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The Federal State - A Loss-Making Business (II)
2012/10/17
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L'asse Washington - Pristina Damasco
1) Progetti di destabilizzazione: l'asse Pristina Damasco (sibialiria.org)
2) Kosovo: Tutti gli affari degli americani. Una colonia a stelle e strisce (eastjournal.net)
=== 1 ===
Sullo stesso argomento dei rapporti tra ceto mafioso pan-albanese in Kosovo e banditi anti-Assad in Siria si veda anche:
Market Economy for Syria
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58308
DALJE RUKE OD SIRIJE! (italiano / english / srpskohrvatski)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7368
spec.:
La Russia protesta contro l'addestramento di fazioni siriane in Kosovo
http://www.voltairenet.org/La-Russia-protesta-contro-l
Rebel groups in Syria backed by NATO?
http://english.ruvr.ru/2012_06_09/77630671/
USA torpedieren friedliche Lösung in Syrien
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7360
Fascisti anti-siriani in tour dal Kosovo a Miami (english / francais / italiano)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7354
Terroristi anti-siriani addestrati dalla NATO in Kosovo (english / italiano)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7350
NATO terrorism in Kosovo and Syria (italiano / english)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7339
---
http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1046
Progetti di destabilizzazione: l'asse Pristina Damasco
di Gianmarco Pisa
25 ottobre 2012
Per alcuni aspetti sembra tornare una vecchia storia. Le motivazioni della guerra della NATO e della "santa alleanza" euro-occidentale contro la Serbia e per la separazione del Kosovo avevano molto poco a che vedere con la protezione dei diritti umani dei cittadini kosovari (non solo albanesi kosovari, ma anche serbi, rom, gorani etc.) e molto, invece, a che vedere con gli interessi strategici che si concentravano e si concentrano tuttora su quel quadrilatero a crocevia tra i Balcani Occidentali e l'Europa Orientale e il Medio Oriente.
Interessi economici, come si vede dalla rotta del South Stream, uno dei più importanti investimenti russi nel mercato della distribuzione del gas, in compartecipazione ENI Gazprom, nel continente europeo. Ed interessi militari, come si vede da una rapida ricognizione sulla base di Camp Bondsteel, grande quanto una città, una delle basi USA più grandi di tutta Europa e la più grande in tutti i Balcani, capace di ospitare fino a settemila (settemila) soldati (più risorse, macchinari, strumenti, munizioni, equipaggiamenti).
Dunque, il Kosovo come una gigantesca piattaforma militare per gli interessi USA e NATO? Le informazioni, circolate (poco) nel corso dell'estate e più recentemente tornate a galla con il precipitare della crisi siriana e le nuove proposte negoziali del nuovo mediatore internazionale (Lakhdar Brahimi), circa l'arrivo di membri dell'opposizione siriana armata a Pristina, capoluogo del Kosovo, al fine di ricevere consigli, sostegni e aiuto nella battaglia sul campo contro il governo siriano di Bashar al-Assad, non sembrano avere sorpreso più di tanto il pubblico serbo (né hanno scosso più di tanto il pubblico kosovaro), e tuttavia la notizia dei membri dell'ex formazione terrorista UCK (il cosiddetto "Esercito di Liberazione del Kosovo", ex testa di ponte dell'intervento NATO contro la Serbia) impegnati nella preparazione di un campo internazionale per la formazione dei ribelli armati ha destato e continua a destare preoccupazione, nei Balcani e non solo.
Come è facile intuire, la Russia è stata la prima a reagire alla notizia di connessioni di ispirazione jihadista tra l'opposizione armata siriana e le autorità politiche e militari della auto-proclamata (e non internazionalmente riconosciuta) "Repubblica del Kosovo" e ha dichiarato che la formazione, la preparazione e l'addestramento di ribelli armati siriani è in netto contrasto con gli sforzi delle Nazioni Unite per calmare la situazione in Siria, con il lavoro della mediazione internazionale alla ricerca di una soluzione negoziale alla guerra civile e per procura in corso nel Paese, nonché, vale la pena di aggiungere, con il rilancio di un tavolo politico e negoziale per il dialogo tra Belgrado e Pristina, nella comune strada verso l'integrazione europea.
