Informazione
Operai di "Zastava automobili Kragujevac" propongono raccolta sangue per le vittime del terremoto ad AquilaKRAGUJEVAC, 6 april (Agenzia informativa Serba - Tanjug) - Il Sindacato dello stabilimento 'Zastava automobili' oggi ha inviato una lettera al Governo d'Italia e all'Ambasciata d'Italia in loro paese, con le profonde condoglianze per la perdita di vite umane causate dal terremoto , che notte scorsa ha colpito alcune zone d'Italia. "Tutti i lavoratori dello stabilimento 'Zastava automobili' esprimono loro estremo cordoglio per il tragico evento che ha colpito vostro paese, e inviano le più sincere condoglianze ai familiari delle vittime. Il Sindacato di 'Zastava automobili' è in grado di organizzare una campagna di raccolta di sangue dai volontari, qualora questo tipo d'aiuto vi fosse necessario", si cita nella lettera.
http://www.tanjug.rs/RssSlika.aspx?24808
KRAGUJEVAC, 6. aprila (Tanjug) - Sindikat kragujevačke fabrike 'Zastava automobili' uputio je danas pismo vladi Italije i ambasadi te zemlje u Beogradu, u kojem, u ime radnika 'Zastave', izražava najdublje žaljenje zbog žrtava zemljotresa koji je jutros pogodio Italiju. 'Svi zaposleni u Fabrici automobila izražavaju najdublje žaljenje povodom tragičnog događaja koji je pogodio vašu zemlju i upuću najiskrenije saučešće porodicama nastradalih', navedeno je u pismu.
http://www.b92.net/info/vesti/index.php?yyyy=2009&mm=04&dd=06&nav_category=78&nav_id=354040
Sindikalna organizacija "Zastava automobili", navodi se u pismu, "u mogućnosti je da vam kao pomoć ponudi i organizuje akciju davanja krvi, ukoliko vam je ta pomoć potrebna".
SUL CONTRATTO STIPULATO TRA LA FIAT E IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA DI SERBIA
In conformità al Contratto firmato a settembre del 2008 la Fiat Group ha costituito con lo stato serbo l’impresa FIAT AUTOMOBILI SERBIA con capitale sociale di 100.000 euro, e piu precisamente nel rapporto 67% - 33% a favore della FIAT.
Secondo il Contratto, la FIAT si e impegnata di versare i primi 200.000.000 euro entro il 31.03.2009. Finora non sono stati versati. Con tale versamento noi potremmo investire nella ricostruzione della fabbrica e nella introduzione del modello nuovo che sarebbe prodotto in serie di 200.000 unita all’anno. In compenso, il nostro Stato ha rinunciato (senza rimborso) alla licenza per la Punto (pagata da noi 3.000.000 euro) e all’apparecchiatura completamente nuova per la produzione di questo modello (pagata da noi 14.000.000 euro).
Siccome il Contratto si è trovato a rischio, 2 mesi fa è stato fatto un Contratto nuovo che si riferisce al solo montaggio del modello vecchio della vettura Punto.
Ora, grazie al nostro governo abbiamo qui la FIAT che lavora sulla nostra attrezzatura, con la propria licenza e i NOSTRI lavoratori senza 1 euro di investimento. E per completare la commedia, la FIAT si comporta già come Grande Padrone e ci comanda di portare via dalla fabbrica tutte le nostre attrezzature il che noi come sindacato assieme ai lavoratori abbiamo bloccato.
Facciamo presente che solo per la Verniciatura rasa al suolo nei bombardamenti del ’99 bisogna investire 200.000.000 euro. Ora tutte le operazioni vengono fatte a mano eccetto padiglione (verniciatura semiautomatica).
La situazione in fabbrica e nello stato di allarme con possibili disordini perche i lavoratori stanno perdendo la pazienza.
SINDACATO SAMOSTALNI
FABBRICA ZASTAVA
8 aprile giornata dei diritti di Rom e Sinti
Posted By rino On 3 Aprile 2009 @ 12:24 am In Immigrazione, antifascismo | No Comments
L’8 aprile si celebra la giornata internazionale dei diritti di Rom e Sinti, in ricordo dell’8 aprile 1971 in cui si costituì l’Unione Romanì Internazionale (IRU), riconosciuta nel 1979, dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, come “organizzazione, non governativa e non territoriale, con potere di consultazione che rappresenta tutte le comunità romanès del mondo” (Alexian Santino Spinelli “Baro romano drom”, Meltemi editore 2005; pagg.7-87 : “La storia”).
Dal 1981, anche la Comunità Europea si è espressa affinché la pubblica amministrazione degli stati si attivasse contro le inadempienze politiche di cui il popolo rom è vittima. Purtroppo riguardo al popolo rom, nel panorama culturale e politico mondiale, la posizione italiana, spesso, senza distinzione tra destra e sinistra, appare arretrata e razzista. In ogni contesto italiano infatti, gli approcci alla storia e/o alla cultura romanì sono sempre correlati da un esplicito richiamo alle situazioni di degrado in cui parte della popolazione romanì vive, come peraltro accade a tutti i popoli del mondo, anche a quelli economicamente privilegiati come il nostro (mafia, camorra, delitti compiuti sul posto di lavoro per mancato rispetto delle norme di sicurezza, aberrazioni criminali e famigliari, ecc.). In ambito più squisitamente politico poi, ho riscontrato come anche le prese di posizione antirazziste, quando si riferivano ai Rom, per poter aggregare il maggior numero di adesioni, dovessero specificare che è fondamentale richiedere al popolo rom il rispetto dei “doveri” e delle norme giuridiche. Alcune riflessioni mi paiono d’obbligo sul messaggio che tale specifica comunica: certo siamo antirazzisti, ma sappiamo che molti Rom compiono reati. Mi chiedo se, alla luce di quanto è accaduto agli ebrei sotto il nazismo (che ha perseguitato analogamente Rom e Sinti mietendo oltre 500.000 vittime) avremmo il coraggio di approvare un messaggio che prima dell’olocausto comunicasse certo siamo antirazzisti, ma sappiamo che molti Ebrei sono usurai. Sul piano del rapporto tra fruizione dei diritti e rispetto dei doveri, mi pare evidente che soltanto se veramente si gode di diritti si è in grado di ottemperare ai doveri civili. Non sono certo forieri di diritti la ghettizzazione nei campi nomadi, gli ostacoli che impediscono un sereno approccio alla scolarizzazione (scuole lontane dal luogo in cui risiedono i Rom, bambini discriminati, guardati come “diversi”, costretti a lavarsi, seppure puliti, mentre un bimbo italiano, addirittura se è sporco, non riceve lo stesso trattamento), la diffidenza, fomentata anche dai giornali più illuminati, che crea ulteriori ostacoli ai rom nella ricerca di un posto di lavoro. . . In Italia, ingenti capitali (si tratta di milioni e milioni di euro, provenienti in genere da progetti della Comunità Europea) vengono spesi per gestire i campi nomadi (in cui, in realtà, le persone vivono in condizioni disumane) e per “educare” i rom ad essere “integrabili” nella nostra società (con suggerimenti su come vestirsi e porsi verso gli altri). In Jugoslavia ho conosciuto rom giornalisti, professori, chirurghi, farmacisti, ingegneri e nessuno di loro era nomade e/o stato “educato” con programmi di inserimento. Nella stessa Italia, d’altro canto, esistono Rom operai, professori, giornalisti, infermieri, albergatori, baristi, imprenditori, vigili urbani, dipendenti di banche e della Pubblica Amministrazione. La loro vita non è stata condizionata e/o facilitata da educatori non rom; certamente hanno sopportato maggiori discriminazioni degli italiani non rom e forse molti di loro, in condizioni normali, avrebbero potuto raggiungere posizioni sociali ancora più appaganti. E’ avvilente constatare che, seppure con i dovuti aggiornamenti, riguardo ai campi nomadi e alla necessità di educare i Rom al vivere civile, persista l’ideologia che, a partire dal 1899, ha fomentato in Germania il razzismo contro la popolazione romanì, dall’istituzione di centri di studio e monitoraggio - destinati ufficialmente alla raccolta di informazioni sui Rom, ma che in realtà li schedavano - alla redazione di tesi di genetica sull’esistenza, nei Rom, del gene del nomadismo, all’estromissione dei Rom dalle loro terre e dalle loro abitazioni fino all’ internamento nei campi. Piera Tacchino Scarica il volantino (clikka): http://www.lsmetropolis.org/wp-content/volantino-marcia-rom.pdf --- http://www.lsmetropolis.org/2009/03/8-aprile-di-rom-e-sinti/ 8 APRILE Giornata Internazionale dei diritti di Rom e Sinti Posted By rino On 27 Marzo 2009 @ 5:02 pm In Immigrazione, Internazionale | 1 Comment RITROVO:MERCOLEDI’ 8 APRILE ORE 16,30 a Torino IN PIAZZA PALAZZO DI CITTA’ (davanti al municipio) Le culture rom e sinti sono patrimonio dell’umanità; le premesse indispensabili per superare pregiudizi e stereotipi sono la conoscenza, le iniziative interculturali, una comunicazione che non alimenti sentimenti xenofobi, così come richiesto anche dal Parlamento europeo e dalle istituzioni internazionali. Desideriamo che l’occasione dell’8 aprile si trasformi in una dimostrazione di pace e nonviolenza per tutti, perché tutti ne hanno diritto. Facciamo un appello affinché le persone, associazioni, sindacati, chiese, realtà politiche intervengano in prima persona alla costruzione dell’iniziativa: appuntamento il 31marzo alle ore 20 presso la Casa Umanista di via Martini 4bis - Torino Ad oggi hanno aderito:Opera Nomadi, Ass. Romano Ilio, Cantieri di Pace, Comitato Promotore della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, Pastorale Migranti, Coordinamento antidiscriminazione Sa Phrala, AIZO, Terra del Fuoco Il comitato promotore 8 aprile Per informazioni: tel. 339.1360447 - 338.6152297 ---- Casale Monferrato (AL) Uff. Stampa Ass. SerydarthZINGARI, LA BELLEZZA DI UN POPOLO
tel.349.5250560
e-mail serydarth@...
Cosa dicono e cosa bevono i turisti dell'orrore: giovani israeliani
mentre osservano compiaciuti da una altura il bombardamento su Gaza...
si dichiarano giusto un pochino fascisti e bevono caffè Lavazza! Il
video:
http://www.youtube.com/watch?v=CdNzBHuLUts&eurl;=http://www.forumpalestina.org/news/2009/Marzo09/28-03-09GitantiBevono.htm&feature;=player_embedded
Luxus-Juden gönnen sich die große "Sterben-Live"-Show / Sick tourist
attraction in Israel
http://www.youtube.com/watch?v=CdNzBHuLUts&eurl;=http://www.forumpalestina.org/news/2009/Marzo09/28-03-09GitantiBevono.htm&feature;=player_embedded
- DER IMPERIALE PITBULL (Von Edward S. Herman)
- KRIEG OHNE GRENZEN (Von Knut Mellenthin)
- ANGRIFFSZIELE IM SUDAN (Von Knut Mellenthin)
http://wri-irg.org/node/6990
http://www.vredesactie.be/article.php?id=56
http://www.natozu.de/index.php?id=28
http://www.block-nato.org/index_en.htm
http://linksunten.indymedia.org
Datum: Sun, 29 Mar 2009 17:53:50 +0200
Von: hbuecker <email@...>
An: hbuecke <email@...>
Betreff: NO TO NATO - Internationale Proteste - Pace Fahnen und farbige Tücher in den Fenstern
WEITERLEITUNG
Mehrfachsendungen bitten wir zu entschuldigen / Weiterleitungen
erwünscht
http://www.911video.de/news/290309/
NO TO NATO - INTERNATIONALE DEMOS - PACE FAHNEN UND BUNTE TÜCHER IN DEN
FENSTERN - PROTEST IN GANZ EUROPA !!
AUFRUF ZU GEWALTLOSEM PROTEST - JEDER KANN MITMACHEN!!
www.no-to-nato.org/de/appell
Bunte, rote, blaue und farbige Friedensfahnen und Tücher werden in den
Tagen um den 4. April überall in Europa und in Strasbourg und Baden
Baden wehen.
Friedensgruppen, Parteien, Netzwerke rufen europaweit dazu auf:
Kommt nach Baden-Baden, Kehl und Strasbourg!
Hängt Friedens- PACE Fahnen oder grosse farbige Tücher aus euren
Fenstern und Autos!!
Friedensfahnen sind bereits weitgehend ausverkauft.
Die NATO wird am 3./4. April Die NATO steht für
militärische Durchsetzung westlicher Interessen, sie ist und wird immer
mehrein Kriegsführungsbündnis und rüstet sich auf breiter Front für
künftige Kriege.
Internationale Demonstration am 4.4. wird der Höhepunkt der
gemeinsamen Aktionen der Friedenbewegung sein:
Parallel zu der Demonstration in Strasbourg wird es in Istanbul, New
York, Nikosia, Athen und Vincenza Demonstrationen der Friedens- und
Antikriegsbewegung geben.
Strasbourger Bürger mussten auf Aufforderung der Polizei in den letzten
Tagen die Pace-Regenbogenfahne vom Balkon nehmen. Was kann symbolischer
die Demokratiefeindlichkeit, die Angst vor der freien Meinung und vor
dem Friedens-Willen der Bürgerinnen und Bürger demonstrieren als eine
solche Maßnahme.
