Informazione

From: Coordinamento Romano per la Jugoslavia
Date: Sun, 25 Jan 1998 17:04:26 +0100
Subject: Ciliegina numero 4


1914


Per molti anni nessuno credette a una guerra; a una guerra europea o
mondiale, poi, neanche per idea!
Valentino Pittoni, massimo dirigente del movimento operaio e socialista
delle nostre terre, nel 1905 dichiarava che una guerra tra Austria e
Italia era un'ipotesi tanto fantastica quanto quella di una guerra
europea, perche' il capitalismo in Europa aveva ormai superato la fase
della "guerra guerreggiata": tutti i conflitti ormai si sarebbero
risolti per via diplomatica o nei corridoi delle cancellerie.
Dopo il 1910 pero' le cose e le opinioni cominciarono a cambiare. La
guerra italo-turca del 1911, quelle balcaniche del 1912 e 1913, anche
se durarono uno o due mesi, fecero capire che un pericolo di guerra
generale esisteva. Percio' alla fine del novembre 1912 si riuni' a
Basilea il Congresso straordinario della II Internazionale, le cui
risoluzioni furono piene di buoni propositi (sciopero generale in caso
di dichiarazione di guerra), di parole rivoluzionarie ("guerra alla
guerra!"). Propositi e parole vennero pero' poco dopo sepolte dalle
dichiarazioni di guerra, dal fragore delle artiglierie e dal tradimento
della quasi totalita' della socialdemocrazia mondiale...

(Dall'autobiografia di Vittorio Vidali "Orizzonti di liberta'",
Ed. Vangelista, Milano 1980, pg.41)

(francais / deutsch)

http://www.jungewelt.de/beilage/index.php?b_id=32

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Junge Welt (Berlin) / Bastille Republique Nations (Paris)
26.03.2004

PARIS - BERLIN - BELGRADE

Serbien - fünf Jahre danach - cinq ans apres

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Zum Inhalt der Beilage «paris - berlin - belgrade»
26.03.2004

Pierre Lévy, Bastille – République – Nations
Jürgen Elsässer, junge Welt

Warum diese gemeinsame Beilage?

Pourquoi ce supplement commun?

Der Krieg gegen Jugoslawien war der erste Gewaltakt der Europäischen
Union und ging keineswegs allein auf das Schuldkonto der USA.

Friedliche und freundschaftliche Verhältnisse in Europa – wie in der
Welt – können nicht aus einer supranationalen Verschmelzung unter
Kontrolle der Konzerne entstehen, sondern nur unter Respektierung der
nationalen Souveränität sowie der Rechte der arbeitenden Klassen.

Wir verstehen unsere Initiative als kleinen Schritt in diese Richtung
und laden andere Zeitungen und Zeitschriften ein, sich an künftigen
Projekten zu beteiligen.

*

La guerre de 1999 contre la Yougoslavie constitua le premier acte
politique majeur de l’Union européenne – et non une agression perpétrée
seulement par Washington.

Des relations pacifiques et amicales en Europe – et dans le monde – ne
peuvent en aucune manière se construire à partir d’une union
supranationale sous contrôle des grandes firmes, mais tout au contraire
sur la base du respect des souverainetés nationales et des conquêtes du
monde du travail.

Le supplément commun se propose d’être une modeste contribution dans
cet esprit. Nous espérons que cette initiative ne sera pas sans
lendemain, notamment avec d’autres journaux et revues.

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Serbien – fünf Jahre danach
http://www.jungewelt.de/beilage/index.php?id=464

1999 der Krieg, dann der Machtwechsel und die Ausplünderung des Landes
durch den Westen
Hannes Hofbauer


Les vautours arrivent
http://www.jungewelt.de/beilage/index.php?id=465

Depuis cinq ans, l’économie de la Serbie a été bradée a des groupes
etrangers, alors que la population doit affronter la misère
Hannes Hofbauer


»Europa wurde in Pristina geboren«
http://www.jungewelt.de/beilage/index.php?id=466

Der Angriff auf Jugoslawien war der Gründungskrieg des vereinigten
Europa
Pierre Lévy


« L’Europe est née à Pristina »
http://www.jungewelt.de/beilage/index.php?id=467

La guerre contre la Serbie a constitué le « premier acte politique
majeur d’une nouvelle Europe »
Pierre Lévy


Die Demütigung Rußlands
http://www.jungewelt.de/beilage/index.php?id=468

Kriegsziel der NATO-Staaten war nicht nur die Zerschlagung der
Milosevic-Regierung
Marc-Antoine Coppo


Humilier la Russie
http://www.jungewelt.de/beilage/index.php?id=469

L’objectif de l’OTAN dépassait largement la chute du président Milosevic
Marc-Antoine Coppo


Lügen haben lange Beine
http://www.jungewelt.de/beilage/index.php?id=470

Bush und Blair stehen im Zentrum der Kritik – und kein böses Wort über
Schröder, Clinton und Kerry
Jürgen Elsässer


Le silence des agneaux
http://www.jungewelt.de/beilage/index.php?id=471

En matière de propagande de guerre, Bush et Blair ont eu moins de
chance que Schröder et Clinton cinq ans plus tôt
Jürgen Elsässer

From: Alessandro Di Meo (Un Ponte per...)

Quando la solidarietà diventa un atto concreto.


Per il terzo anno, all’università di Roma “Tor Vergata” si promuove
l’iniziativa “C’è un bambino che...”, ospitalità di bambini profughi
della guerra alla Jugoslavia del 1999 presso famiglie di dipendenti
dell'ateneo (quest'anno aperta anche ad esterni). I bambini, 18 più 1
accompagnatore, provengono da Kraljevo, città a 200 km a sud di
Belgrado.
L’iniziativa, organizzata dalla associazione “Un Ponte per...” in
collaborazione con l'Università di Roma "Tor Vergata", che copre le
spese maggiori come il viaggio, si svolgerà dal 19 Giugno all'11 Luglio.
La prima settimana sarà dedicata al mare, grazie anche ad Atac e
Trambus che mettono a disposizione un pullman per il trasporto
dall'università al mare, mentre le altre due vedranno i 18 ragazzini
frequentare, insieme a coetanei italiani, i soggiorni estivi, anch'essi
offerti dall'università.

L’iniziativa cerca di sensibilizzare l'opinione pubblica su quelle che
sono le conseguenze della guerra, pagate anche dopo anni di distanza da
povera gente, e a non far cadere nell’oblio la drammatica situazione, a
tutt’oggi irrisolta, dei profughi della guerra del 1999, profughi per
lo più "invisibili", di cui nessuno ci ha parlato e che vivono ormai da
5 anni in condizioni molto precarie. Senza acqua, in situazioni
igieniche approssimative, in stanze sovraffollate di centri di
accoglienza che da temporanei si sono trasformati in definitivi, queste
famiglie vivono di aiuti o di lavori sempre più precari e rari.

Proprio su questo argomento, nell'atrio della facoltà di Lettere a Tor
Vergata è esposta una mostra fotografica sui centri di accoglienza per
profughi e sulle loro condizioni di vita quotidiana. Rimarrà esposta
tutto il mese di giugno.

Oltre ai sostegni a distanza di famiglie, oltre a permettere una
vacanza ad alcuni dei loro figli, oltre a progetti di varia natura in
atto e in cantiere, "Un Ponte per..." sta tentando di commercializzare
i lavori di ricamo eseguiti a mano dalle donne di questi centri di
accoglienza promuovendoli nel corso di varie iniziative.

Una di queste, avverrà a Lettere, nel piazzale all'aperto, il 30
giugno, pomeriggio, quando anche il rettore, prof. A. Finazzi Agrò,
saluterà i nostri piccoli ospiti, mentre un'altra iniziativa pubblica,
con la collaborazione del CSOA Forte Prenestino, ci sarà il sabato
precedente, 26 giugno, sempre di pomeriggio, con musica, giochi, cibi e
bevande auto prodotte.

La novità di quest'anno è costituita dall'avvio di una collaborazione
fra la Pediatria del PTV di Tor Vergata e la pediatria dell'ospedale di
Kraljevo con una missione di 3 medici pediatri di Kraljevo dal 19 al 24
giugno presso il PTV e con 2 pediatre e 1 infermiera del PTV in visita
a Kraljevo a luglio.
Questo altro impegno nasce dal coinvolgimento della Pediatria del PTV
negli anni passati, che ha garantito la possibilità di visite e analisi
gratuite per questi sfortunati bambini che, come molti altri nel loro
paese, non hanno più un accesso facile e garantito alla sanità pubblica.

Insomma, una iniziativa di solidarietà concreta per dire sempre più
forte "Basta!" ad ogni guerra.


Alessandro Di Meo - "Un Ponte per...", responsabile iniziativa

per info: Un Ponte per... 06-44702906
oppure "posta@ unponteper.it"



       ...............ooooooooOOOOOOOOOOOooooooooo...............

            "Deve esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
                    dove non soffriremo e tutto sarà giusto..."
                         (francesco guccini - cyrano)

                             
Un ponte per...

Associazione Non Governativa di Volontariato per la Solidarietà
Internazionale
Piazza Vittorio Emanuele II 132 - 00185 - ROMA
Tel 06-44702906 oppure 06-44360708 Fax 06-44703172
ONLUS Iscritta al Registro Volontariato Regione LAZIO DPGR 699.98
ONG idonea - decreto del Ministro Affari Esteri del 18.2.99
Partita IVA 04734481007 - Codice Fiscale 96232290583
C/C Postale n° 59927004
C/C Bancario n° 100790 Banca Popolare Etica, ABI 5018, CAB 12100
e-mail: "posta @..." 
sito web: http://www.unponteper.it

[ Una interessante analisi sullo stato della contraddizione tra gli
imperialismi statunitense ed europeo ]


http://www.wsws.org/articles/2004/jun2004/nato-j10.shtml

NATO expansion and the political crisis in Europe

By Niall Green

Part one
10 June 2004

On April 1 the North Atlantic Treaty Organisation (NATO) saw the
largest intake of members since the formation of the United States-led
military alliance in 1949, when seven central and eastern European
countries were admitted. The new members, all either former members of
the Warsaw Pact or former republics of the Soviet Union, are Bulgaria,
Estonia, Lithuania, Latvia, Romania, Slovakia and Slovenia.

It is the second time in recent years that NATO has expanded its
membership in the Central-Eastern European region. Poland, the Czech
Republic and Hungary joined in 1999.

While the accession of these countries to the alliance was greeted with
the usual rounds of congratulations, official celebrations and phrases
about the expansion of freedom and democracy, it was clear that they
were joining a house divided against itself. For all the talk by NATO
Secretary General Jaap de Hoop Scheffer about NATO’s expansion bringing
about the end of an era of European division, the seven new members
have entered the alliance at a point where antagonisms between its
principal members have never been greater. The new entrants join NATO
not as independent nations joining a military alliance, but as US
proxies in a Great Power struggle.

Before the ink was dry on the treaty accepting the intake of new
members, the alliance had fallen back into the distinct camps that have
emerged over the past decade. In the days following the April 1
accession, French President Jacques Chirac and Germany’s Chancellor
Gerhard Schroeder had separate bilateral talks with Russian President
Vladimir Putin, whose administration has repeatedly expressed its
disquiet about the eastward expansion of NATO. Alliance members France
and Germany have also been wary about the expansion, from which America
stands to gain most. All of the seven new members except Slovenia have
staunchly pro-US foreign policies.

While publicly the three leaders professed their support for the
expansion of NATO, the very fact that Moscow, Berlin and Paris all
orientated to each other is indicative of the extent to which the
divisions between Washington and these countries, made evident in the
run up to the Iraq invasion, remain. This does not mean that the three
powers will be able to formulate any alternative to Washington’s
agenda. The meeting echoes that held in September 2003 prior to the
moving of the United Nations resolution that handed control of Iraq to
the US, when the Russian, German and French leaders met to agree to
capitulate before Washington’s demands.

A divided Eurasia

The expansion of NATO into the former Warsaw Pact region and the former
Soviet Union has been a crucial aspect of American imperialist policy
following the liquidation of the USSR in 1991. After this date a large
portion of the world, previously off limits, was opened up to American
and West European imperialism.

With EU-based capital emerging as the major inward investor in the
region, the US has exerted its influence primarily by developing its
military ties. The military dominance of America in the region is not
merely a counterweight to the EU, but a means of securing US corporate
interests over the entire Eurasian continent. Using its network of
military bases and bilateral agreements, as well as the structures of
NATO, the US armed forces can now manoeuvre men and equipment in an
almost unbroken corridor that passes through the continent’s major
centres of oil and gas extraction and transportation from the Baltic
coast to the Caspian basin.

American military personnel are to be moved from some of the large US
military bases in Germany eastwards to former Warsaw Pact bases in
Poland, Hungary, Bulgaria and Romania. Moves are also afoot for a
possible new US base in Albania. Under the auspices of NATO the US has
also placed its forces in important strategic areas, not least in the
former Yugoslavia where thousands of American troops remain on duty.

The Russian government has expressed its strong disapproval of the
latest NATO expansion, especially into the Baltic States, and fears
that NATO will soon expand to admit the Ukraine, Azerbaijan and
Georgia, which have longstanding relations with America and the
alliance. The inclusion of the Baltic States into NATO has already
caused a deterioration in official relations between them and Russia.
In April Latvia expelled a Russian diplomat for allegedly “attempting
to find out about NATO military infrastructure.” This was the sixth
Russian diplomat to be expelled from the countries, two having been
thrown out of Estonia in March and three from Lithuania in February.

While refusing to officially denounce the April expansion, the Putin
administration has issued a number of statements indicating that there
are growing tensions between Moscow and NATO. Russian Defence Minister
Sergei Ivanov said that a revision of the country’s defence policy
would be necessary as a result of the encroachment of NATO to the
boarders of Russia. “The alliance is gaining greater ability to control
and monitor Russian territory. We cannot turn a blind eye as NATO’s air
and military bases get much closer to cities and defence complexes in
European Russia,” he stated.

There are particular worries about access to the Russian enclave of
Kaliningrad, which is now surrounded by NATO members Poland and
Lithuania. Kaliningrad, once a specially designated military region
that was home to tens of thousands of Soviet army and navy personnel,
remains the base for Russia’s ageing Baltic Fleet. Russian military and
civilian administrations have expressed concern that the expansion has
effectively cut off one of the country’s main military facilities,
while bringing NATO warplanes within five minutes of St. Petersburg.

An example of the way in which NATO is used to advance US interests in
the region can be seen in the new BALTNET common air-defence system for
the Baltic States, based in Lithuania. BALTNET has been put in place
under the supervision of the America military and US armaments giant
Lockheed Martin, but will be supported and given military back-up by
NATO as a whole. Since the early 1990s the US has been the leading
power in the long-term modernisation of the Baltic states’ military.

