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From : Italo Slavetti
To : rubrica.lettere@...
Date : Mon, 2 Sep 2002 14:33:03 +0200
Subject : Civilta' giuridica e battaglie politiche

> Spett.le Redazione de "La Repubblica",
>
> credo che l'opinione pubblica democratica e progressista, della quale
il
> vostro giornale e' specchio e portavoce insieme, debba evitare di
> commettere l'errore di biasimare il governo Berlusconi, e lo stesso
> premier - che non avendo ancora rimpiazzato il Ministro Ruggero e' di
> fatto responsabile in prima persona delle scelte di politica estera
> dell'Italia - per il ventilato accordo con gli USA in merito alla
(non)
> giudicabilita' dei cittadini statunitensi da parte del Tribunale
Penale
> Internazionale (TPI). Su questo tema ritengo che si debba fare molta
> attenzione, evitando di analizzare e criticare la posizione
> berlusconiana usando solamente la (pur legittimamente dura) polemica
> di politica interna, tra maggioranza ed opposizione nel nostro Paese.
>
> Si dice che la posizione di Berlusconi, che e' d'accordo a garantire
> l'impunita' ai cittadini statunitensi che commettono crimini di guerra
e
> contro l'umanita', romperebbe lo schieramento europeo. Ma un governo
> diverso ovviamente non potrebbe scegliere in altro modo, poiche' e'
> prioritario confermare innanzitutto la affidabilita' (come direbbe
> D'Alema) della classe dirigente italiana, ed il rispetto della nostra
> "partnership" con gli USA. Sara', semmai, la Unione Europea in toto a
> doversi conformare ai voleri degli USA, e certo lo fara', non l'Italia
a
> mettere in discussione unilateralmente il proprio servaggio.
>
> Ma anche dal punto di vista strettamente giuridico, di diritto
> internazionale cioe', le ragioni per garantire agli USA uno status
> "super legibus", di immunita' "a priori", sono forti e vanno intese
nel
> quadro dei criteri ai quali si deve improntare la moderna civilta'
> giuridica. Va ricordato che e' oramai prassi consolidata la immunita'
> per i responsabili politici e militari delle grandi democrazie
> occidentali. Ad esempio, il premier israeliano Sharon non e'
> chiamabile in causa per i fatti di Jenin, ovviamente, e d'altronde
> il suo status "immune" gli e' garantito gia' dai tempi di Sabra e
> Chatila (se fosse stato riconosciuto colpevole di strage per quei
fatti,
> non avrebbe potuto godere di mano libera per le recenti operazioni
> in Palestina). Ma, per rimanere nel nostro "orticello" italiano, va
> ricordato che una legittima impunita' e' stata "de facto" sancita
> anche a favore degli esponenti del governo D'Alema, per i fatti
> della primavera del 1999. La magistratura a tutti i livelli, per
ultima
> la Corte di Cassazione (vedasi sentenza Sezioni unite, ordinanza
> 8157/02; depositata il 5 giugno scorso), ha provveduto a dichiarare
> "ab principio" il non luogo a procedere per le denunce intentate
> da migliaia di cittadini per strage, violazione della Costituzione,
> crimini di guerra, eccetera, relativamente alla partecipazione
> dell'Italia ai bombardamenti sui petrolchimici, i convogli di
profughi,
> i treni, le stazioni radiotelevisive (con i giornalisti dentro), sul
> territorio
> della Repubblica Federale di Jugoslavia.
>
> In tutti i casi del genere si tratta molto semplicemente di proteggere
> i responsabili politici democratici e gli Stati occidentali da
> dispositivi
> accusatori mossi da fini meramente politici, e che possono recare
> intralcio alle sempre piu' frequenti iniziative di carattere militare
> (cioe' umanitario) intraprese contro paesi stranieri, anche molto
> lontani dalla Penisola.
> Ben diverso dovra' essere ovviamente il criterio giuridico da adottare
> nel caso di quei politici del campo avverso (cioe' non democratici)
> che e' necessario vengano processati e puniti duramente, anche in
> base - se necessario - ad accuse artefatte o mendaci (si veda ad
> es. il caso di S. Milosevic). Il garantismo ed il diritto alla
> "legittima
> suspicione" che gli USA vogliono garantiti per se' nel quadro
> internazionale non saranno mai applicabili neanche per i terroristi
> islamici, che giustamente gli USA rinchiudono a Guantanamo,
> dove li sottopongono a trattamenti lesivi dei piu' elementari diritti
> umani: ma i suddetti islamisti non rientrano nel novero dei soggetti
> democratici, anzi direi che e' dubbio che si possano a costoro
> ascrivere attributi umani qualsivoglia, in quanto islamisti (come
> illustrato da un intellettuale raffinato come Oriana Fallaci
> su giornali e libri editi in tutto il mondo). La civilta' giuridica
> occidentale, che deriva direttamente da quella romana, non
> potra' dunque prevedere alcun "diritto a priori", tantomeno
> "immunita'" per costoro.
> Ed oggi, che l'antico "jus romanus" evolve, con i
> tempi ed i ritmi della globalizzazione, cioe' di internet e delle
> fibre ottiche, verso il piu' attuale "jus fortius", nemmeno noi
> appartenenti al popolo della sinistra potremo eccepire con
> ragionamenti del tutto fuori moda e fuori luogo, basati su
> concezioni del "diritto" di derivazione illuministica. Questo
> nemmeno ai lodevoli fini della battaglia politica interna.
>
> Italo Slavetti (Roma)
>
>
>
>
>

BARLETTA venerdì 6 settembre, ore 19.30

Spazio dibattiti Festa di Liberazione, Viale Giannone (nei pressi della
stazione)
"XXI secolo: guerra permanente?"

Intervengono
Azmi Jarjawi - della comunità palestinese, Bari
Andrea Catone - associazione Most za Beograd - un ponte per Belgrado in
terra di Bari
Laura Marchetti - dir. naz, PRC
Ugo Villani, docente di diritto internazionale Università La Sapienza,
Roma
coordina Michele Rizzi, com. pol. naz. PRC
sarà proiettato il video "La guerra umanitaria della NATO"

sarà disponibile il libro di J. Elsaesser "Menzogne di guerra - le bugie
della NATO e le loro vittime nel conflitto per il Kosovo", ed. La città
del Sole, Napoli


===*===


Jürgen Elsässer:

"MENZOGNE DI GUERRA
Le bugie della NATO e le loro vittime nel conflitto per
il Kosovo"

Traduzione di Mara Oneta
Prefazione di Andrea Catone
Collana "Frontiere del presente"
Ed. La Citta' del Sole, Napoli 2002
ISBN 88-8292-183-2; prezzo 11 euro

Si tratta della versione italiana del libro edito in Germania
con il titolo "Kriegsverbrechen" dalle edizioni KONKRET
(Amburgo 2000), oggi giunto alla quarta edizione.

Edizioni "La Citta' del Sole"
Via Giovanni Ninni 34, 80135 Napoli
Tel. 081-4206374, fax 081-7041804

AUF DEUTSCH / NA SRPSKOHRVATSKOM:

http://www.juergen-elsaesser.de/html/template.php?
inhalt=../de/buecher/inhalt_buecher.html&buch=buch_leer.html

Jürgen Elsässer
Ratni zlocini - Bestidne lazi i zrtve NATO-a u kosovskom
sukobu
JASEN Verlag, 207 Seiten, 14.50 Euro

Jürgen Elsässer
Kriegsverbrechen Die tödlichen Lügen der Bundesregierung
und ihre Opfer im Kosovo-Konflikt,
Hamburg (Konkret) 2000, 190 Seiten, 26,80 DM

http://www.juergen-elsaesser.de/html/template.php?
inhalt=../de/buecher/inhalt_buecher.html&buch=buch_leer.html


===*===


UNA STELLA ROSSA PER RICORDARE

Sono disponibili le bandiere della RFS di Jugoslavia: i
tricolori con la "petokraka", la grande stella rossa partigiana.

Una bandiera grande formato (circa 100x140cm) si puo' avere versando
un contributo minimo di 18 euro (spedizione compresa); una bandiera
piccola (formato da tavolo) costa almeno 8 euro. Per ordinativi
superiori
a 5 bandiere il costo e' inferiore.

Per ordinare le bandiere (che si possono ricevere anche contrassegno,
previ accordi telefonici) chiamare od inviare un fax al numero
06-4828957.

Ricordiamo che per i versamenti a favore del CNJ e' stato aperto il
Conto Bancoposta n. 73542037 (cin N, abi 07601, cab 03200)
intestato a E. Gallucci e I. Pavicevac, Roma

KOSOVO: ESPULSO DA GERMANIA TENTA DI STRANGOLARE HOSTESS

http://www.ansa.it/balcani/kosovo/20020829203532314227.html
(ANSA) - BELGRADO, 29 AGO - Un immigrato albanese del Kosovo in
Germania, rimpatriato dalle autorita' tedesche, ha tentato oggi di
strangolare una hostess dell'aereo delle Montenegro Airlines che lo
riportava a Pristina. Ora e' agli arresti,
mentre la giovane aggredita e' stata curata all'ospedale per leggere
ferite. L'immigrato, Saban Jisufi di 26 anni, faceva parte di un gruppo
di 50 albanesi kosovari che le autorita' di Duesseldorf avevano espulso,
dopo avergli rifiutato la domanda d'asilo, visto che la situazione in
Kosovo non presenta piu' pericoli [SIC]. I 50 erano stati caricati su un
aereo, accompagnati da un alcuni soldati tedeschi.
Durante il volo l'improvvisa follia [SIC] di Jisufi, che ha assalito la
hostess, Irena Radonjic, tentando di strangolarla con i lacci delle
scarpe. Immediatamente sono intervenuti gli agenti tedeschi, che hanno
immobilizzato l'aggressore. Per via radio -
ha detto all'Ansa un ufficiale delle linee montenegrine, Zoran Djurisic
- gli agenti hanno avvertito l'Unmik, la polizia internazionale in
Kosovo, che ha preso in consegna Jisufi allo sbarco. L'albanese e' stato
portato, sotto custodia, in ospedale per una serie di accertamenti
[Devono accertare che sia sufficientemente filo-UCK per poter
sopravvivere nel Kosovo di oggi].
(ANSA). COR-SPD 29/08/2002 20:35

http://www.rferl.org/newsline/2002/08/4-SEE/see-300802.asp
Radio Free Europe/Radio Liberty

KOSOVAR HIJACKING ATTEMPT THWARTED

The personnel of a Montenegrin Airlines flight from
Duesseldorf to Prishtina thwarted an attempt by a
young Kosovar Albanian to strangle a stewardess with
his shoelace on 29 August, AP reported. She was not
seriously injured. The youth was part of a group of 50
Kosovars being deported from Germany on a charter
flight. The suspect is under arrest, and police are
investigating. PM

CENERE
Jugoslavia, due anni dopo

Da Fulvio Grimaldi per "L'Ernesto" settembre 2002

Cenere radioattiva di decine di migliaia di
proiettili e bombe all'uranio che si stanno
mangiando la vita di serbi, bosniaci, albanesi.
Cenere tossica di polveri chimiche e di
idrocarburi combusti sollevata dai 78 giorni di
sterminio bombarolo e aiutata a viaggiare, a
insediarsi in terre, acque, polmoni, sangue da
un embargo che solo nell'ipocrita disattenzione
dei media è davvero finito. Cenere di uno Stato
che godeva della stima del mondo e per mezzo
secolo aveva indicato ai popoli in lotta di
liberazione una via di fuga dalla tenaglia
dell'allineamento con le superpotenze, aiutando
a costituire un secondo polo planetario della
lotta per l'emancipazione umana. Una cenere che
ha accecato, intorpidito, avvelenato una gran
parte della popolazione di questo Stato.. Ma
sotto la quale, forse, covano e si rianimano
braci irriducibili.