Abgeordnete des deutschen Bundestages LINKE haben im Plenum des
Bundestags gegen das Vorgehen der französischen Polizei in Straßburg
protestiert, die PEACE-FRIEDEN-PACE-Friedensfahnen abnehmen ließ. Aus
Protest gegen diese und andere Beschränkungen bei den geplanten
Protestaktionen entrollten Bundestagsabgeordnete im Plenum
Friedensfahnen und hielten Schilder hoch, die den Schriftzug »NO NATO NO
WAR« bildeten.
HIER DAS VID unterbinden, schließlich will er dort auch die Rückkehr
Frankreichs in die NATO-Kommandostruktur feiern, an der Frankreich 43
Jahre nicht teilnahm ( Die NATO, trojanisches Pferd der Amerikaner?
(3)).
Wie verschiedene Medien berichten (4), versuchen die französischen
Sicherheitsbehörden massiv Friedensaktivisten einzuschüchtern. Wer eine
Regenbogenfahne mit der Aufschrift "Pace - No to Nato" an Fenster oder
Balkon aufhängt, erhalte Besuch von Polizeibeamten.
Die Beamten hätten den Befehl erhalten, die Bürger aufzufordern, die
Fahnen abzuhängen, erklärte Christian Grosse, Mitglied der
französischen Kommunisten, bei dem die Ordnungshüter ebenfalls
vorstellig wurden. Teilweise würden die Bürger auch befragt, ob sie
"Splittergruppen" angehörten. Die Befragten erklärten, sie hätten die
Fahnen aus ihrer pazifistischen Grundeinstellung heraus aufgehängt. Die
Anordnung, repressiv gegen die Meinungsäußerung vorzugehen, muss von
sehr weit oben kommen. Denn der BüEO:
http://www.youtube.com/watch?v=34sV484xCbI
Friedensgruppen in Deutschland, Frankreich und Italien, Die Linke und
andere europäische Parteien rufen die Bevölkerung auf überall
Friedensfahnen oder farbige Tücher aus den Fenstern zu hängen
Der Versuch der französischen Polizei, vor dem Nato-Gipfeltreffen in
zehn Tagen pazifistische Fahnen aus Strassburg zu verbannen, hat zu
einem Sturm der Entrüstung geführt. Der Chef der Neuen
Antikapitalistischen Partei, Olivier Besancenot und andere sprachen von
einem Angriff auf die Meinungsfreiheit und rufen alle Franzosen und
Europäer auf, Friedensfahnen oder grosse farbige Tücher zu hissen, aus
den Fenstern zu hängen und sich an Protesten gegen den Nato-Gipfel am 3.
und 4. April zu beteiligen.
Wer prägt das öffentliche Bild?
Wir die zehntausenden phantasievollen und kreativen Demonstrantinnen und
Demonstranten oder die grüne Machtmaschine mit den grauen Hintermännern
und der Kriegmaschinerie?
AM 28.MÄRZ HABEN DEMOS IN WIEN LONDON BERLIN FRANKFURT UND FLORIDA
STATTGEFUNDEN
Deswegen ist jedeR, der den Friede will oder ihm näher kommen will,
aufgefordert:
Komm nach Strassburg!
ODER
Hängt PACE Fahnen oder farbige Tücher aus euren Fenstern und Autos!!
www.no-to-nato.org
Jetzt liegt es auch an uns, dass die NATO-Regierungsschefs, Außen- und
Kriegminister nicht den Eindruck gewinnen, dass ihre Politik auf
Zustimmung trifft.
Lasst uns unsere Forderung "Nein zum Krieg -- Nein zur Nato!"
millionenfach auf die Straße bringen, rund um den Erdball, in
Baden-Baden, Kehl und Strasbourg sowie an tausenden Orten in Euren
Regionen.
Hängt PACE Fahnen oder farbige Tücher aus euren Fenstern und Autos!!
Kommt mit zu den Protesten und macht deutlich:
Wir lassen uns unser Recht zum Demonstrieren nicht nehmen!
=== 4 ===
Ralf Streck 28.03.2009
Die Polizei in Strassburg übt Druck auf Bürger aus, Fahnen mit der
Aufschrift "Frieden - Nein zur Nato" abzuhängen.
Nicht alle Menschen im Elsass heißen die Nato willkommen, wenn am 3.
und 4. April der 60. Jahrestag der Militärallianz (1) beidseits des
Rheins in Straßburg, Kehl und Baden-Baden begangen werden soll ( Breite
Front für eine neue NATO (2)). Offensichtlich will der autokratische
französische Staatschef Nicolas Sarkozy jede Meinungsäußerung gegen den
Nato-Gipfelrgermeister von Straßburg, Roland
Ries, verurteilte das Vorgehen und trat für die Meinungsfreiheit ein.
Aus der Präfektur des Departements Bas-Rhin hieß es, die Behörde habe
keine solche Anweisung an die Polizei gegeben. Sogar die Polizei
dementierte, dass es derlei Einsätze gegeben habe, wollte aber
grundsätzlich "keine Einsätze" kommentieren, hieß es zweideutig.
Das merkwürdige Dementi nimmt der Polizei angesichts der Zeugenaussagen
ohnehin niemand ab, weshalb die Kritik an dem Vorgehen von Politikern
scharf ausfällt. Einen "Anschlag auf die Freiheit" nannte der Grüne
Europaparlamentarier Daniel-Cohn Bendit den "skandalösen und nicht zu
tolerierenden" Vorgang. Sogar aus der Rechten kommt scharfe Kritik. Der
Vorsitzende der christdemokratisch-liberalen UDF, François Bayrou,
nannte ihn einen "ungerechtfertigten Angriff auf die Meinungsfreiheit",
der Verfassungsrechtler Patrick Wachsmann hält das Vorgehen für
"vollständig illegal".
Tatsächlich lässt sich das Vorgehen auch nicht mit den massiven
Sicherheitsvorkehrungen begründen, welche die Region beidseits des
Rheins in eine "Polizeiburg" verwandeln werden. So wird der Flughafen
Ensisheim teilweise gesperrt, Demonstrationsverbote wurden
ausgesprochen, Züge werden umgeleitet, die Autobahn, just zum Beginn
der Osterferien zeitweise gesperrt, die deutsch-französische Grenze
wird geschlossen und die eigentlich abgeschafften Grenzkontrollen
werden wieder durchgeführt. Die Bundeswehr wird Überwachungsflüge
fliegen und sogar Klein- und Modellflugzeuge dürfen an den beiden
Gipfeltagen nicht aufsteigen. Sogar der Rhein wird einige Stunden für
die Schifffahrt gesperrt, damit ein Fototermin der Gipfelteilnehmer
stattfinden kann. In Straßburg, Kehl und Baden-Baden dürfen die
Bewohner bestimmter Gebiete nur in Begleitung der Polizei ihre Wohnung
verlassen oder erhalten Zugang zu ihr. So ist es eigentlich nicht
verwunderlich, wenn 58 Prozent der Straßburger das Treffen ablehnen.
Die Gegner des Gipfels lassen sich aber ohnehin von dem Vorgehen nicht
beeindrucken. Angesichts der Tatsache, dass die Präfektur entgegen
bisheriger Absprachen ein Widerstandscamp hintertreibt, wollen sich
Gegner dezentral organisieren und ziehen auch Platz- und
Hausbesetzungen in Straßburg in Betracht (5). In Freiburg wurde schon
ein alternatives Medienzentrum eingerichtet (6) und am 30. April wird
dort eine erste "unangemeldete antimilitaristische Demonstration"
durchgeführt. Verantwortlich hierfür zeichnet die Protestgruppe
"Resistance des deux Rives - Widerstand der beiden Ufer". Dass die
Demonstration nicht angemeldet ist, habe allerdings nur damit zu tun,
dass die Polizei immer wieder repressiv gegen Personen vorgeht, die
Proteste anmelden, konnte Telepolis in Erfahrung bringen. Derzeit
liefen mehrere Ermittlungsverfahren, weshalb sich keine Kontaktpersonen
mehr fänden, kritisieren auch Grünen. Die Partei, die in der
Breisgaumetropole den Bürgermeister stellt, forderte die Polizei auf,
die Verfahren einzustellen, um zur Deeskalation beizutragen.
LINKS
(1) http://www.nato.int/docu/comm/2009/0904-summit/index.html
(2) http://www.heise.de/tp/r4/artikel/30/30012/1.html
(3) http://www.heise.de/tp/r4/artikel/29/29973/1.html
(4)
http://www.lalsace.fr/articles/show/id/557948?symfony=7d7f08ae2004f613fe
dab22e068d3611
(5) http://linksunten.indymedia.org/node/1660
(6) http://linksunten.indymedia.org/de/node/1809
Telepolis Artikel-URL: http://www.heise.de/tp/r4/artikel/30/30024/1.html
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Con la massa di disoccupati e di poveri prodotta dai crack finanziari ed industriali Statunitensi ed Europei, invece di sostenere politiche di profonde riforme sociali e di smantellamento degli apparati bellici si pensa sempre di progettare la guerra come risoluzione della grande crisi del capitale. Per questa ragione è necessario che strutture militariste come quelle della NATO escano dalla scena della società umana, perché il futuro, come afferma Rozoff, presenta una sola alternativa: l’Europa, e il mondo nella sua globalità, possono, o accettare il dominio di un blocco militare internazionale di crescente espansionismo ed aggressività, fonte di sfruttamento, impoverimento e miseria, o attivamente organizzarsi per smantellarlo.
Con la reintegrazione della Francia all’interno del comando militare della NATO, dopo uno iato durato 33 anni, che verrà formalizzata al summit dell’Alleanza di quest’anno a Strasburgo, in cui verrà anche potenziato il Concetto Strategico del 1999 con un’accresciuta accentuazione dell’integrazione militare NATO - Unione Europea - Stati Uniti, e con l’Unione Europea (EU) che sta intensificando la creazione di una forza di dispiegamento rapido di 60.000 uomini di truppa, con suoi gruppi da battaglia associati a quelli Nordici, da impiegarsi in tutto il mondo, le mutue relazioni che intercorrono fra i tre centri più importanti del potere economico, politico e militare dell’Occidente – la EU, la NATO, e gli USA – richiedono un’urgente analisi.
La costruzione dell’opinione prevalente nei circoli delle classi dirigenti si è largamente fondata su un insieme di quattro false dicotomie:
1) Lo sviluppo progressivamente sempre più ambizioso delle capacità militari dell’EU rappresenta una concorrenziale competizione, anche se non una diretta sfida alla NATO e all’alleanza strategica trans-Atlantica con Washington.
2) La NATO costituisce un multilaterale antidoto all’unilateralismo degli Stati Uniti.
3) La EU per principio fa suo l’esercizio della diplomazia pacifista, mentre gli USA e la NATO sono spesso troppo avventati nel fare assegnamento sulla necessità assoluta del ricorso alle armi.
4) La EU è uno o addirittura il più importante competitore degli USA in Europa e sempre più in buona parte del mondo.
Uno è libero di credere alle panzane di questo tipo, a suo piacere, ma le parole e le azioni di coloro che decidono le politiche, e i funzionari incaricati di imporre queste politiche, appartenenti ai gruppi dirigenti per la politica estera dell’EU, della NATO e degli USA, le confutano ad ogni occasione.
21 dei 27 membri dell’Unione Europea sono anche membri della NATO. I sei che non lo sono, tutti, fatta eccezione di Cipro (al momento) - Austria, Finlandia, Irlanda, Malta e Svezia - sono membri del programma della NATO “Partnership for Peace” (Associazione per la Pace).
Degli ultimi cinque, solo la minuscola Malta non possiede un contingente militare in servizio sotto le bandiere della NATO in Afghanistan, nei Balcani e da qualche altra parte.
Dei 26 stati membri della NATO, solo la Norvegia e l’Islanda, gli USA e il Canada, gli ultimi due non in Europa e quindi non abilitati, non appartengono all’Unione Europea.
I tre fondamentali attori (EU, USA, NATO) possono occasionalmente polemizzare su secondarie questioni di tattica, sulla coordinazione dei tempi e su vizi di procedura, ma rimangono uniti su problematiche di sostanza e strategiche.
La EU e la NATO hanno stretto un’alleanza militare fin dal 1992, quando veniva sottoscritto il patto “Berlin Plus” sulla integrazione delle strutture militari di difesa e sicurezza.
Anche i membri dell’Unione Europea che non erano allora nella NATO venivano interessati dalla subordinazione del Continente Europa nei confronti del blocco, dato che la Carta Strategica dell’Alleanza del 1999, ancora effettiva, stabilisce che gli arsenali nucleari degli Stati Uniti, in particolare, ma anche quelli della Gran Bretagna e della Francia, sono “essenziali per preservare la pace” e costituiscono “un indispensabile vincolo politico e militare tra i membri dell’Alleanza, Europei e del Nord America.”
Con gli eventi del 1989-1991, che hanno determinato il collasso del sistema post-Seconda Guerra Mondiale in Europa e nel mondo nella sua globalità, lo scioglimento del Patto di Varsavia e del Consiglio di Mutua Assistenza Economica (Comecon), lo smantellamento dell’Unione Sovietica e la frammentazione violenta della Jugoslavia, le più importanti potenze dell’Occidente hanno immediatamente ripreso i piani per il dominio globale interrotti dopo le due guerre mondiali e, avendo imparato la lezione dall’ultimo conflitto, hanno formato un “condominio” per spartirsi le spoglie del mondo intero, non solo delle innumerevoli ex colonie, territori, protettorati e mandati, ma anche di parti del mondo mai prima a loro accessibili, come i paesi dell’ex Unione Sovietica.
