Informazione
(Sui recenti sviluppi alla F.A.S. di Kragujevac si veda anche:
Condizioni di lavoro alla FIAT Auto Serbia
Sullo sfruttamento del lavoro degli operai serbi bombardati dalla NATO si veda la documentazione pregressa raccolta alla nostra pagina:
https://www.cnj.it/AMICIZIA/sindacale.htm )
https://www.cnj.it/AMICIZIA/sindacale.htm )
da "Repubblica online":
VIDEO: Serbia, turni 10 ore in Fiat: operai scontenti, azienda non cede
10 NOVEMBRE 2012 - Si infiamma la vertenza allo stabilimento di Kraguievac che produce la nuova 500L. Accordo sulla parte economica: i 2500 operai, con le retribuzioni più basse del gruppo, ottengono un aumento, tredicesima e incentivi. Ma dicono: "Ritmi insostenibili"
http://video.repubblica.it/dossier/lo-scontro-su-pomigliano/serbia-turni-10-ore-in-fiat-operai-scontenti-azienda-non-cede/110351/108735
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http://www.repubblica.it/economia/2012/11/10/news/fiat_aumenta_i_salari_in_serbia-46318569/?ref=HREC1-5
Serbia, Fiat cede sui salari, ma non sui turni
I sindacati: "Si lavora 12 ore al giorno, basta"
La vertenza allo stabilimento di Kraguievac che produce la 500L: ai 2500 operai +13% in busta, tredicesima e incentivi. L'ostacolo principale resta però l'organizzazione produttiva accettata per l'avvio della produzione. I sindacati: "Turni non più sostenibili"
BELGRADO - Fa un passo avanti la vertenza fra i sindacati serbi e la Fiat per i 2500 operai dello stabilimento di Kragujevac, dove si produce la nuova 500L. Nella notte, a quanto riferito dal leader sindacale Zoran Mihajlovic, è stato raggiunto l'accordo per un aumento salariale del 13%. L'intesa, ha precisato Mihajlovic, ha validità a partire da ottobre e prevede anche il pagamento di una 13/a mensilità e di un bonus una tantum in due rate per un ammontare complessivo di di circa 36 mila dinari (intorno a 320 euro).
La vertenza però rischia di infiammarsi sullo scoglio principale, quello sui turni di lavoro. Al momento dell'avvio della produzione, era stato concordato che la fase "sperimentale" sarebbe stata sottoposta a verifica sei mesi dopo: quella fase prevedeva l'introduzione di due turni lavorativi di 10 ore al giorno per quattro giorni settimanali, anziché le 8 ore quotidiane su 5 giorni.
Tale sistema di produzione, a un mese dalla scadenza dei sei mesi, è considerato "insostenibile" dai lavoratori perché le 10 ore quotidiane sono molto spesso diventate 12 a causa degli straordinari richiesti dal processo produttivo, mentre per le stesse ragioni - legate a esigenze di mercato - gli operai sono stati chiamati in fabbrica anche per il quinto giorno, seppure con orari ridotti. Quanto basta per far dire ai sindacati che una simile organizzazione del lavoro non è più accettabile e che bisogna tornare alle 8 ore su 5 giorni.
La prima risposta dell'azienda, per ora, è stata negativa. Secondo fonti aziendali citate dai media servi, il mercato sta infatti apprezzando la nuova 500 L - si parla di 10mila ordini da Francia, Italia, Germania ed altri paesi - e Fiat ha l'esigenza di tenere alti i ritmi produttivi, tanto che per Kragujevac avrebbe in programma l'assunzione di altri 150 addetti, destinati principalmente al montaggio. E l'attuale sistema è considerato dal Lingotto la "chiave per la produttività".
Sui turni "sperimentali", dunque, rischiano di rovinarsi le relazioni aziendali e il sindacato ha già preannunciato che in caso di rottura potrebbero esserci iniziative di protesta. I vertici di Fas (Fiat automobile Srbija), joint venture tra il Lingotto (67%) e il governo serbo (33%), anche per questo hanno aperto senza grandi remore alle richieste di aumento salariale. Del resto, le retribuzioni per gli operai di Kraguievac sono tra le più basse del gruppo: le buste paga erogate finora oscillavano tra i 32 mila e i 34 mila dinari (285-300 euro) al mese, inferiori - per il sindacato - di cinque volte rispetto a quelle dei colleghi italiani e di tre volte a confronto con quelle degli operai Fiat in Polonia.
(10 novembre 2012)
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da "il manifesto":
«Turni di lavoro insostenibili», gli operai serbi contro Marchionne.10 ore per 4 giorni, che diventano spesso 12. L'azienda insiste, ma intanto cede su aumenti salariali del 13% (appena 300 euro al mese, la paga base).
Il lavoro resta al centro del mondo Fiat. Questa volta lo scontro non riguarda gli stabilimenti italiani ma è scoppiato in quello nuovo in Serbia, a Kragujevac, una joint venture tra il gruppo italiano e il governo di Belgrado dove viene prodotta la nuova 500L, una piccola monovolume destinata a essere esportata anche in Nordamerica.