ANTEFATTO

La Sinistra e le menzogne di guerra

Cenere sulla testa di una sinistra, soprattutto
italiana, che si è fatta travolgere e
addirittura rendere complice di una devastazione
imperialista in Europa, a cinquant'anni
dall'"Ultima e più terribile delle guerre", e
per coprire la vergogna storica del suo
tradimento ha sostenuto, anche al di là di ogni
evidenza contraria, le più turpi invenzioni
delle centrali della disinformazione e della
menzogna. Da un sacrosanto bagno di cenere non
dovrebbe andare esente quasi nessuno. Non certo
la pseudosinistra che, con il "sergente D'Alema"
(per gli USA meno di un vivandiere), ha voluto
farsi co-protagonista di un crimine per tutti i
versi assimilabile all'assalto nazista ai paesi
liberaldemocratici e socialisti. Oggi, svuotata
di ogni credibilità da quello su tutti dei suoi
arretramenti sistemici, tragicamente per il
nostro paese ma opportunamente sul piano
dell'equità, quei "moderati" (termine
paradossale) pagano il prezzo del crescente
rifiuto di massa di ogni genere di organismi
geneticamente modificati. Non si salva nessuno
perché nessuno ha saputo vedere l'evidenza,
neppure dopo le puntuali smentite a valanga,
ovviamente reperibili solo in trafiletti
mimetizzati o su selezionati media esteri, della
più colossale operazione di mistificazione dai
tempi del rovesciamento paolino del messaggio
nazareno. C'era chi, a sinistra, serrando gli
occhi sulla matrice nazifascista del progetto
Grande Albania , "Croazia dei croati", Bosnia
della Sharìa, Montenegro della mafia, e
ostinatamente ignorando soldi e ceffi del
narcotraffico e dei servizi occidentali che
guidavano la marcia dei secessionisti,
sproloquiava di "autodeterminazione" nei termini
esatti di un Bossi. C'era chi, paludandosi di
ecumenico movimentismo, tesseva reti di
complicità, "dal basso", tra centri sociali e
forze e personaggi serbi creati e guidati dal
superboss della destabilizzazione
finanziario-politica dei paesi liberi, George
Soros, dalla CIA al BND tedesco: le ONG
filo-occidentali di "Alleanza Civica", i
teppisti fascisti di Otpor, il partito del
quisling Zoran Djindjic, il gruppo
giovanilistico raggruppato attorno a Radio B92,
del circuito USA di Radio Free Europe,
formazioni femministe della "società civile"
guidata da Sonia Licht (Fondazione Soros) che
riuscivano a imbrigliare compagne straniere in
convegni nientemeno che sul "Fascismo serbo",
all'ombra di un presidente narcotrafficante
come Milo Djukanovic del Montenegro. C'era chi,
pilatescamente, si attestava dietro il
famigerato "né-né", lo squallido limbo di chi
deprecava i macelli Nato, ma sodale della
satanizzazione in virtù di ignoranza, pigrizia e
settarismi ideologistici, s'impegnava
soprattutto a bastonare Milosevic e i serbi.
Importanti esponenti di questo trasversale
schieramento della collusione, indiretta, ma
determinante, arrivarono addirittura a
costringere i manifestanti per la Jugoslavia e
per la pace a cacciare dai cortei e dalle veglie
sui ponti le comunità serbe che, con noi,
volevano piangere e imprecare sulla patria
uccisa. L'imperialismo, soprattutto europeo
nella prima fase dello squartamento balcanico
nel segno del marco e poi a totale egemonia
statunitense, deve molto a questi "agevolatori".
Deve loro l'aver soffocato sul nascere un fronte
compatto e coraggioso di controinformazione -
per scardinare l'architettura di menzogne su
"pulizia etnica", "fosse comuni" "nazionalismo
serbo", "dittatura" o "tesoro" di Milosevic",
"Milosevic, già uomo degli americani" (falsità
assoluta, molto efficace a sinistra), "giovani
democratici anti-regime"- e, dunque, di lotta
contro la guerra a quello che era forse il paese
multietnico e multiculturale più democratico,
pluralistico e socialmente avanzato, pur nelle
intemperie e nei ricatti dell'imperialismo
finanziario, del nostro continente. Oggi i
protagonisti di questa aberrazione storica non
si coprono il capo delle ceneri che hanno
contribuito a disseminare, neppure davanti allo
smascheramento delle cosiddette "stragi serbe"
di Sarajevo (grande trombettiere, Adriano
Sofri), Sebrenica, Racak, al crollo dai 500.000
albanesi del Kosovo secondo il Dipartimento di
Stato "probabilmente uccisi", alle 2080 vittime
di tutte le etnie, effettivamente individuate
dal Tribunale Penale per la Jugoslavia. Eppoi,
"Hitlerosevic", quel capolavoro
dell'identificazione, con un falso fotografico,
tra nazisti e serbi nel comune allestimento di
"campi di sterminio" ( risultati campi di
raccolta per profughi cui gli operatori della TV
inglese ITV avevano messo davanti un
reticolato). Senza parlare del pellegrinaggio di
ONG, buonisti sciolti e provocatori in perfetta
malafede (un nome per tutti, Adriano Sofri) a
"Sarajevo multietnica assediata dai serbi",
servito da copertura alla pulizia etnica
bosniaca di metà città, abitata da serbi.
Stanno in silenzio, cronisti ed esperti, voltano
il capo dall'altra parte, mentre sia dalla
straordinaria lotta di Slobodan Milosevic nel
tribunale-agenzia USA dell'Aja, sia da
testimonianze incontrovertibili (vedi
soprattutto "Menzogne di guerra", di Juergen
Elsaesser, Città del Sole, 11 euro) escono
confermate le verità sul complotto per
l'amputazione e la distruzione di un grande
pezzo d'Europa. Struzzi. Code di paglia lunghe
dalle protette poltrone dei loro collateralismi
fino alle ossa del tremillesimo serbo trucidato
in Kosovo dopo l'occupazione Nato.

I FATTI

Nel vasto panorama dei media italiani la
Jugoslavia - oggi ufficialmente ridotta a
"Serbia-Montenegro", fino a quando gli USA,
schiacciando le riserve della tardivamente
preoccupata Europa, non otterranno che
Djukanovic imponga la rottura totale - è un buco
nero. I pochissimi inviati che hanno seguito, da
febbraio, le udienze del processo dell'Aja a
Milosevic, hanno smesso quasi subito, quando si
sono accorti che riferire correttamente
sull'andamento degli interrogatori e
contrinterrogatori, come sulle condizioni di
detenzione dell'imputato, avrebbe minato alla
base tutto quanto erano andati raccontando di
Slobo e del suo governo fin dall'inizio della
crisi. Un'onta alla quale ovviamente preferire,
da bravi professionisti, "the voice of silence".
Tocca all'Ernesto, tra le poche pubblicazioni
che siano riuscite ad evitare la tagliola
dell'inganno imperialista, a fare un po' di cronaca.

IL PROCESSO

Organizzato, finanziato e diretto dagli USA,
alla fine di luglio è stato sospeso dal giudice
Richard May e aggiornato a settembre, dopo una
visita medica, cui finalmente ha potuto
assistere anche il medico di fiducia di
Milosevic, che ha confermato le gravi condizioni
di salute del detenuto, affetto da ipertensione
e da seri problemi cardiocircolatori, aggravati
dall'inumane trattamento riservatogli
(illuminazione costante, isolamento, negato
accesso a medici personali, negati rapporti
regolari con avvocati e famigliari, negata
terapia durante due settimane di "influenza",
negato accesso a qualsivoglia documentazione,
tempi e ritmi massacranti delle udienze imposti
dalla riunione in uno solo dei processi per i
fatti di Croazia, Bosnia e Kosovo. Due imputati
serbi sono già deceduti in prigionia, uno con
misterioso "suicidio" per impiccagione). Per la
procuratrice Carla Del Ponte, nota per la
sollecitudine con cui seppe far coincidere le
imputazioni a Slobo con i più rovinosi
contraccolpi alla Nato del macello in corso di
esecuzione (errori collaterali), le cose non
erano andate bene. Dopo la contraccusa iniziale
di Milosevic, alla mano di documentazione
audiovisiva, sui crimini Nato nelle guerre
balcaniche, si era assistito a una sfilza di
testimoni d'accusa, perlopiù albanesi del Kosovo
o ex-membri delle istituzioni jugoslave,
frantumati dal controinterrogatorio di
Milosevic, che si difendeva da solo e negava il
riconoscimento al Tribunale, smascherati come
bugiardi, scoperti indottrinati dai servizi
inglesi o membri dell'UCK, affogati nelle
contraddizioni, a volte in crisi di nervi, a
volte addirittura in fuga dal
controinterrogatorio di Milosevic, pretendendo
di star male.. Al punto che il governo USA,
esasperato, ha incominciato a criticare la Del
Ponte per non aver saputo mettere in piedi un
decente gruppo di testimoni credibili e, mandato
al diavolo il Tribunale contro i crimini di
guerra appena istituito a Roma, ha fatto
intendere che anche il Tribunale dell'Aja poteva
aver fatto il suo tempo. Preoccupante per la
squadra di magistrati pinocchieschi dell'Aja,
visto che i quattrini per il funzionamento del
tribunale e di loro stessi arrivano soprattutto
dal Tesoro USA e dal solito Soros, cioè da una
delle parti in causa.

Un'inarrestabile caduta di credibilità che è
diventata tonfo finale con le dichiarazioni, in
una delle ultime udienze, del testimone Rade
Markovic. In quel momento, si può dire, il
Tribunale Internazionale per la Jugoslavia è
esploso. Stupefacentemene, ma mica tanto, nessun
organo di informazione o comunicazione ne ha
dato conto. Rade Markovic era stato il capo dei
servizi di sicurezza dell'ex-presidente. Dopo 17
mesi di prigionia a Belgrado era stato convocato
all'Aja come testimone per l'accusa. Un
testimone-bomba, si diceva nei corridoi del
Tribunale, che avrebbe finalmente rovesciato il
vento in faccia a quell'irriducibile confutatore
di Milosevic e raddrizzato il "processo del secolo".

Invece questo testimone "della corona" ha ferito
a morte l'obbrobrio giuridico dell'Aja rivelando
una verità che molti già sospettavano essere la
prassi del Tribunale: tortura e ricatto.
Rovesciando non solo le carte, ma l'intero
tavolino, Radovic ha denunciato che a Belgrado
era stata ininterrottamente torturato dagli
sgherri di Djindjic perché si risolvesse a
dichiarare il falso contro Milosevic. Un giorno
lo venne a trovare addirittura il ministro degli
interni, Mihailovic, insieme al capo dei servizi
segreti, Petrovic. Violando la legge, se lo
portarono a una cena privata dove offersero a
lui e famiglia un cambio d'identità e una vita
di agi in un paese straniero, insieme alla fine
delle torture. Radovic finse di accettare, ma
all'Aja denunciò tutto. Non solo, negò tutte le
accuse che avrebbe dovuto avvallare: Milosevic
non ha mai promosso una politica di espulsione
degli albanesi dal Kosovo, ha insistito che gli
autori di violenze contro civili albanesi
venissero arrestati e processati, non ha mai
abusato di fondi dello Stato, non ha mai
ordinato assassinii politici... Non male per un
testimone "d'accusa". Radovic ha concluso il suo
intervento, ripetutamente e come d'abitudine,
quando le cose diventavano imbarazzanti per
l'Accusa, interrotto dal giudice May,
illustrando con documenti la ferma opposizione
dell'ex-presidente jugoslavo a qualsiasi forma
di odio etnico e il suo costante, alla fine
disperato, impegno per la convivenza dei popoli
balcanici, contro i nazionalismi regionali,
esasperati dalle manovre imperialiste e favoriti
dal civilismo "umanitario" di molte ONG (oggi
totalmente assenti tra i più reietti delle
vittime dell'aggressione: il milione e passa di
profughi serbi cacciati da Croazia, Bosnia e
Kosovo). Oggi Markovic è in cella a
Scheveningen, alla mercè di coloro che ne
ordinarono la tortura e che da lui furono
svergognati. Un caso per Amnesty.

Un caso già sollevato dal Comitato
Internazionale per la Difesa di Slobodan
Milosevic (presidente Ramsey Clark) che ha anche
sollecitato i parlamentari europei a denunciare
a Strasburgo le pesanti violazione dei diritti
giuridici e umani del prigioniero Milosevic.

DOPO IL KOSOVO, LA MACEDONIA

Nel Kosovo, occupato per un buon pezzo dalla più
grande base militare USA costruita dopo la
guerra del Vietnam (costruita dalla società
Halliburton, di cui era presidente il
vicepresidente USA, Cheney), nè il formicaio di
ONG (oltre 900 a un certo punto), né
l'amministrazione ONU Unmik, né il presidio di
40.000 militari KFOR, né l'elezione a presidente
e primo ministro del razzista secessionista
"moderato" Rugova, insieme al razzista
secessionista mafioso e tagliagole Thaci, hanno
saputo - voluto - impedire il totale degrado
della provincia serba.

Provincia-bordello, a beneficio dei maschi in
"missione disagiata" di ONG e contingenti
amministrativi e militari, dove ogni cosa è
gestita, come nella Bosnia "liberata", da
funzionari ONU e NATO che affiancano, con potere
decisionale assoluto, le maschere politiche
delle "istituzioni". Funzionari che governano un
territorio totalmente sotto controllo delle
famigerate "Cinque famiglie" mafiose albanesi
che hanno fatto del Kosovo il centro mondiale
per lo smistamento dell'eroina proveniente dai
campi riattivati dai vincitori in Afghanistan,
il traffico di prostitute e di essere umani in
genere, o di loro pezzi. Funzionari che, in
compenso sono stati accusati dall'UE di aver
fatto sparire in loro conti nel paradiso fiscale
di Gibilterra almeno 4,5 milioni di Euro facenti
parte di pacchetti di "aiuti" per il protettorato kosovaro.

Ultimissime dal Kosovo ci riferiscono di
costanti devastazioni di cimiteri serbi
(Djakovica, Orahovac, Milosevo, Pristina), con
lapidi infrante e scritte inneggianti all'UCK;
di 400 desaparecidos serbi, in aggiunta ai 3000
trucidati e ai quasi 300.000 espulsi dopo
l'ingresso della KFOR, denunciati dal
Coordinamento per la riunione delle famiglie di
serbi rapiti o dispersi in Kosovo-Metohia;
dell'esumazione continua di cadaveri serbi da
fosse comuni (20 lo scorso 17 luglio, solo a
Dragodan, nei pressi di Pristina); di quotidiane
aggressioni al Monastero di Pec, sede del
patriarca Artemije, e tuttora di distruzioni di
luoghi di culto ortodossi (Artemije ha
denunciato la totale devastazione di 110 tra
chiese e conventi, perlopiù medioevali); di una
KFOR che accompagna attivamente il lavoro sporco
di pulizia etnica del Corpo di Protezione del
Kosovo (in cui si sono riciclati i banditi
dell'UCK) irrompendo nelle case dei 100.000
serbi rimasti (e tenuti in totale isolamento "a
difesa della propria incolumità"), nella
presunta ricerca di armi, terrorizzando gli
abitanti, minacciando la "soluzione finale" per
l'enclave serba di Mitrovica, cacciando dalle
loro case e dai loro uffici a Pristina (17
giugno) 57 famiglie di accademici e insegnanti
serbi, per mettere al loro posto unità
famigliari albanesi. Si trattava di quei
professori che, nonostante la costante minaccia
terroristica UCK, avevano fatto funzionare fino
all'ultimo giorno dell'aggressione NATO le
istituzioni scolastiche dello Stato federale, a
composizione, lingua e corsi multietnici,
all'incontro dell'apparato scolastico e
sanitario parallelo, etnicamente pulito
(riservato a frequentatori albanesi e alla sola
loro lingua) messo in piedi da Rugosa con i
finanziamenti di Gorge Soros e di Madre Teresa
di Calcutta.