A confermare tutto ciò esiste una dichiarazione da parte del Segretario Generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer , di quasi quattro anni fa:
“La NATO e l’Unione Europea stanno facendo progressi più che buoni nella coordinazione dello sviluppo di moderne risorse militari. Sono ottimista nel ritenere che noi siamo in grado di allargare la nostra cooperazione ad aree addizionali, dove abbiamo comuni interessi di sicurezza, dove possiamo esercitare un’azione complementare ed apportare rinforzi. E in questo caso ritengo aree funzionali…ad esempio il Caucaso e l’Asia Centrale”
(NATO International, 31 marzo 2005)
Due mesi dopo, l’allora Sottosegretario di Stato USA Nicholas Burns, che era arrivato a questo incarico dopo essere stato ambasciatore degli Stati Uniti presso la NATO, si esprimeva con analoga tensione quando “dichiarava il suo compiacimento per un appello da parte del Segretario Generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, lanciato all’Alleanza e all’EU per un’accresciuta cooperazione volta a garantire la sicurezza oltre i confini della NATO, in Europa, Africa e nell’Asia Centrale.”
(Associated Press, 26 maggio 2005)
Burns spiegava come doveva venire intesa la divisione dei compiti, secondo la prospettiva di Washington: “Andiamo diretti sulle questioni. La NATO porti avanti le grandi operazioni militari, poi la EU conduca le operazioni di peacekeeping…per consolidare la pace…” (Ibid)
Nel mese intermedio, nell’aprile 2005, il Ministro della Difesa della Germania Peter
Struck, intervenendo a Berlino ad una conferenza sulla sicurezza Europea, sottolineava lo stesso punto affermando che “sarebbe totalmente sbagliato osservare lo sviluppo delle capacità di difesa Europee separatamente dagli avanzamenti in ambito NATO,” e aggiungeva che “sia la NATO che l’Unione Europea stanno attualmente impegnandosi per essere meglio preparate per missioni da svolgersi fuori area in uno sforzo di adattamento a condizioni ambientali di sicurezza che stanno mutando tanto rapidamente.” (Deutsche Welle, 13 aprile 2005)
Quelle che la EU e la NATO hanno designato come zone “fuori area” in pratica coincidono con il resto del mondo, fatta eccezione per l’Emisfero Occidentale, che si considera di competenza degli Stati Uniti, (sebbene in questa zona siano individualmente coinvolti stati della NATO, separatamente e collettivamente), a buon gioco per i dispiegamenti militari.
Si tratta di un altro spostamento qualitativo verso la situazione internazionale pre-1991 con il ritorno all’epoca delle ambizioni e delle pretese coloniali dell’Europa Occidentale, epoca della diplomazia delle cannoniere e delle baionette puntate contro “indigeni ribelli”.
Infatti, l’epoca post-Guerra Fredda ha in buona sostanza riportato l’Europa, l’Occidente in generale, e tanta parte del mondo e degli stati sotto influenza della NATO, non solo allo “status quo ante” pre-Seconda Guerra Mondiale, ma ancora più indietro, all’Ottocento e agli anni culmine dell’espansione coloniale Europea.
Effettivamente, se non formalmente, le maggiori potenze dell’Occidente hanno creato una condizione moderna equivalente a quella del Congresso di Vienna del 1815 e del Congresso di Berlino del 1878.
Il primo modello segnava in realtà la fine delle Guerre Napoleoniche con la sconfitta del Bonaparte a Waterloo e con l’imposizione della Santa Alleanza e del suo nuovo ordine mondiale, quello che doveva assicurare che mai più i troni Europei sarebbero stati sfidati dalla minaccia del repubblicanesimo. Le condizione politiche imposte dopo il 1991 hanno ridato vigore alla proscrizione delle forme repubblicane di governo, con particolare applicazione al comunismo e alle altre varianti socialiste, anzi a tutti quei movimenti e partiti politici popolari che possono difendere gli interessi della maggioranza, a fronte di élite transnazionali cosiddette Euro-Atlantiche, all’interno e all’esterno dell’Europa
Il secondo modello, quello del Congresso di Berlino, aveva fornito l’opportunità di ridisegnare i confini nazionali nei Balcani e di dare il via alle contese per l’Africa, che si sarebbero scatenate sei anni più tardi alla Conferenza di Berlino. Le similitudini fra quello e il periodo attuale non richiedono molti commenti, data la lampante evidenza.
Alla Conferenza di Berlino, che apriva tutta l’Africa, ma in particolare il bacino del Fiume Congo e la regione dei Grandi Laghi, alle forme più ciniche e brutali di rapina e di saccheggio, parteciparono le rappresentanze dell’Austria-Ungheria, Belgio, Gran Bretagna, Danimarca, Francia, Italia, Olanda, Portogallo, Prussia, Spagna, e Svezia-Norvegia.
Quindi questa Conferenza rappresentava il prototipo degli assalti congiunti, collettivi, militari ed economici, dell’Europa Occidentale contro nazioni sicuramente prive di difese, che dopo non tanto tempo, nel 1900, riandava in scena in Cina, quando le forze militari dell’Austria-Ungheria, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Giappone, Russia, e Stati Uniti mettevano in atto un’aggressione per stroncare la Ribellione dei Boxer e proteggere gli interessi economici dell’Occidente.
Per dimostrare in che grado il passato sia ancora presente, in un articolo scritto a due mani presente nel The Times of London del giugno scorso, George Robertson e Paddy Ashdown, dei quali parleremo più avanti, asserivano che la “cooperazione multilaterale a livello Europeo deve…implicare una cooperazione di difesa più intensa, se questo deve avvenire seriamente. Dovrebbe essere accelerata la direzione per creare gruppi da combattimento Europei, costruiti in modo del tutto compatibile con le forze di pronto intervento e di risposta della NATO, e si dovrebbero gettare le basi di una potenza Europea di emergenza contro-insurrezionale in grado di operare in stati in via di disgregazione ed in ambienti post-bellici.”(The Times, 12 giugno 2008)
Inoltre, il servizio giornalistico, in realtà un manifesto militare ed un appello all’azione rivolto alle élite Occidentali, includeva l’osservazione che “tutto questo sarà vitale se noi faremo appello…ad estendere una amministrazione pubblica in quelle zone non governate che la globalizzazione favorisce nella loro proliferazione.”
E il pezzo concludeva questa analisi - franca, rivelatrice e arrogante – come segue:
“Per la prima volta in più di 200 anni ci stiamo muovendo in un mondo non totalmente dominato dall’Occidente. Se noi vogliamo influenzare questo ambiente piuttosto che divenirne ostaggi, e se vogliamo mantenere ferme alcune delle caratteristiche della globalizzazione, che pur destano preoccupazione, allora risulta strategicamente necessario un effettivo, concreto multilateralismo…”
Sia o no questo il desiderio delle maggiori potenze Occidentali e delle loro classi di governo, di tenere saldi questi punti fissi, qualsiasi persona al mondo può considerare che esigere ed espandere il dominio globale come una necessità sia di base per un piano di azione innegabilmente strategico.
Diversamente dagli oscuri farfugliatori accademici che ridisegnano il mondo e le sue divisioni nazionali nella sicurezza delle loro menti e dai loro preziosi scranni delle biblioteche universitarie, gli autori del pronunciamento nel The Times sembrano tutto eccetto che teorici, storici, o studiosi della politica, astratti.
Questi autori fanno parte della cerchia dei più importanti architetti e realizzatori spietati dell’ordine da loro patrocinato, entrambi hanno fatto sperimentazioni nel laboratorio post-Guerra Fredda, o come loro stessi lo hanno dipinto come laboratorio post-moderno, che sono stati i Balcani negli anni Novanta.
Lord George Robertson, ex Ministro della Difesa Britannico, e tuttora Pari d’Inghilterra e barone di Port Ellen, è stato Segretario Generale della NATO dal 1999-2004, succedendo a Javier Solana, e quindi è diventato Alto Rappresentante della Politica Estera e della Sicurezza della Comunità Europea e Segretario Generale sia del Consiglio dell’Unione Europea che dell’Unione Europea Occidentale. A tutti gli effetti, il Ministro degli Esteri collettivo dell’Unione Europea.
Paddy Ashdown è stato Alto Rappresentante internazionale per la Bosnia- Erzegovina dal settembre 2002 al maggio 2006, ricoprendo questo incarico con una tale sfrontata arbitrarietà, prepotenza e crudeltà che gli ha fatto meritare il titolo informale di un’era passata, quello di viceré, titolo che si può dire a buon diritto abbia ereditato da suo padre, che era stato grande ufficiale in India nel servizio coloniale Britannico, e lo stile nel condurre la sua missione non solo ha evocato un passato coloniale, ma anche risulta emblematico di questa attuale “fioritura”.
Quasi quattro anni fa, la Commissione Internazionale per i Balcani, che fra le altre istituzioni vedeva la presenza del German Marshall Fund degli Stati Uniti, “rilasciava un caustico giudizio critico sulle politiche dell’EU e dell’ONU relative ai Balcani. La commissione afferma che la democrazia è stata soffocata in Bosnia dal potere coercitivo di Paddy Ashdown, l’Alto Rappresentante per l’Unione Europea. La commissione dichiara che i delegati internazionali si dilettano di ingegnerie sociali ma non tengono conto che le loro politiche generano ingiustizie. Se il regime neocoloniale dell’Europa si arroccasse ulteriormente, incoraggerà il malcontento economico…” (International Herald Tribune, 29 aprile 2005)
E per tutta ricompensa, un anno fa Ashdown veniva proposto sottobanco come successore degli ex datori di lavoro di suo padre sul subcontinente Indiano, vale a dire come colui che la stampa in quel momento definiva “super inviato” in Afghanistan, e che un giornale Britannico descriveva con queste entusiastiche parole: “Il compito proposto dovrebbe vedere Lord Ashdown incaricato di coordinare gli sforzi della NATO e dell’ONU in Afghanistan. Funzionari della NATO sono consapevoli di dovere appoggiare la sua candidatura per un incarico con poteri eccezionali.”
(The Telegraph, 6 dicembre 2007)
Il governo Afghano si dimostrava però meno entusiasta della claque in favore di Ashdown nella stampa Occidentale e il posto non gli veniva assegnato, quindi veniva dimostrato il carattere e il temperamento pre-moderno del popolo Afghano, epiteto che più sotto avrà la sua spiegazione.
Dopo che a Ashdown era stata rifiutata l’opportunità di continuare la tradizione famigliare in
Afghanistan, costui andava a lavorare come braccio destro di Javier Solana, con l’incarico di Direttore Generale per gli Affari Politici presso il Segretariato Generale del Consiglio dell’Unione Europea, incarico che ricopre anche attualmente.
Ciò che incarnava Ashdown per gli Afghani, in ogni caso il loro governo era ben consapevole dei suoi precedenti, era la posizione post-moderna in materia di affari esteri di Robert Cooper, un ex diplomatico Britannico e moderno Cardinal Richelieu di Tony Blair nei panni di Luigi XIII.
L’eminenza grigia in questione è l’autore di due libri, “The Post-Modern State and the World Order - Lo Stato Post-Moderno e l’Ordine Mondiale”(2000) e “The Breaking of Nations: Order and Chaos in the Twenty-First Century – La disgregazione delle Nazioni : Ordine e Caos nel Ventunesimo Secolo” (2003), ed ha contribuito alla prima versione della raccolta “Re-Ordering the World: The Long-Term Implications of September 11 – Riordinare il mondo: le implicazioni a lungo termine dell’11settembre.”(2002).
Cooper è stato individuato come il padre del “nuovo imperialismo liberista” ed è stato per un breve periodo il Rappresentante Speciale di Tony Blair in Afghanistan dopo l’invasione del 2001.
Come Robertson e Ashdown, egli ha giocato un ruolo essenziale nell’applicazione e nella elaborazione di razionalizzazioni delle strategie e delle politiche imperialiste.
Nel suo primo libro, “The Post-Modern State and the World Order”, Cooper ha ripartito le nazioni del mondo in tre categorie, stati pre-moderni, moderni e post-moderni; in buona sostanza, nella stessa maniera non tanto distante, solo apparentemente nello stile, da quella usata dai suoi antenati nel dividere i popoli del mondo in nazioni e culture civilizzate e non civilizzate.
Variazioni su questo punto di vista categoriale si sono riaffacciate in tutto l’Occidente dopo la fine della Guerra Fredda, e il nuovo ordine mondiale che ne è seguito ha consentito alle più grandi potenze Occidentali di fare a meno anche di tiepidi giuramenti di rispettare la gran parte dell’umanità nuovamente resa libera, spesso in possesso di culture genuine ben più antiche e più degne di venerazione di quelle dei loro padroni del passato coloniale e dei più recenti alleati Nord Americani dei loro ex padroni.
Inoltre, Cooper viene considerato aver dato un forte contributo alla costruzione della “Politica per la Difesa e Sicurezza Europea” (ESDP), originariamente introdotta come “Identità di Difesa e di Sicurezza Europea” all’incontro dei Ministri degli Esteri della NATO avvenuto a Berlino nel 1996, dove veniva sottoscritto che l’Unione dell’Europa Occidentale doveva inquadrare quello che produceva all’interno delle strutture della NATO.
