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VITOMIR GRBAC CI HA LASCIATI

Con dolore riceviamo la notizia della scomparsa di Vitomir Grbac. Lo avevamo apprezzato in occasione della sua venuta a Roma per l'iniziativa "Partigiani!", da noi organizzata assieme ad altre realtà il 7-8 maggio 2005. 
Originario di Fiume, già partigiano, poi giornalista e scrittore, Grbac ha raccontato in "Bijela Smrt" (La morte bianca, Casa editrice Adamic, Rijeka-Fiume 2004) il sacrificio dei partigiani della marcia di Matic Poljana (nella Lika, catena montuosa nell'odierna Croazia). Grbac era allora, con i suoi 16 anni, tra i più giovani combattenti nella Divisione di Tito. Nel suo libro descrive la marcia nella Lika, durante la quale morirono assiderati una trentina di partigiani. Alla marcia partecipava anche Antonija-Tonica Dovecar, una giovane incinta di 7 mesi, che fu portata in salvo e che dopo poche settimane diede alla luce il piccolo Ratimir (significativo il suo nome: "è nato in guerra, e che viva nella pace"). Alla nostra iniziativa era presente anche Ratimir, oggi professore alla Facoltà di navigazione a Portoroz in Slovenia, che appare sorridente con la "titovka" bianca in testa all'età di 2-3 anni nella foto pubblicata nel libro "Bijela Smrt".
Grbac scrisse anche "Al seguito di Tito" ("U Titovoj pratnji"), ora alla terza edizione, edito sempre dalla Adamic di Rijeka-Fiume. 
Grbac è stato un instancabile combattente anche in età avanzata. E non aveva mai perso la voglia di apprendere e rinnovarsi: la notizia della sua morte ci giunge dal suo insegnante di informatica, attraverso il suo nuovo indirizzo email...
Per ricordare Grbac riproponiamo, più sotto, il suo intervento alla nostra iniziativa del maggio 2005.


----- Original Message -----
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Sent: Tuesday, March 03, 2009 9:47 PM
Subject: Tuzna obavijest

Poštovani,
imam tužan zadatak kao učitelj gospodina Vitomira Grpca kojeg sam učio do zadnjih dana radu na računalu i internetu da Vas obavijestim da je gospodin Vitomir preminuo 22. veljače 2009 godine u 83. godini, dva dana nakon operacije u bolnici. Njegov oslabljeno tijelo iscrprljeno s par prethodnih operacija jednostavno nije izdržalo.
Šaljem Vam ovo tužno pismo s njegovog računala i njegove elektroničke adrese, pa neka ovo bude i njegovo zadnje pismo koje Vam piše. Neka Vas ovo pismo podsjeti na njega. Ja kao njegov učitelj mogu reći da njegova želja za učenjem u njegovim godinama i volja za novim znanjima je bila nevjerojatna i koja se ne viđa ni kod puno mlađih ljudi.
 
S poštovanjem,
 
učitelj Predrag i supruga Sabiha
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INTERVENTO DI VITOMIR GRBAC

"Bijela Smrt"
La marcia eroica dei 680 di Matic Poljana


Sono onorato dell'invito a partecipare a questo raduno di antifascisti e partigiani, in occasione del sessantesimo anniversario della vittoria sul fascismo, soprattutto per il fatto che ho aderito alla lotta armata prima del compimento del mio sedicesimo anno di età. In questa lotta mi ha coraggiosamente accompagnato mia madre Maria, che vi ha perso la vita l'11 agosto 1942, quale primo operatore sanitario della regione. Sono stato il più giovane tra le guardie di Tito, e ho trascorso al suo fianco otto mesi di guerra, impegnato nelle due più cruenti battaglie della nostra lotta. Riguardo a quest'esperienza ho pubblicato un libro intitolato "Al seguito di Tito" (U Titovoj pratnji).
Durante la seconda guerra mondiale, sotto la direzione del Partito comunista, con a capo Josip Broz Tito, in Jugoslavia è stata organizzata una guerra antifascista vittoriosa e di grandi proporzioni. In essa ha svolto un ruolo di rilievo anche la Croazia antifascista, che si è opposta alla dittatura di Pavelic; le è stato reso merito nella Costituzione dell'attuale Stato autonomo di Croazia, che in essa viene definito "un paese fondato sulle conquiste della lotta antifascista".
Purtroppo in questa stessa Croazia, dopo i cambiamenti sociali degli anni Novanta, sono pur sempre presenti, come in nessun'altra parte al mondo, idee e attività di estrema destra. Per illustrare quanto affermo citerò solo alcuni dati. 
In Croazia, dopo i cambiamenti sociali degli anni Novanta sono stati demoliti o danneggiati 3.000 mila monumenti e lapidi dedicate alla lotta antifascista.
I diritti acquisiti dai combattenti antifascisti sono stati radicalmente limitati. Alcune vie sono state intitolate a politici fascisti (ustascia).
I libri di testo traboccano di errori storici relativi all'epoca recente, cosicché i giovani non hanno modo di trarre alcun insegnamento riguardo alla lotta antifascista. Sono stati eretti e successivamente smantellati anche dei monumenti dedicati a delinquenti fascisti. A Zara i neofascisti hanno organizzato una marcia indossando uniformi e recando insegne fasciste.
Il 27 dicembre [2004] è stato minato anche il monumento al maggiore e più noto combattente antifascista, Josip Broz Tito, nei pressi della sua casa natale a Kumrovec.
Poco tempo fa, sull'isola di Murter è stato minato ancora uno dei tanti monumenti partigiani.

La lotta antifascista nel litorale croato e nella regione del Gorski Kotar si è evoluta prima e in modo più massiccio rispetto alle altre regioni croate. Vi hanno contribuito il movimento operaio consolidato prima della guerra, la forte influenza del Partito Comunista della Croazia, l'orientamento antifascista della popolazione stessa ed altri fattori.
Per tali motivi, già nel 1941 venne creato un numero considerevole di accampamenti partigiani; sul finire dello stesso anno quello del Tuhobic contava ben 120 combattenti.
Parallelamente, evolvevano anche altre istituzioni ed organi del potere popolare legate al movimento di liberazione. Continuava ad aumentare il numero dei membri e delle organizzazioni del Partito comunista e della gioventù, venivano istituite le organizzazioni del Partito comunista e della gioventù, venivano istituite le organizzazioni del fronte antifascista delle donne e della gioventù, che avrebbero rivestito un ruolo importantissimo nel corso della guerra.
L'entità numerica delle unità partigiane andava aumentando di giorno in giorno. Il 10 marzo 1942 il Distaccamento litoraneo montano contava 608 combattenti. Le unità partigiane portavano a termine operazioni di successo in tutte le direzioni.
L'eco di queste gesta faceva accorrere un numero sempre più grande di nuovi partecipanti. Dalla cittadina di Delnice si unirono alla lotta ben 150 giovani.
Alla fine di marzo fu costituito ancora un battaglione. In meno di un mese il distaccamento aumentò di 700 nuovi combattenti, mentre il 10 aprile ne contava già 1136.
A quei tempi, in base alle esperienze positive delle prime brigate proletarie, il Comandante supremo Josip Broz Tito diede il via ad un'azione su vasta scala, tesa a fondare truppe e battaglioni proletari d'assalto e giovanili in tutte le regioni della Jugoslavia, in quanto aveva già una visione netta riguardo alla progressiva creazione di un esercito di liberazione popolare della Jugoslavia, poiché solo un organismo militare regolare avrebbe portato alla realizzazione dei fini strategici.
Alla fine del 1942 vennero pertanto formate 28 brigate partigiane e 85 distaccamenti. Nel corso del 1943 furono istituite 21 divisioni e 90 brigate. Si proseguì inoltre con la formazione di distaccamenti partigiani il cui compito era quello di coprire e difendere i territori e mobilitare nuovi combattenti.
L'Esercito di liberazione popolare contava allora 350 mila combattenti. Durante il 1944 vennero formati 15 corpi d'armata, 35 divisioni, 180 brigate e 142 distaccamenti.
Durante l'intero corso della guerra, in Jugoslavia vennero costituite 68 divisioni, 4 delle quali italiane, 367 brigate e 556 distaccamenti partigiani. L'Esercito di liberazione popolare e i distaccamenti partigiani della Jugoslavia contavano, alla fine della guerra, all'incirca 800.000 mila combattenti.
La creazione e l'evoluzione dell'Esercito di liberazione popolare della Jugoslavia è un esempio unico nella storia. Praticamente dal nulla, oltre ai 6.000 membri del Partito comunista e ai 12.000 membri della gioventù comunista (SKOJ), in un clima popolare antifascista, fu costituito un esercito sotto la guida di Tito, che alla fine della guerra fu in grado di combattere ad armi pari a fianco degli Alleati, per sbaragliare il nazismo, ossia il male più grande della storia umana.

L'Esercito di liberazione popolare della Jugoslavia s'impegnò, nelle operazioni finali, a difendere parte del fronte alleato dall'Ungheria al Mare Adriatico. Sfondando il fronte dello Srijem il 12 aprile 1945, continuò a procedere vittoriosamente verso occidente liberando il paese con le proprie forze. Il forte afflusso di combattenti nelle unità della regione di Brinj, portò alla costituzione del Quarto battaglione battezzato col nome della coraggiosa partigiana Ljubica Gerovac, caduta il 16 aprile.
Alla compagnia delle cittadine di Susak e Kastav si accodò in una quindicina di giorni un centinaio di nuovi combattenti per cui venne istituito anche il Quinto battaglione, che ebbe il nome del partigiano istriano Vladimir Gortan. È di particolare importanza il fatto che esso venne costituito nei pressi del confine italo - jugoslavo, col compito di penetrare con una parte delle sue forze in Istria, per sostenere lo sviluppo del movimento di liberazione popolare.
La situazione militare e politica nel territorio della Quinta zona operativa era molto favorevole. Le azioni militari erano frequenti e di successo. La mobilitazione dei combattenti nuovi procedeva molto bene. Il comando della zona istituì pertanto due nuovi distaccamenti verso la fine del 1942.