La Federazione Russa, di conseguenza, ha nuovamente invitato le forze internazionali presenti in Kosovo (la supervisione internazionale dell'indipendenza kosovara è formalmente cessata, ma restano attive sia la missione militare della NATO, KFOR, sia la missione giuridica della UE, EULEX) ad intervenire per fermare la formazione di una opposizione armata siriana in Kosovo, aggiungendo che fare della provincia una base internazionale per la formazione di eserciti irregolari e paramilitari potrebbe diventare il principale fattore di destabilizzazione nei Balcani e, in prospettiva, dell'intera Europa centro-orientale. Fonti di informazione russe hanno infine accreditato la versione secondo la quale la delegazione dei ribelli siriani armati sarebbe giunta a Pristina direttamente dagli Stati Uniti, dove, presumibilmente, avrebbero ricevuto assistenza, consigli e istruzioni funzionali a tale "missione". Non è stata fatta piena luce su questo aspetto, particolarmente torbido ed inquietante, della vicenda. Se se ne dimostrasse la veridicità, sarebbe l'ennesima conferma della gravità e della carica destabilizzatrice del cosiddetto "precedente kosovaro" e l'ennesima attestazione dell'ormai ampia e consolidata internazionalizzazione del conflitto siriano con questi "ribelli" armati ed etero-diretti da potenze straniere e ben inseriti nei circuiti (politici e militari) dell'imperialismo euro-atlantico.
E Pristina? Le autorità albanesi-kosovare hanno ufficialmente negata l'esistenza dei campi di addestramento militare. E' stata riportata, tuttavia, dalla stampa locale, una dichiarazione di un "attivista siriano", che, a quanto si apprende, risponde al nome di Ammar Abdulhamid (il cui curriculum su wikipedia è davvero di tutto interesse:en.wikipedia.org/wiki/Ammar_Abdulhamid), il quale ha riferito che riceveranno da ex membri del KLA o UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo) "istruzioni" su come unire i diversi gruppi armati presenti in Siria, sviluppare un vero e proprio coordinamento logistico e militare e condurre una guerriglia sistematica contro il regime di Bashar al-Assad. Le sue dichiarazioni valgono per tutte: "L'esempio del Kosovo può essere fonte di ispirazione per noi. I militanti dell'UCK hanno già percorso quella strada e hanno la necessaria esperienza che può rivelarsi utile anche per noi. Siamo particolarmente interessati a imparare a riunire in un unico esercito i nostri gruppi armati". Vale la pena riportare, a proposito, anche il commento della stampa serba, secondo la quale: "Il pubblico esperto non è sorpreso di fronte a tali eventi. Gli analisti ricordano che per molti anni ci sono stati legami solidi tra gli estremisti albanesi in Kosovo e vari Paesi islamici. La formazione si terrà probabilmente nei vecchi campi dell'UCK al confine con l'Albania e in altri luoghi dove non ci sono ormai più serbi da diversi anni". Vengono persino menzionati i luoghi deputati per una tale "formazione", dalle montagne Prokletije, viste le somiglianze morfologiche con la situazione sul terreno in Siria, alle vecchie basi dell'UCK a Kukes e Tropoja, nel nord dell'Albania.
Gli analisti sottolineano inoltre che nel contesto della situazione attuale della regione balcanico-occidentale e la minaccia di destabilizzazione continua non solo in Kosovo ma anche in Macedonia settentrionale e Serbia meridionale, il tutto potrebbe avere ripercussioni gravi e minacciose non solo per i Balcani, ma su una scala più ampia. Il torneo delle ombre sembra ripreso e la giostra del "Big Game" accelera sempre di più.