Attualmente, l’ESDP è efficacemente governata dall’Alto Rappresentante per le Politiche Comunitarie di Sicurezza e per l’Estero dell’Unione Europea, Javier Solana, di cui luogotenente generale è Cooper.
L’ESDP ha avuto il suo battesimo sul campo in Macedonia nel 2003 di cui ha preso il controllo per conto della NATO e vi è rimasta come principale braccio militare e di difesa dell’Unione Europea.
La Macedonia, la seconda vittima della guerra della NATO contro la Jugoslavia del 1999, ha rappresentato il primo esperimento per l’Unione Europea EU, che ha rimpiazzato le forze NATO di interdizione ed occupazione con la sua prima missione militare “EUFOR Concordia” che ha rilevato il compito della missione NATO “Allied Harmony”.
Inoltre, nel 2004 la NATO consegnava alla EU e alla missione “EUFOR Althea” un suo protettorato, la Bosnia, che si trovava sotto la sua Forza di Stabilizzazione (SFOR).
Nel 2008 la NATO dava inizio al passaggio di consegne dal comando della sua Forza in Kosovo (KFOR), sola autorizzata dalla Risoluzione 1244 dell’ONU, alla Missione dell’Unione Europea “Rule of Law” (EULEX), che si attirava la dura condanna da parte della Serbia e della Russia.
Nel novembre dell’anno scorso la NATO dava l’incarico all’EU del pattugliamento navale a largo raggio del Golfo di Aden e del Corno d’Africa secondo l’Operazione EUNAVFOR “Atalanta”, che è stata descritta come “qualcosa di interamente nuovo per l’EU, dato che questo incarico è ben lontano dall’Europa stessa…L’Operazione Atalanta costituisce un progetto ambizioso. La zona di mare che deve essere sottoposta ad azione di polizia è enorme…”
(Radio Netherlands, 21 novembre 2008)
La “missione civilizzatrice” congiunta EU-NATO rivolta ad “aree non governate” presenti nel mondo pre-moderno e moderno è in espansione costante.
All’inizio di questo mese di febbraio, Giampaolo Di Paola, Portavoce della Commissione Militare della NATO, allargava l’orizzonte della missione alla triade EU-NATO-USA annunciando la “necessità per una nuova forma di governo del mondo in cui NATO, EU, e altre importanti organizzazioni internazionali hanno un ruolo da giocare.”
(ADN Kronos International [Italia], 13 febbraio 2009)
Che sorta di governo si intenda e chi dovrebbero essere i suoi guardiani designati e di auto-nomina merita un esame di una certa profondità.
Dirigenti a Brussels e a Washington come pratica costante fanno appello al termine “comunità internazionale” quando questo fa comodo ai loro interessi – e comunque di regola ignorano le richieste della vera comunità delle nazioni quando queste non fanno loro comodo.
La popolazione complessiva di tutti i 27 stati membri dell’Unione Europea sta sotto i 500 milioni, meno di un dodicesimo del genere umano.
Se a questi vengono aggiunti i milioni di persone che provengono da stati della NATO non presenti in Europa – gli Stati Uniti, i cui 300 milioni di abitanti costituiscono il 40% degli abitanti Europei, il Canada, la Norvegia e l’Islanda – il totale supera sicuramente gli 800 milioni, meno di un settimo della popolazione mondiale. I principali stati Europei e della NATO Europea rappresentano le ex potenze coloniali – Gran Bretagna, Francia, Spagna, Portogallo, Olanda e Danimarca, in unione al secondo gruppo di rappresentanza del “posto al sole” costituito da Belgio, Italia e Germania.
A partire da missioni commerciali che ben presto assunsero le caratteristiche monopolistiche, subito seguite da avamposti militari e alla fine da completo asservimento economico, politico e militare, le maggiori potenze Occidentali ricavarono larghe espansioni territoriali in Asia, Africa, nell’America Settentrionale, Centrale e Meridionale, e in tutta l’Oceania, come loro rispettivi domini e sfere di influenza.
Molti stati della NATO e dell’Unione Europea ancora conservano le vestigia di questa contesa per i beni del mondo, specialmente oltremare e in zone non loro contigue, spesso isole, possedimenti originariamente arraffati ad abitanti indigeni.
La Gran Bretagna, Francia, Spagna, Portogallo, Olanda e Danimarca e gli Stati Uniti appartengono a questa categoria.
Esistono stati che impediscono ad altri stati, anche in un contesto Europeo, il diritto di esercitare la loro influenza su territori che sono stati parte integrante del loro paese da diversi secoli, come la Serbia sul Kosovo e la Russia sull’Ucraina.
Per altro, le più importanti nazioni Occidentali hanno perpetrato il commercio degli schiavi dall’Africa, la deportazione violenta di così ampie dimensioni mai viste nella storia dell’umanità, con valori stimati delle persone trasportate attraverso l’Oceano Atlantico oscillanti dai 10 ai 30 milioni, dal sedicesimo al diciannovesimo secolo.
Questo ha coinvolto, da una parte o dall’altra dell’Oceano, spesso da entrambe, la Gran Bretagna, Francia, Spagna, Portogallo, Olanda e Danimarca e più tardi gli Stati Uniti.
Una delle basi indicibili fondanti la comunità trans-Atlantica!
Termini superati, e che tornano a discredito, e concetti del tipo, “Fardello per l’Uomo Bianco”, “Destino Manifesto”, “un posto al sole”, “Lebensraum – spazio vitale” ed “impero sul quale non tramonta mai il sole” sono stati abbandonati, ma le considerazioni globali sottostanti e gli obiettivi geopolitici che le motivano non lo sono stati ed invece sono stati riorganizzati sotto nuovi marchi, andando oltre le passate generazioni.
Forze militari di nazioni Occidentali sono ritornate in paesi che loro stessi pensavano avere abbandonato per sempre; ad esempio, truppe Britanniche hanno fatto ritorno in Afghanistan, Iraq e nella Sierra Leone; i Francesi ad Haiti, ritornandovi nel bicentenario dell’indipendenza di questo paese dalla Francia, e nella Costa d’Avorio; le forze armate Statunitensi si sono fatte vive nelle Filippine.
Non si è proprio trattato di un complesso di azioni da parte di potenze alleate Occidentali che si muovevano in modo autonomo; quello che è emerso è un collegamento sistematico, a livello internazionale, di dispiegamenti pianificati e coordinati con precisi obiettivi ad ampio raggio geostrategico.
Nonostante le tanto pubblicizzate differenze di opinione riguardanti l’invasione dell’Iraq del 2003, tutte le 26 nazioni della NATO hanno destinato all’Iraq e al vicino Kuwait personale militare sotto la Missione di Addestramento NATO-Iraq.
Meno di due anni dopo l’invasione, l’Alleanza annunciava che “per quest’anno l’obiettivo della NATO è di addestrare alla sicurezza 1.000 ufficiali di medio ed alto grado” e che “l’Unione Europea si è impegnata ad addestrare 700 fra magistrati, giudici inquirenti e guardie carcerarie Iracheni.” (San Francisco Chronicle, 21 marzo 2005)
Alla fine del 2005 l’allora ambasciatrice USA presso la NATO Victoria Nuland, ex consigliere per la sicurezza dell’ultimo vice-presidente Dick Cheney, asseriva che “Noi abbiamo bisogno una volta per sempre di abbattere le rivalità, a volte reali, a volte solo immaginate, tra l’EU e la NATO.”
Le sue osservazioni venivano esposte da un sito web di natura militare, dove veniva sostenuto che “la NATO e l’Unione Europea devono instaurare un dialogo molto più profondo che in passato, per assegnare una opportuna direzione all’ampia gamma di materiali militari e politici e per porre le basi per affrontare i problemi di sicurezza della comunità trans-Atlantica…”
(Defense News, 23 settembre 2005)
Il primo ambasciatore Statunitense in Afghanistan dopo l’invasione del 2001, James Dobbins, che al tempo era direttore del Centro delle Politiche Internazionali sulla Sicurezza e sulla Difesa alla Rand Corporation, rifletteva una posizione consimile nell’addurre che “dunque, è giunto il momento di smetterla di chiedersi cosa la NATO può fare per l’EU, e di cominciare a chiedersi cosa l’EU può fare per la NATO. E l’Afghanistan è il posto giusto per cominciare. Questo potrebbe risultare meglio in un dialogo triangolare tra NATO, EU, e Stati Uniti.” (International Herald Tribune, 30 settembre 2005)
A ulteriore dimostrazione che il triangolo EU-NATO-USA influenza oltremodo gli sviluppi sul continente Europeo, un mese dopo le osservazioni di Dobbins, Julianne Smith, direttore aggiunto per i programmi sulla sicurezza internazionale del centro studi USA, il CSIS, Centro Studi per le Strategie Internazionali, ad una conferenza tenuta al CSIS, si rammaricava per il fatto che: “Sì, loro sono in sintonia sui Balcani, ma questo non è abbastanza. La NATO e l’EU devono parlarsi anche sulla non-proliferazione, sul Caucaso, sull’Ucraina, sulla Moldavia, sull’intero pacchetto di questioni.” (Defense News, 14 ottobre 2005)
Klaus Naumann, ex presidente della Commissione Militare della NATO, interveniva alla stessa conferenza e chiariva che forse Smith con il suo lamentarsi intendeva affermare che “l’Europa è ancora perseguitata dai fantasmi della sovranità, ed è necessario ritenere che un amore residuo per una-terra-un-popolo è solo un impedimento ad un ulteriore consolidamento incontestato in Europa e nel mondo della NATO e della EU.” (Ibid)
Il mese dopo, Javier Solana dell’Unione Europea, già Segretario Generale della NATO, dichiarava che l’intensificazione dell’espansione militare della EU e i progetti per un suo dispiegamento mondiale “non costituivano un rimpiazzamento della NATO”, al contrario “la comparsa di un attore internazionale più forte e potenzialmente capace, consentirà agli Stati Uniti di ottenere un miglior partner”, e citava i Balcani come un banco di prova originale per questo triumvirato. Perciò risulta essenziale concertare i nostri sforzi con gli Stati Uniti e la NATO…”
(Defense News, 10 novembre 2005)
Il mese successivo, il summenzionato Klaus Naumann scriveva un editoriale che racchiudeva la richiesta che “la EU dovrebbe compiere…passi opportuni per migliorare le sue capacità nel condurre operazioni. Le nuove formazioni da battaglia della EU dovrebbero essere rafforzate
(Message over 64 KB, truncated)
Belgrade, March 23
A two-day international conference titled “Objectives and consequences of NATO aggression on Yugoslavia (Serbia and Montenegro) – ten years after” opened today in the Belgrade Sava international conference center.
Besides Serbian scientists and other public figures it is attended by about 200 foreign guests from over 40 countries from all the continents.
Today more than 20 speakers have presented their papers, all emphasizing that the aggression ten years ago was an act against peace and stability aimed at promoting the expansion of NATO, spreading militarization and interventionism on a global scale and the decomposing of sovereign states.
The Conference continues on 24rth of March. It was preceded by the opening of an exhibition of photographs, books and documentary films on the aggression.
The organizers are the Belgrade Forum for a World of Equals and the Association of Generals and Admirals of Serbia founded by high-ranking officers who lost their jobs after the “democratic” changes in that country in October 2000.
Belgrade Forum for a World of Equals
Anti-NATO forces in Serbia mark 10th year since bombing of Yugoslavia
March 23—Hundreds of representatives are meeting in Belgrade on March 23-24 to commemorate the 10th anniversary of the U.S.-led 78-day bombing of Yugoslavia and the heroic resistance of its people and military during NATO’s aggressive and illegal war. Participants came from many European countries, including Bulgaria, Belgium, Russia, Germany, Greece, Italy, Ireland, Britain, Spain, Portugal and Serbia, as well as Palestine, Angola, Brazil, Venezuela and the United States.
In 1999, thousands of courageous students rallied at huge rock concerts on bridges the U.S. and its NATO allies were bombing in Belgrade. Wearing shirts emblazoned with bull’s-eyes, they protested the criminal NATO violation of Yugoslavia’s sovereignty, proclaiming themselves “NATO targets.”
The Belgrade Forum met to “remember the defense of the county” that coincided with NATO’s first step of Western military expansion into the former socialist countries. The U.S.-led NATO assault killed over 2,000 civilians and bombed chemical and water treatment plants, resulting in permanent destruction of the country’s ecology. The Pentagon used bombs and shells with depleted uranium in Kosovo and the rest of Serbia 10 years ago. Now cancer rates there have skyrocketed to over 300 percent above prior rates.
Speakers at the two-day conference said the U.S.-NATO war—allegedly to “liberate” Kosovo—was designed to build Camp Bondsteel, now the largest U.S. military base in southeastern Europe. The U.S.-NATO plan was to transform the Balkans into a launching pad for further military expansion into Eastern Europe and Southwest Asia, which has happened.
Ivan Dimitrov from Bulgaria, one of the speakers at the Belgrade Forum, apologized to Serbs for his nation’s role as the military base from which the U.S. launched many of the aerial attacks during the 78-day war on Yugoslavia. Belgrade, he said, is unique, a city that was bombed by both the Nazis and by NATO. He continued, “The capitalist system is the focus of all the evil in the world.”
In the Yugoslavia of 1989, some 20 million people of many nationalities lived in six republics. Some 70 percent of the country’s productive capacity was publicly owned.
