anche perché è il secondo scontro in pochi giorni. E sono richeggiati anche stavolta lungamente colpi di armi automatiche. Martedi scorso un giovane serbo era stato gravemente ferito a coltellate da due albanesi secondo il portavoce kosovaro-albanese della polizia Besim Hoti, e l'attacco aveva scatenato la rabbia di centinaia di serbi che avevano incendiato negozi di albanesi e auto con targhe kosovare. 
A ben vedere dunque, non è dato sapere a cosa sia realmente servito il dispiegarsi già il 9 dicembre scorso a Kosovska Mitrovica della «missione Eulex», con tanto di annuncio da Bruxelles di Javier Solana. O meglio, ora si capisce che Eulex stessa diventa un terreno di conflitto. Inoltre si comincia a comprendere di più perché sia fortemente osteggiata dalla leadership albanese al potere a Pristina, nonostante i sorrisi di convenienza e gli applausi iniziali. Il fatto è che Eulex di fatto, per ora, non riconosce l'indipendenza e subito si caratterizza per il ruolo di polizia e della magistratura, nonché per il controllo delle dogane. Una specie di supervisione che preoccupa Pristina. I cui leader sono legati a filo doppio con il malaffare, come dimostra il recente arresto nell'altra zona franca della regione, il Montenegro del cognato del premier Hashim Thaqi, Bajrush Sejdiu considerato uno dei re del contrabbando nei Balcani. Mentre restano pendenti tutte le questioni del caso dell'ex premier Ramush Haradinay, incriminato all'Aja per stragi e crimini di guerra contro civili serbi commessi già nel 1998: lui è stato incredibilmente scarcerato all'Aja ma il caso resta aperto. Sia perché, legittimamente, i serbi accusano il Tribunale internazionale di fare «due pesi e due misure», sia perché all'Aja in questi giorni per le minacce esercitate contro testimoni, è stato condannato l'ex ministro della cultura kosovaro albanese Astrit Haracija. Corruzione e mafie che insieme a lasciare nella disperazione la maggior parte dei kosovari, assillati da una disoccupazione al 50% nonostante fiumi di aiuti internazionali, vede coinvolto anche l'Unmik, quel che resta della colpevole amministrazione Onu. Non a caso il Wall Street Journal ha concluso l'anno denunciando la vicenda del funzionario americano dell'Onu di Pristina, James Wasserstrom, licenziato per avere denunciato uno scandalo di malversazioni di denaro.

=== 3 ===

www.glassrbije.org  italiano


E’ stata demolita la chiesa serba a Livadje

08. gennaio 2009.

L’eparchia di Raska e Prizren della Chiesa serba ortodossa ha comunicato che nella notte tra il 7 e l’8 gennaio è stata demolita la chiesa di santo Grigorio a Livadje, il villaggio che si trova nei pressi di Gracanica, nel Kosovo centrale. Quando abbiamo trovato stamattina, il secondo giorno del Natale, la porta della chiesa spalancata, siamo entrati ed abbiamo vista una scena tremenda. Le icone sono state distrutte, i soldi sono stati rubati e gli oggetti sacri sono stati rotti, ha dichiarato il parroco Svetislav Trajkovic. La polizia kosovara di Lipljane ha fatto il sopraluogo. Questo è l’ultimo incidente, in una serie di incidenti di questo genere, il quale dimostra che il patrimonio culturale e religioso corre grande pericolo in Kosovo, ha comunicato l’eparchia di Raska e Prizren.

 

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KOSOVO UPDATES
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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2009&mm=01&dd=03&nav_id=56186
Beta News Agency - January 3, 2009

"Kosovo situation very alarming" 