The US has covered a significant portion of the costs of meeting NATO
requirements in the new NATO countries, especially the Baltic states.
As well as BALTNET three other joint Estonian-Latvian-Lithuanian
military projects have been funded and overseen by the Pentagon:
BALTBAT (a common infantry battalion), BALTRON (a common naval
squadron) and BALTDEFCOL (the Baltic Defence College).

The Russian and continental European elites fear, with justification,
that the expansion of NATO is being carried out at the direct expense
of their influence.

The new alliance members are part of the “new Europe” declared by US
Defence Secretary Donald Rumsfeld in the run up to the 2003 invasion of
Iraq, countries whose governments have been among the most unswerving
supporters of the Bush administration’s supposed “war on terror” and
the campaigns against Afghanistan and Iraq. Most of the new alliance
members contributed armed forces units to the invasion or occupation of
Iraq. Only Slovenia, which is more closely aligned to the European
powers, refused to directly participate. US forces used naval and air
bases in Romania and Bulgaria as key staging posts in the war against
Iraq.

Neither can any independence be tolerated. Despite their subservience
to the “coalition of the willing”, several countries were nevertheless
severely rebuked by the Bush administration for repeating the EU demand
that the United States submit its armed service members to the
jurisdiction of the International Criminal Court (ICC). In an
indication of the relationship that exists between the US and the new
NATO members, a senior Latvian diplomat told Human Rights Watch in
December 2003 that Washington had threatened to withhold $2.7 million
in promised funding to support Latvian troops in Iraq as a result of
the Baltic state’s demand that the US respect the authority of the ICC.

For their part, the European powers are just as likely to bully their
eastern neighbours. Last year French President Chirac sharply rebuked
the Romanian and Bulgarian governments, due to join the EU in 2007, for
aligning with America over Iraq, saying that they had missed a “good
opportunity to be quiet.”

For France and Germany the inclusion of so many pro-US countries into
NATO sees their position within the alliance further weakened. Paris
and Berlin are conscious of the fact that the US will utilise its clout
with the new members to increase its weight within NATO and stifle any
criticism of US foreign policy. American strategists can anticipate
that any moves by France and Germany to form a more independent
European military force, especially one that might seek to cooperate
with Russia, would be met with hostility by Washington’s eastern
European pawns.


http://www.wsws.org/articles/2004/jun2004/nato-j11_prn.shtml

Part two

The Atlantic rift

For most of the post-war period the European powers have attempted to
overcome their relative weakness against the US by creating a single
European market, currency and trade bloc, a process that was broadly
encouraged by America as a means of stabilising Western Europe as a
bulwark against the Soviet Union.

During the Cold War the European powers and America, in their common
hostility towards the USSR, were able, despite occasional fallings out,
to achieve a significant amelioration of their antagonistic interests.
The North Atlantic Treaty Organisation (NATO) was one of the primary
expressions of this, acting as a powerful and binding US-led
intra-imperialist military organisation.

But despite the fact that NATO was established as an anti-Soviet
alliance, it has never been busier since the liquidation of the Soviet
Union in 1991. Over the proceeding years NATO has been engaged in a
series of active military operations, including, with its presence in
Afghanistan, areas previously considered beyond its theatre of
operations.

The dismantling of the USSR created a power vacuum in the region
previously under the Kremlin bureaucracy’s control, opening up new
vistas for world capitalism. This provided a bonanza for Western big
businesses and banks, which, in conjunction with the local ex-Stalinist
and gangster elites, have ruthlessly bled the region for the past
decade. At the same time, the liquidation of the Soviet Union also
created the conditions for the resurgence of inter-imperialist
conflicts that the post-war institutions such as NATO had sought to
contain.

Throughout the 1990s NATO exerted the economic and geopolitical
interests of its principal members in regions formerly closed to
imperialism, culminating in the NATO bombardment of Serbia in 1999. But
the positions of the NATO powers have increasingly diverged, primarily
due to the increasing unilateralism and belligerence of the US, with
Washington on one side and the weaker powers of France and Germany on
the other.

Of central importance in this renewed power struggle is control of the
vast oil and gas reserves concentrated in the Middle East and Central
Asia. In 1997 Zbigniew Brzezinski, President Carter’s National Security
advisor, published an article, “A Geostrategy for Asia” in which he
stated one of the central aims of US foreign policy in the current
period.

“America’s emergence as the sole global superpower,” Brzezinski wrote,
“now makes an integrated and comprehensive strategy for Eurasia
imperative,” a task that would involve extending a “benign American
hegemony” over the weaker European powers that would assist US
dominance of the continent in return for being allowed to play a
secondary role.

For this, Brzezinski suggested, NATO would be maintained as a
ready-made structure of “American political influence and military
power on the Eurasian mainland,” which should be expanded to envelop
the countries of the former Stalinist states and thus enhance the
position of the US.

Brzezinski also proposed that NATO be used to ensure that the attempts
at eastward expansion by the European powers could be kept in check by
a simultaneous expansion of the alliance: “A wider Europe and an
enlarged NATO will serve the short-term and longer-term interests of US
policy. A larger Europe will expand the range of American influence
without simultaneously creating a Europe so politically integrated that
it could challenge the United States.”

This tactic of undermining any extension of European unity capable of
challenging the establishment of US hegemony over Eurasia reached its
highest point with the “old Europe” versus “new Europe” split prior to
the beginning of the 2003 Iraq war. Lined up behind Washington were the
most avowedly pro-NATO members of the EU, especially Britain, with the
gaggle of pro-US Central-Eastern European NATO and EU candidate
countries squawking their support. Washington was able to utilise its
sway over the continent in order to scupper any Franco-German led
effort to ensure that European capital was not too disadvantaged in the
scrabble for control of the Middle East.

Thus NATO has emerged more than had ever been the case during the Cold
War as a means by which America aggressively imposes its power over
Europe. How have the continental European powers responded to this?

France and Germany have made limited efforts to add a military
capability to Europe’s existing structures of economic integration,
through which they hope to more aggressively assert the interests of
European-based capital in their horse-trading with the US. It was
envisaged that this would be done independently of US-dominated
structures of NATO, but this has proved extremely difficult to achieve.

Former French President Mitterrand and German Chancellor Kohl
cautiously sought to develop a European defence organisation, with the
1991 EU Maastricht Treaty preparing the ground for a common European
defence system. Since then has followed a struggle within the EU to
agree on a European military project, with Britain repeatedly acting to
prevent any drift away from NATO.

In 2000, following the NATO war on Serbia, many European commentators
bemoaned the EU’s continuing reliance on America’s armed forces to sort
out problems in its own “backyard”, and European defence ministers
proposed the creation of a 60,000-strong European Rapid Reaction Force.
However, the EU powers have not been able to agree on the role that
this body should play in relation to NATO.

This struggle is currently being played out over the draft European
Union constitution, which sets out to strengthen the EU’s existing
economic structures while establishing a new military command structure
and security apparatus. The document seeks to create new EU
institutions capable of deciding on foreign policy, with a new European
foreign minister, while framing a “common defence policy, which might
lead to common defence.”

Once again Washington is using its regional allies, primarily Britain,
to try to abort the European military project. Blair was forced to call
for a referendum in Britain on the EU constitution by elements within
the US and British ruling class who hope to sabotage moves that would
deepen European independence from America. Even if the European
constitution is ratified by all EU member states, then US-aligned
countries such as Britain, at the head of the “new Europe” faction that
includes the eastern accession countries, will act to weaken the
stature of any European defence force that rivals NATO.

If an independent European military force is established then it is
likely to consist of a “core” of EU members, minus the closest allies
of Washington, drawing primarily on French and German forces. Either
way America will seek to ensure that it retains its role as the
pre-eminent power in Europe with NATO as the continent’s largest
military structure.

Continuing reliance on America

Consequently EU military policy is in something of a shambles. With the
more ambitious French and German plans to establish military structures
independent of NATO failing to get off the ground, they have opted to
participate with Britain in a plan for the establishment by 2007 of
half a dozen 1,500-man European “battle groups” to intervene in areas
considered outside the theatres of US and NATO interest, such as Africa.

Aside from America’s existing overwhelming military superiority, which
it uses to threaten and cajole its rivals, there are two fundamental
reasons for the European powers’ inability to cut themselves free from
NATO’s apron strings.

Firstly, European-based capital continues to look to American
imperialism to lead the way in cracking open every area of the world
for ruthless exploitation. This was shown during the 1990s in the
former Yugoslavia when the Europeans colluded with the US to break up
the country and finally bombard Serbia into submission. When George W.
Bush announced the beginning of the “war on terror”, a euphemism for
neo-colonial adventurism across the globe, every country in Europe
enthusiastically joined the bandwagon, recognising the potential that
the 9/11 attacks had created to aggressively pursue their own interests
in the shadow of the American onslaught.

While the bourgeoisie in Britain is most closely tied to US militarism
in the pursuit of its predatory goals, their German and French
counterparts are not averse to attempting to glean what they can from
the spoils of American neo-colonialism. In October 2003, just months
after Chirac and Schroeder had criticised the US invasion of Iraq, the
two countries signed a UN resolution handing the US official control of
the country as the occupying power. The French and German bourgeoisies
remain divided between taking advantage of the short-term prospect of
being able to scavenge some limited benefits from the occupation of
Iraq and recognising that the US is acting to ensure its hegemony in
direct opposition to European interests.

The second reason why the European bourgeoisie continues its
subservient orbit around US imperialism is that it finds itself sitting
atop a highly volatile social situation at home. The anti-social
programmes of the EU and its member states aimed at attacking the
position of the working class, combined with a massive popular antiwar
sentiment across the continent, have created a situation in which the
European elite feels dangerously exposed. Following the global antiwar
movement that emerged early in 2003, Europe’s governments are acutely
aware that any confrontation with America could set into motion a
further mass movement of the working class and threaten their own
survival.

Additionally, the failure of the US occupation in Iraq at the hands of
an insurgent population would also be a defeat for world imperialism
and a major setback to Europe’s own ambitions to subjugate weaker
countries under its control. In September 2003 Chancellor Schroeder,
addressing the UN General Assembly, held out the hand of cooperation to
the US over Iraq, pointing out that German assistance in the occupation
would be in Washington’s interests. “New threats, over which no state
in the world can become master, require international cooperation more
than ever,” he said, before offering humanitarian, technical and
economic aid, and training for Iraqi police and military officers.

President Chirac, equally concerned that the US was facing a looming
popular rebellion in Iraq, also offered aid to the occupation, saying
that France “very much [wanted] the Americans to succeed.”

This stand continues with the UN debate regarding the June 30
establishment of the interim Iraqi government, with Paris and Berlin
offering advice to the US on how to give a veneer of credibility to the
handover of “sovereignty” to its own hand-picked puppet regime.
Nevertheless, the European powers will continue to look for
opportunities to stake out their own spheres of influence where and
whenever possible, inevitably leading to conflicts with each other and
their larger transatlantic rival.


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IRAQ = JUGOSLAVIJA / 16:

DALL’IRAQ OCCUPATO

Dalla redazione de "La Nuova Alabarda", periodico triestino, riceviamo
questo importante reportage di Marino Andolina.
Andolina è un pediatra dell'Ospedale Civile Burlo di Trieste impegnato
in prima persona ad aiutare concretamente le popolazioni colpite dalle
guerre. E' stato attivo negli scorsi anni anche in Bosnia ed in Kosovo,
e nel 2001 ha aderito al nostro Coordinamento.
E' ritornato recentemente dall’Iraq, dove ha lavorato per rimettere in
piedi l’ospedale di Nassirya: quanto segue è la trascrizione di un suo
intervento fatto “a caldo” il 24 maggio scorso.

 
Sono tornato stanotte dall’Iraq e quello che per primo mi viene in
mente di dire sono le parole di un vecchio film sull’Algeria con Alain
Delon: “né onore né gloria”. Per uno come me, che ha sempre avuto
rispetto e stima per l’esercito ed anche un certo senso patriottico,
dato che ero abituato a girare con gli alpini ed ammirarli per come
sono in grado di gestire la protezione civile, è dura da dire che anche
il mio orgoglio patriottico si sta sciogliendo.

Sono tornato e non ho ancora letto i giornali italiani di questi
giorni, nel mio periodo iracheno ho guardato soltanto le televisioni
arabe, anche se non riesco a comprendere tutto quello che dice Al
Jazeera in arabo, ma vorrei parlare dei funerali di stato, per quel
poveraccio che è stato ammazzato laggiù. Ecco, questo è il tipico
martire di questa ideologia incivile che ci sta dominando, uno che è
andato in Iraq per fare i soldi facili, per depredare gli altri. Gli
eroi di solito rappresentano delle ideologie (se le ideologie sono
sbagliate poi li chiamano terroristi).

Allora con un’ideologia dominante come quella che abbiamo, è giusto che
facciano i funerali di stato per uno come quello che è stato ucciso in
Iraq, perché è il migliore rappresentante di essa.

Anch’io potrei quasi definirmi un mercenario: dopotutto vado a fare
servizio internazionale come dipendente del Burlo, sono pagato per
quello che faccio. Non vado lì da uomo libero, ma da dipendente e come
tale ho sempre cercato di essere prudente in quello che dico perché non
vorrei mettere a rischio i fondi per l’assistenza e per gli ospedali
che ci sono dati anche da giornali di destra. Ma adesso che i fondi
stanno per finire, io apro la diga, non ce la faccio più ad essere
prudente perché la prudenza ora sarebbe un crimine.

Io sono un testimone, ho visto ed ho sentito e posso dire oggi che
l’Italia è complice di criminali di guerra, è complice di torture e di
uccisioni, è complice dell’invasione di un Paese sovrano, è complice di
manifestazioni di un disgustoso razzismo nei confronti di un altro
popolo che è invece molto più civile di noi.

Le televisioni arabe sono migliori delle nostre: esse danno notizie più
che commenti, gli arabi sanno le cose perché vedono le immagini e non
hanno bisogno che vengano loro commentate per capire cosa accade.

Succedono delle cose orrende una dietro l’altra, però noi ci indigniamo
a comando: oggi ci indigniamo per le torture perché ci hanno detto che
dobbiamo indignarci per esse, ma queste torture (che non sono state
particolarmente efferate, né le torture sono una novità in guerra) non
sono peggio di altre cose per le quali invece non ci siamo indignati
perché nessuno ci ha detto di farlo.

Per queste torture un presidente USA ci rimetterà il posto, ma al posto
suo ne verrà un altro che probabilmente non sarà molto diverso.

Qualcuno dice che a Nassirya gli italiani sono stati bombardati perché
consegnavano agli americani i prigionieri iracheni, quindi gli iracheni
vedono gli italiani come complici dei torturatori e responsabili delle
torture inferte. È stato sicuramente un atto di terrorismo bombardare
gli italiani, però è stato motivato dal comportamento dei militari
italiani.

Ed il risultato di questo scandalo delle torture è che adesso i
prigionieri non vengono più torturati per il semplice fatto che adesso
non vengono più fatti prigionieri: adesso si spara a vista, si uccidono
subito i “sospetti”, perché non possono permettersi di fare prigionieri.

