Informazione

From: Radio Città Aperta <segreteria @ radiocittaperta.it>


Radio Città Aperta e Contropiano, giornale per la rete dei comunisti,
tornano ad organizzare il


Meeting Internazionale per la Pace e la solidarietà tra i popoli

 
24-25-26 giugno a Roma,
nell’area dell’ex bocciodromo di Testaccio
(via Monte Testaccio 23)

Tre giorni di dibattiti, musica, cultura, stands

LA RESISTENZA GLOBALE

I soggetti ed i progetti che per rendere possibile un altro mondo
resistono

contro la guerra, l’imperialismo e lo sfruttamento

Giovedì 24 giugno:

ore 19.00: un libro per discutere: “La dolce maschera dell’Europa” (di
Joaquin Arriola e Luciano Vasapollo)

ore 20.30: “America Latina. Indipendenza e resistenza tra egemonia
statunitense ed ambizioni dell’Europa”
incontro-dibattito organizzato dalla redazione di Nuestra America

ore 22.00: concerto con i PAMA INTERNATIONAL (reggae rock dagli USA,
unica data in italia)

venerdi 25 giugno:

ore 19.00: un libro per discutere: “Lavoro senza rappresentanza” (di
Paolo Ciofi)

ore 20.30: Incontro- dibattito: “R/Esistenze di classe. Le esperienze
di lavoratori e precari alla riconquista di reddito, diritti e dignità”

Ore 22.30: concerto degli SKINDREAD (metalreggae dagli USA, unica data
in Italia)

Sabato 26 giugno:

ore 19.00: un libro per discutere: “Serbi e Bassotti, Saddam e
Bertinotti” (di Fulvio Grimaldi)

ore 20.30: “La Resistenza globale”. Presentazione e dibattito su
“Target. Iraq, autodeterminazione dei popoli e competizione globale”
(ultimo quaderno di Contropiano).

ore 22.00: concerto con RADICI NEL CEMENTO (reggae metropolitano da
Roma)

Dopo i concerti discoteca con i d.j. di Radio Città Aperta. Ci sarà
un’area per gli stands e funzioneranno punti ristoro.


http://www.radiocittaperta.it

AFFINCHE' I GIAPPONESI NON NUTRANO ALCUN DUBBIO


<< Caro Curzi, oggi ho visto nei pressi del Colosseo dei personaggi in
borghese (poliziotti?) sequestrare una macchina fotografica ad un
turista giapponese che stava scattando foto ad un gruppo di giovani che
agitavano una bandiera della pace. Chi sono quelle persone? E' un reato
fare delle foto? >>


(da "Liberazione", rubrica delle lettere, giovedi 3 giugno 2004, con
riferimento ad una manifestazione di dissidenti repressa nel corso
della parata militare a Roma)

--- In aa-info @ yahoogroups.com, Orsola Mazzola ha scritto:

Subject: Angiolo Gracci, comandante partigiano - Il Patto Atlantico -
( da De Gasperi a D'Alema ... )


NELL'ANNIVERSARIO DELLA REPUBBLICA

"La legalità non si può costruire sull'inganno"

Ho avuto modo di conoscere, pochi anni prima della sua morte, Angiolo
Gracci, comandante partigiano ( "Gracco" ), cioè uno di coloro che
questa Repubblica ormai in svendita avevano costruito con la loro
passione, le loro lotte, la loro fatica.

Gracci diceva spesso una cosa, che evidentemente costituiva secondo
lui un messaggio importante per le generazioni più giovani della sua,
che non hanno vissuto quei momenti della storia.

Denunciava con la forza di chi non si è mai rassegnato ad accettare
le ingiustizie che reggono l'impero, che il Parlamento Italiano ( o
almeno la sua parte più onesta ) è stato vigliaccamente ingannato,
all'atto del voto in aula per la rattifica del Patto Atlantico.

Raccontava infatti Gracci ( citando gli atti del dibattito
parlamentare ) che il problema della concessione o meno di basi
militari sul territorio nazionale era molto vivamente sentito a
quell'epoca, e che non ci sarebbe stato un voto favorevole del
Parlamento per l'entrata dell'Italia nella NATO, se i parlamentari di
allora avessero pensato che questa adesione avrebbe potuto comportare
la presenza di basi militari sul territorio nazionale.

Ci fu una storica telefonata "strategica" tra De Gasperi e il
Presidente degli Stati Uniti. Quindi De Gasperi riferì al Parlamento
che il presidente USA gli aveva garantito personalmente che l'Italia
non avrebbe dovuto concedere basi.

Così il Parlamento votò. E noi oggi siamo sudditi dell'impero, con il
ruolo di utili gendarmi NATO.
Ma la legalità non si può costruire sull'inganno, - diceva Gracco -
E non si può non essere daccordo con lui.

- Orsola Mazzola -
( 2 giugno 2004 )

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---------

Dalle dichiarazioni di De Gasperi di fronte al Parlamento Italiano,
( nell'ambito del dibattito sull'adesione al Patto Atlantico )
- 16 marzo 1949 -

"Nessuno ci ha mai chiesto basi militari, e d'altra parte non è nello
spirito dei patti di mutua assistenza tra stati liberi e sovrani, come
il Patto Atlantico, di chiederne o concederne".

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-----------
CINQUANT' ANNI DOPO.......

Dalle dichiarazioni di D'Alema ( prima dell'aggressione NATO alla
Jugoslavia )
- gennaio 1999 -

"Quando la NATO riterrà di intervenire, noi saremo con i nostri
alleati".
"Visto che facciamo parte della NATO, non dobbiamo concederle*, il
loro impiego è automatico".

[ * le basi sul territorio italiano ]

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-------------
Da:
"Crimini di guerra USA - NATO in Jugoslavia"
( Introduzione -" Il contributo italiano alla guerra" )
A cura del Tribunale Internazionale Indipendente
per i crimini NATO in Jugoslavia - Sezione Italiana -
- 3 giugno 2000 -

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---------------


--- Fine messaggio inoltrato ---

[ La lobby degli "esuli" tedeschi sta cercando di trarre profitto dallo
squartamento della Jugoslavia - proprio come certi settori revanscisti
istro-dalmati italiani, sin dal 1991, o come i "tedeschi dei Sudeti"
nei confronti della Repubblica Ceca. Insieme alla Croazia (vedi:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3377 ) anche
la Serbia e' oggetto delle pressioni dei cosiddetti "svevi
danubiani"... ]

http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1086127200.php

02.06.2004

Revisionsachse

GAKOVO - Eine Gedenkstätte für ,,Volksdeutsche" ist im ehemaligen
Jugoslawien eingeweiht worden. ,,Vertriebenen"-Organisationen
bezeichnen die Errichtung des Denkmals in Gakovo (Nordwestserbien) als
,,ersten Schritt zur moralischen Rehabilitation der Donauschwaben". Die
deutschsprachige Minderheit hatte mehrheitlich mit dem
NS-Besatzungsregime kollaboriert und war bei Kriegsende sistiert und
des Landes verwiesen worden. Serbien und Montenegro sollen die
entsprechenden Dekrete annullieren, verlangen einflussreiche deutsche
,,Vertriebenen"-Funktionäre. Die Forderung ist Teil weit gespannter
Revisionsbestrebungen in ganz Ost- und Südosteuropa, die an den Streit
um die Pariser Friedensverträge in den 1920er und 1930er Jahren
erinnern.

,,Vernichtungslager"

Das am 22. Mai in Gakovo eingeweihte Gedenkkreuz erinnert an Angehörige
der deutschsprachigen Minderheit, die während und nach dem Zweiten
Weltkrieg ums Leben kamen. Die so genannten ,,Volksdeutschen" hatten
während der NS-Besatzung des Landes mehrheitlich mit dem deutschen
Besatzungsregime kollaboriert1), viele von ihnen starben als
Wehrmachtssoldaten. In Gakovo internierte das befreite Jugoslawien von
März 1945 bis Januar 1948 zahlreiche der Kollaboration verdächtige
,,Donauschwaben" unter völkerrechtlich fragwürdigen Bedingungen. Dabei
fanden etliche der Gefangenen den Tod. In Kreisen der ,,Vertriebenen"
werden die damaligen Haftumstände genutzt, um Gakovo - in offenem
Anklang an Auschwitz und andere Stätten der deutschen
Menschheitsverbrechen - als ,,Vernichtungslager" zu bezeichnen und die
kollaborierenden ,,Volksdeutschen" ihren Opfern gleichzustellen.

,,Moralische Rehabilitation"

An der Einweihung der Gedenkstätte in Gakovo nahmen neben hochrangigen
,,Vertriebenen"-Funktionären auch der Parlaments-Vizepräsident der
serbischen Provinz Vojvodina sowie ein Vertreter der deutschen
Botschaft in Belgrad teil. ,,Vertriebenen"-Organisationen bezeichnen
die Einweihung des Gedenkkreuzes als ,,ersten Schritt zur moralischen
Rehabilitation der Donauschwaben". Sie fordern die Annullierung der
AVNOJ-Gesetze, in denen Sanktionen gegen die ,,Volksdeutschen"
beschlossen worden waren.2) Das Parlament der serbischen Provinz
Vojvodina hat sich im vergangenen Februar diesem Verlangen
angeschlossen3), die Republik Kroatien bereitet offenbar eine
Annullierung der AVNOJ-Gesetze auf ihrem Hoheitsgebiet vor.4)

Berlin-Wien-Budapest

Die Bemühungen um Annullierung der AVNOJ-Gesetze in den Staaten des
aufgespaltenen Jugoslawien gehen mit identischen Aktivitäten in den
Zerfallsstaaten der ehemaligen Tschechoslowakei einher.5) Dort sollen
die Benes-Dekrete rückwirkend außer Kraft gesetzt werden. Die
Forderungen werden von Deutschland, Österreich und Ungarn gemeinsam
vorgetragen6) und durch ungarische Ansprüche auf rumänisches
Territorium ergänzt7). Die Staatenkonstellation, in der Berlin den Ton
angibt, erinnert an die 1920er und 1930er Jahre. Damals hatte der
tschechoslowakische Außenminister Edvard Benes unter französischem
Schutz ein bilaterales Bündnissystem mit Jugoslawien und Rumänien
abgeschlossen (,,Kleine Entente"), das eine Revision der Pariser
Friedensverträge durch die Achse Berlin-Wien-Budapest verhindern
sollte. Die ,,Kleine Entente" zerbrach im Vorfeld des ,,Münchner
Abkommens" vom 29. September 1938.

1) s. dazu ,,Fünfte Kolonne" in Jugoslawien
http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1044313693.php
2) s. dazu Deutscher ,,Bund" gegen jugoslawische AVNOJ-Beschlüsse und
Wiedergutmachung für ,,Völkermord an den Deutschen"
http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1044313813.php
http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1038610800.php
3) s. auch Maximale Spaltung
http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1079054205.php
4) s. dazu Kriegsgewinne
http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1079655038.php
5) s. dazu Europäische Aufgabe
http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1086041708.php
6) s. auch Sonderstellung und Besser als wir
http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1084661498.php
http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1075158000.php
7) s. dazu Wert der Waffen
http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1074207600.php

s. auch Die Donau klingt
http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1077836400.php

Quellen:
1000 Menschen trauern im serbischen Gakovo; www.vloe.at
Gedenkkreuz für deutsche Opfer in der Vojvodina enthüllt; Deutsche
Welle Monitor Ost-/Südosteuropa 25.05.2004


Informationen zur Deutschen Außenpolitik
© www.german-foreign-policy.com

Inicijative u Becu i Beogradu

1. JOeSB: Wien / Bec, 9.6.2004, Kandidatenhearing zur EU-Wahl
2. BEOGRADSKI FORUM: Beograd, 19.6.2004, Javna tribina o Haskom
tribunalu

=== 1 ===

Da: joesb
Data: Mer 2 Giu 2004 09:08:20 Europe/Rome
Oggetto: Kandidatenhearing der Wiener Serben zur EU-Wahl

Die österreichischen Serben und die EU-Wahl
KandidatInnen-Hearing der Jugoslawisch-Österreichischen
Solidaritätsbewegung

Mi, 9. Juni, 19 Uhr
Amerlinghaus (im Hof)
Stiftgasse 8, 1070 Wien

Die KanditadInnen aller wahlwerbenden Gruppierungen sind eingeladen zu
folgenden Fragen Stellung zu nehmen:

· Die EU unterstützte die Bombardierung Jugoslawiens durch die Nato
1999. Wie stehen Sie heute zu dem Krieg?

· Österreich war im vergangenen Jahrhundert an drei Kriegen gegen
Serbien beteiligt. Wie gedenken Sie dieses Unrecht wieder gutzumachen?

· Unter dem von Nato und EU geführten Protektorat sind mehrere
hunderttausend Serben und Nichtalbaner aus dem Kosovo vertrieben
worden. Welche Vorschläge haben Sie nationale „Säuberung“ zu stoppen
und das Recht auf Rückkehr durchzusetzen?

· Unter der Ägide der EU wird Serbien der Globalisierung unterworfen,
die nationale Industrie wird geschlossen oder an internationale
Konzerne verkauft. Breite Teile des serbischen Volkes verarmen. Will
die EU Serbien wieder zu ihrem kolonialen Hinterhof machen?

· Die EU verhalf der Regierung Djindjic an die Macht. Seither regiert
die Mafia, sind die Medien gleichgeschaltet wie nie zuvor, werden die
Grundrechte vom Polizeistaat mit Füßen getreten. Ist das Demokratie à
la EU?

· Welche Schritte stellen Sie in Aussicht, um der Verteufelung der
Serben, die schon Karl Kraus konstatierte, ein Ende zu bereiten?

**************************************
Jugoslawisch-Österreichische Solidaritätsbewegung
Meiselstraße 46/4
A-1150 Wien
Tel&Fax: (+43 1) 9202083
joesb @ vorstadtzentrum.org
http://www.vorstadtzentrum.org/joesb
**************************************

=== 2 ===

BEOGRADSKI FORUM: Javna tribina o Haskom tribunalu

http://www.artel.co.yu/sr/reakcije_citalaca/2004-06-02_1.html

BEOGRADSKI FORUM ZA SVET RAVNOPRAVNIH
Beograd, 28. 05. 2004. GODINE

Javna tribina o Haskom tribunalu

BEOGRADSKI FORUM ZA SVET RAVNOPRAVNIH , kao nezavisno, nestranacko,
udruzenje gradjana, organizuje javnu tribinu o HASKOM TRIBUNALU.
Tribina ce se odrzati u subotu, 19. juna 2004. godine, na Pravnom
fakultetu u Beogradu, sala I, sprat I, sa pocetkom u 10 h.

Uvodna saopstenja podnece:

1. Akademik Kosta Cavoski, profesor Pravnog fakulteta
2. Dr Smilja Avramov, profesor Pravnog fakulteta u penziji
3. Dr Ljubisa Lazarevic, prof. Pravnog fakulteta u penziji
4. Dr Oliver Antic, prof. Pravnog fakulteta
5. Dr Branko Rakic, docent Pravnog fakulteta
6. Vladislav Jovanovic, raniji Savezni ministar za inostrane poslove,
clan Upravnog odbora Foruma
7. Mr Goran Cvetic, advokat, clan Upravnog odbora Foruma

Tribina je otvorena za javnost a Beogradski forum poziva sve medije da
prate izlaganja o ovoj znacajnoj temi.

Zainteresovani za ucesce u diskusiji treba da se sto pre, ili
neposredno pred pocetak tribine, najave Sekretarijatu foruma (tel/faks:
011/3245601), sa naznakom blize teme

Predsednik Beogradskog foruma

Zivadin Jovanovic

BEOGRADSKI FORUM ZA SVET RAVNOPRAVNIH
11000 Beograd, Misarska 6/II, Srbija i Crna Gora
Tel/Faks: (+381 11) 3245601
E-mail: beoforum @ verat.net
www.belgrade-forum.org

ECOCIDIO (italiano / english)

1. Due importanti articoli da "Osservatorio Balcani":

*** Intervista a Borislava Kruska, Sindaca di Pančevo:
IL TUMORE DI PANCEVO

*** MORIRE DI ZASTAVA, servizio di B92

2. Dall'intervento di Gilberto Vlaic durante l’assemblea del 15 marzo
2004 alla Zastava di Kragujevac

3. Prevalent mental health problems three years after
NATO bombing (Innovation Report, Germany)

---

Altri nuovi link:

Environmental protection agreement signed with UN

http://www.serbia.sr.gov.yu/cgi-bin/printpage.cgi?filename=/news/2004-
05/07/334375.html

UNEP: Kosovo conflict hot spots cleaned up

http://www.reliefweb.int/w/rwb.nsf/6686f45896f15dbc852567ae00530132/
1a9b16087813420ac1256e8d0040bd15?OpenDocument


=== 1 ===


Dalla Newsletter dell'Osservatorio Balcani -
www.osservatoriobalcani.org - n.   18/2004

Altro che primavera...

La questione ambientale nei Balcani (ma potremmo dire ovunque) non è
solo un tema da appassionati naturalisti. Si intreccia con il tema dei
diritti sociali, delle regole economiche e sociali di un paese, della
partecipazione civica. Ed ha a che fare anche con le guerre passate.

Ad esempio in Serbia, l’ambiente ha subito e continua a subire enormi
danni, in parte dovuti ai pesanti bombardamenti del 1999, in parte per
ragioni preesistenti: complessi industriali fatiscenti, mancanza di
attenzione per la tutela dell’ambiente e altro ancora. Di certo i
bombardamenti hanno lasciato eredità orribili e a farne spesa, lontano
dagli occhi dei media, sono i cittadini di quei luoghi. Se il tempo
passa e le guerre, come i film, si susseguono, ciò che invece resta
come segno indelebile, fuori di metafora fino alla morte, sono le
conseguenze delle guerre. Conseguenze che gravano soprattutto
sull’ambiente e sulla salute dei cittadini.

Per non dimenticare tutto questo abbiamo deciso di dedicare la
newsletter di questa settimana al delicato tema dell’ambiente, cercando
di far parlare soprattutto i cittadini che lì abitano. Come la Sindaca
di Pancevo, che racconta dell'inquinamento spaventoso di una città dove
un petrolchimico più inquinante di Porto Marghera è stato
deliberatamente bombardato da aerei della Nato. O come gli operai della
Zastava che denunciano strane malattie tra chi nel 1999 fu addetto allo
sgombero delle macerie. (...)

---

http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=3063

Il tumore di Pančevo

Ci sono città che vengono ricordate e nominate per i prodotti tipici,
per l’interessante architettura urbanistica, per le bellezze naturali.
Pančevo, invece, è nota come la città dei tumori. Intervista con
Borislava Kruška, sindaca di Pančevo

(10/05/2004) Borislava Kruška, sindaca di Pančevo, due weekend fa è
stata invitata dalla Provincia di Ravenna alla Fiera di Civitas, per
partecipare ad un seminario sull’ambiente dal titolo “Danubio: la via
d’acqua di un’Europa fragile. Voci ed esperienze per un’integrazione
possibile”. Borislava Kruška è una donna intraprendente, non parla il
politichese e preferisce in modo molto pratico affrontare problematiche
concrete. Il suo discorso semplice e diretto snocciola una quantità di
orrori ambientali, di ricorrenze altissime di malattie causate
dall’inquinamento, che al solo nominarle viene la pelle d’oca. Tuttavia
Borka, come si fa chiamare, non si perde d’animo, ricorda a tutti la
gravità dei bombardamenti della NATO del ’99 e le loro conseguenze
tremendamente ingombranti, ma ricorda anche la particolarità del
complesso industriale di Pančevo, causa di notevole inquinamento anche
prima che venisse ripetutamente bombardato. Di fronte a chi proviene da
una città che è ricordata per i tumori, dove gli annunci funebri
riportano di continuo persone di soli 30 anni, il senso di disagio e di
impotenza è notevole. Quella che segue è l’intervista che ci ha
rilasciato prima dell’inizio della conferenza. Il disegno della foto è
di Aleksandar Zograf, anche lui presente alla conferenza.

di Luka Zanoni

Osservatorio sui Balcani: Parliamo un po’ di Pančevo. Una città che dal
punto di vista ambientale, e in modo particolare dopo i bombardamenti
della NATO nel ’99, è considerata il buco nero della Serbia.

Borislava Kruška: Dunque, dovete sapere che Pančevo è una città che si
trova nelle immediate vicinanze di Belgrado, circa una quindicina di
km, e che siede in pratica nell’incontro del Tamiš col Danubio. La
caratteristica fondamentale di Pančevo è che in una parte della città,
in quella a sud, si trova la zona industriale. Io dico che è in città,
perché in realtà sorge vicino agli edifici. È una zona industriale
composta da tre fabbriche chimiche: una raffineria petrolifera, una
industria di concimi chimici azotati e un complesso petrolchimico.
Tutte e tre sono dei grandi inquinatori di per sé. E tutte e tre nel
’99 sono state bombardate ripetutamente. Per la precisione in 28 punti
durante i 77 giorni di bombardamenti. E noi consideriamo che, per
quanto riguarda il petrolchimico, per esempio, o la fabbrica di
concimi, non si è trattato di obiettivi militari e quindi si potevano
evitare. Qui è stata violata la convenzione di Ginevra, che proibisce
l’attacco contro questo tipo di obiettivi, i quali hanno prodotto un
un’enorme inquinamento. Così che Pančevo, a causa dell’enorme
inquinamento, sia dell’aria che della terra o dell’acqua, non solo
quella del Danubio ma anche delle falde acquifere utilizzate per
l’acqua potabile, è considerata come un buco nero in Europa.

Ecco questa è la situazione in cui viviamo. Buona parte
dell’inquinamento non possiamo più identificarla bene, perché è finita
nell’aria e nella terra. Cosa è stato fatto non lo sappiamo… Cerchiamo
almeno di salvare la nostra acqua da un possibile ulteriore
inquinamento.

Dopo i bombardamenti a Pančevo sono giunti esperti da tutto il mondo
per portare avanti alcuni progetti. Per la precisione si tratta di 14
progetti che riguardano il risanamento delle aree bombardate. Le
Nazioni Unite, mediante la sezione dedicata all’ambiente denominata
UNEP, si sono fatte carico dell’obbligo di condurre a termine quei
progetti. Tuttavia l’UNEP non è un’organizzazione che dispone di propri
mezzi finanziari, ma si basa sulle donazioni. L’UNEP chiede donazioni a
tutto il mondo e riesce a raccogliere solo una piccola parte di denaro.
Consideriamo che Pančevo ha 14 progetti, ma su tutta la Serbia ce ne
sono 27 che riguardano l’enorme inquinamento causato dai bombardamenti
di Novi Sad per esempio, e anche il bombardamento della raffineria di
Bor e a Kragujevac dove c’è la fabbrica di automobili, dove è stata
dispersa una grande quantità di Piralen.

OB: Proprio di recente anche i media serbi hanno riportato l’attenzione
sulla pericolosità del Piralen…

BK: Il Piralen è particolarmente pericoloso, si tratta di un materiale
plastico confluito in grandi quantità nell’acqua. Anche a Pančevo hanno
svolto delle ricerche, e dopo la conclusione delle ricerche, sono stati
fatti dei progetti della durata di sei mesi e un anno riguardanti il
Piralen. Ma, dei 20 milioni di dollari attesi per portare a termine i
27 progetti, l’UNEP è riuscito a raccoglierne in quattro anni circa
11.5 milioni, il che è ovviamente del tutto insufficiente. Così un mese
fa ha terminato la sua missione e ha chiuso quel programma, ma in
pratica la parte più grossa dell’inquinamento non è stata sanata.

Il luogo più inquinato di Pančevo, e probabilmente di tutta la Serbia,
è il canale delle acque di scarico, dove confluiscono gli scarichi di
tutte le fabbriche. Il canale si trova nel territorio della fabbrica di
azotati, per confluire poi nel Danubio. Le vasche per la pulizia sono
state distrutte durante i bombardamenti e vi dico che il Danubio si
trova in serio pericolo. In questo canale sappiamo che confluiscono
attualmente 40.000 tonnellate di rifiuti pericolosi che sono rimasti
dopo la missione dell’ONU e che rimangono là dove sono.

L’Agenzia europea per la ricostruzione ci offre 4.5 milioni di euro
solo per spostare quei rifiuti di mezzo chilometro più in là così da
difendere il Danubio. Ma per risolvere veramente il problema sarebbero
necessari almeno 9 milioni di euro. Una somma che noi non abbiamo,
sicché questo problema resta irrisolto, e la nostra preoccupazione
principale è come risolverlo. Ci confrontiamo con un problema
gigantesco, conseguenza dei bombardamenti, e a distanza di 5 anni da
quei tristi avvenimenti ancora non è stato risolto.

E proprio perché ci troviamo in questa drammatica situazione,
l’amministrazione locale, a capo della quale mi trovo già da tre anni e
mezzo, sulle questioni ambientali lavora molto di più di quanto non sia
prescritto nei suoi compiti.