BELGRADE, PRISTINA - This week's stabbing of a Serb
boy, and the arrest of the Gnjilane [KLA} Group have
added turbulence to Kosovo's poor security situation,
an expert warns.
Military analyst Zoran Dragisic told B92 TV in
Belgrade on Saturday that the latest string of
incidents, including last night's explosions, could
cause more violence unless measures to calm the
situation are undertaken urgently.
"If we go back ten days we'll see a series of various
incidents, and certainly the arrest of the Gnjilane
Group and everything that ensued – demonstrations and
protests – have additionally complicated the
situation." 
"We have incidents, not only in northern Kosovska
Mitrovica but also in the Kosovo Pomoravlje region
where shots were fired at a home of a humanitarian
organization's president," Dragisic said. 
"At this point," he concluded, "the situation in
Kosovo and Metohija, especially in northern Kosovska
Mitrovica, can be appraised as very alarming, unless
something is done urgently." 
Also today, Beta news agency reports from Priština,
KFOR and EULEX announced that they will step up their
presence in northern Kosovo and in Kosovska Mitrovica,
calling at the same time on residents to remain calm
and cease with all acts of violence. 
EULEX will continue to patrol and implement its
mandate, that includes leading, monitoring and
advising the local authorities, a statement said. 

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2009&mm=01&dd=04&nav_id=56188
B92 - January 4, 2009

KM calm, Serbs accuse Albanians 

KOSOVSKA MITROVICA - Kosovska Mitrovica is calm this
morning after a string of incidents earlier in the
week.
Minister for Kosovo Goran Bogdanovic is arriving to
this ethnically divided town today for a visit, to
meet with municipal presidents of the Serb-dominated
northern Kosovo, and the head of the
Kosovsko-Mitrovacki District.
Strong KFOR troops helped by Kosovo police, KPS, and
EULEX have been positioned in the Bosnjacka Mahala
neighborhood where several incidents took place
earlier this week. 
A KPS spokesman it this town confirmed that the
situation is now calm. 
Bogdanovic will also visit the firefighters recovering
in hospital after a hand grenade was thrown at them
while they were putting out a fire early on Saturday. 
In a meeting with KFOR yesterday afternoon, Serb
representatives have asked for permanent checkpoints
to be set up between Bosnjacka Mahala and Suvi Do,
instead of sporadic patrols. 
This is the area where most of the incidents happened,
Marko Jaksic, one of the Kosovo Serb leaders, told
B92. 
"It's calm at this point. What the Serb
representatives have asked is primarily [bearing in
mind] that these are planned provocations as far as
we're concerned. Ahead of the New Year a KPS patrol
was attacked in Bošnjaèka Mahala, then Nikola Bozovic
was wounded, then a bomb was thrown at a cafe where
Serbs were gathered," he explained. 
"After that, when the Serbs set an Albanian store on
fire, Albanians threw a hand grenade at Serb firemen.
Therefore we hope that these planned actions will not
take place in the future," said Jakšiæ. 
Earlier, Minister Bogdanovic said that the
international community and police "must to all to
bring those responsible for the bomb attack against
the firefighters to justice".  

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2009&mm=01&dd=05&nav_id=56203
Tanjug News Agency - January 5, 2009

Kosovska Mitrovica: Albanians assault Serbs 

KOSOVSKA MITROVICA - A group of some 20 Albanians
assaulted two Serbs in the northern part of Kosovska
Mitrovica late on Sunday.
Kosovo police, KPS, have confirmed the latest incident
in this ethnically divided town, with deputy police
chief Predrag Vasovic telling Tanjug that the victims
stated the attack took place at around 21:30 CET at
the corner of Knjaza Milosa and Osloboðenja streets.
Kosovo Serbs Bato Ðorðevic, 32, and Petar Gusinic, 33,
reported to a local hospital with light injuries in
the wake of the incident. 
"According to a statement they gave to the police,
they were attacked by a group of some 20 Albanians,
after their car broke down and they were forced to
stop in this part of Kosovska Mitrovica. The car was
damaged, and they were lightly injured," Vasovic said.
He added that the KPS had started an investigation
into the case. 
Reports said that police intervention last night
prevented a more serious confrontation. Due to a wave
of unrest KFOR has been in control of the town for the
past three days, but Vasoviæ said they failed to react
last night. 
"Unfortunately, KFOR's reaction was missing. Based on
what the patrol policemen told us, they were nearby,
but did not react," he said, adding his office is in
communication with KFOR trying to find out the reason
for this. 
This comes after several incidents in the past few
weeks, that included stabbing and hand grenade
attacks, and after Sunday's appeals from Minister for
Kosovo Goran Bogdanovic.  