Secondo quanto riportato dai media del paese, i sindacati serbi stanno protestando da giorni per due motivi: perché gli operai - circa 1.700 su 2.000 dipendenti - sono pagati poco, circa 300 euro al mese, e soprattutto perché subiscono condizioni di lavoro massacranti. «Turni insostenibili» accusano, ma l'azienda per ora ha risposto picche, perché questa è quella che considera la «chiave della produttività».
In discussione è l'orario di lavoro della cosiddetta fase «sperimentale» di sei mesi. Ne manca ancora uno prima di andare alla verifica prevista: secondo l'accordo, gli operai di Kragujevac devono lavorare su due turni di 10 ore al giorno per quattro giorni settimanali, anziché per 8 ore quotidiane su 5 giorni. Turni diventati sempre più «insostenibili» perché le 10 ore - lamentano i lavoratori - sono molto spesso diventate 12 a causa degli straordinari richiesti dal processo produttivo, mentre per le stesse ragioni - legate a esigenze di mercato - gli operai sono stati chiamati in fabbrica anche per il quinto giorno, seppure con orari ridotti.
Insomma, un inferno. Ed è chiaro perché la Fiat abbia accettato quasi subito di mettere mano al portafoglio, concedendo aumenti salariali per stipendi comunque molto bassi. Secondo quanto riferito dal leader sindacale Zoran Mihajlovic, l'accordo raggiunto prevede un aumento salariale del 13%. Con validità a partire da ottobre, più il pagamento di una tredicesima mensilità e di un bonus una tantum in due rate per un ammontare complessivo di circa 36 mila dinari (intorno a 320 euro). Tuto questo su buste paghe tra i 32 mila e i 34 mila dinari (285-300 euro) al mese, inferiori - la stima è del sindacato - di cinque volte rispetto a quelle dei colleghi italiani e di tre volte a confronto con quelle degli operai Fiat in Polonia. Ma la differenza capestro è che, fuori dalla fabbrica serba, di lavoro ce ne è ancora meno che in Italia e in Polonia.
Fin qui il conflitto sul lavoro, che potrebbe farsi più aspro. Ma la joint venture serba ha già dato problemi all'amministratore delegato di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne. Dopo voci di ritardi nell'avvio del processo produttivo a causa di problemi legati alla qualità, nel settembre scorso il governo di Belgrado - che guida un paese assai malmesso - ha fatto sapere di non essere in grado di pagare subito i 90 milioni promessi nell'accordo. Marchionne ha dovuto accettare un compromesso, 50 milioni adesso e il resto nel 2013. Ma certo è più difficile tirare dritto sul conflitto sul lavoro: se la fabbrica si fermasse, la 500L non arriverebbe nelle concessionarie secondo i piani produttivi. Legati, per altro, a un andamento piuttosto negativo dei mercati europei e italiano.
Lunedì, invece, nel lontano Delaware, Marchionne affronterà in tribunale il fondo Veba del sindacato dei metalmeccanici americani. Perché Uaw ha rimesso in discussione la cifra che Marchionne deve pagare per acquisire un altro 3,3% della Chrysler ancora in mano operaia.
da "La Stampa":
La direzione di Fiat Serbia e il sindacato hanno raggiunto un accordo per un aumento salariale del 13% a favore dei 2.500 operai impiegati nello stabilimento di Kragujevac, dove si produce la nuova 500L.
Livelli salariali e orario di lavoro sono i due punti sui quali i 2.500 lavoratori hanno espresso insoddisfazione alla dirigenza del gruppo. Sulle paghe - che oscillano fra i 32 mila e i 34 mila dinari (pari a 280-300 euro al mese), un livello che per il sindacato serbo è di cinque volte inferiore a quello degli operai Fiat in Italia, e di tre volte più basso rispetto ai loro colleghi polacchi - è stato rapidamente raggiunta un’intesa per un aumento del 13%.
L’accordo, valido a partire da ottobre, prevede anche il pagamento di una 13/ma mensilità e di un bonus una tantum in due rate per complessivi 36 mila dinari (circa 320 euro). Nessun accordo ancora, invece, sull’orario di lavoro introdotto nei mesi scorsi e che prevede quattro giorni di attività con turni di dieci ore, che spesso diventano 12 e più con straordinari al venerdì. La direzione lo scorso luglio aveva motivato tale orario di lavoro con la necessità di garantire una maggiore produttività e una migliore flessibilità nell’organizzazione del lavoro, oltre a garantire il massimo utilizzo e fruttamento dei nuovi maccinati installati. Ma il presidente del sindacato Zoran Mihajlovic ha detto che i lavoratori sono del tutto insoddisfatti di tale sistema di orario e turnazione, definito “insopportabile”, e chiedono di tornare al regine di cinque giorni di lavoro con turni di otto ore. Su questo punto la trattativa con la direzione prosegue.
Secondo quanto riportato dai media del paese, i sindacati serbi stanno protestando da giorni per due motivi: perché gli operai - circa 1.700 su 2.000 dipendenti - sono pagati poco, circa 300 euro al mese, e soprattutto perché subiscono condizioni di lavoro massacranti. «Turni insostenibili» accusano, ma l'azienda per ora ha risposto picche, perché questa è quella che considera la «chiave della produttività».