Ma l’amministrazione locale ha una scarsa influenza per quanto riguarda
la difesa dell’ambiente. Perlopiù si occupa delle licenze che si devono
rilasciare, di controllare che tutto sia in regola, di verificare un
inquinamento di piccola entità dovuto a piccole aziende o negozi. Tutto
il resto è di competenza del ministero della repubblica della Serbia,
anche della regione della Vojvodina, ma della Serbia in particolare
quando parliamo dei nostri complessi industriali che sono altamente
inquinanti, a prescindere dai bombardamenti.

OB: Quindi se capisco bene, non avete questo grande potere di
intervento…

BK: No, non abbiamo alcun tipo di potere e non abbiamo nemmeno compiti
ben precisi. Ma ci diamo da soli, almeno io mi sono data da sola, dei
compiti precisi su questa questione, tale da farla diventare la nostra
priorità, così che si possa difendere la salute dei cittadini.
Lavoriamo parecchio anche per fare in modo di riuscire dove non è stato
fatto nulla. Adesso, con l’aiuto della Provincia di Ravenna, cerchiamo
di portare avanti un progetto molto serio di monitoraggio
dell’inquinamento atmosferico, perché in pratica non abbiamo dati dalle
industrie. Le industrie inquinano e noi non abbiamo una
rappresentazione dell’entità dell’inquinamento, di come e quando
inquinano, di cosa ci succede. Grazie alla Provincia di Ravenna, ora è
lo stesso Comune di Pančevo che può effettuare autonomamente i
controlli di inquinamento atmosferico

OB: Vale a dire che in questo momento non avete ancora dati precisi
sull’inquinamento?

BK: Non abbiamo dati sulla quantità dell’inquinamento in città, ma non
abbiamo dati nemmeno per quanto riguarda le industrie. Benché le
industrie siano obbligate a fare i controlli, a noi non danno mai i
dati. E quando si arriva alla situazione in cui noi stessi percepiamo
l’inquinamento in modo, diciamo, organolettico, ossia quando non
riusciamo a respirare, tossiamo, ecc., allora chiamiamo la raffineria e
chiediamo cosa sta succedendo e ci rispondono: “mah da noi niente,
dovete chiamare l’altra fabbrica”. Chiamiamo gli altri e ci dicono,
“no, è di sicuro la raffineria”…

OB: Insomma giocano a scaricabarile…

BK: Esattamente, e così ormai da anni. Esiste un Istituto per la difesa
della salute che in realtà misura questi parametri, ma vengono presi in
due posti definiti e vengono calcolati sulla media delle 24 ore. Ciò
significa che in pratica non abbiamo mai un alto tasso di inquinamento,
e secondo il loro metro di misura la parte più pulita è quella esatta…
Mentre i dati che, da adesso, riusciamo noi stessi a raccogliere si
basano su una frequenza di un minuto. L’apparecchio controlla minuto
per minuto e ci dà immediatamente i dati sullo status dell’ambiente. In
questo modo possiamo vedere noi stessi cosa succede, e queste
conoscenze possono essere utilizzate anche per procedure legali contro
gli inquinatori.

OB: È veramente incredibile, insomma sono passati cinque anni dai
bombardamenti e nessuno parla più di queste cose. Eppure ci sono state
proteste, eravamo tutti contro i bombardamenti… Non dico solo da voi,
ma anche qui… e dopo? La gente ha continuato a morire lo stesso…

BK: Certo, la gente muore ma noi non abbiano nemmeno degli elenchi che
ci dicano qual è la situazione. Sappiamo che c’è stato un aumento del
20% di funerali, perché questi sono dati comunali, ma dall’ospedale non
riceviamo i dati sulle cause di mortalità. Non ci sono buoni archivi
protocollari dove possiamo trovare riportati tutti i dati sulla
mortalità, per vedere cosa succedeva prima, per vedere se prima e dopo
ci sono stati aumenti della mortalità a causa delle industrie chimiche.
Si tratta di malattie veramente devastanti, è un cancro che colpisce
gli organi vitali e gli organi interni: fegato, polmoni, ecc.

OB: …cioè, è la malattia più diffusa?…

BK: Ti dico di più, c’è persino un tipo di tumore che si chiama il
tumore di Pančevo. È decisamente molto noto, molto. In pratica si
tratta di un tumore che colpisce i polmoni e il fegato, il segnale è
quando ti aprono per vedere cosa hai e vedono che non c’è più niente da
fare. Ma questo c’era anche prima dei bombardamenti, non è una
conseguenza diretta dei bombardamenti. Si tratta della costruzione
delle industrie in città, e la non curanza di controllare l’industrie
che ci avvelenano più che possono. E quando chiedete agli uffici di
medicina competenti, cosa sta succedendo… loro dicono niente. Perché,
succede qualcosa?...

Per questo dico che questo progetto di monitoraggio è per noi una cosa
veramente importante, un passo avanti per essere informati sulla
situazione, per vedere cosa c’è e come possiamo comportarci. Il nostro
obiettivo non è tanto quello di chiedere una condanna, quanto quello di
impedire che ciò accada. Se ci dovrà essere una condanna lo vedremo in
seguito, ma non è la nostra priorità. Si tratta di sapere innanzitutto
cosa c’è, di discutere con gli organi statali, con gli organi delle
fabbriche, per vedere se si può ridurre l’inquinamento. Vedere se
esiste il cosiddetto fattore umano, un lavoratore che non bada a come
lavora e che molto spesso è la causa di incidenti, se c’è del denaro da
investire e mettersi d’accordo insieme, passo per passo, per trovare la
soluzione desiderata.

OB: Da quando esiste questo complesso?

BK: L’ultimo è degli ultimi cinquanta anni, mentre la fabbrica di
concime mi sembra all’inizio degli anni ’40. All’inizio è stata
costruita la fabbrica di concimi e poi le altre due, e il loro
inquinamento col vento arriva sino nel centro della città. È un grosso
problema, qualcuno ci aveva pensato quando hanno costruito la fabbrica,
ma non sono stati sufficientemente ascoltati. Così che oggi abbiamo
questa situazione. E poi ci sono degli interessi statali, le fabbriche
non possono essere chiuse.

OB: All’incirca quante gente vi lavora?

BK: 10.000 lavoratori

OB: E qual è la popolazione complessiva di Pančevo?

BK: Pančevo come città ha 80.000 abitanti, ma in totale il comune, che
è composto da alcuni grandi villaggi, di dimensioni di 5-10.000
abitanti ciascuno, raggiunge circa i 130-140 mila abitanti.

Voglio dirti un’ultima cosa: quando si parla di questi progetti che
riguardano la città di Pančevo, posso dire che molti vengono qua,
preparano vari studi di fattibilità (feasibility study), servizi di
documenti, diverse tavole rotonde, dove vengono spesi un sacco di
soldi… sicché noi siamo ancora in questa situazione. E per quanto a
livello comunale io possa lottare concretamente contro tutto ciò e
cercare di chiedere che l’aiuto si basi su qualcosa di concreto, per
poter disporre di un aiuto che sia tale, è difficile che le cose
cambino. Ecco perché l’aiuto che ci offre Ravenna ci è molto caro.
Perché abbiamo un aiuto veramente concreto, qualcosa che si può vedere,
che è scritto, sappiamo qual è la cifra e alla fine abbiamo anche un
risultato concreto.

Su Pancevo vedi anche:

Pancevo: il dramma di un’altra Marghera
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=1496

Pancevo: nuovi strumenti per misurare la qualità dell'aria
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view2&NewsID=1359

La situazione ambientale a Pancevo
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view2&NewsID=429

Sull'ambiente in Serbia vedi anche:

Bomba ecologica a Kragujevac?
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=2897

Serbia: Bomba ecologica al Piralen
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=1342

Obrenovac: uno scenario da catastrofe
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=1595

» Fonte: © Osservatorio sui Balcani

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http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=3068

Morire di Zastava

A seguito dei bombardamenti della NATO nel 1999 numerosi lavoratori
della Zastava furono impiegati nel risanamento della fabbrica di
Kragujevac. A distanza di cinque anni, quei lavoratori stanno morendo
silenziosamente. Da Kaziprst, B92

(11/05/2004)

Durante la campagna di bombardamenti condotta dalla NATO nel 1999
sull'allora Federazione di Jugoslavia la Zastava, fabbrica di
Kragujevac, fu colpita due volte in modo devastante. Il primo attacco
missilistico fu lanciato il 9 aprile 1999 e distrusse buona parte della
fabbrica, mentre il secondo, 14 missili che diedero il colpo di grazia
al complesso industriale provocando 36 feriti, avvenne nella notte tra
l'11 ed il 12 aprile.

Fondata nel 1853, già simbolo dell'industria jugoslava per aver
prodotto nella sua storia diversi milioni di veicoli, la Zastava esce
distrutta dai bombardamenti del '99 che provocarono oltre agli enormi
danni una riduzione del 70% dei 36.000 lavoratori impiegati un tempo
nella fabbrica. Tuttavia la tenacia, il senso di unione o più
semplicemente la mancanza di alternativa e le pressioni
dell'amministrazione hanno spinto molti operai ad impegnarsi nel
risanamento della fabbrica di Kragujevac. Qualche mese dopo la fine dei
bombardamenti, il governo serbo stilò un piano per il suo risanamento.
Se da un lato lo sforzo e il senso del dovere che ha impegnato i
lavoratori di Kragujevac ha fatto in modo che la produzione ripartisse,
dall'altro li ha esposti a gravissimi problemi di salute.
Rappresentanti dei lavoratori della Zastava affermano infatti che
durante i lavori di ristrutturazione della fabbrica molti si sarebbero
ammalati di carcinoma o di leucemia. Molti di loro sono in seguito
morti. L'esatto numero di ammalati e deceduti non è confermato, ma non
sono nemmeno state organizzate delle visite mediche sistematiche dei
lavoratori che hanno partecipato alla pulizia delle strutture
danneggiate dai bombardamenti.

Quella che segue è la trascrizione della trasmissione Kaziprst andata
in onda sull'emittente B92 il 15 aprile scorso, durante la quale sono
stati intervistati alcuni degli operai che hanno partecipato al
risanamento della Zastava.

A cura di Tamara Sretenovic

Traduzione di Nicole Corritore

B92: Sono passati cinque anni da quando le prime bombe della NATO sono
cadute sugli impianti della Zastava di Kragujevac. Gli operai che hanno
partecipato alla pulizia delle strutture della fabbrica danneggiate si
sono ammalati gravemente e collegano la loro condizione di salute al
lavoro di risanamento di tali strutture. Reputano che questi lavori
siano stati fatti senza alcuna misura precauzionale e che non erano
stati informati dagli uffici competenti delle possibili gravi
conseguenze. La partecipazione alla ricostruzione di quella che una
volta era un gigante dell'industria dell'automobile, oggi, dicono i
lavoratori, sta costando un tributo in vite. Le foto di malati di
carcinoma e gli annunci funerari nella bacheca posta all'ingresso
dell'azienda sono divenuti cosa di tutti i giorni. Dragan Stojanovic,
responsabile di una delle equipe che hanno partecipato al risanamento
strutturale dell'azienda, racconta di come il lavoro di rimozione delle
macerie sia stato fatto senza alcuna precauzione e pensa che questo
potrebbe rappresentare un pericolo per la salute.

Stojanovic: "Il risanamento è stato fatto senza guanti, senza alcun
tipo di precauzione. Pensavamo che non ci fosse alcun pericolo. Solo
alla fine si è constatato che il lavoro di risanamento era molto
pericoloso, non sapevamo a che cosa eravamo esposti e sapevamo che i
colleghi morivano a causa di varie malattie cancerogene, senza sapere
di quali. Sappiamo solo che oggi non ci sono più. Scompaiono nel giro
di sette giorni, o di leucemia galoppante…o prendono un raffreddore, si
ammalano, e scompaiono. Ho visto gli annunci affissi in bacheca.

B92: Mi avete detto che un mese fa si sono tenuti sei funerali, e tutti
colleghi della sua sezione.

Stojanovic: Sì. Sono colleghi che hanno partecipato al lavoro di
pulizia dalla macerie. Alcuni lavoravano con noi, alcuni alla OUR di
Kovacnica come elettricisti nella ristrutturazione dell'impianto
elettrico. Uno è morto molto velocemente - in due mesi, di leucemia
galoppante. Il secondo è morto dopo tre giorni, lavorava con noi. E'
morto di leucemia galoppante alla Clinica dell'Accademia
medico-militare (VMA) di Belgrado. Sono poi morti altri due colleghi,
ma non si sa di che cosa, ma molto in fretta. Non sono più tra noi.

B92: A causa di un tumore gli è stato asportato un polmone; Dragan
Paunovic, che ha partecipato per sei mesi alla ricostruzione della
Zastava. Oggi con 4.500 dinari (1 euro circa 65 dinari) tenta di
procurarsi medicine costose e di dare da mangiare alla famiglia di
cinque persone.

Paunovic: Sono stato operato di cancro ai polmoni. Presso la VMA il 6
dicembre 2002. Ora sto un po' meglio. Non sono più sotto terapia e
continuo con una cura farmacologica. I farmaci me li procura
praticamente il sindacato. E' grazie a loro se sono sopravvissuto. Mi
hanno anche pagato l'operazione presso la VMA. Tutto grazie a loro, il
Sindacato indipendente. Gli amministratori della Zastava probabilmente
non sanno nemmeno che sono vivo. Non me l'hanno mai nemmeno chiesto.
Salvo solo una persona della gestione dell'azienda, Vladan Kostic, il
mio direttore di impianto, che è l'unico con cui ancora parlo.

B92: Paunovic sottolinea che nessuno della gestione aziendale lo aveva
informato che lavorare in tali condizioni poteva essere pericoloso e
portare a conseguenze sulla salute.

Paunovic: Noi siamo stati allo stesso tempo spinti e vittime, almeno un
certo numero di operai. Si doveva risollevare la fabbrica. Va bene. E
poi che noi si muoia. Ma qual è la cosa più terribile di tutto ciò? Il
fatto che gli amministratori dell'azienda non ci abbiano concesso un
solo dinaro per le cure. Io so che dovevamo fare questo lavoro,
ristrutturare la fabbrica. Ma almeno dateci la possibilità affinché i
nostri figli non debbano penare o che noi non si debba soffrire per la
mancanza di medicinali. Per un certo periodo non potevo permettermi di
comprare le pillole per la pressione e mi curavo con l'aglio. Non ho i
soldi per acquistarle. Non so come procurarmele.

B92: Un lungo periodo di lavoro in condizioni disumane, caratteristica
dell'impianto di Lakirnica, ha indebolito le difese del nostro sistema
immunitario. Infatti proprio questi sono gli operai che più spesso si
ammalano di cancro, dice Paunovic.

Paunovic: La velocità con cui muoiono i colleghi di Lakirnica e quello
che succede a noi sono convinto che dipendano dalle pesanti condizioni
di lavoro protratte negli anni, più che le condizioni di lavoro
specifiche di Lakirnica. Il nostro organismo era già debole,
soprattutto organi come polmoni, fegato, cuore, a causa delle
condizioni in cui abbiamo lavorato. Le radiazioni ci hanno solo dato il
colpo di grazia. Ma si devono trovare i fondi per queste persone che si
ammalano così in fretta… i responsabili d'azienda devono un giorno
arrivare a occuparsi di questi lavoratori e permettergli almeno la
possibilità di curarsi. Perché queste persone non muoiano come bestie.
Non è possibile - un giorno uno era un uomo, poi è morto e nessuno fa
nulla.

B92: E' vero che presso i diversi impianti della Zastava ogni giorno
appaiono nuovi annunci mortuari?

Paunovic: io vado raramente alla Zastava. Solo quando devo presentare
dei certificati, e allora vedo gli annunci sulle porte. E' lì che di
solito si appendono. E triste solo a guardare. Non sono persone
anziane, hanno tra i 30 e i 50 anni.

B92: Pensate di essere stati sacrificati?

Paunovic: Sì lo penso. Penso che ci abbiamo sacrificato coscienti di
questo ed ora ci evitano. Ci guardano come fossimo dei lebbrosi.

B92: Sicuro di essere stato esposto a radiazioni sul posto di lavoro,
alla Zastava, Paunovic ha chiesto ad alcuni degli amministratori della
fabbrica un sostegno economico per le cure mediche, ma gli è stato
risposto che le sue asserzioni non sono esatte.

Paunovic: Che si chiariscano sia il Governo che l'amministrazione della
Zastava: se siamo stati colpiti da petardi - che siano petardi. Io mi
scuserò. Se l'uranio si può bere come fosse limonata, mi scuserò di
nuovo. Dirò che sono sano e che mi sono ammalato alle terme. Devono
chiarirsi, sia gli uni che gli altri. Di modo che non sia sempre che
quando serve allo Stato, si prende, quando invece è il lavoratore a
dover prendere dallo Stato, niente. Noi non cerchiamo nulla. Non
vogliamo un'auto nuova, un appartamento. Vogliamo i soldi per curarci
come delle persone, e per non morire come bestie. Solo questo.

B92: Milovan Matic, anch'egli impiegato nel risanamento dell'azienda, a
causa di un tumore gli è stata asportata la tiroide. Le sue condizioni
di salute, anche dopo l'intervento chirurgico, peggiorano
costantemente. Per questo motivo è obbligato ad andare dal medico tutti
i giorni, dove ha l'occasione di incontrare altri colleghi malati.

Matic: Sì, colleghi, colleghi. Ci incontriamo solo in ospedale. Due
donne, una ha un carcinoma polmonare, l'altra un carcinoma alla
mandibola, con la tiroide già asportata in parte. Tutti dello stesso
posto di lavoro.

B92: Eravate tutti nello stesso reparto?

Matic: Sì, sì. Nello stesso luogo di lavoro, nell'impianto.

B92: Con la paga che riceve mentre è in malattia, Matic non è in grado
di assicurare il mantenimento della famiglia, e non riesce a comprarsi
le medicine.

Matic: Tieni duro. Per metà tieni duro, per metà mi hanno aiutato i
miei genitori. In questo momento nessuno. Un medicinale che devo
prendere ora, "novotirol" è di produzione tedesca… si può comprare in
Svizzera, in Italia o in Germania. Costa 25-30 Euro, dipende dove si
acquista.

B92: E la vostra paga qual è, oggi che siete in malattia?

Matic: La mia paga è di 5.600 dinari.

B92: Matic e Paunovic ci hanno elencato i nomi di una ventina di
colleghi dei quali sanno per certo essere malati di carcinoma. Ma
dicono che senza il loro permesso non possono rendere pubblici i nomi.
Dai rappresentanti della Zastava non si riesce ad ottenere alcun
commento, e quando lo si ottiene dichiarano che la situazione non è
allarmante. All'inizio del risanamento della Zastava, ai dipendenti era
stato assicurato che ogni sei mesi sarebbero stati sottoposti a
sistematici controlli sanitari, per seguire un eventuale peggioramento
del loro stato di salute. Ma invece negli ultimi cinque anni questi
operai non sono stati sottoposti ad alcun controllo. Siamo venuti a
sapere che la Zastava non ha fondi per finanziare controlli sistematici
degli oltre 600 operai che hanno tirato fuori la fabbrica dalla cenere.

» Fonte: © Osservatorio sui Balcani


=== 2 ===


Circolano voci secondo le quali Kragujevac sarebbe stata scelta come
sede di un impianto per smaltimento di scorie nucleari.

Pur senza precisi elementi di conoscenza e mantenendomi molto sulle
generali, durante l’assemblea del 15 marzo 2004 durante la
distribuzione delle quote di adozione ho fatto un intervento
sull’argomento, di cui vi invio il testo.

Gilberto Vlaic


Sappiamo che purtoppo le guerre portano, quando sono finite, a
gravissimi problemi di disoccupazione e di incertezza per il futuro. Si
sarebbe tentati di fare qualsiasi cosa, di accettare qualsiasi lavoro.
Bisogna pero’ stare attenti.
Ho letto recentemente in internet che la vostra citta’ potrebbe
diventare la sede per un impianto per il trattamento dei rifiuti
nucleari.
Sono una delle cose piu’ pericolose che si possano avere!
Se bruciasse del petrolio vi accorgereste subito del pericolo: le
fiamme, il fumo tossico e tutti saprebbero che bisogna proteggersi e
che si corrono gravi rischi per la salute.
Le radiazioni invece non le vedete, non le sentite, ma sono
pericolosissime per la salute nostra e soprattutto per le generazioni
future: inducono malattie mortali in periodi lunghi e portano a
gravissime malformazioni su chi deve ancora nascere.
Se una notizia del genere fosse vera, voi diventereste la pattumiera
delle scorie radioattive dei Balcani. Se fossi in voi, starie molto
attento a questa possibilita’ e, malgrado le gravi difficolta’ in cui
vivete, mi opporrei con tutte le mie forze.


=== 3 ===


http://www.innovations-report.com/html/reports/medicine_health/report-
29709.html

Innovations Report (Germany)
June 1, 2004

Prevalent mental health problems three years after
NATO bombing

Depression and post-traumatic stress disorder "remain
a significant public health concern" three years after
the 1999 NATO campaign in Serbia, according to an
article published this week in BMC Medicine. Refugees
and people living in remote areas are particularly
vulnerable to suffering from mental health problems.

Almost half the people questioned had symptoms of
depression and more than one in eight had symptoms of
post-traumatic stress disorder (PTSD).

American researchers teamed up with doctors from a
university hospital in Belgrade and a district
hospital in a Serbian enclave in Laplje Selo, Kosovo
to assess the mental state of patients visiting their
accident and emergency departments. 562 patients, none
of whom were suffering from acute conditions,
completed a questionnaire about their exposure to
traumatic events and their experience of a variety of
symptoms of depression or PTSD.

Older patients, those with lower levels of social
support, and those that were unemployed were more
likely to have symptoms of depression. People who had
been a refugee longer than 30 days and those living in
remote Laplje Selo were more likely to be suffering
from symptoms of PTSD. A large proportion of
participants in this study had features of both mental
health disorders.

It is perhaps not surprising that Serbian residents of
Laplje Selo are at high risk of suffering from a
mental health disorder. The researchers write,
"despite the general improvement of conditions in the
region, the Serb minority continues to lack freedom of
movement and access to basic services including access
to health care."

The prevalence of mental health disorders may be
overestimated in this study, as the sample is made up
of patients in emergency departments who are more
likely to be suffering from a mental health disorder
than the general population. However, the study does
show that physicians in emergency departments are
frequently missing opportunities to diagnose mental
health conditions.

"What this project tries to highlight is the burden
that mental health dysfunction may have on patients
that present for care in the aftermath of war," said
William Fernandez, one of the authors of the study. He
says that the main aim of his project was to raise
physicians’ awareness that patients in the acute care
setting may also be suffering from mental health
problems.

"We, as providers, should optimize our screening of
persons at-risk for the mental health conditions
arising as a consequence of war, such as PTSD and/or
depression, and refer them to outpatient treatment,"
said Fernandez. "Public health officials, clinicians,
and others with an interest in humanitarian work
should bear in mind that a considerable number of
patients who visit emergency departments may still
harbour the mental health consequences of war, even
three years following the end of armed conflict."

This release is based on the following article:

War-related psychological sequelae among emergency
department patients in the former Republic of
Yugoslavia
Brett D Nelson, William G Fernandez, Sandro Galea,
Sarah Sisco, Kerry Dierberg, Gordana Subaric Gorgieva,
Arijit K Nandi, Jennifer Ahern, Mihajlo Mitrovic,
Michael VanRooyen, David Vlahov
BMC Medicine 2004, 2:23
To be published 1 June 2004

CRONACA DI UN VIAGGIO IN KOSOVO

(Fonte:
http://www.santamariareginaterni.it/viaggio_in_kosovo.asp
Sull'atteggiamento della Chiesa Cattolica nelle persecuzioni contro i
cristiani ortodossi in Kosovo vedi anche ad es.
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3552
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2271
ed i link ivi contenuti.
Si noti che in occasione della attribuzione del "Premio San Valentino"
ad Ibrahim Rugova, quest'ultimo ha affermato: ''Noi kosovari dobbiamo
ringraziare Dio per l'intervento della Nato che e' servito a salvare un
popolo e una civilta''' - vedi:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2298 )

Venerdì 22 novembre 

Siamo in partenza io, Don Sandro, con Nadia Armeni e Laura Pesciaioli
dall’aeroporto di Fiumicino per Skopje, dove ci sta ad aspettare Ali
Nikolla per trasferirci poi a Ferizaj dove ci attende il parroco don
Albert Krista. Il coro dei grandi e dei piccoli celebrano la Festa di
S. Cecilia e dopo la S. Messa in canto – bellissimi canti eseguiti con
maestria, direttrice del coro la signora Aurora – c’è una festa di
accoglienza per conoscerci, ma sembra che ci conosciamo da sempre, e
presentare anche i doni che abbiamo voluto portare a nome della
Parrocchia a questa parrocchia dei SS. Angeli custodi: un servizio di
altare di ceramica di Deruta e un assegno di € 5.000,00. Alla fine poi
si aggiungeranno – brevi manu – altri € 2.500,00. C’è grande clima di
festa e di allegria, anche se si sentono i gravi problemi che
attanagliano questa popolazione fortemente provata dalla guerra i cui
sintomi sono manifesti in tante situazioni. C’è soprattutto l’incontro
con la famiglia di Ali che è stata ospite presso di noi durante la loro
fuga dalla guerra, con Zahide, la sposa e le due figlie Antigona e
Marigona. Dopo la festa andiamo in una pizzeria davanti alla chiesa per
mangiare insieme alla famiglia di Ali e Don Albert un pizza italiana. 