Mentre le truppe russe, giunte con 3.600 uomini
per prime a Pristina, nell'entusiasmo dei serbi
e dell'antimperialismo internazionale, si sono
gradualmente ritirate e ridotte a 600 unità,
avanzando riserve nei confronti della conduzione
dell' occupazione di una provincia che
nominalmente fa ancora parte della Jugoslavia, i
contingenti occidentali della KFOR assistono con
crescente indifferenza, che nel caso degli USA e
aperto compiacimento, al riscatenarsi
dell'espansionismo grandalbanese. Il parlamento
a totale dominio albanese approva (subito
imitato dal governo del fantoccio Djindjic a
Belgrado) un'amnistia per i terroristi
panalbanesi dell'UCK, e al polacco Marek
Nowicki, Difensore Civico ONU in Kosovo-Metohia,
viene cancellato il diritto di visitare i
detenuti nelle carceri, gli USA rilasciano
sistematicamente terroristi albanesi catturati
da altri reparti KFOR sul confine della
Macedonia e consegnati agli americani di Bondsteel.

Nella disattenzione dei media mondiali,
concentrati su altre carneficine imperialiste e
coloniali, dall'Afghanistan alla Palestina e
sull'imminente genocidio degli iracheni,
prosegue intanto, sempre sotto l'egida USA, il
lavoro di smembramento della Macedonia. Un paese
e un governo che alla Nato, durante
l'aggressione alla Jugoslavia, avevano concesso
tutto: la secessione, l'ospitalità alla truppe
Nato, le proprie basi, assistenza logistiche,
complicità politica. E ne sono stati ripagati
con la riduzione a colonia Nato, l'appoggio agli
invasori e separatisti albanesi, la
criminalizzazione (con il solito concorso di
certa disinvolta stampa di sinistra) dei
difensori dell'unità e sovranità dello Stato,
definiti derogatoriamente "nazionalisti".
Qualifica riservata in modo particolare al primo
ministro Ljubco Georgievski che, dopo aver fatto
passare una normativa che accedeva alle
richieste della minoranza albanese relative a
lingua, autonomie e istituzioni scolastiche, ha
pubblicamente denunciato in un discorso del 2
agosto la collusione della Nato con il
terrorismo separatista grandalbanese, attraverso
la fornitura di armi e il libero passaggio del
confine con il Kosovo concesso ai militanti
dell'UCK riciclati in Macedonia nell'Esercito di
Liberazione Nazionale.

"Molte cose sono state dette circa la
multietnicità in Kosovo, Macedonia e Bosnia, ma
quello che in effetti accade è la più vasta
pulizia etnica che i Balcani ricordino", ha
dichiarato Georgievski, denunciando anche la
continuata, per quanto taciuta dai media,
occupazione di larghe zone del Nord della
Macedonia da parte dei terroristi UCK con il
pieno appoggio degli USA. Affermazione difficile
da confutare quando si pensi che la MPRI
(Military Professional Resources Inc.), agenzia
statunitense di mercenari controllata dalla CIA,
ha il privilegio di armare, addestrare e
istruire entrambe le squadre in gioco:
l'esercito governativo macedone
e le bande secessioniste albanesi. E' il trucco
con il quale gli USA si propongono di gestire i
conflitti che gli interessa innescare.
Dall'esempio più clamoroso dell'Osama Bin Laden,
operativo CIA dal 1979, contrapposto ai
mercenari USA dell'Alleanza del Nord, si
potrebbe scendere fino alle varie situazioni
"bipartisan" di cui abbiamo ampia esperienza nel
mondo politico italiano.

Che, contrariamente agli europei, gli USA non
ritengano concluso il lavoro di squartamento
della Jugoslavia e dei Balcani, con particolare
attenzione a Montenegro, Macedonia, la provincia
serba di Vojvodina, Bulgaria, è stato confermato
nelle ultime settimane dal vicecapo della CIA
per i Balcani, Steven Mayer, in un'intervista
all'emittente "Voice of America" (stesso
circuito di Radio B92, amichevolmente
frequentata dalle Tute Bianche) e in un
seminario al prestigioso "Woodrow Wilson
International Center for Scholars" (Woodrow
Wilson è il padrino di numerosi genocidi USA: da
presidente degli Stati Uniti, bel 1919 proclamò
gli embarghi il mezzo più silenzioso, efficace e
letale per disfarsi di popoli di troppo).

Mayer ha annunciato l'intenzione del
Dipartimento di Stato di convocare una nuova
"conferenza di Berlino" per "ridefinire gi
confini dei Balcani" in termini di monoetnicità.
"Non ce l'ho con le entità multietniche. E' che
la gente non le vuole", ha detto e a indicato
come unità statali separate la repubblica serba
di Bosnia, l'Erzegovina (parte croata della
Bosnia), la Serbia senza il Kosovo, il
Montenegro e "alcune altre parti
dell'ex-Jugoslavia". Alla domanda se Mayer fosse
favorevole allo smembramento della Macedonia, la
risposta è stata:"Lasciamo per ora che la
sopravvivenza dello Stato macedone rimanga una
questione aperta". Mayer ha poi sostenuto la
necessità che gli USA rimangano a lungo la forza
principale nei Balcani, per proseguire la
battaglia contro il terrorismo integralista di
Al Qaida. Peccato che proprio Al Qaida - e Osama
in prima persona - è stata usata in Bosnia e
Kosovo e, a detta dei dirigenti della Sicurezza
macedone, viene attivata oggi nel nord di quel
paese, sempre all'interno del disegno strategico
statunitense di frantumazione dei Balcani

OGGI A BELGRADO

Rivedo, alle cinque del mattino, le lunghe e
stanche file di cittadini alla ricerca
esaperante di beni essenziali che oggi costano
cinquecento volte di più rispetto all'ottobre
2000 del colpo di Stato, come tutto tranne
l'apparato produttivo serbo divorato da
multinazionali e pescecani all'ombra della DOS
(Opposizione Democratica serba, il
raggruppamento di 18 partiti dominato dalla
formazione di Djindjic e da cui si è separato
quest'estate il Partito Democratico Serbo del
presidente Vojislav Kostunica). Dismissioni di
"razionalizzazione" e privatizzazioni sotto
l'egida del Gruppo dei 17, organismo economico
teleguidato dal FMI, hanno prodotto un milione
di senza lavoro. Cacciati anche 15.000 dei
33.000 lavoratori della Zastava, totalmente
ricostruita dagli operai in poco più di un anno,
con fondi statali per il 6% della spesa
complessiva. Il PIL, tornato in lievissima
crescita, nonostante il micidiale embargo,
nell'anno della ricostruzione sotto Milosevic, è
oggi a -28. Spaventosa la nuova divaricazione
delle classi, fortemente ridotta dallo stato
sociale difeso nella misura del possibile (sotto
il costante ricatto del debito rastrellato dal
FMI tra tutti i creditori di una Jugoslavia
sabotata e isolatissima fin dal 1980), con una
concentrazione di superricchi da economia
mafiosa sul tipo post-"liberazione" nei paesi
del socialismo reale e un dilagare vertiginoso
della povertà assoluta. Il 28% dei serbi vive
oggi con meno di un dollari al giorno, il 73%
con due dollari. L'ex-Jugoslavia, che ancora,
sotto sanzioni, nel 1996 in recupero economico è
precipitata al 10° posto nella classifica dei
paesi più poveri del mondo. Accanto a Ciad,
Haiti, Mozambico. Nessuna delle più celebri e
vociferanti ONG assiste questi nuovi "dannati
della Terra", e le offerte per l'adozione di
bambini serbi riguardano sconcertantemente
perlopiù la sola Zastava. E gli USA continuano a
trattenere una seconda tranche di aiuti - 40
milioni di dollari - in attesa "che il governo
di Belgrado mostri un maggiore grado di
collaborazione con il Tribunale dell'Aja e
acceleri le riforme della sua economia e del suo
apparato produttivo". Stessa condizione è stata
posta dal'UE e sospesa solo quando, l'inverno
scorso, un Djndjic alle corde avvertiva che il
mancato arrivo degli aiuti avrebbe compromesso
la stabilizzazione sociale e politica del paese
e rafforzato la crescente opposizione sociale,
in massima misura guidata dal rinato e riformato
(nel senso di epurato dai suoi elementi
compromessi con episodi di corruzione e
malgoverno) Partito Socialista di Serbia (PSS).
La prima tranche, di 30 -simbolici - milioni era
stata pagata all'atto del sequestro e rapimento
di Slobodan Milosevic, il 28 giugno del 2001,
tre giorni dopo quell'ultima intervista in
libertà concessa dall'ex-presidente, in cui mi
diceva che un suo eventuale processo all'Aja
avrebbe potuto innescare la rinascita del
patriottismo e dell'antimperialismo tra i suoi concittadini.

Nel frattempo il governo Djndjic ha adottato due
leggi fondamentali, entrambe giudicate
incostituzionali dalla Corte Suprema ma
nondimeno andate in vigore: quella
sull'incondizionata collaborazione con l'Aja e
quella sul lavoro. Entrambe hanno provocato,
oltre all'accentuazione del dissidio tra
Djndjic, premier serbo, e il presidente federale
Kostunica, esploso con la consegna di Milosevic
all'Aja, la spaccatura della maggioranza parlamentare,
con l'incostituzionale cacciata da parte di
Djndjic di 45 parlamentari del partito di
Kostunica "per assenteismo" e il ritiro di
questo dalla coalizione DOS. Infine, la crescita
di una protesta sociale che si è espressa, a
dispetto della nuova, dirigenza "moderata"
imposta ai sindacati, con uno sciopero generale
e una ininterrotta serie di scioperi di
categoria o territoriali. Protagonisti i
lavoratori delle aziende di Stato, o miste, che
ora vengono svendute, senza più l'osservanza
della vecchia legge di Milosevic che imponeva
che almeno il 60% delle azioni ottenute dalla
privatizzazione fosse riservato alle maestranze.

Sono presenti anche studenti e cittadini non
sindacalizzati, colpiti dalla privatizzazione di
sanità e pubblica istruzione, con tasse
universitarie e scolastiche che, decuplicate
rispetto al valore nominale del governo
precedente, rendono questi servizi vitali
inaccessibili alla maggioranza della
popolazione. C'è stato anche un "effetto
collaterale" delle misure del fantoccio Nato al
governo: Con una revolverata in testa, sui
gradini del Parlamento Federale, si è ucciso
Vlajko Stojiljkovic, ex-ministro degli Interni,
membro socialista del Parlamento Federale,
accusato dai sicofanti giuridici dell'Aja di
"crimini di guerra". Nella lettera d'addio, la
protesta contro le leggi liberticide e
sovranicide di Djindjic, la denuncia
dell'aggressione Nato, la frantumazione della
Jugoslavia, la capitolazione e il tradimento dei
nuovi dirigenti, le violazioni della
Costituzione, la svendita della dignità
nazionale. "I cittadini, i patrioti di questo
paese sapranno rispondere", sono le ultime
parole del messaggio.

E' su questo piano che si svolge la battaglia
politica del Partito Socialista di Serbia,
oltrechè sulla difesa e diffusione della verità
sulla guerra imperialista e sull'operato di
Slobodan Milosevic. A quest'ultimo fine si è
dato vita a Belgrado al Comitato Internazionale
per la Difesa di Slobodan Milosevic (il cui
referente in Italia è chi scrive) che, con
l'adesione di numerose personalità politiche e
della cultura di tutto il mondo, presiedute da
Ramsey Clark, ha cercato con numerose iniziative
e mobilitazione di contribuire all'emergere dei
fatti attraverso la cortina della diffamazione e
dei silenzi mediatici e politici occidentali.