A Falluja la realtà è peggiore della fantasia più atroce. Io sono in
contatto con pacifisti USA, la cosiddetta sinistra liberal, che è stata
la prima vittima di questa situazione. Una cosa che tengo a precisare è
che, come non sono antitedesco perché sono antinazista, e difatti le
prime vittime di Hitler furono proprio i tedeschi antinazisti che
furono eliminati, così io non sono antiamericano perché sono contro il
governo di Bush; infatti i pacifisti USA sono le prime vittime di
questa situazione, sono isolati, vengono incarcerati e repressi (e
possono testimoniare che nelle prigioni americane le torture commesse
in Iraq sono all’ordine del giorno, alla fine è stato semplicemente
esportato in Iraq il modello di carcere USA), e tramite le e-mail che
inviano (anche a me) denunciano quello di cui sono a conoscenza; hanno
denunciato la scuola di addestramento per i torturatori, hanno
denunciato il fatto che a Falluja i cecchini USA sparavano sulle
ambulanze, le ambulanze che cercavano di portare soccorso alle donne
incinte che dovevano partorire. A bordo delle ambulanze c’erano
infermieri e medici americani, che facevano vedere fuori dai finestrini
i loro passaporti, ma i cecchini sparavano lo stesso su di loro, anche
se sapevano che erano loro compatrioti, perché, come mi ha riferito un
mio amico medico, dirigente del partito sunnita, chiesto ad un soldato
perché avesse sparato contro l’ambulanza, questo ha risposto “for me is
just a target”, è solo un bersaglio, i generali gli avevano dato ordine
di sparare contro tutto e tutti.

Perché Falluja doveva essere punita come città che sosteneva la
guerriglia; Falluja è una città martire, ha vissuto la stessa storia
del ghetto di Varsavia. A Falluja gli ordini erano di tagliare prima
l’acqua e l’elettricità, poi di scannare i civili. L’ospedale stesso fu
chiuso, occupato dalle truppe americane, che arrestavano e portavano
via tutti i feriti che arrivavano, perché se uno era ferito, dicevano,
era di sicuro un guerrigliero e quindi andava catturato. E così per
quindici giorni l’ospedale di Falluja non ha potuto funzionare.

L’Italia è complice di tutto questo: non è andata in Iraq per aiutare
le ONG a portare soccorsi. Nessuna ONG è andata a lavorare dove c’era
la presenza di militari italiani per non dare loro l’alibi di essere in
Iraq.

Naturalmente sono conscio che i soldati, in genere, sono persone in
buona fede che ritengono di essere lì per fare del loro meglio per
aiutare la gente. Mettono pannelli solari, impiantano ambulatori
veterinari per aiutare gli allevatori, costruiscono pozzi: sono persone
normali che cercano di fare il loro dovere.

Il problema sono le regole d’ingaggio: se le regole ordinano che si
deve fare una determinata cosa, allora i militari devono obbedire.

È stato dato l’ordine di liberare un ponte occupato dai guerriglieri:
allora per liberare questo ponte i militari hanno sparato su chi c’era
sopra, hanno sparato sui civili, hanno ucciso anche bambini. “Perché i
guerriglieri avevano messo davanti i bambini”, hanno detto i comandi
militari, “bisognava sparare per liberare il ponte e se c’erano i
bambini era colpa dei guerriglieri”. Ora, quando si è visto che prima
si ammazzano gli ostaggi e poi si vede di catturare i rapitori? Per
quello che è successo a Falluja bisognerebbe fare un processo per
crimini di guerra: perché è vero che i militari obbediscono agli
ordini, ma qualcuno che dà gli ordini c’è, ed è lui il colpevole.

E questa è la conseguenza della follia militare, perché ogni esercito
diventa criminale quando deve fare la guerra; l’abbiamo visto in tutte
le guerre e da parte di tutti gli eserciti. Ho un amico che era
militare e ha passato delle grane grosse per essersi rifiutato, in
Africa, di obbedire ad ordini non scritti che gli dicevano di usare gli
elettrodi per torturare i civili; ha preteso un ordine scritto che
naturalmente non gli è stato dato, però l’hanno preso di mira e gli
hanno reso la vita impossibile, poi è uscito dall’esercito.

Dicono che l’Italia è andata in Iraq ad aiutare i civili, ma gli aerei
militari non possono essere usati per trasportare feriti civili, così
come i feriti civili non possono essere curati negli ospedali militari.

Inoltre vediamo come si sono comportati i militari (anche italiani) in
Iraq: io penso che un iracheno che ha visto l’occupatore entrare in
casa sua con le armi; che lo ha legato a terra, spogliato ed umiliato
davanti alle sue donne; che gli ha violentato le donne davanti agli
occhi e poi lo ha portato via e gli ha distrutto la casa, quest’uomo
odierà per sempre gli “occidentali”, gli americani e gli europei che
gli hanno fatto questo.

Per questo è necessario che si vada via dall’Iraq, che si lasci la
situazione in mano all’ONU: ma non la stessa ONU che ha votato
l’embargo, un’ONU che ormai è del tutto delegittimata; dovrebbero
invece essere mandati in Iraq soldati islamici di paesi non coinvolti,
indonesiani, pachistani… oppure cinesi, russi, insomma coloro che erano
contrari all’intervento armato USA.

Il ritiro delle truppe potrebbe essere l’unico atto che potrà fermare
questa guerra, non sarebbe un atto vile, ma un atto di giustizia che
potrebbe produrre un effetto a catena per far allontanare anche le
altre truppe d’invasione.

Mi spiego meglio: se noi ce ne andiamo da Nassirya, costringiamo gli
USA a coprire le postazioni lasciate sguarnite da noi, e così se tutti
gli altri eserciti se ne vanno, lasciando soli Stati Uniti e Gran
Bretagna, questi si troveranno con il problema di trovare altre truppe
ed altri fondi da inviare in Iraq per mantenere il controllo del
territorio, e forse questo provocherebbe una reazione contraria delle
popolazioni, che potrebbe spingere i governi a decidere per una
soluzione ONU accettabile. Dove per accettabile intendo dire che gli
USA si troverebbero ad avere fatto tutto questo senza poter portare via
neanche una tanica di benzina, quindi non credo sia una soluzione
realizzabile facilmente.

Ma senza un nostro ritiro la guerra continuerà come guerra civile, la
legge islamica prenderà il posto dello stato laico che noi abbiamo
contribuito ad abbattere: sarà stato un pessimo stato laico, ma almeno
era laico, e dove vigeva un certo ordine (prima della guerra una donna
poteva tranquillamente girare da sola di notte a Baghdad senza dover
temere di venire aggredita, cosa questa oggi inimmaginabile), dove
venivano garantiti dei diritti sociali (le tessere annonarie che
assicuravano alle famiglie il fabbisogno alimentare;
l’ospedalizzazione; l’istruzione), mentre se al suo posto si insedierà
un regime del tipo di quello iraniano, io ho già visto la
preoccupazione delle donne irachene, medici e non, che temono uno
sviluppo del genere che le vedrebbe chiuse in casa senza possibilità di
continuare ad esercitare, lavorare, studiare, vivere.

In effetti per scongiurare il realizzarsi di uno stato islamico l’unica
speranza che ho la ripongo nel voto delle donne irachene che, dopo aver
vissuto libere per tutti questi anni, non accetterebbero supinamente di
diventare come le donne iraniane o, peggio, le donne afgane. D’altra
parte i partiti in lizza con possibilità di vittoria sono ambedue
religiosi e c’è una forte religiosità anche negli strati più colti
della società, per cui c’è la convinzione diffusa che “se Dio lo vuole”
allora bisognerà seguire la legge islamica.

Le caratteristiche con cui la legge islamica verrà applicata, cioè se
saranno ammesse fustigazioni, lapidazioni, burkha ed altro, le vedremo
in seguito, e dipenderà soprattutto da come si comporterà il popolo
iracheno. Ma sarà anche una responsabilità nostra, determinata dal
nostro comportamento, passato e futuro.


Fonte: LA NUOVA ALABARDA
C. Cernigoi, c.p. 57 - 34100 Trieste

[ Sulle attivita' del Movimento di Solidarieta' Austro-Jugoslavo ]


Jugoslawisch-Österreichische Solidaritätsbewegung:

* Antiserbische Hetze in österr. Schulbücher?
* Vorankündigung: Protest am Vidovdan in Wien
* Bericht vom serbischen EU-Kandidatenhearing in Wien
* Wolfgang Petritsch frisst Kreide
* Hintergrund zum Schulbuchskandal :
H. Hofbauer: Intellektuelle Kolonisierung
Unterschriften gegen antiserbisches Schulbuch


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Da: joesb@ vorstadtzentrum.org
Data: Mar 8 Giu 2004 23:47:47 Europe/Rome
Oggetto: Antiserbische Hetze in österr. Schulbücher?

Setzen österreichische Schulbücher die
K.-k.-Kolonialgeschichtsschreibung fort?

Montag, 21. Juni, 19h
Hauptgebäude der Uni Wien
Dr. Karl-Lueger-Ring 1, HS 16

Über das umstrittene Schulbuch „Aus der Geschichte lernen“ diskutieren:

Dr. Manfred Scheuch, Mitautor des Schulbuches (angefragt)
Ministerialrat Dr. Walter Denscher, Schulbuchkommissionen des
Stadtschulrates (angefragt)
Lazar Bilanovic, Dachverband der Serbischen Vereine in Wien
Dr. Hannes Hofbauer, Verleger, Historiker und Balkan-Experte
Prof. Dr. Slavenko Tersic, serbischer Historiker (angefragt)

Diskussionsleitung:
Willi Langthaler (Jugoslawisch-Österreichische Solidaritätsbewegung)


Offener Brief an Bildungsministerin Gehrer mit Facsimile des Buches:
www.vorstadtzentrum.org/cgi-bin/joesb/news/
viewnews.cgi?category=all&id=1083242176


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Vorankündigung: Protest am Vidovdan in Wien

www.vorstadtzentrum.org/cgi-bin/joesb/news/
viewnews.cgi?category=all&id=1086370083

Kundgebung zum Vidovdan

Wien, Sonntag 27. Juni 2004

12h Stephansplatz

Der Vidovdan gilt als der Tag der serbischen Nation. Der St.-Veits-Tag
kündet von der Unterwerfung des serbischen Volkes unter Fremdherrschaft
und dem damit einhergehenden Leiden aber gleichzeitig auch vom
ungebrochenen Widerstand und der Wiederauferstehung. Die serbische
Niederlage am Amselfeld am 28. Juni 1389 begründet dieses immer
wiederkehrende Motiv, das vielfach geschichtsmächtig wurde, wie
beispielsweise beim Anschlag auf den österreichischen Thronfolger in
Sarajewo am 28. Juni 1914. In der Verteidigung Jugoslawiens und
Serbiens gegen die Nato-Aggression spielte der Vidovdan-Mythos abermals
eine wichtige Rolle.

Der Vidovdan wie der Kosovo sind Zentralelemente des serbischen
Nationalmythos. Sie bilden die Geschichte nicht direkt ab, sondern
interpretieren sie und versuchen ihr eine Richtung zu geben, manchmal
auch unter Deformation der historischen Realität. Das gilt aber nicht
nur für den serbischen Gründungsmythos, sondern praktisch für jeden
Nationalmythos, so auch für den amerikanischen von Freiheit und
Demokratie, der angeblich auf der sakrosankten US-Verfassung beruht.

Für diese Mythen gibt es ein Spektrum von Interpretationsmöglichkeiten,
die unterschiedlichen Charakter haben können. Was die serbische Nation
betrifft, so ist in diesem Mythos jedenfalls der unbeugsame Kampf gegen
fremde Imperien enthalten, die sie zu unterwerfen suchen. Das beginnt
mit dem Osmanischen Reich, geht über die Donaumonarchie und
Nazideutschland bis hin zum American Empire und hat damit einen
demokratisch-antiimperialistischen Zug. Gegen eine mögliche
chauvinistische Auslegung kämpfen wir hingegen an.

In diesem antiimperialistischen Sinn rufen wir zum Vidovdan 2004 auf,
als Symbol des fortgesetzten Widerstands der armen Klassen des
serbischen Volkes gegen den imperialen Kapitalismus, der seine
Globalisierung nur mehr mit Hilfe des permanenten Krieges durchsetzen
kann. Unser Protest richtet sich gleichermaßen gegen seine lokalen
Profiteure und Erfüllungsgehilfen, wie sie zuallererst von der mafiösen
Djindjic-Clique repräsentiert werden.


Nato raus aus dem Balkan!
Kein Beitritt der Balkanländer zur EU!
Föderative Vereinigung als einzig mögliche Form der nationalen
Selbstbestimmung!


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Da: joesb @ vorstadtzentrum.org
Data: Gio 10 Giu 2004 12:35:32 Europe/Rome
Oggetto: Regimeparteien boykottieren Kandidatenhearing der JÖSB

1) Bericht vom serbischen EU-Kandidatenhearing in Wien
2) Wolfgang Petritsch frisst Kreide
3) H. Hofbauer: Intellektuelle Kolonisierung
4) Unterschriften gegen antiserbisches Schulbuch

***

1) Regimeparteien boykottieren Kandidatenhearing der JÖSB

Nur Walter Baier, Kandidat der Liste „Linke“, sowie Agnes Kurtz in
Vertretung von Kurt Köpruner von der Liste „Hans Peter Martin“ waren
der Einladung der Jugoslawisch-Österreichischen Solidaritätsbewegung
ins Wiener Amerlinghaus gefolgt.

Dieser schroffe Abweisung durch die bipolaren EU-Parteien spricht Bände
über ihre Haltung gegenüber den österreichischen Serben. Die einzig
plausible Erklärung für dieses Verhalten ist die Affirmation des
Aggression gegen Jugoslawien und die Fortsetzung der antiserbischen
Hetze. Belege dafür gibt es gerade auch aus der jüngsten Vergangenheit
genug.

So wird in österreichischen Schulbüchern – approbiert vom
Unterrichtsministerium unter Leitung von Ministerin Gehrer (ÖVP) von
der serbischen Terrorherrschaft über den Kosovo gesprochen, ohne die
Vertreibung der Serben auch nur zu erwähnen – eine glatte Legitimation
des Krieges. Währenddessen tourt Wolfgang Petritsch (SPÖ) durch’s Land
und tischt weiterhin die Lüge von Racak auf, mit deren Hilfe er das
Ultimatum von Rambouillet dem Medienzirkus verkaufte.

Die anwesenden KandidatInnen hingegen verurteilten den Krieg gegen
Jugoslawien und forderten das Rückkehrrecht für die aus dem Kosovo
vertriebenen Serben. Der Haager Gerichtshof wurde als abzulehnende
Farce bewertet. Ebenso einhellig wurde die EU-Verfassung
zurückgewiesen, die insbesondere die ost- und südeuropäischen Ländern
in ein undemokratisches Korsett zu zwingen versucht.