In discussione è l'orario di lavoro della cosiddetta fase «sperimentale» di sei mesi. Ne manca ancora uno prima di andare alla verifica prevista: secondo l'accordo, gli operai di Kragujevac devono lavorare su due turni di 10 ore al giorno per quattro giorni settimanali, anziché per 8 ore quotidiane su 5 giorni. Turni diventati sempre più «insostenibili» perché le 10 ore - lamentano i lavoratori - sono molto spesso diventate 12 a causa degli straordinari richiesti dal processo produttivo, mentre per le stesse ragioni - legate a esigenze di mercato - gli operai sono stati chiamati in fabbrica anche per il quinto giorno, seppure con orari ridotti.
Insomma, un inferno. Ed è chiaro perché la Fiat abbia accettato quasi subito di mettere mano al portafoglio, concedendo aumenti salariali per stipendi comunque molto bassi. Secondo quanto riferito dal leader sindacale Zoran Mihajlovic, l'accordo raggiunto prevede un aumento salariale del 13%. Con validità a partire da ottobre, più il pagamento di una tredicesima mensilità e di un bonus una tantum in due rate per un ammontare complessivo di circa 36 mila dinari (intorno a 320 euro). Tuto questo su buste paghe tra i 32 mila e i 34 mila dinari (285-300 euro) al mese, inferiori - la stima è del sindacato - di cinque volte rispetto a quelle dei colleghi italiani e di tre volte a confronto con quelle degli operai Fiat in Polonia. Ma la differenza capestro è che, fuori dalla fabbrica serba, di lavoro ce ne è ancora meno che in Italia e in Polonia.
Fin qui il conflitto sul lavoro, che potrebbe farsi più aspro. Ma la joint venture serba ha già dato problemi all'amministratore delegato di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne. Dopo voci di ritardi nell'avvio del processo produttivo a causa di problemi legati alla qualità, nel settembre scorso il governo di Belgrado - che guida un paese assai malmesso - ha fatto sapere di non essere in grado di pagare subito i 90 milioni promessi nell'accordo. Marchionne ha dovuto accettare un compromesso, 50 milioni adesso e il resto nel 2013. Ma certo è più difficile tirare dritto sul conflitto sul lavoro: se la fabbrica si fermasse, la 500L non arriverebbe nelle concessionarie secondo i piani produttivi. Legati, per altro, a un andamento piuttosto negativo dei mercati europei e italiano.
Lunedì, invece, nel lontano Delaware, Marchionne affronterà in tribunale il fondo Veba del sindacato dei metalmeccanici americani. Perché Uaw ha rimesso in discussione la cifra che Marchionne deve pagare per acquisire un altro 3,3% della Chrysler ancora in mano operaia.
da "La Stampa":
La direzione di Fiat Serbia e il sindacato hanno raggiunto un accordo per un aumento salariale del 13% a favore dei 2.500 operai impiegati nello stabilimento di Kragujevac, dove si produce la nuova 500L.
Livelli salariali e orario di lavoro sono i due punti sui quali i 2.500 lavoratori hanno espresso insoddisfazione alla dirigenza del gruppo. Sulle paghe - che oscillano fra i 32 mila e i 34 mila dinari (pari a 280-300 euro al mese), un livello che per il sindacato serbo è di cinque volte inferiore a quello degli operai Fiat in Italia, e di tre volte più basso rispetto ai loro colleghi polacchi - è stato rapidamente raggiunta un’intesa per un aumento del 13%.
L’accordo, valido a partire da ottobre, prevede anche il pagamento di una 13/ma mensilità e di un bonus una tantum in due rate per complessivi 36 mila dinari (circa 320 euro). Nessun accordo ancora, invece, sull’orario di lavoro introdotto nei mesi scorsi e che prevede quattro giorni di attività con turni di dieci ore, che spesso diventano 12 e più con straordinari al venerdì. La direzione lo scorso luglio aveva motivato tale orario di lavoro con la necessità di garantire una maggiore produttività e una migliore flessibilità nell’organizzazione del lavoro, oltre a garantire il massimo utilizzo e fruttamento dei nuovi maccinati installati. Ma il presidente del sindacato Zoran Mihajlovic ha detto che i lavoratori sono del tutto insoddisfatti di tale sistema di orario e turnazione, definito “insopportabile”, e chiedono di tornare al regine di cinque giorni di lavoro con turni di otto ore. Su questo punto la trattativa con la direzione prosegue.