L'occupatore non riusciva ad arginare la situazione, terrorizzava e minacciava il popolo. Iniziò bruciare i villaggi e ad uccidere la popolazione inerme. Nel Castuano, il 5 giugno furono uccisi dodici giovani, mentre il 12 luglio del 1942 nel villaggio di Podhum furono fucilati oltre 100 uomini dai 16 ai 65 anni d'età; le case furono depredate e incendiate e le donne, i vecchi e i bambini furono deportati nei campi di concentramento.
L'occupatore italiano diede quindi il via all'offensiva denominata "Operazione Risnjak". Le forze impiegate erano di 20.000 uomini circa e furono dispiegate nel territorio controllato dal Secondo distaccamento. Venne però catturata nei boschi parte della popolazione che vi aveva trovato rifugio e che quindi venne deportata nei campi di concentramento.
Nel settembre 1942 l'occupatore italiano intraprese un'operazione ancor più massiccia, denominata "Velika Kapela", diretta nuovamente al territorio del Secondo distaccamento. L'occupatore ingaggiò 40.000 soldati, parte dei quali erano traditori del popolo. Il comandante della Quinta zona operativa aveva però eseguito la ritirata di tutte le forze partigiane per cui l'offensiva andò a vuoto. I villaggi abbandonati furono messi a ferro e fuoco. Otto battaglioni partigiani riuscirono ad attaccare l'occupatore alle spalle infliggendogli notevoli perdite.
Fallì ancora un tentativo dell'occupatore di distruggere le forze partigiane della zona litoraneo montana. Si verificò invece un loro sostanziale rafforzamento, cosicché subito dopo l'operazione "Velika Kapela" (nome della montagna), il 6 ottobre 1942 a Dreznica venne fondata la prima brigata litoraneo montana, cui fece seguito la seconda il 26 novembre. Queste due unità tattico - operative diedero molto filo da torcere all'occupatore nel periodo successivo. Verso la metà dell'aprile 1943 dalla loro fusione nacque la Tredicesima divisione litoraneo montana.

L'Italia fascista di Mussolini capitolò l'8 settembre. L'Esercito di liberazione popolare della Jugoslavia si preparava già a quest'evento. Le unità vennero indirizzate alle guarnigioni italiane per effettuarne il disarmo. Nel corso della capitolazione dell'Italia vennero requisiti grandi quantitativi di armi e materiale bellico. In tutte le regioni si manifestò un'insurrezione di massa. In Istria venne fondata la Prima brigata "Vladimir Gortan".
Un gran numero di militari italiani passò all'Esercito di liberazione popolare. Si costituirono anche delle unità italiane speciali, ovvero ben 14 brigate e 2 divisioni.
L'occupatore tedesco reagì tempestivamente e in modo energico, allo scopo di colmare il vuoto venutosi a creare con la capitolazione dell'Italia. Numerose unità dell'Esercito popolare, completate con gran numero di combattenti inesperti, vennero a trovarsi in una situazione difficile. Alcune di esse furono temporaneamente smembrate.

Era l'inizio dell'inverno 1943/1944, le unità della Tredicesima divisione continuavano la lotta nel territorio montano della Lika e del Gorski Kotar.
Dopo scontri cruenti con i tedeschi, circa 1.600 combattenti vennero sorpresi l'11 e il 12 di febbraio da una tremenda tormenta nella regione montana quasi del tutto disabitata, poiché la popolazione si era ritirata nei boschi.
Un simile raggruppamento di soldati e civili in una regione inospitale provocò tutta una serie di problemi sia per quanto riguardava il riparo che i rifornimenti.
La Seconda brigata si trovò nella situazione più difficile. Essa si riunì alla propria divisione dopo tre mesi di marce quotidiane e di scontri violenti e sfibranti, oramai ridotta allo stremo. Persero la vita, furono feriti o si ammalarono gravemente più di 200 dei suoi combattenti. Più della metà dei rimanenti giunse priva di calzature, vestita di indumenti nient'affatto idonei al rigore dell'inverno.
Prendendo in considerazione tutto ciò si fece strada l'idea di trasferire tutto il contingente in un altro territorio per evitare conseguenze tragiche.
Venne quindi approvata la proposta del comando della Seconda brigata di organizzare il trasferimento nel Gorski Kotar. Il 19 febbraio 1944, al mattino presto, dopo una frugale colazione, la Seconda brigata con 680 combattenti circa partì in marcia da Dreznica diretta a Mrkopalj attraverso Jasenak e la piana di Matic (Matic Poljana).

I combattenti e i loro ufficiali erano contenti di trasferirsi in una zona che avrebbe offerto loro condizioni di sopravvivenza migliori. Nessuno di essi immaginava ciò che sarebbe accaduto la tragica notte tra il 19 e il 20 febbraio. La giornata invernale era rigida ma serena. Dopo un paio di soste, la brigata giunse al villaggio di Jasenak, dove si sarebbe rifocillata e avrebbe pernottato. Qui però non trovò né cibo né rifugio, per cui i combattenti proseguirono la marcia.
Gli inverni della zona sono noti per loro rigidità e lunghezza. Alle ore 17 il freddo si fece più pungente. Nella neve alta e nel gelo i cavalli e i muli cominciarono dapprima a perdere il passo, poi a cadere ed infine a soccombere. Alcuni furono fatti tornare a Dreznica, per cui i combattenti si sobbarcarono il loro carico.
Il tempo cominciò a peggiorare. La neve, cadendo sempre più fitta, rallentava il passo e allungava la colonna dei combattenti. La stanchezza, la fame e lo sfinimento rendevano l'avanzata quasi impossibile. La tormenta non dava tregua, il vento schiantava i rami e addirittura gli alberi. La lunga colonna conduceva una battaglia impari con le forze della natura. Il freddo gelava il sangue nelle vene, sventrava gli alberi di faggio come nemmeno un'arma sarebbe riuscita a fare. Chi conosce quei luoghi dice che ciò accade a temperature inferiori ai 35° sotto zero.
La colonna procedeva ormai quasi impercettibilmente; i combattenti si trascinavano le gambe quasi fossero di piombo. Il comando cercava di alleviare la marcia alternando le unità alla testa della colonna, per aprire la pista nella neve alta due metri. Parte degli armamenti pesanti venne abbandonata e nascosta. Tornare era impossibile e proseguire sempre più difficile. La "morte bianca" (bijela smrt) affilava i suoi denti e prima ancora di giungere alla piana di Matic falciò i più esausti e affamati.
Ci fu chi sparò con i fucili automatici per strappare i compagni da quello strano sonno che portava direttamente alla morte. Alcuni morirono già lungo la salita. Il peggio però li aspettava nella piana di Matic dove la temperatura era ancora più bassa e la tormenta più forte.
Proprio qui, non molto lontano dal paese di Mrkopalj, designato come punto di arrivo, trovarono la morte ben 26 partigiani e circa 200 subirono pesanti conseguenze dovute all'assideramento.
Le 17 donne partigiane superarono tutte la tremenda marcia. Nessuna di esse morì per assideramento. 
Antonija Dovecar era al settimo mese di gravidanza. Due mesi dopo partorì un maschietto dal peso di 5 kg destando la sorpresa di tutti. Il medico della divisione gli diede il nome di Ratimir (guerra e pace), come buon auspicio di una vita serena.

Il "partigiano" più piccolo di questa colonna ha oggi 61 anni, è professore alla Facoltà di marineria di Portorose (Slovenia) ed è qui tra noi, oggi.
Sua madre Antonija ha 90 anni e vive a Capodistria. Il padre, uno sloveno di nome Miroslav, combattente della prima ora, si è spento vent'anni fa.

Durante questa marcia la brigata riportò le perdite maggiori dal giorno della sua fondazione. Riuscì però a recuperare, arricchita di forze nuove e a reinserirsi nella divisione al suo posto di combattimento. C'era ancora tanto da combattere fino alla fine della guerra, per annientare la Germania nazista. La Seconda brigata diede il suo contributo sino alla fine del suo cammino, ossia alla liberazione del paese.

La marcia eccezionale della Seconda brigata è il tema centrale del mio libro intitolato "LA MORTE BIANCA".
Grazie.


Vitomir Grbac, giornalista e scrittore, master in Scienze storiche

Ringraziamo Ivan per la trascrizione dell'intervento. 





ALCUNI ALLOGGI CONVENIENTI / SOME CONVENIENT ACCOMODATIONS: https://www.cnj.it/24MARZO99/2009/TARGET/transfers.htm#hotels

Information on all the events scheduled for the 10th Anniversary of NATO's War on Serbia /
LE ALTRE INIZIATIVE PER I DIECI ANNI DAI BOMBARDAMENTI: https://www.cnj.it/24MARZO99/2009/index.htm
collegamenti VICENZA-BEOGRAD transportations: https://www.cnj.it/24MARZO99/2009/TARGET/transfers.htm


TARGET
Meeting internazionale nel X Anniversario dei bombardamenti della NATO sulla Repubblica Federale di Jugoslavia

VICENZA 21-22 MARZO 2009

SALA DELLA CIRCOSCRIZIONE IV
Via Turra 70 (presso il Parco Città - zona nordest, fra viale Trieste e via Quadri
autobus nn.3 e 5 dalla Stazione FFSS)

promuovono: 
Rete Disarmiamoli!
RdB CUB
Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS / Italijanska Koordinacija za Jugoslaviju
Forum di Belgrado Italia / Beogradski Forum u Italiji
Rete Semprecontrolaguerra


Il 24 marzo 1999 la NATO scatenava, ininterrottamente per 78 giorni, la sua potenza di fuoco contro il territorio della allora R.F. di Jugoslavia - un paese già amputato con le secessioni iniziate nel 1991, e oggi ulteriormente smembrato tra Serbia, Montenegro e Kosovo. Per i suoi bombardamenti la NATO utilizzava armi vietate dalle convenzioni internazionali (es. bombe a frammentazione), armi di grave nocumento alle generazioni presenti e future (es. all'uranio impoverito), e mirava contro industrie chimiche, infrastrutture civili, mezzi di trasporto in servizio, ambasciate di paesi terzi... 
Quei bombardamenti rappresentarono l'apice in un processo di attacco a quel paese, multinazionale e sovrano, per il quale era stata programmata la disgregazione e la svendita al capitalismo straniero. Negli anni successivi, tutti i settori-chiave dell'economia e del sistema finanziario jugoslavo venivano ceduti. Mentre le storiche strutture militari jugoslave venivano in larga parte dismesse, le piccole repubbliche sorte dalla disgregazione erano gradualmente assorbite nelle alleanze militari euro-atlantiche, e piegate agli obiettivi di queste. 
A sua volta, l'intera vicenda della crisi jugoslava, che dal 1991 non può dirsi conclusa ancora oggi, è paradigmatica della fase apertasi con l'abbattimento del Muro di Berlino: una fase che, lungi dal garantire pace e libertà, è stata caratterizzata da guerre e devastazioni, "vendute" alle opinioni pubbliche attraverso pelose retoriche dei "diritti"  e disoneste campagne di disinformazione. Cosicché ad esempio l'Italia, dopo avere reiteratamente violato la propria Costituzione fungendo da base di lancio per i bombardamenti e partecipando a numerose missioni di guerra in paesi vicini e lontani, si ritrova ancora ad impiegare fette crescenti del proprio bilancio statale per finanziare la macchina militare, nonostante la crisi economica e sociale che incalza... e deve ospitare ulteriori basi militari straniere sul proprio territorio!
E' in una città nevralgica nell'ambito di questi processi come Vicenza che, in occasione del X Anniversario dell'inizio di quei bombardamenti, promuoviamo una grande iniziativa nazionale ed internazionale per raccontare che cosa hanno essi rappresentato, al di là della cortina fumogena creata dai media, e per discutere con gli occhi rivolti al futuro di attività e prospettive nel campo della solidarietà internazionalista tra i lavoratori e per il movimento che in tutta Europa si batte contro la guerra e contro le basi militari.