Sabato 23 novembre.

Dopo la S. Messa partiamo con Don Albert e Ali alla volta di Prizren
per incontrare il Vescovo del Kosovo – unica diocesi con 26 parrocchie
e 60.000 cattolici su una popolazione di circa 2.000.000 di abitanti –
Mons. Mark Sopi, al quale portiamo una lettera e una offerta da parte
di Mons. Paglia e in dono un servizio di altare in ceramica di Deruta.
Una grande cordialità e un invito a pranzare con lui, dopo una visita
molto interessante a questa città che è la più bella di tutti il
Kosovo e nella quale abbiamo incontrato i carabinieri italiani, che
sono le forze armate più amate dal kosovari. Durante questa permanenza
dal Vescovo abbiamo ascoltato la grave situazione  che attanaglia la
popolazione e come anche la Chiesa cattolica sia un segno di speranza e
i sacerdoti cattolici sono molto stimati perché durante la guerra sono
rimasti sul posto e hanno salvato molta gente dalla furia della guerra.
Da Prizren siamo partiti alla volta di Pristina, per strade veramente
infernali anche se hanno una parvenza di pavimentazione col catrame. 

A Pristina, la capitale del Kosovo un agglomerato disordinato di case e
di gente, circa 1.000.000 di abitanti - incontriamo prima davanti alla
Chiesa di S. Antonio di Padova – a proposito e diffusissima la
devozione al Santo – della famiglia Sphend, Primavera e Beki che poi ci
invitato nella loro casa, poi ritorniamo a Ferizaj. 

24 novembre 2002

Solennità di Cristo Re – concelebro con Don Albert e tengo l’omelia che
Don Albert traduce ai presenti: alle ore 8.30 la S. Messa è per i
piccoli, che vengono anche da lontano – a proposito a piedi - e guidata
nel canto dal coro dei piccoli istruito dal figlio di Aurora ,
partecipata con tanta fede. Dopo la S. Messa un incontro con i
fanciulli e le suore – caramelle e grande festa per un torrone alla
cioccolata e mandorle – e in una saletta l’incontro con Don Albert e i
collaboratori più stretti della parrocchia.

Alle 11 la S. Messa degli adulti – gli uomini a destra e le donne a
sinistra, ma Nadia e Laura, inconsapevoli, si mettono sulla destra –
bei canti del coro degli adulti e molta partecipazione. Purtroppo non è
ancora entrata nella mentalità di partecipare con più assiduità alla
Comunione. Dopo la S. Messa tanta bella accoglienza sul davanti della
Chiesa. Dopo pranzo andiamo a visitare le “Grotti di marmo” dove ci
incontriamo con tutta la famiglia Sphend e dopo la visita andiamo al
Santuario della Madonna Nera a Letnica, vicino a Viti il paese di Don
Albert, Ali e Don Krista, il rettore del Santuario. Bel Santuario che
accoglie tantissimi pellegrini dalla regione ma anche da fuori. Qui
venne Madre Teresa a chiedere lumi alla Madonna per la scelta della sua
vita, dato che era indecisa se fare il medico, l’insegnate pittrice o
la suora e dopo il pellegrinaggio disse: “La Madonna mi ha detto che
devo farmi suora”. Il ritorno un po’ difficoltoso, passando anche in
paesi a maggioranza serba e blindati a vista dalle forze della NATO e
di fianco alla grande base americana – Km. 10 x 8 – che gli americani
hanno comprato come territorio. 

25 novembre 2002

Andiamo a Pristina dove dobbiamo incontrare il Presidente Ibraim
Rugova, per invitarlo a Terni, a nome di Mons. Paglia, in occasione
della Festa di S. Valentino, per ritirare il Premio S. Valentino per
chi opera per la pace e la giustizia. Una persona veramente squisita
per l’accoglienza semplice e cordiale, un uomo che è l’unica speranza
per il popolo kosovaro. Ci ha offerto, questo è sua abitudine, dei
minerali essendo egli un ricercatore e cultore di minerali.

Dopo la vista dal Presidente siamo andati a pranzo in un ristorante di
Pristina – poca gente perché c’era ancora il Ramadan – e poi ci siamo
concessi una passeggiata nel parco di Pristina, bellissimo, circondato
da boschi nei quali non è consigliato camminare ancora per il pericolo
di mine.

Ritornati a Ferizaj siamo stati ospiti nella casa di Ali, nella quale
erano convenuti tutti i parenti di Ali – un’infinità – per la cena a
lume di candela perché ci siamo trovati nel momento in cui viene tolta
la luce: quest’anno la situazione è migliorata, perché l’anno scorso vi
era la luce per due ore e poi quattro ore senza, quest’anno si sono
invertiti i tempi, quattro ore di luce e due senza.

Siano tornati in Parrocchia dove siamo stati ospiti per tutto il tempo
e abbiamo preparato, purtroppo i bagagli per la partenza.

26 novembre 2002

Giorno della partenza: al mattino “l’incontro traumatico” con
Valentina…. poi la partenza per Skopje con “l’autista don Albert”;
visita di corsa alla città e alla Cattedrale, dove vi è una statua del
Sacro Cuore che si è salvata dal terremoto che ha distrutto Skopje –
ricostruita molto bene e ordinata – e davanti alla quale pregava
lungamente una piccola fanciulla che poi diventerà Madre Teresa.

All’aeroporto di Skopie e si intraprende il viaggio di ritorno verso
Fiumicino, attraverso lo scalo di Budapest, dove ci stanno ad attendere
Vanda e Livio.

Alcune annotazioni: i kosovari vivono in grande e dignitosa povertà –
un insegnante o un impiegato della municipalità, gente che sta
relativamente bene, hanno uno stipendio che si aggira sui 150,00 €; il
sussidio sociale, c’è la fila fuori dell’ufficio, è di € 28,00; non c’è
assistenza malattia e l’economia stenta a decollare perché c’è la paura
del ritorno dei serbi, che nella guerra avevano distrutto tutto,
compiendo anche efferati eccidi – infatti il viaggio lungo le strade
del Kosovo è pieno di notizie di campi profughi o fosse comuni.

Dal punto di vista religioso, la comunità cattolica, piccola minoranza
è però molto vivace e apprezzata per cui, con i musulmani, c’è una
convivenza molto pacifica. E’ una Chiesa però che vive ancora molto
delle conseguenze del regime comunista e che ancora deve iniziare il
rinnovamento conciliare; però ci sono buoni e confortanti sviluppi, in
quanto ci sono molte vocazioni sacerdotali e religiose femminili, tanto
che ogni parrocchia è ben servita e ci sono anche molti sacerdoti
kosovari che sono all’estero.

I musulmani: i soli vecchi frequentano la preghiera del venerdì, ai
giovani poco interessa: l’ateismo di stato li ha segnati. Seguono molte
iniziative della Chiesa cattolica per vivere momenti di aggregazione.

Gli ortodossi, di origine serba, niente, oltre la Messa della domenica,
chiusi in se stessi e contro tutti. Non abbiamo potuto visitare una
Chiesa ortodossa in quanto tutte sono presidiate dalle Forze NATO.

 Dal nostro viaggio, costatata la povertà, è nata una bellissima
iniziativa: le famiglie di S. Maria Regina che per un anno adottano,
con un contributo di € 50,00 al mese, una famiglia povera di Ferizaj
che ci è stata segnalata dal Parroco Don Albert. E’ scoppiata una gara
di solidarietà ispirata certamente dal Signore tanto che sono più le
famiglie che adottano che quelle da adottare, grazie a Dio e alla
carità dei parrocchiani.

TESTIMONIANZA  DI  NADIA  ARMENI  E  LAURA  PESCIAIOLI 

Nadia così ricorda:

Il Kosovo, una delle tante regioni della ex Jugoslavia, paese devastato
da una cruenta e inutile guerra con la Serbia alla fine degli anni
novanta.

Questo è quanto io sapevo del Kosovo.

Novembre 2002, Don Sandro mi invita a fare un viaggio con lui e Laura
in questo paese per ritrovare alcuni amici che da profughi vennero
accolti nella nostra parrocchia. Rimasi alquanto titubante... ma alla
fine decisi per il sì.

Il 22 novembre si parte e l’accoglienza è davvero entusiasmante, in un
clima di festa e di allegria che non fa certo trasparire i grandi
problemi che tutti hanno dopo questa terribile guerra.

Con il fuoristrada della “Caritas” e Alì come interprete iniziamo a
girare per il Kosovo. Visitiamo città villaggi, paesi un po’ sperduti;
facciamo foto come dei normali turisti. Dico a me stessa: in fondo
questo posto non è poi così malandato, povero e così tanto provato
dalla guerra come dicono.

I giorni passano in modo piacevole, conosciamo tanta gente più o meno
importante.

Arriva la mattina della Partenza. Mentre con Laura percorriamo il
cortile della chiesa per arrivare all’auto della Caritas che ci avrebbe
portato all’aeroporto, vediamo  venire verso di noi una minuta bambina
bionda con un mano un foglio tutto stropicciato. Ci fermiamo a parlare
con lei e Suor Floriana e ci dice che si chiama Valentina e che sta
andando a catechismo. Avvicinandoci a lei ci accorgiamo che è vestita
in modo molto dimesso e come gesto affettuoso le offriamo delle
caramelle – è quanto avevamo in quel momento – lei cerca di metterle in
tasca, ma le caramelle cadono a terra; quella giacca che portava aveva
solo la federa e le tasche non c’erano più.

Con Laura ci guardiamo negli occhi e pensiamo: cosa può fare Valentina
con queste caramelle, ha bisogno di ben altro... e ci mettiamo di corsa
alla ricerca di un negozio e una bancarella. La troviamo e compriamo
una giacca a vento rossa, un po’ grandina, ma non importa,, almeno
Valentina quest’inverno starà un po’ calda.

Veniamo poi a sapere che Valentina ha tre fratelli e la sua famiglia è
povera e il papà cieco e la mamma ammalata e non hanno quasi niente per
vivere, se non l’aiuto che le mandiamo mensilmente, a parte la dignità
che contraddistingue questa popolazione.

Attraverso l’incontro con Valentina posiamo gli occhi e soprattutto il
cuore sulla vera e dolorosa realtà kosovara, che finora c’era, forse,
stata volutamente nascosta.

A questo punto il Kosovo diventa per noi un altro paese, dove s’è
bisogno di tutto e la nostra buona volontà e il nostro cuore sono tutto
per loro e ringraziando il Signore inizia una catena di solidarietà che
ogni giorno diventa sempre più grande, grazie alla generosità di tanta
gente che continua con noi questa meravigliosa avventura.

(P:S: questa annotazione da parte di Don Sandro sulla famiglia di
Valentina. Nel secondo viaggio sono andato personalmente a visitare
questa famiglia portandole l’aiuto della Parrocchia. Il papà e la mamma
di Valentina ci hanno fatto accomodare nella loro “casa”, se tale si
può chiamare, e la mamma si è scusata che non aveva da offrirci nemmeno
un bicchiere d’acqua. Non l’avevano l’acqua perché non hanno un pozzo
dove attingerla).

Questo il ricordo di Laura.

Tornata dal Kosovo, sarei ripartita subito, il giorno dopo. Avevo
sentito parlare di “mal d’Africa” da coloro che avevano fatto
esperienza missionaria, ma io che ho si fede ma so essere anche
razionale, pensavo di esserne immune. Non trovavo pace, non riuscivo a
trovare il giusto equilibrio, non riuscivo a rientrare nel solito tran
tran di tutti i giorni.

Ho cominciato a scrivere un diario per fissare meglio l’esperienza
vissuta. Mi sono posta questa domanda: cosa è stato per me il Viaggio
in Kosovo?

L’ho vissuta come un avventura? Andare per la prima volta in aereo e
vincere la paura del volo! Ma la paura è restata.

Come turista? Andavo alla ricerca di opere d’arte, ma non esiste la
cultura artistica, non l’ho trovata.

Poi l’ultimo giorno, poche ore prima di partire l’incontro “traumatico”
con Valentina ha dato il vero senso al viaggio. Mi ha fatto vedere la
povertà, tenuta fino allora in ombra dai vari appuntamenti
programmatici da Don Albert e Ali.

Camminare fra questa gente e scoprire cattolici e musulmani insieme, su
tutti una serenità inspiegabile per noi occidentali, in mezzo a tanta
povertà. Tutti accoglienti, gentili, ospitali; hanno offerto a noi
tutto il loro avere e non hanno molte volte di che vivere.

Ho visto che cosa è la vera carità, ho visto che cosa è la fede;
credono nella preghiera e vi sui affidano completamente; si sentono
dimenticati da tutti, ma non da Dio. E a questo proposito questo è
stato il dono per l’aiuto che abbiamo portato loro: “Pregherò per te e
la tua famiglia il Signore Dio nostro”. Quale migliore ricompensa mi
potevano offrire?

Ho visto la speranza sul volto di Valentina, dove ho visto Gesù Bambino.

Ho capito che nella povertà materiale c’è una ricchezza spirituale che
nessuna dittatura, nessuna guerra potrà mai togliere.

Il viaggio in Kosovo è stato un camminare incontro a Cristo; è stato
come un pellegrinaggio che mi ha rinnovato e fortificato nello spirito.
Grazie, Signore.

http://www.santamariareginaterni.it/viaggio_in_kosovo.asp

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Sul Consiglio Mondiale per la Pace recentemente svoltosi ad Atene vedi
anche:
Relazione di E. Vigna
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World Peace Council (Athens, May 2004)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3523
World Peace Council on Milosevic, Kosovo and the Hague Tribunal
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Atina: Svetski savet za mir o Milosevicu, Kosovu i haskom tribunalu
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BEOGRADSKI FORUM na skupstini Svetskog saveta za mir
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3524 ]


www.resistenze.org - osservatorio - lotta per la pace - 21-05-04
fonte WPC
traduzione dall'inglese di Bf


Dichiarazione dell’Assemblea della WPC


Atene, 6/9 Maggio 2004

L’Assemblea del Consiglio della Pace del Mondo è stata tenuta con
successo tra il 6 e il 9 Maggio 2004 in Atene, con la partecipazione di
134 delegati di 62 Organizzazioni da 47 paesi. Dopo una discussione
ricca e molto fruttuosa, i partecipanti della riunione hanno concluso
con la dichiarazione seguente ai popoli del mondo:

Gli sviluppi che hanno avuto luogo nell'ultima Assemblea del WPC del
Maggio del 2000 sono stati di particolare significato essendosi
generata una situazione cruciale per umanità, per l'aumentata intensità
dell’aggressività della strategia degli Stati Uniti che si sforzano di
imporre e consolidare un ordine nuovo al mondo, di guerra ed
oppressione. Allo stesso tempo affrontano di giorno in giorno l’aumento
dell’isolamento politico che deriva dai loro atti arbitrari ed
unilaterali in violazione dei diritti umani e dei popoli.

L’umanità è allarmata dagli sviluppi riguardo alla pace e alla
sicurezza del mondo negli ultimi anni. Mai nella recente storia i
popoli si sono levati in piedi a protestare così forte ed organizzare
un movimento anti-guerra come quello contro la guerra imperialista
degli Stati Uniti e dei suoi alleati in Iraq. C'è un trend mondiale
crescente verso la pace. Il WPC è stato coinvolto fortemente in questo
movimento attraverso i suoi membri e le organizzazioni amiche, insieme
con milioni di persone in tutti i continenti ed in tutti gli angoli del
mondo.

L’attacco terrorista sulle Torri Gemelle a New York e sul Pentagono
l’11 Settembre 2001 venne usato come un pretesto per un indire
un’offensiva da lanciare su popoli e paesi del mondo in tutti i
continenti. L'annuncio della così detta campagna anti-terrorista degli
Stati Uniti, con l'appoggio dei suoi alleati, è servito a molti scopi
ed è stato usato per fare due  nuove guerre contro Afganistan ed Iraq,
e designare come bersaglio molti paesi che resistono alla dominazione
degli Stati Uniti o non si allineano con loro.

Il WPC condanna gli atti terroristici, inclusi gli atti di terrorismo
di stato. Quelli che sono da biasimare per questi atti dovrebbero
essere consegnati alla giustizia. L'ipocrisia e l’approccio
militaristico degli Stati Uniti e degli alleati su questo problema non
possono eliminare le cause di tale fenomeno. Cause come la povertà e il
sottosviluppo della maggioranza della popolazione del mondo, lo
sfruttamento e saccheggio delle risorse naturali del terzo mondo da
parte di società per azioni multinazionali, l'ingiustizia accumulata e
l’oppressione di popoli per decenni, sono fattori che sono stati usati
spesso da elementi criminali che gli Stati Uniti hanno arruolato,
addestrato e finanziato, per azioni che umiliano la lotta del popoli
per la loro libertà e sovranità nazionale ( che noi fermamente
difendiamo).

Allo stesso tempo principi fondamentali della legge internazionale e la
Fondazione Charter dell'ONU, sono stati violanti flagrantemente. La
dottrina nuova è "la forza fa la legge". Attraverso la nuova dottrina
la Nato si riserva il diritto di intervenire ovunque, su scala globale,
i suoi interessi siano presumibilmente in gioco.

In questo quadro una serie di convenzioni internazionali e positive e
di accordi firmati negli ultimi anni passati sono stati abrogati. La
meta è, da un lato, accelerare l'ulteriore militarizzazione delle
relazioni internazionali, approntare forze di intervento nuove e
sviluppare sistemi di arma nuovi, e dall'altro, intensificare
autoritarismo e repressione nei paesi poveri e varare nuove leggi che
restringano o aboliscano diritti democratici individuali e collettivi.
Diviene perciò un compito più importante lottare contro l’"ordine nuovo
del mondo", difendendo i diritti dei popoli a determinare il loro
proprio destino e per creare nel mondo un ordine della pace basato sui
principi dell'ONU

La gobalizzazione neo-liberale è stata utilizzata dal capitale
internazionale, di giorno in giorno, come uno strumento senza
precedenti di controllo e di sfruttamento su popoli e nazioni. I
conflitti stanno aumentando; la distanza tra paesi in via si sviluppo e
paesi industrializzati, tra ricco e povero, sta aumentando ad una
percentuale tremenda.

Secondo un rapporto dell’ONU, nel 2001 cento mila persone per giorno
stavano morendo a causa della fame, tre volte più di sei anni prima.
Cinque milioni di persone sono morte negli ultimi dieci anni in Africa
in dozzine di scontri e guerre. Tre grandi guerre (in Iugoslavia,
Afganistan e Iraq) sono costate la vita a migliaia di persone e hanno
provocato una distruzione tremenda. Pressoché la metà della popolazione
del mondo vive con meno di due euro per giorno.
                                                                        
                
Questa situazione, accompagnata da rivalità fra i poteri principali per
assicurarsi l’egemonia del controllo e la divisione in sfere influenza
dei mercati, crea pericoli tremendi di intensificazione delle guerre e
inoltre la probabilità di conflitti generalizzati che hanno per scopo
un impatto globale.
 
L'amministrazione degli Stati Uniti ha proclamato la nuova dottrina
della guerra di preventiva che va contro la legge Internazionale. Ha
elencato apertamente gli stati facenti parte dell’"asse del male",
determinando così i suoi prossimi obiettivi.  Molti paesi sono stati
messi nell'elenco che rimane aperto, pronto ad includere quei paesi,
popoli e  movimenti che non assentono con la dominazione degli Stati
Uniti ed i suoi alleati.

Gli Stati Uniti hanno adottato la strategia del primo colpo nucleare,
mentre abbandonano l'impegno fatto da tutti gli stati nucleari di non
avvalersi per primi di armi nucleari. Gli Stati Uniti e la Francia
stanno progettando di sviluppare anche nuovi tipi di armi nucleari per
uso in campi di battaglia urbani, mentre tutte le potenze nucleari
dovrebbero perfezionare i loro impegni per l'eliminazione delle armi
nucleari (NPT Revisione Conferenza nel 2000, articolo 6). Comunque, il
movimento per la pace nel mondo ha levato la sua voce in favore di fare
l'anno 2005 - 60° anniversario del bombardamento di Hiroshima e
Nagasaki ed un anno dalla conferenza di Revisione di NPT a New York -
una svolta per l'abolizione delle armi nucleari.  

Allo stesso tempo la situazione in Palestina  si è deteriorata, mentre
in America Latina è stato annunciato un piano per intervenire in
Colombia, la pressione sul Venezuela è stata intensificata, così come
quella esercitata su Cuba. Eventi in Asia, per sottoporre a tensione
diverse aree, sono stati provocati dagli Stati Uniti. Un ulteriore
allargamento della Nato è stato deciso per l’Europa.

Come la Jugoslavia è stata il primo terreno per l’applicazione della
nuova dottrina Nato, l'Afganistan e specialmente Iraq sono le prime
vittime della nuova e orribile dottrina di guerra preventiva.

La politica delle alleanze militari, (la Nato, il trattato di
sicurezza Giappone - US, ed altri) è stata intensificata ulteriormente
per coinvolgere di più gli alleati nella strategia degli Stati Uniti e
anche lungo questa linea, basi militari degli Stati Uniti all'estero
sono rinforzate e riorganizzate in tutto il mondo. Così i movimenti
contro le alleanze militari degli Stati Uniti, la Nato e le basi
militari straniere stanno crescendo nel mondo. In questo contesto i WPC
sosterrà le mobilitazioni popolari contro la Nato in un vertice ad
Istanbul, nel Giugno 2004.

Tutte queste decisioni, particolarmente gli attacchi strategici
preventivi degli Stati Uniti, rovesciano i principi statutari dell'ONU,
così come i principi della legge internazionale come furono formulati
dopo la Seconda Guerra mondiale. 

Il WPC esige il decolonizzazione di tutti i territori che rimangono
sotto regime coloniale. Il WPC esprime la sua solidarietà con i popoli
indigeni per i loro inalienabili ed indivisibili diritti, incluso il
loro diritto all’ autodeterminazione.

Un anno dopo l'invasione imperialista portata dagli Stati Uniti
l’occupazione dell'Iraq e la tragedia delle persone irachene continua.
In solidarietà con la resistenza delle persone dell'Iraq contro
l'occupazione, noi esigiamo l'immediata e completa ritirata di tutte le
forze occupanti per permettere alle persone dell’Iraq di determinare il
loro destino da soli.

L’Assemblea esprime la sua condanna veemente alla tortura brutale dei
prigionieri perpetrata dalle forze di occupazione in Iraq, Afganistan e
nella base di Guantanamo.

Noi denunciamo l'occupazione della Nato in corso nell'Afganistan, un
"esperimento" sul continente asiatico che è stato usato come un modello
dagli Stati Uniti per i suoi piani futuri di genocidio in Iraq.

Il genocidio delle persone palestinesi continua, mentre nuove inumane
misure reazionarie sono prese dal governo israeliano, come la
costruzione del muro. La sofferenza dei Palestinesi non conta per le
forze potenti che stanno dietro l’alleanza di Israele.

In accordo con le decisioni dell’ONU, il WPC richiede il ritiro
immediato dell’occupazione israeliana da tutti i territori occupati nel
1967, incluse le alture del Golan della Siria e l’istituzione dello
stato indipendente della Palestina con Gerusalemme Est come il sua
capitale, di fianco ad Israele. Similmente noi sosteniamo il diritto di
ritorno del rifugiati palestinesi.

Il WPC condanna l'occupazione dei 37% della Repubblica di Cipro che
continua dal 1974 così come la divisione de facto del paese. Il WPC
saluta la lotta sia dei greco-ciprioti sia dei turco-ciprioti perché
finisca l'occupazione e sostiene gli sforzi di giungere presto ad una
soluzione che conduca alla riunificazione del paese.

Il WPC prende nota delle recenti iniziative di India e Pakistan verso
la normalizzazione delle relazioni bilaterali, ed esprime sostegno per
le attività volte a promuovere un'atmosfera di pace e armonia sul
subcontinente indiano.

Il WPC esprime la sua preoccupazione per la pressione degli Stati
Uniti sul Bangladesh per un accordo militare e bilaterale e
l’installazione di una base militare statunitense nella Baia del
Bengala.

 Il WPC esprime la sua solidarietà con le persone della Corea che
stanno lottando contro l’egemonia degli Stati Uniti e la politica
ostile alla pace sulla penisola coreana. Il WPC sostiene la soluzione
pacifica del problema nucleare tra la DPRK e gli Stati Uniti attraverso
negoziazioni. Esige il ritiro completo delle truppe degli Stati Uniti
dalla penisola coreana.

Il WPC esprime la sua comprensione e ferma solidarietà con i milioni
di vittime dell’Agente chimico Orange, tossico usato dagli Stati Uniti
durante la Guerra in Vietnam, e invoca azioni per aiutare ad alleviare
la loro sofferenza.