(fonte: Contropiano online, 11/11/2012
(in english:
An Interview With Jean Bricmont - On Humanitarian Interventionism, Iran, Israel and the Non-Aligned Nations
by Kourosh Ziabari on Counterpunch weekend edition aug 31-sep 02, 2012
en francais:
Interview de Jean Bricmont sur les interventions humanitaires, l’Iran, Israël et les pays non-alignés
Jean Bricmont: gli interventi umanitari, l’Iran, Israele e i paesi non allineati
10 Novembre 2012
Intervista a cura di Kourosh Ziabari | Traduzione dal francese di Massimo Marcori per Marx21.it
Questa intervista è stata prima pubblicata in inglese in Counterpunch ed è stata ripresa in Investig’Action
Questa intervista è stata prima pubblicata in inglese in Counterpunch ed è stata ripresa in Investig’Action
Pubblichiamo l'intervista a Jean Bricmont, figura di rilievo del movimento per la pace mondiale e autore di numerose pubblicazioni tradotte in diverse lingue, come contributo alla discussione sulle prospettive e i compiti del movimento antimperialista e per la pace, pur non condividendone alcuni giudizi in merito alla possibile coincidenza, sul piano della lotta contro le guerre di aggressione, tra sinistra antimperialista e destra, un terreno che consideriamo insidioso e assolutamente non percorribile, suscettibile di generare solo ambigui e pericolosi connubi. Come pure in larga parte non condividiamo il giudizio sulle cause strutturali che generano l'aggressività di alcune grandi potenze, in questa fase della storia. In ogni caso, il nostro dissenso su questi pur non irrilevanti elementi dell'analisi di Bricmont non ci autorizza a censurare il suo contributo e non inficia il valore di altri aspetti delle sue riflessioni, che toccano un nervo scoperto della sinistra occidentale (anche di quella “anti-liberista”), che è oggi, salvo alcune lodevoli eccezioni, complessivamente silente (e anche attraversata da ambiguità sconcertanti nell'individuazione delle responsabilità) di fronte alle permanenti minacce di guerra che sconvolgono il nostro pianeta.
(la redazione)
“Il fatto che un’idea, che è sostanzialmente laica e liberale, quella dei diritti dell’uomo, sia stata trasformata in uno dei principali mezzi per rinfocolare l’isteria di guerra in Occidente è una crudele ironia. Ma è la realtà del nostro tempo, ed è urgente ed importante cambiarla.”
Nel vostro articolo, “The case for a Non-Interventionist Foreign Policy”[http://www.counterpunch.org/2012/02/20/the-case-for-a-non-inteventionist-foreign-policy/], parlate delle giustificazioni che le potenze imperiali utilizzano per razionalizzare le loro spedizioni militari nel mondo. Una politica estera bellicista costituisce un vantaggio per i politici occidentali, in particolare negli Stati Uniti, per attrarre i voti e il sostegno popolare? Gli americani possono eleggere un presidente pacifista che si impegna apertamente a terminare le guerre statunitensi e ad astenersi dall'iniziarne di nuove?
Non sono così sicuro che questo attragga voti. Sicuramente non in Europa. I politici più bellicisti, Blair e Sarkozy, sono stati popolari nel lungo termine, a causa delle loro politiche estere. In Germania, la popolazione è sistematicamente a favore di una politica estera di pace. Come rilevava il pacifista americano A. J. Muste, il problema in ogni guerra si trova tra i vincitori – essi pensano che la violenza paghi. I vinti, come la Germania, e per certi versi il resto d’Europa, sanno che la guerra non è tutta rose.Tuttavia, penso che, ad eccezione dei tempi di crisi, come in occasione delle guerre del Vietnam e d’Algeria, quando queste hanno preso una brutta piega per gli Stati Uniti e la Francia, la maggioranza delle persone non sono veramente interessate dalla politica estera, cosa che è comprensibile, stanti i loro problemi quotidiani, e perché questa sembra essere fuori della portata della maggioranza dei cittadini.
Invece, ogni candidato all’elezione presidenziale degli Stati Uniti deve fare dichiarazioni patriottiche, “siamo i migliori”, “un faro in cima alla collina”, un “difensore dei diritti dell’uomo”, ecc. Evidentemente, questo è vero per tutti i sistemi di potere, la sola cosa che varia sono i “valori” ai quali ci si riferisce (essere un buon cristiano, un buon musulmano o anche un difensore del socialismo, ecc.).
Ed è vero che, per attrarre consensi, occorre avere il sostegno della stampa e delle potenze finanziarie. Ciò permette un’enorme scappatoia in favore del militarismo e del sostegno ad Israele.
Le potenze imperiali, come avete indicato nei vostri scritti, conducono guerre, uccidono innocenti, saccheggiano le risorse naturali dei paesi più deboli sotto il pretesto di portare la democrazia. Chi deve dunque incaricarsi dei principi del diritto internazionale, dell’integrità territoriale e della sovranità? Attaccare altri paesi in tutti i sensi e uccidere indiscriminatamente civili indifesi sono fatti di flagrante illegalità. E’ possibile riportare queste potenze alla ragione e renderle responsabili di ciò che fanno?
Penso che l’evoluzione del mondo stia andando nella direzione del rispetto per i principi del diritto internazionale, dell’integrità territoriale e della sovranità. Come ho detto, i popoli europei sono piuttosto pacifici sia all’interno dell’Europa sia nei confronti del resto del mondo, almeno rispetto al passato. Alcuni loro dirigenti non sono pacifici e vi è una forte pressione a favore della guerra da parte della strana alleanza tra gli interventisti dei diritti umani e i neoconservatori, che sono molto influenti nei media e negli ambienti intellettuali, ma queste non sono le uniche voci autorizzate ed esse sono piuttosto impopolari tra la popolazione..
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, essi attraversano una profonda crisi, non soltanto economica, ma anche diplomatica. Hanno perso da molto tempo il controllo dell’Asia, e stanno perdendo quello dell’America Latina e, attualmente, anche del Medio Oriente. L’Africa si volge sempre più verso la Cina.