Hanno aderito: Rete dei Comunisti - Beogradski Forum / Forum di Belgrado per un mondo di eguali - G.A.MA.DI. - SOS Yugoslavia / SOS Kosovo Metohija - Most za Beograd / Un ponte per Belgrado in terra di Bari - Federazione di Vicenza del Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Critica Vicenza ...

sabato 21/3 ore 14.45-20.20

Introduce: Roberto Luchetti (Disarmiamoli!)

I sessione (ore 15:00)
PROPAGANDA DI GUERRA: tra disinformazione strategica e deriva politico-culturale
introduce e coordina: Andrea Martocchia (CNJ Onlus)
Documentazione video
Juergen Elsaesser (giornalista): Come è stata costruita l'"emergenza Kosovo"

II sessione (ore 16:00)
LE NUOVE CROCIATE: crisi macroeconomica e politiche militari
introduce e coordina: Andrea Catone (CS CNJ Onlus e Ass. Most za Beograd)
Diana Johnstone (saggista, autrice de "La crociata dei pazzi"): Le "crociate dei pazzi"
Luciano Vasapollo (Cestes-Proteo, CS CNJ Onlus): Dal Welfare al Warfare
Videointervento di Manlio Dinucci e Documentazione video 

III sessione (ore 17:30)
ECOCIDIO: gli effetti della guerra 
introduce e coordina: Cinzia Della Porta (Disarmiamoli)
Alberto Tarozzi (Università del Molise): Le conseguenze sociali, ambientali e sanitarie dei bombardamenti sulle industrie chimiche nel 1999 in Jugoslavia
Valerio Gennaro (medico epidemiologo): Alcune proposte di medici ed epidemiologi contro la guerra
Documentazione video

Interventi a tema (ore 18:45)
Domenico Gallo (magistrato, CS CNJ Onlus): Delitto senza castigo: i crimini di guerra della NATO
Enrico Vigna (Forum di Belgrado Italia): Kosovo ieri e oggi
Documentazione video




sabato 21/3 ore 20.30-23.00

cena di autofinanziamento e serata musicale-teatrale: 

I giovani strumentisti Milenkovich
Atto scenico tratto dallo spettacolo "Target - Belgrado 1999" di e con Mario Mantilli
Orchestra serba di Vicenza 
NeMaPrObLeMa! Orkestar





domenica 22/3 ore 9.30-12.30

IV sessione
ROVESCIARE IL TARGET - E' POSSIBILE? 

La condizione dei lavoratori nei Balcani, in Italia, in Europa
introduce e coordina: Germano Raniero (RdB-CUB)
Zoran Mihajlovic (presidente del Samostalni Sindikat, Zastava Auto, Kragujevac, e vice-presidente del settore metalmeccanici Samostalni Sindikat  della Serbia): La condizione del lavoro in Serbia
Nereo Turati (RdB-CUB Migranti Vicenza): Gli immigrati jugoslavi sul territorio
Giorgio Cremaschi (FIOM-CGIL): Delocalizzazioni e sfruttamento

Dai bombardamenti sulla Zastava al grande movimento di solidarietà
introduce e coordina: Gilberto Vlaic (CS CNJ Onlus e Ass. Non Bombe ma Solo Caramelle)
Alessandro Di Meo (Un Ponte per...)
Riccardo Pilato (Ass. Zastava Brescia)
Enrico Vigna (SOS Yugoslavia - SOS Kosovo Metohija)
Rajka Veljovic (Samostalni Sindikat, Zastava, Kragujevac)
Slobodanka Ciric (autrice di un nuovo libro sulle esperienze di una jugoslava in Italia)
Documentazione video


domenica 22/3 ore 12.30-14.30

Incontro-dibattito: 

Il movimento contro la guerra, le basi militari e la NATO
introducono: 
Nella Ginatempo (Semprecontrolaguerra)
Vladimir Kapuralin (resp. relazioni internazionali Partito Socialista Operaio -SRP- Croazia)
Paolo Consolaro (Disarmiamoli Vicenza)
a seguire: dibattito


e poi... a Belgrado per ricordare l'anniversario della aggressione NATO 
(su https://www.cnj.it/24MARZO99/2009/ tutte le iniziative in programma)


Aderite! Partecipate! Contattateci: disarmiamoli@... oppure jugocoord@...
Tutte le informazioni ai siti: 

Per contribuire all'organizzazione dell'iniziativa invitiamo a sottoscrivere utilizzando il:
Conto Bancoposta n. 88411681 intestato a JUGOCOORD ONLUS, Roma
IBAN:  IT 40 U 07601 03200 000088411681 - causale: INIZIATIVE VICENZA 2009



L'ITALIA FASCISTA IN CUI VIVIAMO / 3


Il Manifesto, 05.03.2009, pagina 6


Neofascisti in corteo «benedetti» dal prete

di Alessandro Braga

Un sacerdote della setta riabilitata di recente da papa Ratzinger era in testa alla parata dei camerati messa in scena sabato pomeriggio. A fianco al prelato negazionista il segretario nazionale della formazione di estrema destra Roberto Fiore. Tra saluti romani e inni al duce. Protetti dalla polizia Il padre lefebvriano Giulio Tam ha sfilato a Bergamo insieme ai manifestanti di Forza Nuova, col braccio teso


Adesso salta fuori pure il prete che benedice (bene-duce?) i neofascisti. Sabato scorso a Bergamo, all'inaugurazione della loro nuova sede, nel quartiere più multietnico della città orobica, i forzanovisti non si sono fatti mancare proprio nulla. 
Manco la benedizione divina. Protagonista della «santificazione» don Giulio Tam. Padre lefebvriano, è uno che ama definirsi «gesuita itinerante». I gesti che compie, le compagnie che frequenta (e non da poco tempo), le parole che dice, porterebbero «naturalmente» ad un'altra definizione, ma vabbé. È famoso per aver lanciato la «crociata del rosario» per la difesa della civiltà occidentale contro l'invasione islamica e per aver pregato pubblicamente contro la costruzione di una moschea. Per i suoi decisi attacchi contro la «deriva di sinistra» di Gianfranco Fini (una volta disse che «il fascismo fu portatore anche di modernità, Mussolini pur nel contesto di un regime diede messaggi di libertà e spiritualità che il vaticano dovrebbe ricordare» e che l'attuale presidente della Camera «si è venduto rinnegando la tradizione, la terza via che superava liberalismo e comunismo»). Indimenticabili suoi sermoni ai raduni dei vari gruppuscoli della destra estrema italiana (tanto da essersi meritato il nomignolo di «Tam-tam» dell'odio razziale). 
Bene, con un così «meritevole» curriculum alle spalle, lo scorso sabato il «buon pastore d'anime» (famose le sue prediche in cui incita i fedeli a «buttarsi come lupi in mezzo agli agnelli, alla faccia della carità cristiana) ha aggiunto un «nuovo grano» al suo singolare rosario. Camicia nera (con colletto bianco come vuole la «divisa» talare ufficiale), braccio alzato a salutare romanamente i camerati che marciavano per le vie di Bergamo, don Giulio Tam ha sfilato in testa al corteo di Forza Nuova accanto al segretario nazionale Roberto Fiore, al coordinatore nazionale Paolo Caratossidis e al responsabile provinciale Dario «Astipalio» Macconi. E, a quanto pare, a suo perfetto agio. Quasi a dimostrare la veridicità di un vecchio detto anticlericale che recita che «l'abito scuro dei preti è solamente una camicia nera un po' più lunga, nulla più».
Anche perché, giusto per far sentire a casa un «nostalgicone» come il «gesuita itinerante» Giulio Tam, i forzanovisti sabato scorso ci hanno messo del loro. Accompagnati, meglio dire protetti, da un folto cordone di polizia che, dopo averli lasciati sfilare tranquillamente, non ha trovato niente di meglio da fare che andarsene in giro per la città a prendere a manganellate gli antifascisti che avevano organizzato un presidio per protestare contro l'apertura della sede di Forza Nuova e portandone una sessantina in questura e nella caserma dei carabinieri. L'olezzo di ventennio si diffondeva ovunque, grazie all'ammasso di paccottiglia neo-vetero-fascista che faceva bella mostra di sé: schierati come una perfetta falange romana, i circa duecento figuri arrivati da un po' tutto il nord Italia hanno marciato per le vie della città come in una vera parata militare. Con caschi, ben «adornati» da svastiche, croci celtiche e scritte «per l'onore dell'Italia», e bastoni in mano. Aizzati dai loro «capetti», i camerati hanno alzato più e più volte le loro braccia tese nel saluto romano, e lanciato «beneauguranti» «boia chi molla», intervallati da più teutonici «Sieg Heil». Tutto questo, per la gioia di don Giulio Tam. E nell'indifferenza del loro coordinatore provinciale Dario Macconi che ancora due giorni fa negava che durante la manifestazione del suo movimento ci fossero state braccia tese, inni fascisti e ciarpame vario. Anzi, i video e le fotografie che dimostravano l'accaduto erano senz'altro «fotomontaggi» o immagini prese ad arte da altri cortei e modificati per buttare discredito sui suoi «bravi» camerati. Che ora però dovranno rispondere alle denunce che verranno presentate nei loro confronti per aver sfilato con caschi e bastoni. Dario «Astipalio» Macconi si dovrà invece semplicemente difendere da una ben più leggera accusa, quella di non aver mai detto a suo padre, presidente provinciale di Alleanza nazionale, il suo «nomignolo» di battaglia. Tanto da metterlo in imbarazzo davanti ai giornalisti che gli chiedevano se fosse suo figlio. Lui, Macconi padre, prima ha negato, poi ha ammesso: «Non sapevo usasse quel nomignolo». Che, in ogni caso, dimostra «il suo animo romantico» (Astipales è un'isola dell'Egeo ndr). Proprio romantico girare per Bergamo con un mucchio di teste rasate che inneggiano al duce. 