=== 2 ===
http://www.eastjournal.net/kosovo-tutti-gli-affari-degli-americani-una-colonia-a-stelle-e-strisce/21974
KOSOVO: Tutti gli affari degli americani. Una colonia a stelle e strisce
Posted 2 OTTOBRE 2012 in BALCANI OCCIDENTALI, KOSOVO
di Matteo Zola
E gli americani tornano in Kosovo, se mai se ne sono andati, per fare affari. Madeleine Albright, già Segretario di Stato americano, è in procinto di accaparrarsi la Ptk (Pota i Telekomunikacije Kosova), principale compagnia kosovara di telecomunicazioni, finora a maggioranza pubblica. Questo è senz'altro il caso più eclatante ma la Albright è in buona compagnia. Wesley Clark, già comandante delle forze Nato in Europa, alla testa della società canadese Envidity, ha presentato alle autorità kosovare una licenza per sfruttare le risorse di carbone e lignite del paese per ottenerne carburante. Clark fu l'uomo che diede l'ordine di bombardare Belgrado, il 24 marzo 1999, al fine di abbattere il regime di Milosevic all'epoca impegnato nella guerra in Kosovo [In realtà non c'era alcuna guerra in Kosovo fino alla aggressione NATO, ndCNJ], con un'operazione militare che non ricevette l'avallo Onu e che vide l'Italia in prima linea. La Bechtel Group sta intanto costruendo l'autostrada che collegherà Pristina a Skopje. Il gruppo Bechtel è il quinto gruppo americano per importanza nel settore delle costruzioni e dell'ingegneria. E' quello per intenderci che ha costruito il tunnel sotto la Manica. Bechtel sta lavorando al progetto insieme alla Enco, società turca alla cui poltrona di amministratore delegato siede Jock Covey, già esponente dell'Unmik.
Quello della privatizzazione della Ptk è stato presentato dal quotidiano croato Jutarnji List come "l'affare del secolo", e frutterà circa 400 milioni di dollari al giovane Stato. Sotto la pressione di Bruxelles, il governo kosovaro ha lanciato un'offerta d'acquisto pubblica ma fonti ufficiose riportate dal quotidiano zagrebese suggeriscono come tutto sia stato organizzato in modo che la Albright Capital Management vincesse la gara. Come si è detto, si tratta della società dell'ex Segretario di Stato americano, Madalaine Albright, responsabile della diplomazia durante l'amministrazione Clinton, che ha giocato un ruolo chiave nel processo di indipendenza del Kosovo ed oggi ne raccoglie i frutti.
Che il Kosovo fosse terra di conquista per gli Stati Uniti era un sospetto che si covava già da qualche anno, quando si apprese del progetto Ambo, un oleodotto transabalcanico, in fase di ultimazione, il cui consorzio, con sede negli Stati Uniti, è direttamente collegato alla società dell'ex vice-presidente Dick Cheney, Halliburton Energy. Secondo Michel Chossudovsky, importante economista canadese, la politica Usa di "proteggere le rotte degli oleodotti" provenienti dal bacino del Mar Caspio (e che attraversano i Balcani) era stata espressa dal Segretario all'Energia di Clinton, Bill Richardson, appena pochi mesi prima dei bombardamenti sulla Jugoslavia del 1999. Le dichiarazioni di Richardson furono riprese dal Guardian (A Discreet Deal in the Pipeline, 15 febbraio 2001): "Qui si tratta della sicurezza energetica dell'America. Si tratta anche di prevenire incursioni strategiche da parte di coloro che non condividono i nostri valori. Stiamo cercando di spostare questi Paesi, da poco indipendenti, verso l'occidente. Vorremmo vederli fare affidamento sugli interessi commerciali e politici occidentali, piuttosto che prendere un'altra strada. Nella regione del Mar Caspio abbiamo fatto un investimento politico consistente, ed è molto importante per noi che la mappa degli oleodotti e la politica abbiano esito positivo".