Il WPC esprime la sua solidarietà con i popoli della Jugoslavia nella
loro lotta contro le conseguenze dell'aggressione barbara della Nato,
che condusse all'occupazione di parte di territorio serbo, il Kossovo,
e alla sua trasformazione in un protettorato Nato. Il così detto
Tribunale dell’Aia è un esempio della manipolazione della verità ed è
un tentativo per legittimare l'aggressione e gli altri crimini degli
Stati Uniti e della NATO.

Il WPC denuncia l'imprigionamento dei cinque prigionieri politici
cubani che lottarono contro i piani terroristici negli Stati Uniti,
mentre terroristi nativi di Cuba condannati girano a piede libero nello
stesso paese. Noi esprimiamo il nostro fermo appoggio e solidarietà con
le persone cubane che stanno lottando in condizioni difficili per
difendere la loro dignità e sovranità ed esigiamo la fine del blocco
criminale degli Stati Uniti contro Cuba, che è durato per quattro
decadi.

Il WPC esige il ritiro immediato di tutte le truppe straniere da Haiti.

Noi condanniamo gli atti delle forze reazionarie dell'oligarchia
locale per il rovesciamento della rivoluzione di Bolivar in Venezuela,
in cooperazione con gli Stati Uniti ed i suoi alleati in Europa. Noi
sosteniamo gli sforzi per costruire una società della giustizia, della
pace, e della solidarietà in concordanza con gli auspici del suo popolo.

Noi salutiamo la lotta dei popoli dell'America contro la Free Trade
Area of Americas (FTAA), contro il pagamento dei debiti esteri così
come contro il Plan Colombia. Due sono le componenti della politica
degli Stati Uniti di dominazione sulle risorse e sulle ricchezze
dell’America Latina ed i Caraibi: da un lato la minaccia militare e
dall'altro e le interferenze nella regione per garantire e proteggere i
loro interessi. In questo contesto noi salutiamo l'Alternativa
Bolivariana per l'America (ALBA) come una proposta suprema contro i
piani neo-liberisti dell’imperialismo.

L’Africa sta pagando il costo pesante degli interventi imperialisti
neo-coloniali e, combinata con politiche economiche e sociali qualche
volta inefficienti, la violazione dei diritti umani e dei principi
democratici e varie altre forme di esclusione sociale, politica e
culturale. Invece di portare loro più pace e migliori prospettive di
uno sviluppo giusto e sostenibile, la povertà del popolo africano sta
aumentando, mentre sono minacciate pericolosamente  milioni di vite
ogni giorno ed è aggravata l'instabilità dei loro paesi. Risorse
preziose spesso sono sprecate in armamenti invece di essere usate per
combattere efficientemente malattie endemiche come AIDS e malaria e per
l'istruzione e la salute del popolo. Il WPC sostiene fortemente la
realizzazione effettiva delle decisioni dell’ONU sulla circolazione
delle armi e la bonifica della disseminazione delle mine sul
continente, così come sul suo complessivo  disarmo.

Il WPC denuncia l’interferenza straniera negli affari interni di paesi
africani e condanna in particolare l'imposizione di sanzioni allo
Zimbabwe da parte dei governi britannico e statunitense.

Sfidati dall’imperialismo degli Stati Uniti, che tenta di dominare il
mondo insieme ai suoi alleati, noi delegati delll’Assemblea del WPC,
esprimiamo la nostra fiducia nell’umanità per il suo futuro. Attraverso
la lotta massiccia e coordinata dei popoli noi possiamo realizzare i
nostri obiettivi. Il 21° secolo è appena incominciato. Come non mai i
popoli del mondo sono divenuti consapevoli di fronte ai nuovi pericoli,
milioni di persone hanno marciato nelle strade chiedendo pace e 
giustizia. Ci saranno nuove sollevazioni di popoli e lotte per le
trasformazioni sociali. Il secolo nuovo riserverà molte sorprese per i
nemici delle richieste dei diritti dei popoli.

Nell'occasione del 55° Anniversario dalla fondazione del WPC,
l’Assemblea fa appello a tutte le organizzazioni e i movimenti a
livello nazionale, regionale ed internazionale che sono pronti lavorare
e lottare per difendere la pace contro il progetto imperialista, per
unire le nostre voci ed azioni per un mondo di pace, uguaglianza,
giustizia e solidarietà.

( Sullo stesso argomento vedi anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3543
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3541
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3521
http://www.salvaimonasteri.org/ )

---

http://www.salvaimonasteri.org/stampa_06.htm

L’arte bizantina in Serbia tra ‘200 e ‘300: notizie brevi tra storia e
cultura

ROSA D’AMICO
(tratto con revisioni e aggiunte dal testo pubblicato nel catalogo
della mostra ‘Paolo Veneziano…’ di Rimini)

Al confine tra Oriente e Occidente, le terre balcaniche hanno sempre
avuto un difficile ruolo di ‘ponte’: ‘cerniera’ tra luoghi e culture, e
insieme punto d’attrito tra civiltà. Nel Medioevo le rotte dei
commerci, che vedevano le due rive dell’Adriatico in continuo rapporto,
penetravano dalle ricche città del Litorale nell’interno, incontrando,
nel cuore dell'antica Serbia, la via romana che, attraverso l’attuale
Macedonia, raggiungeva la seconda capitale bizantina, Salonicco, e poi
Costantinopoli, la ‘città imperiale’- il maggior centro di riferimento
per il mondo allora conosciuto.
Negli ultimi decenni del XII secolo era sorto all’interno dei Balcani,
accanto ad altre realtà, come la potente Bulgaria, il primo embrione di
quello che sarebbe divenuto lo Stato serbo: dominato dalla dinastia dei
Nemanjic’, questo si sarebbe in breve ampliato, raggiungendo il
Litorale, e divenendo una delle più significative presenze politiche e
sociali di quei territori. Suo primo centro propulsore fu la regione
della Raska che, con il vicino Kosovo, rappresentava un importante
crocevia per comunicazioni, scambi, traffici commerciali, in una terra
ricca dal punto di vista agricolo e minerario.
Già sotto il fondatore Nemanja si manifestò la ‘dualità’ politica,
culturale e religiosa dello Stato in formazione, al confine tra
cattolicesimo e ortodossia, tra Impero bizantino e potentati
d’Occidente. Tra la fine del 1100 e i primi del ‘200 la Serbia, come
gli altri Stati dei Balcani, approfittò abilmente dell’indebolimento e
della decadenza del vicino Impero per la propria crescita, in
particolare a seguito degli eventi del 1204. In quell’anno la stessa
capitale Costantinopoli era caduta in mano ai crociati ‘latini’, in
particolare veneziani e francesi, che avrebbero mantenuto il potere
sulla grande e ricca città fino al 1261, quando il potere sarebbe
tornato in mano greca con la dinastia dei Paleologhi. Alla nuova
politica dello Stato serbo contribuì l’accorta politica matrimoniale
dei Nemanjic’, che già in passato avevano stretto parentele con
famiglie d’Occidente oltre che con gli Stati confinanti e con i ‘romei’
di Bisanzio. Già nel 1207- 1208 il figlio di Nemanja, Stefano – poi re
‘primo coronato’- ripudiò la moglie bizantina Eudossia, e sposò la
veneziana Anna, nipote di Enrico Dandolo, tra i principali protagonisti
della conquista latina di Costantinopoli. Anna, proveniente dallo Stato
più potente tra Occidente e Oriente, fu presente alla formazione del
regno- sancita definitivamente nel 1217, quando Stefano ricevette la
corona dallo stesso papa Onorio- e vi mantenne una propria influenza,
accanto al marito e ai suoi successori, per tutta la vita: arrivata in
Serbia quando Venezia era la maggiore potenza dell’Impero ‘latino’,
morì intorno al 1250, durante il regno del figlio Uros I, il più abile
e ‘illuminato’ tra i discendenti di Stefano. Proprio in quegli anni- a
seguire una ‘politica’ matrimoniale volta di nuovo in senso
‘occidentale’- Uros aveva sposato la francese Elena d’Angiò, figlia di
Baldovino, l’ultimo imperatore occidentale di Bisanzio, detronizzato
nel 1261 dall’avvento dei Paleologhi. Cattolica, legata ai potenti
Angioini che governavano l’Italia meridionale con forti mire sui
Balcani e sull’Ungheria, Elena fu, più di Anna, figura influente nella
politica serba e nella ‘mediazione’ tra est e ovest. Prima accanto ad
Uros, poi quale ‘consigliera’ dei figli, i re Dragutin e Milutin, ella
percorse tutta la seconda metà del ‘200, fino al 1314, data della sua
morte.
La presenza presso la corte serba di queste figure femminili conferma
una tendenza non estranea al ‘passaggio’ di idee e modelli tra le rive
adriatiche. Elena, ‘cara consanguinea’ degli angioini, fu riconosciuta
dai papi ‘fedele figlia della chiesa’, malgrado l’unione con una
dinastia ortodossa. Dopo la detronizzazione di Uros nel 1276 ad opera
del figlio Dragutin, questi, a parziale ‘ricompensa’ per l’offesa verso
il padre, concesse ad Elena i territori del Litorale, ed alcuni
possessi nell’interno, fino a Brnjac, dove l’ex regina istituì la sua
corte. Importante fu, sullo scorcio del ‘200, il suo rapporto con la
costa, dove - nelle città litoranee da lei governate- a Kotor, Bar,
Skadar- tornò a proteggere le fondazioni cattoliche- specie
francescane- e promosse- soprattutto dal 1288- la costruzione di nuovi
monasteri dell’Ordine. Significativo fu il suo rapporto con Niccolò IV,
l’illuminato francescano che, dopo aver conosciuto in gioventù la
cultura di Costantinopoli, di cui sentì sempre la forte suggestione, fu
papa proprio dal 1288 al 1292.
Grande sviluppo ebbe lo Stato in particolare sotto il secondo figlio di
Elena e Uros, Milutin: l’intera Macedonia passò allora sotto il
controllo del re serbo. Nel 1999, poi, arrivando alla rottura con il
fratello Dragutin, che governava allora la zona nord della Serbia ed
era legato all’Ungheria, egli riannodò i rapporti con i Paleologhi di
Bisanzio, ancora una volta per via matrimoniale, unendosi alla
giovanissima Simonida, principessa reale. Da allora prevalse
definitivamente in Serbia l’influsso politico, culturale e religioso
dell’Oriente bizantino. Attraverso scontri, conflitti, nuove alleanze,
dopo il regno del figlio di Milutin, Stefano Decanski, si arrivò alla
metà del ‘300, momento della massima espansione dello Stato sotto il
re- imperatore- Dusan, e poi alla sua rapida disgregazione e
indebolimento, fino alla conquista ottomana del 1459.
La storia di questo territorio trova estrinsecazione nell’arte:
espressione principale ne fu la grande fioritura di monasteri, di
fondazione reale o monastica, le cui chiese, nel corso di più di due
secoli, furono affrescate da grandi maestri provenienti probabilmente
dalle capitali bizantine, Costantinopoli e Salonicco. Nel corso del
‘200, quando la Serbia divenne uno dei punti di riferimento per i
contatti tra est e ovest, vi si manifestarono alcuni dei più
significativi episodi della cultura europea del tempo, importante
tramite per l’irraggiamento della più nobile arte bizantina.
Architettura e pittura, come naturale in una terra di passaggio tra
civiltà e religioni, vi produssero monumenti di grande suggestione,
testimoni materiali dell’incontro tra le tradizioni del cristianesimo
orientale e il ‘romanico’ occidentale- tra culto della chiesa ortodossa
e forme costruttive ‘italiane’. Risultato ne furono già i primi edifici
della ‘scuola Raska’, così detta dalla regione dove era stato fondato
lo Stato e dove più ampiamente si diffuse: nelle chiese allora
costruite, ad una forma esterna che ricorda le cattedrali romaniche
della Puglia o della Lombardia corrisponde una distribuzione interna
legata anche nella decorazione pittorica ai modi più nobili
dell’Oriente bizantino. Dagli ultimi decenni del XII secolo, quando
furono fondati i monasteri di Kursumlja e Studenica, fino al ‘300,
epoca in cui l’architetto francescano di Kotor Vita realizzò, dopo il
1321, la monumentale chiesa di Decani in Kosovo, fu tutta una grande
fioritura di edifici che ripropongono con variazioni modelli simili.
Poco dopo l’arrivo in Serbia di Anna Dandolo, alla fine del primo
decennio del ‘200, era stato decorato di splendidi affreschi il ‘primo’
tra i monasteri, Studenica, fondato nel 1196: lì era stato seppellito
lo stesso Nemanja, il fondatore della dinastia che, fattosi monaco alla
fine della vita con il nome di Simeone, divenne il primo e più
importante tra i santi serbi.
Molto significativa accanto a quella del re Stefano è in quel periodo
la figura dell’altro suo figlio, monaco con il nome di Sava- pure
santificato dopo la morte- che nel 1219 fondò e fu primo arcivescovo
della Chiesa serba indipendente. Frequentatore di Costantinopoli,
Salonicco e delle capitali d’Oriente, ne riportò in patria tesori e
artisti illustri che, nei ricchi centri della nuova realtà politica,
come al di là dell’Adriatico, cercavano occasioni di lavoro migliori
che non nell’antica capitale depredata e impoverita. A loro-
espressione della cultura più aggiornata allora esistente- fu affidata
la decorazione di molti dei più antichi monasteri: dalla stessa
Studenica a Hilandar, fondazione serba sul monte Athos.
Tra 1222 e 1228 il secondo figlio di Stefano Primo coronato, Vladislav,
costruì e decorò la propria fondazione- mausoleo, Mileseva, il più
importante monastero del regno dopo Studenica: nel cuore della Raska,
era vicino all’antica città mercantile di Prijepolje, non lontano dalle
vie che portavano da un lato al Litorale, dall’altro a Salonicco. Pur
danneggiati, splendono sulle pareti gli affreschi che, nelle zone più
importanti della chiesa, avevano luminosi fondi d’oro ad imitare il
prezioso mosaico, di cui gli esecutori bizantini, forse di Salonicco,
conoscevano perfettamente la tecnica. Non dovette essere estranea alla
concezione e alla presenza dei più aggiornati pittori dell’epoca
l’influente posizione dello zio di Vladislav, il ricordato Sava,
vissuto fino al 1236. Nella grave perdita di testimonianze originali
nelle capitali d’Oriente, cicli come quello di Mileseva rappresentano
un punto fermo per la conoscenza dell’arte di Bisanzio nel suo momento
più alto, adattamento degli schemi importati alle necessità e alla
filosofia del nuovo Stato. Sempre nuovi tasselli ne confermano il
legame con opere del ‘200 in Italia. Gli influssi ‘balcanici’,
riconosciuti a Venezia, a Roma, in Toscana e nelle città del ‘nostro’
litorale adriatico, fanno pensare a rapporti diretti, sulla base di
alleanze politiche e commerciali. Del resto i pittori bizantini che
avevano lasciato le grandi capitali d’Oriente erano abituati ad
aggiornare le loro precedenti conoscenze a contatto con le novità
iconografiche e stilistiche proposte nei luoghi dove operavano, come
l’emergente regno dei Nemanja o Venezia.
Uros’ I, fratellastro e successore di Vladislav, aveva fondato un altro
tra i massimi monasteri della Serbia, Sopocani. Le pitture del maggiore
artista e dei suoi più alti collaboratori lì attivi, di qualche
decennio successive rispetto a Mileseva, costituiscono uno dei vertici
dell’intera arte europea del ‘200: vera e propria ‘rinascenza’ degli
antichi modelli ellenistici, in rapporto con i maggiori centri
culturali bizantini, ma difficilmente comparabili con testimonianze
sopravvissute, la loro suggestione incontra, in modo diverso rispetto a
Mileseva, l’arte contemporanea della penisola italiana, confermando la
‘dualità’ dei Nemanja tra Oriente e Occidente. L’affresco nel nartece
interno della chiesa, che rappresenta la Morte di Anna Dandolo, con la
presenza di personaggi storici, contribuisce a datare il complesso tra
1263 e 1265: intorno alla defunta, tra i familiari e i nobili della
corte, sono il re suo figlio, Uros, il fratellastro, l’ex re Vladislav,
l’altro fratello, l’arcivescovo Sava II, e i figli Dragutin e Milutin
‘giovani principi’. Sull’altro lato, in ginocchio, bacia la mano della
defunta la nuova regina, Elena. Accanto a Dragutin non compare
Katalina, figlia del futuro re d’Ungheria che, seguendo la politica di
alleanze matrimoniali dei Nemanja, egli sposò nel 1368- data che
diventa così un termine ante quem per il ciclo.
Al papa Niccolò IV, di cui si sono ricordati i rapporti con Elena
d’Angiò, si deve, sullo scorcio del ‘200, la promozione di cantieri
artistici che, a Roma e ad Assisi, presentano suggestioni dalla
maggiore arte d’Oriente, con possibili echi proprio di Sopocani. Anche
Jacopo Torriti, pure francescano, sembra averne avuto conoscenza nei
mosaici per Santa Maria Maggiore, nelle Basiliche romane e ad Assisi. E
Pietro Cavallini mostra consonanze con simili modelli nel celebre ciclo
a mosaico con Storie della Vergine per Santa Maria in Trastevere. Nel
Bagno del Bambino (a)- diffuso tema bizantino, collegato alla Natività-
troviamo lì forse la versione iconografica più vicina a quella,
sublime, della parete nord della Chiesa di Sopocani.
Unica tra le regine serbe, Elena, insieme ad Uros, aveva fondato nel
1276, secondo le regole ortodosse, il proprio monastero- mausoleo, in
cui fu sepolta nel 1314. Nella chiesa principale, la cui costruzione
presenta- non casualmente- anche suggestioni del gotico francese, gli
affreschi sopravvissuti ricordano ancora il grande modello di Sopocani.
Il monastero che era stato la prima sede dell’Arcivescovado serbo sotto
San Sava, Zica, era stato gravemente danneggiato da incursioni già alla
metà del ‘200, con perdita di molte pitture. Verso la fine del secolo
vi furono affrescati nuovi cicli da artisti che, con quelli attivi ad
Arilje, monastero sorto nella zona sottoposta al potere di Dragutin,
segnano l’importante passaggio tra il classicismo di Sopocani e le
diverse tendenze che si svilupperanno nel nuovo secolo.
I gravi danni subiti da Zica alla metà del ‘200 avevano portato a
spostare la sede dell’Arcivescovado a Pec’ nel Kosovo, nel cuore più
protetto della vecchia Serbia. Lì tra il sesto decennio del ‘200 e i
primi del ‘300 sorse uno dei complessi più importanti della regione,
poi restato punto di riferimento anche nei secoli della presenza turca.
Tre chiese unite tra loro, la più antica delle quali è quella dei Santi
Apostoli. Di grande importanza, gli affreschi interni raccontano le
vicende dell’arte in Serbia dal tempo di Sopocani alle novità della
matura pittura paleologa, entro forme architettoniche non più legate
alla scuola raska, ma a una lettura dell’edificio a cupola tipico
dell’Oriente cristiano.
In effetti, con la fine del ‘200 e i primi decenni del ‘300, quando il
centro dello Stato, con le conquiste di Milutin, si spostò verso il
Sud, le nuove costruzioni e i nuovi cicli pittorici interessarono
soprattutto le zone del Kosovo e della Macedonia. Una suggestione più
ampiamente orientale si riconosce nelle grandi fondazioni promosse da
lui, dalla Chiesa e dall’aristocrazia: fondazioni la cui architettura
interpreta in modo originale gli schemi costruttivi bizantini. Alcuni
esempi, il monastero di Staro Nagoricino in Macedonia, e le grandi
chiese del Kosovo, dalla Madonna di Ljevisa a Prizren a Gracanica, che
custodiscono al loro interno importanti ed uniche testimonianze
pittoriche legate agli sviluppi dell’arte paleologa- ultima fioritura
di grande rilievo dell’arte bizantina. In alcuni casi ci restano anche
i nomi degli artisti che decorarono gli edifici con splendidi e
complessi cicli, tra cui Michele Astrapa ed Eutichio, pittori di
Salonicco, attivi in diversi momenti nelle maggiori chiese del periodo.
La fioritura proseguì sotto Stefano Decanski e sotto Dusan, re e
imperatore. Ad essi va tra l’altro riferita l’ultima grande costruzione
legata allo stile ‘misto’ della scuola Raska, la chiesa del monastero
di Decani.
Sotto la pressione turca, che si fece costante negli ultimi decenni del
‘300, il centro dello Stato serbo, indebolito e frammentato, si
trasferì più a nord, nella regione del fiume Morava, ove, tra la fine
del secolo XIV e la prima metà del ‘400, si produsse una diversa
fioritura architettonica e pittorica, basata su nuove idee e nuovi
modelli, le cui principali testimonianze sono ancora visibili nei
monasteri di Manasija- Resava, Ljubostinja, Kalenic’.
Fitte fino al ‘600 sono le notizie sulle regioni interne balcaniche, e
sulla Serbia, tramandateci dai viaggiatori che le attraversarono:
l’interruzione degli scambi non fu quasi mai totale e nemmeno i
drammatici eventi verificatisi durante il lungo dominio ottomano
bloccarono le storiche vie di comunicazione, né le espressioni di vita
e cultura. Un più forte iato alla conoscenza si ebbe a seguito delle
guerre austro - turche di fine ‘600 e del ‘700, quando la migrazione di
molti residenti nelle regioni danubiane dell’Ungheria portò allo
sradicamento della memoria, con parziale o totale perdita di monumenti
e testimonianze. Solo nel secolo XIX, con il nuovo interesse nei
riguardi dei popoli che si liberavano dalle antiche dominazioni, e con
il desiderio degli intellettuali balcanici di riallacciarsi alle
proprie radici, si tornò a proteggere quanto sopravvissuto di un
patrimonio che manteneva un tessuto fitto e diramato. Sulle mura dei
monasteri ortodossi costruiti tra la fine del XII e la metà del XV
secolo restavano, pur danneggiati, complessi pittorici di altissimo
rilievo, più fitti che in altri centri dell’antico Impero. Specialmente
a partire dagli anni venti del ‘900 si arrivò al ripristino di edifici
diroccati e al recupero delle pitture in essi contenute. Studiosi come
il francese Gabriel Millet o il russo Okunev, insieme a ricercatori
balcanici, si dedicarono all’indagine sui cicli; e cominciarono a
circolare fotografie di complessi che spesso continuavano a
deteriorarsi.
Difficile era il riconoscimento degli antichi contatti: l’intera
cultura bizantina, salvo pochi vertici, era allora conosciuta per lo
più tramite opere tarde, o periferiche e ‘provinciali’, che non
rendevano giustizia alla sua grandezza; e così ‘bizantino’ diveniva
termine negativo, legato agli aspetti deteriori dell’arte d’occidente.
La riscoperta delle opere realizzate nell’antica Serbia può ancora oggi
aiutare ad affrontare confini culturali spesso divenuti anche confini
sociali e politici; a meglio capire la nostra stessa cultura che, nel
suo antico sviluppo, trovò, nel reciproco scambio, uno degli elementi
fondanti. Gli eventi bellici che hanno drammaticamente coinvolto quelle
regioni sia nel corso delle due guerre mondiali, che nei più recenti e
recentissimi eventi, devono farci riflettere sulla necessità di
considerare il grande patrimonio culturale di quelle regioni come
eredità comune di tutti noi, aiutandone la sopravvivenza e il tramando
alle future generazioni.