Chi è don Giulio Tam, il Williamson italiano

di Paola Bonatelli

Messe per la Rsi e comizi

Se la Santa Sede ha avuto il suo daffare con Richard Williamson, il vescovo lefebvriano che Benedetto XVI ha riabilitato per poi "scoprire" che è un negazionista, cosa dirà di questo "padre" Giulio Maria Tam che partecipa con Roberto Fiore al corteo di Forza Nuova a Bergamo? Certo il soggetto, dopo aver militato in Alleanza Cattolica, l'associazione ispirata ad una delle formazioni integraliste cattoliche più potenti (e pericolose), la brasiliana Tfp-Tradizione, Famiglia e Proprietà, è entrato in seminario a Ecöne (fondato da Lefebvre) e lì ha preso i voti. Quindi in pratica non è neanche un prete vero, o almeno non del tutto. Nel 2000, dopo vari anni di peregrinazioni attraverso il pianeta spesi a portare il messaggio dei nostalgici della battaglia di Lepanto, è riuscito a farsi buttar fuori persino dalla Fraternità di san Pio X, era troppo nero anche per loro.
A sua discolpa si potrebbe portare il fatto di essere nipote di Angela Maria Tam, terziaria domenicana e ausiliaria della Repubblica di Salò, fucilata dai partigiani alla fine della guerra. Comunque, nonostante tutto, Giulio Maria continua a dir messa, preconciliare naturalmente, e a fare anche di peggio. Su di lui ci sono paginate di Google, che rimandano sia ad interessanti cronache di iniziative a cui il Tam ha partecipato che ad illuminanti video che circolano su You Tube. Il nostro viene immortalato mentre partecipa ai convegni di Forza Nuova, dice messa intonando "Il canto del legionario" in diverse occasioni - dalla commemorazione dei caduti della Repubblica sociale (Rometta, Messina, agosto 2007) alle cerimonie in ricordo della quarantina di militi fucilati a Rovetta dai partigiani nel 1945 - e arringa "il popolo" nei comizi elettorali sempre per Forza Nuova (Chieti, 29 marzo 2008). 
Non è un negazionista, o almeno non tratta questo tipo di temi. La sua virulenta battaglia è tutta contro l'Islam e i liberal-comunisti, ossia i laici liberali e gli atei marxisti, che hanno distrutto i valori della civiltà cristiana, permettendo che leggi come quelle sul divorzio e sull'aborto minassero la famiglia naturale, composta da uomo e donna. Per non parlare dell'omosessualità e della pretesa dei gay di adottare bambini, una mostruosità concessa in Spagna dal centrosinistra e in Olanda dal centrodestra. Non c'è da stupirsi, dunque, se Giulio Maria Tam va a braccetto coi forzanovisti alle manifestazioni. Quello è il suo ambiente di riferimento, gli otto comandamenti di Forza Nuova - tra cui lotta all'aborto, lotta a favore della famiglia, lotta all'immigrazione, ristabilimento del cattolicesimo come religione di stato - sono diventati anche i suoi. Del resto, come dimostrano le recenti vicende legate non solo al vescovo Williamson ma anche a "don" Floriano Abrahamovicz, altro religioso che ha fatto scandalo con le sue dichiarazioni sulle camere a gas naziste, l'ambiente del tradizionalismo cattolico e dei suoi legami con l'estrema destra e, al Nord, anche con la Lega, è un mondo ancora in parte da scoprire. Il guaio è che, a parte i Tam di turno con i loro proclami al limite della legalità, dove amministra la Lega accade spesso che gli integralisti cattolici accedano a cospicui finanziamenti per iniziative di dubbio gusto e utilità. Per fare un esempio, a Verona succede per una manifestazione spacciata come storica, la rivisitazione delle Pasque Veronesi, sommossa antinapoleonica del 1797. Organizzata da gruppi tradizionalisti locali, l'iniziativa ha visto negli anni scorsi la presenza del fior fiore non solo dei nostalgici delle Crociate ma anche dei neonazisti. Con la pretesa di occupare le piazze il 25 aprile, giorno per loro dedicato a san Marco.






(Dai compagni sloveni riceviamo questo articolo intitolato: " 'Successo della diplomazia serba' oppure raggiro dell'opinione pubblica serba?".
La critica di questo articolo e' rivolta contro il governo serbo con a capo Boris Tadic, che da mesi, prima e dopo il suo discorso alle NU del settembre scorso, illude l' opinione pubblica serba e mondiale su una presunta vittoria diplomatica, 
basata sulla solidarieta' della maggior parte degli Stati membri dell' ONU a favore della Serbia sulla questione della regione del Kosmet come parte  integrante di essa e perche' il Tribunale internazionale si pronunci giuridicamente sullo status del Kosmet.
Nell'articolo si menziona il movimento progressista internazionale,  rappresentato ad esempio da Ramsey Clark, ex ministro della Giustizia americano, che 
condannò l' azione criminale della NATO contro la Jugoslavia, di cui ricorre ora il X Anniversario.
Mentre tali forze progressive internazionali condannavano e tuttora condannano  l'aggressione alla Serbia, le marionette prooccidentali serbe, che sono arrivate al potere con l' aiuto delle forze imperialiste (ricordiamo i dollari consegnati dal Segretario USA, M. Albright, per destituire Milosevic), fanno di tutto perche' questo crimine venga dimenticato, il Kosovo abbandonato, e i serbi-kosovari rimasti siano abbandonati ad un amaro destino. A cura di Ivan per JUGOINFO)


SRPSKOJ JAVNOSTI NA OCENU

»Pobeda srpske diplomatije«, ili providna laž i obmana srpske javnosti?

(Slovenacki komunisticki odbor)

Srpska prozapadna marionetska vladajuća oligarhija, na čelu sa stateškim kormilarom Borisom Tadićem, preko medija mesecima, pre i posle septembarskog zasedanja Generalne Skupštine OUN,2008. kreštečim glasom obmanjuje srpsku i svetsku javnost o nekakvom »pobedonosnom- diplomatskom uspehu«, zasnovanom na podršči većine članica OUN srpskom predlogu,da Međunarodni sud oceni pravnu valjanost priznanja Kosova od strane grupe evropskih i još nekih država. Najviše o »pobedi« gromoglasno žutokljunski kukuriče »umetnik u diplomatiji«, ministar spoljnih poslova Vuk Jeremić. »Pobedonosno« kukurikanje bolno potseća na plotunsko »lagumanje« (pucanje iz puške kao znak pobede) naivnih, prevarenih vojnika tadašnje SRJ,koji su pobegli sa Kosmeta 1999.godine nakon NOTO-vog ultimatuma, sramno ostavljajući stotine hiljada sunarodnika u nemilosti šiptarskih terorista i agresorskih okupacijskih snaga NATO.

Prozapadne marionete uporno lansiraju tezu o »odlučnosti«, da obrane Kosovo »jedino ispravnim«, demokrats kim, miroljubivim (ko tebe kamenom ti njega hlebom),političko-pravnim sredstvima. Verovatno je danas svakom političkom analfabeti jasno da su Međunarodno pravo pa i Povelja OUN 
podređeni volji velesila. Da nije tako, ne bi mogle velesile razbiti SFRJ niti izvršiti agresiju na SRJ 1999.godine. Isto važi za Irak,Avganistan i 
druge.

Potsetimo na značajne progesivne međunarodne faktore,koji su javno osudili podređenost navedenih svetskih institucija volji velesila. Najodlućnije 
osude su izrekli: Međunarodni društveni sud za zločine NATO u Jugoslaviji, počinjene za vreme agresije 1999. godine (Sud je ustanovljen 23.5.iste 
godine, na vanrednim Kongresu Međunarodnog saveza društvenih udruženja »Sveslovenski Sabor«, a sudio je u sastavu 14 eminentnih pravnika:6 iz Rusije,2 iz Nemačke, po jedan iz Gruzije, Poljske,Avganistana ,Ukrajine, Meksika i Jugoslavije) . Sud je opštom presudom proglasio NATO agresiju na SRJ za ratni zločin protiv mira a vojnu organizaciju NATO za zločinačku. Naredbodavce agresije proglasio je za zaverenike i zločince i predložio da se optuže za vršenje genocida nad srpskim i drugim narodima. Među ostalim, sud je uputio zahtev OUN , da osudi agresiju na Jugoslaviju i da OUN pokrene postupak za smenjivanje generalnog sekretara Kofija Anana,koji je umesto osude agresije pristao na sporazum sa agresorima i agresiju opravdao. Drugi pravno značajni faktor, Međunarodni tribunal u Nju Jorku , pod vođstvom bivšeg američkog državnog tužioca, Remzi Klarka, dana 11.Juna 2000.osudio je vlade i šefove vlada zemalja koje su učestvovale u agresiji na SRJ,kao i čelnike NATO, za zločine protiv mira,ratne zločine i zločine protiv čovečnosti te za druge prestupe sa kojima su prekršili principe Nirnberškog suda,Haške propise temelječe na Ženevskim konvencijama,  Povelje OUN i druge međunarodne i nacionalne zakone. Sud je zahtevao ukidanje sankcija protiv Jugoslavije, proglašenje istih za zločinačke, ukidanje nazakonitog Haškog tribunala za zločine u Jugoslaviji kao i kompenzaciju žrtvama agresije. Iako navedene presude nemaju pravnu, imaju snažnu moralnu snagu,jer kristalno objašnjavaju zločine izvršene nad suverenom članicom OUN,koji u veoma nesrazmernom odnosu oružanih snaga, nije mogla da se uspešno odbrani.

Nedavno je i Adolfo Perez Esquivel, norveški kipar, arhitekta i bivši univerzitetski profesor,koji je dobio Nobelovu nagradu za mir, inače poznati borac za ljudska prava, govorio o uticaju velesila na međunarodne pravne institucije (objavljeno u Delo 2.12.2008). Među ostalim, on smatra da su SAD potpuno marginizovale organizaciju OUN,koja ima 192 člana, a sa njom vlada 5 velikih država. Svi stavovi ostalih članica nemaju nikakve težine i ne utiču na obklikovanje odluka sa izvršnom snagom. Zato te članice ne mogu sprečavati krize, nego obično nastupaju POST FESTUM, (po svršenom činu), kao nemočni vatrogasci u plavim šlemovima. On takodjer smatra da su posle pada Berlinskog zida,sa pozicija apsolutne sile i kao odraz nestrpljenja stvoreni novi zidovi: između Palestine i Izraela te između SAD i Meksika. Velike sile, prvenstveno SAD,ignorišu međunarodno pravo i ljudska prava. Po njemu, Buš laže svom narodu i celom svetu: govori o terorizmu a ćuti o američkom državnom terorizmu; govori o slobodi a neprekidno je uništava; govori o bogu a istovremeno ga mrzi; govori o ljudskim pravima a sitematski ih krši ( u Bagdadskom zatvoru Abu Graib, Guantanamu i brojnim drugim tajnim zatvorima). Ustanovljava sudove za nekadašnjeg svog saveznika Sadama Huseina a ne priznaje Međunarodni kazneni sud. Nobelovac navodi duhovito- »Kada se Buš moli bogu, bog začepi-zatvori uši«. Adolfo Perez Esquivel je početkom rata u Iraku bio u Bagdadu i video,da su Amerikanci bombardovali sklonište i u njemu ubili 600 dece i majki, izgovarajući se ,da su u zabuni mislili da gađaju bunker. U vezi navedenog događaja pisao je Bušu i pitao ga, zašto mora ubijati decu da bi se rešio diktatora,koji je pre ( za vreme rata između Iraka i Irana-napomena autora) bio njegov odani saveznik? Naravno na pismo nije dobio odgovor.