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2009&mm=01&dd=05&nav_id=56214
Beta News Agency/Tanjug News Agency - January 5, 2009

Punish perpetrators, asks Ivanovic 

BELGRADE - Oliver Ivanovic says the police, EULEX and
KFIR should determine who initiated the most recent
incidents in northern Kosovska Mitrovica.
The state secretary with the Kosovo Ministry told
Tanjug on Monday that "there should be no speculation
about who caused the latest incidents", and that the
police should conduct a comprehensive investigation
and bring the perpetrators to justice.
Ivanovic stated that tensions have been evident in
northern Kosovo since Feb 17, 2008, when Kosovo
Albanians unilaterally declared independence, while
the Serbs clearly stated they would not accept it. 
He went on to say that he is optimistic, and believes
the situation would stabilization, adding that "the
fact that KFOR has upped its presence and deployed its
troops in the city is encouraging". 
Meanwhile police are describing the situation in
Kosovska Mitrovica as "calm, but fragile". 
Kosovo police, KPS, are yet to arrest the perpetators
who struck on Saturday, first throwing an explosive
device at a cafe frequented by Serbs, and then at
firefighters putting out the flames at an
Albanian-owned store set on fire after the first
incident. 
Six Serb firefighters, a reporter and a cameraman were
hurt in the hand grenade explosion. 
Last night, two Serbs were assaulted, while last week
a 16-year-old Serb was stabbed. 

"Albanians, Serbs organize in groups"

In the Bosnjacka Mahala community of northern Kosovska
Mitrovica, after the last inter-ethnic incidents,
there are now several groups of security: KFOR,
police, but also groups of Albanians and Serbs, Koha
Ditore writes. 
According to this Albanian language daily, the
Albanians organized the groups themselves because they
"do not trust the police officials in the northern
police station of Kosovska Mitrovica".
They are demanding the presence of officials of the
“special units of Kosovo police,” and reparations for
the damages incurred from the attacks “by organized
Serbian state structures". 
At the same time, the newspaper says, Serbs are also
demanding permanent checkpoints manned by KFOR troops
to be located on the ethnic dividing lines which
separate Serbs and Albanians in the northern part of
the city. 
....

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http://www.focus-fen.net/?id=n165832
Focus News Agency (Bulgaria) - January 5, 2009

Albanian stabbers freed, Kosovo Serb house attacked 

Pristina - Two Kosovo Albanians that stabbed a Serbian
teenager in Kosovska Mitrovica have been freed,
reports the police in Kosovo, Serbianna agency
reports.
The police said that the accused Albanians are from
Djakovica and that one is 21 and the other 22 years of
age.
Police declined to give their names.
“According to the deposition made, the reason for
their arrival in Kosovska Mitrovica is to walk,” said
spokesman for the police Besim Hoti, an ethic
Albanian.
Hoti said that the case is now under the jurisdiction
of the municipal prosecutor and by orders of that
prosecutor the two Albanians have been let go.
In another part of Kosovo, unidentified assailants
have attacked a house owned by a Kosovo Serb, Zoran
Maksimovic, in the village of Gornji Livoc near the
city of Gnjilane.

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http://www.focus-fen.net/?id=n165796 
Focus News Agency (Bulgaria) - January 5, 2009

Two Serbs beaten in Kosovska Mitrovica 

Kosovska Mitrovica - Two Serbs were beaten in North
Kosovska Mitrovica last night, the online edition of
the Serbian Politika newspaper reports on Monday. 
The two said they were kicked, beaten and hit with
baseball bats by Albanians. 
The accident took place a couple of meters away from
the Kosovo Force (KFOR) control station. 
The soldiers did not interfere in the fight. 
This is the fourth assault against Serbs in only a
week in North Kosovska Mitrovica.

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2009&mm=01&dd=05&nav_id=56221
Beta News Agency - January 5, 2009

