Informazione

From: ICDSM Italia <icdsm-italia @ libero.it>
Date: Fri, 28 May 2004 17:44:54 +0200
To: icdsm-italia @ yahoogroups.com
Subject: [icdsm-italia] Sito internet di ICDSM-Italia / Nuovo rinvio
per Milosevic

Grazie alla ospitalita' della Fondazione Pasti, e' stata aperta la 
pagina internet della Sezione Italiana del Comitato Internazionale per
la Difesa di Slobodan Milosevic:

  http://www.pasti.org/milodif.htm

La pagina - insieme all'altra preesistente gia' curata direttamente da 
AGINFORM: http://www.pasti.org/linkmilo.htm - contiene documentazione
preziosa, tra cui alcune trascrizioni delle passate udienze del
processo-farsa.


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  THE OFFICIAL SITE OF ICDSM- ITALIAN SECTION IS:

  http://www.pasti.org/milodif.htm


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http://www.ansa.it/balcani/

MILOSEVIC: TPI, NUOVO RINVIO DIFESA PER MALATTIA

(ANSA) - BRUXELLES, 27 MAG - E' previsto per il 5 luglio l'avvio della
difesa da parte di Slobodan Milosevic al processo all'Aja nel quale
l'ex presidente jugoslavo e' imputato per il suo ruolo nelle guerre
balcaniche dei primi anni '90: lo ha reso noto oggi il Tribunale penale
internazionale sull'ex Jugoslavia. In un primo momento, l'inizio della
difesa da parte dell'ex uomo forte di Belgrado era prevista per 19
maggio, data che era pero' stata successivamente spostata al 22 giugno,
a causa dei problemi di salute dell'imputato. Il Tpi dell'Aja ha oggi
precisato che tali problemi continuano a sussistere e che ''sulla base
dei pareri dei cardiologi'' l'imputato ha bisogno di ''un periodo di
riposo''. Il processo contro Milosevic - 62 anni, accusato dalla Corte
dell'Aja di genocidio, crimini di guerra e contro l'umanita' - e'
iniziato il 12 febbraio del 2002. (ANSA) RIG
27/05/2004 15:33



==========================
ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci  27
00043 Ciampino (Roma)
tel/fax +39-06-4828957
email: icdsm-italia@...

Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC

sito internet:
http://www.pasti.org/linkmilo.htm

( Sullo stesso argomento vedi anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3541
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3521
http://www.salvaimonasteri.org/ )


http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/28-Maggio-2004/art146.html


il manifesto - 28 Maggio 2004

Kosovo, il medioevo bruciato

Dal 1999 al 2004 sono state distrutte dall'ex Uck circa 140 chiese
serbo-ortodosse. Un comitato internazionale lancia l'appello: «Salvate
quel patrimonio della cultura europea»
ARIANNA DI GENOVA


La Madonna con il bambino «nutritore», che distribuisce una manna ai
fedeli, straordinaria icona del Duecento, amata, studiata, pregata,
simbolo di un grande patrimonio artistico, non esiste più. Al suo posto
c'è un buco nero fuliggine: ha preso fuoco insieme alla chiesa che la
ospita, Bogorodica Ljeviska di Prizren, ed è stata volutamente
scalpellata e mutilata nelle sue parti inferiori. L'immagine, proposta
sul sito www.salvaimonasteri.org, con un inquietante paragone - com'era
prima e come si presenta adesso - fa sussultare chiunque si fermi a
guardarla. Non c'è bisogno di essere storici dell'arte per lanciare
l'allarme e gridare all'orrore. Da ieri, sono a Roma due monaci
ortodossi venuti dal Kosovo, per testimoniare con le loro parole le
distruzioni dei monasteri cominciate nel 1999, dopo l'intervento della
Nato e riprese con estrema violenza nel marzo 2004: almeno trenta sono
gli edifici sacri devastati dall'ex Uck (la formazione armata kosovaro
albanese formalmente disciolta, la cui sigla campeggia sinistramente
sulle rovine dei monasteri), durante la recrudescenza degli scontri,
con conseguente epurazione etnica (di serbi e rom), morti e centinaia
di feriti, mentre a Belgrado finiva in fiamme, in risposta all'attacco,
la principale moschea della città.

In questi quattro anni, sono andate letteralmente in fumo - vi è stato
appiccato il fuoco o sono state fatte saltare in aria con esplosivi -
140 chiese, con tutto il loro corredo di oggetti liturgici e i loro
cicli di affreschi, considerati tra i documenti più importanti della
cultura bizantina. La violenza contro i luoghi sacri è diretta non ad
una appartenenza religiosa ma a una identità, alla memoria di un Kosovo
culla della civiltà serba, che ospita, insieme a Costantinopoli e
Salonicco, le maggiori testimonianze, architettoniche e figurative
dell'arte bizantina.

È così che un comitato, dal significativo nome «Salva i monasteri», ha
invitato Sava Janijc e Andrej Sajc, giunti dal monastero di Decani, a
raccontare la distruzione sistematica della storia messa in atto sotto
gli occhi di 20mila soldati dell'Onu. Alla base c'è l'appello lanciato
da Massimo Cacciari: «Il Kosovo ospita opere d'arte di straordinaria
importanza per la vicenda europea. La distruzione di un edificio, di
quegli affreschi equivale al massacro di San Marco e sant'Apollinare a
Ravenna. È la stessa area paleocristiana influenzata da Bisanzio... Per
noi, i cicli pittorici serbo-ortodossi sono diecimila volte più
significativi dei Buddha di Bamiyan». Poi l'intenzione è cresciuta e il
documento si è trasformato in un'iniziativa spontanea ed è stato
firmato da centinaia di personalità della cultura (fra questi, gli
storici dell'arte Valentino Pace e John Lindsay Opie) e della politica.
Esiste anche un'interrogazione dei Verdi sottoposta al ministero degli
esteri e della difesa italiana, condivisa oggi da più parlamentari di
diversi schieramenti. L'appello, cui partecipano anche l'Istituto
centrale per il restauro e l'Ong Intersos, già da tempo attivi sul
territorio, è rivolto alla comunità internazionale affinché cerchi di
salvare quanto più possibile. L'Unesco ha visitato i siti devastati in
aprile e sta preparando una relazione mentre il ministero per i beni
culturali cominceranno i primi lavori a Decani a metà giugno.

Attualmente, le truppe italiane in missione in Kosovo (Kfor) presidiano
e tutelano i tre maggiori monumenti: il complesso di Pec, Gracanica e
Decani. Ma, come spiega lo storico John Lindsay Opie, «tre siti, pur
eccezionali, non sono tutto. È come se venisse salvato solo San Marco a
Venezia e qualche basilica ravennate, lasciando tutto il resto andare
alla deriva. Ci sono chiese di cui non è rimasta neanche una pietra,
che non si potranno restaurare mai più, sono sparite». Non solo
cattedrali ma anche teatri, biblioteche, cinema, cioè edifici di culto
e più propriamente culturali, sono andati in rovina. È un patrimonio
dell'umanità intera che rischia di estinguersi, un tesoro dell'arte
medievale europea che va dal XII al XV secolo.

A Prizren, in marzo, dopo varie profanazioni, è stato appiccato il
fuoco alle chiese di Bogorodica Ljeviska - il cui nartece conserva
l'importante galleria dei ritratti dei Nemanja dell'inizio del
Trecento- e di st. Georgy. La cattedrale della Madonna Ljeviska, con i
suoi affreschi di valore inestimabile, era stata lasciata sguarnita di
protezione dal presidio tedesco. Valentino Pace, docente di arte
medievale all'università di Udine, ha commentato così la notizia del
danneggiamento del ciclo figurativo: «Questi affreschi sono un
capolavoro assoluto. Si potrebbe dire che hanno la stessa rilevanza
della Cappella degli Scrovegni a Padova. I ritratti della dinastia
regnante serba, i Nemanja, risalgono al XIV secolo: vi sono
rappresentati il fondatore della dinastia, Simeone, divenuto monaco sul
monte Athos e altri esponenti della sua famiglia, vescovi e re. L'altro
affresco importantissimo è la Madonna col bambino cosiddetto
«nutritore» (oggi un testo pittorico divenuto illegibile, secondo
quanto pubblicato sul sito di «Salva i monasteri», ndr.). Il soffitto
ligneo che li sovrastava è bruciato provocando danni ingenti al
patrimonio sottostante: sembra essersi miracolosamente «conservata»,
interamente, la figura centrale di re Simeone.

Tra gli altri luoghi, Devic (secolo XIV) è in rovina, il monastero di
Sant'Arcangeli è stato attaccato e distrutto, gli alloggi devastati, i
suoi «abitanti» dormono ancora sotto le tende e si sta pensando a come
ovviare al rigido inverno kosovaro.

Il monaco serbo-ortodosso Sava Janijc, nella conferenza romana, ha
tenuto a sottolineare con forza che «gli attacchi sono sistematici,
fanno parte di un progetto di cancellazione di una cultura. Non stiamo
parlando di una distruzione avvenuta in guerra ma di qualcosa che viene
perpetrato `dopo', contro i monumenti della cristianità e nonostante le
truppe della Nato e le Nazioni unite. Quella che va perduta è la
coscienza di una civiltà, la sua memoria. È necessaria allora una
mobilitazione internazionale ma tutto dipende dalla stabilità e
sicurezza che si potrà dare in seguito al Kosovo. È inutile ricostruire
o restaurare un patrimonio se poi questo viene ridotto in macerie nel
giro di qualche mese». E soprattutto senza i serbi cacciati dal
territorio kosovaro.


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http://www.salvaimonasteri.org/stampa_10.htm

Kosovo e Metohija 1998-2000.
Rapporto preliminare sulla situazione del patrimonio culturale.

(il presente contributo, è desunto dall’introduzione del volume, di
Fabio Maniscalco, “Kosovo e Metohija 1998-2000. Rapporto preliminare
sulla situazione del patrimonio culturale”, Napoli 2000, Massa Editore)


A circa un anno dalla fine della crisi in Kosovo, la situazione
culturale, sociale e politica si rivela particolarmente complessa.
In questa piccola regione della Repubblica Federale Jugoslava sono
presenti vari gruppi “etnici” e religiosi, tutti separati e non
integrati fra loro, distinti in kosovaro-albanesi di religione
musulmana (la maggioranza degli abitanti, che si considerano i soli
futuri gestori della vita socio-politica); kosovaro-albanesi di
religione cattolica (assoluta minoranza); kosovaro-serbi di religione
ortodossa (parte esigua della popolazione, costretta in ambiti
ristretti ed isolati, protetti dai contingenti della forza
multinazionale di pace); slavik-gorans musulmani nell’area di Daragash;
bosniaci nell’area di Jupa Region nella municipalità di Prizren; rom
gypsy (di religione musulmana o cristiana).
Numerosi sono i rifugiati all’estero o in Serbia, che attendono le
condizioni possibili per il rientro in patria.
In ogni caso, non esistono dati di consistenza certi sulla popolazione
attualmente residente né su quella profuga.
Della originaria economia agricolo-pastorale sopravanzano tracce nel
paesaggio verde, fertile e pianeggiante, dove si elevano alberi di
pioppo, querce e numerosi noci di dimensioni maestose.
Ad eccezione dell’agricoltura, che non sembra razionalmente
organizzata, non risulta in atto alcuna attività produttiva, ma solo
una diffusa occupazione di piccolo commercio connesso alle molteplici
opere di ricostruzione.
Attualmente la presenza della forza di pace KFOR (Kosovo Forces) e
degli amministratori OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico) e UNMIK (United Nation Mission in Kosovo), oltre a
garantire la sopravvivenza delle minoranze, la certezza degli stipendi
statali e la dotazione dei servizi di base, costituisce, col suo
effetto indotto, la maggiore entrata economica del Paese.
A prima vista alcune città, Prizren, Peja o Priština, si presentano
piene di vita, soprattutto nelle copiose caffetterie all’aperto in cui
una moltitudine di giovani sorridenti ravviva l’ambiente.
Tuttavia, soffermandosi in dettaglio, sono ancora numerose le case
demolite, i souk-bazar incendiati, i caratteristici kulla
(case-fortezza in pietra tipiche del luogo) distrutti, le centrali
elettriche di distribuzione gas e carburanti cannoneggiate, le stazioni
ferroviarie danneggiate.
Quasi tutte le chiese serbo-ortodosse rimaste integre nelle murature,
dopo essere state date alle fiamme da estremisti dell'UCK, sono al
momento transennate e presidiate dalle forze della NATO.
La popolazione cristiano-ortodossa di fatto non esiste più e la poca
residua è costretta in immobili o in villaggi isolati, presidiati e
protetti dalla KFOR., in condizione di soggiorno coatto e senza alcuna
possibilità di contatto con l’esterno.
Frequenti lungo le strade s’incontrano i cimiteri di guerra e svariate
sono ancora le aree minate o ricoperte da ordigni inesplosi.
I toponimi serbi sono stati sostituiti con quelli kosovaro-albanesi;
così, ad esempio, Pec è stata rinominata Peja.
Gli edifici di culto ed i simboli architettonici storici caratteristici
delle due culture e religioni principali sono stati distrutti.
La pubblica amministrazione è ora affidata all’organizzazione
internazionale UNMIK che sta tentando di organizzarsi, unitamente ad
esponenti locali, in vari settori amministrativi e gestionali. Nel
frattempo provvede al solo pagamento dello stipendio base degli
impiegati statali, che lamentano di essere sottopagati, insoddisfatti,
demotivati ed annichiliti dal conflitto bellico, che è stato d’inaudita
violenza, e si mostrano confusi, impotenti, impauriti, frustrati, ma
dignitosamente desiderosi di riprendere le loro originali funzioni
sociali.
Scaltri ex dirigenti hanno preso il sopravvento e in alcuni casi la
loro personalità sovente arriva ad influenzare addirittura l’azione
dell’UNMIK.
Numerosissime ONG (Organizzazioni non Governative) operano nel
territorio e non appare come le loro singole attività risultino svolte
secondo un piano strategico d’intervento coordinato. Al contrario, si è
assistito come, rispetto ad una stessa iniziativa, più ONG abbiano
elaborato proposte e promesse parallele, creando situazioni di profonda
confusione nelle autorità municipali locali.
Alcuni progetti sottoposti a chi scrive si sono dimostrati incompleti e
privi di un qualsiasi approccio metodologico e scientifico, rivelando
la carente sensibilità e preparazione culturale nel campo dell’arte e
del restauro monumentale di alcuni "responsabili culturali" di ONG.
Non esistono forze dell'ordine locali, ma solo Polizia delle Nazioni
Unite.
La maggioranza degli autoveicoli circola liberamente senza targhe,
anche perché di provenienza illecita, ed il tentativo dell'UNMIK di
creare una sorta di registro automobilistico è fallito. Difatti, le
targhe che venivano consegnate agli utenti previo il pagamento di una
tassa, non autorizzavano gli stessi a spostarsi oltre i confini del
Kosovo stesso.
La manutenzione delle strade è inesistente, come la segnaletica
stradale.
In tale drammatico e complesso contesto è evidente come la salvaguardia
e la tutela dei beni culturali non venga presa in considerazione.
All'interno della recente crisi in Kosovo è possibile focalizzare
quattro fasi distinte, a seguito delle quali il patrimonio culturale
immobile è stato distrutto o danneggiato:
a. inizio del conflitto civile tra Serbi e Kosovaro-Albanesi;
b. bombardamenti della NATO in tutta la Repubblica Federale Jugoslava;
c. rientro dei profughi kosovaro-albanesi;
d. ricostruzione post bellica.
Durante la prima fase (tra la fine del 1998 e gli inizi del 1999), che
ha avuto carattere di conflitto interno, non si sono riscontrati
danneggiamenti di particolare entità a monumenti né ad edifici
culturali e cultuali.
La reale distruzione monumentale, invece, ha avuto inizio a seguito
dell'opinabile intervento bellico della NATO (tra marzo e giugno 1999).
La comunità politica internazionale, infatti, non ha preso in
considerazione l'eventualità che le truppe serbe potessero
avvantaggiarsi del disordine e del caos prodotti dai bombardamenti
(talvolta imprecisi) per accelerare il processo di "epurazione etnica"
e per strumentalizzare la risoluzione della NATO.
In questo periodo l'esercito regolare e, soprattutto, la polizia ed i
diversi corpi paramilitari serbi, oltre a deportare ed a massacrare la
popolazione kosovaro-albanese, con sistemi analoghi a quelli impiegati
in Bosnia tra il 1992 ed il 1995 (come gli stupri di massa), hanno
saccheggiato e devastato proprietà private e pubbliche del “nemico”,
quali moschee o madrase.
Inoltre, non pochi danni sono stati inferti dai missili della NATO alla
popolazione civile ed ai monumenti.
Dopo il rientro della popolazione kosovaro-albanese, favorito dallo
schieramento a terra delle truppe KFOR, e la fuga di quella serba, è
iniziata una nuova ed infausta fase di distruzione monumentale
incentrata, però, sui monumenti serbo-ortodossi.
A partire dal luglio 1999 gruppi di facinorosi hanno iniziato ad
appiccare incendi o a demolire con esplosivi molte chiese dalle quali,
come hanno evidenziato le indagini dello scrivente, venivano prima
sottratte le icone e gli oggetti facilmente asportabili.
Recenti ed irrimediabili violazioni al patrimonio monumentale kosovaro
sono talvolta imputabili, invece, all'attuale fase di ricostruzione
post bellica, e anche alla messa in atto di tecniche e metodologie
errate e prive di logica; è questo, ad esempio, il caso della Moschea
dell’Hammam di Peja o della Moschea di Gazi Ali Bey a Vucitrn.
Inoltre, il conflitto in Kosovo ha comportato il deterioramento e la
corruzione della quasi totalità della cultura locale mediante la
distruzione fisica di edifici cultuali e culturali (biblioteche,
teatri, cinema etc.); la traduzione forzata a Belgrado di buona parte
del patrimonio storico-artistico mobile dai musei, ad opera delle forze
serbe in ritirata; l’assoluta mancanza di mezzi destinati agli
operatori culturali ed il conflitto etnico fra le possibili entità
sociali, che rende di fatto impossibile tra loro il dialogo e la
coesistenza e che, senza interventi mirati, comporterà la scomparsa
totale del patrimonio culturale serbo.