Rimane invece in discussione un'eventuale
alleanza anti-DOS tra il PSS e il partito del
presidente Kostunica. Molte restano le domande
circa l'affidabilità del rivale del fantoccio
tedesco-statunitense Djindjic. Kostunica si è
opposto alla legge sull'estradizione di
Milosevic e altri serbi, ma poi ha acconsentito
e ha promesso collaborazione con l'Aja.
Kostunica denuncia l'aggressione Nato, ma non
esonera Milosevic dalla false accuse e non
spende parola sulla persistente persecuzione dei
Serbi in Kosovo, né sul futuro della provincia,
né sulle terrificanti notizie, documentate da
ricerche di scienziati e istituti privati e
statali, circa il dilagare delle patologie
tumorali provocate dai bombardamenti all'uranio
e dall'inquinamento chimico. E' vero che contro
la legge sul lavoro, che disintegra i diritti
dei lavoratori, introduceva la
turboflessibilità, riduceva i salari,
liberalizzava i licenziamenti e le
privatizzazioni senza salvaguardia per gli
operai, Kostunica è arrivato fino a staccarsi
dalla coalizione di governo e ritirare i suoi
ministri. Ma è anche il politico che queste cose
le aveva previste nel suo programma elettorale
del 2000. Rimane il sospetto che il
liberaldemocratico, filomonarchico Kostunica
tenda solo a operazioni d'immagine, a
rappresentarsi, in vista delle elezioni
programmate per il 29 settembre, come
l'antagonista onesto, patriottico, dotato di
sensibilità sociale di Zoran Djndjic, definito
"corrotto, autoritario, venduto e mafioso". Una
tattica che, il 5 ottobre del 2000, gli fruttò i
voti di tanti serbi massacrati dal terrorismo
militare ed economico di 10 anni di aggressione
Nato. Una tattica portata avanti anche con il
clamoroso arresto di uno spione USA, con le
insegne dell'ambasciatore, mentre complottava
segretamente con il vice-primo ministro serbo
Momcilo Perisic, che gli stava consegnando
documentazioni sugli estradandi all'Aja e su
possibili testimoni "buoni" contro Milosevic
(Perisic ha dovuto successivamente dimettersi,
con grave scorno della coalizione guidata da
Djndjic). L'arresto è stato fatto eseguire
all'esercito, ancora considerato cuore della
resistenza serba.

Numerose sono state, negli ultimi mesi, le
manifestazioni organizzate dal PSS, partito di
Milosevic in difesa della sovranità serba, dei
diritti dei lavoratori e della liberazione di
Milosevic. La crescita nei sondaggi di quello
che rimane numericamente il primo partito di
Serbia non è stata compromessa, a luglio, da una
miniscissione di un gruppo di destra del partito
(30 su 190 membri del Comitato Centrale) che ha
allestito un congresso straordinario in cui ha
rimosso Milosevic dalla presidenza del partito e
dichiarato la sua disponibilità a collaborare
con Djindjic e le sue politiche economiche. La
più recente -all'atto di scrivere -
manifestazione di protesta ha visto riunite a
Belgrado circa 50.000 aderenti a quattro
formazioni: il PSS, con grande maggioranza, il
partito liberalnazionale di Vuk Draskovic, la
Sinistra Unita (JUL) di Mira Markovic e il Nuovo
Partito Comunista di Kitanovic.

VLADIMIR KRSLJIANIN

Pensiamo entrambi a Karzai, già consigliere
d'amministrazione della petrolifera USA UNOCAL,
che all'atto dell'insediamento da presidente
dell'Afghanistan "liberato", assegna all'UNOCAL
l'incarico di costruire - e sfruttare -
l'oleo-gasdotto dal Caucaso all'Afghanistan al
Pakistan all'India agli USA, quando leggiamo i
titoli che annunciano la conclusione a Zagabria
di un accordo tra serbi, croati e rumeni, per la
costruzione di un oleodotto dall'Asia centrale
a Vienna. L'esecuzione dell'accordo con le
proprie multinazionali verrà curato dall'Agenzia
USA per il Commercio e lo Sviluppo (USTDA) che
avrà la prima e l'ultima parola sull'opera e
sulla sua gestione. Il mio interlocutore è
Vladimir Krsljianin, membro della segreteria del
PSS, suo responsabile per gli esteri e portavoce.

Data: 03/09/2002 07:34
Da: The Centre for Peace in the Balkans
Oggetto: 9-11: If only we could turn back the clock


http://www.balkanpeace.org/press/prs14.shtml

Press Release

The Centre for Peace in the Balkans

TORONTO, September 01, 2002 - The Centre for Peace in the Balkans
responded to recent media information suggesting that a sister-city
relationship may be considered between New York City and Srebrenica.

9-11: If only we could turn back the clock

"There were 9,000 soldiers killed in Srebrenica in the eyes of the U.N.
soldiers, who were supposed to protect them. But they didn't do shit.
It's like watching those airplanes bang into the World Trade Center and
not trying to save those people." - Danis Tanovic, Academy Award
winner, Directors World, March 25, 2002.

Very influential circles in Bosnia and Herzegovina have recently
initiated a plan to make Srebrenica the sister town of New York City in
order to establish a symbolic link based on their perception of tragedy
in face of terror. However, their suggested similarities are unfounded.
Their plans are opportunistic attempts to propagate false information.
Consider the following:

* Sheik Omar Abdel Rahman (the convicted mastermind behind the 1993
World Trade Center bombing) was connected to the TWRA, a phony relief
agency. Alija Izetbegovic, the President of Bosnia, provided a
guarantee for Elfatih Hassanein (head of the TWRA and a personal friend
of Izetbegovic) to open an account for the TWRA in Die Erste Österreich
Bank in Vienna, Austria in 1993.

* Mohammed Haydar Zammar, the man who recruited key 9-11 hijacker,
Mohammad Atta, to the Al-Qaeda network, based his terrorist activities
in Bosnia. Zammar also brought two of Atta's lieutenants into the Al-
Qaeda network, namely Ramzi Binalshibh and Said Bahaji.

* Osama Bin Laden was given a Bosnian passport at the Bosnian Embassy
in Vienna, Austria. Many other terrorists connected to the Al-Qaeda
network also received blank Bosnian passports that enabled them to
further propagate their illicit activities.

* Abu el Maali (Abdelkader Mokhtari), a senior representative of Al-
Qaida, was based in Bosnia until recently. Just a few years ago, a US
official called him a junior Osama Bin Laden.

* Bensayah Belkacem was arrested in October 2001 in Bosnia. Numbers
stored in his mobile phone link him to at least one of Bin Laden's top
lieutenants.

The involvement of Al-Quaeda in radical Islamic activities and events
in Bosnia is however, frequently mentioned in the media and US
government reports. Unfortunately, it is also frequently overlooked.

New Yorkers and other victims of Osama Bin Laden's terrorist attack
were civilians and were not connected to a terrorist network in any
way.

Proclaiming New York City and Srebrenica sister towns misrepresents the
basis for forging such an important and symbolic relationship. Implying
that the terror suffered by 9-11 victims in New York is similar to
civil war suffering in Srebrenica is factually wrong. As such, a sister-
city relationship between New York City and Srebrenica should not be
established since it would be an insult to the memory of 9-11 victims.

For more information or to arrange an interview with a spokesperson,
please contact the Centre for Peace in the Balkans at e-mail:
scontact@.... Website: www.balkanpeace.org.

RELATED INFORMATION

[1] Al-Qaida On the Run , Voice of America News Report, June 22 02:

[2] A Bosnian Village's Terrorist Ties; Links to U.S. Bomb Plot Arouse
Concern About Enclave of Islamic Guerrillas, The Washington Post March
11, 2000:

[3] A U.S. Prisoner >From Bosnia Is Labeled a Top Qaeda Aide The New
York Times, January 23, 2002:

[4] Yossef Bodansky, Director, U.S. Congress' Task Force on Terrorism
and Unconventional Warfare

[5] US Senate Document

[6] The international Islamic mercenary force known as the mujahedeen

[7] Balkan Wars and terrorist ties

[8] LA Times:Los Angeles Times, October 07, 2001 Terrorists Use Bosnia
as Base and Sanctuary

MUSSOLINI A POLA

Da "GLAS ISTRE", quotidiano istriano - quarnerino, luglio 2002:

A Pola manifesti con l'immagine di Mussolini
POLA- "Bravo signor Jacovcich, questo statuto è un capolavoro! Tu
realizzerai quello che io non ho realizzato - italianizzare l'Istria!
Yes-IDS" [Dieta istriana N.d.T.], è scritto sul manifesto apparso in
alcune zone del centro di Pola. Sul manifesto c'è l'immagine del
dittatore italiano Benito Mussolini con l'elmetto durante un suo
discorso.
"Si capisce che questa campagna e' sporca, e non escluderei che questo
caso sia legato al tiro mancino giocato all'ex vicesindaco polese Mario
Quaranta, tanto più che il cittadino italiano che ha consegnato dei
soldi a Quaranta è stato espulso dalla Croazia all'inizio degli
anni '90": così ha commentato il manifesto Damir Kajin, vicepresidente
dell'IDS. (...) Secondo le parole dell'addetto all'ufficio stampa del
PU [commissariato di polizia] istriano, Stefanija Zumbar-Prosenjak, la
polizia ritiene che i manifesti siano stati affissi nella notte tra
lunedi e martedi. Il caso è stato denunciato e la polizia sta indagando
per scoprire gli autori del fatto. (Z.O.)

Socialist Workers´ Party of Croatia

10000 Zagreb, Palmoticeva 70/II, Croatia
tel/fax: + 385 (0)1 48 39 958 e-mail: srp@...

The Socialist Workers' Party of Croatia has been the only political
party in Croatia that has resisted our country's joining NATO , as well
as all the other military alliances. During the so-
called "humanitarian" bombing of the Federal Republic of Yugoslavia, we
warned about the consequences of the attacks. We were the lone voice to
speak out about the fact that many people experience great suffering,
either directly, or indirectly in the name of "principles and values"
regardless of their political views. We warned, furthermore, of the
fact that NATO destroyed a great number of housing plants, industrial
plants, bridges and other parts of the infrastructure, as well, of
course, as of the very negative effects of the bombings on the
environment.

Just as we, in Croatia, have begun to recover from the "crusades of the
20th century at the end of the millennium, new consequences of the
attack are being disclosed. While we are listening in for the cases of
the Italian soldiers who were taking part in the attack on FR
Yugoslavia and in whose cases radiation sickness caused by
the "depleted uranium" was ascertained, the criticising of NATO is
becoming a matter of an increasing current interest even in Croatia.
And yet, in disregard of that, the aim of becoming member of NATO is
still being emphasised as one of the "strategic" interests of Croatia.
We ourselves - the members of the Socialist Workers´ Party of Croatia -
are taking this occasion to shatter the illusions of the public and to
make a clear statement to the public about what the status of being a
member of NATO would really mean for Croatia :

To become a part of NATO would cause a drop of the number of 60000
currently personnel in our army service to 25000 - 20000 and yet it
would not mean that the state budget for the army would decrease. On
the contrary, it would increase dramatically due to modernisation of
existing weapons and purveyance of new weapons to adapt and,
ultimately, to achieve NATO standards. It would furthermore, be
mandatory for Croatia, as a NATO member, to send its soldiers to
military actions where they could be killed, wounded or even exposed to
radiation sickness as were the Italian soldiers. Naturally, one must
forcefully ask this question:

Hasn´t this war been enough to you? Haven´ t we had enough people die?
Should we have more people die in the name of "defense" of who knows
whose interests and who knows where?

Military alliances and arbiters from abroad cannot bring prosperity and
human welfare to nations and states in our part of Europe and in the
entire globe. Only the processes of demilitarisation and
neighbourliness can bring us these things. Because of what we believe,
the Socialist Workersa Party of Croatia demands that a public
referendum be held to decide whether Croatia shall apply for membership
in NATO. Furthermore, we consider it absolutely imperative that we
begin the process of demilitarisation. Expenditures for defense are
currently 70% of the GDP! If we implement demilitarisation these huge
expenditures would of course decrease tremendously and, this would help
greatly the way for the economical and consequenly any other form of
betterment of Croatia.