Dok je napredna međunarodna javnost osuđivala i osuđuje agresiju na Jugoslaviju i otimanje Kosmeta od Srbije,prozapadne marionete u Srbiji, uz pomoć agresivnih imperijalističkih krugova, dokopale su se vlasti (potsetimo na primanje dolara od američke državne sekretarke Olbrajtove za obaranje Miloševićeve vlasti) i čine sve da se počinjeni zločini zaborave (ljudske žrtve, proterivanje naroda, razaranje privrednih i narodnih dobara i drugi). Mnogi od njih i javno govore,da je otimanje Kosmeta svršen čin,koji se »nije mogao sprečiti,niti se može promeniti«. Što je najsramnije, svom snagom rade na uključenju-integrisanju Srbije u političke i vojne organizacije agresorskih imperijalističkih država. Propagiraju »spasonosno« rešenje u krilu »vrhunske kapitalističke zapadne demokratije«.

Pokorno su prihvatili uslove za integracije- ultimatumi i obaveze postupaka i ponašanja; pravila o tome, što im je zabranjeno a što dovoljeno činiti. 
Po tom osnovu, zabranjeno im je: govoriti o agresorskoj okupaciji Srbije i otimanju Kosova i o tome ,da je NATO izvršio agresiju. (NATO se je, po njihovom - »hvala bogu«, preformirao u »mirovnjačke« snage OUN, da bi popravio Miloševićev »greh«, počinjen odbranom dela srpske teritorije). 
Zabranio je i tužiti vođe agresorskih država i država njihovih saučesnica, da se ne pogoršaju »prijateljski odnosi« sa narodima tih država. Na osnovu zabrane, srpski poslušnici povukli su tužbu koju je uložila SRJ protiv država agresora, nakon izvršene agresije.

Takodje jim je zabranjeno vršiti uticaj na izbor kadrova u okupacijske strukture vlasti na Kosovu. Na te funkcije postavljaju se potomci poraženih fašističkih država i njihovih saučesnica, koji se osvetnički ponašaju na štetu Srbije i srpskog naroda i čine sve da definitivno otmu Kosovo. Njih srpski poslušnici moraju primati u posete, čašćavati i sa njima »prijateljski« sarađivati. Kada diplomate iz navedenih zemelja u Beogradu izriču pretnje, ucene i vrše psihološki pritisak na srpsku  javnost, zabranjen je njihov izgon (proglašenje za persone non grate). Zabranjen je i prekid diplomatskih odnosa sa sržavama koje su priznale nezavisno Kosovo, jer kako se integrisati bez diplomatskih odnosa?  Tolerantan je samo nekakav manevar, privremeno poblačenje srpskih diplomata, u svrhe obmane srpske javnosti. Posebno, za Srbiju je opasna i ugrožavajuća zabrana izgradnje sopstvene vojne doktrine i odbrambenog sistema, limitiranje kontigenta oružanih snaga, naoružanja i opreme. Sve to mora biti u sklađeno sa potrebama NATO, kako se drugačije učlaniti u tu »miroljubivu« vojnu organizaciju?

Sinonimi zabrane su obaveze, koje poslušnici moraju ispunjavati, kako bi imali podršku gospodara i duže ostali na vlasti. Te su obaveze nametnute kao na stotine izričite uslova za integraciju, po sistemu – »uzmi ili ostavi«.

Najvažnije obaveze i uslovi su: Višepartijski sistem, ukidanje saveza komunistam rasprodaja prirodnih i privrednih dobara, likvidacija društvene imovine i samoupravljanja, promena samoupravljačke pozicije radničke klase u najamni odnos prema poslodavcima – kapitalistima, zavisnost od monopola banaka i fondova, uskraćuvanje socijalne i zdravstvene zaštite. Ukratko,ukidanje svega što je bilo u socijalističkom sistemu. Naročito važna obaveza je dozvola NATO snagama da koriste srpske teritorije za manvre i borbena dejstva (kopnene i vodne komunikacije, aerodrome, baze i druge objekte), a to znači likvidaciju suverenosti i samostalnosti Srbije.

Jedna među najtežim i najponižavajućim obavezama,koju su srpski lakeji ravnodušno prihvatili, je izručenje vodeće garniture branilaca Kosova u nemilost Haškom tribunalu- produženoj ruci imperijalista- agresora na SRJ. Tragična sudbina izručenih ili je već poznata ili je izvesna. Jedni su usmrćeni represivnim inkvizitorskim merama suda, drugim predstoji ista sudbina u kazematima imperijalističkih satelitskih država. Taj niskotni podvig ne bi se mogao pravdati i kada bi se radilo o kakvom obliku kompenzacije (povratak Kosova) ili komparacije (jednakih represivnih mera prema agresorima). Na žalost, opisana situacija može se uveliko usporediti sa stradanjem srpskih vitezova u obrani Kosova od Turske imperije, 1389, sa razlikom, što su tada vitezovi umrli na bojištu, a »vitezovi« branioci Kosova 1999. umiru i umrijet će u navedenim kazematima. Značajna razlika u kosovskoj tragediji je i ta, što je srpska legenda izmislila izdaju, da bi ublažila težinu poraza u Kosovskoj bitci, a izdaja i izručenje branilaca Kosova nakon 1999. je stvarna ne izmišljena. U vezi otimanja Kosova treba potsetiti i na još neka upoređenja: Turska imperija,1389. ,okupatori- fašisti,1941- imperijalisti- NATO agresori,1999. ,oteli su Kosovo sa istim ciljem i namerom- da ga zauvek oduzmu Srbiji. Razlike su u trajanju okupacije. Turska okupacija trajala je nešto više od 500 godina, fašistička oko 4 godine, a trajanje imperijalističke NATO okupacije je neizvesno. Sigurno je da neće trajati večno!

Nemoralnim ucenama oko izručenja njihovom sudu preostala dva srpska »zločinca« imperijalsiti sprčavaju Srbiji normalnu međunarodnu saradnju i razmenu dobara, čime kažnavaju nedužni srpski narod. Dok su, posle II.svetskog rata svestrano pomagali fašističke države, da se rapidno rekonstruišu u imperijalističke sile i njihove saveznike za osvajanja globalnih prostora. Nisu uslovljavali razvoj poraženih fašističkih država izručenjem preostalih ratnih zločinaca (uzgred, mnogi do danas nisu izručeni Međunarodnom sudu). Naprotiv, pojedinim ratnim zločincima-fašistima pomagali su, skrivali ih i postavljali na odgovorne funkcije u rekonstruisanim fašističkim državama. I sada njihov montirani Haški sud oslobađa odgovornosti ratne zločince, koji su zajedno sa njima i po njihovom nalogu izvršili zločine nad srpskim i drugim narodima bivše SFRJ.Naravno, i o tome srpske »mudre« marionete moraju ćutati.





Fermo, venerdi 13 marzo 2009
ore 21 - Molini Girola (ex stazione) 

OPERAZIONE FOIBE
Una menzogna tutta italiana

interviene Alessandra Kersevan
coordinatrice di Resistenzastorica
(collana della casa editrice KappaVu)

proiezione video
"Il cuore nel pozzo: un caso di revisionismo mediatico"
stralci da "Fascist Legacy"

dibattito

LA RESISTENZA NON CONOSCE CRISI
con l'adesione di A.N.P.I.

Molini Girola si trova un vecchio complesso manifatturiero che durante la Seconda Guerra Mondiale, fino all'8 settembre, venne utilizzato come campo di concentramento





A.N.P.I. organizza

Lunedi 2 marzo 2009
ore 21:15

Casa del Popolo di Antella - Via di Pulicciano
Bagno a Ripoli (FI)

Foibe e fascismo. Il Revisionismo diventa "Storia"

interviene Alessandra Kersevan




(italiano / srpskohrvatski)


Na Kosmetu prodato 331 društveno preduzeće


Oko 360 miliona evra dobijenih od prodaje ovih preduzeća završilo na računima u inostranstvu
Na Kosovu i Metohiji je, prema podacima iz zemljišnih knjiga i drugih dokumenata Republike Srbije i bivše Jugoslavije, u srpskom vlasništvu registrovano 58,79 odsto teritorije, od čega je 43 odsto u državnom, društvenom i vlasništvu Srpske pravoslavne crkve, a oko 15 odsto u privatnom vlasništvu. Ali gotovo sva prava nad ovom imovinom su suspendovana.
Uredbom iz 1999. godine Unmik je sebe ovlastio da upravlja državnom i društvenom imovinom i do sredine prošle godine prodato je 313 srpskih preduzeća, od čega je inkasirano oko 350 miliona evra. Novac je uglavnom završio na računima u inostranstvu.
Unmik je u okviru svog Četvrtog stuba vlasti (Ekonomski razvoj i rekonstrukcija, koji je bio pod pokroviteljstvom EU) sprovodio proces privatizacije preduzeća i to preko Kosovske poverilačke agencije (KPA, Kosovo Trust Agency) koju je osnovao 2002. godine. Za rešavanje pitanja iz nadležnosti agencije Unmik je osnovao Posebno veće Vrhovnog suda Kosova, a pravni osnov za donošenje ovih uredbi počivao je na Rezoluciji 1244 Saveta bezbednosti UN. Planirano je da sredstva od prodaje odlaze u poseban fond pod kontrolom KPA da bi se kasnije koristila za izmirenje obaveza prema poveriocima, vlasnicima i radnicima, međutim, to se nije desilo u praksi.
Nakon jednostranog proglašenja nezavisnosti institucije u Prištini osnovale su Kosovsku agenciju za privatizaciju (Privatisation Agency of Kosovo), koja je preuzela nadležnosti KPA. Ta agencija je nastavila sa prodajom društvene i državne imovine Srbije ne utvrđujući pravo vlasničko stanje. Od oktobra 2008. agencija, koja funkcioniše kao samostalno telo, na dva tendera prodala je još 18 preduzeća za 10,5 miliona evra.
Načelnik Odeljenja za pravosuđe, ljudska prava i imovinsko-pravna pitanja u Ministarstvu za KiM Igor Popović napominje da su prilikom svih ovih prodaja delovi preduzeća (filijale, organizacione jedinice i pogoni) iz centralne Srbije i Vojvodine prodavani kao posebna preduzeća koja nemaju nikakve obaveze prema matičnim firmama. „Pri tome, radnicima srpske nacionalnosti nisu isplaćivana nikakva finansijska sredstva, a kosovski Albanci su stavljani na liste nosilaca novčanih prava. Izvestan broj Srba se protiv ovakvog postupka žalio posebnoj komori Vrhovnog suda u Prištini”, kaže Popović.
Problem je i sa privatnom imovinom kosovskih Srba. Prema podacima katastra, za ukupno 1.299 katastarskih opština koliko ih je na KiM, na svakoj od 2.575.448 katastarskih parcela ubeležena je površina, vlasnik, odnosno korisnik imovine. Republika Srbija poseduje originalnu dokumentaciju za koju je svojevremeno Unmik tražio da se vrati. Ali, kako za „Politiku” kaže Slaviša Stanić, sekretar Privredne komore KiM, sve kopije su ostale u katastarskim službama, što znači da Unmik ima tu dokumentaciju. Originalni katastarski podaci su pre dolaska međunarodnih snaga preneti u Kruševac da bi se sačuvali dokazi o vlasništvu i sprečile zloupotrebe. Originalna dokumentacija nije izneta jedino iz Istoka, Peći, Kline i Orahovca. U tim opštinama je, kako navodi Popović, prema podacima kojima raspolaže Ministarstvo za KiM, zabeleženo najviše slučajeva falsifikovanja originalne vlasničke dokumentacije. Skupština Kosova je 2003. godine donela i Zakon o katastru, u kome je članom 12 predviđeno brisanje oštećenih i uništenih zgrada i stanova iz evidencije „po službenoj dužnosti”.
Po proglašenju kosovskog ustava, 15. juna prošle godine, kaže Negosava Mrdaković, asistent za odnose sa javnošću, Kosovska agencija za imovinu nastavila je da rešava pitanja imovinskih zahteva, što znači da je sve prešlo u ruke kosovskih vlasti. Ona naglašava da Agencija na Kosovu i dalje prima zahteve, a da je kancelarija u Srbiji zatvorena u decembru 2007. godine.
Privremene kosovske institucije nisu donele zakon o restituciji niti postoje naznake da to nameravaju da urade. Sva pitanja koja su u vezi sa restitucijom srpske imovine u vladi Kosova prebacuju na skupštinu, a portparol Memlji Krasnići naglašava da „je to stvar skupštine i poslanika”. Bojan Stojanović, šef parlamentarne grupe Samostalne liberalne stranke (SLS) i predsednik Komisije za prava i interese zajednica i povratak, kaže da je predlaganje zakona o povraćaju imovine isključivo u rukama kabineta kosovske vlade, koji „taj zakon nikada nije dao na predlog skupštini, pa čak ni preko ’čitanja’, nije predloženo da uđe u skupštinsku proceduru”.
„Predstavnici SLS-a koji imaju dva ministra u kabinetu Hašima Tačija, otpočetka insistiraju na ovom zakonu. Očigledno je, međutim, da naši napori ne mogu da urode plodom, pa ćemo tako morati da zatražimo da se taj zakon uradi, a najbolje će biti da to bude u kancelariji Pitera Fejta, jer smo jedino tako sigurni da će oni biti usaglašeni sa evropskim standardima”, kaže poslanik kosovske vlade.
B. Radomirović
B. Mitrinović