Since Yugoslavia’s breakup, everything has been privatized. The factories are closing. The fancy Benetton, Gap, Ann Taylor and computer stores have few customers. Unemployment is in double digits. In Kosovo, a former province of Serbia that NATO has turned into an abject colony, unemployment is 70 percent.
Protests of NATO ‘celebration’ planned
Most speakers at the Belgrade Forum condemned the world capitalist press for suppressing the truth about what NATO began in Yugoslavia, but noted that this spring marked a new beginning for a worldwide fightback against NATO militarism and the putrefying capitalist system it protects.
The most pro-capitalist, rightist and subservient politicians in Georgia, Ukraine, Azerbaijan, Poland, Bulgaria and other “new” NATO member-states came into office after establishing their loyalty to the West and to neoliberal policies supporting “globalization.” That is, they backed U.S. and European Union imperialist investment and control, turning their countries into Western colonies to defend their own narrow interests.
The workers in Eastern Europe, robbed of free health care, education, the guarantee of jobs and culture, face double-digit unemployment.
Now the U.S. and NATO look to the working-class and farmer youth of Eastern Europe’s “new” NATO members for cannon fodder for its colonial adventures. These youths’ job is to kill and die for NATO in Afghanistan, while NATO military expenditures strain the budgets of these poorer member nations.
The 60th anniversary of NATO in early April has become the focus of protest all over Europe and also in Canada, beginning now. In Montreal, Rome, Brussels and Belgrade people are gathering to say no to NATO expansion, with major protests planned for April 2-4 in and around Strasbourg, France.
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Tanjug News Agency - March 23, 2009
Dacic: UDI is "continued NATO aggression"
BELGRADE - First Deputy PM and Interior Minister Ivica Dacic on Monday in Belgrade addressed a
conference dubbed, "NATO Aggression against Serbia: Ten Years After".
Dacic said that the process of the unilateral proclamation of the secession of Kosovo and its recognition
by certain states presents "a continuation of the bombing, pressure and aggression" which NATO
carried out against Serbia and then Federal Republic of Yugoslavia (SRJ) for 78 days in 1999.
Tanjug news agency reports that he addressed the gathering on behalf of the government, to point out
that the air strikes on Serbia were carried out without a decision of the United Nations Security Council,
that they present a violation of the UN Charter, the Paris Charter, the closing acts of the Organization
for Security and Cooperation in Europe (OSCE), as well as the elementary principles of international
law.
"The bombing of Serbia was a consequence of a false accusation of genocide and ethnic cleansing,
because of a stage-managed massacre, and the alleged guilt of the Serbian forces in Racak," Dacic said.
The attacks against Serbia presented the closing stage of all the pressures put on the country since the
beginning of the 1990s, according to the minister, who is also the leader of the ruling Socialists (SPS).
"It is similar today. Just as then, it also happened now that the unilateral recognition of the
independence of Kosovo and Metohija took place without a decision of the UN Security Council," Dacic
said, pointing out that "the unilateral proclamation of secession and its recognition by certain states
present a continuation of the bombing, pressure and aggression that were in force at that time".
"On the grounds of the illegal manner of the air strikes, the lack of a UN Security Council decision, and
the consequences of the bombing for the Serbian people, the NATO aggression constituted a crime,"
stated the minister.
It was announced last week that the Serbian government will on Tuesday hold a special session
dedicated to Remembrance Day for the victims of the NATO air strikes.
For the first time since 2000, throughout the country citizens will suspend their activities and observe a
minute of silence for the innocent victims as sirens are sounded at noon on March 24 -the 10th
anniversary of the beginning of the attacks.
The government session will be open to the public and it will be addressed by Prime Minister Mirko
Cvetkovic.
Stop NATO
March 31, 2009
NATO's Sixty Year Legacy: Threat Of Nuclear War In Europe
Since its birth the North Atlantic Treaty Organization has envisioned the use of nuclear weapons against non-nuclear nations.
One of the fundamental purposes for the creation of NATO in 1949 was to introduce the permanent stationing of nuclear weapons in Europe.
In a Europe that, in 1949, had no nuclear nation and no atomic bombs of its own.
Whether the United States after the devastating display of its new weapon over the Japanese cities of Hiroshima and Nagasaki in August of 1945 deployed atomic bombs in Europe prior to 1949 will perhaps never be revealed, though reports claim that in 1948 Washington endorsed the deployment in Great Britain of B-29 strategic bombers capable of carrying bombs with nuclear warheads.
What is certain is that after the founding of NATO on April 4, 1949 US nuclear weapons were stationed in several member countries and that several hundred remain on the continent to this day.
The launching of the alliance in no way signalled the beginning of a post-World War II reality in Europe but a continuation of the war, with the former Axis powers Germany and Italy incorporated into NATO and the Soviet Union the new adversary.
On his way to the American White House in January of 1953 General Dwight D. Eisenhower, formerly Supreme Commander of the Allied forces in Europe, became NATO's first Supreme Commander in 1951. Even the title didn't change.
What had changed was that a military alliance had been formed in Europe by the only nuclear power at the time, the United States.
The official NATO handbook, reflecting on the nuclear doctrine of the bloc since its inception, says:
"During the Cold War, NATO’s nuclear forces played a central role in the Alliance’s strategy of flexible response....[N]uclear weapons were integrated into the whole of NATO’s force structure, and the Alliance maintained a variety of targeting plans which could be executed at short notice. This role entailed high readiness levels and quick-reaction alert postures for significant parts of NATO’s nuclear forces."
http://www.nato.int/docu/handbook/2001/hb0206.htm+nato+nuclear+warheads&cd=1&hl=en&ct=clnk&gl=us
NATO was inaugurated on April 4, 1949. The Soviet Union tested its first atomic bomb on August 29, 1949.
In that almost five month hiatus NATO had a nuclear monopoly in Europe. With current US and NATO plans for integrated missile defense and with ongoing air patrols over the Baltic Sea, the Alliance is attempting to reassert its strategic, nuclear dominance over the continent, a topic to be addressed in more detail later.
From 1949 onward NATO's nuclear doctrine has been one described as "flexible response"; that is, the first use of nuclear weapons against a conventional, non-nuclear opponent or for what had been a conflict with conventional weapons.
Its Article 5 mutual military assistance obligation was enforced, as noted earlier, several months before the Soviet Union had even tested an atomic weapon.
The rationale employed for this policy was that the Soviets at the time possessed conventional military superiority on the European continent and in the event of an armed conflict with the USSR the United States and its new NATO allies would resort to atomic attacks.
The Alliance's Defense Doctrine of November 1949 called for insuring “the ability to carry out strategic bombing including the prompt delivery of the atomic bomb. This is primarily a US responsibility assisted as practicable by other nations.”
The deployment of US nuclear weapons in Europe was effected through what is known as "nuclear sharing," the basing of nuclear weapons on the territories of NATO non-nuclear weapon states.
By the mid-1950s the US had confirmed the deployment of nuclear arms in Britain and the Federal Republic of Germany.
The stationing of such weapons increased steadily so that by the early 1970s there were an estimated 7,300 US nuclear weapons deployed in Europe.
As to what use these weapons might be put to, US National Security Archive documents released five years ago provide a horrifying indication.
In a meeting of the National Security Council in 1973 chaired by the National Security Adviser (and Secretary of State) of the time Henry Kissinger, the Chairman of the Joint Chiefs of Staff Vice Adm. John P. Weinel, seemingly without reservation or regret, announced this plan:
"Now our objective is (to destroy) 70 percent of the floor space of war-supporting industry. A better criterion would be the post-recovery rate plus hitting the Soviet Army to prevent it from overrunning Europe.
"Another choice is to go for people - a goal of 70 million Russians for example."
(Associated Press, November 24, 2004)
Although the bombs stored in Europe were American and under the control of the Pentagon, war plans called for their loading onto fellow NATO nation's bombers for use against the Soviet Union and its (non-nuclear) Eastern European allies.
The Alliance states hosting the weapons were Belgium, Britain, Germany, Italy, Greece, the Netherlands and Turkey.
All except for Greece still house US nuclear arms on their territory.
With the dissolution of the Soviet-led Warsaw Pact in 1989 and of the Soviet Union itself two years later, NATO scaled back on nuclear weapons stationed in its member states but has retained several hundred to the present moment.
Several hundred tactical nuclear bombs and the advanced aircraft capable of delivering them are still in NATO's arsenal in a post-Cold War Europe in which Russia is the only potential target.
The Strategic Concept adopted by the Alliance in April of 1999 - when NATO proved to be what its opponents had always suspected it was intended to be, an alliance for waging war as it was at the time against Yugoslavia - reaffirmed its commitment to its nuclear posture:
"The supreme guarantee of the security of the Allies is provided by the strategic nuclear forces of the Alliance, particularly those of the United States; the independent nuclear forces of the United Kingdom and France, which have a deterrent role of their own, contribute to the overall deterrence and security of the Allies.
"A credible Alliance nuclear posture and the demonstration of Alliance solidarity and common commitment to war prevention continue to require widespread participation by European Allies involved in collective defence planning in nuclear roles, in peacetime basing of nuclear forces on their territory and in command, control and consultation arrangements. Nuclear forces based in Europe and committed to NATO provide an essential political and military link between the European and the North American members of the Alliance. The Alliance will therefore maintain adequate nuclear forces in Europe."
Although the Pentagon has never and still doesn't acknowledge the true figures, the Federation of American Scientists estimates there are between 200 and 350 warheads at bases in Britain, Germany, the Netherlands, Belgium, Italy and Turkey.
A Time Magazine report of June of last year revealed that "The U.S. keeps an estimated 350 thermonuclear bombs in six NATO countries. In four of those — Belgium, Germany, Italy and the Netherlands — the weapons are stored at the host nation's air bases, where they are guarded by specially trained U.S. military personnel.
"A 'burden-sharing' agreement that has been at the heart of NATO military
policy since its inception.
"Although technically owned by the U.S., nuclear bombs stored at NATO bases are designed to be delivered by planes from the host country."
The bombs include B61-3, B61-4, and B61-10 nuclear weapons at eight different bases.
The B-61 in its latest variant, the 1997 Mod 11, is a thermonuclear gravity bomb and 180 are estimated to be stationed on European airbases under the NATO nuclear sharing arrangement. It is the standard contemporary American nuclear bomb.
The basing of nuclear arms in non-nuclear-weapon states with the further intent of their being used by warplanes of the latter under NATO "burden sharing" and "nuclear sharing" agreements runs afoul of the 1968 Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons [Nuclear Non-Proliferation Treaty or NPT).
Article I of the Treaty states:
"Each nuclear-weapon State Party to the Treaty undertakes not to transfer to any recipient whatsoever nuclear weapons or other nuclear explosive devices or control over such weapons or explosive devices directly, or indirectly; and not in any way to assist, encourage, or induce any non-nuclear-weapon State to manufacture or otherwise acquire nuclear weapons or other nuclear explosive devices, or control over such weapons or explosive devices."
Article II continues:
"Each non-nuclear-weapon State Party to the Treaty undertakes not to receive the transfer from any transferor whatsoever of nuclear weapons or other nuclear explosive devices or of control over such weapons or explosive devices directly, or indirectly; not to manufacture or otherwise acquire nuclear weapons or other nuclear explosive devices; and not to seek or receive any assistance in the manufacture of nuclear weapons or other nuclear explosive devices."
Five of the six NATO nations still hosting US nuclear weapons and obligated to deploy their own aircraft to use them if ordered to are non-nuclear-weapon states: Belgium, Germany, Italy, The Netherlands and Turkey.
Last June a spokesman for the Global Peace and Justice Coalition in the Turkish city of Adana, only a few kilometers from the Incirlik air base used for decades by the US and NATO, asserted that Incirlik contained the largest amount of US nuclear weapons outside the United States itself and "We have organized many protests for this base of war to be shut down and for the disarmament of the nuclear warheads. We do not wish to see Adana and Turkey becoming Hiroshima. We will not give up."
(Turkish Daily News, June 30, 2008)
In the same month a German federal official, Ulrich Wilhelm, stated that his nation was duty-bound to the use of nuclear arms as an alleged military deterrent and added, "For the foreseeable future....we remain of the view that a deterring military capacity includes not only conventional capacity but also nuclear components."
(Agence France-Presse, June 23, 2008)
Up to 20 US nuclear warheads are reportedly deployed at the German airbase in Buechel, where they can be mounted on German Tornado fighter planes for missions to the east. An additional 130 American warheads are suspected to be stored at the US airbase in Ramstein for similar purposes.
German peace groups and the Left Party have for years demanded the removal of the weapons and a nuclear-free Germany.
In December of 2007 the mayors of the Italian cities of Aviano and Ghedi, which both host dozens of US nuclear warheads, signed a petition demanding the abolition of all nuclear weapons.
"Stefano Del Cont, mayor of Aviano since June, said he and Anna Giulia Guarneri, the mayor of Ghedi, joined hundreds of other city leaders around the globe in seeking the ban. They’re all members of Mayors for Peace, an organization started in the 1980s by the mayor of Hiroshima — one of two Japanese cities hit by atomic bombs at the end of World War II."
(Stars and Stripes, December 18, 2007)
The references to Hiroshima by both the Turkish and Italian opponents of nuclear warheads in their nations under NATO obligations are not alarmist.