Tadic calls on UN, EU to protect Kosovo Serbs 

BELGRADE -- President Boris Tadic has sent a letter of
protest to the UN and EU regarding the incidents in
northern Kosovska Mitrovica against the Serb
population.
The letter to UN Security Council member-states and
Secretary General Ban-Ki Moon, as well as to the Czech
Republic, which is currently presiding over the
European Union.
According to the president’s cabinet, Tadic stated
that KFOR, EULEX and UNMIK did not react in time in
order to stop the attacks on Serbs in Kosovska
Mitrovica. 
Tadic said that the “real intention of the Kosovo
government and Albanian extremists to use violence in
order to provoke conflicts with Serbs in order to stop
the implementation of the six-point agreement reached
between Serbia and the United Nations, which was
confirmed by the Security Council.“ 
The Kosovo Albanian leadership in Pristina rejected
that agreement, which Belgrade cited as its condition
for approving the EU mission EULEX's deployment in the
province. 
Tadic also demanded immediate measures to protect the
Serbs who are in danger. 
“There was a lack of adequate reaction by the
peacekeeping forces which are obligated to protect and
secure the Serbs who are the most endangered in Kosovo
and Metojija." 
"Such incidents can lead to a worsening of the overall
security situation in Kosovo and I am therefore asking
for officials of the international community to
immediately increase the level of security and to
prevent attacks against Kosovo Serbs,“ Tadic stated in
his letter.  

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http://www.b92.net/eng/news/politics-article.php?yyyy=2009&mm=01&dd=05&nav_id=56220
Tanjug News Agency - January 5, 2009

DSS: Kosovo Serbs without protection 

BELGRADE - Slobodan Samardzic believes that "the
withdrawal of UNMIK from Kosovo and Metohija would
leave Kosovo Serbs unprotected".
This, the Democratic Party of Serbia (DSS)
vice-president said, comes since the European Union
mission (EULEX) is not authorized to directly
intervene in conflicts.
“We are witnesses to indications of Albanian terrorism
against the Serb population and the full passivity of
EULEX, UNMIK and KFOR,” Samardzic told a news
conference in Belgrade on Monday. 
According to him, EULEX is not authorized to directly
intervene in conflicts, which is why Serbs will be
left unprotected after UNMIK's withdrawal and the
transfer of its competencies. 
"EULEX may only monitor the work of the police,
customs and justice,” underscored Samardzic. 
He believes that Serbia should now strengthen its
institutions in Kosovo "and give them a stronger
financial and every other support", while another step
would be a diplomatic process to review the legal
grounds on which EULEX acts in Kosovo.  

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http://news.yahoo.com/s/afp/20090107/wl_afp/kosovoserbiareligionunrest_newsmlmmd
Agence France-Presse - January 7, 2009

Fears of violence mar Kosovo Serbs' Orthodox Christmas
by Maja Radojevic 

KOSOVSKA MITROVICA – Serbs celebrated their first
Christmas in Kosovo since independence on Wednesday
amid fears of a fresh flare-up of violence in the
ethnically-divided town.
Like Serbia, the Serb minority in Kosovo celebrates
Christmas on January 7, in accordance with the Julian
calendar.
Dozens of people prayed in the Orthodox church St
Dimitrije in the northern part of Kosovska Mitrovica,
a town populated mostly by Serbs. But due to a recent
wave of violence, the traditional midnight mass was
postponed until early in the morning.
Serb houses and premises were decorated with yule logs
while the time-honoured burning of a pile of logs
known as "badnjak" took place on Christmas Eve in
front of the church, followed by fireworks.
The town is divided with Serbs living on the north
bank of the Ibar River and ethnic Albanians south,
where there are many Serb cemeteries and the main
Orthodox church, the St Sava.
Escorted by NATO-led peacekeepers Kosovo Force (KFOR)
and European mission (EULEX) police, a group of Serbs
visited the church. Police said no incidents were
reported during the brief pilgrimage.
But 65-year old Milijana Radovanovic complained that
celebrations were darkened with fears of further
violence.
"Instead of joy for our holiday, we are all in fear of
possible incidents. What's happening here is
terrible," said Radovanovic.
An uneasy calm has returned to the streets of Kosovska
Mitrovica after KFOR reinforcements arrived in the
northern Serb half of the town following two
explosions last week.
Seven firefighters, all Serbs, were injured in the
second blast while trying to put out a blaze at an
Albanian-owned building apparently started by a group
of ethnic Serbs angered by the first explosion.
Milan Djordjevic, 28, said Christmas was not as joyous
as usual due to the violence. "Our fellow townsmen
were injured while trying to do their job. This is a
real tragedy."
KFOR since has bolstered its presence, with troops
patrolling the tiny Bosnjacka Mahala quarter, which
has a small Albanian community, in northern Mitrovica.
But skirmishes have been frequent, and on Christmas
Eve, groups of dozens of Serbs and Albanians faced off
in the area after an apparent car crash.
Only a strong police presence prevented the incident
from sparking wider unrest.
"As soon as we think the situation is calm, incidents
start over again," Radovanovic said.
Her neighbour, 57-year-old Dragan Milisavljevic, said
Christmas was "celebrated with respect to tradition
and old habits, but with increased anxiety."
"These incidents not only confuse us, but also bring
up questions about whether we will be able to survive
here," Milisavljevic added.
Kosovo declared independence nearly a year ago after
being under the UN umbrella since a 1999 NATO air war
wrested control of the province from Serbia. More than
50 countries have recognised Kosovo's statehood, which
Serbia and Russia strongly oppose.