Riferimenti bibliografici:

G. Millet, L’Art chretien d’Orient du milieu du XII au milieu du XVI
siecle, La peinture- Peintures russes et serbes, Paris 1908
G. Millet, L’ancien art serbe. Les eglises, Paris 1919
N. Okunev, Monumenta Artis Serbicae, Praga 1928- 32
A. Deroko, in ‘ L’art Byzantin chez les slaves, Les Balkans’, tomo I,
Paris 1930
G. Millet, in ‘l’Art byzantin chez les Slaves, Les Balkans’, tomo I,
Paris 1930
C. Diehl, ‘La peinture byzantine’, Paris 1933
V. Petkovic’, ‘La peinture serbe du Moyen Age’, I- II, Beograd 1930- 34
V. Lazarev, ‘Storia della pittura bizantina’, edizione originale 1947;
(ed. it. Milano 1967)
‘L’Art medieval yougoslave’, catalogo della mostra, Parigi 1950 ( S.
Radojcic’, ‘Les fresques dans les eglises du Moyen Age en Serbie, au
Montenegro et en Macedoine’, ibidem) .
G. Millet, ‘La peinture du Moyen Age en Yougoslavie: Serbie, Macedoine
et Montenegro’, Paris 1957
S. Radojcic’, Mileseva, Beograd 1963, pp. 40- 59 ( con sunto in inglese)
A.Deroko, ‘Malo nekog davnog secanja’, in ‘Zograf’, n. 3, Beograd 1969,
pp. 53- 55
G. Matthiae, Pittura romana del Medioevo, I edizione, Roma 1966, II
edizione, con commento di G. Gandolfo, Roma 1988
V. Djuric’, Sopocani, Beograd 1991, pp. 173- 175 ( in lingua originale,
con breve sunto in inglese).
S. Cirkovic’, I serbi nel Medioevo, edizione italiana, Milano 1992.
B. Todic’, ‘Srpsko slikarstvo u doba Kralja Milutina’, Beograd 1998
AA.VV., Tra le due sponde dell’Adriatico- la pittura nella Serbia del
XIII secolo e l’Italia, cat. della mostra (Bologna, Ferrara, Bari),
Ferrara 1999
V. Pace, Mosaici e pittura romana del Medio Evo: pregiudizi e
omissioni, e Dieci secoli di affreschi e mosaici romani, in ‘Arte a
Roma nel Medioevo’, Napoli 2000, p. 287 segg., in part. pp. 294- 302; e
p. 305 segg. , in part. p. 312-14
R.D’Amico, Quel ‘filo’ da Mileseva a Bologna’, in Strenna storica
bolognese, 1997
‘Tra Oriente e Occidente attraverso l’Adriatico- due regine della
Serbia del ‘200 a Bologna’, in Strenna storica bolognese, 1998
‘Ponti distrutti- ponti da ricostruire- ancora il ‘filo’ tra Bologna e
Belgrado’, in ‘Strenna storica bolognese’, 2000
‘Alla confluenza tra fiumi e culture- Per la costruzione di nuovi
ponti’, in ‘ Strenna storica bolognese’ 2001
Per la salvaguardia dei beni culturali della Serbia, in
‘Mediterraneum’(in corso)

---

http://www.salvaimonasteri.org/stampa_07.htm

MEMORIA STORICA E TUTELA: PER LA CONOSCENZA E LA SALVAGUARDIA DEL
PATRIMONIO CULTURALE DELLA SERBIA

Rosa D’Amico
(da ‘Mediterraneum/Tutela e valorizzazione dei beni culturali e
ambientali. Volume II,). La tutela del patrimonio culturale in caso di
conflitto’, a cura di Fabio Maniscalco, Napoli 2002 pp. 127- 133)

Nei Balcani e nella Serbia , da sempre ‘terra di passaggio’ e di
confronto tra grandi potenze, dove , tra Oriente e Occidente, sorsero e
tramontarono regni e imperi, i monumenti costituirono spesso l’unico
‘segno’ ‘materiale’ di intere identità nazionali e culturali, restando
simbolo di ‘resistenza’ anche nei periodi più duri. Le testimonianze
sulle loro frequenti distruzioni e ricostruzioni confermano che il
radicamento nella storia collettiva ne ha aiutato la conservazione,
mentre, dall’angolatura contraria, il fatto di ‘rappresentare’
‘visibilmente’ l’identità ‘nemica’ ha creato i presupposti per il loro
‘annullamento’ ideale e materiale.
Drammatici sono i ‘passaggi’ che , nei secoli, hanno visto tanti
complessi della ‘Vecchia Serbia’ abbandonati, danneggiati o distrutti.
Ricordiamo ad esempio , in Kosovo, il romitorio di San Pietro a Korisa
, di cui restano parti dell’architettura e degli affreschi, per lo più
perduti già in epoca antica ; o la chiesa dei Santi Arcangeli presso
Prizren, costruita nel ‘300 dal re- imperatore Dusan, che conserva in
loco solo le fondamenta e alcuni blocchi del parato murario- in marmo
come nella più antica Studenica- mentre la maggior parte dei materiali
fu riutilizzata, dopo l’abbandono , nella costruzione della moschea di
Sidan Pasa a Prizren, tra i più rilevanti edifici islamici del secolo
XVI nella regione.
Malgrado il frequente ‘uso’ dei monumenti come segno positivo o
negativo di identità, è utile ricordare i contatti mantenuti in questi
territori nei momenti di scontro meno aperto. La tolleranza della
legislazione ottomana consentì a lungo la sopravvivenza dei privilegi
goduti da alcuni monasteri , una limitata libertà di culto e la
conseguente espressione di un’autonoma cultura di tradizione ortodossa
, che mantenne il legame con le proprie radici. Anche nella ‘ripresa’
artistica dei secoli XVI e XVII, al tempo del rinnovato Patriarcato di
Pec’- che, sede dell’antico Arcivescovado medievale, era stato riaperto
nel 1549 col sostegno dell’allora Gran Vizir, sotto la guida di suo
fratello, Makarije Sokolovic’- le ‘nuove’ costruzioni e pitture serbe
non cercheranno ‘nuovi modelli’, ma , per non perdere il contatto con
la propria storia, si rifaranno, ‘restaurandoli’, o ‘ricostruendoli’, a
quelli delle antiche fondazioni

Varietà e ricchezza del patrimonio presente nel territorio sono
confermate dalle tante emergenze. Ecco i più antichi monasteri
costruiti tra XII e XIII secolo nella Raska, regione nel sud della
Serbia e culla dei primi Nemanja: da Djurdjevi Stupovi, a Kursumlija ,
a Studenica, da Mileseva, a Sopocani e Gradac , sono espressione di una
cultura che, tipica del momento e della zona, univa suggestioni da
Oriente e Occidente. Ecco , poco più a nord, i complessi nella regione
della Morava, sede degli ultimi despoti dove, prima della definitiva
caduta dello Stato serbo sotto gli Ottomani nel 1459, si espressero, in
fondazioni come Manasija- Resava, Ravanica, Kalenic’, nuove tendenze
artistiche..
Nel Kosovo , Gracanica , fondata da re Milutin nel 1315, è tra le più
significative costruzioni dell’architettura bizantina paleologa, mentre
la chiesa di Decani , progettata nel 1321 per suo figlio Stefano
‘Decanski’ da Vitus, architetto francescano di Kotor- Cattaro, ha
ancora le forme esterne del ‘romanico’ occidentale, tipiche dell’antica
scuola ‘ raska’. All’interno entrambi gli edifici conservano cicli di
grande rilievo per la storia dell’arte bizantina, come la chiesa della
Vergine di Ljevisa a Prizren, con affreschi firmati dai maggiori
esponenti della ‘scuola di re Milutin’, i pittori di Salonicco Michele
Astrapa ed Eutichio. Le chiese del Patriarcato di Pec’- dai Santi
Apostoli a San Demetrio a Santa Maria- realizzate dalla metà del 200 ai
primi del 300, sono legate non solo alle memorie medievali, ma anche
alla ‘rinascenza’ cinque- seicentesca , quando la rinnovata autonomia
incentivò il sogno di una rinascita.
Non dimentichiamo la cultura formatasi in Vojvodina specie dopo la
‘grande migrazione’ del 1689, quando i serbi trovarono rifugio nelle
zone danubiane dell’Ungheria, legate all’Impero asburgico :
significativi i complessi della zona di Fruska Gora, vicino a Novi Sad,
monasteri come Vojlovica presso Pancevo, o interi centri
dall’interessante tessuto urbano- Novi Sad , Pancevo , Sombor , Sremski
Karlovski, Vrsac, in cui si uniscono la tradizione ungherese e quella
balcanica . In questa regione, pur nelle recenti difficoltà, non si è
interrotto il rapporto tra i gruppi etnici che nel tempo vi si sono
stabiliti .
Un cenno meritano sia il patrimonio dell’artigianato e delle tradizioni
popolari, che gli interessanti edifici otto- novecenteschi, base
urbanistica delle nuove città- e di Belgrado- dopo la fondazione del
nuovo Regno indipendente .
I monasteri sono allora solo le emergenze più rilevanti in una terra
ricca di edifici ‘minori’ di varia epoca, che specie nelle zone a sud ,
fino al Kosovo– più a lungo sotto l’influenza ottomana- dialogano
spesso con il tessuto islamico, rappresentato da interessanti moschee e
da strutture di pubblica utilità. Punto di riferimento per tutti è
l’importante patrimonio archeologico, databile dal paleolitico
all’epoca romana e al primo Mediovo .

Alcune testimonianze su due dei monasteri citati della Raska, Sopocani
e Mileseva- espressioni altissime dell’arte bizantina nell’antico Regno
dei Nemanja – possono aiutarci a ‘ripercorrere’ le esperienze vissute
nei secoli da un patrimonio, fino a date recenti quasi ignoto per
difficoltà di informazione , più che per diffidenze strumentali.
L’approfondimento dell’indagine sugli antichi scambi, la volontà di
riallacciare i capi del ‘filo’ che lega due mondi vicini pur nelle
differenze, può aiutare anche la tutela di opere senza le quali non
conosceremo fino in fondo neppure la nostra stessa civiltà.
Esse appartengono a un territorio, ma sono insieme patrimonio comune.

Ricordiamo anzitutto i contatti della dinastia serba con l’Occidente,
sviluppati specie nel secolo XIII, spesso in funzione antibizantina, e
testimoniati anche dall’importante ruolo lì svolto da due regine: la
veneziana Anna Dandolo, nipote di Enrico Dandolo- tra i conquistatori
di Costantinopoli nella IV crociata del 1204, che sancì per
sessant’anni il governo ‘latino’ dell’antica Bisanzio- sposò Stefano,
‘Primocoronato’- il più antico dei Nemanja ad aver assunto il titolo
reale- e dal primo decennio alla metà del ‘200 fu protagonista della
vita del Regno accanto a Stefano e ai figli Radoslav, stanislav e Uros
. Intorno al 1250 quest’ultimo – il fondatore di Sopocani – prese in
moglie la francese Elena D’Angiò, figlia dell’ ultimo Imperatore
occidentale di Costantinopoli , Baldovino, cacciato nel 1262
dall’avvento dei Paleologhi. Legata alla dinastia angioina, in rapporto
con la politica guelfa italiana e col papato, Elena avrà grande
influenza in Serbia, prima, fino al 1269, accanto al marito, e poi fino
alla morte, nel 1314, sotto il regno dei figli, Dragutin e Milutin.
Notevole fu la sua importanza per il rapporto tra le due culture e le
due interpretazioni religiose cui era personalmente legata.

Vicino all’attuale città di Novi Pazar, nel cuore dell’antica Raska- la
cui prima capitale, Ras, è forse stata individuata nelle vicinanze- il
monastero di Sopocani è espressione di quell’ importante momento
politico e culturale. L’assegnazione dei dipinti più significativi
della chiesa al periodo tra 1263 e 1265 è importante anche per gli
scambi con l’arte italiana, nelle forme che assunse negli ultimi
decenni del secolo XIII a Roma, Siena, Assisi, Venezia e lungo
l’Adriatico. La loro datazione - convalidata dagli studi successivi - è
partita proprio dall’identificazione dei personaggi presenti nella
Morte di Anna Dandolo, episodio storico dipinto nel nartece: accanto al
fondatore Uros, due suoi fratelli- l’ex re Vladislav e il futuro
arcivescovo Sava II- gli allora giovani figli Dragutin e Milutin e, ai
piedi del letto, la nuova regina, Elena.
La drammatica vicenda conservativa di Sopocani ebbe inizio alla fine
del ‘300.
Il patriarca Pajsje- importante esponente della Chiesa serba dopo la
ricostituzione del Patriarcato di Pec’- ricordava ancora nel 1628- 29
le distruzioni subite dal monastero nel 1389, al momento della più
antica conquista turca della Serbia del Sud, e quando, sotto la spinta
ottomana, il centro dello Stato ormai frammentato si era spostato nella
regione intorno alla Morava, con parziale abbandono degli antichi
territori .
Dopo un silenzio di 150 anni, interrotto da qualche sporadica notizia,
Sopocani si ‘risvegliò’ nel periodo del Patriarcato riaperto, fino alla
seconda metà del ‘600, epoca delle guerre austro- turche. Nel 1688,
spinte dal sogno di una nuova indipendenza sotto gli Asburgo, le
popolazioni serbe si ribellarono e seguirono con speranza l’avanzata
austriaca, e la ‘riconquista’ di territori ai turchi. Antichi storici
ricordano che in quell’anno molti complessi, da Mileseva a Djurdjevi
Stupovi, da Sopocani a Studenica, furono dati alle fiamme e
saccheggiati durante la ritirata ottomana verso sud . Quando furono poi
gli Austriaci a ritirarsi sconfitti, molti serbi, guidati dal
patriarca, li seguirono fino alle regioni danubiane della Vojvodina
nella ‘grande migrazione’ del 1689, portando con sè le antiche reliquie
dei monasteri, ma lasciando gli edifici al deterioramento.
Varie iscrizioni documentano il dolore di testimoni per i monumenti
danneggiati da scontri, vendette, eventi naturali, ma soprattutto
dall’abbandono della popolazione che, sradicata e lontana, non poteva
più ‘curare’ quei ‘segni’ privilegiati della propria identità.
Nel 1724 , a Sopocani, il metropolita della Raska, Arsenije IV, pur
ritenendone ancora possibile il recupero, incideva nel portale di marmo
tra nartece e nave principale parole di rimpianto per il degrado del
monastero. Sullo stesso portale , Gavril, metropolita di Bosnia,
lasciava nel 1750 una ‘invocazione’ sulla necessità di rinnovare quel
tempio- simbolo. L’impossibilità di attuare il progetto è documentata
da una scritta del 1759, in cui si descrive la bellezza del monastero e
delle sue pitture e se ne piange lo stato.

Accanto a Sopocani, Mileseva è uno dei complessi più significativi del
‘200 in Serbia. Il re Vladislav, fratello e predecessore di Uros I,
eresse il monastero quale suo mausoleo all’inizio del regno, e restò
suo ‘mecenate’ per tutto il periodo in cui fu re, e anche dopo il
ritiro nelle terre del Litorale. Si datano intorno al 1236 le più
importanti pitture murali commissionate ad artisti delle maggiori
scuole bizantine . Per la fortunata collocazione geografica , lungo la
strada mai interrotta che conduceva dalla costa, attraverso la vicina
città mercantile di Prijepolje- ‘grande centro dei serbi cristiani’,
come la descriveva nel 1573 il francese Pierre Lascopier- fino
all’interno dei Balcani, e verso Costantinopoli, Mileseva – custode di
importanti reliquie, e dei sepolcri di prestigiosi esponenti della
storia serba, come San Sava, fondatore, nel 1219, della Chiesa
indipendente - restò spesso presente nei documenti. Molte sono le
descrizioni lasciatene da viaggiatori, di nazionalità soprattutto
francese , veneziana e tedesca.
Dopo le devastazioni tardo trecentesche le attività non vi si
interruppero, anche per l’appoggio del governo ottomano, che ne
mantenne antichi privilegi. Anzi, secondo le fonti, contributi le erano
spesso elargiti da turchi ed ebrei come da cristiani. Vi si ricorda
spesso l’importante attività tipografica, che nel 1536- 37 portò i
monaci- tipografi Teodosio e Gherardo a Venezia, nella stamperia serba
di Bozidar Vukovic’- Dionisio della Vechia.
Nel 1550 l’Ambasciatore veneziano Catarino Zen citava nella chiesa la
presenza - confermata nove anni dopo da Melchior Saidliz- di oro e
argento. L’ oro era in effetti protagonista anche delle pitture, non
solo in particolari decorativi, ma perfino- come anche a Sopocani- nei
fondali degli episodi affrescati nelle zone più visibili . Anche se
oggi ne rimangono solo tracce, esse documentano la volontà di rendere
l’interno delle chiese scrigni preziosi, con dipinti ispirati alla
ricchezza delle tecniche musive.
Un momento drammatico per Mileseva si ebbe dopo il 1583, quando morì il
suo protettore, Mehmed Sokolovic’. Allora, a seguito di una rivolta
antiturca, il corpo di San Sava, segno di identità per il popolo serbo,
venne prelevato dal sepolcro, trasportato a Belgrado- castello
fortificato turco- e bruciato. Seguirono anni difficili, con più di un
invito al papa e ai sovrani occidentali perché intervenissero a
liberare quelle terre dal governo ottomano.
Sotto il patriarca Pajsje, tra 1614 e 1647, e nei due decenni
successivi, si ha anche a Mileseva una rinnovata fioritura: nel 1657
furono commissionate nuove pitture, che, eseguite a risarcimento di
zone mancanti , protessero gli originali fino alle più recenti
‘riscoperte’. Dopo il 1689, con la dispersione dei monaci, anche questo
monastero, oggetto di nuovi saccheggi ed incendi, fu gradualmente
abbandonato.

Notizie sui monasteri riprendono a diffondersi , dopo un periodo di
silenzio, con la ‘riscoperta’ ottocentesca delle ‘antichità serbe’,
promossa a livello culturale e politico mentre cresceva in Europa, con
il Romanticismo, l’interesse per l’identità dei popoli; era il momento
in cui, nelle terre legate agli Imperi ottomano e asburgico, si
prendeva coscienza della propria storia , e si rivendicava la propria
autonomia – un momento che in Serbia coincise con la formazione del
Regno indipendente, ancora una volta fondato sui valori della ‘memoria’.

‘Sopocani, monastero nella Vecchia Serbia, di cui oggi restano le
mura’: così, nel 1818, Vuk Karadzic’, letterato e rinnovatore della
lingua serbocroata , descriveva l’illustre monumento. Acquarelli e
disegni del secolo XIX confermano quanto viaggiatori e amatori
annotavano circa lo stato dell’edificio, privo delle volte su quasi
tutta la navata, anche se la cupola e parte dell’abside erano ancora
integre. Le descrizioni vi testimoniano i problemi degli affreschi,
causati da incendi antichi, come dall’abbandono e dall’esposizione agli
agenti atmosferici.
Console in Bosnia dal 1857 al 1858, il diplomatico russo Giliferning,
che visitò numerosi monasteri della Vecchia Serbia, sentendosi ‘in un
territorio storico’, giudicò Sopocani -‘uno dei più importanti
monumenti’ della regione’- ancora facilmente recuperabile. ‘Per la
prima volta, trattando degli affreschi del nartece esterno’ (poi
ulteriormente danneggiati , e ancora oggi conservati ‘all’aperto’, non
essendo mai stata ricostruita questa zona dell’edificio) , egli
ipotizzava ‘la possibilità di trarne copie per salvaguardarne la
memoria quali testimonianze della storia della pittura ad affresco
slava’( Komnenovic’). Il complesso di Mileseva viene invece da lui
descritto ancora come ‘rovina’. Poco dopo – tra 1863 e 1868- la chiesa
avrebbe subito un ‘restauro’ non rispettoso delle forme originali- con
l’uniforme intonacatura che dette al suo esterno l’aspetto attuale.
Nuovo impulso allo studio delle ‘antichità serbe’ venne dopo la guerra
serbo- turca del 1876- 88, quando nuovi territori vennero annessi al
Regno. Gli sforzi di catalogazione proseguirono, con note di viaggio,
descrizioni , disegni, spesso carenti a livello scientifico, ma validi
come documenti su un patrimonio che continuava a subire danni.
I conflitti dei primi del ‘900, e soprattutto la guerra 1915- 1918,
portarono infatti nuove distruzioni a edifici difficilmente
difendibili, sia per la dispersione su un vasto territorio- con
conseguenti problemi di accesso - che per l’uso ‘militare’ attribuito
ad alcuni di essi, come Djurdjevi Stupovi. Fondato nel secolo XII, agli
inizi della dinastia Nemanja, questo monastero domina la valle di Novi
Pazar- centro dell’antica Raska- fino al Kosovo. Ancora i viaggiatori
ottocenteschi ne ricordavano integra parte della muratura e degli
affreschi. Ma, usato - per la sua posizione strategica- come deposito
di armi dagli austriaci, fu da questi fatto saltare al momento della
ritirata , riducendosi allo stato di ‘rovina’ in cui in parte ancora si
trova.
La necessità di una ‘ricostruzione’- anche della conoscenza - allargata
oltre i confini balcanici- si sviluppò negli anni tra le due guerre
mondiali, mentre si continuava a scrivere e a visitare le chiese mezzo
distrutte, occupandosi più ampiamente anche delle necessità di recupero.
Di grande significato fu l’impegno del celebre bizantinologo francese
Gabriel Millet, che sistematizzò in anni di lavoro quanto noto sui
monumenti bizantini serbi , descrivendone anche il drammatico stato
conservativo. Ancora nel 1920 A. Deroko ricordava l’isolamento di
Sopocani, privo di facili accessi e di luoghi di sosta. Solo dopo il
1926, quando fu ricostruita la parte mancante, ma documentabile, della
chiesa, si diffuse meglio anche la conoscenza delle sue pitture ,
finalmente protette dalle intemperie.
Tra gli ‘amatori’ e storici di quel periodo , il russo Nikolaj Okunjev
fu importante per la riscoperta di percorsi perduti. Alla fine degli
anni venti, quando la cultura bizantina era nota – a parte le tracce
sublimi conservate nell’antica Costantinopoli e nei ‘centri’
dell’antico Oriente cristiano- quasi solo attraverso interpretazioni
provinciali o testimonianze di più tardi ‘madonneri’, Paolo Muratoff,
nel volume ‘La pittura bizantina’, citava le ricerche, ancora non
pubblicate, dello studioso russo. Questi, ‘lasciandosi guidare da
considerazioni molto sagaci di ordine teorico…rivolse l’attenzione
…sulle più antiche tra le pitture murali della Vecchia Serbia e della
Macedonia. Finora era relativamente poco nota l’esistenza stessa di
questi affreschi anteriori al secolo XIV. Il Millet e il Diehl fanno
menzione di affreschi antichissimi a Studeniza (sic) (della fine del
XII secolo), nonché degli affreschi di Zica e Gradac (della prima metà
del secolo XIII)….Sono in primo luogo questi affreschi preziosi di
Nerez ( Nerezi in Macedonia) , poi quelli di Milescevo ( sic) ( dal
1236) e di Sopociany (sic) ( al 1250) che l’Okunjev ha esplorato e in
parte con le mani liberato da posteriori ridipinture…’
‘…I successivi anelli della catena … che speriamo tra pochi anni di
veder compiutamente saldata, si devono ancora ai lavori dell’Okunjev ….
Gli affreschi del monastero di Milescevo (sic)…Una serie di affreschi
ancora più notevoli … è stata scoperta… nel monastero di Sopociany…’.
In queste frasi scopriamo la passione per la ricerca e il desiderio di
liberare con le proprie mani i dipinti per ritrovarne l’aspetto
originario.
Anche fuori dai confini balcanici nasce la consapevolezza di un
patrimonio a lungo ignorato, che porta a rivedere , attraverso il
dialogo con le ricomparse pitture dei monasteri serbi, gli stessi
angoli di lettura dell’arte ‘bizantina’ e dei suoi rapporti di dare-
avere con le culture occidentali.