Seitens der JÖSB wurde aber auch die Kriegsgegner nicht von
unangenehmen Fragen verschont. Trotz Insistierens war allerdings keine
Antwort darauf zu erhalten, warum sie sich nicht explizit auf die Seite
des sich gegen eine imperialistische Aggression verteidigenden
jugoslawischen bzw. serbischen Volkes gestellt hatten.

Indes kam von beiden die Zusage, die Kampagne zur Entfernung der
antiserbischen Indoktrination aus den Schulbüchern zu unterstützen
genauso wie an den für 27.6. in Wien geplanten Vidovdan-Protesten
teilzunehmen.

Schriftliche Erklärungen der befragten KandidatInnen:
www.vorstadtzentrum.org/cgi-bin/joesb/news/
viewnews.cgi?category=all&id=1086862147

***

2) Wolfgang Petritsch: der Nato-Krieger als Herold der multiethnischen
Gesellschaft

Wolfgang Petritsch war Besatzungsverwalter in Bosnien, EU-Beauftragter
für die Abtrennung des Kosovo von Jugoslawien und Überbringer des
Nato-Ultimatums in Rambouillet, wo die Verantwortung für den bereits
beschlossene Krieg gegen Jugoslawien diesem medial in die Schuhe
geschoben wurde.

Petritsch ist der klassische Vertreter für den militärischen
Humanitarismus, ein Krieger für das was er unter Demokratie (siehe die
diktatorischen Vollmachten des Bosnien-Protektors) und „multiethnischer
Gesellschaft“ (siehe die antiserbischen Vertreibungen im Kosovo)
versteht. Das multinationale Jugoslawien, das eine gewisse
Selbständigkeit gegenüber dem Westen bewahrt hatte, wollte er mit allen
Mitteln zerschlagen. Im Namen der Globalisierung und des Kampfes gegen
den Nationalismus wurden die sezessionistischen Nationalismen
unterstützt, die zu zahlreichen blutigen Kriegen und hunderttausenden
Vertriebenen führten. Jetzt, nachdem die Märkte erobert, der nationale
Hass im Sinne des „Teile und Herrsche“ geschürt – kurz gesagt der
Balkan unter westlicher Kontrolle ist –, soll mittels „ziviler und
multiethnischer Gesellschaft“ die Unterwerfung stabilisiert und
legitimiert werden.

Petritsch ist nichts anderes als das zivilgesellschaftliche Gesicht
Mocks. Beide setzten sie die jahrhundertealte antiserbische Aggression
fort, beide sind sie Kolonialkrieger an deren Händen das Blut der
Völker des Balkan klebt.

Lassen wir nicht zu, dass der humanitäre Bombenleger Petritsch Kreide
frisst und sich als Friedensengel inszeniert.

Wir fordern all jene, denen Demokratie und Selbstbestimmung ein
Anliegen ist, dazu auf, bei Propagandaveranstaltung "EUropäisierung des
Balkans" Petritsch kritische Fragen zu stellen:
www.vorstadtzentrum.org/cgi-bin/joesb/news/
viewnews.cgi?category=all&id=1086858840

***

3) Hintergrund zum Schulbuchskandal

Hannes Hofbauer: Intellektuelle Kolonisierung

Wie die Geschichte des Balkan nach dem Jugoslawien-Krieg durch die
Sieger umgeschrieben wird

Deutsche und österreichische Lehrbücher, so sie sich überhaupt mit der
Zerstörung Jugoslawiens in den 1990er Jahren beschäftigen, bauen ihr
zeithistorisches Bild der Bürger- und Interventionskriege auf dem
Mythos der Befreiung der südslawischen Völkerschaften durch die
internationale Gemeinschaft auf. Das ist, im Gefolge der Beteiligung
Berlins am NATO-Krieg gegen Jugoslawien und Wiens an der Zerstückelung
der Föderation, nur folgerichtig. Da wird in den Schulbüchern dem im
deutschen Außenamt mit geheimdienstlicher österreichischer Hilfe
entstandenen »Hufeisenplan«, der Belgrad die systematische Vertreibung
der Albaner aus dem Kosovo in die Schuhe schieben wollte, wieder neues
Leben eingehaucht. Da gilt Franjo Tudjman, bei allen nachträglichen
Vorbehalten, als Befreier der Kroaten und Slobodan Milosevic als Tyrann
über die Serben. Da wird der NATO-Angriff zur Friedensmission und die
Verschleppung von Milosevic vor das Kriegsgericht, das UN-Tribunal in
Den Haag, zur gerechten Sache. Wenn sich Christine von Kohl in einem
österreichischen Lehrbuch für Geschichte (Achs/Scheuch/ Tesar, Aus
Geschichte lernen, 3. aktualisierte Auflage 2002), das heute noch in
Gebrauch ist, über die brutale »Serbisierung« des Kosovo auslassen
darf, dann setzt sich zeitgeschichtliche Rezeption dort fort, wo die
Kriegspropaganda 1999 aufgehört hat. »Das tägliche Leben der
albanischen Bevölkerung im Kosovo«, zitiert der Lehrbehelf die
Sachbuchautorin Christine von Kohl mit ihrer Sicht des Lebens im Kosovo
vor 1999, »ist einerseits von Polizeiterror geprägt, andererseits
dadurch bestimmt, daß den Menschen keine einzige Instanz oder Behörde
rechtlichen Schutz bietet«. Kein Wort über die Gewaltakte
kosovo-albanischer Extremisten gegen serbische Bewohner, kein Hinweis
auf die Guerilla-Aktivität der UCK mit ihrer Bombenkampagne gegen
serbische Polizeistationen und albanische Loyalisten; und auch keine
Aktualisierung des Lehrinhaltes, die angesichts der systematischen
Vertreibung der serbischen Minderheit aus dem Kosovo unter den Augen
der KFOR und UNMIK längst an der Zeit wäre. Statt dessen wird die
Kriegspropaganda des NATO-Feldzuges 1999 auch fünf Jahre nach seinem
Ende für 17jährige Schülerinnen und Schüler nachgebetet.

Ganzer Artikel:
www.vorstadtzentrum.org/cgi-bin/joesb/news/
viewnews.cgi?category=all&id=1086853479

***

4) Unterschriften gegen antiserbisches Schulbuch

Wir bitten alle den offenen Brief an Ministerin Gehrer zu
unterschreiben:
www.vorstadtzentrum.org/cgi-bin/joesb/news/
viewnews.cgi?category=all&id=1083242176

Bitte die Unterschriftenliste per Email anfordern und unterschrieben an
die JÖSB zurücksenden.


**************************************
Jugoslawisch-Österreichische Solidaritätsbewegung
Meiselstraße 46/4
A-1150 Wien
Tel&Fax: (+43 1) 9202083
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[en francais:
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I minuti più lunghi della mia vita

di Michel Collon - michel.collon@skynet .be

(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

Lunedì 14 giugno 2004, alle ore 8.45, Palazzo di Giustizia di
Bruxelles, 50.esima camera penale.

Perché domando giustizia !

Piovono i colpi. Mi hanno ammanettato e gettato sul pavimento della
camionetta. Mi sono impossibili i movimenti. Il primo comincia a
picchiarmi sulla testa. Con molta violenza. Colpi regolari, incessanti.
Portati in modo caratteristico: pugno serrato, a falangi piatte. Più
tardi potrò comprendere: si insegna loro come causare molto dolore
senza lasciare tracce. Inizia anche l'altro e mi sferra con i piedi dei
colpi terribili nel ventre e alle costole. Urlo dal dolore: «
Fermatevi, ve ne prego!» Ma loro continuano con maggior lena. «Sporco
anarchico, vedi cosa ti tocca per aver voluto manifestare! Ecco, non ci
sono più telecamere? Sicuro, è proprio giusto, questo ci va bene! »
Sono scatenati.! Sono terrorizzato, mi sto dicendo che ne uscirò morto
o infermo. Questo pestaggio andrà avanti per tutto il tempo del
tragitto che mi condurrà al commissariato. I minuti più lunghi della
mia esistenza.
Al commissariato, dovrò reclamare per tanto tempo prima di essere
condotto alla fine all'ospedale. Quattro costole fratturate, contusioni
multiple, stato di choc. Molte settimane inchiodato ad una poltrona.
Lunedì prossimo, 14 giugno 2004, cinque anni più tardi, loro
compariranno finalmente davanti al tribunale penale di Bruxelles, per «
colpi e lesioni » e « arresto arbitrario ».

Bruxelles : divieto generale di manifestare contro la guerra.

Flash-back. Queste violenze sono successe il 3 aprile 1999. Dieci
giorni prima, la Nato aveva iniziato a bombardare la Jugoslavia. Con
qualche compagno, avevo presentato la richiesta per manifestare nelle
vicinanze della sede della Nato. Il borgomastro liberale di Bruxelles,
De Donnéa, emette un'ordinanza da imbecilli. Proibisce qualsiasi
manifestazione a Bruxelles in favore della pace. Non importa dove, non
importa quando. Violazione evidente della Costituzione e della libertà
di manifestare le proprie opinioni.
Immediatamente, noi inoltriamo un ricorso al Consiglio di Stato, che,
con procedura di urgenza, annulla la decisione del borgomastro.
Manifestazione autorizzata !
Non tollerando questo, il borgomastro riprende immediatamente la stessa
ordinanza e, con l'appoggio del Ministro dell'Interno Vanden Bossche,
invia sul posto centinaia di poliziotti, autopompe, blindati e un
elicottero. La violenza poliziesca sarà incredibile : 141 persone
arrestate, numerosi i feriti. Arrestati perfino giornalisti e
fotografi. Silenzio, ... si picchia !
Sembrava che la Nato bombardasse la Jugoslavia per portarle la
democrazia. L'esempio fornito a Bruxelles non era troppo convincente !
Come organizzatore della manifestazione, sono il primo ad essere
arrestato. Con una brutalità estrema e gratuita: non era avvenuto e non
sarebbe avvenuto alcun incidente, a parte le violenze della polizia. In
modo manifesto, si vedeva che erano state impartite istruzioni per
intimidire chiunque avrebbe protestato contro la guerra. E per mettermi
fuori gioco. Alcuni testimoni avevano inteso dire da poliziotti : «
Eccolo là, il giornalista !» (Che è la mia professione).
Avevamo ben ragione di protestare, era proprio una sporca guerra.

Per fortuna, le diverse televisioni del Belgio avevano dato buona
copertura all'avvenimento. Immagini impressionanti avevano mostrato la
brutalità poliziesca. E l'indignazione generale ha immediatamente
costretto il borgomastro a ritornare sulle sue decisioni. In seguito le
manifestazioni sono state autorizzate.
Gli innumerevoli messaggi di solidarietà mi hanno permesso di superare
lo choc. Ed anche, il fatto di riprendere a poco a poco la mia attività
in favore della pace. Agire aiuta molto. Dopo essermi sufficientemente
ristabilito, sono partito per la Jugoslavia con 15 Belgi, durante i
bombardamenti, in modo da testimoniare le devastazioni della « guerra
pulita » della Nato.
Sul posto, abbiamo potuto verificare come era giusto manifestare contro
questa guerra...
La Nato bombardava ponti, fabbriche, infrastrutture elettriche civili,
stabilimenti televisivi, colonne di profughi, l'ambasciata di Cina...
Evidenti crimini di guerra!
La Nato bombardava importanti installazioni petrolchimiche, con tutte
le conseguenze per la salute delle popolazioni... Evidenti crimini di
guerra!
La Nato utilizzava armi all'uranio che hanno provocato un'esplosione di
malattie da tumori e leucemie fra le popolazioni civili... Evidenti
crimini di guerra!
La Nato faceva uso sui mercati e sui posti pubblici di bombe a
frammentazione, che si disperdevano in tante altre piccole bombe a
ritardo, che ammazzavano o mutilavano i bambini che le scambiavano per
giocattoli... Evidenti crimini di guerra!

Il diritto di mentire, non il diritto di rispondere ?

In breve, ben prima di Bush, gli Stati Uniti, ma anche l'Europa,
avevano violato sistematicamente la Carta dell'ONU (interdizione al
ricorso alla guerra) e le Convenzioni di Ginevra (interdizione
all'aggressione di civili). Tutti quei governi europei, oggi tanto
virtuosi a fronte di Bush, hanno curato che i manifestanti per la pace
siano marginalizzati, censurati, demonizzati, se non addirittura
aggrediti.
Ma oggi il bilancio di questa guerra è negativo in modo così
schiacciante che tutti possono vedere come fosse giusto ed importante
difendere il diritto a manifestare. Dato che, dopo cinque anni, il
Kosovo è sottoposto a pulizia etnica, al terrore delle milizie
dell'UCK, sotto la protezione degli USA. Un terrore che d'altronde
colpisce anche tanti Albanesi. Oggi il Kosovo è una terra senza
diritto, senza legge, senza giustizia. La mafia, con la quale gli Stati
Uniti « hanno fatto un matrimonio di convenienza», secondo un esperto
canadese, ha fatto di questa provincia il centro nevralgico dei
traffici di droga, di armi e della prostituzione verso l'Europa. Per di
più, come è stato confermato da Amnesty, le basi Nato hanno sviluppato
un traffico enorme di schiave sessuali. Il vero scopo era quello di
installare un'imponente base militare USA, Camp Bondsteel, sul
tracciato del progetto USA di oleodotto attraverso i Balcani. Con in
più piste per bombardieri!

All'epoca di questa guerra, condotta per conseguire obiettivi economici
e strategici occulti, spacciata all'opinione pubblica sotto pretesti
umanitari e tramite menzogne diffuse dai mezzi di informazione, che non
si aveva diritto di mettere in dubbio, a quest'epoca non stava bene
organizzare manifestazioni per la pace.
A Parigi, un professore serbo della Sorbona, organizzatore di un grande
raduno in favore della pace, veniva assassinato sul pianerottolo della
sua abitazione. Due mesi più tardi, in Kosovo, un'altra personalità
attiva contro la Nato, il giornalista Daniel Schiffer, sfuggirà per
miracolo ad un bombardamento mirato dell'aviazione USA contro la sua
vettura. Il conducente e un altro giornalista verranno uccisi. Lui se
la caverà miracolosamente. A quei tempi non era proprio salutare
manifestare...

Dei poliziotti « sotto protezione » ?