[objavljeno: 01/03/2009]


--- traduzione in lingua italiana ---



331 imprese sociali sono state vendute nel Kosovo-Metohija [KiM] 

Circa 360 milioni di euro, ricavati dalle vendite di queste imprese, sono finiti su conti esteri

L'Unmik ha gestito il processo di privatizzazione tramite l'Agenzia Fiduciaria del Kosovo

In base ai dati dei libri catastali e ad altri documenti della Repubblica della Serbia e della ex-Jugoslavia, il 58,79 per cento del territorio [kosovaro] è registrato come proprietà serba, e precisamente il 43 per cento sono beni di proprietà statale e sociale, così come della Chiesa Serba Ortodossa, mentre il 15 percento sono dei privati. Però, quasi tutti i diritti su questi beni sono sospesi.

In base a una Delibera del 1999, l'Unmik si era auto-autorizzato a gestire le proprietà statali e sociali. Fino alla metà dell'anno scorso, 313 imprese serbe sono state vendute per un incasso di circa 350 milioni di euro. Il denaro ha prevalentemente trovato destinazione su conti correnti all'estero.

Nell'ambito dello svolgimento della sua funzione come quarto elemento del potere (per lo sviluppo economico e la ricostruzione, che precedentemente erano sotto la sponsorizzazione dell'UE), l'Unmik ha realizzato il processo di privatizzazione tramite l'Agenzia fiduciaria del Kosovo (KPA, Kosovo Trust Agency), che ha fondato nel 2002. Per risolvere le questioni di propria competenza, l'Unmik aveva fondato un Consiglio speciale presso il Tribunale Supremo del Kosovo. La base legale per l'emanazione di queste delibere sorgeva dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza ONU. Era pianificato che i proventi della vendita fossero destinati ad un fondo speciale gestito dalla Kosovo Trust Agency, affinché in seguito venissero utilizzati per pagamenti ai creditori, ai proprietari ed agli operai. In realtà, le cose non sono mai andate così.

Dopo la proclamazione unilaterale dell'indipendenza, le istituzioni hanno fondato a Priština l'Agenzia per la privatizzazione (Privatisation Agency of Kosovo) che ha ereditato le mansioni dalla Kosovo Trust Agency. Quest'agenzia ha proceduto con la vendita dei beni sociali e statali della Serbia, senza mai appurare il vero status delle proprietà di questi. Dall'ottobre 2008 in poi, l'agenzia, nella sua funzione di ente autonomo, con 2 aste successive ha venduto 18 ulteriori imprese, per un totale di 10,5 milioni di euro.

Igor Popović, responsabile del Reparto per le questioni legali, i diritti umani e la problematica legale sui beni immobili nel Ministero per il Kosovo e Metohija, sottolinea che in occasione di tutte queste vendite, parti di imprese (filiali, unità organizzative e reparti) della Serbia centrale e della Regione della Vojvodina sono state vendute sotto la definizione di imprese autonome, come se non avessero alcuna connessione con le Ditte centrali. "Con tutto ciò, i lavoratori di nazionalità serba non sono stati compensati con alcun importo finanziario, mentre gli albanesi-kosovari sono stati inseriti nelle liste come intestatari dei diritti pecuniari. Un certo numero di cittadini serbi ha presentato ricorso alla Camera speciale presso il Tribunale supremo di Priština" contro queste manovre, afferma Popović.

Il medesimo problema riguarda i beni privati dei serbi-kosovari. In base ai dati catastali, per un totale di 1.299 comuni catastali nel KiM, su ciascuna particella catastale sono registrati la superficie, il proprietario ovvero l'usufruttuario del bene. La Repubblica della Serbia possiede la documentazione originale, di cui l'Unmik, a sua volta, aveva chiesto la restituzione. Ma secondo le dichiarazioni di Slaviša Stanić, segretario della Camera di Commercio del KiM, copie di tutta la documentazione sono rimaste negli uffici catastali, il che vuol dire che l'Unmik già possiede questa documentazione. I dati catastali originali sono stati trasferiti nella vicina città di Kruševac prima dell'arrivo delle forze internazionali, allo scopo di preservare le prove del possesso e per scongiurare ogni possibilità di abuso. La documentazione originale non è stata trasferita dai comuni di Istok, Peć, Klina e Orahovac. Secondo Popović, in questi comuni, in base alle informazioni di cui dispone il Ministero Serbo per il Kosovo e Metohija, si registra il maggior numero di casi di falsificazione della documentazione originale del possesso. Nel 2003 il Parlamento del Kosovo ha emanato una Legge sul Catasto in cui, con l'articolo 12, come "atto d'ufficio" si prevede la cancellazione dagli elenchi, degli edifici e delle abitazioni danneggiate e distrutte.

Come ci informa Negosava Mrdaković, assistente per le pubbliche relazioni, dopo la proclamazione della costituzione kosovara il 15 giugno dell'anno scorso l'Agenzia kosovara per i beni immobili ha continuato a risolvere le questioni poste nelle richieste per la presa di possesso, il che significa che tutta la proprietà è stata trasferita al governo kosovaro. Mrdaković sottolinea che questa Agenzia in Kosovo continua tutt'oggi a ricevere delle richieste, mentre l'ufficio in Serbia è stato chiuso nel dicembre 2007.

Le istituzioni provvisorie kosovare non hanno emanato una legge sulla restituzione e non ci sono indicazioni di una loro eventuale simile intenzione. Nel governo del Kosovo, tutte le questioni che riguardano la restituzione delle proprietà serbe vengono trasferite al Parlamento; il portavoce Memlji Krasnići, sottolinea che questo sarebbe "affare del Parlamento e dei deputati". Bojan Stojanović, capogruppo del Partito liberale indipendente (SLS) e presidente della Commissione per i diritti e gli interessi delle comunità e per il ritorno, dice che le proposte di legge riguardanti la restituzioni dei beni sono esclusiva del gabinetto del governo kosovaro, il quale "non ha mai presentato la proposta di legge al parlamento e non è stata neanche proposta una variante del suo inserimento nella procedura parlamentare in base al metodo della sola 'lettura'.

"I rappresentanti del nostro partito, che detiene due posti ministeriali nel gabinetto di Hašim Tači, dal primo inizio del mandato, insistono su questa legge. E' evidente, tuttavia, che il nostro sforzo non porterà a risultati e saremo costretti a chiedere che questa legge sia davvero formulata. La soluzione migliore è che sia fatta nell'ufficio di Peter Fate, perché soltanto in questo modo possiamo assicurare la sua congruità con gli standard europei", conclude il deputato del governo kosovaro.

B. Radomirović
B. Mitrinović

[pubblicato il: 01/03/2009]



Foibe: le responsabilità del fascismo

1) Le responsabilità del fascismo (G. Scotti)

2) Parziale dietrofront di Napolitano: tentata ricucitura con Slovenia e Croazia

3) Sull'irredentismo di Gianfranco Fini


SEGNALAZIONI VIDEO ONLINE:

# Contro l'imperante falsificazione della storia: contributi video in occasione della "giornata del ricordo"
10 febbraio 2009. Conversazione, in occasione della "giornata del ricordo", con Alessandra Kersevan, coordinatrice della collana Resistenza storica che ricostruisce le vicende del confine orientale, il nazionalismo italiano, il fascismo, il nazismo e le foibe. Un contributo importante contro l'imperante falsificazione della storia.
 
Foibe: no alla falsificazione della storia (Prima parte della conversazione)
Foibe: Fascisti e nazisti (Seconda parte della conversazione)
Foibe: tra storia e mito (Terza parte della conversazione)
 
# FOIBE, REVISIONISMO DI STATO E AMNESIE DELLA REPUBBLICA
Video intervista ad Alessandra Kersevan
Lo scorso 5 febbraio, in un clima teso da minacce fasciste e dal diniego della Biblioteca Comunale da parte della giunta PD del Comune di Pisa, si è svolta la presentazione del libro "FOIBE, REVISIONISMO DI STATO E AMNESIE DELLA REPUBBLICA - Atti del convegno foibe: la verità", con una articolata relazione della ricercatrice storica Alessandra Kersevan.
In quella giornata abbiamo intervistato Alessandra Kersevan sui temi toccati dal volume e dalla ricerca che da anni storici e ricercatori militanti come lei portano avanti con encomiabile determinazione, nonostante l'ostracismo bipartisan e le minacce di una destra reazionaria sempre piu' aggressiva.
Vi proponiamo questa breve intervista come contributo alla incessante lotta antirevisionista che comunisti, antifascisti e democratici conseguenti portano avanti da decenni nel nostro paese.
A cura della Rete dei Comunisti di Pisa


# UN CASO DI REVISIONISMO MEDIATICO
Nel 2005 la RAI manda in onda la fiction "Il cuore nel pozzo": un esempio chiarissimo di quello che abbiamo definito "revisionismo mediatico"...