Fabio Maniscalco (docente di “Tutela dei Beni Culturali” presso la
Facoltà di Studi Arabo-Islamici e del Mediterraneo dell’Università
L’Orientale e direttore dell’Osservatorio per la Protezione dei Beni
Culturali in Area di Crisi)

Lundi 14 juin, à 8 h 45, Palais de Justice de Bruxelles, 50ème chambre
correctionnelle

Les minutes les plus longues de ma vie

Pourquoi je demande justice

Les coups pleuvent. Ils m'ont menotté et jeté sur le sol de la
camionnette. Impossible de bouger. Le premier se met à me frapper sur
la tête. Très violemment. Des coups réguliers, incessants. Portés d'une
façon caractéristique : poing serré, phalanges à plat. Plus tard, je
comprendrai : on leur enseigne comment faire très mal sans laisser de
traces.
L'autre s'y met aussi et me décoche de terribles coups de pied dans le
ventre et les côtes. Je hurle de douleur : « Arrêtez, je vous en prie
!» Mais ils continuent de plus belle. «Sale anarchiste, tu vas voir ce
que c'est de vouloir manifester ! Ici, il n'y a plus de caméras ? Eh
bien, justement, nous on y va ! » Ils sont déchaînés. Terrorisé, je me
dis que je vais mourir ou rester infirme.
Ce tabassage va durer tout le temps du trajet qui m'amène au
commissariat. Les minutes les plus longues de mon existence.
Au commissariat, je devrai réclamer longtemps avant d'être enfin
conduit à l'hôpital. Quatre côtes fracturées, contusions multiples,
état de choc. Plusieurs semaines cloué dans un fauteuil.
Ce lundi 14 juin 2004, cinq ans plus tard, ils comparaissent enfin au
tribunal correctionnel de Bruxelles, pour « coups et blessures » et «
arrestation arbitraire ».

Bruxelles : interdiction générale de manifester contre la guerre

Flash-back. Ces violences se sont déroulées le 3 avril 1999. Dix jours
plus tôt, l'Otan a commencé à bombarder la Yougoslavie. Avec quelques
amis, j'ai introduit une demande pour manifester à proximité du siège
de l'Otan. Refusé. Le bourgmestre libéral de Bruxelles, De Donnéa,
prend un arrêté ahurissant. Il interdit toute manifestation pour la
paix à Bruxelles. N'importe où, n'importe quand.
Violation évidente de la Constitution et de la liberté de manifester
ses opinions. Immédiatement, nous introduisons un recours au Conseil
d'Etat. Lequel, en procédure d'urgence, annule la décision du
bourgmestre. Manif autorisée. Qu'à cela ne tienne, le bourgmestre
reprend tout de suite le même arrêté et, avec l'aide du ministre de
l'Intérieur Vanden Bossche, envoie sur place des centaines de
policiers, des autopompes, des blindés, un hélico. La violence
policière sera incroyable : 141 personnes arrêtées, de nombreux
blessés. Plusieurs journalistes et photographes arrêtés aussi. Silence,
on cogne !
Il paraît que l'Otan bombarde la Yougoslavie pour lui apporter la
démocratie. L'exemple donné à Bruxelles n'est pas très convaincant !
En tant qu'organisateur de la manif, je suis le premier arrêté. Avec
une brutalité extrême et gratuite : aucun incident n'a eu et n'aura
lieu, à part les violences policières. Manifestement, il y a des
instructions pour intimider quiconque voudrait protester contre la
guerre. Et pour me mettre hors d'action. Des témoins entendront des
policiers dire : « On l'a bien eu, le journaliste ! » (C'est ma
profession).

On avait bien raison de manifester, c'était aussi une sale guerre

Heureusement, les diverses télés belges ont bien couvert l'affaire. Des
images impressionnantes ont montré la brutalité policière. Et
l'indignation générale a vite forcé le bourgmestre à revenir sur son
interdiction. Les manifestations suivantes furent autorisées.
Les innombrables messages de sympathie m'ont aidé à surmonter le choc.
Et aussi, le fait de reprendre peu à peu mon activité pour la paix.
Agir aide beaucoup. Dès que j'ai été suffisamment rétabli, je me suis
rendu en Yougoslavie avec 15 Belges, pendant les bombardements, afin de
témoigner sur les ravages de la « guerre propre » de l'Otan.
Nous avons pu vérifier sur place combien il était juste de manifester
contre cette guerre... L'Otan bombardait ponts, usines, infrastructures
électriques civiles, bâtiment de télévision, colonnes de réfugiés,
ambassade de Chine... Crimes de guerre évidents. L'Otan bombardait des
installations pétrochimiques importantes, avec toutes les conséquences
pour la santé des populations ! Crimes de guerre évidents. L'Otan
utilisait des armes à uranium qui provoquent une explosion de cancers
et leucémies parmi les populations civiles. Crimes de guerre évidents.
L'Otan utilisait sur des marchés et des places publiques des bombes à
fragmentation qui se dispersent en centaines de petites bombes à
retardement, tuant ou mutilant les enfants qui les prennent pour des
jouets. Crimes de guerre évidents.

Le droit de mentir, pas le droit de répondre ?

Bref, bien avant Bush, les Etats-Unis mais aussi l'Europe violaient
systématiquement la Charte de l'ONU (interdiction du recours à la
guerre) et les Conventions de Genève (interdiction de s'en prendre aux
civils).
Tous ces gouvernements européens, aujourd'hui si vertueux face à Bush,
ont veillé à ce que les manifestants pour la paix soient marginalisés,
censurés, diabolisés, voire agressés. Mais aujourd'hui, le bilan de
cette guerre est accablant et chacun peut voir qu'il était juste et
important de défendre le droit de manifester.
Car, depuis cinq ans, le Kosovo est soumis au nettoyage ethnique, à la
terreur des milices UCK protégée par les USA. Une terreur qui
d'ailleurs frappe aussi de nombreux Albanais. Le Kosovo est aujourd'hui
une terre sans droit, sans justice. La maffia avec qui les Etats-Unis «
ont fait un mariage de circonstance » selon un expert canadien, a fait
de cette province la plaque tournante du trafic de la drogue, des armes
et de la prostitution vers l'Europe. De plus, comme vient de le
confirmer Amnesty, les bases Otan ont développé une énorme industrie
d'esclaves sexuels. Le vrai but, atteint, était d'installer une énorme
base militaire US, Camp Bondsteel, sur le tracé du projet US de
pipe-line à travers les Balkans. Avec des pistes pour bombardiers !
A l'époque de cette guerre, menée pour des objectifs économiques et
stratégiques cachés, et vendue à l'opinion sous des prétextes
humanitaires et des médiamensonges qu'on n'avait pas le droit de mettre
en doute, à cette époque, il ne faisait pas bon organiser des manifs
pour la paix. A Paris, un professeur serbe de la Sorbonne, organisateur
d'un grand rassemblement pour la paix, s'est fait assassiner sur le
palier de sa porte. Deux mois plus tard, au Kosovo, une autre
personnalité active contre l'Otan, le journaliste Daniel Schiffer,
échappera par miracle à un bombardement ciblé de l'aviation US contre
son véhicule. Son chauffeur et un autre journaliste seront tués. Il en
réchappera par miracle. Vraiment il ne faisait pas bon manifester en
ces temps-là...

Des policiers « protégés » ?

Voilà pourquoi je réclame justice aujourd'hui. Je réclame le droit de
continuer à manifester contre ces guerres injustes. Bush nous en promet
une accumulation, seule la résistance des peuples, irakien et autres,
l'a empêché d'aller plus vite. Mais ce que la France fait en Afrique
n'est pas non plus 'humanitaire' et n'inspire pas confiance quant à
l'usage qui sera fait de l'Euro - Armée en construction. Une Euro -
Armée nullement défensive, qui se prépare à intervenir au Moyen-Orient,
au Congo et ailleurs.
Sur la guerre contre la Yougoslavie, chacun avait le droit d'avoir son
opinion, et elles étaient diverses à l'époque. Mais le droit de
manifester est un droit fondamental.
Je réclame donc justice. Non seulement contre ces deux policiers qui
m'ont agressé, mais aussi contre leurs chefs, le bourgmestre de
Bruxelles et le chef de la police. Car de deux choses l'une : ou bien
ces policiers ont violé leurs instructions ou bien ils ont agi sur
instructions.
S'ils ont violé les instructions, leur chef, le bourgmestre de
Bruxelles, aurait dû les blâmer, les sanctionner et les retirer de la
voie publique puisqu'ils sont dangereux. Et si ce bourgmestre De Donnéa
avait eu un soupçon d'humanité ou de politesse, il aurait peut-être pu
s'excuser ou au moins prendre de mes nouvelles ? Il n'en a rien fait.
Il a protégé ses flics brutaux.
Le Parquet aussi s'est d'abord montré bien indulgent à l'égard de ces
deux brutes. D'abord, le juge d'instruction Collignon jugeait
impossible les identifier. Formidable ! Des arrestations sont
effectuées, sous les caméras, avec des dizaines de témoins, avec des
P-V, et pas moyen de retrouver ces policiers ?
Ensuite, il prétendait ne pouvoir déterminer à quel moment précis
j'avais été blessé, donc ne pas pouvoir poursuivre ces policiers. Autre
stupidité ! J'entre intact dans une camionnette, devant les caméras et
des dizaines de témoins, j'en ressors avec quatre côtes cassées, et le
juge Collignon ne comprend pas quand cela s'est produit ? Incompétence
ou mauvaise volonté ?

Au nom de toutes les victimes de « bavures »

Heureusement, mes avocats, Maîtres Jan Fermon et Selma Benkhelifa, se
sont battus pied à pied. Grâce à eux, j'ai finalement pu être confronté
à mes agresseurs dans les locaux de la police des polices. Ils mentent
toujours, mais leurs déclarations se contredisent et cela éclatera à
l'audience. Le dossier est accablant.
En fait, je veux me battre aussi pour toutes ces victimes anonymes de
violences policières. Particulièrement à la Ville de Bruxelles. Des
associations des droits de l'homme ont déjà souligné combien il est
difficile de faire juger des policiers brutaux. Les victimes
d'arrestations arbitraires, de tabassages gratuits, de démonstrations
cow-boys n'ont généralement pas ma « chance ». Quand ça leur arrive, il
n'y a pas de caméras. C'est aussi pour eux que je réclame justice.
Le droit de mentir, le droit de frapper, le droit d'arrêter
arbitrairement, le droit d'empêcher de manifester, le droit à
l'impunité ? Pas question de l'accepter!

L'audience a lieu ce lundi 14 juin, à 8 heures 45 au Palais de Justice
de Bruxelles, 50ème chambre correctionnelle. Ceux qui peuvent se
libérer, sont les bienvenus. Je pense qu'il est important de nous
mobiliser ensemble aujourd'hui pour faire respecter et garantir nos
libertés politiques de demain.

http://liste.bologna.social-forum.org/wws/arc/forum/2004-05/
msg00660.html


# From: "kaio\.k\@libero\.it"
# To: "rossana"
# Cc: "redditolavoro","forum"
# Subject: Kosovel Poesie-Gorizia 3giu-Borgo Castello
# Date: Sat, 29 May 2004 12:04:35 +0200


Provincia di Gorizia
in collaborazione con Associazione culturale ambientale Hundertwasser

Gorizia, 3 giugno 2004 ore 18.30 Sala dei Musei provinciali di Borgo
castello

"Omaggio a Srecko Kosovel, poeta fra il Carso e la storia"

Intervengono:
- Roberto Antonaz, Assessore regionale per le identità linguistiche e
alla cultura
- Marco Marincic, Assessore provinciale alle comunità linguistiche
- Paola Barban, Associazione Hundertwasser
- Miran Košuta, Università di Trieste
Moderatore: Maurizio Platania
Lettura di alcune poesie del poeta carsolino in italiano e sloveno a
cura dell'attrice Nikla Panizon

Seguirà una degustazione di vini sloveni con servizio di sommeliers

Pokrajina Gorica
v sodelovanju s kulturnim in okoljevarstvenim združenjem Hundertwasser

Gorica, 3. junija 2004 - ob 18.30

Dvorana Pokrajinskih muzejev na Grajskem gricu

»Poklon Srecku Kosovelu, pesniku med Krasom in zgodovino«

Sodelujejo:
- Roberto Antonaz, deželni odbornik za jezikovne identitete in kulturo
- Marco Marincic, pokrajinski odbornik za jezikovne skupnosti
- Paola Barban, združenje Hundertwasser
- Miran Košuta, Univerza v Trstu
Moderator: Maurizio Platania

Gledališka igralka Nikla Panizon bo prebrala nekaj pesnikovih poezij v
italijanskem in slovenskem jeziku

Sledila bo degustacija slovenskih vin ob pomoci someljejev.
----------------------
Il poeta sloveno Srecko Kosovel, scomparso appena ventiduenne (è nato a
Sezana nel 1904 ed è morto a Tomaj nel 1926), si è imposto con la sua
straordinaria opera poetica come eminente rappresentante lirico del
tormentato periodo che segui il primo conflitto mondiale. Figlio della
pietrosa landa carsica, che si apre sul mare come una vasta terrazza di
scure pinete, è innamorato della sua terra e delle sue "verdi rugiade",
ma è anche tormentato nel vivere l'infausta sorte che le è toccata nel
non poter esprimere la propria identità. Cosciente delle contraddizioni
sociali e politiche in cui versa l'Europa ne prevede il catastrofico
futuro affermandosi così come uno tra i più espressivi poeti del
Novecento. Formatesi nell'asburgica Lubiana ma a un tempo partecipe
dell'influsso dell'ambiente culturale sloveno triestino, Kosovel fonde
nella propria lirica la complessa sensibilità mitteleuropea con
l'atmosfera mediterranea sfavillante di luce. Questa fusione, che
spesso è dialettica e, come tale, messa in rilievo dal poeta stesso, è
uno dei pregi dei canti kosoveliani.

Tratto da "Srecko Kosovel" di Boris Pahor
ed. Studio Tesi
Pordenone 1993
--------------
Per informazioni:
Numero verde della Provincia di Gorizia Tel.80025281
http://www.hundertwasser.it/
info @ hundertwasser.it

Da: ICDSM Italia
Data: Sab 29 Mag 2004 19:47:39 Europe/Rome
A: icdsm-italia @ yahoogroups.com
Oggetto: [icdsm-italia] E.S. Herman on Stancy Sullivan, Milosevic and
genocide


[ Con una analisi dettagliata e "scientifica", Edward S. Herman -
saggista, collaboratore della nota rivista della sinistra statunitense
ZNet alla quale collabora anche Chomsky - smonta pezzo per pezzo la
squallida disinformazione di Stancy Sullivan sulla guerra in Jugoslavia
e sul processo-farsa contro Milosevic.
Stancy Sullivan e' una delle "firme" piu' ricorrenti nella propaganda
occidentale sulla Jugoslavia, essendo tra i collaboratori
dell'Institute for War and Peace Reporting (IWPR), la nota agenzia di
disinformazione finanziata dai governi occidentali e da fondazioni come
quella di Soros.

Una simile, "spietata", documentatissima disamina della disinformazione
strategica sul "processo" a Milosevic e' stata scritta da Herman
insieme a D. Peterson, sul caso di Marlise Simons, altra
"professionista della propaganda". Vedi:

Marlise Simons on the Yugoslavia Tribunal: A Study in Total Propaganda
Service

http://www.zmag.org/simonsyugo.htm ]

---

See also:

Marlise Simons on the Yugoslavia Tribunal: A Study in Total Propaganda
Service

http://www.zmag.org/simonsyugo.htm

Vanessa Stojilkovic & Michel Collon, The Damned of Kosovo, film, 78',
2002.
Available in PAL-Europe at michel.collon @ skynet.be
Available in NTSC (USA, Canada...) at zoranstar @ yahoo.com

Michel Collon, Liars' Poker, New York, 2002
and Monopoly, Nato conquerring the world, New York, 2004

---

Source: Foreign Policy in Focus

http://www.fpif.org/commentary/2004/0405ssgenocide.html


"Milosevic was not indicted along with Mladic and Karadzic in 1995 for
the ethnic cleansing in Bosnia in prior years, so the belated attempt
in The Hague in 2002 to make him responsible for those killings
suggests that UN war crimes tribunal chief prosecutor, Carla Del Ponte
did this because she saw that the killings in Kosovo fell far short of
anything she could pass off as "genocide." "

"There is now substantial literature that makes a strong case that the
Tribunal is not only a crudely political arm of NATO, but that it is a
"rogue court." As a political arm, it regularly cleared the ground for
NATO military actions and since that victory the Tribunal has worked
hard to prove that the NATO war was just. "


Stacy Sullivan on Milosevic and Genocide

By Edward S. Herman | May 28, 2004

Liberals and much of the left have been badly bamboozled on recent
Yugoslav history and the role of the International Criminal Tribunal
for the Former Yugoslavia, with former Serbian President Slobodan
Milosevic having been hyper-demonized and the history of the Balkans
rewritten to fit what Lenard Cohen calls the "paradise lost/loathsome
leaders" paradigm. But numerous serious scholars have rejected this
history and regard the U.S. and other NATO powers as heavily
responsible for the disasters since 1990. Lord David Owen's Balkan
Odyssey, and his testimony before the Tribunal, make it very clear that
Milosevic was eager for a settlement of the Bosnian wars well before
the Dayton agreement in 1995, and that he regularly had major conflicts
of interest with the Bosnian Serbs. It is clear from Owens, as well as
from other experts that the U.S. government played a key role in the
failure of the 1991 Vance plan, the 1992 Cutileiro plan, and the
1993-94 Vance-Owen and Owen Stoltenberg plans, as the Clinton
administration armed the Bosnian Muslims, and later the KLA in Kosovo,
while encouraging them both to hope (and work) for U.S.-NATO military
intervention on their behalf.