Per quanto riguarda l'oleodotto Ambo, apparirebbe che l'Ue sia stata ampiamente esclusa dalla programmazione e dalle negoziazioni. Con i governi di Albania, Bulgaria e Macedonia furono firmati "memorandum d'intesa" che spogliano quei paesi della sovranità nazionale sui corridoi dell'oleodotto e dei trasporti fornendo "diritti esclusivi" al consorzio anglo-americano.
La Halliburton Energy avrebbe ottenuto anche importanti commesse per le forniture militari americane in Kosovo, dove ha sede la base militare a stelle e strisce più grande d'Europa, quel camp Blondsteel costruito proprio dalla Hulliburton tramite la sua sussidiaria Kellogg, Brown and Root.
Insomma, dalle telecomunicazioni alle risorse minerarie, dall'oleodotto a camp Blondsteel, quella kosovara sembra sempre più una colonia americana data in gestione a una banda di criminali di guerra prima osteggiati (l'Uck era tra le organizzazioni terroristiche osteggiate da Washington fino al 1998 e alcuni suoi leader sono sotto processo all'Aja) e poi asserviti al nobile scopo della sicurezza a stelle strisce. Una sicurezza che per molti, europei compresi, è sinonimo di sopruso e violenza. Alla luce di questi elementi, l'indipendenza tanto voluta e sbandierata dai kosovari, è un'illusione quando non una truffa. Una truffa cui l'esercito italiano, impegnato in Kosovo per operazioni peacekeeping, partecipa volente o nolente. Cosa ne viene alle tasche del Belpaese, però, è un'altra storia.
1) Progetti di destabilizzazione: l'asse Pristina Damasco (sibialiria.org)
2) Kosovo: Tutti gli affari degli americani. Una colonia a stelle e strisce (eastjournal.net)
=== 1 ===
Sullo stesso argomento dei rapporti tra ceto mafioso pan-albanese in Kosovo e banditi anti-Assad in Siria si veda anche:
Market Economy for Syria
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58308
DALJE RUKE OD SIRIJE! (italiano / english / srpskohrvatski)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7368
spec.:
La Russia protesta contro l'addestramento di fazioni siriane in Kosovo
http://www.voltairenet.org/La-Russia-protesta-contro-l
Rebel groups in Syria backed by NATO?
http://english.ruvr.ru/2012_06_09/77630671/
USA torpedieren friedliche Lösung in Syrien
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7360
Fascisti anti-siriani in tour dal Kosovo a Miami (english / francais / italiano)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7354
Terroristi anti-siriani addestrati dalla NATO in Kosovo (english / italiano)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7350
NATO terrorism in Kosovo and Syria (italiano / english)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7339
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http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1046
Progetti di destabilizzazione: l'asse Pristina Damasco
di Gianmarco Pisa
25 ottobre 2012
Per alcuni aspetti sembra tornare una vecchia storia. Le motivazioni della guerra della NATO e della "santa alleanza" euro-occidentale contro la Serbia e per la separazione del Kosovo avevano molto poco a che vedere con la protezione dei diritti umani dei cittadini kosovari (non solo albanesi kosovari, ma anche serbi, rom, gorani etc.) e molto, invece, a che vedere con gli interessi strategici che si concentravano e si concentrano tuttora su quel quadrilatero a crocevia tra i Balcani Occidentali e l'Europa Orientale e il Medio Oriente.
Interessi economici, come si vede dalla rotta del South Stream, uno dei più importanti investimenti russi nel mercato della distribuzione del gas, in compartecipazione ENI Gazprom, nel continente europeo. Ed interessi militari, come si vede da una rapida ricognizione sulla base di Camp Bondsteel, grande quanto una città, una delle basi USA più grandi di tutta Europa e la più grande in tutti i Balcani, capace di ospitare fino a settemila (settemila) soldati (più risorse, macchinari, strumenti, munizioni, equipaggiamenti).