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Il Manifesto 11.02.2009

COMMENTO   |   di Giacomo Scotti
FOIBE

Le responsabilità del fascismo

Sì, era necessario strappare all'oblio «le vittime delle foibe, dell'esodo giuliano e le vicende del confine orientale» come vuole la legge del marzo 2004 che istituì il Giorno del ricordo. Ma negli ultimi quattro anni quel giorno, il 10 febbraio, è diventato occasione per i nostalgici del fascismo di una massiccia operazione di revisionismo storico e di revanscismo, occasione di una poderosa campagna anti-slava e di manifestazione di un esasperato nazionalismo-irredentismo di frange politiche italiane, forti soprattutto a Trieste. Ha fatto bene dunque il presidente Napolitano, a denunciare ieri questi orientamenti. 
Ha fatto benissimo, soprattutto, a denunciare la «dura esperienza del fascismo», le «responsabilità storiche del regime fascista», le sue «avventure di aggressione e di guerra», le «sofferenze inflitte alla minoranza slovena negli anni del fascismo e della guerra». Avrebbe potuto aggiungere anche le sofferenze subite nel tristo ventennio e nella guerra dalle popolazioni croate dell'Istria e della regione guarnerina, dalle isole alla Liburnia. Senza dimenticare lo sterminio di oltre 350 mila sloveni, croati, serbi, montenegrini e jugoslavi nelle regioni occupate e/o annesse dal 3 aprile 1941 al settembre 1943 (Montenegro, Dalmazia, larghe fette di Croazia e di Slovenia) ed altre 35 mila vittime uccise da fame e malattie in oltre 60 campi di internamento per civili sparsi dal nord al sud d'Italia.
Anche quest'anno però assistiamo al ripetersi di regie consolidate negli anni passati quando, dalle celebrazioni del Giorno del ricordo, sono stati esclusi gli storici democratici ed obiettivi per essere egemonizzate da fanatici astiosi e rancorosi che speculano sul dolore dei familiari degli infoibati, sul dolore degli esuli; da politici dell'estrema destra neofascista, da forze che si richiamano alla medesima ideologia, che in nome della guerra allo slavo-comunismo e della civiltà romana contro la «barbarie», portò l'Italia ad aggredire la Jugoslavia, ad espandersi all'est. Il risultato fu la catastrofe, la sconfitta, la perdita dei territori orientali annessi dopo la grande guerra; furono le vendette delle vittime di quell'aggressione e di quella guerra, e dopo la firma del trattato di pace del febbraio 1947, un esodo di 200-240 mila istriani fiumani e zarattini che lasciarono quelle terre optando per l'Italia, per continuare ad essere italiani, o perché insofferenti del regime di Tito, o per motivi economici, familiari ed altro. Questi esuli furono le vittime principali della catastrofe. Ma in quegli anni (15 anni durò l'esodo, per concludersi a fine anni '50) abbandonati e ignorati dalla sinistra, quei disgraziati divennero serbatoio di voti per del Msi e della Dc, mentre oggi continuano ad essere strumentalizzati dai figli e nipoti ideologici di Almirante. 
Proprio in questi giorni un autorevolissimo «figlio di Almirante», Gianfranco Fini, ha inaspettatamente esaltato a La Spezia le imprese della divisione Decima Mas. È un modo indiretto per riabilitare i crimini di quei continuatori del fascismo che compirono i più orrendi delitti proprio nelle «terre del confine orientale», aggregati al terzo Reich come Adriatische Kunstenland litorale adriatico. Si tende così a riabilitare un regime che - dopo aver tentato di eliminare dalla Venezia Giulia le popolazioni slave con repressioni di ogni genere - dopo gli eccidi compiuti nella seconda guerra mondiale in quelle stesse e in altre regioni slave, dopo le foibe e l'esodo, sfruttano il Giorno del ricordo per seminare insofferenza e sospetti, verso gli italiani rimasti nelle terre istro-guarnerine e nuovo odio verso sloveni e croati. Stravolgendo la storia, usando nei loro testi e discorsi la medesima roboante e falsa terminologia mussoliniana.
Fino a quando il giorno del ricordo sarà il giorno del rancore e dell'odio verso croati e sloveni? Fino a quando l'Adriatico, nobilitato per secoli dall'osmosi di uomini e culture fino al tragico 900, potrà assorbire il veleno di quei predicatori? I quali dimenticano le tante Marzabotto chiamate kampor (isola di Arbe, 4000 morti in dieci mesi di lager), Pothum presso Fiume (100 fucilati in un solo giorno e 800 deportati), Gaiana presso Pola, Lipa presso Abbazia e tanti altri eccidi subiti da popolazioni «feroci» che dopo l'8 settembre vestirono, rifocillarono e nascosero ai tedeschi decine di migliaia di nostri soldati allo sbando. Certo, ci furono le foibe istriane del 9-30 settembre '43, ma c'erano state, non dimentichiamolo, decine di migliaia di vittime dell'occupazione italiana dal 1941 al 1943, e in quello stesso triste 1943, dal 4 ottobre in poi, ci furono le vendette dei fascisti. Che massacrarono 5000 civili e ne fecero deportare altri 17 mila, con le rappresaglie del reggimento «Istria» comandato da Italo Sauro e da Luigi Papo da Montona, della guardia nazionale repubblicana (poi milizia territoriale), della Decima Mas di Borghese operante con compagnie agli ordini di nazisti a Fiume, Pola, Laurana Brioni, Cherso, Portorose, della compagnia «mazza di ferro», comandata da Graziano Udovisi, della Brigata nera femminile «Norma Cossetto» presso Trieste, della VI brigata nera Asara e altri reparti. Si macchiarono di tali crimini che la loro ferocia fu denunciata persino dal Gauleiter Rainer, il quale chiese ufficialmente, con un telegramma al generale Wolff, il ritiro della Decima Mas dalla Venezia Giulia a fine gennaio 1945. Nel documento si parla di «una moltitudine di crimini, dal saccheggio allo stupro», dalle stragi di massa agli incendi di interi villaggi. 
Oggi quegli assassini vengono esaltati per aver «difeso fino all'ultimo le terre orientali d'Italia contro le orde slave». I loro morti, caduti in battaglia all'inizio del maggio 1945, vengono inclusi fra gli infoibati! Basta, voltiamo pagina, guardiamo al futuro. Che sia di pace e di convivenza per i nostri figli.


=== 2 ===

Sulle dichiarazioni scandalose di Napolitano per il Giorno del Ricordo 2007, e sull'incidente diplomatico da quelle causato, si veda: 

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Il Manifesto 11.02.2009

APERTURA   |   di Andrea Fabozzi - ROMA

STORIA E MEMORIA - 10 FEBBRAIO Il «giorno del ricordo» voluto dalla destra nel 2004

Napolitano ricorda le foibe 
Ma non scorda il fascismo

Nel pieno dello scontro istituzionale con la maggioranza e il presidente del Consiglio, il capo dello stato per la prima volta da quando è in carica parla delle violenze della Jugoslavia di Tito senza dimenticare le responsabilità del regime italiano e mette uno stop a «revisionismo e nazionalismo». Ricucitura con Slovenia e Croazia

In una cerimonia ingessata come quella del giorno del ricordo - un'oretta scarsa di discorsi al Quirinale, autorità in prima fila, segue "caleidoscopio musicale" per viola - l'attesa è solo per le parole del capo dello stato. Tanto più se quelle parole che in Italia la destra aspetta al guado ogni anno (sono stati quelli di An a volere per legge questa giornata, recuperando nel 2004 l'abitudine missina di legare la memoria delle foibe al nazionalismo, all'anticomunismo e al revisionismo storico) arrivano quest'anno a seguito delle polemiche della maggioranza contro il capo dello stato per la mancata firma al decreto su Eluana Englaro e nel pieno dello scontro istituzionale. E proprio ieri, per la prima volta, Giorgio Napolitano ha usato parole molto chiare sulle responsabilità italiane e fasciste a monte della tragedia delle foibe istriane. Risultato: nessun Gasparri quest'anno ha festeggiato «l'ammissione delle colpe della sinistra» (così commentò il discorso presidenziale del 10 febbraio 2007). Ma nessuno della maggioranza e del governo ha nemmeno polemizzato perché già troppo alta è la tensione con il Quirinale. Per apprezzare i sentimenti di Alleanza nazionale si deve così registrare il commento di un'assessora regionale del Veneto: «Napolitano rappresenta la sua storia personale ma non quella del popolo italiano». Il senatore Gasparri di certo condivide eppure adesso tace.
Proprio da un accenno alla vicenda Englaro è partito ieri il capo dello stato, parlando di «momento di dolore e turbamento nazionale che può divenire anche di sensibile e consapevole riflessione comune». Ma il cuore del suo discorso è stato ovviamente la rievocazione storica, pronunciata «come presidente della Repubblica italiana risorta in quanto stato alla vita democratica anche grazie al coraggio e al sacrificio dei civili e dei militari che si impegnarono nella Resistenza fino alla vittoria sul nazifascimo». Secondo Napolitano il giorno del ricordo «non ha nulla a che vedere col revisionismo storico, col revanscismo e col nazionalismo». «Innanzitutto» secondo il presidente «la memoria che coltiviamo è quella della dura esperienza del fascismo e delle responsabilità storiche del regime fascista, delle sua avventure di aggressione e di guerra. E non c'è espressione più alta di questa nostra consapevolezza - ha proseguito Napolitano - di quella che è segnata nell'articolo 11 della nostra Costituzione là dove è sancito il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli».
Difficile che questa chiara presa di posizione non abbia nulla a che vedere con le polemiche degli ultimi giorni, con gli attacchi di Silvio Berlusconi tanto al Quirinale quanto alla Costituzione «ispirata dalla costituzione sovietica». Difficile soprattutto perché nei suoi due interventi precedenti (dal 2006, dopo un primo anno in sordina, il giorno del ricordo si celebra al Quirinale come voluto da Carlo Azeglio Ciampi) Napolitano non aveva fatto alcun cenno al fascismo. Aveva invece insistito sul «disegno annessionistico slavo» come origine dell'esodo istriano e fiumano e della strage delle foibe istriane. Tanto che prima il presidente croato Mesic poi quelli sloveno Turk si erano risentiti accusando l'Italia di razzismo. L'incidente diplomatico è stato ricomposto con difficoltà e solo di recente (i chiarimenti di Turk sono di dieci giorni fa) e nel suo discorso di ieri il presidente italiano ha fatto un cenno alla «giovane personalità del presidente sloveno che ho avuto modo di apprezzare». «Con gli stati di nuova democrazia e indipendenza sorti ai confini dell'Italia vogliamo vivere in pace e in collaborazione» ha detto Napolitano. Ma soprattutto ha aggiunto che l'Italia «non dimentica e non cancella nulla, nemmeno le sofferenze inflitte alla minoranza slovena negli anni del fascismo e della guerra». Discorso chiaro ma non certo quello che la maggioranza oggi al governo si aspettava quando cinque anni fa, in due mesi e con il consenso dell'attuale partito democratico, inventò la data del 10 febbraio.