In January of 2008 an 150-page manifesto was prepared for the then upcoming NATO summit in Bucharest, Romania by General John Shalikashvili, the former chairman of the US joint chiefs of staff and NATO Supreme Commander, General Klaus Naumann, Germany's former top military commander and ex-chairman of NATO's Military Committee, former Dutch chief of staff General Henk van den Breemen, former French chief of staff Admiral Jacques Lanxade and British field marshal and ex-chief of the general staff and the defence staff Lord Inge.
It stated inter alia that "The first use of nuclear weapons must remain in the [NATO] quiver of escalation as the ultimate instrument to prevent the use of weapons of mass destruction" as well as demanding the "end of European obstruction of and rivalry with Nato," and "the use of force without Security Council authorisation...."
As recently as this January NATO Supreme Commander General John Craddock reinforced the point, stating:
"[T]he fact is there is strategic need and advantage for nuclear weapons....The alliance has made the decision to have them. There has been no debate to retrograde them out."
(GovExec.com, January 9, 2009)
Pentagon chief Robert Gates commissioned a report that was released on January 8 of this year which urged that the "United States should keep tactical nuclear bombs in Europe and even consider modernizing older warheads on cruise missiles...."
The report included the contention that "The presence of U.S. nuclear weapons in Europe remains a pillar of NATO unity."
(Washington Post, January 9, 2009)
NATO has come full circle. Or rather it has never abandoned its plans for nuclear superiority, only now not only in Europe and the so-called Euro-Atlantic sphere, but globally. And it no longer hides its intention to use nuclear weapons first and against non-nuclear nations.
Since the accession of the three Baltic nations of Estonia, Latvia and Lithuania into NATO in April of 2004, Alliance warplanes have flown air patrols over the Baltic Sea region in six month rotations by member states.
Most all the NATO partners have used the jet fighter of choice for most Alliance members, the US Raytheon-produced F-16. (France has used Mirages and Poland and Romania MIGs.)
Though a jet fighter, the F-16 is a modern multirole combat aircraft which among other capabilities has that of dropping 1,000-pound bombs as it has in Iraq and Afghanistan and of firing cruise missiles. Cruise missiles can be equipped with nuclear warheads.
Raytheon has recently successfully tested its Network Centric Airborne Defense Element missile defense system on the F-16 with the intercept of a test ballistic missile.
The US Baltic rotations have employed the F-15 Eagle, the latest version of which, the F-15E Strike Eagle, is equipped with laser-guided Bunker Buster bombs and anti-satellite missiles.
NATO warplanes flying over the Baltic Sea states are within a four minute flight from Russia's second-largest city, St. Petersburg.
See:
Baltic Sea: Flash Point For NATO-Russia Conflict
http://groups.yahoo.com/group/stopnato/message/37592
The most advanced current US stealth bomber, the B-2 Spirit, is described by its manufacturer, Northrop Grumman, as "a low-observable, strategic, long-range, heavy bomber capable of penetrating sophisticated and dense air-defense shields. It is capable of all-altitude attack missions up to 50,000ft, with a range of more than 6,000nm unrefuelled and over 10,000nm with one refuelling, giving it the ability to fly to any point in the world within hours."
Its prospective replacement, the New or Next Generation (2018) Bomber, will be yet more difficult if not impossible to detect with radar and repulse by air defenses and would be the warplane of choice to deliver nuclear payloads deep inside the interior of an intended target nation as it is able to "survive in hostile airspace for extended time" and can carry nuclear weapons.
The deployment of either of the above to Europe would raise an alarm in Russia for just that reason, but could be done under NATO "mutual defense" auspices, either to Poland and the Baltic states or to newly-acquired US strategic airbases in Bulgaria and Romania, directly across the Black Sea from Russia.
See:
Black Sea: Pentagon's Gateway To Three Continents And The Middle East
http://groups.yahoo.com/group/stopnato/message/37498
Cloaked in secrecy as they have been for more than half a century, if US warheads are transported from bases in Germany to Poland, Estonia or Bulgaria, it won't be reported on the evening news.
The air component is an integral part of a broader strategy that also includes nuclear cruise missiles and the third position American missile shield plan for Eastern Europe that would serve as the foundation for a NATO continent-wide missile system.
A commentary in the Russian Information Agency Novosti of almost two years ago provided this unnerving scenario:
"[L]ong-range cruise missiles should be launched from [several] areas to hit Russian ICBM silos. Their flying time to targets is between 2.5 and
three hours. The American ABM in Europe is supposed to destroy the surviving Russian missiles. This is the whole point....[T]here are numerous indications of a war in the making."
On the issue of so-called missile defense plans for NATO nations in general and new member states in Eastern Europe in particular, see:
21st Century Star Wars And NATO's 60th Anniversary Summit
http://groups.yahoo.com/group/stopnato/message/36725
Last month the same above-cited Russian source warned that, "The missile defense problem has nothing to do with Iran, but it cannot be separated from Russia's relations with NATO countries. It is impossible to pluck the issue of missile defense out of the whole range of security issues in Europe....At the end of the day the possible deployment of American bases with strike weapons in the new NATO member countries is no less of a threat than the deployment of a missile defense system or the possible accession of Georgia and Ukraine to NATO."
No less a Western establishment authority as the Council on Foreign Relations recently quoted an expert acknowledging that "[Russia believes] that nuclear missiles will be deployed in Poland near Russia and these nuclear missiles will have also a first-strike capability and could hit Moscow before [Russia's response] could get airborne, so this is going to actually be seen not so much as missile defense as a deployment of first-strike capability."
(Council on Foreign Relations, March 18, 2009)
Although the deployments of US warplanes, missiles and nuclear warheads in Europe are often presented as bilateral arrangements between Washington and the respective host countries, in fact they are an inevitable and ineradicable component of NATO relations and demands.
Self-styled global, 21st Century NATO will meet for its sixtieth anniversary summit in France and Germany in three days and is expected to craft a new Strategic Concept, one that will leave few spots on Earth unaffected.
And it will reaffirm its policy of basing and when it deems fit using nuclear weapons.
Report sul meeting internazionale “TARGET" svoltosi Sabato 21 e Domenica 22 marzo ‘09
La grande e qualificata partecipazione, nonché il livello delle relazioni e dei contributi al dibattito hanno ripagato ampiamente le fatiche di chi si è dedicato per mesi a costruire questa iniziativa, unica in Europa oltre a quella che si è svolta a Belgrado.
L’incontro di Vicenza infatti non si è limitato a ricostruire la corretta interpretazione storica delle cause, delle responsabilità, delle modalità e delle conseguenze di quella che fu chiamata, con un tragico ossimoro “guerra umanitaria”, dove i massacri delle stesse popolazioni “da liberare” furono tali che perfino i media asserviti alla NATO ebbero difficoltà a farli passare come “effetti collaterali”.
Il meeting ha affrontato tutte le tematiche connesse con la “guerra globale” per la spartizione del dominio imperialista nel mondo dopo il crollo del cosiddetto “blocco sovietico”, di cui lo smembramento della Jugoslavia plurinazionale e socialista fu il primo, ed il più drammatico, episodio nel cuore stesso dell’Europa.
La Propaganda di guerra (titolo della Ia sessione, con interventi di A. Martocchia, G. Chiesa, J. Elsaesser) è appunto quella con cui i manipolatori della cosiddetta “opinione pubblica” per conto delle potenze occidentali “legittimano” le nuove campagne di conquista neocoloniale: Le Nuove Crociate, la cui analisi è stata affrontata nella IIa sessione (A.Catone, D.Johnstone), chiarendo i rapporti fra crisi economica e politiche militari, che spiegano il passaggio dal wellfare (stato sociale) al warfare (stato di guerra), nel sistema capitalistico maturo, in cui la classe dirigente italiana è inserita integralmente, nonostante le residue illusioni di qualche ingenuo. (Sul tema L. Vasapollo ha inviato un contributo scritto, mentre in video M. Dinucci ha illustrato i nuovi compiti strategici della NATO, i cui crimini sul piano del – presunto - diritto internazionale e di guerra sono stati poi commentati dal giurista D. Gallo).
Gli effetti specifici della guerra in Jugoslavia sono stati presentati nella IIIa sessione, dal titolo Ecocidio (coordinata da C. Della Porta, con A. Tarozzi e V. Gennaro), e corredati da una impressionante documentazione filmata.
Dopo un cena bio-equo-solidale (ringraziamo la Fileo onlus, gruppo di volontariato sociale, che ha in parte contribuito alle spese) la serata è stata riempita dall’esibizione di 3 gruppi musicali e da una breve recita da “Target-Belgrado1999” (di e con Mario Mantilli), che hanno intrattenuto i presenti vicentini/e (in gran parte giovani) di origine jugoslava.
Sono molte migliaia infatti le famiglie immigrate da quelle regioni che risiedono nella nostra città e provincia, come ha esposto dettagliatamente N.Turati (Cub migranti) il giorno dopo.
Il programma di domenica mattina (Rovesciare il Target – è possibile?) si è concentrato, da un lato, sulle questioni sociali e sindacali connesse alla situazione attuale dei lavoratori nei Balcani, in Italia ed in Europa (G. Raniero, Z. Mihajlovic); dall’altro su casi esemplari di resistenza e di solidarietà, come la ricostruzione autogestita della Zastava a Kragujevac e lo sviluppo del movimento delle adozioni a distanza (G. Vlaic, A. Di Meo, R. Pilato, R. Veljovic, S. Ciric + documentazione video).
Infine un intenso dibattito ha concluso il meeting.
Un elogio particolare va dedicato a tutti coloro che hanno risposto con generosità alle richieste di collaborazione tecnica e logistica, dedicando gratuitamente tempo, mezzi e passione alla riuscita dell’evento.
E’ prevista la produzione degli atti in forma scritta e/o video. Intanto chi lo desidera può sentire le registrazioni audio della prima giornata sul blog di “la voce dei comitati-radio cooperativa”: http;//lpp.opencontent.it/?p=1374
(report a cura di Paolo C. rete Disarmiamoli Vicenza).
http://www.liberazi one.it/a_ giornale_ index.php? DataPubb= 22/03/2009
A 10 anni dalle bombe su Belgrado un meeting prepara la protesta anti
Nato
A Vicenza per fermare le "guerre umanitarie"
Checchino Antonini
Vicenza - nostro inviato
Che a Vicenza ci sia Camp Ederle lo sanno tutti da cinquant'anni. Meno
noto che da lì, è il comando Usa per il Sud Europa, partivano gli
ordini per far decollare gli F16 da Aviano verso la Jugoslavia. E poi
da Ederle si sarebbe mossa la 173ma brigata aviotrasportata Usa,
quella del fosforo su Falluja. La prima e la seconda guerra umanitaria
sono state ordinate da questa città che tenta di evitare l'ennesima
base Usa sul suo territorio. Intanto, da pochi giorni, la targa sulla
caserma Usa avverte che tra qui e Napoli si divide Africom, il comando
Usa per le operazioni in Africa. La guerra umanitaria al Sudan pare
ancora più vicina. E poi Vicenza è anche il posto con la più numerosa
comunità di lavoratori serbi. Lavorano nel tessile e nelle fabbriche
metalmeccaniche dell'Alto vicentino. Ecco perché la loro presenza si
notava, ieri, tra i partecipanti a "Target", il meeting internazionale
nel decimo anniversario dei bombardamenti Nato promosso dalle reti
Disarmiamoli, Sempre contro la guerra, Rdb e Coordinamento nazionale
per la Jugoslavia, una onlus che raccoglie quell'opinione contraria
allo smembramento della repubblica federale di Jugoslavia. Una due
giorni, con attivisti serbi e croati, che serve anche a lanciare la
partecipazione italiana alla mobilitazione europea indetta dal Fse
contro i festeggiamenti per il sessantesimo della Nato proclamati per
il 4 aprile a Strasburgo.
«C'è una rimozione generale sulle responsabilità italiane nel sistema
guerra», avverte Nella Ginatempo (Sempre contro la guerra). Dieci anni
dopo, era il 24 marzo del '99, la Jugoslavia è devastata, la Nato si
appresta a rilanciare il suo ruolo: lo scudo spaziale, l'Afghanistan,
l'allargamento a Est, l'accerchiamento della Russia, la cooperazione
con Israele. «Il contesto politico è difficilissimo» , segnala Roberto
Luchetti, (Disarmiamoli) . Sarà perché c'è una strisciante
riabilitazione di D'Alema,il primo premier ex Pci che lanciò la nostra
aviazione, seconda solo a quella Usa, nei 78 giorni di guerra aerea
che seminarono 23mila bombe e missili all'uranio impoverito su città e
campagne con lo scopo di lanciare l'Italia nella nobile cerchia dei
Grandi. Il 10 giugno del '99 lo stesso D'Alema si complimentò coi
piloti per la loro esperienza «professionale e umana». Avvenne, quella
esperienza, dopo una campagna di bugie che preparò la guerra, evitò
accordi di pace, fece fallire l'Onu e lanciò le parole d'ordine di una
guerra umanitaria e pulita, come ha spiegato il giornalista tedesco
Juergen Elsaesser autore di una sorta di enciclopedia delle menzogne
su quell'aggressione. In contemporanea con eventi analoghi, a
Salonicco e Montreal, gli interventi (tra gli altri di Domenico Gallo,
Andrea Catone, Manlio Dinucci, Giulietto Chiesa, la statunitense Diana
Johnstone) hanno osservato sotto ogni punto di vista la prima guerra
dopo la fine del Patto di Varsavia, la prima "out of area" della Nato,
contro un paese che non aveva aggredito nessuno, e tantomeno un membro
dell'Alleanza militare che traina i tre quarti della spesa militare
mondiale. Gilberto Vlaic e Riccardo Pilato, quel 24 marzo, scesero in
piazza, uno a Trieste, l'altro a Brescia. Subito dopo iniziò la loro
opera di solidarietà con le popolazioni colpite. Ricordano a
Liberazione l'impulso decisivo delle camere del lavoro e delle Rsu per
attivare forme di aiuto tra lavoratori che continuano da dieci anni.