Ecco perché oggi io reclamo giustizia! Pretendo il diritto di
continuare a manifestare contro queste guerre ingiuste. Bush ha
promesso di accumulare per noi le risorse altrui, solo la resistenza
dei popoli, Iracheno e altri, gli ha impedito di agire più velocemente.
Ma quello che la Francia sta facendo in Africa non è molto di più
'umanitario' e non ispira più fiducia dell'uso che verrà fatto
dell'Euro-Esercito in preparazione. Un Euro-Esercito per nulla
difensivo, che si ripromette di intervenire in Medio Oriente, in Congo
e in altre parti. Sulla guerra contro la Jugoslavia, ciascuno aveva il
diritto di avere la propria opinione, e all'epoca le opinioni erano
molteplici. Ma il diritto a manifestarle è un diritto fondamentale.
Perciò reclamo giustizia. Non solamente contro quei due poliziotti che
mi hanno aggredito, ma anche contro chi li comandava, il borgomastro di
Bruxelles e il capo della polizia. Perché, delle due cose l'una: o ben
che i poliziotti hanno violato le loro consegne o ben che loro hanno
agito secondo istruzioni. Se hanno violato le consegne, il loro
comandante, il borgomastro di Bruxelles, avrebbe dovuto biasimarli,
sottoporli a sanzioni e ritirarli dalla pubblica via perché pericolosi.
E se questo borgomastro De Donnéa avesse avuto un briciolo di umanità o
di buona educazione, poteva essere che si fosse scusato o almeno che si
fosse procurato mie notizie? Invece non ha fatto nulla di tutto questo.
Ha solo protetto i suoi gendarmi brutali.
D'altro canto la Procura della Repubblica si è dimostrata più che
indulgente nei riguardi di questi due picchiatori. E per di più, il
giudice istruttore Collignon riteneva impossibile identificarli.
Formidabile! Sono effettuati degli arresti, sotto gli occhi delle
telecamere, con dozzine di testimoni, con processi verbali e non esiste
alcun modo per rintracciare questi poliziotti? Andando avanti,
pretendeva di non potere determinare il momento preciso in cui ero
stato bastonato, e perciò di non poter perseguire questi poliziotti.
Altra stupidaggine! Io entro integro in una camionetta, davanti a
telecamere e a dozzine di testimoni, ne esco con quattro costole rotte,
e il giudice Collignon non capisce quando questo è potuto avvenire?
Incompetenza o volontà mossa da malafede?

In nome di tutte le vittime di « errori »

Fortunatamente, i miei avvocati, i Professori Jan Fermon e Selma
Benkhelifa, si sono battuti punto su punto. Grazie a loro, ho potuto
finalmente essere messo a confronto con i miei aggressori nei locali
delle inchieste sulle polizie. Loro continuano sempre a mentire, ma le
loro dichiarazioni sono piene di contraddizioni e questo illuminerà
l'udienza. Il dossier nei loro confronti è schiacciante.
Comunque, io voglio battermi anche per tutti coloro che sono vittime
senza nome delle violenze poliziesche. In particolare nella Città di
Bruxelles. Alcune associazioni per i diritti dell'uomo hanno già
sottolineato come sia difficile portare in giudizio dei poliziotti
brutali. Le vittime di arresti arbitrari, di bastonature gratuite, di
dimostrazioni da cow-boys generalmente non hanno le mie « possibilità
». Quando succede a loro questo, non ci sono telecamere. Anche per
tutti costoro io reclamo giustizia!
Il diritto a mentire, il diritto a colpire, il diritto ad arrestare
arbitrariamente, il diritto ad impedire di manifestare, il diritto
all'impunità? È fuori questione accettarli!

L'udienza avrà luogo lunedì 14 giugno, alle ore 8.45, al Palazzo di
Giustizia di Bruxelles, presso la 50.esima camera penale. Quelli che
possono rendersi liberi, sono i benvenuti. Io penso che oggi sia
importante mobilitarci insieme per fare rispettare e garantire le
nostre libertà politiche di domani.


Michel Collon, giornalista e scrittore belga, particolarmente attento
ai meccanismi di mistificazione dei media e della disinformazione, e
impegnato nello smascheramento delle média-menzogne, ha pubblicato
Attention médias!(1992), Poker menteur (dedicato ad un'analisi delle
guerre in Jugoslavia, 1998), Monopoly: L'Otan à la conquête du monde
(2000).
Sulla Jugoslavia ha girato anche i film "Sous les bombes de l'Otan" e
"I dannati del Kosovo". "I dannati del Kosovo": questo film è il frutto
della collaborazione fra Vanessa Stojilkovic, regista, e Michel Collon.
Vanessa Stojilkovic, venticinque anni, ha perso diversi membri della
sua famiglia durante la guerra e si è impegnata nel montaggio del film,
soprattutto per raccontare una verità oggi taciuta dai media.

Fonte: sito "Resistenze"
http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/pose4f06.htm


La condizione dei lavoratori in Serbia a 5 anni dalla guerra umanitaria
della Nato


Intervista di Enrico Vigna (Ass. SOS Yugoslavia, Torino) a Ruzica
Milosavljevic (ex segretaria del Sindacato Samostalni della Zastava di
Kragujevac) e Cedomir Pajevic (attuale vice segretario del Sindacato
Samostalni Ufficio Collocamento disoccupati, della Zastava di
Kragujevac… attualmente il più “grande” sindacato per iscritti).
L'intervista e' stata raccolta nell’ultimo viaggio periodico di SOS
Yugoslavia (Marzo 2004) e pubblicata dalla rivista L’Ernesto nel numero
2-2004 - vedi: http://www.lernesto.it


Prima delle domande e risposte dirette cerco in modo breve e sintetico
di dare un quadro informativo generale sulla situazione nel paese.

La situazione sociale è in continuo peggioramento, aumento costante dei
prezzi, processi di privatizzazione  e svendita delle grandi aziende
pubbliche e delle infrastrutture, smantellamento dello stato sociale,
scuole, sanità e servizi ormai di fatto privatizzati o aggrediti da
misure di liberismo sfrenato. La città di Kragujevac, che è definita
dai giornali la “pianura della fame”, è la città con la più alta
concentrazione operaia, non solo della Serbia, ma anche dei Balcani;
oltre alla presenza della Zastava ( che era la più grande fabbrica
metalmeccanica dei Balcani e al cui interno vi erano lavoratori di 26
etnie diverse), vi erano industrie tessili, alimentari, oltre
all’indotto produttivo direttamente legato alla Zastava.

Oggi la situazione in numeri è questa: dei 36.000 dipendenti, ne
restano ufficialmente 16.500, gli altri sono stati licenziati o indotti
alle dimissioni. Questi 16.500 lavorano a rotazione, cioè mediamente
4-5.000 al mese e poi ne subentrano altri; quando lavorano percepiscono
un salario medio di 165 euro mensili e nel periodo di non lavoro 70-80
euro mensili.

Secondo le statistiche ufficiali il paniere, cioè la spesa per soli
generi di prima necessità per una famiglia di quattro persone in Serbia
oggi è di 270 euro.
Essendo privatizzati o in fase di privatizzazione i servizi sociali,
una gran parte delle famiglie non ha più luce e riscaldamento, migliaia
sono sfrattate e si registra il dilagare di malattie dovute, da un lato
alle conseguenze dei bombardamenti all’uranio, che cominciano ad
emergere massicciamente ( tumori, leucemie e malattie della pelle in
particolare), e dall’altro alle conseguenze di 10 anni di embarghi,
sanzioni e guerre. Purtroppo il processo di privatizzazione della
sanità impedisce alla stragrande maggioranza delle famiglie di comprare
i medicinali ( che hanno prezzi occidentali) e quindi di potersi
curare, ed anche in questo caso i bambini sono i più colpiti.

Acqua, luce, prezzi, affitti, riscaldamento hanno subito dal 2000 ad
oggi, aumenti medi del 60-65%.
La stragrande maggioranza delle famiglie passa gli inverni senza
riscaldamento o vivendo in una sola stanza riscaldata a legna, non
potendo pagare le bollette del teleriscaldamento ( con temperature
invernali che arrivano anche a 20° gradi sottozero). Infatti una delle
riforme strutturali – sempre ovviamente per “democratizzare” il popolo
serbo – è quella che prevede il recupero  degli arretrati delle
bollette energetiche che il precedente governo aveva “condonato”, in
quanto riteneva assurdo far pagare bollette a famiglie che, tra
embarghi, sanzioni e conflitti, non aveva salari sufficienti neanche
per arrivare a fine mese. Ma ora è arrivata la “democrazia”  e la
libertà dei profitti…e questo si sa, costa e qualcuno deve pur pagarla.
Anche la scuola, in avanzato stato di privatizzazione, sta diventando
un lusso, non avendo le famiglie soldi per le tasse, il materiale
scolastico e i trasporti quotidiani, che prima erano praticamente
garantiti dallo stato o contenuti da programmi di difesa sociale. La
stessa università ha ormai, a seconda delle facoltà, un costo che va
dai 700 ai 1.500 euro.

I dati ufficiali riferiti all’anno passato sono questi:
su una popolazione di circa 10.000.000 di persone ( non potendo
calcolare il numero dei profughi nel paese, che si aggira intorno al
milione) i disoccupati sono  981.340, 1.269.350 risultano occupati con
una media giornaliera di 3,5 ore di lavoro e mediamente oltre 200.000
lavoratori non ricevono lo stipendio regolarmente. I 2/3 della
popolazione in Serbia spende mediamente 1,5 euro al giorno pro capite e
di questi 1/3 di essi spende 0,50 euro al giorno, è cioè in uno stato
di povertà grave. Il 60% viene speso per il cibo.

Questi sintetici dati sono il contesto generale in cui si inseriscono
le risposte qui di seguito, dei due compagni sindacalisti da me
intervistati.

D.:  Qual è la situazione nel paese dal vostro punto di vista e
dall’interno del movimento dei lavoratori e alla Zastava in particolare?

R: Milosavljevic: La coscienza tra i lavoratori è ancora confusa e
contraddittoria, perchè  le privatizzazioni erano state presentate dal
nuovo governo dopo gli avvenimenti dell’ottobre 2000 (n.d.r: l’assalto
al parlamento e la destituzione di fatto del precedente governo di
unità nazionale, da parte delle forze di opposizione filo occidentali,
della DOS), come la soluzione ai problemi del dopo guerra ed embarghi.
Una massiccia campagna mediatica aveva di fatto convinto e illuso la
gran parte dei lavoratori, che l’unica soluzione stava in questa
riforma e che più profonda e spregiudicata fosse stata, avrebbe
maggiormente interessato eventuali investitori stranieri, migliorando
così le loro condizioni di vita. In una situazione conseguente a 10
anni di embarghi, sanzioni e guerre, le condizioni di vita e morali dei
lavoratori erano ormai allo stremo, e questo fu recepito come speranza
di un miglioramento o perlomeno come un tentativo che li facesse uscire
da uno stato di difficoltà protratto.

Lo scorso anno la produzione industriale in Serbia ha subito un crollo
del 5%, quella agricola del 12%; il deficit del commercio estero nei
soli due anni tra il 2001 e il 2003 è stato di 9.215 dollari, il debito
pubblico a dicembre ha raggiunto i 19 miliardi di dollari. Siamo di
fatto caduti in uno stato di schiavitù da indebitamento e l’economia
stagnante non è in grado di far fronte a impegni che hanno superato la
somma della produzione nazionale lorda. Lo sfruttamento delle capacità
produttive è inferiore al 40 per cento e l’80% delle attrezzature è
ormai obsoleto.Il tasso di crescita economica del 2003 è stato del 1% e
secondo i calcoli degli esperti saranno necessari 30 anni per
raggiungere i dati del 1989.

Si parla di 34.000 imprese che devono andare in fallimento con la
conseguenza di altri 450.000 lavoratori che resteranno senza lavoro.
Sulla Serbia  incombe un’esplosione sociale simile a quella  avvenuta
in Argentina, che era stata lodata dai finanzieri internazionali per 10
anni, finchè non è avvenuto il tracollo economico. Al posto di uno
sviluppo economico abbiamo ottenuto una recessione da transizione, una
drammatica caduta degli standard di vita, crescita dei debiti e del
deficit ed una economia senza liquidità.

La situazione in particolare alla Zastava, nonostante scioperi e
proteste, è senza reali sbocchi. Il continuo processo di scomposizione
dei reparti produttivi, prospettato come necessario per rendere ancora
più appetibile la vendita della azienda, non ha prodotto nulla se non
disoccupazione, crollo della produzione e smantellamento delle
potenzialità strutturali del gruppo. Proprio in questi giorni è stato
pubblicizzato l’ennesimo progetto fantasma ( periodicamente ogni
stagione si fa trapelare notizie e piani di acquisizione di investitori
stranieri, che dovrebbero rilanciare la fabbrica e quindi il lavoro,
con l’obbiettivo nascosto di contenere il malcontento e sopire la
disperazione e la rabbia) .

Questo nuovo progetto sarebbe di produrre un nuovo modello di vettura
con la Toyota, la quale dovrebbe mettere il motore, mentre le scocche e
i pezzi di ricambio sarebbero Zastava. Ennesima notizia fasulla, in
quanto le scocche Zastava che dovrebbero essere utilizzate  sono quelle
prodotte in questi anni senza motori e la maggior parte di esse non
possono più essere utilizzate, in quanto secondo le regolamentazioni
internazionali una scocca prodotta da più di due anni, è classificata
come scaduta quindi non ha più garanzia e non può essere montata. E la
Zastava non ha fondi per produrne di nuove. Il nostro pessimismo sulla
situazione del nostro paese è legato ad un dato che fa da specchio per
leggere il nostro futuro : se la Zastava chiude, la Serbia perde il 40%
della produzione industriale, come lo sprofondare in un abisso  per un
paese. Ma purtroppo questo è lo scenario che i fatti ci indicano e se
questa prospettiva, ormai evidenziata sia dai fatti che da dati
oggettivi anche indipendenti da volontà soggettive, non sarà ribaltato,
questi saranno gli scenari futuri per i lavoratori della ex Repubblica
Federale Jugoslava. 

D.: Quali sono state in questi mesi, le maggiori proteste e lotte nel
paese e qualche esito hanno ottenuto per i lavoratori?

R: Milosavljevic : Praticamente in ogni settore lavorativo vi sono
continui scioperi o proteste, dal settore delle telecomunicazioni a
quello dei lavoratori postali e delle banche, scesi più volte in lotta
contro licenziamenti di massa, per il pagamento dei salari e contro le
ristrutturazioni e le privatizzazioni.

A Smederevo e Sabac lotte nelle fabbriche contro licenziamenti e per
aumenti salariali. Nelle acciaierie di Smederevo, le più grandi del
paese, la lotta era contro i nuovi padroni americani, che dopo aver
acquisito l’azienda avevano immediatamente licenziato circa 1.000
lavoratori, imponendo una paga oraria di 0,40 dollari all’ora. Dopo uno
sciopero generale durato settimane, che ha anche coinvolto la città, i
lavoratori hanno ottenuto una grande vittoria per questi tempi: accordo
circa i licenziamenti, in parte rientrati e in parte ridefiniti presso
l’ufficio collocamento con il sussidio mensile di 60 euro, ottenuto un
aumento salariale che ha portato la paga oraria a 1,00 dollaro, la
cacciata del manager americano T.Kelly, facente funzione di direttore
della fabbrica .