=== 3 ===


Sull'irredentismo di Gianfranco Fini


L'8 novembre 1992 Gianfranco Fini, segretario del partito neofascista MSI-DN, veniva ritratto al fianco di Roberto Menia (allora segretario della federazione MSI-DN di Trieste, noto per le spedizioni in Carso con i suoi camerati a demolire i monumenti ai partigiani a colpi di piccozza), al largo dell'Istria, nell'atto di lanciare in mare bottiglie tricolori recanti il seguente testo:

<< Istria, Fiume, Dalmazia: Italia!...
Un ingiusto confine separa l'Italia dall'Istria, da Fiume, dalla Dalmazia, terre romane, venete, italiche.
La Yugoslavia [con la Y, sic] muore dilaniata dalla guerra: gli ingiusti e vergognosi trattati di pace del 1947 e di Osimo del 1975 oggi non valgono piu'...
E' anche il nostro giuramento: "Istria, Fiume, Dalmazia: ritorneremo!" >>


Il 21 febbraio 2009 Gianfranco Fini, oramai Presidente della Camera dei Deputati, cioè terza carica dello Stato italiano, all'inaugurazione del monumento a Norma Cossetto affermava:

"Nostra intenzione è riportare in terra d'Istria non il tricolore di Stato, ma il dialetto, la memoria patria, la cultura, senza  spirito aggressivo (...) ricordando però che l'Istria è terra veneta, romana, dunque italiana."
"Occorre (...) combattere quelle piccole ma rumorose sacche di negazionismo o comunque di revisionismo che continuano a esserci, in uno spirito che deve essere quello della verità storica."

(fonte: il Piccolo del 22/02/2009, prima pagina, e ANSA)



(per maggiori informazioni sulle prossime iniziative del movimento contro la guerra e contro la NATO si veda: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/DISARMIAMOLI.htm 
Per l'Italia, ricordiamo in particolare l'iniziativa che si terrà a Vicenza il 21-22 marzo per il X Anniversario della criminale aggressione della NATO contro la FR di Jugoslavia:


Testo uscito dall'assemblea antiNato di Strasburgo

Traduzione a cura della Rete nazionale Disarmiamoli! - www.disarmiamoli.org

No alla guerra - No alla NATO

Cinquecento persone provenienti da 19 paesi hanno partecipato all'incontro 
del 14 e 15 febbraio 2009 presso la Marc Bloch University di Strasburgo
organizzato dal Comitato di Coordinamento Internazionale "No alla guerra-no 
alla NATO" e ospitati dal "Collettivo anti Nato di Strasburgo", il tutto in 
preparazione delle attività dell'anti vertice per il 60° anniversario della 
NATO che si terrà a Strasburgo 1-5 aprile
.

60 anni sono troppi - questo il punto unificante tra i partecipanti 
appartenenti ai movimenti pacifisti e no global, ai partiti e alle 
organizzazioni di sinistra, ai sindacati e ai gruppi studenteschi. Sono 
tutti contrari alla politica di guerra della NATO, sono contro le guerre in 
corso, in Afghanistan e in Medio Oriente, contro la strategia di intervento 
e ripetono con forza il loro "No alla NATO". Rifiutano di accettare i legami 
dell'EU con la NATO e chiedono una drastica riduzione delle spese militari: 
"non vogliamo pagare la vostra crisi, non per le vostre guerre".

Nel contesto delle celebrazioni ufficiali per il 50° anniversario della 
NATO, che si terranno a Strasburgo e Baden-Baden il 3 e 4 aprile, i 
partecipanti all'incontro hanno stilato un elenco di azioni e mobilitazioni:

  1.. campo internazionale di resistenza 1-5 aprile a Strasburgo, con punti 
di informazione a Kehl e Baden-Baden;
  2.. manifestazione e azioni di disobbedienza civile il 3 aprile a 
Baden-Baden in occasione dell'incontro dei Ministri degli Esteri e del 
pranzo di gala dei Capi di Stato;
  3.. convegno internazionale a Strasburgo il 3 e 5 aprile con plenarie, 
gruppi di lavoro ed una "Peace Assembly" conclusiva;
  4.. punto culminante sarà la manifestazione internazionale "No alla 
guerra! No alla NATO" che si terrà nel centro di Strasburgo il 4 aprile;
  5.. per il 4 aprile, sempre a Strasburgo, diverse organizzazioni stanno 
preparando azioni di disubbidienza civile.

Nonostante le autorità di Strasburgo abbiano annunciato che non 
autorizzeranno le azioni non violente nel centro della città, i partecipanti 
hanno riaffermato il fondamentale diritto democratico di assemblea, 
manifestazione e libertà di espressione. Hanno sottolineato che esprimeranno 
la loro protesta e la loro richiesta di libertà, nel centro della città. 
Hanno approvato una campagna internazionale di protesta per una Strasburgo 
libera, città di pace e democrazia. Per il sostegno alla delegazione per i 
negoziati, il Comitato di Coordinamento Internazionale ha costituito un 
gruppo di supporto internazionale e un gruppo di appoggio.

I diritti democratici fondamentali potranno essere difesi grazie alla forza 
dei movimenti extraparlamentari internazionali ed ai parlamentari dell'Unione 
Europea.

Il seguente appello è stato approvato dai partecipanti alla conferenza.

Appello per sostenere il diritto democratico a manifestare contro la NATO 
nel centro storico di Strasburgo il 4 aprile

La NATO celebrerà il suo 60° anniversario a Strasburgo alla presenza dei 
Capi di Stato, compreso il nuovo Presidente degli Stati Uniti.

I firmatari rifiutano le politiche della NATO che significano guerre, 
interventi militari, uso di basi militari e nuove installazioni 
missilistiche, ampliamento di un armamento permanente. Lavoriamo sulla base 
dell'appello "No alla NATO, No alla guerra".

Rifiutiamo:

-         l'intervento militare della NATO in Afghanistan;

-         la logica di guerra e iper-armamento, in particolare l'armamento 
nucleare praticato dalla NATO;

-         la reintegrazione della Francia nel comando militare NATO.

Vogliamo esprimere il nostro rifiuto nei confronti di queste politiche, 
vogliamo dare, sia ai cittadini di Strasburgo sia ai movimenti sociali, la 
possibilità di rendere pubblico il loro rifiuto.

Sono queste le richieste fatte alla prefettura che ha rifiutato la proposta 
del Comitato di manifestare contro la NATO nel centro storico di Strasburgo 
il 4 aprile.

Lo svolgimento del summit della NATO farà di Strasburgo una fortezza; questo 
non è giusto né per i suoi cittadini né per le migliaia di manifestanti 
pacifisti provenienti da tutto il mondo.

Saranno messe in atto misure straordinarie di sicurezza: sarà definita una 
zona rossa, sarà stilato un elenco dei cittadini, sarà organizzato un nuovo 
sistema di video sorveglianza.

Questa passerella di Capi di Stato nel centro storico di Strasburgo, e nelle 
sue vicinanze, significherà per i suoi abitanti l'impossibilità di mantenere 
la propria vita quotidiana, non avere libertà di movimento; tutto questo per 
noi è intollerabile e ci impedisce di far conoscere il vero volto della 
NATO. Mentre i cittadini pagheranno il summit e la glorificazione della 
NATO, chi dissente sarà marginalizzato.

La mobilitazione contro il summit della NATO è partita a livello mondiale 
con grande successo. Il 4 aprile i cittadini del mondo verranno a Strasburgo 
ad esprimere, con spirito nonviolento, il loro "desiderio di Pace" e il loro 
"No alla NATO".

La nostra mobilitazione chiede la redistribuzione dei mezzi finanziari, 
spostandoli dalla guerra ad una politica che si occupi delle sfide che 
devono affrontare i popoli del pianeta in campo sociale, economico, 
democratico e ambientale.

Viene spontanea la domanda, quale sarà a livello globale l'immagine di 
Strasburgo?

Una città trasformata in fortezza al servizio della NATO o una città che 
celebra i valori di democrazia e pace?

Vogliamo il diritto di manifestare nel centro storico. La richiesta che 
rivolgiamo al governo francese ed alle autorità locali è di garantire il 
diritto democratico di una libera, indipendente e pacifica manifestazione.

International Activity Conference, composta da più di 500 partecipanti, 
Strasburgo 14-15 febbraio.

La Conferenza ha significato un passo importante nella costruzione della 
mobilitazione internazionale contro la NATO e il summit per il 60° 
anniversario, mobilitazione iniziata 6 mesi fa con l'appello internazionale 
di Stoccarda. Molte forze, da tutto il mondo, stanno convergendo per 
esprimere il loro desiderio di un pianeta più giusto e pacifico. Dal 1 al 5 
aprile facciamo di Strasburgo una capitale di pace!




L'ITALIA FASCISTA IN CUI VIVIAMO


Ho inviato questa lettera al Messaggero Veneto, giornale di Udine. È breve perché ormai non ci sono più tanti ragionamenti da fare.
Alessandra Kersevan

LETTERA CON PREGHIERA DI PUBBLICAZIONE

Leggo sui giornali di oggi che la Destra-Fiamma tricolore e anche Alleanza nazionale «si organizzano per mettere il proprio marchio sulle associazioni di volontari della sicurezza».
Poi leggo che il ministro Maroni ha detto di «non chiamarle ronde, ma volontari per la sicurezza».
Mi è venuto in mente che le Camicie nere si chiamavano "milizia volontaria per la sicurezza nazionale". 
Ho sentito più di un un brivido lungo la schiena.

Grazie per l'attenzione.
Alessandra Kersevan



L'ITALIA FASCISTA IN CUI VIVIAMO / 2 


Da: anpibarona @...
Oggetto: 24 febbraio 1945/23 febbraio 2009
Data: 24 febbraio 2009 16:59:17 GMT+01:00

Nato a Trieste l’11 dicembre 1912, ucciso a Milano il 24 febbraio 1945, fisico, capo del Fronte della Gioventù, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria.
Eugenio Curiel
.... Il mattino del 24 febbraio 1945, a due mesi dalla Liberazione, mentre si sta recando ad un appuntamento, Eugenio Curiel viene sorpreso in piazzale Baracca da una squadra di militi repubblichini guidati da un delatore; non tentano nemmeno di fermarlo: gli sparano una raffica quasi a bruciapelo. Il giovane - che nella motivazione della Medaglia d’oro viene definito "Capo ideale e glorioso esempio a tutta la gioventù italiana" - si rialza, si rifugia a fatica in un portone, ma qui viene raggiunto e finito dai fascisti. Il giorno dopo, sulla macchia rimasta, una donna spargerà dei garofani....

Ieri sera 23 febbraio 2009, alle 17.00 In piazza Conciliazione. Milano.
gravissimo atto vandalico, esterrefatti esprimiamo dolore, rabbia, e vicini ai compagni della Sezione E.Curiel, non possiamo che rinnovare il nostro impegno, aumentare le nostre energie per la lotta contro il fascismo...!