Dunque il mondo sta diventando multipolare, che si voglia o no. Là intravedo perlomeno due pericoli: che il declino degli Stati Uniti non produca reazioni “folli”, che conducono ad una guerra globale, o anche che il crollo dell’impero americano non crei un caos generalizzato, un po’ come è avvenuto in occasione del crollo dell’impero romano. E’ responsabilità del movimento dei paesi non allineati e dei BRICS assicurare una transizione ordinata verso un autentico nuovo ordine mondiale.
Ciò che pare ipocrita nell’atteggiamento delle potenze occidentali nei confronti del concetto dei diritti dell’uomo è che queste condannano incessantemente le violazioni dei diritti dell’uomo nei paesi con i quali sono in conflitto, ma rimangono intenzionalmente silenti al riguardo delle violazioni nei paesi loro alleati. Ad esempio, sapete sicuramente come si maltrattano e torturano i prigionieri politici in Arabia Saudita, l’alleato principale di Washington tra i paesi arabi. Perché non si protesta e non si condannano queste violazioni?
Conoscete un qualunque potere che non sia ipocrita? Mi pare che il potere funzioni così dappertutto e in ogni epoca. Ad esempio, nel 1815, alla caduta di Napoleone, lo zar di Russia, l’imperatore d’Austria e il re di Prussia si sono uniti in quella che è stata denominata la Santa Alleanza. Essi pretendevano di basare la loro linea di condotta sulle “sublimi verità contenute nella religione eterna del Cristo salvatore”, come sui principi “della loro santa religione, precetti di giustizia, carità e pace” e hanno giurato di comportarsi nei confronti dei loro soggetti “come un padre verso i suoi figli”.
Durante la guerra dei Boeri, il primo ministro inglese, Lord Salisbury, dichiarò che era “una guerra per la democrazia” e che “noi non miriamo né alle miniere né al territorio”. Bertrand Russel, che cita queste note, aggiunge che “cinici stranieri” non hanno potuto evitare di far notare “che abbiamo nondimeno ottenuto sia le miniere sia il territorio”.
Nel momento cruciale della guerra del Vietnam, lo storico americano Arthur Schlesinger descriveva la politica degli Stati Uniti come facente parte del “nostro programma globale di buona volontà internazionale”. Al termine di questa guerra, un giornalista liberale scriveva sul New York Times che: “Durante un quarto di secolo, gli Stati Uniti hanno provato a fare il bene, ad incoraggiare la libertà politica e a promuovere la giustizia sociale nel Terzo Mondo”.
In questo senso le cose non sono cambiate. Le persone a volte pensano che, poiché il nostro sistema è più democratico, le cose debbano cambiare. Ma ciò suppone che le popolazioni siano ben informate, cosa non vera per le numerose falsità contenute nei media, e suppone anche che queste partecipino attivamente alla formazione della politica estera, cosa che non è altrettanto vera, salvo che in tempo di crisi. La formazione della politica estera rimane affare elitario e poco democratico.
L’attacco o l’invasione di altri paesi con il pretesto di un intervento umanitario può essere legalizzato e ammesso con l’unanimità dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Se questi votano tutti a favore di un attacco militare, questo si produrrà. Ma non pensate che il fatto stesso che solo 5 paesi possano prendere decisioni su 193 membri delle Nazioni Unite, e che questa maggioranza considerevole non possa dire nulla sul corso degli avvenimenti internazionali, sia un insulto a tutte queste nazioni e al loro diritto all’autodeterminazione?
Certamente. Ma adesso che la Cina e la Russia sembrano avere posizioni indipendenti nei confronti dell’Occidente, non è così chiaro che nuove guerre saranno legali. L’attuale situazione in seno al Consiglio di Sicurezza non è soddisfacente, penso però che, nel complesso, le Nazioni Unite siano una buona cosa; queste forniscono principi che si oppongono all’ingerenza e un quadro per l’ordine internazionale, la loro esistenza offre la possibilità a diversi paesi di incontrarsi e discutere, ciò è meglio di niente.
Sicuramente, riformare le Nazioni Unite sarà questione complicata, perché questo non si può fare senza il consenso dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, e vi sono poche possibilità che questi siano entusiasti di fronte alla prospettiva di perdere parte del loro potere.
Quello che conterà in fin dei conti sarà l’evoluzione dei rapporti di forza, e questa non avviene in favore di coloro che attualmente pensano di controllare il mondo.
Parliamo di alcune questioni d’attualità. Nei vostri articoli, avete parlato della guerra in Congo. E’ stato uno choc per me apprendere che la seconda guerra del Congo è stata la più micidiale nella storia dell’Africa con 5 milioni di morti innocenti, ma i media dominati dagli Stati Uniti hanno nascosto questo, perché uno dei belligeranti, l’esercito ruandese, era uno stretto alleato di Washington. Qual è la vostra posizione al riguardo?
Non sono un esperto di questa regione del mondo. Ma la tragedia ruandese del 1994 è spesso utilizzata come argomento a favore di interventi stranieri che, si dice, avrebbero potuto fermare la carneficina, mentre la tragedia del Congo dovrebbe essere considerata come un argomento contro l’intervento straniero e per il rispetto del diritto internazionale, poiché essa è in larga misura dovuta all’intervento del Ruanda e dell’Uganda in Congo.Il fatto che quest’ultimo argomento non sia mai invocato dimostra una volta di più a che punto il discorso sull’intervento umanitario sia falsato a favore dei poteri in campo, che vogliono attribuirsi il diritto di intervenire quando gli fa comodo.