Dunque, il Kosovo come una gigantesca piattaforma militare per gli interessi USA e NATO? Le informazioni, circolate (poco) nel corso dell'estate e più recentemente tornate a galla con il precipitare della crisi siriana e le nuove proposte negoziali del nuovo mediatore internazionale (Lakhdar Brahimi), circa l'arrivo di membri dell'opposizione siriana armata a Pristina, capoluogo del Kosovo, al fine di ricevere consigli, sostegni e aiuto nella battaglia sul campo contro il governo siriano di Bashar al-Assad, non sembrano avere sorpreso più di tanto il pubblico serbo (né hanno scosso più di tanto il pubblico kosovaro), e tuttavia la notizia dei membri dell'ex formazione terrorista UCK (il cosiddetto "Esercito di Liberazione del Kosovo", ex testa di ponte dell'intervento NATO contro la Serbia) impegnati nella preparazione di un campo internazionale per la formazione dei ribelli armati ha destato e continua a destare preoccupazione, nei Balcani e non solo.
Come è facile intuire, la Russia è stata la prima a reagire alla notizia di connessioni di ispirazione jihadista tra l'opposizione armata siriana e le autorità politiche e militari della auto-proclamata (e non internazionalmente riconosciuta) "Repubblica del Kosovo" e ha dichiarato che la formazione, la preparazione e l'addestramento di ribelli armati siriani è in netto contrasto con gli sforzi delle Nazioni Unite per calmare la situazione in Siria, con il lavoro della mediazione internazionale alla ricerca di una soluzione negoziale alla guerra civile e per procura in corso nel Paese, nonché, vale la pena di aggiungere, con il rilancio di un tavolo politico e negoziale per il dialogo tra Belgrado e Pristina, nella comune strada verso l'integrazione europea.
La Federazione Russa, di conseguenza, ha nuovamente invitato le forze internazionali presenti in Kosovo (la supervisione internazionale dell'indipendenza kosovara è formalmente cessata, ma restano attive sia la missione militare della NATO, KFOR, sia la missione giuridica della UE, EULEX) ad intervenire per fermare la formazione di una opposizione armata siriana in Kosovo, aggiungendo che fare della provincia una base internazionale per la formazione di eserciti irregolari e paramilitari potrebbe diventare il principale fattore di destabilizzazione nei Balcani e, in prospettiva, dell'intera Europa centro-orientale. Fonti di informazione russe hanno infine accreditato la versione secondo la quale la delegazione dei ribelli siriani armati sarebbe giunta a Pristina direttamente dagli Stati Uniti, dove, presumibilmente, avrebbero ricevuto assistenza, consigli e istruzioni funzionali a tale "missione". Non è stata fatta piena luce su questo aspetto, particolarmente torbido ed inquietante, della vicenda. Se se ne dimostrasse la veridicità, sarebbe l'ennesima conferma della gravità e della carica destabilizzatrice del cosiddetto "precedente kosovaro" e l'ennesima attestazione dell'ormai ampia e consolidata internazionalizzazione del conflitto siriano con questi "ribelli" armati ed etero-diretti da potenze straniere e ben inseriti nei circuiti (politici e militari) dell'imperialismo euro-atlantico.