Ma anche una vittoria più profonda e importante per il futuro: la
Commissione Anticorruzione dopo le denunce dei lavoratori e del
Sindacato ha bloccato il processo di privatizzazione della fabbrica per
presunti illeciti, falsi e truffe avvenute nella compravendita. (
n.d.r. : in sintesi è successo questo, per ristrutturare la Sartik
furono spesi tre anni fa 2 miliardi di dollari; lo scorso anno altri
700 milioni di dollari per ammodernarla e poterla vendere…..al prezzo
di 35 MILIONIdi dollari, all’acquirente americano. Il quale dopo le
denunce e indagini si è rivelato un semplice complice e prestanome di
alcuni esponenti del governo DOS. Ora anche le Banche che avevano
garantito i prestiti si sono rivolte al Tribunale Internazionale per
andare fino in fondo alla vicenda…e.v.).

Scioperi e lotte anche a Nis nelle fabbriche MIN e EI, dove da un
totale di 28.000 lavoratori fino al 2000, sono omai rimasti 6500
occupati, di cui solo 700 percepiscono un salario intero, il resto
lavora solo a chiamata per alcuni giorni al mese. Qui la protesta ha
per ora solo bloccato i piani, ma non si è ottenuto altro, le
trattative continuano. Scioperi anche alla fabbrica Zvevda e alla DES,
dei lavoratori del consorzio PKB e dei Centri Commerciali e altri.

Si è temporaneamente conclusa la lotta dei minatori dei più grandi
centri minerari dei Balcani, che hanno ottenuto aumenti salariali, un
miglioramento delle condizioni di lavoro, che erano peggiorate
notevolmente dall’ottobre 2000, blocco del processo di privatizzazione
ed in alcuni casi addirittura di chiusura di alcuni centri. E’ stata
anche ottenuta dal Sindacato una vittoria contro lo scorporo della
categoria minatori da quella del settore elettrici, che avrebbe
drasticamente indebolito entrambe le categorie favorendo poi così, i
successivi piani di smantellamento già previsti, in tutti e due i
settori. A livello del paese questa è stata salutata come una grossa
vittoria sindacale e di difesa degli interessi generali dei lavoratori.

D.: Qual è in questo momento la situazione organizzativa del Sindacato
Samostalni e quali le sue dinamiche interne ?

R: Pajevic : Dopo l’ottobre 2000 (n.d.r.: va segnalato per chi non
conoscesse bene la situazione di là, che dopo gli avvenimenti del 5
ottobre 2000, culminati con l’assalto al parlamento, ci fu in tutto il
paese una vera e propria campagna intimidatoria e violenta, di cacciata
e allontanamento di quasi tutta la vecchia dirigenza sindacale,
accusata di far parte del vecchio regime e quindi dimessa spesso con la
forza e sostituita d’ufficio da nuovi dirigenti espressi per
lottizzazioni partitiche della DOS, salvo poi in molte situazioni
essere reintegrati dai lavoratori alle prime scadenze elettorali nei
posti di lavoro.

Su questi avvenimenti abbiamo come Associazione moltissima
documentazione anche video, che testimonia le violenze e le
prevaricazioni. Su quel periodo io stesso ho prodotto molti articoli e
resoconti degli avvenimenti, alcuni di cui sono stato testimone
diretto, uno in particolare tratta del coraggio e la fermezza della
stessa R. Milosavljevic, aggredita e  minacciata da picchiatori della
DOS, ma senza fare un passo indietro. Per chi volesse avere la
documentazione, contattarmi o vedere nel sito www.resistenze.org 
e.v.), la nuova dirigenza sindacale fu scelta su basi di lottizzazioni
partitiche delle forze DOS, questo è stato in questi anni un limite e
un problema notevole perché il dibattito interno era caratterizzato da
scontri di interessi legati a esponenti di partiti e a contraddizioni
tra di essi, questo ha penalizzato gli interessi reali dei lavoratori e
una forte strategia di opposizione e contrasto agli avvenimenti di
devastazione sociale avvenuti in questi ultimi tre anni e mezzo.

Nel frattempo molti sindacalisti vecchi sono stati rieletti dai
lavoratori, il crescere dei problemi e l’assenza di risposte forti,
hanno costretto anche molti nuovi delegati onesti a richiedere con
sempre più forza programmi e proposte di lotta chiaramente connotati
contro le politiche governative, fino a far schierare pubblicamente il
sindacato, nelle scorse elezioni per la caduta del precedente governo,
nonostante la quasi totale dirigenza nazionale sia espressione di quei
partiti governativi. Ma la spinta ed il malcontento sono omai così
talmente alti che il timore di perderne il controllo, ha fatto sì di
scegliere l’opzione dell’assecondare questa rabbia, perlomeno a livello
elettorale. Non c’è oggi nella dirigenza del Sindacato Samostalni una
chiara e precisa strategia di programmi per la lotta ed il cambiamento,
non c’è attualmente né la voglia né la possibilità di muoversi nella
direzione di riforme attuate negli interessi dei lavoratori e per uno
sviluppo  attuato tenendo conto delle prospettive e condizioni dei
lavoratori.

Questo per la situazione nel paese è un problema molto grave, perché
produce continui patteggiamenti e rimandi delle situazioni sociali tra
dirigenza sindacale e governo, intenti reciprocamente, non a trovare
risposte di prospettiva e strutturali allo sfacelo economico e sociale,
ma semplicemente il garantirsi il mantenimento della propria esistenza.
E questo rende cupo e incerto il futuro, perché non lascia intravedere
anche a distanza una qualche possibile uscita dalla crisi.

Dal punto di vista organizzativo il Sindacato Samostalni nonostante
tutto e nonostante continui tentativi di spaccarlo e indebolirlo, resta
il più grande sindacato del paese, gli ultimi dati dello scorso anno lo
davano all’85% di rappresentatività dei sindacalizzati a livello
nazionale e ancora al 90% a livello di Zastava. E questo nonostante che
in questi anni vi sia stato un proliferare di sindacatini indipendenti
e con grandi disponibilità finanziarie, spesso di cui non si riesce a
capire la provenienza, vista la situazione e le enormi ristrettezze che
spesso costringono persino a economizzare anche sui quantitativi dei
volantini. Oppure vi sono situazioni tragicomiche, come nel caso di uno
di questi sindacatini, il cui segretario generale era anche ministro
del lavoro ( nel precedente governo), praticamente era la controparte
di se stesso.

D.: La scorsa primavera, in piena fase di emergenza dovuta
all’uccisione del primo ministro, è stata varata la nuova “ Legge del
lavoro ”. Quali sono gli aspetti più marcatamente anti operai e
regressivi per gli interessi dei lavoratori?

R: Milosavljevic : Uno è sicuramente quello, di una di fatto completa
liberalizzazione dei licenziamenti, anche questo spacciato come una
necessità per favorire gli investimenti stranieri e quindi teoricamente
dare lavoro. Un altro che ha già conseguenze disastrose e ridimensiona
completamente il rapporto tra le parti sociali, governo-sindacati è
quello relativo della abolizione del Contratto collettivo nazionale;
questo di fatto significa, che il  sindacato non ha più alcuna
possibilità di impedire o influire su decisioni del governo.

Per esempio nella vecchia legislazione dove vigeva il Contratto
collettivo nazionale,vi era una clausola dove era sancito, che
qualsiasi contratto locale o aziendale poteva avere SOLO condizioni e
intese MIGLIORI di quelle stabilite a livello nazionale, se erano
peggiori o regressive degli interessi dei lavoratori NON poteva essere
ratificato.Tutto questo oggi non esiste più.
 Su altri aspetti della nuova Legge  facciamo alcuni esempi
esemplificativi : nella vecchia Legge la parte riguardante il “diritto
della protezione del lavoro” il Sindacato era titolato ha trattare e a
poter rifiutare qualsiasi decisione lavorativa presa dalle direzioni
aziendali, oggi questo non esiste più.

Nella precedente legge nessun aspetto o controversia riguardante
singoli lavoratori, sia economici che disciplinari o produttivi, poteva
essere preso senza la presenza e accettazione del Sindacato, oggi il
sindacato non è neanche più consultato. E’ sancito legislativamente che
è solo più riconosciuto il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro
soltanto.

Nella precedente legge i licenziamenti erano quasi impossibili se non
legati ad aspetti di legislazione penale ( azioni illegali) e dovevano
essere vagliati e accettati dal Sindacato, che aveva il compito di
verificare e garantire che fossero stati applicati  tutti i diritti per
la difesa e tutela del lavoratore. Oggi ciascun lavoratore essendo solo
nel rapporto con l’azienda è di fatto senza più protezioni sociali e
senza più alcun potere contrattuale. Inoltre è stato sancito il
“diritto” al licenziamento legato alle esigenze aziendali, in piena
politica di liberismo selvaggio, di fatto ogni lavoratore è alla mercè
del proprio datore di lavoro..

Le conseguenze dirette e concrete nella vita dei lavoratori si possono
vedere in questi due esempi di situazioni di lavoro nella Zastava, che
neanche durante embarghi e bombardamenti sono mai accaduti e sarebbero
stati considerati illegali anche giuridicamente. Uno riguarda la
Zastava automobili dove attualmente sono occupati come dipendenti
ancora 3600 lavoratori, e dove ogni mese vengono chiamati dall’ufficio
di collocamento 800 lavoratori disoccupati a rotazione, per integrare
il sussidio mensile di disoccupazione ( 45% del salario, mediamente
circa 60 euro mensili, che tra le altre cose scadrà nel 2005 e quindi
da allora questi iscritti al collocamento non avranno neanche più
questa minima entrata), essi accettano di lavorare in queste condizioni
: senza nessun contratto specifico se non la conoscenza dell’ammontare
del salario a fine mese stabilito dall’azienda, nessun diritto
sindacale, orario legato esclusivamente alle esigenze aziendali,
nessuna paga o retribuzioni ufficiali ma stabilita ciascuna volta,
nessuna maturazione di ferie, nessun diritto alla mutua e malattia se
un lavoratore si assenta viene sostituito da un altro, nessun diritto
ad usufruire delle leggi di protezione della sicurezza.

L’altro esempio esemplificativo riguarda un reparto Zastava che si
chiama TER COM, composto da lavoratori invalidi di cui l’80% provengono
dall’ufficio di collocamento disoccupati; la maggioranza sono donne e
tutte hanno malattie come leucemia e tumori, le condizioni di lavoro
sono spaventose ma il ricatto è che se qualcuno protesta perde anche
quei pochi soldi e si ritrova di nuovo senza salario. Noi stessi come
responsabili sindacali non possiamo fare nulla, pur sapendo come tutti,
qual è la situazione perché gli stessi lavoratori ci chiedono di non
muoverci per il terrore di perdere anche questo. Un solo esempio,
tutti  coloro che lavorano hanno problemi di salute o perché invalidi o
perché malati accertati, nessuno di essi ha mai presentato finora alcun
certificato medico, spesso occultando il proprio stato per paura di non
lavorare. ( n.d.r: sono riuscito personalmente a entrare in contatto
con una lavoratrice del reparto, che mi ha affidato la lettera che qui
riporto come estratto, che penso non lasci spazio ad altre parole nel
rendere l’idea della situazione. e.v.)

“…ho deciso di scrivere questa lettera per raccontarle la mia vita.
Sono lavoratrice della Zastava automobili e come invalida di 3°
categoria, lavoro nell’officina cosiddetta TER COM ( costituita per
invalidi ). Lavoro al ritocco dei particolari, siccome a causa della
guerra non abbiamo lavorato per lungo tempo, poi abbiamo cominciato a
fare qualsiasi  lavoro, anche quelli che non competono agli invalidi.
Abbiamo ripulito i reparti bombardati e si sa benissimo che questi sono
posti radioattivi; mentre facevo questi lavori parecchie volte ho avuto
allergie e sono stata sottoposta a “terapie”. Poi ho lavorato dove vi è
il PCB- Piralene lasciato nell’ambiente dalle bombe ed avevo problemi
di respirazione. Sono andata dal medico e mi hanno trovato delle cisti
nella gola e nel seno. Ma questo non è stato sufficiente ai dirigenti e
per l’ennesima volta hanno portato nel nostro reparto altre sostanze
chimiche per le lavorazioni, mi hanno poi portata due volte al Pronto
soccorso, e così anche altre mie colleghe; l’ultima volta nel mese di
febbraio mi hanno salvato la vita per un soffio.

Adesso sono in malattia fino a fine del mese, poi dovrò tornare al
lavoro ma sono molto preoccupata, perché so che un giorno mi troveranno
morta; l’ambiente di lavoro è disastroso e anche le condizioni di vita
in esso sono disastrose. Io devo lavorare per sostenere la mia
famiglia, perché mio marito è stato licenziato ed è anche lui malato;
una figlia va a scuola e l’altra ha finito di studiare ma è disoccupata
perché non c’è lavoro…io la prego di leggere questa mia lettera ad
altri, se vuole può verificare tutto quanto ho scritto. Il mio lavoro
consiste nella pulizia dei particolari e componenti bombardati ,
lavaggio pezzi, scelta delle viti da montare e scarto di quelle non più
utilizzabili, pulizia dei reparti. Non posso rifiutare di fare questi
lavori nonostante sapevamo che erano radioattivi; ci sono anche altre
mie colleghe che sono ammalate, io penso che tutto è conseguenza dei
bombardamenti. Io sono invalida ma queste malattie le ho avute dopo. La
ringrazio dell’aiuto e la prego, se è possibile, di attivarsi anche
tramite qualche organizzazione che lavora nel campo della protezione
delle vite umane e di provare ad aiutarci….S. M. “

Questa è la realtà della classe lavoratrice serba nel 2004, solo
quattro anni fa nessuno di noi avrebbe neanche lontanamente immaginato
che un lavoratore avrebbe potuto conoscere un simile stato di
degradazione sociale e di dignità.
Ma questo è ciò che ci hanno portato i cambiamenti del  “nuovo corso”
e con questo dobbiamo convivere quotidianamente e combattere in una
vera e propria lotta per la sopravvivenza.

D.: Subito dopo la fine dei bombardamenti a giugno ’99, l’ex governo di
unità nazionale, aveva stanziato 1/6 del budget federale della
Repubblica serba per il Progetto di Ricostruzione della Zastava,
ritenendo prioritario per il futuro del paese il rilancio della
fabbrica e della produzione, come condizioni assolutamente
improrogabili, insieme alla ricostruzione dei ponti e delle
infrastrutture, poi avvenuti. Il progetto era stabilito in 3 Fasi di
ricostruzione, all’ottobre 2000 erano state completate quasi due fasi
su tre, da allora a oggi, la ricostruzione è stata terminata?
Cosa è avvenuto e qual è la situazione oggi?