Qualche giorno fa, il segretario generale dell’ONU, Ban Ki Moon, condannava i dirigenti iraniani per i loro propositi incendiari e astiosi nei confronti di Israele. Tuttavia, non ricordo che egli abbia condannato gli ufficiali israeliani per le loro ripetute minacce di guerra contro l’Iran. Qual è la ragione di tale ipocrisia?
Come sapete, l’ipocrisia in Occidente nei confronti di Israele raggiunge livelli inauditi e Ban Ki Moon, benché sia il segretario generale dell’ONU è su posizioni molto “filo-occidentali”. Benché dubiti della saggezza della retorica iraniana su Israele, penso però che le minacce di azioni militari di Israele contro l’Iran siano di gran lunga più serie e dovrebbero essere considerate illegali dal punto di vista del diritto internazionale. Penso anche che le sanzioni unilaterali contro l’Iran, prese dagli Stati Uniti e dai loro alleati, per compiacere Israele siano vergognose. E, sebbene le persone che si dicono antirazziste in Occidente non denuncino mai queste politiche, ritengo invece che esse siano profondamente razziste, perché sono accettate unicamente per il fatto che dei paesi sedicenti civilizzati, Israele e i suoi alleati, esercitano questa minaccia e queste sanzioni contro un paese “non civilizzato”, l’Iran. Nel futuro, ci si ricorderà di questo nello stesso modo in cui si ricorda oggi la schiavitù.
Ci sono persone come voi che si oppongono al militarismo degli Stati Uniti, alla sua menzogna e ipocrisia in merito ai diritti dell’uomo e al loro tentativo di divorare il Medio Oriente ricco di petrolio, ma devo dire che voi siete una minoranza. E’ il Congresso dominato da Israele e i “think tanks” bellicisti come il Council on Foreign Relations e il National Endowment for Democracy che dirigono gli Stati Uniti, e non i pensatori contro la guerra, progressisti, a favore della pace, come voi. Qual è il livello d’influenza che hanno i pensatori progressisti e i media di sinistra sulle politiche decise negli Stati Uniti?
Penso che si debba fare una distinzione tra il sostegno ad Israele e il desiderio di “divorare” il petrolio. Le due politiche non sono le stesse e infatti sono contraddittorie. Come hanno mostrato, ritengo, Mearsheimer e Walt, le politiche filo-israeliane degli Stati Uniti sono in larga misura dovute alla lobby filo-israeliana ed esse non aiutano né la loro economia né i loro interessi geostrategici. Ad esempio, per quanto ne so, nulla impedirebbe alle nostre compagnie petrolifere di trivellare in Iran, se non ci fossero sanzioni imposte a questo paese; ma queste sanzioni sono legate all’ostilità di Israele nei confronti dell’Iran, non al desiderio di controllare il petrolio.
La seconda osservazione è che le persone che sono contro la guerra non sono necessariamente di sinistra. E’ vero che gran parte della destra è divenuta neoconservatrice, ma c’è anche una gran parte della sinistra che è influenzata dall’ideologia dell’intervento umanitario.
Negli Stati Uniti, esiste una destra libertaria, Ron Paul ad esempio, che è risolutamente contro la guerra, e vi sono anche alcune tracce di una sinistra pacifista o antimperialista.
Notate che ciò si è sempre ripetuto (anche in epoca coloniale): la divisione tra filo e anti-imperialisti non coincide con la divisione sinistra-destra, se questa è compresa in termini socio-economici o in termini “morali” (ad esempio sul matrimonio omosessuale).
E’ vero che abbiamo troppa poca influenza, e questo è dovuto in parte al fatto che siamo divisi tra una sinistra pacifista e una destra pacifista. Ritengo che la maggioranza della popolazione si opponga a queste interminabili e costosissime guerre, soprattutto in Europa, a causa delle lezioni della seconda guerra mondiale, o a causa delle disfatte nelle guerre coloniali e, negli Stati Uniti,, a causa di una certa stanchezza nei confronti della guerra, dopo l’Afghanistan e l’Iraq.
Quello che ci occorre è un forte movimento pacifista; affinché questo si formi, bisognerebbe concentrarsi sulla guerra stessa e unire le diverse opposizioni (di sinistra e di destra). Ma se i movimenti si possono costruire attorno a questioni come l’aborto o il matrimonio omosessuale, che mettono ai margini problemi socio-economici e le questioni di classe, perché no?
Benché un tale movimento ancora non esista, le sue prospettive non sono totalmente disperate: se la crisi economica peggiora, e se l’opposizione mondiale alle politiche degli Stati Uniti cresce in ampiezza, i cittadini di diverso colore politico potrebbero unirsi per tentare di costruire alternative al militarismo.
Qual è il vostro punto di vista per quanto riguarda la guerra di sanzioni, embargo, assassini di scienziati e operazioni psicologiche che conducono gli Stati Uniti e il loro alleati nei confronti dell’Iran? L’Iran subisce praticamente un attacco multilaterale degli Stati Uniti, di Israele, e dei loro servili accoliti europei. Esiste un qualunque modo per l’Iran per uscire da tale situazione e per resistere alla pressione? Avete mai sentito parlare della sua cultura e civiltà, di cui i media dominanti non parlano mai?