Con l’uscita dal secondo conflitto mondiale, quando l’ Europa prendeva
coscienza della necessità di salvaguardare il suo passato, anche in
Jugoslavia si avviarono nuove campagne di restauro e ricostruzione dei
monumenti sulla base delle forme antiche, campagne spesso proseguite
fino ad oggi, quando non in corso, o interrotte per i recenti eventi
bellici, ‘proiezione’ di un tormentato percorso storico.
Nei primi anni cinquanta fu fondato l’Istituto per la protezione dei
monumenti della Repubblica di Serbia- con sedi principali a Belgrado e
a Pristina. Fu un periodo importante per la ricerca come per
l’accelerazione degli interventi .
Purtroppo la grande dimensione dei cicli , la conservazione spesso
compromessa, la difficoltà di raggiungere luoghi isolati, non
consentirono sempre recuperi rapidi e diramati . Mentre in Italia, nel
caso di gravi danni alla pittura murale, si procedeva a ‘stacchi’ e
‘strappi’- usando metodi collaudati dall’esperienza- anche se non
sempre ‘sicuri’ a livello conservativo- nella Jugoslavia che si
risollevava dalla guerra si cercò un modo alternativo per ‘tramandare’
un patrimonio quasi perduto alla memoria delle generazioni future.
Sull’esempio di quanto realizzato a Parigi dal Museo dei Monumenti
francesi, a Belgrado si formò una scuola specializzata nella ‘copia’
degli affreschi, di cui venivano riproposte dimensioni, colori e
iconografie , ma anche irregolarità, mancanze, danni, sovrapposizioni,
che potevano documentarne lo stato in un determinato momento. I
copisti, in contatto con l’originale, ne studiavano anche le tecniche.
Così le indagini sui colori, sugli effetti degli agenti esterni, sulla
costruzione degli strati pittorici, hanno visto spesso la loro
partecipazione. Molti particolari da pitture ‘conservate nelle chiese
in rovina’- dalla stessa Sopocani, a Mileseva, a Studenica, alle chiese
del Kosovo e alle fondazioni della ‘scuola della Morava’- furono
riprodotti su tela, a tempera, consentendo la salvaguardia almeno del
‘ricordo’ di tante testimonianze.
Fortunatamente furono anche possibili interventi di restauro ‘in loco’;
oltre alla pulitura, al consolidamento e allo studio del già noto,
nuove superfici furono liberate dalle ridipinture- come a Studenica;
altre furono riscoperte sotto scialbature: ad esempio, nella Madonna di
Ljevisa presso Prizren tornarono allora in luce gli affreschi
trecenteschi ricoperti di calce quando il complesso era stato
trasformato in moschea ; nel monastero di Manasja- Resava nella Morava
si recuperarono importanti pitture quattrocentesche. L’attività dei
restauratori non tolse spazio ai copisti; ogni volta che comparivano
nuove pitture, o che un dipinto subiva un intervento, essi venivano
chiamati a testimoniare un altro ‘passaggio’ nell’esistenza dell’opera.
E il fenomeno della ‘copia’ è restato connesso fino ad oggi alla
volontà di sopravvivenza, di conservazione della propria cultura. Si
ricorderà che, fino allo scoppio della guerra del ‘99 , in Kosovo si
continuava ad andare: e che ancora nell’estate del ’98 i ‘copisti’
belgradesi erano a Pec’, a ‘testimoniare’ lo stato delle pitture.
Le copie, facilmente trasportabili, divennero anche ‘messaggere’ per la
conoscenza della pittura bizantina di Serbia al di là dei confini,
quando, a partire dal 1950, furono al centro di mostre ‘itineranti’.
Mentre negli stessi anni in Occidente si presentavano affreschi
originali staccati, le pitture dei monasteri serbi furono rese note a
un pubblico più vasto proprio tramite le ‘copie’- la ‘migliore
possibilità di conoscere un’opera dopo quella consentita dalla visione
dell’originale’ (Zivkovic’).
Dalla prima esposizione a Parigi, si passò, tra gli anni cinquanta e
sessanta, a iniziative su singoli temi, in sedi italiane, europee e
americane, fino ad arrivare - nel 1999, in concomitanza con il nuovo
tragico conflitto- alla realizzazione a Bologna e Ferrara, poi a Bari e
l’anno seguente a Venezia, della mostra ‘Tra le due sponde
dell’Adriatico’, destinata ad illustrare tramite una cinquantina di
copie i più significativi cicli dei monasteri duecenteschi di Serbia,
‘a confronto’ con opere del Duecento italiano che nello ‘scambio’ con
quella terra trovano più di un riferimento.
In quel periodo difficile la volontà d’incontro ha mantenuto i contatti
, cercando, al di là delle strumentalizzazioni, di far conoscere la
grandezza di una cultura che ha avuto tanti rapporti con la nostra.
Quei legami hanno permesso tra l’altro di avere notizie dirette sugli
eventi, specie sui danni al patrimonio. E’ naturale che quanto allora
raccolto subisse gli effetti del clima instaurato dal conflitto. Ma la
comunicazione ha consentito di ricevere nel corso dei tre tragici mesi
di bombardamenti informazioni di prima mano su quanto avveniva , mentre
notizie ufficiali venivano diffuse dal sito Internet dell’Istituto per
la Protezione dei monumenti , ancora consultabile.
Ogni danno, ma anche ogni ‘mancanza di attenzione’ nei riguardi di
obiettivi sensibili per la storia collettiva di intere comunità , ha
portato- accanto a perdite ‘materiali’- profonde ferite all’identità,
al rapporto di intere generazioni con il ‘luogo’, testimoniato anche
dal lungo, difficile recupero dei monumenti, troppo spesso liquidato
come ‘non antico’ e di conseguenza ‘non interessante’.

Nell’ottobre del 1998, quando la prospettiva di una nuova guerra nei
Balcani era sempre più vicina, l’ecologo Franz Weber inoltrava una
richiesta al Parlamento europeo perché il complesso dei monumenti del
Kosovo- di cui 1800 di rilevante valore- fosse protetto dall’Unesco .
In un appello ai leaders delle grandi potenze, chiedeva poi di
scongiurare interventi aerei che difficilmente avrebbero risparmiato il
tessuto urbanistico e monumentale della regione. L’Istituto per la
protezione dei monumenti di Belgrado, che elencava in Serbia e
Montenegro 3000 complessi già considerati dalla stessa UNESCO, e altri
13.000 degni di interesse, inviò in quel periodo varie richieste al
Direttore generale di quell’organismo , perché nella sua funzione
‘sovranazionale’ consentisse di risparmiare un patrimonio di valore
universale.
Furono anche la scarsa informazione sull’importanza di quei complessi e
la loro collocazione al di là di un confine lungamente isolato a
stendere un velo di silenzio sulle conseguenze di un attacco dall’alto-
sia pur ‘intelligente’ e ‘selettivo’. Alcuni si opposero a quel
silenzio; e questo permise, se non di impedire un’azione pianificata a
livello troppo alto, almeno di non interrompere la comunicazione, di
far ‘sentire’ alla società civile dell’altra parte – per lo più
scarsamente compromessa con le attività che venivano attribuite non a
un gruppo, ma a un intero popolo- che la sua identità poteva essere
rispettata e non violentata, che l’embargo culturale non era da tutti
applicato, che la grandezza di una storia tanto legata alla nostra non
poteva essere dimenticata per strumentalizzazioni contingenti.
Quell’embargo- mantenuto per una parte degli anni novanta , e
proseguito idealmente fino a date recenti, aveva portato addirittura -
per una curiosa commistione tra vicende contemporanee e cultura
storica- all’interruzione di percorsi conoscitivi: ad esempio
importanti mostre internazionali sull’arte bizantina hanno allora
‘ignorato’ fin l’esistenza del grande momento in cui la Serbia era
stata importante centro di quella cultura.
Lo stesso embargo escludeva la Jugoslavia dai consessi internazionali,
anche quando si trattava della salvaguardia dei beni culturali in caso
di conflitto. Non avendo voce ‘riconosciuta’, gli appelli lanciati per
la tutela del patrimonio nei momenti più gravi dell’intero decennio di
guerra- ‘percorso’ da ripetute minacce di interventi aerei contro la
Serbia - hanno avuto qualche risposta di comprensione , quando non sono
caduti nel nulla. I rappresentanti culturali jugoslavi non hanno potuto
nemmeno presenziare alla discussione sulla convenzione dell’Aja nel
marzo del 1999, quando l’intervento era deciso, e sarebbe stato
opportuno affrontare in modo non generico la situazione del patrimonio
che in quel momento era il più minacciato.

Su questo delicato tessuto di comunità umane e di monumenti si è
abbattuta dalla fine di marzo alla metà di giugno del 1999 la guerra
aerea, e nel Kosovo, centro della tragedia, anche lo scontro tra due
identità sempre più contrapposte, proseguito anche dopo la ‘pace’. Già
pochi giorni dopo l’inizio dell’attacco arrivava notizia della caduta
di ordigni presso Gracanica, con possibile compromissione statica delle
pareti- danno causato agli antichi edifici dal dissesto dovuto alle
forti deflagrazioni che, pur non colpendoli , avevano l’effetto di
continui, forti terremoti.
Danni strutturali diretti hanno coinvolto tra l’altro il monastero di
Kursumljia, i complessi della zona di Fruska Gora, particolarmente
bersagliata, il settecentesco monastero di Vojlovica , di cui è caduto
il tetto, la chiesa della Trasfigurazione a Pancevo, con il crollo di
una delle volte dipinte.
Significativi i danni riportati, nella Serbia centrale, dai monasteri
della zona di Ovcar- Kablar, mentre lesioni e crepe si denunciavano nel
monastero di Kovilj- del secolo XVI- presso Novi Sad, e in quello di
Rakovica, presso Belgrado. Pericoli alla stabilità delle strutture
coinvolgevano anche le chiese nella zona di Novi Pazar- da San Pietro a
Ras alla stessa Djurdjevi Stupovi, con possibile coinvolgimento della
non lontana Sopocani . Danni gravi hanno subito a Belgrado e nelle
altre città- gli edifici otto- novecenteschi, sedi di Ministeri e di
strutture governative e di conseguenza diretto ‘obiettivo’ degli
attacchi aerei.
I problemi del Kosovo saranno da altri trattati. Ma va qui fatto cenno
alla difficoltà di stabilire - in mancanza di attendibili testimonianze
delle diverse parti in conflitto- le cause di alcune perdite: in parte
imputabili alle bombe, ma anche alla volontà di ‘annullare’ l’identità
culturale del ‘nemico’- rischio cui un così delicato patrimonio è
sempre esposto. Da un lato sono stati danneggiati o distrutti edifici
legati all’identità islamica, in particolare moschee- a Djakovica,
Prizren, Pristina, Pec’. Le testimonianze di delegazioni lì presenti
confermano tante perdite- ferita profonda all’intera realtà del
territorio. D’altra parte- non durante il conflitto, ma dopo la ‘pace’,
alla presenza delle truppe internazionali- sono stati abbattuti o
gravemente deturpati numerosi monasteri ortodossi: forse non i
principali, meglio difesi, ma buona parte del tessuto connettivo che
arricchiva questa terra di episodi di varia epoca e storia- spesso
liquidati come ‘artisticamente poco interessanti’ (ma quando si tratta
del ‘nostro’ patrimonio, ogni chiesa di montagna è giustamente
sottoposta a tutela, perchè , pur in forme ‘provinciali’, è patrimonio
della comunità). Già nel luglio del ‘99- a pochi giorni dalla
‘conclusione’ degli attacchi, e dall’arrivo delle ‘truppe di pace’-
almeno trenta tra chiese e monasteri erano stati incendiati, violati o
fatti saltare. Non si sono sentite molte voci scandalizzate per queste
azioni, giudicate come ‘naturale risposta’ alle violenze subite. Così,
ogni casella finisce per andare al suo posto! E le coscienze
addormentate sono tranquille. Ma alcuni hanno anche allora dichiarato
il proprio sgomento e la necessità della tutela . Ricordiamo gli
articoli di Lionello Puppi sui danni che la scarsa attenzione ha
provocato all’identità di un popolo e della sua cultura . E gli appelli
lanciati sulla necessità di recuperare resti e documenti materiali dei
monasteri distrutti, prima di perdere anche le tracce della ‘memoria’.

Oggi tante cose sono cambiate in quella terra. Anche chi non si era
avvicinato alla sua cultura e alla sua società civile nel periodo della
separazione sente la necessità di riaprire i contatti. Si parla del
recupero del patrimonio di Serbia e Kosovo, finalmente come patrimonio
dell’umanità. Importanti iniziative ‘pubbliche’ sono state dedicate al
problema. Ho partecipato a due di questi momenti: al convegno
organizzato nel marzo 2000 a Venezia dal Dipartimento di Architettura -
sui beni culturali in rapporto alla guerra, e alla giornata dedicata un
anno dopo dalla Scuola Normale di Pisa ai problemi del patrimonio del
Kosovo. Più di recente sono state effettuate missioni, che ci si augura
siano momenti di dialogo tra parti che, entrambe, hanno qualcosa da
dire. La storia dei recuperi in quelle regioni non può essere
dimenticata, né liquidata perché non sempre ‘in linea’ con le teorie
proposte altrove. Si può crescere ‘insieme’ attraverso il confronto ,
anche se questo raramente si realizza nei fatti. Le occasioni che hanno
avuto- e continuano ad avere- concreta attuazione dimostrano che si può
almeno continuare su questa strada.

Il patrimonio ‘dell’umanità’ è in primo luogo patrimonio ‘del luogo’ e
ogni negazione o ‘sostituzione’ delle realtà umane lì presenti mina
anche la sopravvivenza del contesto culturale. E’ quello che sembra
avvenire nel Kosovo, che, dopo le tragiche vicende di scontro, sta
finendo per essere ‘spogliato’ di una delle sue identità con il
‘silenzio’ di chi dovrebbe aiutare la comunicazione. Ci si augura che
si possa ancora agire in direzione contraria. Il rispetto per i
monumenti non può prescindere dal rispetto per le componenti umane che
caratterizzano la storia di un ambiente. La sopravvivenza è legata al
recupero della ‘memoria’ e della ‘identità’ di quelli che in una terra
hanno vissuto, e vivono, le proprie radici. Solo il riconoscimento del
‘filo’ che unisce le proprie alle radici dell’ ‘altro’, con la
condivisione di uno spazio comune , può far vivere il patrimonio nel
tempo. Senza quel ‘confronto’ nessun patrimonio può salvarsi, nemmeno
quando viene riconosciuto come ‘patrimonio dell’umanità’. Basti
ricordare quanto l’antico sradicamento degli abitanti abbia contribuito
a danneggiare l’eredità artistica di queste regioni . E quanto anche in
Italia l’allontanamento di comunità umane abbia portato a perderne la
cultura, come nel caso di borghi appenninici dove l’ abbandono ha
decretato distruzioni, danneggiamenti o incongrue ‘trasformazioni’
dell’ ambiente ormai privo di cure .
Si sa che la cultura del ‘nemico’ è condannata alla distruzione.
Ricostruire il contesto sociale è allora unica base per una reale
tutela dei monumenti, che presuppone conoscenza e accettazione.
‘Riconoscerli’ come propri vuol dire ‘curarli’ e farli esistere. Gli
organismi internazionali non potranno da soli garantirne la vita, se
non torneranno ad essere ‘usati’ da chi, attraverso drammatiche
vicende, li ha fatti giungere fino ad oggi.

L’avvio di un dialogo riguardo alla tutela dei monumenti nella Serbia
propriamente detta può essere riconoscimento di quella cultura nel suo
‘reale’ significato nel contesto del territorio.
Risultano in corso importanti recuperi , ad esempio a Mileseva, dove si
sta intervenendo sugli affreschi dello ‘spazio sotto la cupola’, a
Sopocani- dove ogni anno si fanno lavori di manutenzione- o nei palazzi
di Belgrado, per ripristinare le strutture danneggiate dalle bombe.
Conoscenza e diffusione di informazioni, con la ‘schedatura’ delle
presenze e il recupero di monumenti e centri urbani, potranno portare
anche alla riapertura di itinerari legati a un turismo positivamente
vissuto, necessario alla crescita del territorio, come quello dei
viaggiatori del passato. Spesso parlando dei Balcani si rimane ancorati
alla costa - con qualche ‘salto’ in Bosnia- dimenticando le opportunità
dell’interno, dove splendide emergenze attendono solo di essere
conosciute. La ‘ricostruzione’ della via che, lungo i tracciati delle
strade romane, traversava i Balcani fino a Salonicco, oggi in pratica
corrispondente all’autostrada Belgrado - Nis, e al suo proseguimento in
Macedonia, oltre a facilitare i contatti , può riaprire antichi
percorsi. Facendo brevi deviazioni, si potranno allora incontrare
alcuni dei più importanti monasteri, che quella via avevano come punto
di riferimento già nel Medioevo.

Bibliografia di riferimento:

Per le vicende storiche::
N. Komnenovic’, ‘O propadanju fresaka na polusrusenim srpskim
srednjovekovnim crkvama’, in ‘ Narodni Muzej – Beograd, Kopije fresaka
iz srpskih srednjovekovnim crkva u rusevinama’ ( Copie degli affreschi
delle chiese medievali serbe in rovina), catalogo della mostra, Beograd
1980, pp. 5- 16 ( traduzione inglese pp. 51- 55).
Per lo studio tecnico degli affreschi:
Zdenka Zivkovic’ ( ‘Promene vrednosti boja na freskama polusrusenih
srpskih crkva’), ibidem, pp. 17- 32, traduzione inglese pp. 56- 61
Per le vicende di Sopocani:
V. Djuric’, ‘Sopocani’, Beograd 1991, con bibliografia. Per la storia
del monastero dopo i Nemanja, ‘Sudbina manastira’, ibidem , pp. 173-
175 (con riassunto in inglese)
Per le vicende di Mileseva:
S Radojcic’, ‘Mileseva’, Beograd 1963. Per gli eventi storici
successivi ai Nemanja, pp. 44- 59, con riassunto in inglese.
Per le vicende e la storia serba nel Medioevo:
S. Cirkovic’, ‘I Serbi nel Medioevo’, edizione italiana, Milano 1992

September 11

"Revealing the Lies" on 9/11 Perpetuates the "Big Lie"

by Michel Chossudovsky
 

Text of Michel Chossudovsky's keynote presentation at the opening
plenary session (27 May 2004) to The International Citizens Inquiry
Into 9/11, Toronto, 25-30 May 2004.  
www.globalresearch.ca 27 May 2004

The URL of this article is:
http://globalresearch.ca/articles/CHO404C.html

The Bush administration  had numerous intelligence warnings. "Revealing
the lies"  of Bush officials regarding these "intelligence warnings"
has served to uphold Al Qaeda as the genuine threat, as an "outside
enemy", which threatens the security of America, when in fact Al Qaeda
is a creation of the US intelligence apparatus.

America’s leaders in Washington and Wall Street firmly believe in the
righteousness of war and authoritarian forms of government as a means
to "safeguarding democratic values".

9/11 is the justification.

According to Homeland Security "the near-term attacks will either rival
or exceed the 9/11 attacks".

An actual "terrorist attack" on American soil would lead to the
suspension of civilian government and the establishment of martial law.
In the words of Homeland Security Secretary Tom Ridge: "If we go to Red
[code alert]... it basically shuts down the country,"

"You ask, 'Is it serious?' Yes, you bet your life. People don't do that
unless it's a serious situation." (Donald Rumsfeld)

The "Criminalization of the State", is when war criminals legitimately
occupy positions of authority, which enable them to decide "who are the
criminals", when in fact they are the criminals.

Michel Chossudovsky is the author of War and Globalization, The Truth
behind September 11 at
http://globalresearch.ca/globaloutlook/truth911.html

Revealing a lie does not necessarily lead to establishing the truth.

In fact the experience of the 9/11 Commission  which has a mandate to
investigate the September 11 attacks has proved exactly the opposite.

We know that the Bush administration had numerous "intelligence
warnings". We know they had "intelligence" which confirmed that
terrorists had the capacity of hijacking aircrafts and using them to
target buildings.

Attorney General John Ashcroft had apparently been warned in August
2001 by the FBI to avoid commercial airlines, but this information was
not made public. (See Eric Smith at
http://www.globalresearch.ca/articles/SMI402A.html )

The Pentagon had conducted a full fledged exercise on an airplane
crashing into the Pentagon.(See
http://globalresearch.ca/articles/RYA404A.html )

We also know that senior Bush officials including Donald Rumsfeld and
Condoleezza Rice lied under oath to the 9/11 commission, when they
stated that they had no information or forewarning of impending
terrorist attacks.

But we also know, from carefully documented research that:

There were stand-down orders on 9/11. The US Air force did not
intervene. see http://www.globalresearch.ca/articles/ELS305A.html ,
Szamuely at http://www.globalresearch.ca/articles/SZA112A.html )

There was a cover-up of the WTC and Pentagon investigation. The WTC
rubble was confiscated. (See Bill Manning at
http://www.globalresearch.ca/articles/MAN309A.html

The plane debris at the Pentagon disappeared. (See Thierry Meyssan,
http://www.globalresearch.ca/articles/MEY204C.html )

Massive financial gains were made as a result of 9/11, from insider
trading leading up to 9/11 (See Michael Ruppert,
http://www.globalresearch.ca/articles/RUP110A.html .)

There is an ongoing financial scam underlying the 7.1 billion dollar
insurance claim by the WTC leaseholder, following the collapse of the
twin towers (See Michel Chossudovsky,
http://www.globalresearch.ca/articles/CHO403B.html

Mystery surrounds WTC building 7, which collapsed (or was "pulled" down
in the afternoon of 9/11 mysteriously (For details see  WTC-7: (Scott
Loughrey at http://www.globalresearch.ca/articles/LOU308A.html ).

The White House is being accused by the critics of  "criminal
negligence", for having casually disregarded the intelligence presented
to president Bush and his national security team, and for not having
acted to prevent the 9/11 terrorist attack.

The unfolding consensus is: "They knew but failed to act".

This line of reasoning is appealing to many 9/11 critics and  "Bush
bashers" because it clearly places the blame on the Bush
administration. 

Yet in a bitter irony, the very process of revealing these lies and
expressing public outrage has contributed to reinforcing the 9/11
cover-up.

"Revealing the lies" serves to present Al Qaeda as the genuine threat,
as an "outside enemy", which threatens the security of America, when in
fact Al Qaeda is a creation of the US intelligence apparatus.

The presumption is that these forewarnings and intelligence briefs
emanating from the intelligence establishment constitute a true and
unbiased representation of the terrorist threat. 

Meanwhile, the history of Al Qaeda and the CIA has been shoved to the
background. The fact that successive US governments since the
Soviet-Afghan war have supported and abetted the Islamic terror network
is no longer mentioned, for obvious reasons. It would break the
consensus regarding Al Qaeda as the outside enemy of America, which is
a crucial building block of the entire National Security doctrine. 

This central proposition that Islamic terrorists were responsible for
9/11 serves to justify everything else including the Patriot Act, the
wars on Afghanistan and Iraq, the spiraling defense and homeland
security budgets, the detention of thousands of people of Muslim faith
on trumped up charges, the arrest and deportation to Guantanamo of
alleged "enemy combatants", etc.

The Central Role of Al Qaeda in Bush's National Security Doctrine

Spelled out in the National Security Strategy (NSS), the preemptive
"defensive war" doctrine and the "war on terrorism" against Al Qaeda
constitute the two essential building blocks of the Pentagon's
propaganda campaign.

No Al Qaeda,

No war on terrorism

No rogue States which sponsor Al Qaeda

No pretext for waging war.

No justification for invading and occupying Afghanistan and Iraq

No justification for sending in US special forces into numerous
countries around the World.

No justification for developing tactical nuclear weapons to be used in
conventional war theaters against Islamic terrorists, who according to
official statements constitute a nuclear threat. (See 
http://globalresearch.ca/articles/CHO405A.html ).

The Administration's post 9/11 nuclear doctrine, points to Al Qaeda as
some kind of nuclear power.

"The Pentagon must prepare for all possible contingencies, especially
now, when dozens of countries, and some terrorist groups, are engaged
in secret weapon development programs." (quoted in William Arkin,
Secret Plan Outlines the Unthinkable, Los Angeles Times, 9 March 2002)

Central Role of al Qaeda in US Military Doctrine

The very existence of Al Qaeda constitutes the justification for a
pre-emptive war against rogue states and terrorist organizations. It is
part of the indoctrination of US troops fighting in the Middle East. It
is also being used to justify the so-called "abuse" of POWs.

The objective is to present "preemptive military action" --meaning war
as an act of "self-defense" against two categories of enemies, "rogue
States" and "Islamic terrorists":

"The war against terrorists of global reach is a global enterprise of
uncertain duration. …America will act against such emerging threats
before they are fully formed.

…Rogue states and terrorists do not seek to attack us using
conventional means. They know such attacks would fail. Instead, they
rely on acts of terror and, potentially, the use of weapons of mass
destruction (…)

The targets of these attacks are our military forces and our civilian
population, in direct violation of one of the principal norms of the
law of warfare. As was demonstrated by the losses on September 11,
2001, mass civilian casualties is the specific objective of terrorists
and these losses would be exponentially more severe if terrorists
acquired and used weapons of mass destruction.

The United States has long maintained the option of preemptive actions
to counter a sufficient threat to our national security. The greater
the threat, the greater is the risk of inaction- and the more
compelling the case for taking anticipatory action to defend ourselves,
(…). To forestall or prevent such hostile acts by our adversaries, the
United States will, if necessary, act preemptively." (National Security
Strategy, White House, 2002, http://www.whitehouse.gov/nsc/nss.html )

To justify pre-emptive military actions, including the use of nuclear
weapons in conventional war theaters (approved by the Senate in late
2003),  the National Security Doctrine requires the "fabrication" of a
terrorist threat, --ie. "an outside enemy." It also needs to link these
terrorist threats to "State sponsorship" by the so-called "rogue
states."

But it also means that the various "massive casualty-producing events"
allegedly by Al Qaeda (the fabricated enemy) are also part of the
propaganda ploy which consists in upholding the Legend of an outside
enemy.

9/11 and War Propaganda

In other words, the forewarnings sustain the Al Qaeda legend, which
constitutes the cornerstone of the "war on terrorism". And the latter
serves as a justification for America's "pre-emptive wars"  with a view
to "protecting the homeland". 

One year before 9/11, the Project for a New American Century (PNAC)
called for "some catastrophic and catalyzing event, like a new Pearl
Harbor," which would serve to galvanize US public opinion in support of
a war agenda. (See http://www.globalresearch.ca/articles/NAC304A.html )

The PNAC architects seem to have anticipated with cynical accuracy, the
use of the September 11 attacks as "a war pretext incident."

The PNAC's declared objective is "Defend the Homeland'' and  "Fight and
decisively win in multiple, simultaneous theater wars" , perform global
constabulary funcitons including punitive military actions around the
World, and the so-called "revolution in military affairs", essentially
meaning the development of a new range of sophisticated weaponry
including the militarisation of outer space,the development of a new
generation of nuclear weapons, etc. (on nuclear weapons see  
http://globalresearch.ca/articles/CHO405A.html ,, on the PNAC, 
http://www.globalresearch.ca/articles/NAC304A.html )

The PNAC's reference to a "catastrophic and catalyzing event" echoes a
similar statement by David Rockefeller to the United Nations Business
Council in 1994:

"We are on the verge of global transformation. All we need is the right
major crisis and the nations will accept the New World Order."