La più significativa, probabilmente, è l'affido a distanza per 1800
figli degli operai della Zastava, la più grande fabbrica dei Balcani,
a Kragujevac, 150 km a sud di Belgrado. «Città multietnica dove i
lavoratori non si sono mai sparati tra loro», ricorda con orgoglio
Rajka Veljovic, di Samostalni, il maggior sindacato serbo. Dell'uranio
impoverito non si sa ancora nulla di ufficiale, spiega la
sindacalista, tutto è coperto. Ma già sono evidenti i danni del
disastro ambientale dei bombardamenti su fabbriche e depositi chimici.
«Bombardare Pancevo è stato come bombardare Porto Marghera»,
esemplifica Vlaic. L'embargo, le privatizzazioni, le bombe, e lo
"spezzatino" hanno ridotto la Zastava da 36mila dipendenti (nel 99
erano in cassa integrazione) ai 3mila attuali della fabbrica più
grande del gruppo, altri 700 lavorano nella Zastava camion e 2000
nella fabbrica di armi leggere. In dieci anni la cooperazione tra
lavoratori ha seminato studi dentistici, ambulatori, palestre, mense,
un centro per ragazzi down, un altro per invalidi civili, tentando di
intervenire sui bisogni reali. Ma il paese è in svendita. E la Fiat
s'è appena comprata la Zastava, con un accordo firmato strategicamente
alla vigilia delle elezioni di un anno fa. Dicono a Kragujevac che sia
la multinazionale torinese ad avere vinto le elezioni. Poi la crisi ha
gelato tutto, la Fiat non ha ancora cacciato un euro. E i nostri
salari somigliano sempre più a quelli dell'Est, avverte Germano
Raniero, della Cub vicentina: «Se l'arretratezza ci accomuna, sarà
possibile che i lavoratori si mobilitino tutti insieme?».
22/03/2009
Kosovo : Fruits amers d’une intervention «humanitaire» |
Georges Berghezan |
10 ans après les bombardements de l'Otan sur la Yougoslavie Le 24 mars 1999, les bombardiers de l’OTAN entamaient 78 jours de raids sanglants sur la République fédérale de Yougoslavie (RFY), y compris la province serbe du Kosovo en proie à des violences séparatistes depuis trois années. Si les bombes occidentales n’eurent que peu d’effet sur la capacité militaire de l’armée serbo-monténégrine – 13 tanks détruits, notamment -, elles s’avérèrent dévastatrices pour la population civile : ponts, écoles, usines, marchés, trains, convois de réfugiés, stations et émetteurs de radio-télévision, et même l’ambassade chinoise, furent particulièrement visés. Révoltés par ces attaques brutales qu’encensaient des médias intoxiqués par une vision manichéenne des conflits dans les Balkans, quelques militants décidèrent de briser le silence complice d’une majorité de pacifistes. Ils proposèrent à la signature de la population l’appel d’un groupe de juristes belges dénonçant, au nom du droit international, cette agression. Ces militants, de diverses sensibilités de gauche, continuèrent à se réunir après la guerre et donnèrent bientôt naissance au Comité de surveillance OTAN. C’est donc ce conflit, il y a dix ans, qui est directement à l’origine du CSO. Une décennie plus tard, il est donc légitime de se demander ce que sont devenues les entités qui constituaient alors la RFY, et en particulier le Kosovo, au cœur du conflit. Découpage balkanique Le Monténégro a totalement rompu les amarres avec la RFY en proclamant son indépendance en 2006, et entraînant la dissolution de la fédération et l’indépendance – non souhaitée – de la Serbie. Le pouvoir reste – depuis près de 20 ans ! – sous la coupe de l’inamovible Djukanovic, dont un éventuel retrait du pouvoir signifierait la fin de l’immunité et un possible mandat d’arrêt de la justice italienne qui le suspecte d’être un des principaux alliés étrangers de la Sacra Corona Unita et d’autres mafias locales. Vendue aux milliardaires russes, les dirigeants de la petite république – 300.000 habitants – promettent d’en faire le Monaco de la côte adriatique. Après le renversement de Milosevic en 2000, la Serbie s’est fortement rapprochée de l’Union européenne et même des Etats-Unis, tout en intensifiant ses relations avec la Russie. Si l’adhésion à l’OTAN continue à être rejetée par la population et n’est officiellement pas à l’ordre du jour, celle à l’UE est l’objectif prioritaire du gouvernement de Belgrade, avec – bien sûr – la défense de l’intégrité territoriale du pays. La fin de l’année 2008 a connu une double victoire diplomatique de la Serbie, des succès qui semblent mettre fin à une très longue période d’ostracisme. D’une part, l’Assemblée générale de l’ONU a adopté une résolution demandant l’avis de la Cour internationale de justice sur la légalité de la proclamation d’indépendance du Kosovo. D’autre part, la mission européenne EULEX, qui entendait se substituer à la mission de l’ONU en place depuis 1999, a dû se soumettre aux conditions de Belgrade pour obtenir un minimum de légitimité et se faire adouber par le Conseil de sécurité, où la position ferme de la Russie a été décisive. Ainsi, EULEX n’aura pas pour mandat de bâtir un Etat indépendant au Kosovo, mais d’y assurer « la loi et l’ordre », en coordination avec le KFOR, force de l’OTAN dont le mandat n’a guère changé depuis la fin des bombardements et dont le niveau actuel s’élève à quelque 16.000 hommes. Bien que, un an après la proclamation d’indépendance, le nombre d’incidents graves reste assez limité, le Kosovo demeure un baril de poudre, dont la mèche semble localisée dans la ville divisée de Mitrovica. Le nord de la région continue à vivre au rythme de la Serbie, bien qu’EULEX tente timidement d’y établir sa présence. Le reste de l’entité, où la majorité albanaise est plus écrasante que jamais, connaît le taux de chômage le plus élevé d’Europe et est totalement dépendante de l’aide extérieure, Etats-Unis et Allemagne en tête, ainsi que des contributions de l’importante diaspora albano-kosovare. Les enclaves, serbes ou d’autres minorités, sont de véritables ghettos qui n’ont guère changé depuis la mission d’enquête organisée par le CSO durant l’été 2004. La sécurité, l’emploi, la liberté de mouvement, et même l’accès au courant électrique, continuent d’être des notions de plus en plus abstraites pour les habitants de ces enclaves. Sordides trafics Par ailleurs, des faits monstrueux, commis essentiellement il y a dix ans, mais relégués alors parmi les rumeurs les plus fantaisistes, trouvent aujourd’hui leur confirmation et rendent encore plus abject le soutien apporté par les bombardiers et les fantassins de l’OTAN aux indépendantistes de l’Armée de libération du Kosovo, aujourd’hui au pouvoir à Pristina. Une enquête sur les trafics d’organes de prisonniers serbes et peut-être de prostituées « usagées » de divers pays de la région a été lancée par le Procureur pour crimes de guerre de Belgrade après les révélations de Carla Del Ponte, son homologue au Tribunal de La Haye, dans son livre « La Caccia », toujours non traduit en français plus d’un an après la sortie de son édition italienne. Des victimes sont maintenant identifiées, de même que des exécutants et divers lieux dans le nord de l’Albanie où se pratiquaient ces morbides prélèvements, jusqu’à ce que mort s’en suive pour les « donneurs ». Une enquête a également été commandée par le Conseil de l’Europe à Dick Marty, le sénateur suisse qui s’était illustré en mettant à jour les fameux « vols secrets » de la CIA. Par ailleurs, fin 2008 à Pristina, une clinique pratiquant illégalement des prélèvements et des greffes d’organes – sur base « commerciale » ici – a été démantelée et on s’est vite aperçu qu’un des médecins arrêtés avait déjà été cité par des témoins impliqués dans les trafics des années 1999-2000. Il apparaît aussi que la Mission de l’ONU au Kosovo a bel et bien enquêté sur cette affaire en 2003, ce qu’elle niait il y a quelques mois encore, et que le Tribunal de La Haye a détruit des preuves (matériel chirurgical…) trouvées en Albanie lors de cette enquête. Il est significatif que Del Ponte ait révélé ces crimes juste après son départ du Tribunal et que ce dernier a déjà avancé diverses justifications pour ne pas s’y intéresser, car ils n’auraient pas été commis sur le territoire de l’ex-Yougoslavie ou pendant une période de guerre. La complicité d’officiels de l’ONU en poste au Kosovo, qui auraient couvert ce trafic ou empêché toute enquête sérieuse, est de plus en plus souvent avancée. Certes, treize mois après sa proclamation, 56 pays ont reconnu l’indépendance kosovare, mais il s’agit essentiellement de membres de l’OTAN et de micro-Etats. C’est sans surprise qu’on apprend que certaines reconnaissances ont été achetées : ainsi, le pot-de-vin au ministre des Affaires étrangères des Maldives, le dernier pays à reconnaître le Kosovo, se serait élevé à 2 millions de dollars. Mais il reste 138 Etats qui n’ont pas reconnu le Kosovo et parmi eux pratiquement tous les poids lourds d’Asie, d’Afrique et d’Amérique latine. Transformer le trou noir de l’Europe en un Etat crédible, telle est l’improbable mission que UE et OTAN se sont arrogée. Le moins que l’on puisse dire est que dix ans de présence occidentale n’ont guère amélioré le sort de la population albanaise, à l’exception du crime organisé, infiltré jusqu’à la tête du gouvernement. Quant aux Serbes et autres minorités, ceux qui sont restés – une petite moitié de la population d’avant les bombardements – doivent souvent vivre dans des conditions infrahumaines, difficilement imaginables à deux heures de vol de Bruxelles. Non seulement illégale et meurtrière, la glorieuse « intervention humanitaire » de l’Occident a permis un nettoyage ethnique sans doute irréversible et plongé le Kosovo dans une absence totale de perspective de développement. Source: www.csotan.org |
La concomitance entre l’arrivée du 4ème Groupe d’opérations psychologiques (4ème GOP) en Colombie durant l'année 2006 et la stratégie consistant à déplacer les FARC et le conflit civil colombien en territoire vénézuélien ne peut pas être considérée comme une coïncidence. Car c’est exactement à ce moment-là que le Département d'État et le Pentagone ont commencé à accuser publiquement le Venezuela de collaborer avec les terroristes, en faisant particulièrement référence à des deals supposé entre le Venezuela et les FARC. C’est au cours du premier semestre 2006 que Washington a placé le Venezuela sur une liste « de pays qui ne collaborent pas suffisamment dans la lutte contre le terrorisme », en imposant dès lors des sanctions contre ce pays sud-américain qui se sont traduites par l'interdiction de ventes d'armes de la part des USA et de toute entreprise internationale utilisant de la technologie usaméricaine. Le rapport du Département d'État de 2006 disait : « la coopération du Venezuela dans la campagne internationale contre le terrorisme a été insignifiante… Jusqu’à quel point le gouvernement du Venezuela a t-il offert son aide matérielle aux terroristes colombiens, et s’il l'a fait, et à quel niveau ? Ce point n’est pas éclairci, … » (Rapport du Département d'État de 2006, disponible en anglais sur http://www.state.gov/ )
Quelques mois plus tard, en juillet 2006, la Sous-commission sur le Terrorisme International et la Non-Prolifération de la Chambre des Représentants US a organisé une audience intitulée « Le Venezuela : centre du terrorisme en Amérique du Sud ? », où ils ont déclaré : « Le Venezuela, sous le président Hugo Chavez, a toléré les terroristes sur son territoire et a forgé d’étroites relations avec des États officiellement protecteurs du terrorisme tels que Cuba, l'Iran et la Corée du Nord. Les groupes terroristes colombiens utilisent le territoire vénézuélien comme un havre sûr … »
En même temps, la presse internationale a commencé à promouvoir des opinions préconçues en liant le Venezuela au terrorisme. Des articles et des éditoriaux dans le Washington Post, le New York Times, leWashington Times, le Wall Street Journal, El País en Espagne, El Tiempo à Bogota, le Miami Herald, entre autres, répétaient maintes et maintes fois la liaison supposée entre le gouvernement vénézuélien et les FARC, bien qu'ils n'aient jamais présenté de preuve concluante. Toutes les sources citées étaient des sources « anonymes », des « hauts gradés de Washington », et des « analystes », sans citer de noms ni de données ni de faits concrets.