Non conosco bene l’Iran, ma non penso di aver bisogno di saperne di più su questo paese, anche se sicuramente mi piacerebbe farlo, per oppormi alle politiche che avete menzionato. Ero anche contrario all’intervento occidentale nell’ex Yugoslavia e in Libia.
Alcuni pensano che vi sono interventi buoni e altri cattivi. Ma la questione principale rimane: chi interviene? In realtà in occidente non sono mai i “cittadini” o la “società civile”, o anche soltanto i paesi europei, senza l’appoggio degli Stati Uniti, che intervengono. E’ sempre l’esercito americano, in particolare le sue forze aeree.
Ora, si può certamente difendere l’idea che occorre ignorare il diritto internazionale e che la difesa dei diritti dell’uomo debba toccare alla Air Force americana. Ma molte persone che sostengono i “buoni” interventi non dicono questo. In genere, dicono che “noi” dobbiamo fare qualcosa per “salvare le vittime” in questa o quella particolare situazione. Ciò che coloro che difendono questo punto di vista dimenticano, è che il “noi” che si suppone intervenire, non fa riferimento a quelli che sostengono questo discorso, ma soltanto all’esercito americano.
Di conseguenza, il sostegno a qualunque intervento non fa che rafforzare l’arbitrio del potere americano che certamente lo esercita come meglio ritiene e non, in generale, secondo gli auspici di quelli che sostengono i “buoni” interventi.
Per concludere, potete darci un’idea di come i grandi media servano gli interessi delle potenze imperiali? Come funzionano? E’ moralmente giustificabile utilizzare la propaganda dei media per raggiungere obiettivi politici e coloniali?
Il legame tra i “grandi media” e la propaganda di guerra è complesso, come lo è il rapporto tra il capitalismo e la guerra. La maggior parte delle persone di sinistra pensa che il capitalismo abbia bisogno della guerra o la guidi. Ma la verità, a mio avviso, è molto più articolata. I capitalisti americani fanno fortuna in Cina e in Vietnam adesso che c’è la pace tra gli Stati Uniti e l’est asiatico (per i lavoratori americani, evidentemente, è un’altra storia).
Non c’è alcun motivo per cui le compagnie petrolifere o di altre società capitalistiche occidentali non abbiano rapporti commerciali con l’Iran (almeno, dal punto di vista di queste compagnie) e, se ci fosse una pace stabile in questa regione, i capitalisti si precipiterebbero su di essa come avvoltoi per sfruttarvi una mano d’opera a buon mercato e relativamente qualificata.
Questo non vuol dire che i capitalisti siano gentili, né che essi non possano essere individualmente a favore della guerra, ma che la guerra non è, generalmente, nel loro interesse, e che essi non costituiscono necessariamente la forza principale che preme per la guerra.
I popoli sono indotti a fare la guerra tra loro da conflitti ideologici e religiosi, soprattutto quando queste ideologie assumono forme fanatiche – ad esempio, quando si crede che un certo appezzamento di terra è stato offerto da Dio, o che il vostro paese è investito da una missione speciale, come esportare i diritti dell’uomo e la democrazia (secondo la volontà divina, per Mitt Romney), preferibilmente con missili da crociera e droni.
Il fatto che un’idea fondamentalmente laica e liberale come quella dei diritti dell’uomo, sia stata trasformata in uno dei principali mezzi per attizzare l’isteria bellica in occidente è una crudele ironia. Ma è la realtà del nostro tempo ed è urgente ed importante cambiarla.
Kourosh Ziabari è un giornalista iraniano, corrispondente stampa e militante per la pace. E’ membro della World Student Community for Sustainable Development. Può essere contattato all’indirizzo kziabari@...
Jean Bricmont è professore di fisica teorica all'Università di Louvain (Belgio) e figura rappresentativa del movimento europeo per la pace
1. Bertrand Russel, Freedom and Organization, 1814-1914, Londra, Routledge, 2001.
2. The New York Times, 6 febbraio 1966.
3. William V. Shannon, The New York Times, 28 settembre 1974. Citato da noam Chomsky su “Human Rights” and Foreign American Policy, Nottingham, Spokesman Books, 1978, p. 2-3. Disponibile su: book-case.kroupnov.ru/
4. Si veda il loro libro Le lobby pro-israélien et la politique étrangère américaine, Editions La Dècouverte, 2009.
(english / deutsch)
--- english ---
The Logic of War
2012/11/01
Drip-Fed by the EU
The Mafia in Power
Mismanagement
Organized Crime
Unsovereign Judicial System
Future Forces
--- deutsch ---
Die Logik des Krieges
01.11.2012
Am Tropf der EU
Die Mafia an der Macht
Fehlmanagement
Organisierte Kriminalität
Abhängige Justiz
Kräfte der Zukunft
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(Segnalato da R. Pilato e G. Vlaic, che ringraziamo.