Similarly, in the words Zbigniew Brzezinski in his book, The Grand
Chessboard:.

 "…it may find it more difficult to fashion a consensus [in America] on
foreign policy issues, except in the circumstances of a truly massive
and widely perceived direct external threat."

Zbigniew Brzezinski, who was National Security Adviser to President
Jimmy Carter was one of the key architects of the Al Qaeda network,
created by the CIA at the onslaught of the Soviet Afghan war
(1979-1989). (See Brzezinski at
http://www.globalresearch.ca/articles/BRZ110A.print.html )

The "catastrophic and catalyzing event" as stated by the PNAC is an
integral part of US military-intelligence planning. General Franks, who
led the military campaign into Iraq, pointed recently (October 2003) to
the role of a "massive casualty-producing event" to muster support for
the imposition of military rule in America. (See General Tommy Franks
calls for Repeal of US Constitution, November 2003,
http://www.globalresearch.ca/articles/EDW311A.html ).

Franks identifies the precise scenario whereby military rule will be
established:

"a terrorist, massive, casualty-producing event [will occur] somewhere
in the Western world - it may be in the United States of America - that
causes our population to question our own Constitution and to begin to
militarize our country in order to avoid a repeat of another mass,
casualty-producing event." (Ibid)

This statement from an individual, who was actively involved in
military and intelligence planning at the highest levels, suggests that
the "militarisation of our country" is an ongoing operational
assumption. It is part of the broader "Washington consensus". It
identifies the Bush administration's "roadmap" of war and "Homeland
Defense." Needless to say, it is also an integral part of the
neoliberal agenda.

The "terrorist massive casualty-producing event" is presented by
General Franks as a crucial political turning point. The resulting
crisis and social turmoil are intended to facilitate a major shift in
US political, social and institutional structures.

General Franks' statement reflects a consensus within the US Military
as to how events ought to unfold. The "war on terrorism" is to provide
a justification for repealing the Rule of Law, ultimately with a view
to "preserving civil liberties."

Franks' interview suggests that an Al Qaeda sponsored terrorist attack
will be used as a "trigger mechanism" for a military coup d'état in
America. The PNAC's "Pearl Harbor type event" would be used as a
justification for declaring a State of emergency, leading to the
establishment of a military government.

In many regards, the militarisation of civilian State institutions in
the US is already functional under the facade of a bogus democracy.

Actual Terrorist Attacks

To be "effective" the fear and disinformation campaign cannot solely
rely on unsubstantiated "warnings" of future attacks, it also requires
"real" terrorist occurrences or "incidents", which provide credibility
to the Washington's war plans. These terrorist events are used to
justify the implementation of "emergency measures" as well as
"retaliatory military actions". They are required, in the present
context, to create the illusion of "an outside enemy" that is
threatening the American Homeland.

The triggering of "war pretext incidents" is part of the Pentagon's
assumptions. In fact it is an integral part of US military history.(See
Richard Sanders, War Pretext Incidents, How to Start a War, Global
Outlook, published in two parts, Issues 2 and 3, 2002-2003).

In 1962, the Joint Chiefs of Staff had envisaged a secret plan entitled
"Operation Northwoods", to deliberately trigger civilian casualties to
justify the invasion of Cuba:

"We could blow up a U.S. ship in Guantanamo Bay and blame Cuba," "We
could develop a Communist Cuban terror campaign in the Miami area, in
other Florida cities and even in Washington" "casualty lists in U.S.
newspapers would cause a helpful wave of national indignation." (See
the declassified Top Secret 1962 document titled "Justification for
U.S. Military Intervention in Cuba"16 (See Operation Northwoods at
http://www.globalresearch.ca/articles/NOR111A.html ).

There is no evidence that the Pentagon or the CIA played a direct role
in recent terrorist attacks, including those in Indonesia (2002), India
(2001), Turkey (2003) and Saudi Arabia (2003).

According to the reports, the attacks were undertaken by organizations
(or cells of these organizations), which operate quite independently,
with a certain degree of autonomy. This independence is in the very
nature of a covert intelligence operation. The «intelligence asset» is
not in direct contact with its covert sponsors. It is not necessarily
cognizant of the role it plays on behalf of its intelligence sponsors.

The fundamental question is who is behind them? Through what sources
are they being financed? What is the underlying network of ties?

For instance, in the case of the 2002 Bali bomb attack, the alleged
terrorist organization Jemaah Islamiah had links to Indonesia's
military intelligence (BIN), which in turn has links to the CIA and
Australian intelligence.

The December 2001 terrorist attacks on the Indian Parliament --which
contributed to pushing India and Pakistan to the brink of war-- were
allegedly conducted by two Pakistan-based rebel groups, Lashkar-e-Taiba
("Army of the Pure") and Jaish-e-Muhammad ("Army of Mohammed"), both of
which according to the Council on Foreign Relations (CFR) are supported
by Pakistan's ISI. (Council on Foreign Relations at
http://www.terrorismanswers.com/groups/harakat2.html , Washington 2002).

What the CFR fails to acknowledge is the crucial relationship between
the ISI and the CIA and the fact that the ISI continues to support
Lashkar, Jaish and the militant Jammu and Kashmir Hizbul Mujahideen
(JKHM), while also collaborating with the CIA. (For further details see
Michel Chossudovsky, Fabricating an Enemy, March 2003,
http://www.globalresearch.ca/articles/CHO301B.html )

A 2002 classified outbrief drafted to guide the Pentagon "calls for the
creation of a so-called 'Proactive, Pre-emptive Operations Group' 
(P2OG), to launch secret operations aimed at "stimulating reactions"
among terrorists and states possessing weapons of mass destruction --
that is, for instance, prodding terrorist cells into action and
exposing themselves to 'quick-response' attacks by U.S. forces."
(William Arkin, The Secret War, The Los Angeles Times, 27 October 2002)

The P2OG initiative is nothing new. It essentially extends an existing
apparatus of covert operations. Amply documented, the CIA has supported
terrorist groups since the Cold War era. This  "prodding of terrorist
cells" under covert intelligence operations often requires the
infiltration and training of the radical groups linked to Al Qaeda.

In this regard, covert support by the US military and intelligence
apparatus has been channeled to various Islamic terrorist organizations
through a complex network of intermediaries and intelligence proxies.
(See below in relation to the Balkans)

Foreknowledge is a Red Herring

Foreknowledge implies and requires the existence of this "outside
enemy", who is attacking America. Amply documented, the Islamic
brigades and Al Qaeda including the madrassas and the CIA sponsored
training camps in Afghanistan are a creation of the CIA. The Taliban
were "graduates" of the madrassas, which formed a Us sponsored
government in 1996. 

During the Cold War, but also in its aftermath, the CIA using
Pakistan's Military Intelligence apparatus as a go-between played a key
role in training the Mujahideen. In turn, the CIA-sponsored guerrilla
training was integrated with the teachings of Islam.

Every single US administration since Jimmy Carter has consistently
supported the so-called "Militant Islamic Base", including Osama bin
Laden's Al Qaeda, as part of their foreign policy agenda.

And in this regard, the Democrats and the Republicans have worked hand
in glove. In fact, it is the US military and intelligence establishment
which has provided continuity in US foreign policy.

Media Reports on Al Qaeda and Pakistan's Military Intelligence (ISI)

It is indeed revealing that in virtually all post 9/11 terrorist
occurrences, the terrorist organization is reported (by the media and
in official statements) as having "ties to Osama bin Laden's Al Qaeda".
This in itself is a crucial piece of information. Of course, the fact
that Al Qaeda is a creation of the CIA is neither mentioned in the
press reports nor is it considered relevant to an understanding of
these terrorist occurrences.

The ties of these terrorist organizations (particularly those in Asia)
to Pakistan's military intelligence (ISI) is acknowledged in a few
cases by official sources and press dispatches. Confirmed by the
Council on Foreign Relations (CFR), some of these groups are said to
have links to Pakistan's ISI, without identifying the nature of these
links. Needless to say, this information is crucial in identifying the
sponsors of these terrorist attacks. In other words, the ISI is said to
support these terrorist organizations, while at same time maintaining
close ties to the CIA.

In other words, the focus on foreknowledge has served to usefully
distract attention from the US government's longstanding relationship
to the terror network since the Soviet-Afghan war, which inevitably
raises the broader issue of treason and war crimes. 

The foreknowledge issue in a sense erases the historical record because
it denies a relationship between Al Qaeda and successive US
administrations.

The administration is accused of not acting upon these terrorist
warnings. 

In the words of Richard Clarke:

"we must try to achieve a level of public discourse on these issues
that is simultaneously energetic and mutually respectful... We all want
to defeat the jihadists. [this is the consensus] To do that, we need to
encourage an active, critical and analytical debate in America about
how that will best be done. And if there is another major terrorist
attack in this country, we must not panic or stifle debate as we did
for too long after 9/11." (New York Times, 25 April 2004)

Bush and the White House intelligence team are said to have ignored
these warnings. Richard Clarke who was in charge of counter terrorism
on the National Security Council until February 2003 has "apologized"
to the American people and the families of the victims. Had they acted
in a responsible fashion, had they taken the intelligence briefings
seriously, 3000 lives would have been saved on September 11, 2001. But
bear in mind that Richard Clarke was part of an intelligence team which
was at the time providing support to Al Qaeda in the Balkans. (See
below)

This new anti-Bush consensus concerning the 9/11 attacks has engulfed
part of the 9/11 truth movement. The outright lies in sworn testimony
to the 9/11 Commission have been denounced in chorus; the families of
the victims have expressed their indignation.

The debate centers on whether the administration is responsible for an
"intelligence failure" or whether it was the result of "incompetence."

In both cases, the al Qaeda legend remains unchallenged. The fact that
Al Qaeda hijackers were responsible for 9/11 remains unchallenged.

Source of Terrorist Warnings

Beneath the rhetoric, nobody seems to have questioned the source of
these warnings emanating from an intelligence apparatus, which is known
to have supported Al Qaeda throughout the entire post cold War era.

In  other words, are the terrorist warnings emanating out of the CIA a
"true" representation of the terrorist threat or are they part of the
process of disinformation which seeks precisely to uphold Al Qaeda as
an "Enemy of the Homeland".

Meanwhile, t he issues of "cover-up and complicity" at the highest
levels of the Bush administration, which were raised in the immediate
wake of the 9/11 attacks have been shoved out.

The role of Bush officials, their documented links to the terror
network, the business ties between the Bushes and bin Laden families,
the role of Pakistan's Military Intelligence (ISI) which supported and
abetted Al Qaeda while working hand in glove with their US counterparts
(CIA and the Defense Intelligence Agency), the fact that several Bush
officials were the architects of Al Qaeda during the Reagan
administration, as revealed by the Iran Contra investigation. (See
Michel Chossudovsky, http://www.globalresearch.ca/articles/CHO303D.html

"The Saudis Did It"

All of this, which is carefully documented, is no longer relevant. It
is no longer an issue for debate and investigation. What the media, as
well as some of the key 9/11 investigators are pushing is that "The
Saudis did it". The outside enemy Al Qaeda is said to be supported by
supported by the Saudis.

This line of analysis, which characterizes the 1 trillion dollar law
suit by the families of the victims led by Lawyer Ted Motley, is
evidently flawed. While it highlights the business ties between the
Bushes and the bin Ladens, in does not challenge the legend of the
outside enemy.

"The Saudis did it" is also part of the US foreign policy agenda, to be
eventually used to discredit the Saudi monarchy and destabilize the
Saudi financiers, who oversee 25 percent of the World's oil reserves,
ten times those of the US. in fact, this process has already begun with
the Saudi privatization program, which seeks to transfer Saudi wealth
and assets into foreign (Anglo-American) hands. 

The Saudi financiers were never prime movers. They were proxies. They
played a subordinate role. They worked closely with US intelligence and
their American financial counterparts. They were involved in the
laundering of drug money working closely with the CIA. Thew Wahabbi
sects from Saudi Arabia were sent to Afghanistan to set up the
madrassas. The Saudis channeled covert financing to the various Islamic
insurgencies on behalf of the CIA. 

In other words, the "Saudis did It" consensus essentially contributes
to whitewashing the Bush administration, while also providing pretext
to destabilize Saudi Arabia.

"The Bush Lied" Consensus upholds "The Big Lie" 

This emerging 9/11 consensus ("Outside enemy", intelligence failures,
criminal negligence, "the Saudis did it", etc.) which is making its way
into American history books, is  "they knew, but failed to act". 

It was incompetence or criminal negligence but it was not treason. The
wars in Afghanistan and Iraq were "just wars", they were undertaken in
accordance with the National Security doctrine, which views Al Qaeda as
the outside enemy. It is worth noting that at the outset of the war on
Afghanistan, a number of prominent Western intellectuals, trade union
and civil society leaders supported the "Just War" concept. 

While the Bush administration takes the blame, the "war on terrorism" 
and its humanitarian mandate remain functionally intact.

Meanwhile, everybody has their eyes riveted on the fact that Bush
officials lied under oath regarding the terrorist warnings.

Yet nobody seems to have begged the key question:

What is the significance of these warnings emanating from the
intelligence apparatus, knowing that the CIA is the creator of Al Qaeda
and that Al Qaeda is an "intelligence asset".

In other words, the CIA is the sponsor of Al Qaeda and at the same time
controls the warnings on impending terrorist attacks.

In other words, are Bush officials in sworn testimony to the 9/11
commission  lying under oath on something which is true, or are they
lying on something which is an even bigger lie?

The Legend of the "Outside Enemy"

The 1993 WTC bombing was heralded by the Bush Administration as one of
the earlier Al Qaeda attacks on the Homeland. Since 9/11, the 1993 WTC
bombing has become part of "the 9/11 legend" which describes Al Qaeda
as "an outside enemy."

In the words of National Security Adviser Condoleezza Rice (April 2004)
in sworn testimony at the 9/11 Commission:  

"The terrorist threat to our Nation did not emerge on September 11th,
2001. Long before that day, radical, freedom-hating terrorists declared
war on America and on the civilized world. The attack on the Marine
barracks in Lebanon in 1983, the hijacking of the Achille Lauro in
1985, the rise of al-Qaida and the bombing of the World Trade Center in
1993, the attacks on American installations in Saudi Arabia in 1995 and
1996, the East Africa embassy bombings of 1998, the attack on the USS
Cole in 2000, these and other atrocities were part of a sustained,
systematic campaign to spread devastation and chaos and to murder
innocent Americans." (See complete transcript of her testimony at
(http://www.globalresearch.ca/articles/RIC404A.html )

 

Below we provide evidence of US-Al Qaeda collaboration from official
sources which confirms unequivocally that Al Qaeda was a US sponsored
"intelligence asset" during the entire post Cold War era.  

POST COLD WAR ERA:  Time Line of Al Qaeda- US Collaboration

1993-1994 BOSNIAGATE  Clinton Administration collaborates with Al Qaeda
(1993-1994) 

At the time of the 1993 WTC bombing, the Clinton Administration and al
Qaeda were actively collaborating in joint military operations in
Bosnia, as confirmed by an official congressional report emanating from
the Republican Party.

The Clinton Administration's "hands-on" involvement with the Islamic
network's arms pipeline included inspections of missiles from Iran by
U.S. government officials.

The Militant Islamic Network (page 5): Along with the weapons, Iranian
Revolutionary Guards and VEVAK intelligence operatives entered Bosnia
in large numbers, along with thousands of mujahedin ("holy warriors")
from across the Muslim world. Also engaged in the effort were several
other Muslim countries (including Brunei, Malaysia, Pakistan, Saudi
Arabia, Sudan, and Turkey) and a number of radical Muslim
organizations. For example, the role of one Sudan-based "humanitarian
organization," called the Third World Relief Agency, has been well
documented. The Clinton Administration's "hands-on" involvement with
the Islamic network's arms pipeline included inspections of missiles
from Iran by U.S. government officials.

(...)

In short, the Clinton Administration's policy of facilitating the
delivery of arms to the Bosnian Muslims made it the de facto partner of
an ongoing international network of governments and organizations
pursuing their own agenda in Bosnia ...For example, one such group
about which details have come to light is the Third World Relief Agency
(TWRA), a Sudan-based, phoney humanitarian organization which has been
a major link in the arms pipeline to Bosnia. ["How Bosnia's Muslims
Dodged Arms Embargo: Relief Agency Brokered Aid From Nations, Radical
Groups," Washington Post, 9/22/96; see also "Saudis Funded Weapons For
Bosnia, Official Says: $ 300 Million Program Had U.S. 'Stealth
Cooperation'," Washington Post, 2/2/96] TWA is believed to be connected
with such fixtures of the Islamic terror network as Sheik Omar Abdel
Rahman (the convicted mastermind behind the 1993 World Trade Center
bombing) and Osama Binladen, a wealthy Saudi emigre believed to
bankroll numerous militant groups. [WP, 9/22/96]

bold added

Clinton Administration supported the "Militant Islamic Base", Senate
Press Release, US Congress, 16 January 1997, 
http://www.globalresearch.ca/articles/DCH109A.html

original Senate Document 
http://www.senate.gov/~rpc/releases/1997/iran.htm

The alleged terrorist Sheik Omar Abdul Rahman was sentenced as the
mastermind behind the 1993 WTC bombings and subsequently convicted to
life imprisonment.

From the Horse's Mouth

In a bitter irony, the same individual Omar Abdul Rahman was identified
in the 1997 Report of the Republican Party Policy Committee of the US
Senate (see above) as collaborating with Clinton officials in bringing
in weapons and Mujahideen into Bosnia. In other words, the Republican
party confirms that Omar Abdul Rahman and Al Qaeda were US sponsored
"intelligence assets".

When Bill Clinton, appeared before the 9/11 Commission (April 2004),
was he questioned on his links to the terror network, including the
mastermind of the 1993 WTC bombing?  No!

What can conclude : A Clinton-Osama-Abdel Rahman Triangle. The
Foreknowledge issue falls flat on its face. What we are dealing with is
"Treason" and Cover-up" on the history of the Clinton Administration's
links to the alleged "Outside Enemy".  Treason is defined as: 
"consciously and purposely acting to aid its enemies." 

1995-1999. NATO AND THE US MILITARY COLLABORATED WITH AL QAEDA IN
KOSOVO (1995-1999)

We provide below several statements from Congressional records which
point to US support to the terror network in  Kosovo (1995-1999) and
which amply refute the existence of an "Outside Enemy"  
Frank Ciluffo of the Globalized Organized Crime Program in a testimony
presented to the House of Representatives Judicial Committee:

What was largely hidden from public view was the fact that the KLA
raise part of their funds from the sale of narcotics. Albania and
Kosovo lie at the heart of the Balkan Route that links the "Golden
Crescent" of Afghanistan and Pakistan to the drug markets of Europe.
This route is worth an estimated $400 billion a year and handles 80 per
cent of heroin destined for Europe.  (U.S. Congress, Testimony of Frank
J. Cilluffo, Deputy Director of the Global Organized Crime Program, to
the House Judiciary Committee, Washington DC, 13 December 2000)
Ralf Mutschke of Interpol's Criminal Intelligence division, also in a
testimony to the House Judicial Committee:

The U.S. State Department listed the KLA as a terrorist organization,
indicating that it was financing its operations with money from the
international heroin trade and loans from Islamic countries and
individuals, among them allegedly Osama bin Laden. Another link to bin
Laden is the fact that the brother of a leader in an Egyptian Jihad
organization and also a military commander of Osama bin Laden, was
leading an elite KLA unit during the Kosovo conflict .

(U.S. Congress, House Judicial Committee, Washington DC, 13 December
2000)
Rep. John Kasich of the House Armed Services Committee:

 "We connected ourselves [in 1998-99] with the KLA, which was the
staging point for bin Laden." ( U.S. Congress, Transcripts of the House
Armed Services Committee, Washington, DC, 5 October 1999) 
In 1999, Senator Jo Lieberman stated authoritatively that

"Fighting for the KLA is fighting for human rights and American values."

In making this statement he knew that the KLA was supported by Osama
bin Laden .

What can we conclude from these and other statements? The transcripts
from Congressional documents refute the existence of the "outside
enemy".

Al Qaeda (our "intelligence asset") supported and continues to support
the KLA. The Clinton administration supported the KLA.  Secretary of
State Madeleine Albright coveted KLA leaders Hashim Thaci.

Military Professional Resources (MPRI), a mercenary company on contract
to the Pentagon was involved in the training the KLA.  The KLA was also
trained by US and British Special Forces. But the KLA was also trained
by Al Qaeda. The US collaborated in training a terrorist organization
which has with links to al Qaeda, the drug trade and organized crime. 

The Bush Administration has followed in the footsteps of the Clinton
administration. The KLA is supported by the US military, while also
being backed by Al Qaeda.

2000-2001: 8/01 :  THE ISLAMIC MILITANT NETWORK, NATO AND THE US
MILITARY JOIN HANDS IN MACEDONIA

Barely  a few weeks before 9/11, in August 2001, senior U.S. military
advisers from a private mercenary outfit on contract to the Pentagon
(MPRI), were advising the self-proclaimed National Liberation Army
(NLA) of Macedonia.

Mujahideen detached by Al Qaeda from the Middle East and C entral Asia
were fighting in a paramilitary army, which was also  supported by the
US military and NATO.

The NLA is a proxy of the Kosovo Liberation Army (KLA). In turn, the
KLA and the UN-sponsored Kosovo Protection Corps (KPC) are identical
institutions with the same commanders and military personnel. KPC
Commanders on UN salaries are fighting in the NLA together with the
Mujahideen.

Ironically, while supported and financed by Osama bin Laden' s Al
Qaeda, the KLA-NLA is also supported by NATO and the United Nations
mission to Kosovo (UNMIK). In fact, the Islamic Militant Network also
using Pakistan's Inter Service Intelligence (ISI) as the CIA's
go-between still constitutes an integral part of Washington= s covert
military-intelligence operations in Macedonia and Southern Serbia.

The KLA-NLA terrorists are funded from U.S. military aid, the United
Nations peace-keeping budget, as well as by several Islamic
organizations including Osama bin Laden's Al Qaeda. Drug money is also
being used to finance the terrorists with the complicity of the U.S.
government. The recruitment of Mujahideen to fight in the ranks of the
NLA in Macedonia is implemented through various Islamic groups.

U.S. military advisers mingle with the Mujahideen within the same
paramilitary force; Western mercenaries from NATO countries fight
alongside the Mujahideen recruited in the Middle East and Central Asia.
And the U.S. media calls this a >blowback= where so-called
"intelligence assets" have gone against their sponsors!

But this did not happen during the Cold War! It happened in Macedonia
in the months leading up to 9/11. And it is confirmed by numerous press
reports, eyewitness accounts, photographic evidence as well as official
statements by the Macedonian Prime Minister, who has accused the
Western military alliance of supporting the terrorists. Moreover, the
official Macedonian News Agency (MIA) has pointed to the complicity
between Washington' s envoy Ambassador James Pardew and the NLA
terrorists. In other words, the so-called "intelligence assets" were
still serving the interests of their U.S. sponsors.  

8/06 THE AUGUST 6, 2001 THE PRESIDENTIAL INTELLIGENCE BRIEFING (PDB)

The August 6 2001 intelligence briefing (PDB) prepared for President
George W. Bush was entitled "Bin Ladin Determined To Strike in US".

PDBs are prepared at CIA headquarters at Langley and are presented to
President Bush on a daily basis in the form of an oral briefing by CIA
Director George Tenet. Below are selected excerpts from the PDB. The
complete text of the August 6, 2001 PDB can be consulted at
http://www.globalresearch.ca/articles/WHI404A.html

The presumption in media reports is that this August 6 PDB is based on
an actual terror threat. In fact, what the PTB does is to fabricate a
terror threat. Below are few selected excerpts.

"Clandestine, foreign government, and media reports indicate Bin Ladin
since 1997 has wanted to conduct terrorist attacks in the US."

[This statement is disinformation. During that period the US was
collaborating with Al Qaeda in the Balkans, see above]

"We have not been able to corroborate some of the more sensational
threat reporting, such as that from a ... (redacted portion) ...
service in 1998 saying that Bin Ladin wanted to hijack a US aircraft to
gain the release of “Blind Shaykh” ’Umar ’Abd al-Rahman and other
US-held extremists.

Nevertheless, FBI information since that time indicates patterns of
suspicious activity in this country consistent with preparations for
hijackings or other types of attacks, including recent surveillance of
federal buildings in New York.

[Does the CIA Director inform the president that a proxy organization
of Sheik Abdu Rahman was actually collaborating with US military
inspectors in Bosnia as confirmed by the 1997 Republican Party
Committee report.]

The FBI is conducting approximately 70 full field investigations
throughout the US that it considers Bin Ladin-related. CIA and the FBI
are investigating a call to our Embassy in the UAE in May saying that a
group of Bin Ladin supporters was in the US planning attacks with
explosives.