http://www.srp.hr/eanto.htm

Da "La Voce del popolo", Rijeka-Fiume, 30 luglio 2002

LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CIAMPI

Stimatissimo signor Presidente,
Nella nostra opinione pubblica echeggia ancora sempre l'eco della sua
dichiarazione rilasciata durante la sua recente visita a Trieste nel
maggio 2002 e cioé che sloveni (e jugoslavi) hanno ucciso degli
italiani solo perché erano italiani, ovvero allo scopo di diminuire
l'italianità del territorio occupato dall'armata jugoslava.
Non si possono però ignorare i fatti storici, come a causa degli orrori
provocati e perpetrati dalla guerra, vi siano stati dei regolamenti di
conti con gli attori dei crimini di guerra. Basterebbe ricordare i
bombardamenti a tappeto delle città tedesche, come Dresda, con
centinaia di migliaia di vittime innocenti; o Hiroshima, dove in un
attimo sono state carbonizzate 70.000 persone e altrettante ne sono
state inguaribilmente contaminate; e ancora la brutale espulsione di 12
milioni di tedeschi dall'Europa orientale, di cui morivano centinaia al
giorno per violenze, esaurimento e malattie. Rientrano in tali rese di
conti anche oltre 20.000 collaborazionisti passati per le armi solo a
Milano e provincia. Secondo dati delle autorità anglo-americane e di
storici italiani, vi si possono aggiungere dalle 4.000 alle 6.000
persone scomparse dall'ex Venezia - Giulia, militari e civili, di cui
una parte finite nelle foibe carsiche, e altre in prigione e nei campi
di lavoro.
Per la zona di Trieste ad es. Claudia Cernigoj, nel suo
studio "Operazione foibe", ha potuto dimostrare, nome per nome, che il
numero complessivo degli scomparsi è stato 517 e non 1457, come
sostenuto dal pubblicista pordenonese Marco Pirina nel suo
libro "Genocidio", che, su ingiunzione del tribunale, ha dovuto
ritirare dal commercio, a causa di documentate false affermazioni.
Egualmente, nome per nome, l'autrice ha dimostrato che ben 412 degli
scomparsi erano appartenenti a famigerate e sanguinarie formazioni
collaborazioniste (ispettorato di pubblica sicurezza, X MAS, Milizia di
difesa territoriale, Guardia civica ed altre).
Va ricordato che Sloveni e Croati non solo hanno subìto un'invasione
militare, senza una dichiarazione di guerra, ma anche anni di soprusi e
devastazioni di ogni genere sulla propria terra, e vent'anni di terrore
fascista sul territorio che il trattato di Rapallo ha lasciato
all'Italia. Dai dati che l'allora governo jugoslavo ha inviato agli
alleati durante la Conferenza di pace di Parigi, risulta che nel
territorio dell'ex Venezia Giulia, la guerra ha provocato 42.800 morti,
7.000 invalidi, 95.460 internati e deportati, 19.460 edifici distrutti
e 16.837 parzialmente distrutti (Vedasi: "The struggle of the people
of Julian March for freedom and self determination" 1947). Una piccola
parte di tali violenze è descritta anche dalla lettera che l'ufficiale
italiano Dr Italo Gheza ha inviato al parroco del villaggio di Lozice,
nella valle di Vipava (Vipacco), e nel libro "Santa messa per i miei
fucilati - Diario di un cappellano" del curato militare, tenente Pietro
Brignoli, proposto dall'editore Longanesi nel 1973 a Milano.
Nell'occupazione italiana dell'allora "provincia di Lubiana" secondo
dati di Giuseppe Piemontese ("Ventinove mesi di occupazione italiana
della Provincia di Lubiana", 1946) vi sono state altre 12.087 vittime,
di cui solo circa 900 i partigiani, caduti in combattimento; tutti gli
altri sono stati ostaggi delle azioni di "rastrellamento" o sono
deceduti nei campi di concentramento italiani (Rab-Arbe, Gonars,
Monigo, Chiesanuove, Cairo-Montenotte, Alatri, Renicci, ed altri). Sono
stati distrutti 12.773 edifici e danneggiati altri 8.509, compresi
ospedali, biblioteche, scuole, case di cultura ed altri. Per non
parlare dell'ingente danno materiale provocato nella "provincia di
Lubiana" da parte delle truppe italiane, cagionato dalle forzate
confische dei beni, e delle sofferenze fisiche e psichiche delle
vittime, degli invalidi, dei familiari. Questi dati stanno dietro la
resa dei conti avvenuta alla fine della guerra, specie nei confronti
dei collaborazionisti. Dopo l'8 Settembre '43 infatti, l'esercito
italiano disarmato, è potuto tornare indisturbato in Italia. Sul
percorso principalmente seguito dalle formazioni in rotta le nostre
madri offrivano del cibo caldo ai soldati stremati.
Visti i fatti elencati ed altri elementi storici, che dimostrano
incontestabilmente chi è stata la vittima e chi il carnefice, vediamo
con notevole disappunto le affermazioni, con le quali anche lei signor
Presidente, purtroppo con leggerezza, speriamo suggerita, ci rinfaccia
offensive affermazioni di genocidio.
La sua dichiarazione, al contrario, riafferma la constatazione di come
l'Italia non ha avuto il coraggio intellettuale e la forza morale di
fare i conti con il proprio passato. Per cui i crimini del regime
monarcofascista sul nostro territorio ed altrove, non sono potuti
entrare nella memoria collettiva degli italiani. Ed è così che è potuto
sorgere il mito delle storiche ingiustizie nei loro confronti, il che
rappresenta un sostrato di possibili pericolosi sviluppi. I tentativi
di demonizzazione dei vicini orientali durano da più di mezzo secolo,
ed hanno segnato una recrudescenza dopo lo smembramento della
Jugoslavia. Per questo ci appelliamo a Lei, signor Presidente, di non
contribuirvi aggiungendo benzina al fuoco, e la preghiamo di trattare
il passato con maggior amore per la verità e rispettando i dati della
storia.
Vediamo di conciliarci e perdonare il male fatto, e non così
dimenticare i crimini a noi perpetrati, i misfatti e le sofferenze
causate, come anche non permettiamo la falsificazione degli eventi
storici. Sarebbe tempo che lo Stato italiano si giustificasse per tutto
il male fatto a noi ed agli altri popoli. Pertanto vi invitiamo a
prendere il coraggio a piene mani e sull'esempio del signor Italo Gheza
quanto prima emularlo.
Voglia accogliere, signor Presidente, i sensi del nostro rispetto.

Associazione combattentistica dei comuni del litorale sloveno di
Capodistria, Isola e Pirano
Ciril Pelicon

Associazione per le tradizioni patriottiche TIGR
Karlo Kocjancic

Club culturale Istria. Movimento d'opinione per l'Istria slovena
Milan Gregoric, Lucijan Pelicon

http://www.nytimes.com/2002/09/02/international/europe/02MONT.html?ei=5040&en=5b7c72313eafa090&ex=1031630400&partner=MOREOVER&pagewanted=print&position=bottom

New York Times

International/Europe

September 2, 2002

On a Balkan War's Last Day, Trouble From the Sky

By MARLISE SIMONS

KOTOR, Montenegro - In the early morning
hours, the scientists come to work on a
small tongue of land with one of the loveliest
views along the Mediterranean.
Behind them is the stunning bay of Kotor
and its crown of steep mountains, ahead is the
shimmer of the open sea, a few hours' sail
from Italy.
But the men hunch down, their eyes fixed on
the ground. They scoop up bits of soil and
rock, moving slowly and meticulously like
archaeologists.
Protective clothing covers them from head to
toe. The cape, closed off to tourists, is
marked with signs saying "Radioactive Danger.
Trespassing Forbidden."
The scientists from Montenegro are searching
for war debris, specifically bullets coated
with slightly radioactive depleted uranium.
American warplanes fired some 480 rounds
at the cape on the final day of NATO's 1999
air campaign against Yugoslavia,
according to NATO records.
No one was killed. But to the scientists, the
attack is inexplicable. The only tokens of
past life are a collapsed bunker and some
ruined walls more than a century old,
leftovers from the Austro-Hungarian Empire.
"We don't understand why anyone would
want to attack and contaminate the place on
the last day of the war," said Perko Vukotic,
a professor of nuclear physics at the
University of Montenegro at Podgorica who
heads the 12-man cleanup team.
The group has collected scores of bullets
and fragments, some buried deep in the soil.
But the main problem, they say, is that
casings have broken and many uranium parts
have disintegrated and turned into potentially
toxic dust.
"Water corrodes the uranium and it becomes
powdery," said Dr. Perkovic. "It crumbles
as easily as cigarette ash and spreads in
the soil. People can touch it or inhale it. The
wind blows it around."
The work in Montenegro, the little state that
with Serbia makes up the federation of
Yugoslavia, is the first thorough cleanup
of uranium in the Balkans.
NATO has disclosed that it fired thousands
of rounds of munitions with tips of depleted
uranium, one of the hardest metals and
therefore suitable for penetrating targets like
tanks, against targets in Bosnia in 1995 and
in Kosovo, Serbia and Montenegro in 1999.
Depleted of its most radioactive part for use
in nuclear fuel, the material still emits
low-level radiation.
There have been heated debates in Europe
over the use of this ammunition in the
Balkans. The main concern was the risk
that the material could have lasting ill effects
on people and the environment.
Pentagon and officials from the North Atlantic
Treaty Organization acknowledge that
depleted uranium, like other heavy metals, can
be toxic, but insist that its low-level
radiation is not harmful.
Many civilian specialists agree, but some
research in the United States, Canada and
Britain has shown that uranium particles can
be inhaled, enter the bloodstream and
lodge in the bone, where they can deliver
low but steady and potentially harmful
radiation. There is no agreement on what
is a harmful dose and some NATO countries
want the ammunition banned.
"We had to make a choice because nobody
knows the truth," Dr. Vukotic said. "Either
we say nothing about this and close Cape
Arza. Or we decontaminate it." Industries that
handle depleted uranium use special precautions
to store it, he went on, so here it
should not be lying around.
The team is closely following the recommendations
of the United Nations Environment
Program, which conducted the only
comprehensive study of the Balkan wars'
environmental impact. In one of its reports,
it said that "given the considerable scientific
uncertainties" about long-term behavior of
depleted uranium, the authorities should give
the "highest priority" to forbidding public
access, collecting and removing pieces and
decontaminating areas where possible and
store the material safely. Ground water
should be monitored. The latest report, in
March, said that, surprisingly, depleted
uranium particles were "still in the air two
years after the conflict's end."
The decontamination team began work on
the cape last year. The men move slowly,
covering about 60 feet an hour, their instruments
close to the ground. When a counter
detects higher than natural radiation, the
place is marked with a little yellow flag.
Someone scoops up the soil and the stones.
Each spoonful is put under the detector,
then stored in boxes or bags, depending on
its intensity.
"It's very tedious, it's like detective work," Dr. Vukotic said.
No one lives on the cape, but villagers have
houses about a mile away and tourists
visiting the ancient town of Kotor nearby
come to hike here and visit the beaches.
The team has sent its first cache - 160 large
bullets, scores of fragments, more than
100 pounds of depleted uranium and three
tons of low-level radioactive soil - in bags
and boxes to Belgrade for temporary storage
at the site of a research reactor. They
estimate it will be twice that amount when
they finish this fall.
"We have no proper place to store this
waste and we have to pay for this," said Ana
Misurovitc, director of the Montenegro
Toxicological Institute. The attack, she also
noted, was May 30, 1999, the last day of
the war. "Why did they bother then? It has
already cost us more than half a million
dollars in salaries, materials, equipment and
storage, and we're not finished." This is a
lot, she said, for a government with a budget
of $300 million.
In Brussels, a NATO spokesman said that
"480 rounds were fired at a legitimate target
on the cape, but we do not keep the targeting
records."
Villagers said that there was nothing to attack
and that they had not seen soldiers
around the site for more than a decade. A
Western military official said he believed the
site had a surveillance radar, but conceded
this would have drawn fire at the start and
not at the end of the air campaign.
Serbia was hit by some 3,500 rounds of depleted
uranium and its cleanup has only just
begun. But Montenegrins feel wronged, Ms.
Misurovitc explained, because they made it
clear they were neutral in the war.
She has tried to enlist the help of the United
Nations and other international bodies with
the uranium. Her message for NATO: "Come
and take back your radioactive waste and
pay for decontamination."

ARTEL GEOPOLITIKA by www.artel.co.yu

office@...
Datum:30. avgust 2002. godine

1. VOTERGEJT NA SRPSKI NACIN HRONIKA POLITICKIH ZBIVANJA
KOJA SU POTRESLA SRBIJU
2. UOCI GODISNJICE DOGADJAJA 11. SEPTEMBRA PRISETIMO SE
BOPALA
3. Mirela Belosevic: Jesen


1. VOTERGEJT NA SRPSKI NACIN HRONIKA POLITICKIH ZBIVANJA
KOJA SU POTRESLA SRBIJU

Spomenka Deretic
Beograd, 30. avgust 2002. godine
infograf@...

Sve je pocelo proletos, kada je potpredsednik Vlade
Srbije i bivsi ministar vojni, Momcilo Perisic, koga je
Slobodan Milosevic svojevremeno smenio sa mesta
nacelnika Generalstaba, uhvacen na delu kako predaje
najpoverljivija jugoslovenska dokumenta sefu CIA-e za
Balkan, Dzonu Dejvidu Nejboru, koji, uzgred budi receno,
ima pasos americkog diplomate. Perisica, potpredsednika
Dosovske vlade, uhapsila je kontraobavestajna sluzba
Vojske Jugoslavije, u kojoj rade odlicni profesionalci.
To je, u stvari, razlog zbog kojeg je pokrenuta afera
povodom prisluskivanja predsednika Jugoslavije Vojislava
Kostunice.
Vratimo se Perisicu, jer je on, prema pisanju nemackog
magazina 'Konkret', odigrao veliku ulogu prilikom
predavanja podataka doskorasnjem nemackom ministru
Rudolfu Sarpingu, o navodnom planu za proterivanje
Albanaca sa Kosmeta, nazvanom ''Potkovica''. General
Perisic je, naime, jos 25. oktobra 1998. godine predao
navodni plan ''Potkovica'' komandantu NATO Pakta,
Vesliju Klarku, i predsedniku Vojnog saveta NATO, Klausu
Naumanu, koji su boravili u Beogradu da bi pregovarali
sa tadasnjim predsednikom Jugoslavije, Slobodanom
Milosevicem, o zahtevu NATO da Vojska Jugoslavije smanji
svoje prisustvo na Kosovu.
Prema tvrdjenu Rudolfa Sarpinga, koje prenosi
''Konkret'', postoji vremenska veza izmedju izrade plana
''Potkovica'' i smene Perisica sa mesta nacelnika
Generalstaba VJ, jer se Perisic usprotivio da vojska
ucestvuje u navodnom proterivanju Albanaca sa Kosova. S
obzirom na to da je jugoslovenska vojna
kontraobavestajna sluzba uistinu izuzetno profesionalna,
a da je Slobodan Milosevic, takodje, uistinu bio sjajno
obavesten, sa sigurnoscu se moze utvrditi da je Perisic
smenjen ne zbog navodnog protivljenja nekom navodnom
planu ''Potkovica'', vec zato sto je uhvacen u spijunazi
za NATO Pakt, koji ce kroz nepunu godinu napasti
Jugoslaviju. Ako se kriticki analiziraju inteligencija i
moral generala Perisica moze se zakljuciti da je malo
verovatno da je on, Momcilo Perisic, smislio postojanje
plana ''Potkovica'' koji je posluzio kao izgovor za
napad na Jugoslaviju. Sve ukazuje na to da je ovaj plan
smisljen u germanskoj kuhinji. Naime, Rudolf Sarping je
priznao da je navodni srpski plan za proterivanje
Albanaca dobio od Austrijske obavestajne agencije, i da
mu je u tome pomogao Dragan Vuksic, Perisicev saradnik
od poverenja. Nekoliko podataka o pukovniku Draganu
Vuksicu: On je, po svoj prilici, stari saradnik nemacke
obavestajne sluzbe, vrlo je verovatno da je ucestvovao i
u pripremanju puca 5. oktobra 2000. godine i pre ce biti
da je Vuksic prvi covek u timu. Pukovnik Dragan Vuksic
predlozen je, posle beogradske oktobarske revolucije, za
jugoslovenskog ambasadora u Svajcarskoj. Bern je (
Svajcarci su oprezan narod ) odbio da primi njegov
agreman zbog Vuksiceve saradnje sa nemackom obavestajnom
sluzbom. Medjutim, zasluge pukovnika Vuksica za
antisrpsku kampanju su toliko velike da ga je nemacka
vlada akreditovala za glavnog jugoslovenskog konzula u
Frankfurtu na Majni, a posto je zaduzio i dosovske
revolucionarne vlasti u Beogradu, dobio je visoko
diplomatsko mesto u Jugoslavenskoj ambasadi u Bonu. Da
ne zaboravimo: Dragan Vuksic je bio i u Dejtonu. Tamo je
radio o glavi Republici Srpskoj, i sa druge strane, bio
je , po svoj prilici, 'oci i usi' nemacke obavestajne
sluzbe. Da sastavimo mozaik: nemacka obavestajna sluzba
i njen covek, pukovnik Vuksic, smislili su,
najverovatnije, plan ''Potkovica'' i uz bratsku pomoc
austrijske obavestajne sluzbe i agilnog Perisica
plasirali ga kao srpski plan za proterivanje Albanaca sa
Kosova, sto je posluzilo kao izgovor za oruzani napad
NATO Pakta na Jugoslaviju.