Milosevic was not indicted along with Mladic and Karadzic in 1995 for
the ethnic cleansing in Bosnia in prior years, so the belated attempt
in The Hague in 2002 to make him responsible for those killings
suggests that UN war crimes tribunal chief prosecutor, Carla Del Ponte
did this because she saw that the killings in Kosovo fell far short of
anything she could pass off as "genocide." Even establishment
spokespersons like retired U.S. Air Force General Charles Boyd and UN
official Cedric Thornberry have stressed that the Bosnian killings in
the years 1991-1995 were by no means confined to those by Bosnian
Serbs: the Croatians and Bosnian Muslims, the latter supplemented by
thousands of imported mujahideen, slaughtered many thousands of their
ethnic enemies in the area. But the Tribunal, organized, funded, and
essentially controlled by the U.S. and Britain, was only interested in
pursuing NATO targets, and t! hese were almost exclusively Serbs.

There is now substantial literature that makes a strong case that the
Tribunal is not only a crudely political arm of NATO, but that it is a
"rogue court." As a political arm, it regularly cleared the ground for
NATO military actions and since that victory the Tribunal has worked
hard to prove that the NATO war was just.

The Milosevic trial is the main vehicle for proving NATO's virtue,
though it has been a major flop in proving its case and maintaining an
image of fairness and justice. The latter problem was nicely
illustrated in the Tribunal's recent privileged treatment of the U.S.
government and Wesley Clark. Thus, the U.S. government was given the
right to demand a closed session of the court and to redact testimony;
Clark was allowed to communicate with outsiders and obtain and insert
into the record a truth testimonial from Bill Clinton, in
straightforward violation of Judge May's trial rules. Readers of the
New York Times (or In These Times and The Nation) will also never know
that with William Walker on the stand, Judge May's deference to the
"Ambassador" was laughable: during direct examination by the
prosecutors there was not one interruption, while during Milosevic's
cross-examination he interrupted 70 times, and wouldn't allow him to
ask Walker, the man who grieved so over deaths at Racak, about his
earlier crude apologetics for the killing of the six Jesuit leaders and
others in El Salvador.

A recent example of the kind of analysis that repeats the canards
common to the liberal "conventional wisdom" is FPIF's commentary by
Stacy Sullivan, of the Institute for War and Peace Reporting (IWPR), on
"Milosevic and Genocide: Has the Prosecution Made Its Case?"
(http://www.fpif.org/commentary/2004/0402milosevic.html). IWPR is
funded by the State Department, USAID, the National Endowment for
Democracy, the Open Society Institute, and half a dozen other Western
governments, and it has long served as a de facto propaganda arm of
NATO. Sullivan is most noted for her New Republic classic of hardline
pro-war and vengeance propaganda, "Milosevic's Willing Executioners"
(May 9, 1999). Sullivan's FPIF article is in the same mode, taking it
as a given that the Tribunal is an apolitical instrument of justice and
that we have an honest and not a show trial.

An Annotated Response to Sullivan

Her first sentence says that the prosecutors announced right off that
they would "prove" Milosevic guilty of genocide. She fails to mention
that the Bosnia charges were added belatedly, that Milosevic had not
been charged with them at the time of the actual killings, and that
while Del Ponte said she would "prove" this guilt she admittedly didn't
yet have the evidence. Indict, publicly and flamboyantly charge, and
then look for the evidence, has long been the Tribunal's modus operandi.

Sullivan's second sentence mentions that there were "300 witnesses,"
"some high level insiders who have turned on their former master,"
"thousands of pages of documents," etc. We are supposed to be impressed
with this sheer volume of smoke that must show a genocidal fire. She
doesn't mention that Canadian law professor Michael Mandel gave Del
Ponte "thousands of pages" of documents in April 1999 showing NATO war
crimes, which of course Del Ponte ignored, and that thousands of pages
have been published and innumerable witnesses could have been supplied
as witnesses for the many thousands of Serb victims in Bosnia. It is
extremely easy to find victimized people in civil wars who will testify
to maltreatment if given the opportunity and even paid for their
trouble, and some and perhaps most will even be telling the painful
truth. But only a propagandist will mention the 300 witnesses as if
this alone is a serio! us consideration in proving "genocide."

As regards the "high level insiders," in fact the prosecution came up
with few that were high level and fewer still who were cooperative. One
of their prime witnesses, Ratomir Tanic, appears to have been a conman,
who was so "inside" that he couldn't even describe the location of the
president's office. Genuine insiders like former Yugoslav president
Zoran Lilic and member of the Yugoslav presidency Borislav Jovic
confirmed Milosevic on almost all key points. Rade Markovic, the former
head of Yugoslav security, who had everything to gain from denouncing
his old boss, also defended Milosevic on all key points while
renouncing a statement he claimed had been extracted from him by
threats and torture during a 17 month stint in prison. Sullivan
predictably doesn't mention that many "insiders" and others were bribed
and threatened with heavy sentences unless they acquiesced to
plea-bargains.

Sullivan claims that many legal experts are doubtful about a successful
genocide charge because the Tribunal "has set the bar for doing so
extremely high." They might have to prove that Milosevic "orchestrated
the breakup of Yugoslavia with the specific intent to destroy Bosnian
Muslims as a people...[with] unequivocal evidence of genocidal
intent...calling for the liquidation of all of the Bosnian Muslims..."
The idea that Milosevic wanted the breakup of Yugoslavia is ideology
run wild and contradicts the usual formula that he attacked Slovenia
and Croatia in an attempt to prevent their exit from Yugoslavia (for a
summary of an alternative view of the Balkan wars, see Edward S.
Herman, "Diana Johnstone on the Balkan Wars,"
http://www.monthlyreview.org/0203herman.htm, as well as a recen! t
piece by George Szamuely for FPIF, "The Yugoslavian Fairytale,"
http://www.fpif.org/commentary/2004/0405fairytale.html).

As there was a lot of back-and-forth ethnic cleansing and killing in
Bosnia, and the celebrated Srebrenica killings were comprised entirely
of military-aged men, many killed in fighting, and after the Bosnian
Serbs had admittedly separated out the women and children and moved
them to safe refuge, intent and plan (as well as the still elusive
Milosevic control of the Bosnian Serb forces) would seem rather
essential to proving that Milosevic was guilty of genocide in any
sense. Besides, Del Ponte said she was definitely going to "prove"
genocide. What concept did she have in mind?

What constitutes genocide?

Sullivan doesn't have a clue on the level of Tribunal "bars" for
charges of genocide. These have proved to be wonderfully flexible, and
her claim of a too-high bar has no basis in any Tribunal actions but is
rather a form of pressure to get the bar low enough to assure the show
trial's proper result. In Bosnian Serb General Krstic's case, the
Tribunal found Krstic guilty of genocide by making it virtually the
same thing as ethnic cleansing, and extending the concept to killing
only armed men in a single small town!

Assuming that this was a valid case of genocide, Sullivan alleges that
an "acquittal would have serious consequences for attempts to prosecute
genocide in the future." If it isn't a valid case of genocide it
wouldn't interfere with future efforts at all. However, if it is a
corrupt case brought by an alliance that actually carried out the
"supreme crime" of aggression in violation of the UN Charter in
attacking Yugoslavia, using the Tribunal first as a war-facilitating
instrument and then as a means of justifying the aggression, losing the
case would be a plus for the international rule of law. This is not
likely to happen, given the fact that the Tribunal is an arm of the
NATO powers, although the case made by the prosecution has been so weak
that it is not inconceivable that Milosevic might only be found guilty
of "crimes against humanity."

Great Powers and Genocide

What might really interfere with efforts to pursue genocide would be if
the United States or another major power engaged in genocide or gave it
support, as there are no mechanisms to prevent or punish acts such as
these in the New World Order, and major powers are essentially exempt.
Thus, the "sanctions of mass destruction" imposed by the U.S. and
Britain on Iraq from 1991-2002 killed four or five times as many
civilians as died from all causes in the Balkans wars of the 1990s, and
as Thomas Nagy and Joy Gordon have shown, these deaths were brought
about deliberately; and Suharto's and his successors' operations in
Indonesia and East Timor were big-time genocidal, but under Western,
and notably U.S. and British, protection. The problem of this exemption
does not occur to Sullivan.

Sullivan argues that "by far the most serious consequences of an
acquittal on genocide charges...would be for Bosnia's victims,"
ignoring the Croat and Serbian victims, of which there were many
thousands. (The largest single ethnic cleansing during the Balkan wars
was of Serbs driven out of the Krajina in August 1995, by the Croats,
with U.S. assistance; the largest proportionate ethnic cleansing in
those wars was of Serbs and other minorities, including Roma, driven
out of Kosovo by the KLA under NATO auspices after June 1999.) But even
in her own narrow terms of reference, how concerned are Bosnian victims
over this issue? How does Sullivan know about the victims' feelings? A
poll taken in Bosnia several years ago indicated that no more than six
percent of Bosnian Muslims, Serbs, or Croats considered the bringing of
war criminals to justice as important (Charles Boyd, "Making Bosnia
Work," Foreign Affairs, January ! 1998).

Furthermore, why would Bosnian victims need a successful "genocide"
charge and not be satisfied with guilt for "crimes against humanity?"
However, if the function of the trial is to prove the NATO war just, we
must have "genocide." Best, however, to pretend that it is concern over
the victims rather than NATO-establishment priorities that make the
charge of genocide so important.

Editor: John Gershman, Interhemispheric Resource Center (IRC)

(Ed Herman is an economist and media analyst. He has a regular "Fog
Watch" column in Z magazine. With Philip Hammond, he co-edited Degraded
Capability: the Media and the Kosovo Crisis (Pluto: 2000).)

Additional References

Thomas Nagy, "The Secret Behind the Sanctions: How the U.S.
Intentionally Destroyed Iraq's Water Supply," The Progressive,
(September 2001)
http://www.progressive.org/0901/nagy0901.html

Joy Gordon, "Economic Sanctions as Weapons of Mass Destruction,"
Harpers, (November 2002)
http://www.harpers.org/CoolWar.html


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of this website.
Published by Foreign Policy In Focus (FPIF), a joint project of the
Interhemispheric Resource Center (IRC, online at
www.irc-online.org) and the Institute for Policy Studies (IPS,
online at www.ips-dc.org). ©2004. All rights reserved.

Recommended citation:
Edward S. Herman, "Stacy Sullivan on Milosevic and Genocide," (Silver
City, NM & Washington, DC: Foreign Policy In Focus, May 28, 2004).

Web location:
http://www.fpif.org/commentary/2004/0405ssgenocide.html


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Da: "Abconlus" <info @ abconlus.it>
Data: Sab 29 Mag 2004 18:45:30 Europe/Rome
A: ABC - A, B, C, Solidarietà e pace <abcsolidarieta @ tiscalinet.it>
Oggetto: da ABC con foto allegate
Rispondere-A: <info @ abconlus.it>
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Una testimonianza dalla ex Jugoslavia

Domenica 23 maggio 2004, ore 8.
La famiglia Zuza cambia casa. Anzi, per la precisione, cambia Paese.
Dalla Serbia si trasferisce negli Stati Uniti, a Las Vegas. Sono quasi
dodici anni che vive in una stanza dell’hotel “Serbja” a Niska Banja,
piccolo centro a ridosso di Nis.
Moglie, Rajka, marito, Ljuban, due figli, Jovana e Miroslav, fuggiti
tutti da Konjic, tra Mostar e Sarajevo, all’inizio della guerra (1992).
Bosniaci, non hanno mai preso la cittadinanza serba ed è per questo che
ora il governo concede loro di andarsene. Altre quattro bocche da
sfamare in meno!
E’ l’Alto commissariato per i rifugiati dell’ONU che ha dato loro la
possibilità di emigrare.
Jovana è una nostra affidata e conosciamo da molto tempo la famiglia
Zuza.
Andiamo a salutarli. Saliamo gli scalini dei quattro piani del “campo
profughi” ed entriamo nella loro “casa”. Sono tutt’e quattro lì insieme
ai loro vecchi genitori.
Ci tratteniamo il tempo necessario per augurargli ogni bene. Lo
meritano.
Hanno il coraggio della disperazione indispensabile per un passo del
genere.
Ci ritiriamo.
Alle 8 prendono i loro bagagli e scendono per l’ultima volta le scale
dell’hotel “Serbja”.
Amici e parenti li aiutano a portare le valigie.
Arriva l’autobus.
La disperazione dei genitori, vecchi, che sanno di non poter più vedere
i loro figli; il pianto degli amici, giovani, che presto
dimenticheranno.
Andiamo avanti!
Salgono. L’autobus parte da Niska Banja diretto verso… Las Vegas.


[ CHI VOLESSE RICEVERE LE FOTO ALLEGATE PUO' RICHIEDERLE AD ABC - info
@ abconlus.it - OPPURE AL CNJ - jugocoord @ tiscali.it ]

IRAQ = JUGOSLAVIJA / 14


http://www.artel.co.yu/sr/izbor/krizna_zarista/2004-05-25.html

[ La traduzione italiana di seguito ]


SADAM VOLI COKOLADU

Spomenka Deretic, novinar
Beograd, 21. maj 2004. godine


Verujete li, zaista, da su Amerikanci uhapsili Sadama Huseina. Ja sam
se uverila da ne treba mnogo verovati angloamerickim saopštenjima ni
onom da je Sadamov Irak posedovao biohemijsko oružje za masovno
uništavanje, ni onom da su 1999. godine Albancima pretili humanitarna
katastrofa i genocid. U putanju su bili: Nafta, Trepca i po koja baza -
odskocna daska za dalje kolonizacije. Zar ne?
Sadamova sestra prepoznala brata na snimku koji je obišao citav svet !?
To je onaj snimak na kome se vidi kako americki lekari sa rukavicama
(da se ne zaraze, valjda) opipavaju zube i uši nekog bradatog,
vašljivog nesrecnika koji je u bunkeru preživeo nekoliko meseci -
jeduci cokolade ?! U tom prepoznavanju Sadamove sestre bilo je neceg
cudnog, jer bi sestra Iracanka pre pregrizla jezik nego što bi
prepoznala u nevolji. Americka vest da je u skrovištu navodni Sadam jeo
cokoladu sracunata je na izazivanje gneva kod Iracana cija deca zbog
sankcija deset godina nisu videla ni šecer a kamoli cokoladu. Ipak je
ova šaradu izazvala gnev Iracana samo prema okupatorima. Konacnu
potvrdu da Amerikanci nisu uhapsili Sadama Huseina, vec nekog od
njegovih dvadesetak dvojnika, dala je Sadamova žena Samira Tufa. Posle
susreta sa navodnim Sadamom u zatvoru u Kataru, gospoda Tufa je
izjavila da to nije njen muž.