E Pristina? Le autorità albanesi-kosovare hanno ufficialmente negata l'esistenza dei campi di addestramento militare. E' stata riportata, tuttavia, dalla stampa locale, una dichiarazione di un "attivista siriano", che, a quanto si apprende, risponde al nome di Ammar Abdulhamid (il cui curriculum su wikipedia è davvero di tutto interesse:en.wikipedia.org/wiki/Ammar_Abdulhamid), il quale ha riferito che riceveranno da ex membri del KLA o UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo) "istruzioni" su come unire i diversi gruppi armati presenti in Siria, sviluppare un vero e proprio coordinamento logistico e militare e condurre una guerriglia sistematica contro il regime di Bashar al-Assad. Le sue dichiarazioni valgono per tutte: "L'esempio del Kosovo può essere fonte di ispirazione per noi. I militanti dell'UCK hanno già percorso quella strada e hanno la necessaria esperienza che può rivelarsi utile anche per noi. Siamo particolarmente interessati a imparare a riunire in un unico esercito i nostri gruppi armati". Vale la pena riportare, a proposito, anche il commento della stampa serba, secondo la quale: "Il pubblico esperto non è sorpreso di fronte a tali eventi. Gli analisti ricordano che per molti anni ci sono stati legami solidi tra gli estremisti albanesi in Kosovo e vari Paesi islamici. La formazione si terrà probabilmente nei vecchi campi dell'UCK al confine con l'Albania e in altri luoghi dove non ci sono ormai più serbi da diversi anni". Vengono persino menzionati i luoghi deputati per una tale "formazione", dalle montagne Prokletije, viste le somiglianze morfologiche con la situazione sul terreno in Siria, alle vecchie basi dell'UCK a Kukes e Tropoja, nel nord dell'Albania.
Gli analisti sottolineano inoltre che nel contesto della situazione attuale della regione balcanico-occidentale e la minaccia di destabilizzazione continua non solo in Kosovo ma anche in Macedonia settentrionale e Serbia meridionale, il tutto potrebbe avere ripercussioni gravi e minacciose non solo per i Balcani, ma su una scala più ampia. Il torneo delle ombre sembra ripreso e la giostra del "Big Game" accelera sempre di più.
=== 2 ===
http://www.eastjournal.net/kosovo-tutti-gli-affari-degli-americani-una-colonia-a-stelle-e-strisce/21974
KOSOVO: Tutti gli affari degli americani. Una colonia a stelle e strisce
Posted 2 OTTOBRE 2012 in BALCANI OCCIDENTALI, KOSOVO
di Matteo Zola
E gli americani tornano in Kosovo, se mai se ne sono andati, per fare affari. Madeleine Albright, già Segretario di Stato americano, è in procinto di accaparrarsi la Ptk (Pota i Telekomunikacije Kosova), principale compagnia kosovara di telecomunicazioni, finora a maggioranza pubblica. Questo è senz'altro il caso più eclatante ma la Albright è in buona compagnia. Wesley Clark, già comandante delle forze Nato in Europa, alla testa della società canadese Envidity, ha presentato alle autorità kosovare una licenza per sfruttare le risorse di carbone e lignite del paese per ottenerne carburante. Clark fu l'uomo che diede l'ordine di bombardare Belgrado, il 24 marzo 1999, al fine di abbattere il regime di Milosevic all'epoca impegnato nella guerra in Kosovo [In realtà non c'era alcuna guerra in Kosovo fino alla aggressione NATO, ndCNJ], con un'operazione militare che non ricevette l'avallo Onu e che vide l'Italia in prima linea. La Bechtel Group sta intanto costruendo l'autostrada che collegherà Pristina a Skopje. Il gruppo Bechtel è il quinto gruppo americano per importanza nel settore delle costruzioni e dell'ingegneria. E' quello per intenderci che ha costruito il tunnel sotto la Manica. Bechtel sta lavorando al progetto insieme alla Enco, società turca alla cui poltrona di amministratore delegato siede Jock Covey, già esponente dell'Unmik.
Quello della privatizzazione della Ptk è stato presentato dal quotidiano croato Jutarnji List come "l'affare del secolo", e frutterà circa 400 milioni di dollari al giovane Stato. Sotto la pressione di Bruxelles, il governo kosovaro ha lanciato un'offerta d'acquisto pubblica ma fonti ufficiose riportate dal quotidiano zagrebese suggeriscono come tutto sia stato organizzato in modo che la Albright Capital Management vincesse la gara. Come si è detto, si tratta della società dell'ex Segretario di Stato americano, Madalaine Albright, responsabile della diplomazia durante l'amministrazione Clinton, che ha giocato un ruolo chiave nel processo di indipendenza del Kosovo ed oggi ne raccoglie i frutti.