R: Pajevic : In parte abbiamo già risposto descrivendo la situazione
nelle altre risposte, per quanto riguarda la ricostruzione è molto
semplice: ogni processo di ricostruzione si è fermato ad ottobre 2000, 
erano state praticamente completate due fasi su tre, ma da allora tutto
si è fermato, il governo successivo non ha più investito nella
ricostruzione della Zastava,  non ritenendola una scelta economica
strategica e funzionale alla ripresa economica, anzi giudicandola una
azienda ormai obsoleta. Ma non solo, dall’ottobre 2000 è cominciato il
processo di scomposizione del gruppo, per permetterne la
privatizzazione e la vendita, dopo tre anni e mezzo i risultati sono
sotto gli occhi di tutti.. Dei 36.000 lavoratori presenti all’ottobre
2000, 16.000 furono licenziati nei mesi successivi e 11.000 andarono
all’Ufficio Collocamento Zastava ( una lista di lavoratori che pur non
lavorando risultano ancora dipendenti e avrebbero la precedenza in una
eventuale riassunzione in produzione, da non confondersi con l’Ufficio
di Collocamento cittadino che riguarda i disoccupati generali, circa
30.000, di cui le donne sono il 33% in più degli uomini). Oggi gli
iscritti all’Ufficio Collocamento Zastava  sono 6750 in quanto 4250 si
sono autolicenziati o incentivati alle dimissioni.

Per quanto riguarda la produzione, fino al 1990 uscivano 220.000
vetture all’anno; dal 1990 al 1999 periodo degli embarghi e sanzioni e
anche anni in cui, causa lo sfascio della Jugoslavia, le varie filiali
che erano presenti in ogni Repubblica e in ogni Regione, furono chiuse
e per anni la Zastava dovette ricostruire l’indotto delle componenti.
Il dato più rilevante per dare l’idea dello sfascio dell’attuale
situazione è che la produzione durante gli anni ’91-’99 era di
20.000-30.000, mentre per esempio nel 2003 il Piano prevedeva 23.000
vetture, in realtà ne sono poi state prodotte 8.000.

D.: Quali erano le difese e gli ammortizzatori sociali prima dei
“bombardamenti umanitari“ e qual è la situazione attuale?

R: Milosavljevic : Per quanto riguarda i lavoratori Zastava vi erano
una serie di diritti che contribuivano alla difesa dei salari, per
esempio un pasto gratuito al giorno; il 50% delle spese dei trasporti
erano rimborsati; i lavoratori che erano in ambiti di lavoro più
disagiati, avevano diritto a forniture di alimenti specifici contenenti
vitamine e proteine; nel contratto collettivo erano contemplati
controlli sanitari periodici e sistematici, da parte del presidio
sanitario dell’azienda; nel periodo di malattia il lavoratore percepiva
l’80% del salario, ora il 60% ma praticamente nessuno si mette in
malattia per timore di essere licenziato;  ad ogni lavoratore che
veniva assunto, ma che proveniva da un'altra città, gli veniva
assegnato una sistemazione nel quartiere delle case operaie Zastava, in
legno e ovviamente negli ultimi anni sempre più disagiate, in attesa di
un alloggio in città; ogni lavoratore aveva diritto per lui e la sua
famiglia ha tutta una serie di attività ricreative, sportive e
culturali aziendali praticamente gratuite. Di tutto questo ora non
resta più nulla.

Per quanto riguarda misure più generali e sociali come le mense
popolari dove si poteva mangiare a costi simbolici, oggi non esistono
più; negli ultimi dieci anni le bollette energetiche non erano state
riscosse per non affossare le condizioni minimali di vita del popolo,
ora con le privatizzazioni alle famiglie è stato imposto il pagamento
di tutti gli arretrati, pena la sospensione delle erogazioni, per cui
le famiglie si trovano senza salari e con debiti pregressi da pagare in
rate mensili per gli anni futuri. Per quanto riguardava prezzi,
affitti, sanità , il governo trattava con il Sindacato e stabiliva
programmi sociali a costi calmierati contrattati tra le parti sociali.
Ora tutto è stato liberalizzato e non c’è più nessun controllo o limite.

D.: Com’è la situazione sanitaria tra i lavoratori?

R: Milosavljevic : Purtroppo i bombardamenti “ umanitari” della Nato
oltre alla miseria e al degrado umano e morale, ci hanno anche lasciato
una terribile conseguenza : i danni causati dalle bombe all’uranio
impoverito, sulle persone e nell’ambiente. Su questo argomento
purtroppo i dati ufficiali e le documentazioni precise sono molto
carenti se non assenti, questo ovvio per vari motivi, uno perché a
livello governativo e dei media, non c’è interesse a rendere pubblici
dati che potrebbero dare l’idea della tragedia che incombe sulla vita
del popolo serbo, anche e soprattutto per il futuro. Ma su questo vi
sono certamente persone più documentate di noi per rispondere, di certo
vi è che tra il migliaio di lavoratori volontari, che avevano
partecipato alla sgombero delle macerie ( va ricordato che la fabbrica
fu quasi distrutta da continui e massicci bombardamenti criminali e
devastanti), sono già 63 i deceduti e centinaia di altri sono affetti
da tumori e leucemie, nel presidio sanitario della Zastava i farmaci
più richiesti sono  psicofarmaci, antidepressivi e i medicinali per le
malattie di natura epatica. Già questo può essere considerato un dato
indicativo.

Così come è ufficiale che l’area della Zastava fu dichiarata nel 2000,
ambiente degradato e a rischio da parte dell’ONU.
Un dato ufficiale filtrato negli ultimi mesi dice che nella regione
della Sumadija, che ha in Kragujevac il capoluogo, si sono rilevati
oltre 1.000 nuovi casi di ammalati di tumori e malattie epatiche.

D.: Quale tipo di attività e lavoro sindacale svolgete e in quali
condizioni?

R: Pajevic : Prima di tutto occorre far capire in quale condizioni
oggettive si svolge il lavoro sindacale, in quanto i lavoratori e ancor
di più i disoccupati, hanno una dispersione anche territoriale che
rende molto difficili e rari i contatti, la stragrande maggioranza vive
in quartieri o agglomerati periferici o addirittura fuori dalla città,
se scendono alla fabbrica spesso fanno chilometri a piedi perché non
possono spendere i soldi per i trasporti. Molti di loro vanno a fare
lavori di campagna  o occasionali a giornate, ovviamente in nero e
pagati pochi euro al giorno, anche in altre città o regioni, per cui
non sempre si possono rintracciare o hanno la disponibilità ad essere
presenti sia moralmente che fisicamente.

Quello che si deve capire a chi leggerà è un dato di fondo che
condiziona totalmente ogni altro aspetto ed è quello che in questi anni
in Serbia, la lotta dei lavoratori e del popolo è semplicemente una
lotta e una vita per la sopravvivenza, con tutto ciò che questo
comporta e ne consegue, in ogni aspetto della vita quotidiana di un
lavoratore e lavoratrice, non sappiamo se potete capire veramente fino
in fondo cosa significa alzarsi ogni mattina e non sapere quale sarà la
tua giornata, non sapere cosa comprare perché con una disponibilità di
4 o 5 euro al mese, quando ci sono, bisogna mangiare, vestirsi,
curarsi, pagare la scuola per i bambini, i trasporti, scaldarsi ecc.
ecc., provate a immedesimarvi e provate a pensare come sarebbe la
vostra vita di tutti i giorni.

Queste sono le condizioni dei lavoratori a cui va aggiunto l’altro
dato che è quello della ormai mancanza di fondi del Sindacato stesso,
per cui anche solo fare un volantino, una propaganda di qualsiasi
genere, ha spesso dei costi quasi impossibili da affrontare. Nonostante
questo, i delegati veri e più vicini ai lavoratori, ai loro interessi,
ai loro bisogni, cerca innanzitutto di non perdere i contatti con essi,
di essere sempre pronti e disponibili a recepire le loro richieste e
problemi diretti, a sostenere loro esigenze specifiche. Cerchiamo di
denunciare continuamente situazioni e problematiche che opprimono la
condizione dei lavoratori, cerchiamo di sostenere, organizzare e
rafforzare ogni protesta e conflittualità anche spontanea nei reparti o
fuori dalla fabbrica, ma purtroppo non tutti i nuovi dirigenti e
delegati hanno questo atteggiamento, e molti sono in realtà adagiati in
una situazione di “burocrati” non certo di organizzatori delle lotte.

E questo è un grande problema che si somma a quelli sopra detti. Una
cosa in cui comunque crediamo fermamente e ribadiamo, al di là dei
giudizi e delle valutazioni sulle attuali dirigenze e programmi, è
quella che questo Sindacato è l’unica arma seppur limitata, che hanno i
lavoratori e va assolutamente salvaguardata la sua esistenza
organizzata, perché questa sarà anche l’unica possibilità per cercare
di rovesciare e cambiare il futuro dei lavoratori della Serbia. Oggi
abbiamo solo degli stracci addosso, senza di esso saremmo completamente
svestiti.

D.: Una vostra riflessione finale sulle prospettive e su un futuro che,
alla luce della situazione descritta appare molto difficile per il
popolo serbo.

R: Milosavljevic : Quanto finora esposto può solo avvicinare coloro che
leggeranno, a comprendere qual è la vita quotidiana e le condizioni in
cui vivono i lavoratori, la realtà da vivere è sicuramente più
difficile.
Già solo il dato ufficiale  frutto di un indagine governativa che dice
che l’80,3 per cento dei giovani vuole andare via dalla nostra patria e
solo il 17,7 per cento ha ancora speranza che qualcosa cambi e gli
permetta così di restare, deve far capire quanto è tremenda la
situazione del nostro paese, perché la gioventù significa futuro e
senza gioventù, nessun paese può avere un futuro. Per questo è
diventato drammaticamente urgente pensare e lavorare a un cambiamento,
dei programmi economici e politici, e di leadership. Se non accadrà
questo il nostro futuro è molto molto difficile, tutti i giorni si
parla soltanto di svendite, chiusure, fallimenti, non si parla mai di
una qualche soluzione trovata ad un problema.

Si parla di scorpori, che diventano un processo e pezzo per pezzo, gli
scorpori rendono ogni situazione sempre più piccola e poi a sua volta
diventa parte di una parte e così via. E poi saranno venduti ma in
questa progettualità non c’ è futuro, perché significa di fatto
cancellare la potenzialità produttiva di uno stato di un paese.
Significa per chiunque abbia un minimo di cognizioni economiche o del
mondo del lavoro proporre una agonia, magari non cruenta ma una lenta
agonia. Negli ultimi mesi sono persino arrivati a ventilare ai
lavoratori, un ulteriore scenario futuro architettonico sociale, la
Zastava quella che per decenni è stata una grande e immensa fucina di
lavoro, di vita, di speranze, di dignità, potrebbe diventare una grande
area cittadina, dove non ci saranno più cancelli, inferriate,
delimitazioni, solo più una grande area economica, commerciale, di
uffici, negozi, magazzini, ma senza più i 36.000 lavoratori e famiglie
che l’hanno popolata e resa una fonte di vita e di futuro per mezzo
secolo, senza più produzione di nulla. Forse se tutto va bene dicevano,
qualche centinaio di posti di lavoro nuovi si creeranno, e gli altri?

Quest’anno la novità ‘ stata la notizia che la Fiat si è rifatta viva
dopo anni di disinteressamento e silenzio, ma non per qualche ipotesi
di rilancio o investimento, ma per richiedere i debiti pregressi e la
valutazione finanziaria del suo pacchetto azionario. Come dire un’altra
tegola su qualsiasi ipotesi di trovare acquirenti o investitori che
facciano ripartire la fabbrica; di fatto questo rende impossibile
immaginare la possibilità, da parte di qualcuno di comprare un azienda
che già prima di fare un investimento ha già debiti da saldare.
L’insieme delle situazioni dà forse  il segno di una situazione
talmente attorcigliata attorno a contraddizioni, problemi e dinamiche
bloccanti, che riesce veramente arduo NON pensare ad un futuro nero per
i lavoratori della Zastava e forse della classe lavoratrice della
Serbia, che probabilmente ha ancora davanti a sé, periodi non certo
facili. Per impedire tutto questo c’è una sola strada, cambiare le
riforme e cambiare i dirigenti, se i lavoratori riusciranno ad imporre
questo la speranza ritroverà una ragione di essere.


a cura di Enrico Vigna
Associazione SOS Yugoslavia, Torino:
338/1755563 -  posta@...

L'articolo originale e' all'indirizzo:
http://italy.indymedia.org/news/2004/06/563228.php


La nuova mappa delle basi militari dietro i colloqui di Roma
by anulu Saturday June 05, 2004 at 07:18 PM mail:


La nuova mappa delle basi militari dietro i colloqui di Roma


"Caro Silvio, avrei bisogno di Napoli, Taranto, Milano, e anche...".
La storia è nei dettagli. Quando Bush è andato dal Papa ha lasciato
fuori dalla sala la valigetta nera con i codici di lancio dei missili
nucleari. Ma vi sono anche altri dettagli che Bush a Roma non ha
rivelato ai giornalisti. Le forze Usa stanno traslocando dal Nord Europa
e il baricentro del potere navale della Us Navy sarà spostato in Italia.
Il Quartier generale navale di Londra migrerà a Napoli. Il Comando della
Sesta Flotta sorgerà a Taranto. La nuova "autostrada" militare Usa che
passa per Milano-Solbiate Olona, Livorno-Camp Darby, Catania-Sigonella.
E prevede l'ampliamento della micidiale base nucleare della Maddalena.
Dietro i fumogeni della cronaca e la spettacolarità ecco i "dettagli"
della visita di Bush.

Alessandro Marescotti
5 giugno 2004

Bush è venuto da Berlusconi non solo per l'Iraq ma anche per le basi
Nato e Usa in Italia. E' questo il dato che non dovrebbe sfuggire al
movimento pacifista.

Il comando navale nel Quartier Generale Nato di Londra è ormai fuori
gioco rispetto alle nuove guerre. Le truppe americane in Germania sono
un soprammobile. Occorre spostare tutto. Ma dove? Le basi spagnole sono
un'incognita con Zapatero, nessuna base turca non ha (come Taranto) la
certificazione Nato HRF per l'alta prontezza d'uso delle forze navali
Usa. E allora che fare? Bush va da Berlusconi e, dietro i fumogeni della
cronaca e della spettacolarità, chiede di potenziare i punti nevralgici
della logistica militare Usa in Italia.

E' questo il retroscena della visita di Bush a Roma, con il suo staff di
esperti e uomini in uniforme. Al centro c'è la nuova mappa militare Usa
a Napoli, Taranto, Milano-Solbiate Olona, La Maddalena, Livorno-Camp
Darby, Catania-Sigonella.
Bush ha chiesto nuovamente a Berlusconi carta bianca per ridislocare a
proprio piacimento navi, uomini e armi Usa in Italia: ha chiesto di
realizzare una più rapida rete logistica militare. L'Italia non è più
trincea della guerra di posizione contro l'Est con tante piccole basi
disseminate nella Penisola. L'Italia diventa punto di passaggio e
"autostrada militare" con superbasi veloci per la guerra di movimento.