Staljingradska bitka

Napad na Irak pocetak je kraja jednog sveta u kojem jedina super sila
može nekažnjeno da radi šta hoce. Cesto nazivana najsuperiornijom
armijom na našoj planeti, americka vojska ne može da pobedi iracke
borce za slobodu. Iracani se protiv okupatora bore sve bolje, a anglo
americke trupe sve bolje placaju najamnike. Psi rata, Amerikanci i
Britanci dobijaju 45000 dolara mesecno, dok mnogo manje dobija vojni
bašibozuk iz istocnoevropejskih zemalja. Loša je bila procena Americke
obaveštajne službe da ce se vecinski šiiti (60%) sukobiti sa manjinskim
sunitima (40%). Bez obzira na veru i za šiite i za sunite sloboda je
znacajnija od verskih razlika. U mnogim bitkama, u kojima su iracki
borci za slobodu porazili okupacione snage, Iracane su predvodili
Sadamovi oficiri. Za Amerikance je bitka za Irak ono što je za Nemce
bila Staljingradska bitka.
Sasvim sigurno popularnosti Amerikanaca u Iraku nije doprinelo to što
su svi pripadnici BAAS partije otpušteni sa posla. Još manje je
doprinelo mucenje zatvorenika po logorima i zatvorima. U javnost su
procurele samo fotografije na kojima se vidi kako Amerikanci i Britanci
zverski muce zarobljene Iracane u zatvoru Abu Garib, ali su neljudski
muceni i politicki zatvorenici u drugim zatvorima. Americka propaganda
pokušala je da zatamni zlocine svojih vojnika time što je u svet
poslala snimak na kojem navodni pripadnici Alkaide odsecaju glavu
mladom Amerikancu Niku Bergeru. Prilikom odrubljivanja glave nije
potekla ni kap krvi, što sugeriše da je u pitanju fotomontaža. Ako se
to poveže sa informacijom da je Bergera u Americi hapsio FBI jer je
arapski prijatelj, a u Iraku ga je hapsila CIA, onda se opravdano
postavlja pitanje kome njegova smrt najviše odgovara. Sve mi to lici na
Racak.
Na meti irackih boraca za slobodu su i kolaboracionisti, sakupljeni u
nacionalnom savetu (u njemu su šiiti pod vodstvom ajatolaha Sistinija,
šiiti koji nisu pod ajatolahovim vodstvom suniti, pravoslavni Asirci i
Kurdi). Borci za slobodi Iraka uspeli su cak da ispred glavne zgrade
usred Bagdada ubiju predsednika Vladajuceg saveta (irackog DOS-a)
Salima i još desetak funskcionera ! Pocelo je da puca izmedu
Amerikanaca i opozicionara iz Sadamovog vremena. Americki vojnici pre
neki dan su prestali da cuvaju (od irackih boraca za slobodu) poznatog
Sadamovog opozicionara Calabija. Nekadašnji disident Calabi izjavio je
da nezavisnost Iraka pretpostavlja potpunu iracku kontrolu nad
eksploatacijom iracke nafte. Da podsetimo, okupatori su izneli iz Iraka
naftu u vrednosti od oko 6 milijardi dolara a novac je upotrebljen za
izdržavanje okupacione vojske i kolaboracionista.
Amerikanci nešto pripremaju i Siriji, pošto su pobili 41 svata na
svadbi negde na zapadu Iraka. Amerikanci su kao opravdanje za taj
bezumni zlocin izjavili da su ubijeni, u stvari, bili pobunjenici sa
sirijskim pasošima. Medu poginulima je najviše bilo žena i male dece
koji nikako ne mogu da budu iracki borci sa sirijskim pasošima. Da li
je Sirija na redu?

---

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nešto da saopštite, obratite nam se - i obavezno potpišite!
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=== TRADUZIONE ITALIANA ===


A SADDAM PIACE IL CIOCCOLATO di Spomenka Deretic

(Sadam voli cokoladu)

Belgrado, 21 maggio 2004

www.artel.co.yu

Credete davvero che gli americani abbiano arrestato Saddam Hussein? Io,
ora, sono sempre più convinta che non bisogna credere molto agli
americani. Ne' a quello che dicevano sull’ Irak di Saddam - che
possedesse armi di distruzione di massa - e nemmeno a quanto dicevano
nel 1999 - che gli albanesi erano minacciati di una catastrofe
umanitaria e di genocidio.

In questione era il petrolio, Trepca (la ricca miniera nel Kosovo e
Metohija, N.d.t.) e qualche base – che serve da trampolino per
ulteriori colonizzazioni. Non è vero?

La sorella di Saddam ha riconosciuto il fratello su quella foto che ha
fatto il giro del mondo? Quella foto dove si vedono i medici americani
coi guanti (per paura di non infettarsi, forse) che palpeggiano i denti
e le orecchie di un disgraziato barbuto pieno di pidocchi,
sopravvissuto, nascondendosi per alcuni mesi in una buca... mangiando
il cioccolato?! C’è qualcosa di strano in quel riconoscimento di Saddam
in base ad una foto, da parte della sorella, perché una sorella
irachena prima si morderebbe la lingua piuttosto di riconoscere il
fratello in disgrazia.

La notizia americana secondo cui il presunto Saddam nel nascondiglio
avrebbe mangiato del cioccolato è calcolata per provocare l’ira presso
gli iracheni giacché i loro bambini, a causa delle sanzioni da una
decina di anni, non vedono nemmeno lo zucchero, figuriamoci il
cioccolato.

Tuttavia questa pagliacciata ha provocato soltanto rabbia verso gli
occupatori. L’ultima conferma che gli americani non hanno preso Saddam
Hussein, ma uno dei suoi 20 sosia, è venuta dalla moglie di Saddam,
Samira Tufa. Dopo l’incontro nel carcere del Qatar con il presunto
Saddam, la signora Tufa ha dichiarato che questo non è suo marito.
[Vedi anche, in proposito:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3424 ]

UNA BATTAGLIA DI STALINGRADO

L’aggressione all’Irak significa l’inizio della fine di un mondo, nel
quale una superpotenza può impunemente fare quello che vuole. Malgrado
sia sovente denominato l’"armata più potente sul nostro pianeta",
l’esercito americano non riesce a sconfiggere i combattenti per la
libertà irakeni. Gli irakeni combattono sempre meglio, mentre le truppe
angloamericane devono pagare sempre più profumatamente i loro
mercenari. I "cani da guerra" americani e britannici ricevono 45.000
dollari al mese - molto meno qualunque altro soldato dei paesi
est-europei...

Pessima è stata anche la valutazione della CIA, che pensava che la
maggioranza sciita (60%) si sarebbe scontrata con la minoranza sunnita
(40%). Nonostante la religione, sia per gli sciiti che per i sunniti,
la libertà è più importante della differenza religiosa. In molti
scontri gli irakeni che hanno vinto l’occupatore erano guidati dagli
ufficiali di Saddam. Per gli americani, la battaglia per l’Irak e' come
quella di Stalingrado per i tedeschi.

Sicuramente la popolarità degli americani non è aumentata con il
licenziamento dei membri del partito Baath. Tantomeno con la tortura
dei prigionieri nei lager e nelle prigioni. Al pubblico dominio sono
filtrate le foto delle torture effettuate dagli americani e dai
britannici sui prigionieri irakeni nella prigione di Abu Graib, ma ci
sono anche prigionieri politici torturati in altre prigioni. La
propaganda americana ha tentato di oscurare i crimini dei loro soldati
mandando al mondo un filmato dove presunti appartenenti ad Al Qaida
decapitano il giovane americano Nick Berg. Durante la decapitazione non
è schizzata neanche una goccia di sangue, il che indica che si tratta
di un fotomontaggio. Se a questo viene unita l’informazione secondo cui
Berg in America sarebbe stato arrestato dalla FBI perché amico degli
arabi, ed in Irak dalla CIA, allora giustamente ci si pone la domanda:
a chi conveniva la sua morte?

Tutto questo assomiglia alla "strage" di Racak.

Bersaglio dei combattenti irakeni per la libertà sono anche i
collaborazionisti, radunati nel consiglio nazionale (nel quale si
trovano anche gli sciiti con a capo l’ayatollah Sistani, gli sciiti che
non sono sotto la guida dell’ayatollah, suniti, assiri ortodossi e
curdi). I combattenti per la libertà dell’Irak sono riusciti ad
uccidere il presidente del Consiglio di governo (la DOS irakena),
Salim, ed un’altra decina di funzionari, di fronte all’edificio
principale al centro di Bagdad!
E' entrata in crisi la relazione tra gli americani e quella che era
l’opposizione nel periodo di Saddam. I soldati americani da qualche
giorno hanno smesso di proteggere il noto oppositore di Saddam,
Chalaby. L’ex dissidente Chalaby ha dichiarato che l’indipendenza
dell’Irak presuppone il completo controllo da parte irachena dello
sfruttamento del petrolio. Ricordiamoci che gli occupatori hanno
esportato dall’ Irak petrolio per un valore di 6 miliardi di dollari.
Il danaro è stato impiegato per il sostenimento della forza occupatrice
e dei collaborazionisti.

Gli americani stanno preparando qualcosa alla Siria, poiché sono state
uccise 41 persone ad un matrimonio nella parte occidentale dell’Irak.
Per giustificare questo folle crimine gli americani hanno dichiarato
che quei civili ammazzati erano invece dei ribelli con passaporto
siriano.

La Siria è la prossima?

http://www.polito.it/rsu/v040531.htm
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/torino310504.htm


Mercato della guerra: dall’Iraq al Piemonte
Guerra e globalizzazione
 


Lunedì 31 maggio 2004 ore 12:30-
Aula Magna Politecnico di Torino, corso Duca degli Abruzzi 24

Programma della conferenza

• Quale futuro per l’Iraq? - Sherif El Sebaie, redattore di AlJazira.it
• Conflitti dimenticati - Fulvio Poglio, redattore di Warnews.it
• Industria bellica e grandi opere: le mani sul denaro pubblico.-
Claudio Cancelli, docente Dipartimento di Ingegneria Aeronautica e
Spaziale- Politecnico di Torino
• Il mestiere delle armi in Piemonte - Francesco Bonavita, FIOM CGIL
Alenia.
• Ideologia del libero mercato, guerra e movimento per la pace.-
Vittorio Agnoletto (Forum Sociale Mondiale)

Modera il dibattito: Fulvio Perini- CGIL- Lavoro e società: cambiare
rotta


Ore 14:30

Proiezione dei film
‘L’arcobaleno e il deserto - Emergency in Iraq’ di Antonio Di Peppo e
Guido Morozzi durata 25 minuti
‘Fotoricordo’ di Tamara Bellone e Piera Tacchino durata 35 minuti
con interventi su "Cultura di pace e diritti umani" di collaboratori di
Peacereporter, Emergency, CGIL Lavoro e Società, AlJazera,
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, R.S.U. Politecnico.
 


Mercato della guerra: dall’Iraq al Piemonte- Guerra e globalizzazione

Guerra e globalizzazione sono processi intimamente correlati. La crisi
economica globale, molto precedente agli eventi dell’11 settembre,
affonda le proprie radici nelle riforme del “libero mercato” del “nuovo
ordine mondiale”. Fin dai giorni della “crisi asiatica” del 1997
abbiamo visto i mercati finanziari crollare, intere economie nazionali
franare, la rovina di interi continenti come l’Africa, interi paesi
(ricordate l’Argentina?) “distrutti” dalle politiche neoliberiste e
milioni di persone impoverite e private di dignità.
«Tra i vinti la povera gente faceva la fame. Tra i vincitori faceva la
fame la povera gente. Egualmente», scriveva Bertolt Brecht ne La guerra
che verrà. Ed infatti in tutti i Paesi occidentali cala il potere
d'acquisto dei salari, i programmi sociali sono tagliati, si tagliano
le spese per sanità, istruzione e previdenza, aumentano l'insicurezza
sociale delle famiglie in modo speculare alla paura per possibili
attentati.
Gli atti di guerra vengono annunciati come “interventi umanitari” volti
a restaurare la “democrazia”. L’occupazione militare e l’uccisione di
civili sono presentate come operazioni di “peacekeeping”. La
limitazione di libertà civili viene ritratta come un mezzo per
assicurare la “sicurezza interna” e sostenere la “libertà”. Queste
politiche si reggono sulla manipolazione dell’opinione pubblica.
“Guerra e globalizzazione” è un'iniziativa che non solo vuole ribadire
il rifiuto totale di tutte e azioni militari in corso, ma cerca anche
di affrontare i vari aspetti della guerra odierna e la sua intima 
correlazione con le politiche di globalizzazione neoliberista.
Un'iniziativa ricca di contenuti e controinformazione per
riappropriarci di ciò che è nostro: la nostra consapevolezza, la nostra
dignità, il nostro futuro.

il manifesto - 19 Maggio 2004

Un'illusione da superpotenza


A un anno dal saggio «Dopo l'impero», Emmanuel Todd torna ad analizzare
la decomposizione del sistema americano con «L'illusione economica». Un
incontro con il sociologo e demografo francese che spiega la sua
«profezia» del crollo a breve termine dell'egemonia americana
STEFANO LIBERTI

«Tra dieci o vent'anni nessuno parlerà più di impero americano».
Emmanuel Todd, sociologo e demografo francese formatosi all'università
di Cambridge, ha il tono fermo e sicuro. Già assurto agli onori delle
cronache alla fine degli anni Settanta per aver previsto con grande
anticipo e in splendida solitudine il dissolvimento dell'Unione
sovietica, ritenta il colpaccio e predice la fine a breve termine della
superpotenza unica. La sua tesi, espressa in un libro uscito l'anno
scorso (Dopo l'impero, Marco Tropea, 13 euro), riceve oggi una nuova
sistematizzazione con la pubblicazione dell'edizione riveduta e
corretta di un saggio che lo studioso aveva scritto nel 1998
(L'illusione economica, Marco Tropea, 13 euro), in cui tracciava le
linee teoriche del declino dell'egemonia degli Stati uniti. Secondo il
suo schema, quella statunitense è una superpotenza dai piedi argilla,
drogata da un deficit commerciale senza precedenti e da un drammatico
divario tra un consumo ipertrofico e una produzione a dir poco stitica.
Insostenibile dal punto di vista economico, questo sistema può essere
tenuto in piedi solo dalla conservazione di una supremazia politica che
passa per una sorta di «strategia della tensione planetaria»:
Washington cerca cioè di persuadere i suoi principali alleati -
l'Europa e il Giappone - della necessità del suo primato militare per
arginare le mire distruttive di pericolosi e infidi stati canaglia. Si
tratta di una linea d'azione che lo studioso definisce
«micro-militarismo teatrale», in base alla quale gli Stati uniti mirano
a mantenere l'egemonia schiacciando avversari insignificanti. È proprio
da questo aspetto che partiamo per una lunga conversazione con Todd nel
salotto del suo appartamento parigino.

L'occupazione dell'Iraq sta costando cara agli americani, sia in
termini di vite umane che finanziari. Più che di un intervento di
facciata sembra il caso di parlare di un'operazione bellica in grande
stile. Come si concilia questo scenario con la sua teoria?

Credo che, all'inizio, l'idea di andare in Iraq rispondesse
perfettamente alla dottrina del micro-militarismo. Se la Germania e la
Francia non avessero detto di no, gli Stati uniti avrebbero bombardato
Baghdad con l'approvazione delle Nazioni unite e con i soldi degli
alleati. Alla fine delle operazioni, sarebbero state mandate le truppe
di altri paesi a pattugliare il terreno, come accade oggi in Bosnia e
in Kosovo. Si sarebbe cioè verificata la stessa situazione della guerra
del Golfo del 1991 o degli interventi nella ex Jugoslavia. A un certo
punto, però, le cose hanno preso una piega imprevista: Parigi e Berlino
si sono opposte, persino la fedelissima Turchia non ha permesso il
transito delle truppe sul suo territorio. Nel momento in cui gli
alleati si sono tirati indietro, le élite americane avrebbero dovuto
capire che l'intervento in Iraq si sarebbe rivelato controproducente.
Avrebbero dovuto fermarsi. E, in tutta franchezza, io pensavo che si
sarebbero fermate. Questo è il principale punto debole della mia
teoria: è troppo razionale. Per la sua elaborazione, mi sono fatto
influenzare dalla lettura degli strateghi realisti americani, senza
tener conto che oggi negli Stati uniti il potere è in mano a ideologi
che agiscono in base a impulsi spesso irrazionali.

La guerra in Iraq sarebbe quindi una mossa irrazionale da parte di una
superpotenza in crisi? Nella decisione di intervenire non avranno
pesato di più ragioni di carattere geopolitico o strategico?

In generale respingo quelle visioni che sopravvalutano la potenza
americana individuando un disegno coerente e occulto in tutte le sue
mosse. Interpretazioni di questo tipo ci impediscono di penetrare il
mistero della politica estera statunitense, la cui soluzione va
ricercata dal lato della debolezza, non da quello della potenza. Credo
che la vicenda irachena segni una svolta semplicemente perché si è
passati da una strategia della tensione diplomatica a una pratica reale
della guerra. Si tratta di una fase avanzata, che mostra il sempre
maggiore spaesamento di una potenza in affanno. E che, a mio avviso,
non farà che accelerare il crollo finale. Questo è il grande paradosso:
Bush e i neo-conservatori, che sono coloro che più sfacciatamente hanno
portato avanti una strategia imperialista, passeranno alla storia come
i becchini dell'impero americano.

Ritiene davvero il crollo finale così vicino?

Mi sento di dire che la tendenza è già iniziata. Basta guardare le
continue sconfitte diplomatiche americane: la formazione dell'asse
franco-tedesco, il no turco, il ritiro degli spagnoli. Tutti questi
fallimenti sono stati possibili perché Washington non ha i mezzi
finanziari per punire i recalcitranti. Il che ci mostra una grande
verità, raramente messa in luce: non sono gli altri a dipendere dagli
Stati uniti, ma piuttosto il contrario. Venuta meno la supremazia
politica, la grande bolla americana si sgonfierà rapidamente.

Quali sono gli elementi in base ai quali giudica ineluttabile la fine
dell'egemonia americana?

L'analisi del declino dell'impero va condotta su due piani diversi,
strettamente interconnessi. Da una parte, dal punto di vista economico,
gli Stati uniti non hanno futuro: Washington ha un disavanzo
commerciale di diversi miliardi di dollari con quasi tutti i paesi
importanti del mondo. Se rapportiamo tale deficit alla produzione
industriale, vediamo che gli Usa dipendono per il 10 per cento del loro
consumo industriale da beni la cui importazione non è coperta
dall'esportazione di prodotti nazionali. Si tratta di un processo
rapidissimo, se si pensa che dieci anni fa questo deficit era ancora
del 5 per cento e che, soprattutto, alla vigilia della depressione del
1929 negli Stati uniti era concentrata quasi la metà della produzione
manifatturiera mondiale. A questo calo produttivo corrisponde poi un
degrado culturale: il livello di istruzione della popolazione americana
è oggi in caduta libera. Qualche giorno fa sul New York Times c'era un
articolo che riportava con inquietudine la notizia che gli americani
erano stati superati dagli europei in termini di pubblicazioni
scientifiche. Quando si parla di pubblicazioni, si fa riferimento a
ricercatori affermati. È solo la punta visibile di un iceberg, il segno
evidente di un processo cominciato diversi anni prima.