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http://www.newkosovareport.com/200901081534/Politics/Germany-reconfirms-support-for-Republic-of-Kosovo.html
Kosovo Radio and Television - January 8, 2009

Germany reconfirms support for Republic of Kosovo 

The head of the German Parliament Norbert Lammert met
yesterday with the President of Kosovo Fatmir Sejdiu
with whom he discussed about the further deepening of
cooperation between the two countries. 
The head of the German Parliament on this occasion
spoke about the engagement of his government in the
process of recognitions for the independent state of
Kosovo. He also expressed his displeasure with the
manner in which the three German BND secret service
agents were arrested.
The focus of yesterday’s meeting between Lammert and
Sejdiu were the interstate relations.
President Sejdiu on this occasion thanked the head of
German Parliament for the support his country has
offered in the reconstruction of Kosovo. He also
expressed his belief that German engagement in
obtaining recognitions for the independence of Kosovo
will be forthcoming.
Although the arrest of the three German agents was not
a subject in the discussions, Lammert expressed his
disapproval with the manner in which they were
arrested and with the manner the event was reported in
the media.
This was an unfortunate event, which should not have
happened, however it did not reflect as the main point
in the bilateral diplomatic relations, said Lammert.
“I would add one more thing: the manner in which this
case was presented, that is the arrest of the three
German agents, was as if they were criminals and this
displeased me,” said Lammert.
Lammert emphasized that his visit in Kosovo has to do
with the interest of Germany for the political and
economic development of Kosovo, a year since the
declaration of independence. He expressed the
dedication of his country to contribute to further
recognition of Kosovo. 
“I believe that the recognition of Kosovo from the
majority of EU countries has been a result of German
leaning and engagement to recognize the independence
of Kosovo. This is a sign of our dedication for Kosovo
and also a signal for our dedication in the future so
that other countries recognize Kosovo as well,”
Lammert added.
Germany is one of the first and most influential EU
countries to recognize the Republic of Kosovo.

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http://www.dw-world.de/dw/article/0,,3933804,00.html
Deutsche Welle - January 9, 2009

NATO Warns Kosovo Violence Could Spread 

Recent violence in Mitrovica could spread across the
newly independent state of Kosovo, the commander of
French peacekeepers in NATO, General Michel Yakovleff,
warned on Friday.
For over a week now, the ethnically divided city of
Mitrovica has seen violent incidents with people
injured and cars and shops set alight. Tensions
between Kosovo's ethnic Albanian majority and Serb
minority have been running high since the region
declared independence from Serbia nearly a year ago. 
"This is urban violence," said Yakovleff. "But it has
political implications, meaning that it can mobilize
people. That can lead to major conflict."
Yakovleff said his soldiers are prepared to put down
any violence in the northern sector of Kosovo. 
"Be aware of the strong determination of KFOR to
respond, even brutally if necessary, to all forms of
violence," he said.  
The stabbing of a Serb sparked two explosions in
Mitrovica on January 3. Seven Serb firefighters were
injured in the second blast while trying to put out a
fire at an Albanian-owned building. 
The spike in violence has caused groups of Serbs and
Albanians to organize 24-hour neighborhood vigils.
....
Serbian President Boris Tadic has accused KFOR and the
European Union's EULEX mission of failing to respond
to the unrest. He urged the EU and the United Nations
to reinforce security for the Serb minority. 
....
The city is divided with the north home to Serbs and
the south populated mainly by ethnic Albanians.

Serbia strongly opposes Kosovo's independence, and
Serbs living in the new state still see Belgrade in
Serbia as their capital.