LES GUERRIERS DE LA PROPAGANDE
Le 4ème GOP est la seule unité active d’opérations psychologiques dans l'armée. L'unité est composée de 1.300 officiers et constitue 26% de toutes les unités d'opérations psychologiques de l'armée, les autres 74% sont des réservistes. Pour l'année 2011, il est prévu que ses effectifs monteront à quelques 2.300 experts en opérations psychologiques. La mission officielle du 4ème GOP est d’être en mesure de se déployer rapidement dans n’importe quelle partie du monde pour planifier, développer et conduire des opérations psychologiques et des « affaires civiles » (entendez subversion) en appui de forces coalisées et d’ agences gouvernementales de Washington. Le personnel du 4ème GOP comprend des experts régionaux et des linguistes qui ont une connaissance approfondie des subtilités politiques, culturelles, ethniques et religieuses du public à cibler. Ils sont également experts dans des secteurs techniques comme le journalisme, la propagande radio, la conception graphique, la presse, l’imagerie et les communications tactiques de longue portée. En 2003, le 4ème GOP a inauguré un complexe d'opérations médiatiques des Forces Spéciales ayant coûté 8,1 millions de dollars. Ce complexe est connu comme le centre de production du Pentagone pour toutes ses opérations psychologiques et ses « produits », comme les tracts, brochures, affiches, flash-infos pour la télévision et la radio, qui visent tous à gagner les esprits et les cœurs de ceux que le Pentagone souhaite attaquer. Par exemple, plus de 150 millions de tracts et brochures - tous produits et imprimés dans le complexe du 4ème GOP - ont été diffusés en Irak et en Afghanistan. Le Colonel James Treadwell, Commandant du 4ème GOP, a souligné que plus de 16.000 heures de messages radio ont été émises par son groupe en Afghanistan, et plus de 4.000 en Irak. L’imprimerie du nouveau complexe a la capacité d'imprimer plus d’un million de tracts par jour. Les soldats des opérations psychologiques étudient des techniques de « marketing » et de publicité avant de concevoir leurs « produits ». Ils analysent aussi en détail leurs impacts et leurs rés
Parmi ces entreprises, la SAIC a une histoire assez sale au Venezuela. C’est cette entreprise qui avait monté avec l’entreprise pétrolière d’État PDVSA, une entreprise mixte baptisée INTESA, qui avait commencé en 1995 à automatiser l'industrie pétrolière au Venezuela. Et c’est cette même INTESA qui a commis un des sabotages les plus violents contre l'industrie vénézuélienne à la fin de l'année 2002, avec l'intention de forcer le Président Hugo Chavez à quitter le pouvoir. L'entreprise a été utilisée comme plateforme pour attaquer le « cerveau de la PDVSA », en détruisant toutes ses bases de données et ses systèmes automatisés, l’obligea nt à revenir aux opérations manuelles. Ses actions ont causé des milliards de dollars de dommages à l'économie vénézuélienne et à sa réputation internationale en tant que fournisseur et producteur sérieux de pétrole. Cependant, ils n'ont pas réussi à atteindre leur objectif de renverser le Président Chávez et peu après, INTESA a été fermée et forcée de cesser ses activités dans le pays. Et voilà que trois ans plus tard, de nouveaux contrats apparaissent pour effectuer des opérations psychologiques contre le même gouvernement qu’ ils avaient essayé de neutraliser une première fois sans succès.
Depuis que la plus puissante équipe d’opérations psychologiques des USA s’active contre le Venezuela, on a pu voir le fruit de son travail au niveau international et aussi à l’intérieur du pays. Le Président Chávez est déjà classé comme « dictateur » dans l'opinion publique internationale et peu de gens doutent de sa supposée « relation » avec les FARC en Colombie - bien qu'il n'y ait jamais eu aucune preuve qui confirme cette relation. Aujourd’hui, les opérations psychologiques sont considérées par le Pentagone comme son « arme la plus puissante ». Sur les écrans, les ondes, les quotidiens, les affiches, dans le design de vêtements et d’ objets, ils transmettent leurs messages ciblés et bien pesés pour influencer subtilement l'opinion publique et sa perception sur des sujets d'intérêt. C'est le nouveau champ de bataille où nous sommes tous forcés d’assumer un rôle, car personne n'échappe à l'information et à la communication dans le monde d'aujourd'hui. C’est la lutte pour la vérité et la justice contre le mensonge et la manipulation. La décision d'être victime ou combattant dans cette guerre irrégulière appartient à chacun de nous. Ne nous laissons pas mener en bateau.
http://www.archive.org/download/Psycholo1968_2/Psycholo1968_2_512kb.mp4
Film de formation de l'armée US sur les opérations psychologiques à mener dans un "pays hôte" fictif (probablement en Amérique latine), pour aider le gouvernement local à gagner l'appui de la population. Années 1950.
http://www.archive.org/download/Assignme1956/Assignme1956_512kb.mp4
"Assignment, Venezuela" (Affectation : Venezuela), un film d'opérations psychologiques de 1956 sur un dirigeant d'une société pétrolière US fictive.
Source : Operaciones psicológicas contra Venezuela: Washington y su guerra contra la revolución bolivariana
http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=7219&lg=es
Article original publié le 5/3/2009
Sur l’auteur
Esteban G. est rédacteur du blog http://letacle.canalblog.com/, Fausto Giudice rédacteur du blog Basta ! Journal de marche zapatiste. Tous deux sont membres de Tlaxcala, le réseau de traducteurs pour la diversité linguistique. Cette traduction est libre de reproduction, à condition d'en respecter l’intégrité et d’en mentionner l’auteur, le traducteur, le réviseur et la source.
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Oggetto: Fw: appello da sottoscrivere e diffondere
Data: 21 marzo 2009 16:10:33 GMT+01:00
Un lavoro vero che sfata il pregiudizio che vorrebbe queste comunità inoperose, che produce un reddito onesto e che da la possibilità di risiedere legalmente sul nostro territorio attraverso il rinnovo del permesso di soggiorno altrimenti impossibile con le normative in materia di immigrazione via via affermatisi.
PIJATS ROMANO’: UN MERCATO MA ANCHE UNA PIAZZA
- Sejdovic Dzevad socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati, 72;
- Seferovic Fadil socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Seferovic Pemba socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Sejdovic Samir socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Pontina 601;
- Jovanovic Najdan socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Dameta 57/E;
- Hadzovic Melca socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via della Martora 12/A;
- Sejdovic Nedzib socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Ramovic Radmila socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Jovanovic Julijana, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma via della Martora 12/A;
- Seferovic Zagorka socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Sulejmanovic Sakib socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Ahmetovic Ekrem socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Ahmetovic Zumra, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Sulejmanovic Sakib socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Halilovic socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Sulejmanovic Almasa, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Adzovic Jasmina socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Hrustic Antonio socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Adzovic Grana socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Djordjevic Nebojsa socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Dameta 57/E;
- Jovanovic Dusanka socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Dameta 57/E;
- Adzovic Ekrem socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilino 900;
- Ahmetovic Gordana socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via di Salone 323;
- Gigovic Muhamed socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Sejdic Fuad socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Pontina 601;
- Hrustic Fatima socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Pontina 601;
- Tajkunovic Zivomir socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via di Salone 323;
- Hidanovic Mira, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma via della Martora n. 12/A;
- Piscevic Lidia socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom Roma di Via Salviati n. 70;
- Husovic Murat socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casina 900;
- Djordjevic Gordana socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati, 70;
- Adzovic Naho socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Hamidovic Osman socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Sejdovic Camil socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Pontina 601;
- Sulejmanovic Necko socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati, 72;
- Djordjevic Natasa socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Dameta 57/E;
- Omerovic Fuad, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Pontina 601;
- Bacalanovic Nadica socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Dameta 47/E;
- Osmanovic Cazim socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Cizmic Mahmut, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Ahmetovic Hanka socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilino 900;
- Hadzovic Nedelijko socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via della Martora 12/a
- Salkanovic Suzana, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilino 900;
- Jovanovic Radisa, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Dameta 57/e;
- Jovanovic Marija, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Da meta 47/e;
- Halilovic Elizabeta socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Stojik Nadzija socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via del Baiardo, 50;
- Omerovic Delija socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Pontina 601;
- Stevic Biljana, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Da meta 57/E;
- Salkanovic Mamut socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilino 900;
- Halilovic Mauzer socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati, 72;
- Halilovic Humica socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati, 72;
- Gigovic Senada socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Salkanovic Romeo socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Abaz Ismet socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Pontina 601
- Sulejmanovic Mirabela socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati, 72;
- Hadzovic Serif socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Osmanovic Ismet socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Hamidovic Cazim socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Salkanovic Selvija socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Abaz Minire socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Pontina 601;
- Jovanovic Cica socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via di Salone 323;
- Adzovic Helma socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Cizmic Odisey, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Besic Hajrudin socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via della Martora 12/a;
- Nikolic Ljubisa socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Bagaladi, 99;
- Ahmetovic Sevko, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Ardea;
- Ademi Lebibe socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Ahmetovic Delija socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Zorel Dumitru socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Luigi Candoni;
- Ibrahimovic Brener socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati, 72;
- Ramovic Dragica socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Maric Jelica socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via L. Candoni 91;
- Sejdic Fazlija, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Ostiense;
- Hadzovic Esad, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via della Martora 12/a;
- Mitic Slavoljub socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via della Martora 12/A
- Sejdovic Lepa socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviti 72;
- Sejdovic Malena socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina, 900;
- Petrovic Siba socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via della Martora 12/A;
- Halilovic Luca socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Monte Artemisio n. 10;
- Halilovic Rambo socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Monte Artemisio n. 10;
- Hamidovic Kasim socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Pontina 601;
- Ramovic Danilo, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Adzovic Andriano socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Sejdovic Almira, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Tajkunovic Mihailo socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via di Salone 323;
- Tajkunovic Cica socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via di Salone 323;
- Adzovic Danica socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Sulejmanovic Sonita socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Sulejmanovic Jasminka socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Hrustic Sefika socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Cesarina, 11;
- Halilovic Enes socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Tajkunovic Maradona socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via di salone 323;
- Sejdovic Esad socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Ahmetovic Barabba socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Hadzovic Mirsada socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Sulejmanovic Borzo socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Halilovic Behara socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Husovic Hajrija socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Bogdanovic Stojadinka socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salone n. 323;
- Adzovic Sajma socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Halilovic Jasmin socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Sejdic Azim, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Hrustic Hasnija socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Dandolo ;
- Hrustic Ferida, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Vuckovic Ljiubisa socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 70;
- Sulejmanovic Abi socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Sulejmanovic Rambo socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Hrustic Alessandro socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Pontina 601;
- Sejdovic Emela socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Miftar Azra, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Salkanovic Camil socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Ahmetovic Branko socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Salkanovic Sulta socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Sima Velizar socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 70;
- Cizmic Mirza, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Tajkunovic Jovica socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via di Salone 323
- Sejdovic Mirsad socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Delic Sacir, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Seferovic Dzevad socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Hadzovic Mejra socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Besic Hajrija socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Cizmic Muhamed, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Halilovic Sefko socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Husovic Kleo socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Osmanovic Sead socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Osmanovic Esma, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Sejdic Zlatan socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Adzovic Sida socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Ramovic Samir socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Ramovic Sevko socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Osmanovic Amir socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Hrustic Massimo socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Sejdovic Suvadin socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Sejdovic Bajram socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Husovic Pemba socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via di Salone 323;
- Esadovic Jasminka socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Hadzovic Zehra socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Sulejmanovic Aisa, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati 72;
- Sulejmanovic Renato socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati, 72;
- Sulejmanovic Romson socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati, 72;
- Hamidovic Bisera, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Sejdic Kasim socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Hamidovic Zema, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Cizmic Hasnija socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Osmanovic Abid socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Hamidovic Sacir, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Ibrahimovic Nusret socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati, 72;
- Adzovic Samanta socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Casilina 900;
- Osmanovic Zuhdija socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Sejdic Mersad, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Castel Romano;
- Djordjevic Katica, socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Dameta n. 57/E;
- Barbu Gabriela socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Luigi Candoni, 91;
- Suljic Semsa socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati, 72;
- Omerovic Mevludin socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Pontina, 601;
- Zorel Dumitru socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Luigi Candoni 91;
- Sulejmanovic Izeta socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via Salviati, 72;
- Mitic Dragoslav socio Cooperativa Romano Pijats - Comunità Rom di Roma Via della Mar
(Message over 64 KB, truncated)
Da: Rick RozoffData: 21 marzo 2009 2:36:09 GMT+01:00A: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.Oggetto: Video Interview: "There Is No Humanitarian War"
Interview with Zika Jovanovic, foreign minister of Yugoslavia in 1999:
"There Is No Humanitarian War"
http://www.youtube.com/watch?v=WH1Xf4zFilE
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Stop NATO
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Sabato 21/3/2009 ore 22 (replica Lunedi 23/3/2009 ore 06.30)
10 ANNI DAL BOMBARDAMENTO SULLA JUGOSLAVIA
con Ivan Pavicevac di CNJ-onlus
in studio Miriam Pellegrini Ferri per il G.A.MA.DI.
Parte seconda: http://www.gamadilavoce.it/90321_2.wmv
A 10 ANNI DAI BOMBARDAMENTI - A 60 ANNI DALLA COSTITUZIONE DELLA NATO
ore 21:15 - Biblioteca Comunale - Lungarno Galilei
intervengono: Manlio Dinucci, Ivan Pavicevac, Federico Giusti - Andrea Venturi
proiezione del video: Kosovo - il luogo del delitto