A quando si può far risalire l'inizio del riflusso?

L'ingresso degli Stati uniti in una fase di ristagno culturale è un
processo lento e progressivo che si afferma tra il 1980 e il 1990, ma
che giunge a compimento solo verso il 2000. Questo abbassamento del
livello culturale è alla base di diversi fenomeni regressivi che si
manifestano a partire dagli anni Ottanta: l'aumento del numero dei
detenuti e della condanne a morte, la ricomparsa dei creazionisti
ostili alle teorie di Darwin, la rimessa in discussione dell'aborto, il
successo di un cinema d'azione violento e sanguinario... È nello stesso
periodo che Washington ha cominciato ad attuare il micro-militarismo
teatrale, a condurre o minacciare guerre in zone remote del mondo.
Questi interventi sono volti a riaffermare l'egemonia, a consolidare
quello che nel 1991 veniva definito con enfasi il «nuovo ordine
mondiale». Ma hanno anche un'utilità in chiave interna. Da un punto di
vista strettamente psicoanalitico, queste azioni militari sembrano
poter rispondere alla definizione di sacrificio fornita da René Girard:
non espongono l'officiante e il suo pubblico ad alcuna rappresaglia, ma
consentono di espellere all'esterno la violenza della comunità.

Dalle sue parole, sembra di capire che il crollo è cominciato in
concomitanza con la fine della guerra fredda. È come se la dissoluzione
dell'Unione sovietica dovesse necessariamente determinare quella
dell'altro grande impero...

In effetti i due sistemi si sono supportati e indeboliti a vicenda.
L'esistenza di un'ideologia universalista come quella comunista ha
spinto i dirigenti occidentali a portare avanti un modello di
capitalismo controllato, in cui le disuguaglianze venivano limitate.
Una tendenza che, con il venir meno dell'Unione sovietica, è stata
bloccata. Inoltre, la vittoria della guerra fredda ha generato
un'euforia incredibile tra gli americani e interrotto ogni riflessione
critica sulle debolezze del loro sistema. In un certo senso potremmo
dire che il crollo dell'Urss ha dato il colpo di grazia agli Stati
uniti: i dirigenti americani hanno vissuto dieci anni nell'illusione
della superpotenza e non hanno minimamente pensato a ristrutturare il
proprio apparato economico ed educativo. In questo contesto, non ci si
può sorprendere che i responsabili politici comincino a comportarsi in
modo irrazionale; si rifugiano nella religione e fanno errori di
valutazione giganteschi.

L'attuale fase di smarrimento è frutto di scelte sbagliate di dirigenti
incompetenti o il segno di una deriva generalizzata della società
statunitense?

Non credo ci siano dubbi che Bush e i suoi consiglieri neo-conservatori
abbiano un problema di carattere intellettuale e psicologico. Ma ciò
che colpisce di più è la passività della popolazione americana; la
facilità con cui essa si fa manipolare dai suoi politici: con
pochissime eccezioni, i giornalisti e gli accademici hanno tutti
appoggiato la guerra in Iraq, sposando la tesi inconsistente delle armi
di distruzioni di massa di Saddam Hussein. Questa facilità di
manipolazione, che è legata al degrado culturale cui accennavo prima,
ha fornito un senso di onnipotenza all'amministrazione, che ha creduto
di poter influenzare allo stesso modo l'opinione pubblica e le élite
dei paesi alleati. A questo proposito, mi pare importante sottolineare
che tutti i fallimenti diplomatici americani sono legati a progressi
democratici: in Germania il cancelliere Schröder è stato riletto per la
sua opposizione alla guerra in Iraq, in Turchia è stato il parlamento a
esprimersi contro il passaggio delle truppe Usa sul territorio, in
Spagna è di nuovo un voto popolare a far cadere il governo
filo-americano del Partido Popular. Siamo di fronte a una situazione
paradossale: da una parte ci sono gli americani che pretendono di
portare la democrazia in tutto il mondo a suon di bombe; dall'altra
popoli interi che per via democratica mettono in scacco questa politica.

L'ultimo grande smacco è venuto dalla Spagna. La decisione del nuovo
premier José Luis Rodriguez Zapatero di ritirare le truppe dall'Iraq
potrebbe avere un effetto domino devastante per gli americani...

Credo che l'importanza delle elezioni spagnole non sia stata
giustamente sottolineata. La reazione agli attentati dell'11 marzo a
Madrid è stata straordinaria: invece di piombare nel razzismo
anti-arabo, gli spagnoli hanno deciso di punire le menzogne del loro
governo. Con questo voto, gli elettori iberici hanno rotto il ciclo
della violenza. Hanno avuto una reazione opposta a quella degli
americani all'indomani dell'11 settembre 2001.

Se davvero la superpotenza unica è destinata a declinare, quale
fisionomia assumerà in futuro il paesaggio geopolitico mondiale?

Oggi gli Stati uniti rappresentano un elemento di profonda instabilità
per il mondo intero. Sono nella situazione di un equilibrista che non
sa come mantenere il proprio equilibrio. Ma se guardiamo al resto del
pianeta, osserviamo un movimento di stabilizzazione generale: l'Europa,
la Cina, il Giappone sono perfettamente stabili, la Russia sta
ritrovando un suo ruolo. L'unica incognita per il futuro è proprio
l'America: bisogna vedere se Washington accetterà pacificamente la fine
della sua egemonia o continuerà ad alimentare l'incertezza e i
conflitti.

Non ritiene possibile un raddrizzamento di rotta da parte degli Usa?
Una presa di coscienza della propria dipendenza economica e un rilancio
controllato della produzione per evitare la catastrofe?

A livello intellettuale questo dibattito ha già avuto luogo. Negli anni
Ottanta, prima dell'euforia post-guerra fredda, si parlava della
riorganizzazione dell'apparato industriale. In termini tecnici, la cosa
è fattibile. Ma in termini pratici non è facile: una tale inversione di
rotta comporta una gigantesca ridistribuzione interna delle ricchezze.
Tanto per fare un esempio, i salari degli ingegneri aumenterebbero
sensibilmente, mentre quelli degli avvocati internazionali subirebbero
una profonda inflessione. Il problema è che le classi più elevate della
società americana beneficiano in modo così massiccio del sistema
economico internazionalizzato, globalizzato e liberale che
difficilmente accetteranno un tale cambiamento.

( Sullo stesso argomento vedi anche:

http://www.salvaimonasteri.org/

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3521 )

---

http://www.liberazione.it/giornale/040528/default.asp

Liberazione, 28 maggio 2004

Kosovo, pulizia etnica contro l'arte

Sull'apostolo Pietro affrescato nel XIV secolo nel monastero di Matejce
hanno disegnato gli occhiali e ci hanno scritto Maradona. E' accaduto
in Macedonia e non è certo il peggio che sia capitato a ciò che resta
dell'arte sacra bizantina, soprattutto nel Kosovo che ne è cuore. Dalla
guerra del '99 sono state distrutte, infatti, circa 130 chiese e trenta
di esse sono state colpite durante la caccia al serbo che ha
insanguinato la regione dal 17 al 20 marzo scorso. Muri, dipinti,
antiche icone, oggetti di culto, crocifissi rovinati da incendi e
metodiche distruzioni. La cattedrale della Madonna Ljeviska a Pristina
è andata in fumo dietro il filo spinato che i militari tedeschi della
Kfor avevano lasciato come sua unica difesa.

Una volta la violenza perseguitava gli albanesi e le moschee, ora
l'estremismo della parte opposta sta "ripulendo" il territorio dalla
minoranza etnica e si accanisce contro i simboli della sua religione.
E' proprio vero che la guerra non finisce mai di dimostrarsi rimedio
peggiore del male. I monaci e le suore vengono costretti a sloggiare e
insieme a loro rischia di svanire una porzione preziosa dell'arte
europea. «Non c'è soltanto Giotto nella cultura d'Europa - osserva lo
storico dell'arte Valentino Pace -, questi monumenti sono paragonabili
alla Cappella degli Scrovegni, alla Piazza dei Miracoli o ad Assisi. La
Chiesa ortodossa serba è sempre stata ricca di committenze artistiche».

Eppure sulle rovine di chiese e monasteri di grandissimo valore è
calato il silenzio, così come si parla poco della tragedia
"postbellica" del Kosovo. Fanja Paijc, docente dell'Università di arti
applicate di Kragujevac, è stata tra i primi a far giungere un grido di
allarme alla cultura internazionale. I monaci del monastero di Decani
si sono attrezzati da cybernauti per far conoscere la tragedia della
loro comunità mentre in Italia lo sdegno manifestato da Massimo
Cacciari ha contribuito a far nascere due iniziative, una parlamentare
e l'altra di intellettuali, storici dell'arte, ricercatori, registi,
artisti e politici. L'appello del filosofo veneziano è stato già
sottoscritto da centinaia di personalità ed è nato così' "www.
salvaimonasteri. org" - tramite il sito tutti possono aderire -, con
l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica e mobilitare energie
e risorse. La regista Elisabetta Valgiusti è in partenza alla volta del
Kosovo per "girare" sul campo; sono state raccolte informazioni
dettagliate sul monastero dei Santi Arcangeli a Pristina, dove i monaci
si sono accampati nelle tende per presidiare l'edificio. Da pochi
giorni l'impresa Redenco si è impegnata a fornire i materiali per il
restauro. In Kosovo opera già la Ong Intersos che, sotto la
supervisione dell'Istituto centrale per il restauro, sta curando
interventi di conservazione nel patriarcato di Pec e nel monastero di
Decani. Intanto la Commissione esteri della Camera ha approvato una
risoluzione per la «salvaguardia del patrimonio artistico cristiano nel
Kosovo». L'Italia infatti c'entra molto: i nostri militari fanno parte
della Kfor, la forza Nato ancora alle prese con la tormentata regione.

Ne tiene ben conto Sava Janijc, vice abate del monastero di Decani, che
ieri ha partecipato insieme a Andrej Sajc a due conferenze, una a
Montecitorio promossa dai parlamentari Verdi, dPrc, Ds e di altri
gruppi, e l'altra presso l'organizzazione cattolica "Russia ecumenica".
Il religioso ortodosso chiede che le truppe di interposizione vengano
accresciute di numero e di potere - cioè con un chiaro mandato a
proteggere i serbi -, ma non dimentica affatto l'errore dell'intervento
armato contro la Serbia. Ecco come ci ha descritto la situazione: «Non
ci sono soltanto abitanti frustrati ma una vera sommossa organizzata. A
marzo molti erano armati. In base alle nostre informazioni almeno
diecimila terroristi (così li definisce, ndr) sono pronti a nuove
azioni. Il numero dei soldati non è sufficiente a organizzare pattuglie
ovunque. E' in atto un tentativo di unificare tutti i territori abitati
da albanesi. E' davvero assurdo che la Serbia, bombardata nel '99, oggi
sia il paese più multietnico dei Balcani mentre i territori albanesi
sono stati "ripuliti" degli altri. Ciò dimostra come la guerra ha
aiutato un altro estremismo». Gli domandiamo se non sia un paradosso
chiedere protezione proprio alla Nato e il monaco ci risponde: «Certo
la guerra non era la migliore soluzione, ma adesso, guardando le cose
in modo realistico, la Kfor è l'unica forza che possa fronteggiare il
terrorismo organizzato albanese e proteggerci da una pulizia etnica».
Nelle parole del religioso e nelle reazioni dei giornalisti serbi che
lo attorniano si avverte tutto il peso di una lacerazione profonda. Tra
gli italiani, qualcuno prova a inzupparci il pane, parlando di "difesa
della cristianità" e dell'Europa cristiana. Luana Zanella, parlamentare
verde, replica immediatamente che chi si è opposto alla guerra non
vuole certo lo scontro di civiltà e sogna invece di tornare alla
convivenza esemplare di etnie e religioni che era l'orgoglio di
Sarajevo.

Padre Sava Janijc riconosce che «nei Balcani l'Islam è presente da
oltre 500 anni e - aggiunge - credo che la convivenza sia possibile»,
però «adesso in ambito islamico prevale una tendenza "militante" che è
incompatibile con i valori europei». «Se le comunità islamiche -
continua - non saranno capaci di liberarsi da questo estremismo la
convivenza sarà impossibile. Dobbiamo rafforzare le forze più moderate
ma quelle intanto dovrebbero condannare la distruzione dei monumenti
cristiani». Conflitto etnico o religioso? «E' un conflitto complesso -
sostiene l'abate -, in sostanza è scontro etnico ma, siccome per la
comunità serba il vero pilastro è la Chiesa, l'estremismo albanese
punta contro di essa». E il monaco non prevede nulla di buono nemmeno
per i pochissimi cattolici della zona.

Nel ginepraio kosovaro restano molte persone da salvare. Ed anche molti
monumenti che appartengono alla cultura di tutti, non solo dei
cristiani.

Fulvio Fania

---

http://www.salvaimonasteri.org/stampa_11.htm

INFORMAZIONI CIRCA L’ACCERTAMENTO DELLA SITUAZIONE PER LA FORMULAZIONE
DI URGENTI MISURE DOPO LE VIOLENZE NEI RIGUARDI DEL PATRIMONIO
CULTURALE IN KOSOVO E METOHIJA

Per l’accertamento della situazione sono stati scelti, in
considerazione sia della loro importanza che delle notizie allarmanti
sui danni subiti, i monasteri dei Santi Arcangeli presso Prizren, la
chiesa della Vergine di Ljevisa a Prizren e il monastero di Devic’

Sabato 27 marzo 2004 Zoran Garic' e Jovica Lukic', sotto la scorta dei
soldati francesi della KFOR, sono partiti con l'incarico di accertare
la situazione dei monumenti, verificare i danni arrecati e valutare le
possibilità di recupero

DEVIC'

Dall’esame relativo alla situazione del complesso si può concludere che
il monastero è stato saccheggiato e poi incendiato. E’ evidente lo
scopo degli estremisti albanesi di cacciare le monache dal monastero,
saccheggiare i corredi, e poi incendiarlo fino a distruggere
disperdendole le tracce dell’esistenza di questo luogo sacro.
Vanno in questa direzione i seguenti elementi:
-Il cimitero monasteriale sul sagrato è stato devastato, e tutti i
monumenti sulle tombe sono stati distrutti
-dalle stazioni per il pompaggio dell’acqua è scomparso il corredo, con
attento smontaggio delle installazioni
- non ci sono più gli alveari delle api, ma in questo luogo non ci sono
neppure tracce di incendio
- dai laboratori del monastero sono stati rubati i computer e la
strumentazione per l’esecuzione di icone, croci e altri oggetti in legno
- è stato ucciso il bestiame, rubate le riserve alimentari per gli
animali e incendiato il granaio
- sono stati rubati circa 10 mc di legno immagazzinato nel portico del
monastero
- è stato rubato o incendiato tutto l’arredo e i mobili
Sul fatto che tutta l’azione sia stata preventivamente pianificata e
pensata testimonia anche il fatto che il tetto della chiesa, che non è
bruciato, è stato sistematicamente abbattuto.
Situazione della chiesa monasteriale
Gli estremisti albanesi hanno per prima cosa demolito la chiesa, e poi
dato alle fiamme l’iconostasi e il mobilio in legno.
Malgrado l’incendio, si possono trovare protette parti delle icone e
della costruzione dell’iconostasi. La struttura delle volte della
chiesa è conservata. Nella cappelletta di San Giovanni di Devic’ è
stato profanato il ciborio, bruciate le icone e il mobilio, e lo spesso
strato di fuliggine che ricopre gli affreschi rende impossibile vedere
il grado del loro danneggiamento. La situazione descritta comprende
anche le pitture murali conservate nella zona della chiesa presso
l’entrata nella cappella. Le parti annesse alla chiesa dalla parte
nord, che avevano un piano costruito in legno, sono bruciate e del
tutto devastate (è bruciata la struttura tra i due piani e quella pure
in legno del tetto) . Tutti gli elementi in legno – le cornici delle
finestre e le porte- sono completamente bruciati. Non sono stati
incendiati ma devastati gli elementi costruttivi del tetto.
Situazione delle costruzioni nel portico del monastero
- Il campanile : anche se non è stato devastato, non abbiamo ritrovato
la campana.
- gli alloggi : entrambi i fabbricati sono stati incendiati e di
entrambi sono restati solo i muri.
- parti della cappella invernale: l’abside, il tamburo con la calotta
della cupola e parte del pavimento costruito in cemento armato, si sono
conservati, mentre i restanti elementi costruttivi in legno- la
struttura dei piani, le finestre e le porte, come anche la struttura
del tetto, sono bruciati. In alcuni punti ancora bruciavano i resti
della struttura in legno incendiata
- il refettorio: è stato devastato e incendiato, così che ne sono
rimasti solo i muri e parti della costruzione in cemento (colonne,
travi che sostenevano il tetto). Il bagno è stato totalmente distrutto
- laboratori del monastero: devastati e incendiati
- edifici economici: nell’incendio sono state del tutto distrutte le
stalle, i granai e i depositi
- il sistema idrico: le stazioni per l’approvigionamento di acqua non
sono state distrutte, ma gli arredi sono stati saccheggiati. Sono state
distrutte le tavole di distribuzione, cosicché entrambe le riserve di
acqua potabile sono restate senza acqua. Entrambi i bacini per l’acqua
si sono conservati
L’intero sistema elettrico è stato distrutto dall’incendio, così che
nel monastero non c’è energia elettrica.