AFERA PRISLUSKIVANJA , ILI AFERA PAVKOVIC
Posto je Kontraobavestajna sluzba Vojske Jugoslavije
hapsenjem Perisica pokazala izuzetnu sposobnost,
pronemacka vlada Srbije, preko Skupstine, u kojoj ima
apsolutnu vecinu, pokrenula je aferu Pavkovic, ili aferu
prisluskivanja predsednika Jugoslavije, Vojislava
Kostunice. O cemu je rec? Cetvorica penzionisanih
generala: Nebojsa Pavkovic, Milen Simic, Aleksandar
Vasiljevic i Milan Djakovic optuzili su predsednika
Kostunicu da je, preko svojih savetnika, trazio da
vojska upadne u Biro za komunikacije Vlade Srbije iz
cijih se prostorija, navodno, prisluskuje predsednik
jugoslavije, i da su generali smenjeni jer su to odbili.
Skupstina Srbije osnovala je Anketnu komisiju za
ispitivanje aktera afere Pavkovic, u koju nije usao
nijedan predstavnik opozicionih stranaka, kao ni
Demokratske stranke Srbije, sto govori samo po sebi.
Pred Anketnom komisijom najpre su izlozili svoje verzije
dogadjaja cetvorica generala. Bio je to direktan
televizijski prenos, narod je uzivo gledao srpski
Votergejt. Samo, za razliku od americke afere u kojoj je
predsednik Nikson naredio prisluskivanje, u srpskom
Voretgejtu prisluskivan je predsednik Jugoslavije.
Generali su ispricali da su se na sastanku u Palati
federacije u noci izmedju 4. i 5. juna prosle godine,
usprotivili upadu u vladine prostorije, zato sto su to
prostorije Vlade Srbije i zato sto bi prilikom upada
vojnika moglo biti zrtava. Tokom daljih ispitivanja,
kasnije se ispostavilo da do zrtava, po svoj prilici, ne
bi ni doslo. Pavkovic, Vasiljevic, Djakovic i Simic
prepricali su razgovore koje su vodili sa savetnicima
predsednika Jugoslavije, kao i sa sadasnjim nacelnikom
Uprave vojne bezbednosti, Acom Tomicem, do u tancine,
prepricali su detaljno kao kada domacice diktiraju
recept za dobos tortu. Da li su govorili iskljucivo
istinu, to je vec drugo pitanje. Nekoliko stvari je
karakteristicno: prvo, postavlja se pitanje zasto su
cetvorica generala progovorili javno tek godinu dana
posle dogadjaja; i drugo, ispada da je Biro za
komunikacije Vlade Srbije veoma vazan centar moci.
Predsednik narodne demokratske stranke, Slobodan
Vuksanovic u intervjuu ''Nacionalu'' postavlja logicno
pitanje: Ko u stvari rukovodi tim biroom i da li biro
predstavlja centralnu redakciju vecine medija u Srbiji,
u kome se kroje vesti, kampanje, afere i spektakularne
predstave, poput ove sa Anketnom komisijom? Da
odgovorimo. Biroom rukovodi Djindjicev covek, Vladimir
Popovic-Beba, koji uopste ne lici na bebu, nego na
nekoga koga ne biste zeleli da sretnete nocu.
General Pavkovic, heroj iz rata sa NATO-m, pokazao je
pred jugoslovenskom javnoscu svoje ''Ahilove pete'':
boji se penzionisanja i ostrog jezika i obavestenosti
Vojislava Seselja, sefa srpskih radikala. Naime,
Pavkovic se pred televizijskim kamerama opravdavao da
nije povezan sa surcinskom mafijom, zasta ga je Seselj
jednom prilikom optuzio, i Pavkovic je rekao da je
surcinski bos Markovic, sa kojim je i on, dobar
poznanik, ugledni mladi biznismeni vlasnik ''Krmivo
produkta'', vise vila, jedne ergele i jedne jahte.
General Pavkovic je doduse priznao da je kao nacelnik
Generalstaba Vojske Jugoslavije intervenisao da se na
Vojnomedicinsku akademiju primi, kada je bio otrovan, i
Surcinac Ljubisa Buha, takodje mlad i po Pavkovicu
uspesan biznismen. Koliko je biznismen Ljubisa Buha
posten, pokazuje njegov nadimak -Cume, a srpski narod
cumom naziva kugu. Uzgred budi receno, Ljubu Cumu (kugu)
, dok je lezao u Vojnomedicinskoj bolnici, posetili su
mnogi ministri Vlade Srbije, pa i sam premijer Zoran
Djindjic. Jos da dodamo: pre dve nedelje prijatelj naseg
premijera, i nasih ministara i generala Pavkovica,
Ljubisa Buha -Cume, zamalo da pogine dok je obilazio
jednu svoju novu i velelepnu investiciju. Na njega su
pucala dvojica maskiranih napadaca, ali ga je zastitio
cuvar, koji je nesrecnik, za gazdu poginuo. General
Aleksandar Vasiljevic, koji je jedno vreme bio i sef
vojne bezbednosti, stari je lisac. Pohvalio se da nije
bio poslusan Milosevicu, cime se preporucio Perisicevim
mentorima, priznao je da je na sasatanak prosle godine u
Palatu federacije dosao kao penzioner i penzionisani
Pavkovicev savetnik, odnosno prijatelj.
Penzionisani nacelnik uprave vojne bezbednosti, Milan
Djakovic, delovao je iskreno zbunjeno, kao da ne zna, ne
samo zasto se pred Anketnim odborom nasao, vec i da ne
zna kako je mogao posle oktobarskog puca da postane tako
vazan rukovodilac u Vojsci Jugoslavije. Jasno se videlo
da je do poslednje kapi odan generalu Pavkovicu. Milan
Djakovic je ispricao, onako uzgred, nesvestan sta to
znaci, da je u Podgorici, u okviru vrata prostorije
ekipe vojne kontraobavestajne sluzbe, slucajno pronadjen
prislusni najsavremeniji uredjaj izraelske proizvodnje,
koji nije mogao da bude otkriven, izuzev mehanicki, ni
najsavremenijim aparatima.
General za moral Milen Simic bio je najopasniji. On je,
naime, predlozio da se kontraobavstajna sluzba stavi pod
civilnu kontrolu, da nase najbolje profesionalce
kontrolisu poslanici, medju kojima sada ima i onih
kojima je to prvo zaposlenje u zivotu, a nalazi se medju
sadasnjim poslanicima i momak, koji ima policijski
dosije zbog dilovanja droge. Simic, kojeg sam 1999.
godine upoznala na jednom sastanku Patriotskog saveza
Jugoslavije , u maloj sali na Kolarcevom narodnom
univerzitetu, kao gorljivog branioca drzave, ustava i
vojske, sada bi predao kontrolu vojske ovoj skupstini
koja ponekad krsi ustav, oduzima poslanicke mandate,
izbacuje sa sednica citave opozicione partije, ili bi
kontrolu mozda predao vladi ciji je potpredsednik
saradnik nemacke obavestajne sluzbe i americke CIA.
Svedocile su i kafe-kuvarice, obezbedjenje i kelneri u
Palati federacije. Svi su oni bili veoma diskretni, niko
od njih nije ogovarao, niti prepricavao kao na pijaci.
Oni su se ponasali kao pravi generali, dok su se, utisak
je, penzionisani generali ponasali kao kafe-kuvarice.
Ispitivanje anketne komisije je prekinuto zbog letnjeg
odmora. Srbi u Bujanovcu se ne odmaraju, svakodnevno
demonstriraju i protestvuju. Na upravo zavrsenim
izborima prvi put je u istoriji opstine izabran za prvog
coveka Albanac. Na nekim birackim mestima glasanje u
bujanovackoj opstini trajalo je do 5 casova ujutru, mada
se po Zakonu o izborima glasacka mesta moraju zatvoriti
do 20 casova. Glasalo se devet casova duze jer se cekalo
da sa Kosova stignu biraci. Za ovo nasilje u Bujanovcu
najzasluzniji su americki ambasador u Beogradu , i
predsednik Koordinacionog tela za jug Srbije, Nebojsa
Covic, koji je ujedno i potpredsednik srpske vlade i
ljubimac SAD. Zasto je Amerikancima i njihovim evropskim
prijateljima toliko stalo da bujanovackoj opstini, prvi
put u istoriji, vlast preuzmu Albanci, koji nisu u
vecini, ali su u biracke spiskove upisivani i kosovski
Albanci, takozvani profesionalni glasaci koji glasaju
kad ustreba na Kosovu, kad ustreba u Metohiji, a kad
ustreba na jugu Srbije? Zato sto Srbiju treba i fizicki
odvojiti albanskim koridorom od Makedonije i pravoslavne
Grcke, i time je uciniti jos nestabilnijom. Vec danima
Srbi u Bujanovcu protestuju i potpisuju peticije za
smenu Covica, a on im porucuje: ''Ne uzbudjuje me
peticija, niste me vi birali, necete me ni smenjivati.''
Da potsetimo: Covic je bio visoki funkcioner
Socijalisticke partije Srbije, koga je Milosevic smenio
i izbacio iz partije, navodno jer se Covic usprotivio
poznatom kontramitingu pristalica tadasnje vlasti.
Naravno da to nije tacno. Sve su televizijiske kamere
zabelezile mladjanog Covica na bini medju drugim
funkcionerima SPS-a. Milosevic je Covica, u stvari,
smenio zbog uzajamne i protivprirodne ljubavi izmedju
Vasingtona i ambicioznog Nebojse Covica.

P.S. E-mail: infograf@...
Ako imate zelju da saradjujete, mislite drugacije ili
zelite da nesto saopstite, obratite nam se i obavezno
potpisite.

2. UOCI GODISNJICE DOGADJAJA 11. SEPTEMBRA PRISETIMO SE
BOPALA

Vladimir SIMONOV
Moskva, 29. avgusta 2002. godine
Ruska informativna agencija RIA "Novosti"
specijalno za Artel-Geopolitiku

Vladari razvijenih demokratija ponasaju se tako, kao da
je zivot coveka, koji zivi u "necivilizovanoj zemlji"
jeftiniji od zivota njihovog sopstvenog gradjanina. A
tudja bol kod njih se ne moze niposto uporedjivati sa
elitnom boli njihovih sugradjana.