Nessuna informazione è ufficialmente trapelata, ma si registrano
interessanti novità.


L'informazione più recente è quella delle ore 8.57 del 5 giugno 2004.
L'esperto di questioni militari e strategiche Enrico Iacchia ha
dichiarato a Radiotre (per informazioni: grr@ rai.it)
che in questi giorni - in cui l'attenzione focalizzata sulla guerra in
Iraq e sulla visita di Bush a Roma - è passato in secondo piano il piano
del Pentagono di ridislocare le sue forze in Europa, ritirando
massicciamente i militari Usa dalla Germania e intendendo trasferire il
comando navale Nato a Londra - "ormai fuori mano", ha argomentato
Iacchia - più a sud.


Attualmente il quartier generale di Northwood, vicino Londra, è sede del
Quartier generale delle forze navali della Nato nel Nord Europa. "Gli
Stati Uniti avrebbero voluto spostarlo in Spagna, ma con Zapatero sono
sorti dei problemi. E allora probabilmente andrà in Italia, forse a
Napoli", ha concluso Iacchia.


L'Italia si appresta ad un potenziamento della presenza americana in
alcuni punti strategici. Nuovi accordi, accordi da perfezionare, accordi
da ratificare. Con il via libera dei due Presidenti sono ora lì quelle
carte, sui tavoli che decidono il potenziamento del dispositivo militare
Usa a Napoli e a Taranto.


Al centro ora c'è la grande questione del ridislocamento strategico da
Londra a Napoli delle forze navali Usa, così come delineato dalle
dichiarazioni di Enrico Iacchia. Cambia lo scenario strategico militare
in cui si collocherà la più grande base navale della Nato nel
Mediterraneo, cioè Taranto.


Quando a febbraio abbiamo - documenti alla mano - parlato di
trasferimento del comando della VI Flotta Usa da Gaeta a Taranto,
pensavamo ad un "alleggerimento di Napoli", come se Napoli e Gaeta
"andassero in pensione". E invece sembra che le cose si dirigano verso
esiti che non avevamo previsto: da una prospettiva di ridislocamento a
sud delle forze esistenti in Italia si passa ad un loro incremento e
potenziamento per via dello spostamento complessivo verso l'Italia del
baricentro militare navale americano.


Lo spostamento da Napoli-Gaeta verso Taranto in realtà fa posto ad un
corposo spostamento dal comando di Londra verso il Sud dell'Italia.


E veniamo alle ripercussioni sulla base di Taranto, da poco diventata
Nato con certificazione di alta prontezza d'uso HRF (che nessuna base
turca ha).


A Taranto Bush vorrebbe un'altra base. Gli industriali di Taranto hanno
già detto di sì alla "superbase" sulle pagine del giornale "La Voce del
Popolo".


La nuova base Usa a Taranto dovrebbe sorgere nella zona del porto
commerciale, a cinque chilometri di distanza dalla nuovissima base Nato
di Chiapparo che fra poche settimane sarà inaugurata (si dice alla
presenza di Ciampi). Gli Usa vorrebbero gestire un'ampia banchina di
attracco acquisendone - tramite una banca americana - la dispobibilità.
La zona è quella del molo polisettoriale e lì la maggiore profondità non
comporta problemi per le portaerei. Già le ultime tre navi americane
giunte in occasioni diverse a Taranto nel 2004 hanno attraccato in
quella zona del porto commerciale e non nella nuova base Nato di
Chiapparo.
La nuova base che Bush vorrebbe a Taranto è anche più lontana dalla
vista di occhi indiscreti. Non potrebbe essere osservata dal lungomare o
da palazzi vicini con il binocolo come è invece comodamente possibile
per la base Nato di Chiapparo.


La nuova base desiderata da Bush presenterebbe quindi condizioni di
maggiore segretezza e sicurezza per le navi Usa. E avrebbe più spazio
rispetto a Chiapparo.


Questo rafforza l'idea che tutte le componenti operative (le navi della
VI Flotta) presenti a Napoli e Gaeta vadano a Taranto. A Napoli verrebbe
traslocato il comando navale Nato di Londra che si unificherebbe con
l'HQ Allied Naval Forces Southern Europe già esistente nella città del
Vesuvio.


Della strategia di potenziamento delle basi Usa in Italia ne aveva già
parlato Ennio Caretto sul Corriere della Sera del 27 novembre 2003 con
un pezzo titolato "Bush riorganizza le Forze Usa in Europa. Sarà dato
più peso alle basi nella Penisola". Sottotitolo: "Forse un comando dei
reparti speciali e una struttura di intelligence".
Scriveva Caretto che gli Stati Uniti intendono riposizionare le proprie
truppe ritirando parte delle forze dislocate in Germania e precisava:
"Non è prevista la richiesta di nuove basi in Italia, ma alcune
infrastrutture militari Usa esistenti nel nostro Paese saranno
potenziate. E al Pentagono si discute se creare nuovi centri di comando
regionali, tra cui uno italiano, per intelligence e corpi speciali".
E dalla Casa Bianca confermavano: "Da oggi gli Usa terranno intense
consultazioni con amici, alleati e partner di tutto il mondo per porre
le forze necessarie nei luoghi più appropriati in risposta alle nuove
esigenze di sicurezza. Missioni ad alto livello si recheranno nelle
capitali straniere». Tra la fine di novembre e la prima settimana di
dicembre del 2004 vi sono state apposite riunioni dei ministri di Difesa
ed Esteri alla Nato a Bruxelles. "Vogliamo sentire le loro idee - ha
detto il capo del Pentagono, Donald Rumsfeld - vedere insieme che cosa
si può fare".
Oltre a Napoli e a Taranto, altro punto nodale è Livorno dove un accordo
tra governo italiano e governo Usa sancisce il raddoppio del canale di
Camp Darby, per dimezzare i tempi di carico delle navi. Altro punto
nevralgico è La Maddalena dove è previsto un amplimaneto della base dei
sommergibili nucleari di Santo Stefano, impiegati anche per
l'intelligence. Accordo di potenziamento anche per le strutture di
Catania-Sigonella. L'obiettivo è quello di consentire la maggiore
mobilità possibile alle truppe e ai mezzi, organizzando in qualsiasi
momento ponti aerei verso il Medio Oriente. Il questo quadro il nuovo
comando Nato di Solbiate Olona, a pochi chilometri da Milano e
dall'aeroporto di Malpensa, sarà un punto nevralgico per le future
mobilitazioni di rapido intervento delle truppe di terra Usa.


Ennio Caretto pecisava sul Corriere della Sera: "L'amministrazione Bush
mantiene il massimo riserbo sui dettagli del piano di riposizionamento".
E questo ci spiega come mai a Roma a nessun giornalista è stata rivelata
la parte più delicata e riservata della missione dello staff di Bush.


Alessandro Marescotti
presidente di PeaceLink
a.marescotti @...


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IRAQ: TANA LIBERA TUTTI !!!

Editoriale di Radio Città Aperta, 9/6/2004

Il colpo doppio sulla guerra in Iraq – risoluzione dell’ONU e
dissequestro dei tre ostaggi italiani– conferma che quella in corso in
Iraq è una guerra sporca nella quale giocare sporco non è unaeccezione
ma è la regola. Il dissequestro dei tre soldati di ventura italiani è
avvenuta con tempi e modi che mettono a repentaglio la buonafede e il
buonsenso di chiunque. A dimostrarlo ci sono le contraddizioni tra
quanto hanno sostenuto il generale americano Sanchez e quello polacco
Polakiewicz sul luogo dove erano tenuti gli ostaggi ed in cui sarebbe
avvenuto il blitz: uno dice a Bagdad, l’altro a Ramadi (in mezzo ci
sono 110 km di distanza). I corrispondenti oggi lamentano i troppi no
comment ed omissis del portavoce americano in Iraq, Kimmit. Lo sceicco
Ahamad che aveva condotto le trattative, afferma poi che i tre ostaggi
italiani stavano per essere rilasciati già domenica 6 giugno, mentre il
Servizio segreto militare italiano rivela come dallo studio dei video
sugli ostaggi, si vede un mitra a portata di mano dei tre sequestrati,
un dettaglio non certo irrilevante e che aveva fatto sospettare i
servizi italiani. Infine sul piano politico oggi sono in molti a
invitare il governo Berlusconi a non esagerare nella gestione
elettoralistica della vicenda. Il Sole 24 Ore mette in guardia
dall’effetto boomerang, mentre Massimo Gramellini sulla Stampa grida
disperato: “E adesso chi salverà i nostri ostaggi da Bruno Vespa?”.
Insomma la coincidenza tra il ritorno a casa degli ostaggi e le
prossime elezioni appare talmente stridente da sembrare spudorata anche
agli osservatori più benevoli nei confronti del governo Berlusconi.

Dicevamo che questa in Iraq è nata come una guerra sporca, sporca nelle
cause, nelle conseguenze e nella gestione. Che in questa guerra si
sarebbe giocato sporco era facile intuirlo anche senza le fotografie
delle torture, il bilancio quotidiano di morti e feriti o la sindrome
di Madrid che comincia ad attanagliare le metropoli europee. A rendere
pulita questa guerra non basterà certo una pasticciata e piccina
risoluzione dell’ONU che cerca di metterci sopra la classica foglia di
fico. I paesi che pure hanno votato la risoluzione dell’ONU non
invieranno le truppe, lasciando così nel pantano iracheno i governi e i
soldati che si ostinano a voler occupare militarmente quel paese. Il
movimento che chiede il ritiro immediato dei militari dall’Iraq e la
fine della complicità dell’Italia nella guerra può affrontare questa
situazione a testa alta, come dimostrano le migliaia di firme che
continuano ad essere raccolte sulle petizione popolare, e mantenere
viva la mobilitazione Non possono fare la stessa cosa, gli specialisti
dell’ambiguità che riempiono le file dell’Ulivo. La guerra non è e non
può essere uno spot elettorale. Prima si capisce, meglio è per tutti.

http://www.radiocittaperta.it

IRAQ = JUGOSLAVIJA / 15
Dalla "dittatura" alla "democrazia" etno-terroristica


[ NOTA: la stessa identica politica viene seguita dagli statunitensi ad
esempio in Kosmet, dove strutture politiche fantoccio vengono oggi
dirette da stragisti e narcotrafficanti dell'UCK ]


Fonte: aa-info @ yahoogroups.com

Sent: Wednesday, June 09, 2004 3:44 PM
Subject: [aa-info] allawi e la CIA


Comincia ad uscire fuori chi è veramente il nuovo presidente del
governo "indipendente" dell'Iraq. Gli USA dicono "passeremo tutti i
poteri nelle sue mani. Ci fidiamo di lui". E ti credo!:

IRAQ: ALLAWI ORGANIZZO' ATTENTATI CONTRO REGIME SADDAM
FRA LE VITTIME VI SAREBBERO STATI CIVILI
Washington, 9 giu. - (Adnkronos) - Nella prima meta' degli anni
novanta, Ilyad Allawi dirigeva un'organizzazione affiliata alla Cia che
aveva coordinato diversi attentati terroristici in Iraq, contro
obiettivi legati al governo di Saddam Hussein, ma non solo. Secondo
fonti del deposto regime, le azioni terroristiche, fra cui in un
cinema, avrebbero provocato numerose vittime fra i civili. L'unica
conferma americana e' quella di Robert Baer, l'inviato della Cia nella
regione, specializzato in Iraq, in quel periodo, per cui un attentato,
la cui paternita' dice tuttavia di non ricordare, ''fece saltare in
aria uno scuolabus e diversi bimbi furono uccisi''. (segue)
(Tel/Zn/Adnkronos) 09-GIU-0411:24

Chi è Iyad Allawi e come aiutò l'Agenzia

mercoledì 9 giugno 2004.

Chi è Iyad Allawi ? Un ex "terrorista" anti-Saddam, finanziato dalla
CIA secondo la ricostruzione apparsa oggi sul sito del New York Times
che prova a ripercorrere i rapporti del nuovo premier ad interim dell'
Iraq con l'Agenzia, attraverso fonti interne ai servizi segreti
americani. Allawi, assieme ad un altro ufficiale iraqueno in esilio,
Salih Omar Ali al-Tikriti, fonda nel 1990 l'Iraqi National Accord, una
formazione politica anti-Saddam. Il suo arruolamento nella CIA risale
al 1992, un anno dopo quello di Ahmad Chalabi. L'idea degli americani è
di non puntare tutto su un unico fuoriuscito, tanto più che Allawi era
(già allora) considerato più affidabile dai servizi americani.
Il gruppo di Allawi, con l'appoggio americano, fu protagonista durante
i primi anni Novanta di numerosi attentati in territorio iraqueno,
anche con esplosivi e autobombe introdotte dal Nord dell'Iraq.
L'efficacia di questi attentati sembra sia considerata piuttosto dubbia
tra gli ex agenti CIA, uno di questi, Robert Baer, ricorda che in quel
periodo (1992-95) saltò in aria anche il bus di una scuola, uccidendo
la scolaresca. "Manda un ladro per catturare un altro ladro" sintetizza
ironicamente Kenneth Pollack, un analista militare del tempo. O, meglio
sarebbe dire, "invia un assassino, per ucciderne un altro". Era la
linea degli americani nell'era Clinton.

http://www.nyt.com/

http://www.solidarityiraq.org/


Una guerra immorale e illegale ha sostituito in Iraq un embargo crudele
che durava da 12 anni, con una occupazione militare guidata dagli Stati
Uniti.

La pretesa statunitense di far ricostruire il paese alle multinazionali
invece che agli iracheni ha impedito sinora ogni significativo
miglioramento della situazione.Ci troviamo di fronte ad una vera e
propria emergenza sanitaria: mancano ospedali, mancano le medicine.
L’opposizione all’occupazione militare americana e dei suoi alleati può
ora concretizzarsi anche attraverso l’invio dei medicinali di cui
maggiormente necessita la popolazione irachena. Abbiamo quindi deciso
di attivare la campagna “SOLIDARITY TO IRAQ” che consiste nella
raccolta, in tutta Italia, di medicinali che verranno distribuiti sul
territorio Iracheno direttamente dalle strutture della Mezzaluna Rossa.

Abbiamo bisogno di:

Antibiotici di qualsiasi genere - Antidolorifici - Cardiovascolari

Materiale medicazione “Garze bende ecc..” - Cateteri e snodini sterili

Lacci emostatici - Strumentario di tipo chirurgico (Pinze,Forbici ecc)

Latte in polvere per bambini - Vitamine ed integratori alimentari

Omogeneizzati per bambini


AIUTATECI IN QUESTA CAMPAGNA

CONTATTATECI SUBITO:
raccoltamedicine @ solidarityiraq.org