Bogorodica Ljeviska

Si è in primo luogo osservato che sono stati rimossi gli ostacoli e che
pertanto il traffico urbano si svolge senza interruzioni presso la
chiesa, per cui è ancor più minacciata la pittura dell’esonartece. E’
sbalorditivo il fatto che la chiesa non sia stata protetta né dalla
polizia né dalla KFOR, e che la sola protezione sia stata fornita dal
filo spinato e dall’armatura che circonda il portico e i passaggi. Per
tale ragione non siamo potuti entrare nella chiesa per accertare la
situazione al suo interno, per cui l’informazione è incompleta. Quello
che si è riuscito a vedere sulle facciate e in parte attraverso le
finestre è ciò che segue:
- Il tetto e la copertura della chiesa sono del tutto conservati. Anche
sulle facciate non si riscontrano danni meccanici, ma sono nelle parti
della facciata sopra alle finestre visibili strati di fuliggine in
conseguenza dell’incendio provocato all’interno. La fuliggine è
particolarmente riscontrabile nella facciata occidentale, soprattutto
sul campanile, come anche nelle parti inferiori delle facciate
longitudinali. E’ danneggiata parte della bifora nel piano superiore
del campanile e parte delle struttura metallica delle finestre è caduta
a causa dell’incendio.
- Sulla base di tali osservazioni si può ipotizzare in modo abbastanza
credibile come è stato appiccato l’incendio. Siccome sopra il nartece
si trovava il catecumenio al quale si accedeva con una scala di legno
dalla navata meridionale e che aveva una struttura di legno fra i
piani, l’ipotesi è che proprio qui sia stato appiccato l’incendio, che
successivamente ha interessato il campanile, gli scalini e le due
piattaforme del campanile, come anche le tre porte d’entrata dal
portico. Particolarmente preoccupa il fatto che proprio nel nartece si
conserva la galleria dei ritratti dei Nemanja dell’inizio del ‘300, e
che nelle cappelle e nel catacumenio si trovava una pittura unica
nell’ambito del nostro patrimonio culturale, sulla cui situazione in
questo momento non si può dire niente di preciso.
- La devastazione portata avanti con danneggiamenti meccanici e poi con
l’incendio, che si riscontra nelle fotografia relativa allo stato dei
frammenti di pittura del XIII secolo con la raffigurazione della
Vergine con il Cristo nutritore e alla profanazione della mensa sacra,
rivelano che l’incendio è stato appiccato dopo profanazioni. Ciò
testimonia su un atto pensato e totalmente preventivato.
- E’ interessante il fatto che nella pittura del portico non abbiamo
evidenziato tracce di danni meccanici né da incendio. I cambiamenti
sono dovuti solo alla cenere colata dall’interno della chiesa
attraverso i tre passaggi. Sotto il portico oggi c’è un filo spinato di
protezione

Monastero dei Santi Arcangeli

Per ragioni di sicurezza non è stato possibile accedere a tutti gli
spazi degli alloggi, così che la valutazione dei danni non si può
fornire con sicurezza. In ogni modo l’alloggio è stato devastato e
incendiato, e del tutto distrutto il laboratorio del monastero situato
nella parte a sudest del sagrato. Il monastero non aveva campanile, per
cui la campana era sistemata in una struttura metallica tipo
impalcatura. Oggi la struttura è abbattuta, e la campana danneggiata
giace a terra.
- I resti degli edifici medievali non sono stati esposti alla
distruzione e all’incendio. Non è stata neppure danneggiata la lastra
di marmo sulla tomba dell’imperatore Dusan.
Alloggio del monastero:
è stato subito saccheggiato,profanato e incendiato nello stesso momento
nel portico e nel sotterraneo. Sono state bruciate tutte le parti in
legno degli alloggi. Tutte le celle, il salone, le stanze del vescovo e
dell’igumano sono state del tutto distrutte. Nella cappella è bruciata
l’iconostasi e l’arredo ligneo, ma nonostante sia bruciato l’intonaco
si è conservata tutta la struttura delle volte e della cupola.
Laboratori del monastero:
Gli elementi in legno della facciata e della struttura del tetto sono
del tutto bruciati. L’importante arredo è bruciato con l’edificio. Sono
restate solo parti del bastione e del parapetto costruiti in pietra ,
come anche il camino.
Tutte le installazioni sono bruciate.

(inviata da Sanja Pajic’. Le informazioni sono a cura del CENTRO DI
COORDINAMENTO DI SERBIA E MONTENEGRO E DELLA REPUBBLICA DI SERBIA PER
IL KOSOVO E METOHIJA)

---

http://www.salvaimonasteri.org/stampa_08.htm

UN CAPOLAVORO VIOLENTATO

Dopo i recenti disordini in Kosovo abbiamo tentato di fare un bilancio
dei danni al patrimonio artistico: tra i tanti monumenti danneggiati la
cattedrale della Madonna Ljeviska di Prizren, con affreschi
importantissimi del XIII e XIV secolo. E’ stata incendiata nel
pressochè totale disinteresse della comunità internazionale.

ROMA – Guardando le immagini dell’incendiata cattedrale della Madonna
Ljeviska di Prizren e degli affreschi pesantemente danneggiati, la
sensazione è di profondo sconforto. Anche perchè sarebbe bastato che la
forza militare internazionale presente sul territorio, la Kfor tedesca,
non avesse lasciato sguarnita la postazione di difesa della chiesa.
Molti altri luoghi di culto sono stati danneggiati, tra questi, sempre
a Prizren, la Chiesa di San Nicola e la Chiesa del Salvatore, entrambe
risalenti al XIV secolo. I danni più ingenti sono però quelli alla
cattedrale e ai suoi affreschi medievali.
Dice il professor Valentino Pace, docente di storia dell’arte medievale
all’Università di Udine, con cui avevamo parlato prima di avere la
conferma del danneggiamento degli affreschi: “Questi affreschi sono un
capolavoro assoluto: un po’enfaticamente potremmo dire che per la
storia dell’arte hanno la stessa importanza della Cappella degli
Scrovegni. C’è una splendida galleria di ritratti storici della
dinastia regnante serba, i Nemanja, che risale al XIV secolo. Sono
rappresentati il fondatore della dinastia, Simeone, diventato monaco
del Monte Athos (era questa una tradizione dei sovrani serbi, che a un
certo punto del loro regno abdicavano e si facevano monaci) e altri
esponenti della sua famiglia, vescovi e re. Un altro affresco molto
importante nella chiesa è la Madonna col bambino cosiddetto nutritore,
che cioè distribuisce una sorta di manna ai fedeli, risale al XIII
secolo”.
Proprio questi affreschi sono stati purtroppo danneggiati
dall’incendio: il soffitto ligneo sovrastante la galleria dei Nemanja è
bruciato provocando danni ingenti. Almeno la figura centrale con re
Simeone sembra essersi salvata interamente, la stessa cosa non si può
dire purtroppo delle figure accanto. Per quanto riguarda la Madonna
duecentesca, essa sembra essere stata scalpellata nella parte inferiore.
“Il Kosovo -ci aveva detto il professor Pace- è la culla della cultura
serba. Ma al di là del significato simbolico che ha per i serbi, ospita
le maggiori testimonianze dell’arte bizantina, insieme a Costantinopoli
e Salonicco. Purtroppo ho notato un disinteresse sconcertante nella
comunità internazionale, anche fra gli specialisti. Parlando con dei
colleghi inglesi alcuni giorni dopo gli scontri, essi mi hanno detto
che non avevano saputo niente delle distruzioni. I media non si sono
praticamente occupati della questione, al di là di generici cenni a
distruzioni di luoghi di culto. Ma una cosa è che venga bruciata una
chiesa degli anni Cinquanta, altra è che si tenti di incenerire un
patrimonio dell’umanità come la chiesa di Prizren. Il problema è che in
Occidente non si riconosce molto l’importanza dell’arte bizantina e
quindi per Giotto giustamente ci si muove e ci si dispera, per i grandi
e spesso anonimi maestri bizantini non ci si scompone più di tanto o,
peggio, li si ignora completamente”.
Per quanto riguarda la situazione attuale in Kosovo il problema è
simile a quello delle colonie israeliane in Palestina: i monumenti
serbi sono sparsi a macchia d’olio su un territorio ostile a
maggioranza albanese. I rancori sono ancora molto forti: i serbi, da
una parte, si sentono accerchiati, gli albanesi da parte loro vivono la
presenza serba come il ricordo di una vecchia oppressione. Per questo,
e per l’oggettiva importanza artistica di molti siti, è importante che
la Kfor funzioni da forza di interposizione e di presidio delle zone
più facilmente individuabili come bersaglio dell’odio etnico-religioso.
In questo caso purtroppo il meccanismo difensivo non ha funzionato: ne
hanno fatto le spese, oltre naturalmente ai molti morti e feriti tra la
popolazione, anche gli affreschi di Prizren.
Le notizie finora disponibili erano molto vaghe, ma preoccupanti. Si
era parlato di monasteri e chiese incendiati, dopo che il 17 marzo
scorso la spirale di violenza si era riaperta in Kosovo con
l’annegamento di tre bambini albanesi, sospinti in un fiume da
altrettanti coetanei serbi. Erano seguiti gravi disordini che avevano
portato ad alcune decine di morti e si era temuto lo scoppio di un
nuovo conflitto nell’area balcanica. La Kfor ha ricevuto dei rinforzi e
fortunatamente la situazione sembra ora essersi normalizzata. Anche se
questi rigurgiti di violenza feroce e improvvisa non fanno certo star
tranquilli.

“I danni alla chiesa di Prizren – dice il dottor Alessandro Bianchi,
dell’Istituto centrale per il restauro- sono evidenti. Io sono stato a
Pec, nella zona di occupazione italiana, dove ho lavorato al restauro
del patriarcato e della moschea Bayrakli. Lì mi sembra che i monumenti
non siano così vulnerabili, altrove però non so se è così. Anche la
ricostruzione dei monumenti danneggiati può però causare danni molto
gravi: il complesso della Moschea Hadum di Gjakova ad esempio,
costruito nel 1595, composto oltre che dalla moschea vera e propria
anche da una biblioteca storica e da una madrasa, era stato duramente
attaccato dai serbi nel 1999. Un progetto finanziato dai sauditi
prevedeva la demolizione e ricostruzione della madrasa e della
biblioteca (la moschea fortunatamente non aveva subito danni
importanti, così si è potuta salvare sia dalla guerra sia dai
restauratori) La bilbioteca, risalente all’inizio del secolo XVIII, era
sopravvissuta all’attacco per oltre il 60%: una situazione ideale per
un recupero che salvaguardasse il valore formale e storico del
monumento e nello stesso tempo la memoria del terribile evento. Invece
è finita tout court sotto un bulldozer, annullata. Nel territorio serbo
invece più che le azioni belliche (non si registrano danni causati
direttamente dalla guerra del 1999) si manifestano le conseguenze degli
anni di comunismo e poi dell’autocrazia nazionalistica.”

Le foto dei danni agli affreschi e alla chiesa, di per sè evidenti,
provengono dal sito della diocesi di Prizren www.kosovo.com, sulla cui
attendibilità non abbiamo notizie certe. Un ringraziamento particolare
per il reperimento preliminare delle notizie va alla professoressa
Alessandra Guiglia, docente di storia dell’arte bizantina
all’Università La Sapienza.

(english / italiano)

Esaurimento nervoso:
si dimette il governatore della colonia del Kosovo


1. Si dimette il capo dell'UNMIK (dispacci ANSA)
2. Anche il capo della KFOR - il tedesco Kammerhof - se ne va con un
mese di anticipo (articoli in inglese)
3. Sara' francese il prossimo comandante delle forze di occupazione
(ANSA)


Sui precedenti capi dell'UNMIK, vedi tra l'altro:

Nominato il nuovo governatore straniero della colonia
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2659
L'unico successo della missione di Michael Steiner
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2976
Le avventure amorose di Michael S.
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2426
Governatore numero due: Michael Steiner
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2628
UNMIK Chief Michael Steiner has clearly said that Kosovo is not a
Serbian province
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2508
Steiner: esportare in Iraq la ricetta Kosovo
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2415
Le menteur de la semaine: Bernard Kouchner
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3027
The Trepca mining complex: How Kosovo's spoils were distributed
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1908


=== 1 ===

http://www.ansa.it/balcani

KOSOVO: SI DIMETTE HOLKERI, CAPO MISSIONE ONU

(ANSA-AFP) - HELSINKI, 25 MAG - Il capo della missione dell'Onu in
Kosovo, il finlandese Harri Holkeri, ha annunciato oggi di aver
presentato le sue dimissioni al segretario generale delle Nazioni Unite
Kofi Annan per motivi di salute.
In precedenza fonti politiche avevano preannunciato le sue dimissioni
motivandole con le critiche ricevute dopo i violenti scontri tra serbi
e albanesi avvenuti a marzo. (ANSA-AFP). MAO 25/05/2004
15:02

KOSOVO: SI DIMETTE HOLKERI, CAPO MISSIONE ONU (2)

(ANSA) - HELSINKI, 25 MAG - Holkeri, 67 anni, era stato ricoverato
recentemente in un ospedale francese, a Strasburgo, per controlli
medici in seguito ad affaticamento. Dopo aver assunto l'anno scorso
l'incarico al vertice dell'Unmik , la missione dell'Onu nel Kosovo,
Holkeri avrebbe concluso il suo mandato nell'agosto prossimo. In
seguito agli scontri tra albanesi e serbi nel marzo scorso, era stato
oggetto di critiche e di pressioni perche' lasciasse l'incarico.
(ANSA). BV 25/05/2004 12:53

KOSOVO: NATO, DE HOOP SCHEFFER RENDE OMAGGIO A HOLKERI

(ANSA) - BRUXELLES, 25 MAG - La Nato ha reso omaggio al capo della
missione dell'Onu in Kosovo, il finlandese Harri Holkeri, che si e'
dimesso per motivi di salute. In un comunicato, il segretario
generale dell'Alleanza atlantica, Jaap de Hoop Scheffer, ha
sottolineato la ''forte dedizione'' di Holkeri ''alla pace,
stabilita' e riconciliazione etnica in Kosovo''. Il numero Uno
dell'Alleanza atlantica, impegnata nel protettorato Onu attraverso i
circa 20 mila uomini della Kfor, ha esaltato il ruolo di Holkeri nel
dialogo fra Pristina e Belgrado ''iniziato col suo incoraggiamento e
la sua guida''. De Hoop Scheffer, peraltro, sara' per tre giorni
proprio nei Balcani: domani in Croazia, per incontrare fra gli altri
il presidente croato Stjepan Mesic ed il premier Ivo Sanader,
mentre giovedi' e venerdi' (27 e 28 maggio) si rechera' il Macedonia
per colloqui con il presidente macedone Branko Crvenkovski e il primo
ministro designato Hari Kostov.(ANSA). CAL
25/05/2004 19:09


=== 2 ===

http://www.seeurope.net/en/Story.php?StoryID=50713

SERBIA AND MONTENEGRO: UNMIK Governer to Resign?
2004-05-19 13:07:24

Kosovo's United Nations administrator Harri Holkeri returned to the
protectorate yesterday following a brief illness, but hinted he might
not be much longer in the post, Reuters reported.
"It remains to be seen," the 67-year-old former Finnish prime minister
told reporters when pressed on his future in the role of Kosovo
governor.
Holkeri was due to meet the commander of the NATO-led peacekeeping
mission, KFOR, in the evening and would see Kosovo's ethnic Albanian
prime minister, Bajram Rexhepi, on Tuesday, officials said.
He was due to fly to Finland on Tuesday, they added.
Holkeri's grasp on the Kosovo problem was faulted by Western experts in
mid-March following the worst ethnic violence in nearly five years. In
two days of widespread unrest, 19 people died as rioting Albanians
attacked minority Serb enclaves and clashed with NATO and UN police.
Western powers admitted the violence came as a surprise and caught both
the UN and NATO unaware. The March clashes focussed fresh attention on
Kosovo by the European Union, the United States and Russia.
Holkeri was admitted to hospital in France last week, following a
diplomatic function, suffering from what doctors said was fatigue or
possibly heart problems. "I'm feeling quite better now. I'm here to
exercise my powers," he told Reuters at Pristina airport yesterday.
Asked to confirm he was leaving for Helsinki on Tuesday, he said: "I
don't know yet". But he added that he planned to go to Helsinki for a
medical examination. "I want to see my own doctor. My French is not so
good," the chief administrator said.
Holkeri is the fourth UN chief Kosovo has had since it became an
international protectorate. Critics including former US Balkans
troubleshooter Richard Holbrooke say the question of Kosovo's final
status has been swept under the carpet.
Holkeri's one-year, renewable mandate would normally expire in August.
Possible successors, according to the local rumour mill, include former
Irish foreign minister Dick Spring.