Ove nedelje sud u Bopalu, (Bhopal, glavni grad savezne
drzave Madija Pradess u centralnom delu Indije) odbio je
da smanji kaznu vinovnicima tragedije u fabrici americke
transnacionalne korporacije "Junion Karbajd", koja se
dogodila 1984. godine.
Ta novost posebno ce obradovati Tarai Bai, 36-godisnju
Induskinju. Tesko da ce ona ikada zaboraviti noc uoci 3.
decembra 1984. godine, kada je ova fabrika za
proizvodnju pesticida izbacila u atmosferu gigantski
otrovni oblak. Vetar je duvao sa severa na jug, od
strane fabrike u pravcu zgusnutih bednih straccara u
kojima su nasli utociste ovdasnji radnici i hiljade onih
koji su mastali da se zaposle u ovom americkom raju.
Tarai Bai je bila u trecem mesecu trudnoce. Izgubila je
bebu. Otrovni gas je sprzio njena pluca. Zena nikada ne
moze da ima decu, pati od bolesti respiratornih organa,
neuroloski je nestabilna i delimicno slepa. Pa ipak je
zahvalna Bogu sto je prema njoj bio milostiv.
Zato sto je te strasne noci 3 hiljade ljudi poginulo
odmah, a jos 20 hiljada njih u narednim mesecima. Broj
zrtava sa mracnom sudbinom Tarai Bai premasuje 150
hiljada ljudi. Pred tom tragedijom bledi i Ccernobilj.
Na Bopal se srucila najveca, najsmrtonosnija tehnogena
katastrofa u istoriji covecanstva.
U svemu ovom najvece iznenadjenje, svakako, predstavlja
cinjenica sto do dana danasnjeg niko za tu katastrofu
nije kaznjen. U minulim decenijama ama bas niko nije
mobilisao javno mnenje, kako bi macc pravosudja spustio
na glave vinovnika, kako bi poginulima nadoknadio
gubitak, a postradalima, koji su jos uvek na ovom svetu,
kompenzirao stetu nanetu njihovom zdravlju.
Secanje na masovno trovanje u Bopalu brizljivo se brise,
kao sto iskusni zlocinac brise sa rukohvata noza krvave
otiske. Da li najvece svetske medijske kuce osvatljavaju
ovu temu kao, recimo, Ccernobilj, ili dogadjaje od 11.
septembra? Ne! Svaka cast izuzecima.
A u Bopalu je poginulo najmanje 7 puta vise ljudi, nego
u Njujorku, prilikom napada na zgrade Medjunarodnog
trgovinskog centra.
Pa ipak se bopalski zlocin kvalifikuje od strane
indijskog suda - a ta kvalifikacija izrecena je ove
nedelje - kao "ubistvo s predumisljajem", a ne kao
"ubistvo iz nehata", kako bi to zeleli visoki
pokrovitelji americkog hemijskog giganta "Dau Kemikal",
koji je "progutao" "Junion Karbajd".
Glavni izvrsni direktor "Junion Karbajda" tih godina
Voren Anderson ni do dana danasnjeg nije stao ni pred
jednog sudiju ni u jednoj zemlji, kako bi objasnio zasto
su u fabrici jedan za drugim iskljucivani uredjaji za
sprecavanje havarije, namenjeni upravo za sprecavanje
takve tragedije. Mada bi to bilo moguce objasniti jednom
prostom recenicom: iskljucenja su vrsena da bi se
povecao profit od proizvodnje pesticida.
U Bopalu se tako desio najgnusniji zlocin masovnog
ubijanja radi profita.
Godine 1992. indijske vlasti nalozile su hapsenje
Andersona, sto je predstavljalo dovoljnu osnovu za
njegovo izrucenje Indiji. Medjutim, vlasti SAD su
ignorisale zahtev indijske strane. One nisu uihapsile
Andersona - cak stavise, dali su mu sansu da srecno
nestane. Za dve decenije americke specijalne sluzbe i
drugi organi koji tragaju za zlocincima nisu ni prstom
mrdnuli da natrapaju na njegove tragove.
Vladari razvijenih demokratija ponasaju se tako, kao da
je zivot coveka, koji zivi u "necivilizovanoj zemlji"
jeftiniji od zivota njihovog sopstvenog gradjanina. A
tudja bol kod njih se ne moze niposto uporedjivati sa
elitnom boli njihovih sugradjana.
Tesko je izbeci pomisao da se u toj ravnodusnosti
odslikava kao u kapljici vode ta centralna, vopijuca
nepravicnost nase epohe. I izgleda da se upravo zato na
ulice metropola izlivaju demonstracije stotina hiljada
antiglobalista. Umnogome zato je na samitu Zemlje u
Johanesburgu, koji se ovih ana odrzava, siromasnim
zemljama tesko da nadju razumevanje bogatijih. A mozda
upravo tu lezi skriveno i delimicno objasnjenje
izvorista one mrznje koja se 11. septembra izlila
avionima na Njujork i Vasington?
"Zar je mogao Dzordz Buss dopustiti, da bivsem glavnom
izvrsnom direktoru prestizne americke multinacionalne
korporacije zapreti procedura izrucenja, koju je
pokrenula zemlja treceg sveta?, - pita se Dominik
Lapjer, koautor knjige "Pet minuta posle ponoci u
Bopalu", posvecenoj indijskoj tragediji. Za odgovorom
nema potrebe. Svet njega poznaje.
"Junion Karbajd" nestala je iz Indije te iste 1984.
godine, ostavivsi na mestu bacene fabrike stotine tona
otrovnih materija. Te planine otrova polako prodiru u
podzemne vode, koje napajaju bunare okolnih indijskih
sela. Otrovane gasom truju ponovo. Naravno, ako vec nije
vlada Sjedinjenih Americkih Drzava, mogao je "Dau
Kemikal", sadasnji pravni naslednik "Junion Karbajda"
preuzeti na sebe odgovornost za teroristicki napad na
cetvrt miliona zitelja Bopala, na ekologiju centralne
savezne drzave Indije, velike azijske drzave. Priroda
ocekuje likvidaciju zarista hemijskog zagadjenja. A
zrtve - medicinsku pomoc i kompenzaciju

3. Mirela Belosevic: Jesen

Beograd, 30 avgust 2002. godine
E-mail: infograf@...

Sa priblizavanjem pocetka skolske godine prestaju price
kako smo se sve snalazili da bi i ove godine otisli na
letovanje a pocinju preispitivanja jesmo li se suvise
opustli i istrosili. Otreznjenje stize sa prvim
pripremama zimnice. Pijaca je doduse uvek bila spas za
nas standard ali je nevolja sto istovremeno treba
spremiti i djake za skolu. Porodica koja ima dva djaka
mora da izdvoji oko 1oo eura samo za udzbenike. U
poslednje vreme moze se cuti duhovita ali i tuzna
opaska: 'Nema djaka bez buvljaka' jer je skolski pribor
jeftiniji na takozvanim buvljacima na kojima se prodaje
roba iz inostranstva, sumnjivog kvaliteta ali sa
povoljnijim cenama nego u prodavnicama. Istovremeno se
na buvljacima kupuje i garderoba za djake. Starija deca
bi doduse vise volela da se oblace u buticima, ali vrlo
brzo ih majke ubede i dokazu da se ista roba sa tezgi
nudi i u buticima sa visim cenama. Vlada Srbije je
omogucila kupovinu udzbenika za decu u osnovnim skolama
na 6 rata. Roditeljima je to olaksica ali je istovremeno
i potvrda naseg loseg standarda jer kredit vazi za sumu
vecu od 20 eura. Prosecna julska zarada u Srbiji je 13
461 dinar ili nesto vise od 200 eura. U odnosu na junsku
realno je niza za 0,35% a kao i uvek plate u privredi su
nize nego u vanprivredi.
Ovih dana u Srbiji se mnogo prica i o ceni jestivog ulja
za koje Guverner Narodne Banke kaze da je skuplje nego u
Nemackoj. Ako se smanjivanjem poreza na promet i
popustanjem proizvodjaca ne dodje do nizih cena
intervenisace drzavne robne rezerve. U toku je vec
intervencija na trzistu mesa, koje poskupljuje iako je
potrosnja mesa sve manja. Inace cene ulja, mesa i svih
ostalih namirnica osim takozvanog narodnog hleba su
liberalizovane. Kupovna moc gradjana se najcesce meri
takozvanom potrosackom korpom. Trgovci i razni ekonomski
instituti su napravili spisak namirnica neophodnih za
zivot i pracenjem promene iznosa ove potrosacke korpe se
proverava koliko je prosecnih plata potrebno samo za
ishranu. U komisiji za standard pri Republickoj vladi
nisu imali poverenja u ove proracune pa su napravili
svoj spisak namirnica potrebnih za zivotni minimum.
Komisija za standard ovih dana treba da odluci da li ce
i cena hleba, za nas najvaznije namirnice, uskoro biti
liberalizovana.
Na najave, da ce ove godine inflacija iznositi samo 16%
i da je od jula prosle do istog meseca ove godine bila
19% vecina gradjana, posebno penzionerei zbog skromnijih
priohoda nego sto imaju zaposleni, negoduju. Standard su
u jednogodisnjem periodu uzdrmali racuni za struju koji
su povecani za oko 80 %. U Srbiji se struja koristi za
zagrevanje stanova pa je u toku kampanja, dodise
zakasnela, da se gradjanima omoguce krediti kako bi se
prikljucili na daljinsko grejanje. Malo je onih koji
mogu sebi da priuste takav trosak zarad buduce ustede.
Statistika pokazuje da su stanarine takodje porasle u
proseku za 60%.
Vecina ljudi prema gotovo svim anketama dosta lose
ocenjuje sopstveni ekonomski polozaj i o tome bi
sadasnji akteri ekonomske politike trebalo da razmisle
bez obzira sto spoljni posmatraci nasu ekonomsku
situaciju vide u nesto ruzicastijim tonovima.


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Settembre 1993: l'esercito della Croazia secessionista
"sfonda" vincendo la resistenza serba presso Medak, nella
Repubblica Serba di Krajna - allora definita "autoproclamata"
dal coro ipocrita della stampa internazionale.
A quel tempo l'area era presidiata da armati ONU, impegnati
nella "interposizione" tra le due parti in conflitto. I soldati
canadesi svolsero correttamente il ruolo loro affidato, e
furono costretti a sostenere una sparatoria lunga 16 ore
con le milizie croate che, impegnate nel massacro
della popolazione locale, impedivano l'accesso alla zona
appena occupata. Solo dopo che furono uccisi 27 miliziani
croati, i canadesi poterono entrare a Medak e verificare
i loro peggiori sospetti.
Tenuta nascosta per circa tre anni alla stessa opinione
pubblica canadese, questa vicenda e' tuttora sostanzialmente
sconosciuta al pubblico, che puo' sentirne parlare oggi
grazie alla decisione del governo di Ottawa di dare dei
riconoscimenti ai soldati canadesi che si trovarono ad
affrontare quella situazione drammatica e politicamente
imbarazzante per un paese della NATO, quindi alleato e
complice della Croazia, quale e' il Canada.


===*===


http://www.macleans.ca

World
September 2, 2002

FIREFIGHT AT THE MEDAK POCKET

Ottawa will honour Canadians who took
part in a little-known battle

MICHAEL SNIDER with SEAN M. MALONEY


In September, 1993, Canadian troops
stationed in an area of Croatia known
as Vojna Krajina engaged in a fierce battle
with Croatian forces attacking a
predominantly Serb enclave. The engagement,
little known outside of military
circles, was not publicized by the Canadian
government, which was hesitant to
draw attention to the increasing dangers
the country's troops were facing
abroad. But this December, Ottawa will
finally honour the soldiers who took part
in that firefight by presenting them with a
unit commendation. Maclean's tells
the story of the battle:

PTE. SCOTT LeBLANC'S machine gun
jackhammered against his shoulder as he
fired at the Croatian troops dug in 150
metres away. Grenades exploded around
him; bullets and orange tracer-fire
screamed through the smoky air. The
Croatians hammered the Canadians for 15
hours straight -- thinking the 30
soldiers from the Princess Patricia's
Canadian Light Infantry would buckle and
run like other UN peacekeepers had often
done. But the Canadians, members of one
of three platoons making up the Patricia's
Charlie Company, held their ground.
"They're trying to flank us," LeBlanc's
section leader barked, sending a jolt of
adrenalin through LeBlanc's exhausted body.
Standing halfway out of his trench,
the 19-year-old reservist swung his gun
around and opened fire on the Croatians.
"We could see muzzle flashes and threw
everything we had at them," recalls
LeBlanc, now a 28-year-old lieutenant who
has just returned from Afghanistan.
"After that, everything got real quiet."
The fierce battle took place in
September, 1993, about a year and a half
after Canadian peacekeepers had first
arrived in the former Yugoslavia. Vicious
fighting and appalling acts of ethnic
cleansing made their task of disarming and
separating the various combatants nearly
impossible. Especially volatile was one
mountainous region of Croatia called Vojna
Krajina, or Military Frontier, home
to an isolated pocket of some 500,000
Serbs. Fiercely nationalistic, the Krajina
Serbs began to drive out Croats. But on
Sept. 9, Croatian Commander Rahim Ademi
launched an attack to capture an area of
Serb-controlled territory in Krajina
called the Medak Pocket. The UN, fearing
that 400 Serbs living in four
unprotected villages in the area were at
risk of being slaughtered by Croatian
troops, ordered the Patricia's into the
area -- and into the biggest firefight
Canadian forces had been involved in since
Korea.
Five months into a six-month tour of
duty, the Canadians were led by
Lt.-Col. James Calvin, 41. The 875-man
battle group was a patchwork of regular
and reserve soldiers. In fact, 70 per cent
of the front line soldiers were
reservists -- a makeup that, Calvin says,
could prove dangerous in a war zone.
"Reservists are just as long on valour and
courage," the now-retired Calvin told
Maclean's from his home on Wolfe Island,
Ont., near Kingston. "But you can't
expect one to do the same things you expect
from a regular soldier."
Still, after four months in the
region, Calvin considered his force
seasoned, especially with his hand-picked
group of platoon leaders, including
reservist Lt. Tyrone Green. The morning of
Sept. 9 started nicely enough for the
Vancouver native in charge of 9 Platoon,
Charlie Company, with sunshine poking
through the cracks in the boarded windows
of the platoon's quarters, a
two-storey concrete building on the
outskirts of the Serb-held town of Medak.
But as Green dragged a razor across
his chin, his morning shave was
interrupted by incoming artillery shells.
With soap still clinging to his face,
Green, who is now a captain in charge of a
Canadian Forces recruiting office in
Vancouver, grabbed his helmet and raced to
his M-113 armoured personnel carrier.
At one point he was knocked down when a
shell landed in a nearby ditch. He
wasn't hurt, but four Canadians were
injured in the shelling. "We counted 500 or
more shells by the end of the first day,"
says Green. "About a dozen fell in our
compound and one landed about 10 metres
from the front door."
Not knowing where the shells were
coming from, Green sent Sgt. Rudy Bajema
to establish an observation post. For the
next five days, Bajema watched as the
Medak Pocket was attacked by more than
2,500 Croat troops, backed by tanks,
rocket launchers and artillery. The Serbs
finally slowed the Croatian advance on
Sept. 12, but it was not until they
launched rockets into a suburb of Zagreb,
Croatia's capital, that the Croats relented
and accepted a UN ceasefire.
Calvin, who didn't really expect the
Croatians to live up to the
agreement, ordered his troops to occupy the
Croat positions. "We started taking
fire almost immediately from the Croats,"
recalls LeBlanc. The battle raged for
the next 15 hours. It was so intense that
at night the light from burning
buildings reflected off the soldiers' blue
UN helmets, prompting them to wrap
them in khaki-coloured T-shirts. Finally
realizing the Canadians would not back
down, the Croats sent word to Calvin that
they wanted to talk. They had good
reason to call a truce: the Canadians had
killed 27 Croats while not taking a
single casualty.
Joined by Col. Michel Maisonneuve, a
Canadian officer from the UN
headquarters in Zagreb, Calvin met with
Ademi at his headquarters in a town near
the fighting. Ademi sat on one side of the
table, blustering and yelling at the
Canadians. "He looked like he was enjoying
the role he was playing," says
Calvin. "Emotions were very high and I was
irate my men were getting shot at."
But after an hour and a half, Ademi finally
relented and promised to pull his
troops out at noon the next day.
The Croatian commander, however, was
determined to terrorize the Serb
civilians living in the area before he
left. By 10 a.m. the next morning, a
thick umbrella of smoke covered all four
towns in the Medak Pocket as the Croats
tried to kill or destroy everything in
their wake. The Canadians witnessed
scenes that still haunt many of them. "They
could see what was happening from
their foxholes," says Calvin. "My soldiers
knew their role was to protect the
weak and the innocent and they were
absolutely incensed." But fearing the
ceasefire agreement with Ademi would
collapse if they advanced, the Canadians
could do nothing but hold their ground.
Finally, when the noon deadline
passed, the Canadians raced ahead, but
immediately encountered a company of Croat
troops behind a barricade -- and
supported by missiles launchers and an
ominous Soviet-era T-72 tank. Calvin
approached the senior Croat brigadier;
their conversation quickly became heated.
The large, bearded Croat ordered his men to
cock their weapons and point them at
the Canadians. "We knew they were stalling
so they could clean up evidence of
their ethnic cleansing," Calvin recalls.
Calvin did not order his troops to
fight, and instead tried another
gambit. With the Medak attack almost a week
old, the international media had
converged on the area. As negotiations with
his bearded counterpart
deteriorated, Calvin held a news conference
in front of the barricade and
bluntly described the atrocities he
believed were being committed by the
Croatians. Realizing his country's
reputation was in jeopardy, the Croat
commander suddenly stepped aside. "The
transformation was instantaneous," says
Calvin. "He made a big show of removing the
barriers."
The Patricia's then pushed on. Every
building in their path had been
demolished and many were still smouldering.
Corpses lay by the side of the road,
some badly mutilated and others burned
beyond recognition. "We knew it was going
to be bad," says Green, "but the things we
found there were worse than anything
we expected."
The Canadians documented everything
they saw. Calvin's subsequent report
helped convince the International Criminal
Tribunal for the Former Yugoslavia to
issue an indictment in 2001 against Ademi,
charging him with crimes against
humanity. Made public one year ago, the
report is a brutal list of murder and
torture. Among the victims: Sara Krickovic,
female, 71, throat cut; Pera
Krajnovic, female, 86, burned to death;
Andja Jovic, female, 74, beaten and
shot. In all, the Patricia's found 16
mutilated corpses -- some with their eyes
cut out.
The soldiers rotated home four weeks
later, but there was no hero's
welcome. At the time, Canadians were
focused on the disturbing revelations that
a teenager named Shidane Arone had been
tortured and killed by Canadian
peacekeepers in Somalia. Kim Campbell's
Conservative government was also facing
a federal election and didn't want the
increasing dangers Canadian troops were
facing in the Balkans raised as an issue.
"When we got back to Canada a couple
of weeks later, the first thing I did was
call home," says LeBlanc. "My folks
hadn't heard anything about the battle."
The force did receive high honours
from the United Nations in 1994, when
its members were given the United Nations
Force Commanders' Commendation -- the
first of its kind and only one of three
ever awarded. And, this December, the
Canadian government finally plans to honour
the troops by presenting them with a
unit commendation. But the honours only go
so far. With vivid memories of the
battle, many of the soldiers still suffer
from post-traumatic stress syndrome.
As for Ademi, his case rests in legal
limbo. After the indictment, he
voluntarily turned himself over to the war
crimes tribunal, proclaiming he had a
clear conscience because "I did not order
any atrocities." Last February, the UN
granted him a provisional release on
condition he return to The Hague when the
trial proceeds, likely next year. Calvin
may be called to testify. "Ademi should
be called to account," he says. "No soldier
should be able to get away with
that."

http://www.macleans.ca/xta-asp/storyview.asp?
viewtype=browse&tpl=browse_frame&vpath=/2002/09/02/
World/71190.shtml


===*===


PUBLICATION WINNIPEG FREE PRESS
DATE : TUE JUL.16,2002
PAGE : A13
CLASS : Focus
EDITION :

'Canada's Secret Battle' validated

Citation awarded to outgunned peacekeepers
who held their ground in 1993 firefight
with Croatia forces

by Scott Taylor

GOV. Gen. Adrienne Clarkson has created
two new military decorations in
recognition of Canadian peacekeeping
exploits in the Balkans. These
Commander-in-Chief unit citations were
awarded to the First Battalion, Royal
22nd Regiment (Vandoos) and the
Second Battalion, Princess Patricia's
Canadian Light Infantry (PPCLI) for
the "outstanding service of Canadian
Forces in times of conflict under
direct enemy fire." The Vandoos are
being credited for their 1992 role of
allowing then UN sector commander
Maj.-Gen. Lewis MacKenzie to reopen
the Sarajevo airport at the height of the
Bosnian civil war. Thanks in part
to the tremendous international
attention garnered by MacKenzie at
that time, the Vandoos' dangerous exploits
were relatively well publicized.
One cannot say the same about the
2PPCLI action in the Medak Pocket,
which has subsequently been dubbed
"Canada's Secret Battle." This
unheralded action began with a devastating
bombardment on the morning of Sept. 9,
1993, and lasted a total of nine days
before a ceasefire was reinstated.
When the Croatian shells first began
to explode in the Serbian village of
Medak, Lieut. Tyrone Green and his
platoon found themselves caught in the
centre of the maelstrom. They, along
with the rest of 2PPCLI, had only
recently been deployed to this region
known as Sector South.
Although it was included within the
administrative boundaries of newly
independent Croatia, this area was
historically populated by ethnic
Serbs. Having no desire to submit to
Croatian authorities, the Serbs, in turn,
declared their own independent region
called Krajina. Croatian military
threats to eliminate this pocket of
resistance prompted the United Nations
to declare this a protected area.
From the outset, Lieut.-Col. Jim
Calvin, Commanding Officer of 2PPCLI,
made it clear that he and his battalion
would not back away from their
mandate to protect the Krajina Serbs.
Despite the danger, Green's platoon
remained in Medak to provide the UN
Security Council with an
up-to-the-minute account of the heavy
fighting.
On the night of Sept. 10, Green
reported a distinct shift in the
bombardment. Croatian special forces
troops had begun rolling through the
Medak valley. Brave but futile Serb
resistance resulted in a steady stream
of wounded soldiers and frightened
refugees flowing past Green's position.
Serbian reinforcements were rushed
from all over the Krajina to halt the
Croatian advance. After desperate
fighting on the morning of Sept. 14,
the Serbs had succeeded in stabilizing
their line, barely 1,200 metres from
the village of Medak itself.
Under intense political pressure from
the UN, the Croatians reluctantly
agreed to withdraw to their pre-Sept.
9 lines. However, when Calvin
attempted to push his troops forward,
the Croatians opened fire at the
advancing peacekeepers. Invoking
their right to self-defence, the men
of Charlie Company, 2PPCLI, started
shooting back. Over the next 16 hours
a vicious firefight took place at
ranges often less than 200 metres. Despite
being outgunned, the PPCLI held their
ground.
The following morning, Calvin resumed
his attempt to push forward into
the contested pocket. When a Croatian
general refused passage to Delta
Company, Calvin ordered his men to
"lock and load" their weapons. A tense
standoff ensued, with the heavily
outnumbered Canadians looking through
their gunsights at Croatian gun
barrels. To break the impasse, Calvin
gambled on the threat of negative
international press coverage by calling
forward a handful of journalists to
the roadblocks. Based on violence
witnessed by his troops the previous
evening, Calvin accused the Croatians
of committing "crimes against
humanity." The tactic worked, and the
general backed down.
As the Croatian soldiers removed the
roadblocks and the Canadian armoured
column rolled forward, it soon became
evident that Calvin had been correct
in his allegations of atrocities.
What could not be looted by the
retreating Croats was burned, and of
the 171 Serb civilians reportedly
trapped in the pocket, the PPCLI
found only 16 badly mutilated bodies.
Discarded surgical gloves next to
bloodied soil left little doubt as to
the fate of the other missing Serbs.
Given the heavy fighting they had
endured and the carnage they had
uncovered, the men of 2PPCLI
expressed little remorse for having
inflicted heavy casualties upon the
Croatian forces -- officially listed
as 21 dead and dozens wounded.
With hundreds of our soldiers
enduring more than a week of artillery
fire and several close quarter firefights,
the Medak remains the largest
combat engagement experienced by Canadian
troops since the Korean War. In
contrast to the almost constant media
attention being directed towards the
activities of our troops currently on
operational duty in Afghanistan,
incredibly the first news reports of
the Medak battle were not publicized
in Canada until the Ottawa Citizen
broke the story in November 1996 --
38 months after it occurred.
Despite the exemplary performance of
2PPCLI and the relatively light
casualties they suffered during the
operation (four wounded and one
accidental death), the senior
bureaucrats at the Department of
National Defence deliberately chose
not tomake public the Medak incident.
Domestically, the senior brass was
already embroiled in the Somalia
scandal, and the Progressive
Conservative government was in the
midst of disastrous federal election.
No one wanted to put a spotlight on
the military, particularly when this
incident had the potential to embarrass
the U.S. over their pro-Croatian
foreign policy in the Balkans. U.S.
military advisers had assisted the
Croatians in planning the overall
Medak operation.
At the time, some Defence officials
argued internally that 2PPCLI had
"failed" to protect the Serbs in
Medak. However, the fact remains that
Calvin's troops demonstrated, for the
first time, that the UN was prepared
to use deadly force to back up its
stated mandate in Croatia. Official
recognition of this brave effort with
a decoration is a step in the right
direction. However, nine years later,
the perpetrators of the Medak
atrocities have still not been
indicted by The Hague War Crimes
Tribunal, despite the overwhelming
evidence supplied by the Canadian
soldiers who witnessed the horrors.
Only when this international court
alters its anti-Serbian bias and begins
applying an even hand of justice can
our Medak veterans' efforts be
considered truly validated.


Scott Taylor is editor and publisher
of Esprit de Corps, an Ottawa-based
monthly magazine, and co-author of the
book Tested Mettle.

UNA BELLA CROCE SOPRA A TUTTI I PROBLEMI

Alla vigilia delle elezioni politiche, mentre la tensione nella
Repubblica ex-Jugoslava di Macedonia sta crescendo esponenzialmente
grazie alla strategia terroristica appoggiata da settori della NATO
(per un quadro delle ultimissime violenze si veda ad esempio:
http://www.ansa.it/balcani/macedonia/macedonia.shtml), il governo
macedone - destra nazionalista e filo-occidentale - ha pensato bene di
sperperare una gran quantita' di denaro pubblico con la costruzione di
una megalitica croce metallica, che rimarra' probabilmente ai posteri
come enorme simbolo dell'idiozia bigotta e reazionaria che ha
contribuito e continua a promuovere lo squartamento della RFS di
Jugoslavia in tante "gabbie" etno-religiose. (I.S.)

MACEDONIA: INAUGURATA CROCE 76 METRI SU MONTE PRESSO SKOPJE

(ANSA-AFP) - SKOPJE, 29 AGO - Le autorita' civili e religiose macedoni
hanno inaugurato in serata una croce, alta 76 metri, sul monte Vodno
(1.800 m), che domina Skopje. Lo hanno reso noto i mezzi di
informazione macedoni. Illuminata da 550 riflettori, la croce, la piu'
grande dei Balcani, e' visibile a 80 km dalla capitale. Per la sua
costruzione, decisa per commemorare il Giubileo del 2000, sono state
impiegate 400 tonnellate di metallo e 60.000 bulloni. Alla cerimonia
di inaugurazione hanno partecipato il primo ministro macedone Ljubco
Georgievski e i membri del suo governo, il patriarca della Chiesa
ortodossa macedone Stefan e diverse migliaia di persone. ''Questa
croce e' la nostra preghiera per la vittoria e la salvezza della
Macedonia e per la protezione dei cittadini macedoni, che vivono tempi
difficili'', ha detto Georgievski. (ANSA-AFP). DIG
29/08/2002 02:27