[Does the CIA Director advise the president that Osama bin Laden was in
the UAE in July of that year receiving treatment for a kidney condition
at the American Hospital in Dubai and that the American hospital has
close links to the US embassy (See the report published in Le Figaro,
http://www.globalresearch.ca/articles/RIC111B.html )]

8/27-8/30 2001   AUGUST 27-30: MISSION TO ISLAMABAD AND RAWALPINDI FOR
INTELLIGENCE CONSULTATIONS

From the 27th to the 30th of August 2001, barely a couple of weeks
before 9/11, the chairmen of the Senate and House intelligence
committees, respectively  Senator Bob Graham and Representative Porter
Goss together with Senator Jon Kyl, were in Islamabad for
"consultations".  Meetings were held with President Musharraf and with
Pakistan's military and intelligence brass including the head of
Pakistan’s Inter Services Intelligence (ISI) General Mahmoud Ahmad.
(see http://www.globalresearch.ca/articles/CHO111A.html

An AFP report confirms that the US Congressional delegation also met
the Afghan ambassador to Pakistan, Abdul Salam Zaeef. At this meeting,
which was barely mentioned by the US media, "Zaeef assured the US
delegation [on behalf of the Afghan government] that the Taliban would
never allow bin Laden to use Afghanistan to launch attacks on the US or
any other country." (Agence France Presse (AFP), 28 August 2001.)

The September FBI Report

An FBI report released to ABC news in late September 2001, which was
subsequently confirmed by a Times of India report, suggests that
Pakistan's Military Intelligence (ISI), headed by General Mahmoud
Ahmad, played a key role in transferring money to the 9/11 hijackers.

General Mahmoud Ahmad had allegedly ordered the transfer of $100.000 to
the alleged 9/11 ring-leader Mohamed Atta. (See Michel Chossudovsky,
War and Globalization, The Truth behind 9/11,
http://globalresearch.ca/globaloutlook/truth911.html )

As to September 11th, federal authorities have told ABC News they have
now tracked more than $100,000 from banks in Pakistan, to two banks in
Florida, to accounts held by suspected hijack ring leader Mohammed
Atta. As well, this morning, Time magazine is reporting that some of
that money came in the days just before the attack and can be traced
directly to people connected to Osama bin Laden. It's all part of what
has been a successful FBI effort so far to close in on the hijacker=s
high commander, the money men, the planners and the mastermind.21

Note the sequencing of these meetings. Bob Graham and Porter Goss were
in Islamabad in late August 2001, meeting General Mahmoud Ahmad, the
alleged "money man" behind 9/11. The meetings with President Musharraf
and the Afghan Ambassador were on the 27th of August, the mission was
still in Islamabad on the 30th of August.

9/ 4- 9/13: HEAD OF PAKISTAN MILITARY INTELLIGENCE (ISI) ARRIVES IN
WASHINGTON ON  SEPTEMBER 4, DEPARTS ON SEPTEMBER 13

General Mahmoud Ahmad arrived in Washington on an official visit of
consultations barely a few days later (September 4th). During his visit
to Washington he met his counterpart CIA director George Tenet and high
ranking officials of the Bush administration including Richard Armitage
and Colin Powell. At the US congress, the General meets up with Senator
Joseph Biden, Chairman of Foreign Relations Committee (13 Sept),
Senator Bob Graham and Representative Porter Goss. Graham and Goss, the
men who hosted the general will alter be called upon to set up the
Joint Senate-House Inquiry on 9/11.

9/9: THE ASSASSINATION OF THE LEADER OF THE NORTHERN ALLIANCE AHMAD
SHAH MASSOOD

The leader of the Northern Alliance Commander Ahmad Shah Masood was
mortally wounded in a kamikaze assassination on September 9, 2001. It
happened two days before the 9/11 attacks on the WTC and the Pentagon.
Masood later died from wounds suffered in the suicide attack on the
Saturday (9/15) following 9/11.

In the wake of the September 11 attacks, the killing of Ahmad Shah
Masood was barely mentioned. The broad media consensus was that the two
events (9/9 and 9/11) were totally unrelated. Yet the Northern Alliance
had informed the Bush administration through an official communiqué
that Pakistan's ISI was allegedly implicated in the assassination:

"A Pakistani ISI-Osama-Taliban axis  [was responsible for] plotting the
assassination by two Arab suicide bombers.. 'We believe that this is a
triangle between Osama bin Laden, ISI, which is the intelligence
section of the Pakistani army, and the Taliban'" ( The Northern
Alliance's statement was released on 14 September 2001, quoted in
Reuters, 15 September 2001)

'Pakistan's ISI (Inter-Services Intelligence), the Taliban and Osama
bin Laden appear to be behind this plot.'" (AFP, 10 September 2001)

In other words, there is reason to believe that the 9/9 and 9/11 are
not isolated and unrelated events.

According to official statements and reports, the ISI was allegedly
implicated in both events: the September 9, 2001 assassination of Shah
Masood and the financing of the September 11, 2001 attacks. Both these
events directly implicate senior officials in the Bush administration.

While the US media tacitly acknowledges the role of Pakistan's ISI in
the assassination of Shah Masood, it fails to dwell upon the more
substantive issue: How come the head of the ISI was in Washington, on
an official visit, meeting Bush administration officials on the very
same day Masood was assassinated?

Had Masood not been assassinated, the Bush administration would not
have been able to install their political puppet Hamid Karzai in Kaboul.

Masood rather rather than Hamid Karzai (a former employee of UNOCAL oil
company), would have become the head of the post-Taliban government
formed in the wake of the U.S. bombings of Afghanistan.

9/10 OSAMA IN HOSPITAL ON 9/10, ONE DAY BEFORE THE ATTACKS ON THE WTC

Don Rumsfeld states that the whereabouts of Osama are unknown. Yet, 
according to Dan Rather, CBS, Bin Laden was back in Hospital, one day
before the 9/11 attacks, on September 10, this time, courtesy of
America's indefectible ally Pakistan. Pakistan's Military Intelligence
(ISI) told CBS that bin Laden had received dialysis treatment in
Rawalpindi, at Pak Army's headquarters:

[transcript of CBS report, see
http://www.globalresearch.ca/articles/CBS203A.html ,

see also
http://www.cbsnews.com/stories/2002/01/28/eveningnews/main325887.shtml ]

It should be noted, that the hospital is directly under the
jurisdiction of the Pakistani Armed Forces, which has close links to
the Pentagon. U.S. military advisers based in Rawalpindi. work closely
with the Pakistani Armed Forces. Again, no attempt was made to arrest
America 's best known fugitive, but then maybe bin Laden was serving
another "better purpose". Rumsfeld claimed at the time that he had no
knowledge regarding Osama's health. (see CBS transcript above).

Needless to say, the CBS report is a crucial piece of information in
the 9/11 jigsaw. It refutes the administration's claim that the
whereabouts of bin Laden are unknown. It points to a Pakistan
connection, it suggests a cover-up at the highest levels of the Bush
administration.

Dan Rather and Barry Petersen fail to draw the implications of their
January 2002 report.  They fail to beg the question: where was Osama on
9/11? If they are to stand by their report,  the conclusion is obvious:
The administration is lying regarding the whereabouts of Osama.

If the CBS report is accurate and Osama had indeed been admitted to the
Pakistani military hospital on September 10, courtesy of America's
ally, he could still be in hospital in Rawalpindi on the 11th of
September, when the attacks occurred. 

In all probability,  his whereabouts were known to US officials o n the
morning of September 12, when Secretary of State Colin Powell initiated
negotiations with Pakistan, with a view to arresting and extraditing
bin Laden.

These negotiations, led by General Mahmoud Ahmad, head of Pakistan's
military intelligence, on behalf of the government of President Pervez
Musharraf,  took place on the 12th and 13th  of September in Deputy
Secretary of State Richard Armitage's office. The general also met
Colin Powell in discussions at the State Department on the 13th.

9/11. THE FOLLOW-UP BREAKFAST MEETING ON CAPITOL HILL WITH GENERAL
MAHMOUD AHMAD

On the morning of September 11, the three lawmakers Bob Graham, Porter
Goss and Jon Kyl (who were part of the Congressional delegation to
Pakistan) were having breakfast on Capitol Hill with General Ahmad, the
alleged "money-man" behind the 9-11 hijackers. Also present at this
meeting were Pakistan's ambassador to the U.S. Maleeha Lodhi and
several members of the Senate and House Intelligence committees were
also present. This meeting was described by one press report as a
"follow-up meeting" to that held in Pakistan in late August . (see
above) " On 8/30, Senate Intelligence Committee chair Sen. Bob Graham
(D-FL) 'was on a mission to learn more about terrorism.' (…) On 9/11,
Graham was back in DC 'in a follow-up meeting with' Pakistan
intelligence agency chief Mahmud Ahmed and House Intelligence Committee
chair Porter Goss (R-FL)" 3 (The Hotline, 1 October 2002):

While trivializing the importance of the 9/11 breakfast meeting, The
Miami Herald (16 September 2001) confirms that General Ahmad also met
Secretary of State Colin Powell in the wake of the 9/11 attacks.

Again the political significance of the personal relationship between
General Mahmoud (the alleged "money man" behind 9/11) and Secretary of
State Colin Powell is casually dismissed. According to The Miami Herald
, the high level meeting between the two men was not planned in
advance. It took place on the spur of the moment because of the shut
down of air traffic, which prevented General Mahmoud from flying back
home to Islamabad on a commercial flight, when in all probability the
General and his delegation were traveling on a chartered government
plane. With the exception of the Florida press (and Salon.com, 14
September), not a word was mentioned in the US media's September
coverage of 9-11 concerning this mysterious breakfast reunion.

Eight months later on the 18th of May, two days after the "BUSH KNEW"
headline hit the tabloids, the Washington Post published an article on
Porter Goss, entitled: "A Cloak But No Dagger; An Ex-Spy Says He Seeks
Solutions, Not Scapegoats for 9/11". Focusing on his career as a CIA
agent, the article largely served to underscore the integrity and
commitment of Porter Goss to waging a "war on terrorism". Yet in an
isolated paragraph, the article acknowledges the mysterious 9/11
breakfast meeting with ISI Chief Mahmoud Ahmad, while also confirming
that "Ahmad :ran a spy agency notoriously close to Osama bin Laden and
the Taliban":

While the Washington Post scores in on the "notoriously close" links
between General Ahmad and Osama bin Laden, it fails to dwell on the
more important question: what were Rep. Porter Goss and Senator Bob
Graham and other members of the Senate and House intelligence
committees doing together with the alleged 9/11 "money-man" at
breakfast on the morning of 9/11. In other words, the Washington Post
report does not go one inch further in begging the real question: Was
this mysterious breakfast venue a "political lapse", an intelligence
failure or something far more serious? How come the very same
individuals (Goss and Graham) who had developed a personal rapport with
General Ahmad, had been entrusted under the joint committee inquiry "to
reveal the truth on 9-11."

The media trivialises the breakfast meeting, it presents it as a simple
fait divers and fails to "put two and two together". Neither does it
acknowledge the fact, amply documented, that "the money-man" behind the
hijackers had been entrusted by the Pakistani government to discuss the
precise terms of Pakistan's "collaboration" in the "war on terrorism"
in meetings held behind closed doors at the State department on the
12th and 13th of September. 11 7(See Michel Chossudovsky, op cit)

9/12-9/13 THE AFTERMATH, THE ALLEGED MONEYMAN MEETS COLIN POWELL AND
RICHARD ARMITAGE

Bear in mind that the purpose of his meeting at the State Department on
the 13th was only made public after the September 11 terrorist attacks
when the Bush administration took the decision to formally seek the
cooperation of Pakistan in its "campaign against international
terrorism." despite the links of Pakistan's ISI to Osama bin Laden and
the Taliban and its alleged role in the assassination of Commander
Massoud. 2 days before 9/11.

Meanwhile, the Western media in the face of mounting evidence had
remained silent on the insidious role of Pakistan's Military
Intelligence agency (ISI). The assassination of Massoud was mentioned,
but its political significance in relation to September 11 and the
subsequent decision to go to war against Afghanistan was barely touched
upon. Without discussion or debate, Pakistan was heralded as a friend
and an ally of America. In an utterly twisted logic, the U.S. media
concluded in chorus that:

U.S. officials had sought cooperation from Pakistan [precisely] because
it is the original backer of the Taliban, the hard-line Islamic
leadership of Afghanistan accused by Washington of harboring bin Laden.
9

The Bush Administration had not only provided red carpet treatment to
the alleged "money man" behind the 9-11 attacks, it also had sought his
‘cooperation' in the "war on terrorism". The precise terms of this
‘cooperation' were agreed upon between General Mahmoud Ahmad,
representing the Pakistani government and Deputy Secretary of State
Richard Armitage, in meetings at the State Department on September 12
and 13. In other words, the Administration decided in the immediate
wake of 9-11, to seek the ‘cooperation' of Pakistan's ISI in "going
after Osama", despite the fact (documented by the FBI) that the ISI was
financing and abetting the 9-11 terrorists. Contradictory? One might
say that it's like "asking Al Capone to help in going after organized
crime"

9/11 Timeline

1. AL QAEDA IS BORN, THE COLD WAR ERA

1979 ,  LARGEST COVERT OPERATION IN THE HISTORY OF THE CIA LAUNCHED IN
AFGHANISTAN, CREATING THE ISLAMIC BRIGADES TO FIGHT IN THE SOVIET
AFGHAN-WAR. AL QAEDA IS BORN

1985, PRESIDENT REAGAN SIGNED NATIONAL SECURITY DECISION DIRECTIVE 166
AUTHORIZING STEPPED UP COVERT MILITARY AID TO THE MUJAHIDEEN

1989- END OF THE SOVIET-AFGHAN WAR, END OF THE COLD WAR, STEPPED UP
COVERT OPERATIONS IN THE (FORMER) SOVIET UNION AND THE BALKANS

1996 THE TALIBAN FORM A GOVERNMENT WITH THE SUPPORT OF THE US

2. POST COLD WAR SUPPORT TO AL QAEDA IN THE BALKANS

1991 BEGINNING OF CIVIL WAR IN YUGOSLAVIA

1993-1994 CLINTON ADMINISTRATION COLLABORATES WITH AL QAEDA IN BOSNIA

1995-1999. NATO AND THE US MILITARY COLLABORATE WITH AL QAEDA IN KOSOVO

2000-2001. THE ISLAMIC MILITANT NETWORK, NATO, THE US MILITARY AND THE
UNITED NATIONS MISSION IN KOSOVO JOIN HANDS IN MACEDONIA IN SUPPORTING
THE NLA

3. SHORT TIMELINE (JULY- SEPTEMBER 2001

7/01 JULY 2001: OSAMA BIN LADEN IN THE AMERICAN HOSPITAL IN DUBAI, UAE

8/06 THE AUGUST 6, 2001 THE PRESIDENTIAL INTELLIGENCE BRIEFING (PDB)

8/27-8/30 2001 AUGUST 27-30 MISSION OF SENATOR BOB GRAHAM AND REP
PORTER GOSS TO ISLAMABAD AND RAWALPINDI FOR INTELLIGENCE CONSULTATIONS
WITH PRESIDENT MUSHARRAF AND ISI CHIEF GENERAL MAHMOUD AHMAD

9/ 4- 9/13: HEAD OF PAKISTAN MILITARY INTELLIGENCE (ISI) ARRIVES IN
WASHINGTON ON AN OFFICIAL VISIT. ARRIVES ON SEPTEMBER 4, DEPARTS ON
SEPTEMBER 13

9/9: THE ASSASSINATION OF THE LEADER OF THE NORTHERN ALLIANCE AHMAD
SHAH MASSOOD

9/10 OSAMA IN HOSPITAL ON 9/10, ONE DAY BEFORE THE ATTACKS ON THE WTC

9/11. 11 SEPTEMBER: TERRORIST ATTACKS ON WTC AND PENTAGON. FOLLOW-UP
BREAKFAST MEETING ON CAPITOL HILL WITH GENERAL MAHMOUD AHMAD HOSTED BY
SENATOR BOB GRAHAM AND REP PORTER GOSS. THE "WAR ON TERRORISM" IS
OFFICIALLY LAUNCHED

9/12-9/13 THE AFTERMATH, THE ALLEGED "MONEYMAN" GENERAL MAHMOUD AHMAD
MEETS COLIN POWELL & RICHARD ARMITAGE AT THE STATE DEPARTMENT TO
DISUCSS TERMS OF PAKISTAN’S COOPERATION IN THE WAR ON TERRORISM .

Who in the Bush Administration has Links to Al Qaeda?

The Bush administration accuses people of having links to al Qaeda.
This is the doctrine behind the anti-terrorist legislation and homeland
Security.  

This relationship of the Bush Administration to international
terrorism, which is a matter of public record, indelibly points to the
criminalization of the upper echelons of US State apparatus.

Colin Powell's Role: From Iran-Contra to September 11

Both Colin Powell and his Deputy Richard Armitage, who casually accused
Baghdad and other foreign governments of "harboring" Al Qaeda, played a
direct role, at different points in their careers, in supporting
terrorist organizations.

Both men were implicated --operating behind the scenes-- in the
Irangate Contra scandal during the Reagan Administration, which
involved the illegal sale of weapons to Iran to finance the Nicaraguan
Contra paramilitary army. 

[Coronel Oliver] North set up a team including [Richard] Secord; Noel
Koch [Armitage's deputy] , then assistant secretary at the Pentagon
responsible for special operations; George Cave, a former CIA station
chief in Tehran, and Colin Powell, military assistant to U.S. Defense
Secretary Caspar Weinberger.. .(The Guardian, December 10, 1986)

Although Colin Powell was not directly involved in the arms' transfer
negotiations, which had been entrusted to Oliver North, he was among
"at least five men within the Pentagon who knew arms were being
transferred to the CIA." (The Record, 29 December 1986). Lieutenant
General Powell was directly instrumental in giving the "green light" to
lower-level Irangate officials in blatant violation of Congressional
procedures. According to the New York Times, Colin Powell took the
decision (at the level of military procurement), to allow the delivery
of weapons to Iran:

Hurriedly, one of the men closest to Secretary of Defense Weinberger,
Maj. Gen. Colin Powell, bypassed the written ''focal point system''
procedures and ordered the Defense Logistics Agency [responsible for
procurement] to turn over the first of 2,008 TOW missiles to the
C.I.A., which acted as cutout for delivery to Iran" ( New York Times ,
16 February 1987)

Richard Armitage

Richard Armitage held the position of Assistant Secretary of Defense in
the Reagan Administration. He was in charge of coordinating covert
military operations including the Iran-Contra operation. He was in
close liaison with Coronel Oliver North. His deputy and chief
anti-terrorist official .Noel Koch was part of the team set up by
Oliver North. Following the delivery of the TOW anti-tank missiles to
Iran, the proceeds of these sales were deposited in numbered bank
accounts and the money was used to finance the Nicaraguan Contras.
(UPI. 27 November 1987). A  classified Israeli report provided to the
Iran- contra panels of the Congressional enquiry confirms that Armitage
''was in the picture on the Iranian issue.'' ( New York Times , 26 May
1989):

"With a Pentagon position that placed him over the military's covert
operations branch, Armitage was a party to the secret arms dealing from
the outset. He also was associated with former national security aide
Oliver L. North in a White House counterterrorism group, another area
that would also have been a likely focus of congressional inquiry" (
Washington Post , 26 May 1989)

CIA Director William Casey with the collaboration of Richard Armitage
in the Pentagon "ran the Mujahideen covert war against the Soviet
Union…" (quoted in Domestic Terrorism: The Big Lie The "War")
"Contragate was also an off-the-shelf drug-financed operation run by
Casey." ( Ibid ).

Financing the Islamic Brigades

The Iran Contra procedure was similar to that used in Afghanistan,
where secret aid was channeled to the militant Islamic brigade ( US
News and World Repor t, 15 December 1986). In fact part of the proceeds
of the weapons sales to Iran had been channeled to finance the
Mujahideen. :

":The Washington Post reported that profits from the Iran arms sales
were deposited in one CIA-managed account into which the U.S. and Saudi
Arabia had placed $250 million apiece. That money was disbursed not
only to the contras in Central America but to the rebels fighting
Soviet troops in Afghanistan."(U.S. News & World Report , 15 December
1986)

The Irangate Cover-up

Reagan's National Security Adviser Rear Admiral John Pointdexter, who
was later indicted on conspiracy charges and lying to Congress was
replaced by Frank Carlucci as National Security Adviser. And Maj.
General Colin Powell was appointed deputy to Frank Carlucci, namely
"'number two"  on the National Security team.

"Both came to the White House after the Iran contra revelations and the
NSC housecleaning [i.e. coverup] that followed [the Irangate scandal]"
(The MacNeil/Lehrer NewsHour, 16 June 1987).

Needless to say, this housecleaning was a cover-up: Colin Powell was in
on the Irangate affair

While several Irangate officials including John Pointdexter and Oliver
North were accused of criminal wrongdoing, the main actors in the CIA
and the Pentagon, namely Armitage and Casey, were never indicted,
neither was Lieutenant General Colin Powell who authorized the
procurement of TOW missiles from the Defense Logistics Agency .

Moreover, while weapons were being sold covertly to Iran,  Washington
was also supplying weapons through official channels to Baghdad. In
other words, Washington was arming both sides in the Iran-Iraq war. And
who was in charge of negotiating those weapons sales to Baghdad? Donald
Rumsfeld

How to Reverse the Tide

September 11 has been used profusely by the Bush administration as a
justification for waging a preemptive war without borders.

It is part of the Administration’s doctrine of "self-defense". But that
justification is based on a lie: that America is under attack by an
outside enemy.

The so-called "War on Terrorism" is a lie.

Realities have been turned upside down.

Acts of war are heralded as "humanitarian interventions" geared towards
restoring democracy.

Military occupation and the killing of civilians are presented as
"peace-keeping operations."

The derogation of civil liberties by imposing the so-called
anti-terrorist legislation is portrayed as a means to providing
domestic security and upholding civil liberties.

This system relies on the manipulation of public opinion.

The fabricated realities of the Bush administration must become
indelible truths, which form part of a broad political and media
consensus. In this regard, the corporate media is an instrument of a de
facto police state, which has carefully excluded, from the outset, any
real understanding of the September 11 crisis.

Millions of people have been misled regarding the causes and
consequences of September 11.

When people across the US and around the World find out that Al Qaeda
is not an outside enemy but a creation of US foreign policy and the
CIA, the legitimacy of the Bush Administration will tumble like a deck
of cards.

In  other words, when the lies emanating from the seat of political
authority are fully revealed, the perceived enemy will no longer be Al
Qaeda but Bush, Cheney, Rumsfeld, Wolfowitz, Powell, et al.

Bear in mind that the Democrats are also complicit. Democratic
administrations have also supported Al Qaeda.

This relationship of successive US Administrations to international
terrorism, which is a matter of public record, indelibly points to the
criminalization of the upper echelons of US State apparatus.

Let's use this information to dismantle the Bush Administration's war
plans. Sensitize our fellow citizens. Expose the "dubious links."

Because when the truth trickles down, the leaders' war and homeland
security plans will not have a shred of legitimacy in the eyes of
millions of Americans who believe that Al Qaeda is "A Threat to
America" and that their president is committed to their security.

At this crucial juncture in our history, we must understand that
antiwar sentiment in itself does not undermine the war agenda.

The only way to reverse the tide is to unseat the rulers, who are war
criminals.

And the way to unseat the rulers is to break their legitimacy in the
eyes of the people.

In other words, it is necessary to fully reveal the lies concerning the
so-called "war on terrorism" to our fellow citizens, which were used to
justify the invasion of Iraq and Afghanistan and impose the police
State in the US

A precondition for breaking the legitimacy of the Bush Administration
is to fully reveal its links to international terrorism and its
complicity in the tragic event of 9/11.

This objective can only be achieved by effectively curbing its
propaganda campaign and spreading the truth through a grassroots
citizen's information campaign.

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LA LOBBY ALBANO-STATUNITENSE CAMBIA SIMBOLO


La "Albanian American Civil League" - AACL, organizzazione lobbysta
degli irredentisti pan-albanesi guidata dal senatore USA serbofobo Bob
Dole attraverso il suo fido Joseph Dioguardi - ha cambiato simbolo.
Al posto della piantina della Grande Albania - comprendente oltre al
Kosovo pezzi di Montenegro, Serbia centrale, Macedonia e Grecia - la
AACL ha adottato adesso come effige la cupola della Casa Bianca e le
aquile statunitense ed albanese.
Nuovo look, stessi progetti.


Albanian-American Lobby Gets Makeover

The Albanian-American Civic League, wich has long displayed a map of
Greater Albania on its home page, recently commissioned a makeover: now
its main page (http://aacl.com/indexmain.html) features a new logo: two
eagles - American and Albanian - hovering over the Capitol dome.

Obviously, displaying a map showing an Albanian nation encompassing a
large chunk of Serbia, half of Macedonia, and parts of Montenegro and
Greece was not advertising a commitment to "freedom and democracy" but
something else altogether. However, the removal of the map did not
change the content of the website, indicating that the leopard may have
changed his spots, but not his nature...

(Source: http://www.realitymacedonia.org.mk/web/news_page.asp?nid=3258 )