---

From: "Apis Group office" <office @ apisgroup.org>

Belgrade Media Highlihts, May 21-22, 2004 

Kammerhoff to Step Down a Month Earlier

KFOR commander, German general Holger Kammerhof will step down from
duty a month prior to the expiry of his mandate in order to join German
armed forces, announced the KFOR headquarters in Prishtina on Thursday.
NATO has decided to replace him with French general Yves de Kermabon.
The replacement will take place on September 4.
General Kammerhof’s early departure has been explained with his
transfer to a new assignment at the German army headquarters.
The new KFOR commander, French general Yves de Kermabon has already
served a mandate in Kosovo as commander of the northern sector of the
international military mission.

Holkeri isn’t returning to Kosovo (Balkan)

UNMIK Head Harri Holkeri is not returning to Kosovo, Balkan learned
from well-informed sources. This Finnish diplomat, who is at the moment
in one Helsinki hospital where he is recovering from a serious heart
attack (and not a light one as the western media reported) that he
suffered in Strasbourg seven days ago, as the same source asserts, is
afraid of returning to the southern Serbian province over threats by
Albanian terrorists that they will kill him. Although all west European
agencies have reported that Holkeri was admitted in Strasbourg last
Wednesday due to exhaustion and some other medical check-ups, stories
that the UNMIK head will not return anymore have been going around
Kosovo for days, as well as that his duty until the arrival of
Holkeri’s successor will be taken over by American Brayshaw, Holkeri’s
deputy. “I’ve heard that Holkeri will not be returning because he
suffered a serious heart attack in Strasbourg,” the vice-president of
the Lipljan municipality Borivoje Vignjevic confirmed. Regional SNC
leader Milan Ivanovic says that he had also heard that Holkeri will not
be probably returning to Kosovo, but that he doesn’t know whether he
will not be returning because of the heart attack or something else,
referring to the stories that Albanians had threatened the UNMIK head,
i.e. that they will kill him for not advocating independence of Kosovo.

Holkeri again in hospital over exhaustion (Glas)

UNMIK Head Harri Holkeri will not be dismissed, but the UN SG will
appoint another SRSG if Holkeri is not able to return to Pristina for
health reasons. From New York comes the news that Irish diplomat
Richard Spring will arrive at the helm of UNMIK instead of Holkeri, but
no one in UNMIK has been able to confirm this to us. According to Glas,
Holkeri himself
considers he will, nevertheless, be able to continue to perform his
duty in Kosovo and Metohija, where he came in August last year. At the
moment, Holkeri is in Finland, where he went for consultations with the
doctors.
Some time ago he started complaining that he was tired, because of
which he had already been in Finland. Upon return to Pristina he was
treated by French doctors, but he decided to go to Finland for
consultations with the local doctor since, as he said, he couldn’t
understand the French.

---

http://sg.news.yahoo.com/040525/1/3kko2.html

Agence France-Presse
May 25, 2004

Top UN envoy in Kosovo resigns amid spate of ethnic
violence in province

The top UN official in Kosovo, Harri Holkeri of
Finland, who has been widely criticized for playing
down recent ethnic violence in the province, said he
had submitted his resignation after just nine months
on the job.
"Last night I called Secretary General Kofi Annan and
asked to resign as his special representative and as
head of UNMIK (the UN mission in Kosovo), due to my
health," Holkeri told reporters in the Finnish
capital.
Holkeri, 67, a former Finnish prime minister, was
hospitalized in France earlier this month when he
collapsed after briefing European foreign ministers in
Strasbourg on the situation in the troubled Serb
province.
The former Finnish conservative head of government
took over last year as the fourth leader of the UNMIK,
and was originally scheduled to be replaced in August.
Holkeri is seen by many of Kosovo's leaders as having
failed in his task to reconcile the ethnic groups in
the province and oversee a gradual handover of
responsibilities to local authorities.
His mission was dealt a final blow in March, when
ethnic Albanians went on a rampage against Serbs
living in NATO-protected enclaves, reversing the
international communities' efforts to bring the two
groups closer together.
The riots left 19 people dead and more than 900
injured, with Holkeri coming under fire from local
officials for not having done enough to prevent the
violence, and later also playing down the unrest's
gravity.
"I think that the departure of Holkeri was something
expected" after the anti-Serb riots in March, said
Nebojsa Covic, the Belgrade representative in charge
of Kosovo.
"Whether (the resignation) was really due to health
reasons it does not matter any more," Covic told AFP,
adding that he believed it was directly linked to the
March unrest.
.....
On Tuesday Holkeri brushed off the allegations that he
could have done more to curb the unrest in the
province.
"I have read this criticism, and have been surprised
by it. It was UNMIK that condemned these riots and
tried to get the local government to do its utmost.
And when the local government was hesitant, we got
charged with not doing enough?" Holkeri asked
rhetorically.

"This is a bit difficult to understand."

Speaking about the situation in the province, Holkeri
said "it has become considerably better, but the
events in March were of course a huge setback".
As a consequence the UN time frame for the
reconciliation and gradual handover of authority in
the area should be revised, he pointed out.
....

---

http://www.tanjug.co.yu/
EYug.htm#Serbian%20premier%20not%20surprised%20by%20UNMIK%20chief

Tanjug
May 25, 2004

Serbian premier not surprised by UNMIK chief's
resignation

BELGRADE/SALONIKA - Serbian Premier Vojislav Kostunica
said Tuesday in Salonika that the resignation of UNMIK
chief Harri Holkeri, though justified by health
reasons, was not surprising. It is obvious that the
serious situation in Kosovo-Metohija has deteriorated
further after the outbreak of violence last March, and
that Holkeri was unprepared for it, which is why his
departure comes as no surprise, Kostunica told Tanjug
over the telephone from Salonika where he is attending
the Salonika Forum.
According to Kostunica, it is far more important now
to see who will be Holkeri's successor and whether the
international community will this time appoint a
person better acquainted with the situation in Kosovo.

---

http://www.tanjug.co.yu/

Tanjug
May 25, 2004

Political representatives of Serbs welcomed departure
of Holkeri

KOSOVSKA MITROVICA - Political representatives of
Serbs in Kosovo and Metohija welcomed on Tuesday the
departure of Harri Holkeri from the post of UNMIK
head, assessing that was the result of pressure of the
international commujity on him because of the March
violence in the Province. The only Serbian minister in
the Kosovo government Goran Bogdanovic told Tanjug
that Holkeri was the most to blame for the March
violence, because he could have prevented it, so that
his departure did not come as a surprise.
"The actions of Holkeri were pro-Albanian and as such
not in line with his mandate," said Coalition "Return"
deputy Rada Trajkovic, voicing fear that a vacuum
could be created before a successor was appointed.


=== 3 ===

KOSOVO: GENERALE FRANCESE A CAPO DELLA KFOR DA SETTEMBRE

(ANSA) - PARIGI, 13 MAG - Un generale francese, Yves de Kermabon,
prendera' a settembre il comando della forza della Nato in Kosovo
(Kfor) in sostituzione del tedesco Holger Kammerhoff. Lo ha annunciato
oggi a Parigi lo stato maggiore francese. De Kermabon e' nato nel 1948
ed e' gia' stato in Kosovo dal marzo al settembre 2003, come
vicecomandante della Kfor. (ANSA) LQ
13/05/2004 19:15

(deutsch / italiano)


Omicidio Djindjic:
testimoni uccisi, parenti minacciati, scontro politico

1. Nostro commento
2. „Von den Eigenen ermordet“ (di Juergen Elsaesser)
3. Dispacci ANSA
4. "Sciabola", culmine di una democrazia blindata (di U. Suvakovic)

Vedi anche:
Belgrado: svolta nel “processo Ðinđić” (12.05.2004)
La consegna alla polizia di Milorad Luković Legija potrebbe gettare una
nuova luce sul processo contro gli assassini di Zoran Ðinđić, il
premier serbo ucciso il 12 marzo 2003.
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=3075


=== 1 ===


Omicidio Djindjic:
testimoni uccisi, parenti minacciati, scontro politico


Recentemente la madre di Zoran Djindjic - il primo ministro serbo,
ultraliberista e filo-occidentale, ucciso in un attentato poco piu' di
un anno fa - ha chiamato direttamente in causa gli ambienti del partito
del figlio (DS) quali corresponsabili dell'assassinio. "Un ex ministro
mi ha rivelato che Djindjic fu ucciso dai suoi", ha detto la madre di
Djindjic, citata testualmente dal portavoce del partito dell'attuale
premier Kostunica (DSS). Immediatamente la madre, la sorella e la
vedova di Djindjic sono state fatte oggetto di pesanti minacce di
stampo mafioso.

Nel frattempo, persino l'ex ministro degli esteri Svilanovic ha dato
credito alla tesi secondo cui a sparare furono due diversi cecchini: il
primo avrebbe mirato su qualcuno della scorta di Djindjic, nell'ambito
di un progetto atto ad imprimere una svolta autoritaria nel paese
(svolta poi effettivamente avvenuta con la proclamazione dello stato di
emergenza); l'altro avrebbe invece mirato direttamente su Djindjic, per
spostare l'asse politico serbo in senso filo-statunitense (laddove
Djindjic era legato piuttosto alla Germania).

La situazione viene ulteriormente complicata da due elementi: da una
parte le prossime elezioni presidenziali in Serbia, e dunque lo scontro
e le strumentalizzazioni politiche connesse - specialmente tra i due
partiti rivali della destra liberista: i DS filoamericani ed i DSS
filoeuropei; dall'altra l'autoconsegna alla polizia di Milorad Lukovic,
agente doppiogiochista dei servizi indicato come "mente operativa"
dell'attentato...

(a cura di Italo Slavo)


=== 2 ===


http://www.jungewelt.de

Aus: Junge Welt, 19. Mai 2004
Mutter des getöteten Premiers Djindjic beschuldigt prowestliche
Demokratische Partei der Bluttat.
Von Jürgen Elsässer

„Von den Eigenen ermordet“


Dramatische Zuspitzung in Belgrad: Am Dienstag Vormittag lud die
Demokratische Partei Serbiens (DSS) des Ministerpräsidenten Vojislav
Kostunica zu einer Blitz-Pressekonferenz. Dort erhob Parteisprecher
Dejan Mihajlov schwere Anschuldigungen gegen die Ende Dezember
abgewählte prowestliche Regierung der DOS-Koalition. Demnach war die
Demokratische Partei (DS), die die DOS-Regierung geführt hatte, in die
Ermordung ihres eigenen Premiers Zoran Djindjic am 12. März vergangenen
Jahres verwickelt. „Sie schwiegen, als der Premierminister ermordet
wurde. Sie wußten, wer den Entschluß gefaßt hatte, daß Djindjic getötet
werden sollte, und sie wußten, wer ihn tötete,“ hieß es in Anspielung
auf hohe Funktionäre der Djindjic-Partei in dem von Mihajlov verlesenen
DSS-Kommunique.

Im Mittelpunkt der DSS-Stellungnahme steht eine Erklärung, die
Djindjics Mutter Mila vor einigen Tagen gemacht hat: „Mein Sohn wurde
von seinen eigenen Leuten umgebracht, ein früherer Minister hat mir das
klar gesagt.“ Mihajlov kommentierte: „Was ist an diesen Worten einer
Mutter noch unklar? Was ist noch unklar, wenn die Mutter eines
ermordeten Premierministers fast keinen seiner engsten Parteifreunde
mehr empfängt – die Leute, die ihn verkauft und vielleicht sogar
Schlimmeres getan haben?“

Mihajlov forderte von Djindjics Nachfolger Zoran Zivkovic und vom
heutigen DS-Vorsitzenden Boris Tadic, den Namen des Täters
preiszugeben, „wenn sie wirklich der Ansicht sind, daß sie nichts mit
dem Mörder zu tun haben“. „Wenn sie das nicht tun, werden wir es. Sie
werden uns nicht aufhalten, weder mit Beschuldigungen ... noch mit dem
unverschämten Mißbrauch des Leidens der Familie Djindjic ... Sie
behaupten, sie wollen die Familie Djindjic (mit ihrem Schweigen)
schützen, aber sie schützen nur ihre eigene Mafia-Familie.“

Die Anschuldigungen der DSS sind die bisher prominenteste
Infragestellung der offiziellen Mordthese der Belgrader
Staatsanwaltschaft. Demnach soll das Attentat vom mächtigen
Gangsterclan aus Zemun verübt worden sein, der zur Tatzeit in
Personalunion unauflösbar mit der Polizeisondereinheit Rote Barette
verstrickt gewesen sei. Im Hintergrund habe eine „patriotischer Block“
mit Gefolgsleuten des ehemaligen jugoslawischen Präsidenten Slobodan
Milosevic die Fäden gezogen. Im Kalkül dieser alten Garde sei die
Beseitigung von Djindic nur der Auftakt für einen Putsch gegen die
prowestliche DOS-Regierung gewesen.

Djindjic-Nachfolger Zivkovic wies die Anschuldigungen der DSS noch am
Dienstag Vormittag entrüstet zurück und sprach von einem
„Wahlkampf-Pamphlet“ (in Serbien wird im Juni ein neuer Präsident
gewählt). Aber ausgerechnet ein Mitglied von Zivkovics eigener
Regierungsmannschaft, nämlich Außenminister Goran Svilanovic von der
serbischen Bürgerallianz, hatte am vergangenen Sonntag im kroatischen
Fernsehen den Anschuldigungen gegen die DS neue Nahrung gegeben.
Demnach gebe es ein „weitverbreitetes Gerücht“, wonach Djindjic mit
Milorad „Legija“ Lukovic, dem Kopf des Zemuner Gangsterclans, im
Frühjahr 2003 verabredet habe, ein Attentat auf ihn selbst zu
inszenieren. Beim geplanten Schußwechsel sollten „Legijas Männer seinen
Leibwächter töten“, ihn selbst aber nicht, so daß er die Empörung über
das Attentat nutzen könne, um weitreichende Notstandsmaßnamen zu
verhängen. Legija behaupte, daß er sich an diese Inszenierung gehalten
habe, „aber eine dritte unbekannte Partei“ am Tatort aufgetaucht sei
und Djindjic doch erschossen habe, berichtete Svilanovic.

Dieses „Gerücht“, immerhin von einem hochrangigen DOS-Politiker
kolportiert, wird durch die Aussage von Djindjics Leibwächter Milan
Veruvic gestützt (vgl. "Junge Welt", 27.10.2003 [und:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2920
]). Er war selbst beim Attentat verletzt worden und rekonstruierte
später, daß es einen zweiten Schützen gegeben haben muß – einen, der in
der Tatversion der Staatsanwaltschaft nicht auftaucht. Dieser feuerte
die für Djindjic tödliche Kugel aus einem Regierungsgebäude.

Auf den ersten Blick mag es nicht plausibel erscheinen, warum die
„eigenen Leute“, also die Spitzen der Demokratische Partei, einen Grund
gehabt haben sollten, ihren charismatischen Frontmann Djindjic zu
liquidieren. Im Hintergrund können unterschiedliche
Gangster-Seilschaften in der DS stehen – der Zemun-Clan hatte im Winter
2002/2003 zum Showdown gegen den Surcin-Clan ausgeholt. Auch
außenpolitisch ging ein Riß durch die Partei: Djindjic galt als „Mann
der Deutschen“, sein Nachfolger Zivkovic tat sich als Gefolgsmann von
Washington hervor und bot den USA selbst serbische Truppen für
Afghanistan an.