Sullo sfruttamento del lavoro degli operai serbi bombardati dalla NATO si veda la documentazione pregressa raccolta alla nostra pagina:
Ritmi accelerati Fiat bocciati in Serbia
Prima minaccia di sciopero nella storia dell'azienda a Kragujevac, rientrata dopo un aumento degli straordinari: per gli operai i ritmi di lavoro sono troppo duri.
giovedì 8 novembre 2012 16:45
italintermedia.globalist.it
italintermedia.globalist.it
Lo stabilimento Fiat di Kragujevac sta attraversando i primi scontri sindacali della sua giovane storia: nella fabbrica in cui si stanno sperimentando i nuovi turni di lavoro, gli operai delle installazioni lamentano condizioni troppo rigidi ed un aumento dei ritmi non più sostenibile. Dopo una minaccia di sciopero, l'azienda ha deciso di accettare le richieste degli operai e pagherà gli straordinari in misura più consistente, ma la pace sindacale che regnava fin dalla nascita dell'azienda italo-serba si è infranta.
Con l'inizio della produzione della "500 L", la Fiat Automobili Srbija ha inaugurato nuovi turni di lavoro che dovrebbero poi entrare in vigore nell'intero gruppo: dieci ore con pause ridotte per quattro giorni a settimana, e poi tre giorni a casa. "Lunedì scorso ho parlato con gli operai durante una pausa di 20 minuti - dice a "Blic" Zoran Mihajlovic, storico presidente dei sindacati indipendenti di Kragujevac - e loro dicono che per dieci ore di lavoro al giorno sono troppe anche perché la linea di produzione ha cominciato a muoversi più velocemente e la richiesta di produttività è aumentata.
A questi ritmi, dicono, non ce la si fa. Loro vorrebbero tornare a turni di otto ore per cinque giorni alla settimana. E poi i loro salari restano di circa 33mila dinari (meno di 300 euro, n.d.t.) e lavorando di notte ricevono solo 300 dinari, ovvero tre euro, in più". Nello stabilimento il primo turno entra in funzione dalle 6 del mattino alle 18, ed il secondo dalle 22 alle 6. A far esplodere il malcontento pare sia stata la decisione di imporre quattro ore di straordinario in più, ma di fronte alla prima minaccia di sciopero della sua storia l'azienda ha deciso di trattare e per il momento la minaccia è rientrata con l'accordo di aumentare del 25 per cento la paga per le ore di lavoro in più.
La Fas dice che a rendere necessaria l'aumento del lavoro sono state le forti richieste della "500 L" da parte dei mercati europei, ma per conto dei sindacati, Mihajlovic ribadisce che l'obiettivo resta quello di tornare entro febbraio prossimo ai turni ed alle giornate lavorative di prima. La Fas di Kragujevac in base agli accordi iniziali con il governo serbo doveva assumere 2.400 dipendenti, al momento ne conta cento in più ed entro la fine dell'anno dovrà assumerne altri 150, ma la sperimentazione dei nuovi ritmi "accellerati" e la riduzione delle pause, che inizialmente era stata fatta passare con una più generosa assegnazione di straordinari, sembra destinata a creare problemi anche se nello stabilimento l'azienda ha sostituito gli operai più anziani con personale giovane, che finora si riteneva maggiormente motivato.
Con l'inizio della produzione della "500 L", la Fiat Automobili Srbija ha inaugurato nuovi turni di lavoro che dovrebbero poi entrare in vigore nell'intero gruppo: dieci ore con pause ridotte per quattro giorni a settimana, e poi tre giorni a casa. "Lunedì scorso ho parlato con gli operai durante una pausa di 20 minuti - dice a "Blic" Zoran Mihajlovic, storico presidente dei sindacati indipendenti di Kragujevac - e loro dicono che per dieci ore di lavoro al giorno sono troppe anche perché la linea di produzione ha cominciato a muoversi più velocemente e la richiesta di produttività è aumentata.
A questi ritmi, dicono, non ce la si fa. Loro vorrebbero tornare a turni di otto ore per cinque giorni alla settimana. E poi i loro salari restano di circa 33mila dinari (meno di 300 euro, n.d.t.) e lavorando di notte ricevono solo 300 dinari, ovvero tre euro, in più". Nello stabilimento il primo turno entra in funzione dalle 6 del mattino alle 18, ed il secondo dalle 22 alle 6. A far esplodere il malcontento pare sia stata la decisione di imporre quattro ore di straordinario in più, ma di fronte alla prima minaccia di sciopero della sua storia l'azienda ha deciso di trattare e per il momento la minaccia è rientrata con l'accordo di aumentare del 25 per cento la paga per le ore di lavoro in più.
La Fas dice che a rendere necessaria l'aumento del lavoro sono state le forti richieste della "500 L" da parte dei mercati europei, ma per conto dei sindacati, Mihajlovic ribadisce che l'obiettivo resta quello di tornare entro febbraio prossimo ai turni ed alle giornate lavorative di prima. La Fas di Kragujevac in base agli accordi iniziali con il governo serbo doveva assumere 2.400 dipendenti, al momento ne conta cento in più ed entro la fine dell'anno dovrà assumerne altri 150, ma la sperimentazione dei nuovi ritmi "accellerati" e la riduzione delle pause, che inizialmente era stata fatta passare con una più generosa assegnazione di straordinari, sembra destinata a creare problemi anche se nello stabilimento l'azienda ha sostituito gli operai più anziani con personale giovane, che finora si riteneva maggiormente motivato.