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http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/serbiamontenegro.shtml


SERBIA: PROCESSO DJINDJIC, UCCISO UN TESTIMONE

(ANSA) - BELGRADO, 9 MAR - E' stato ucciso a Belgrado Kujo
Krijestorac, testimone oculare nel processo in corso per l'uccisione,
il 12 marzo 2003, del primo ministro serbo Zoran Djindjic. La notizia
non e' ancora stata confermata ufficialmente dalla polizia, ma la
portavoce del tribunale speciale incaricato del procedimento, Maja
Kovacevic, ha lasciato intendere che non ci sono dubbi sull'identita'
della vittima. Krijestorac e' stato ucciso nella serata del
primo marzo davanti alla sua casa in un sobborgo di Belgrado, da uno
o piu' sicari che gli hanno sparato con un fucile mitragliatore -
probabilmente un kalashnikov - mentre stava per scendere dalla sua
automobile. Il ruolo della vittima in quello che i serbi hanno
battezzato come il processo del nuovo millennio e' emerso solo ora.
Le udienze segnano intanto il passo per le nuove richieste di
perizie psichiatriche da parte di uno degli imputati, Dusan
Krsmanovic. Il G17, uno dei partiti della coalizione di governo
del remier Vojislav Kostunica, ha chiesto nel frattempo
l'istituzione di una commissione di inchiesta sull'omicidio,
attribuito dagli inquirenti a una congiura fra criminalita'
organizzata, servizi segreti deviati e ambienti politici nostalgici.
(ANSA). OT 09/03/2004 12:36

SERBIA: A UN ANNO MORTE DJINDJIC,TIEPIDE COMMEMORAZIONI/ANSA

(ANSA) - BELGRADO, 12 MAR - Alcune migliaia di persone hanno reso
omaggio oggi nel cimitero di Belgrado al primo ministro serbo Zoran
Djindjic, assassinato un anno fa in quella che e' stata presentata
come una congiura fra cosche criminali, politici nostalgici e servizi
segreti deviati. Ma le commemorazioni si sono svolte sotto tono,
mentre restano misteriosi i contorni di un delitto che ha cambiato il
passo della Serbia sul sentiero dell'integrazione con l'Europa.
Alla cerimonia nel Nuovo cimitero - in realta' il piu' antico della
capitale - accanto alla vedova Ruzica e ai figli Jelena e Luka
c'erano anche il presidente serbomontegrino Svetozar Marovic e il
premier del Montenegro Milo Djukanovic, amico di vecchia data di
Djindjic. Mancavano, con l'eccezione del ministro delle finanze
Mladjan Dinkic, esponenti del nuovo governo serbo uscito dalle
elezioni del 28 dicembre. ''E' un'assenza incomprensibile - ha
detto Vesna Pesic, compagna di partito del premier assassinato -,
Zoran Djindjic e' stato ucciso come primo ministro serbo, dovrebbe
essere ricordato dallo Stato''. Il neo premier Vojislav Kostunica si
e' limitato a deporre stamane una corona davanti all'edificio del
governo, nel cui cortile e' avvenuto l'attentato. La scarsa
partecipazione della nuova leadership e' in parte legata a vecchi
rancori - Kostunica e Djindjic, alleati nel rovesciare il regime di
Slobodan Milosevic, hanno poi ingaggiato un estenuante duello a spese
della velocita' del processo di riforme - in parte all'aura ambigua
che ha circondato il governo del defunto premier, accusato di
connivenze con criminali. Sarebbero state le frequentazioni
pericolose, sostiene la Belgrado ufficiale, la principale causa
dell'attentato: ma dimostrarlo non e' facile, dato che dei tre
personaggi indicati come gli organizzatori, due - Dusan 'Siptar'
Spasojevic e Mile 'Kum' Lukovic, padrini della cosca criminale del
sobborgo belgradese di Zemun - sono rimasti uccisi in una controversa
sparatoria con la polizia. Il terzo, Milorad 'Legija' Lukovic, ex
capo dei disciolti 'Berretti rossi', il braccio armato dei servizi
segreti, e' latitante: dopo la sua fuga, e' stato accusato di essere
all'origine di quasi tutti i delitti eccellenti degli ultimi anni.
Un testimone oculare dell'attentato al premier, Kujo Krijestorac, e'
stato ucciso la settimana scorsa: non era un teste di primo piano, ma
aveva riconosciuto uno dei killer. La polizia esclude legami col
processo, ma la sua morte e' stata interpretata da alcuni organi di
stampa come un avvertimento. Con i principali imputati fuori
scena, restano nel vago i contorni della congiura politico mafiosa
citata all'epoca dagli inquirenti: e ora al governo c'e' quel
Kostunica i cui stretti collaboratori, l'ex capo dei servizi segreti
militari Aco Tomic e il consigliere per la sicurezza Rade Bulatovic,
erano stati a lungo fermati ''per accertamenti'' e poi rilasciati per
totale mancanza di prove. Un altro mistero grava sulla dinamica
del delitto: Milan Veruovic, la guardia del corpo di Djindjic rimasta
ferita nell'attentato, afferma che i colpi provenivano dal lato
opposto da quello indicato dagli inquirenti. Peraltro, erano state
messe sotto accusa anche le misure di sicurezza adottate per il
premier, nonche' la sbrigativita' di alcuni magistrati nel
rilasciare Dejan 'Bugsy' Milenkovic, responsabile di un precedente
presunto attentato (un incidente stradale evitato per un soffio)
contro Djindjic. Il processo per il delitto, iniziato il 22
dicembre, segna intanto il passo. Dei 13 accusati, solo cinque sono
in aula, e si avvalgono della facolta' di non parlare. Svezdan
Jovanovic, l'ex membro dei servizi segreti ritenuto il cecchino, ha
anche accusato la polizia di aver estorto confessioni. Accanto ai
misteri, c'e' anche uno scherzo del destino: quando e' stato ucciso,
Djindjic si preparava a incontrare il ministro degli esteri svedese
Anna Lindh; a sua volta uccisa sei mesi dopo a Stoccolma, e proprio
da un serbo. (ANSA). OT 12/03/2004 19:21

SERBIA: DINDJIC; ARRESTATO LUKOVIC PRESUNTA MENTE OMICIDIO

(ANSA) - BELGRADO, 2 MAG - Milorad Lukovic, detto Legija, l'uomo
accusato di essere il cervello dell'assassinio, il 12 marzo del 2003,
del premier serbo Zoran Djindjic, si e' arreso stasera alla polizia
serba. Lo hanno detto fonti della polizia alla tv di stato Rts e
all'emittente B-92. Lukovic, secondo le stesse fonti, si sarebbe
arreso in un sobborgo della capitale e dovrebbe venire trasferito nel
carcere centrale. 'Legija' Lukovic, ex capo dei 'berretti rossi'
- braccio armato dei famigerati e ora disciolti servizi segreti di
Slobodan Milosevic -, implicato secondo le autorita' serbe nella
maggior parte dei delitti eccellenti dell'era Milosevic, era uno
degli otto latitanti al processo, ripreso il mese scorso a Belgrado,
per l'omicidio di Djindjic. In aula c'erano solo cinque dei 13
incriminati, fra cui il presunto esecutore materiale, l'ex vicecapo
dei 'berretti rossi', Svedzan Jovanovic. (ANSA). OT-GV
02/05/2004 22:58

SERBIA: DJINDJIC; MINACCE TELEFONICHE A MOGLIE,MADRE,SORELLA

(ANSA) - BELGRADO, 14 MAG - Ruzica Djindjic, moglie del defunto
premier serbo Zoran assassinato a Belgrado il 12 marzo del 2003, ha
denunciato di aver ricevuto negli ultimi giorni pesanti minacce
telefoniche. Analoghe molestie sono arrrivate alla madre e alla
sorella di Djindjic, che hanno denunciato anche due effrazioni nella
loro casa di Prokuplje, nella Serbia meridionale. Le donne si
sono dette convinte che le minacce vengano da membri dei 'berretti
rossi', il disciolto corpo speciale dei servizi segreti i cui
vertici sono accusati dell'organizzazione e dell'esecuzione
dell'attentato a Djindjic. Le telefonate anonime, hanno detto gli
avvocati della famiglia, ammonivano infatti a ''lasciare in pace
'Legija' (Milorad Lukovic, ex capo dei berretti rossi costituitosi
dopo oltre un anno di latitanza, ndr) se non volete che la prossima
volta facciamo ben piu' che sfondare serrature''. Il ministero
degli interni ha rafforzato le misure di sicurezza per la protezione
della famiglia del defunto premier. In questi giorni, grazie alla resa
di Legija, il processo in corso dal 22 dicembre scorso per
l'uccisione di Djindjic sta avendo nuovi importanti sviluppi. Dei 15
imputati, sei siedono sul banco degli accusati, Lukovic, il suo vice
Svezdan 'Zmija' (serpe) Jovanovic - ritenuto l'esecutore materiale
del delitto - e tre esponenti della cosca criminale di Zemun (nome di
un sobborgo della capitale) coinvolta secondo gli inquirenti
nell'attentato. (ANSA). OT 14/05/2004 13:52

SERBIA: DJINDJIC; ALTRO PROCESSO CON RINVIO PER LEGIJA

(ANSA) - BELGRADO, 18 MAG - Milorand Lukovic detto 'Legija',
principale accusato per l'uccisione, il 12 marzo del 2003, del
premier serbo Zoran Djindjic e imputato anche per un sanguinoso
attentato del 1999 contro l'attuale ministro degli esteri Vuk
Draskovic, e' stato chiamato in causa oggi in un terzo processo,
quello per l'uccisione dell'ex presidente serbo Ivan Stanbolic. I
suoi avvocati hanno ottenuto un ennesimo rinvio, il terzo, stavolta
al 28 giugno. Stanbolic era scomparso da Belgrado il 25 agosto del
2000, alla vigilia delle elezioni che si sarebbero concluse con la
sconfitta del regime di Slobodan Milosevic. Il suo corpo e' stato
ritrovato, grazie alla testimonianza di un pentito, nella primavera
del 2003, durante l'operazione di rastrellamento 'Sablja' (sciabola)
seguita alla morte di Djindjic. 'Legija' si e' consegnato
spontaneamente all'inizio del mese, dopo oltre un anno di latitanza.
I suoi avvocati hanno detto che temeva per la sua vita e considerava
l'attuale situazione politica piu' favorevole per costituirsi.
Attorno alle attesissime testimonianze dell'ex capo dei 'berretti
rossi' - il braccio armato dei servizi segreti - ruota intanto la
campagna elettorale per le presidenziali del 13 giugno, e vola fango
fra i due principali schieramenti democratici del paese, quello che
fa capo al premier Vojislav Kostunica e quello che si identifica nel
Partito democratico (Ds) del defunto Djindjic. Gli uomini di
Kostunica stanno accusando, piu' o meno velatamente, gli stretti
collaboratori del premier ucciso per quell'attentato. Il tam tam
cittadino - diffuso ad arte secondo molti osservatori - parla anche
di interventi di servizi esteri in quella morte. Chi piu' sembra
fare le spese di queste presunte 'rivelazioni anticipate' - in attesa
della testimonianza di Legija - e' la famiglia del defunto premier:
dopo minacce telefoniche a moglie e madre e un'effrazione nella casa
di campagna familiare, la sorella di Djindjic, Gordana, e' stata
aggredita in casa sua da sconosciuti che le hanno iniettato una
sostanza - pare un banale tranquillante, ma analisi piu' approfondite
sono in corso - in vena. (ANSA). OT 18/05/2004 12:04

SERBIA: DJINDJIC, SI ARRENDE ALTRO SUPERLATITANTE DICE B-92

(ANSA) - BELGRADO, 15 MAG - Dopo il latitante numero uno della
Serbia, l'ex capo delle forze speciali dei servizi segreti Milorad
'Legija' Lukovic, si e' arreso alla polizia serba un altro ricerato
eccellente, Dejan Milenkovic detto 'Bugsy', coinvolto nel febbraio
del 2003 in un fallito attentato contro il premier serbo Zoran
Djindjic, che un mese dopo sarebbe caduto sotto i colpi dei killer.
Lo hanno detto fonti del ministero della giustizia alla radio B-92,
precisando che la resa sarebbe avvenuta proprio oggi. La polizia non
ha ancora confermato. 'Bugsy', un passato criminale nella cosca
di Zemun (nome di un sobborgo belgradese) coimputata per il delitto
Djindjic, era alla guida di un camion che il 22 febbraio 2003 aveva
tentato di bloccare il convoglio di automobili nel quale viaggiava il
premier, per permettere l'intervento di cecchini. La mossa non era
riuscita e l'uomo era stato fermato dalle guardie del corpo di
Djindjic. Ma era stato misteriosamente rilasciato per quello che
venne poi definito un disguido giudiziario. Meno di un mese dopo,
il 12 marzo di quell'anno, Djindjic fu ucciso nel cortile del palazzo
del governo da un sicario poi identificato dagli inquirenti nella
persona di Zvezdan Jovanovic, vice di 'Legjia' nel corpo speciale -
ora disciolto - dei servizi segreti noto come i 'berretti rossi'',
braccio armato del regime di Slobodan Milosevic. (ANSA).
OT 15/05/2004 18:10


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( this text in english:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3345 )

"Sciabola", culmine di una democrazia blindata


Un anno dopo l'assassinio del primo ministro Serbo dr Zoran Djindjic
non è chiaro chi sia il colpevole, e specialmente chi sia il mandante
dell'assassinio. Secondo la versione ufficiale il diretto esecutore
sarebbe stato un comandante dell'Unità per le operazioni speciali del
Ministero serbo per gli affari interni, e l'azione sarebbe stata
organizzata ed assistita da un membro del clan di Zemun. Se accettiamo
ciò come verità, significa che il killer proveniva dallo stesso
ambiente che portò Djindjic al potere e che formalmente era sotto il
suo controllo.
Io sono personalmente incline alla versione che il pubblico sospetta, e
cioe' che il mandante sia un potente servizio segreto straniero. Se
tale caso è vero, avremmo degli indizi di ciò tra uno o due decenni (ma
mai una prova schiacciante). Allo stesso tempo verrà confermato il
sospetto che il complotto era stato organizzato da coloro che
sostenevano il potere. Chiaramente in entrambi i casi, il movente e'
oramai chiaro - a scapito delle loro aspettative.

La violenza politica divenne caratteristica del teatro politico serbo
il 5 Ottobre 2000. Essa rifletteva il modo di giungere al potere:
attacchi per occupare e bruciare le sedi della RadioTelevisione della
Serbia, il cui direttore generale Dragoljub "Dragan" Milanovic subì un
linciaggio, oppure contro il Parlamento Federale (dove vi erano tutti
i materiali elettorali, anch'essi bruciati), o contro l'edificio del
Comitato cittadino del Partito Socialista di Serbia (SPS).
La violenza continuò bruciando le case dei più noti membri del SPS
(drastico esempio sono i casi di Leskovac e Secanj), con l'occupazione
degli ingressi degli appartamenti privati ed i tentativi di linciaggio
(ma se qualcuno si opponeva, come il coraggioso Gorica Gajevic, ex
segretario generale del SPS, le "intrepide" masse si disperdevano).
Vi era anche un invisibile mezzo che istigava la gente e creava "dei
comandi volanti" che forzavano con minacce e kalasnikov, per
conquistare il governo, le istituzioni e le aziende. Di conseguenza,
più di 40.000 membri del SPS furono sostituiti e rimasero senza un
lavoro.

La fase successiva delle persecuzioni, attuate dall'Opposizione
Democratica di Serbia (DOS) contro i suoi rivali politici, si sviluppo'
sotto la forma di una "democrazia blindata". "Tutti i socialisti in
prigione" era il motto dei leader del nuovo governo, regolarmente
trasmesso dai mass media. Infinite accuse di crimini, arresti politici
di membri del SPS, accuse di tentati furti per miliardi di dollari
(quando si fa fatica ad immaginare cosa sia un milione)... ed
iniziarono anche dei processi, processi politici davanti alla Corte,
gestiti dal DOS che minacciava i giudici di licenziamento e non solo.
Il tutto raggiunse il culmine con l'arresto del Presidente Slobodan
Milosevic nella notte tra il 31 Marzo e il 1 Aprile 2001 e con il suo
rapimento all'Aja il giorno di St. Vito dello stesso anno.
L'arresto del Presidente Milosevic venne gestito personalmente da
Legija, l'eroe del momento agli occhi del nuovo governo per via del suo
ruolo svolto il 5 Ottobre 2000, ma oggi primo sospettato
dell'assassinio del primo ministro Djindjic. E sul rapimento ed il
trasferimento all'Aja sappiamo qualcosa di più, oggi: secondo la
dichiarazione di un ex vice del boss della sicurezza di Stato della
Serbia, l'operazione venne gestita personalmente dall'attaché militare
inglese a Belgrado, sotto la supervisione del delegato della CIA.

La Persecuzione degli oppositori politici continuò. Nuove speranze per
il governo della DOS vennero dall'assassinio di Djindjic. Invece di
attuare vere indagini e di scoprire i killers, essi attuarono
l'operazione "Sciabola" - un modo incostituzionale di proclamare lo
stato di emergenza in tutta la Serbia. Erano gia' stati uccisi John F.
Kennedy in USA, Aldo Moro in Italia, Olof Palme in Svezia, ma solo dopo
l'assassinio di Zoran Djindjic si e' proclamato lo stato di emergenza:
in Serbia. La ragione è ovvia - lo scontro con i criminali ma anche con
gli oppositori politici. Natasa Micic con il suo Ordine (proclamazione
dello stato di emergenza) diede alla polizia, secondo la Legge, poteri
che essa può avere solo in guerra, ma non in uno stato di emergenza: la
polizia ebbe i poteri del tribunale. Le conseguenze furono circa 13.000
arrestati durante questo periodo. Solo per fare un paragone, quando
Pinochet, in Cile, prese il potere uccidendo il Presidente socialista
Allende, arrestò 4.000 persone.
Durante "Sciabola" i diritti degli arrestati, previsti in base al
Codice Penale ed alle convenzioni internazionali, vennero brutalmente
violati; un grande numero di arrestati non vennero mai sottoposti a
indagini giudiziarie ne' vennero mai rese note le ragioni del loro
arresto; a tutti venne tolto il diritto alle visite degli avvocati e
dei parenti, perfino l'ora d'aria non venne concessa. Alcuni vennero
sottoposti a pressioni, false promesse, altri a minacce e ricatti con
l'estorsione di dichiarazioni "desiderate", eccetera. I mass-media in
Serbia furono istruiti ogni giorno dal Governo. Ogni nuovo giorno
portava con se nuovi bersagli da attaccare; nominalmente, miravano alle
attività criminali, ma essenzialmente attaccavano gli oppositori
politici, imputandoli di false e mostruose accuse. I successori
politici di Djindjic volevano rimanere per sempre.
Si sbagliavano.

Un anno dopo tali eventi nulla è come prima. I principali protagonisti
di "Sciabola", quelli al vertice della democrazia blindata in Serbia,
per volontà del popolo sono stati rimossi dal principale teatro
politico. Le indagini annunciate probabilmente riveleranno i dettagli
riguardo l'abuso di potere durante tale operazione.
Democrazia significa legge del diritto. In un tale sistema non vi è
posto per "Sciabola". Miserabile è quella democrazia in cui i
principali investimenti sono dedicati alla costruzione di casematte
blindate invece che delle scuole e degli ospedali.

Uros Suvakovic, M.A.

(Fonte: Anti-imperialiste mailing list
http://chiffonrouge.org/cgi-bin/mailman/listinfo/anti-imperialiste
Traduzione di Alessandro Lattanzio, che ringraziamo.
Revisione del testo a cura del CNJ.)