Che il Kosovo fosse terra di conquista per gli Stati Uniti era un sospetto che si covava già da qualche anno, quando si apprese del progetto Ambo, un oleodotto transabalcanico, in fase di ultimazione, il cui consorzio, con sede negli Stati Uniti, è direttamente collegato alla società dell'ex vice-presidente Dick Cheney, Halliburton Energy. Secondo Michel Chossudovsky, importante economista canadese, la politica Usa di "proteggere le rotte degli oleodotti" provenienti dal bacino del Mar Caspio (e che attraversano i Balcani) era stata espressa dal Segretario all'Energia di Clinton, Bill Richardson, appena pochi mesi prima dei bombardamenti sulla Jugoslavia del 1999. Le dichiarazioni di Richardson furono riprese dal Guardian (A Discreet Deal in the Pipeline, 15 febbraio 2001): "Qui si tratta della sicurezza energetica dell'America. Si tratta anche di prevenire incursioni strategiche da parte di coloro che non condividono i nostri valori. Stiamo cercando di spostare questi Paesi, da poco indipendenti, verso l'occidente. Vorremmo vederli fare affidamento sugli interessi commerciali e politici occidentali, piuttosto che prendere un'altra strada. Nella regione del Mar Caspio abbiamo fatto un investimento politico consistente, ed è molto importante per noi che la mappa degli oleodotti e la politica abbiano esito positivo".
Per quanto riguarda l'oleodotto Ambo, apparirebbe che l'Ue sia stata ampiamente esclusa dalla programmazione e dalle negoziazioni. Con i governi di Albania, Bulgaria e Macedonia furono firmati "memorandum d'intesa" che spogliano quei paesi della sovranità nazionale sui corridoi dell'oleodotto e dei trasporti fornendo "diritti esclusivi" al consorzio anglo-americano.
La Halliburton Energy avrebbe ottenuto anche importanti commesse per le forniture militari americane in Kosovo, dove ha sede la base militare a stelle e strisce più grande d'Europa, quel camp Blondsteel costruito proprio dalla Hulliburton tramite la sua sussidiaria Kellogg, Brown and Root.
Insomma, dalle telecomunicazioni alle risorse minerarie, dall'oleodotto a camp Blondsteel, quella kosovara sembra sempre più una colonia americana data in gestione a una banda di criminali di guerra prima osteggiati (l'Uck era tra le organizzazioni terroristiche osteggiate da Washington fino al 1998 e alcuni suoi leader sono sotto processo all'Aja) e poi asserviti al nobile scopo della sicurezza a stelle strisce. Una sicurezza che per molti, europei compresi, è sinonimo di sopruso e violenza. Alla luce di questi elementi, l'indipendenza tanto voluta e sbandierata dai kosovari, è un'illusione quando non una truffa. Una truffa cui l'esercito italiano, impegnato in Kosovo per operazioni peacekeeping, partecipa volente o nolente. Cosa ne viene alle tasche del Belpaese, però, è un'altra storia.
(italiano / srpskohrvatski)
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20-21 ottobre 1941:
La strage delle "Šumarice" presso Kragujevac
La strage delle "Šumarice" presso Kragujevac
Il monumento e la tradizionale Grande Lezione di Storia / Spomenik i Veliki školski čas
Desanka Maksimović: Krvava bajka (Fiaba cruenta)
* la traduzione italiana della poesia di Desanka Maksimović
* AUDIO: la lettura di Monica Ferri
* la stessa poesia in una diversa traduzione in italiano
P. Diroma: Occupazione nazista, stragi e collaborazionismo in Serbia
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Il seguente articolo e' tratto da "Storia Illustrata" del gennaio 1979
In un solo giorno 7300 morti nella città martire. È l'autunno del 1941. Pochi mesi dopo la dissoluzione del regno di Jugoslavia, la penisola balcanica è insorta contro l'occupante nazifascista. Alla rivolta partigiana i tedeschi rispondono facendo strage della popolazione civile.
di ANTONIO PITAMITZ
STERMINIO NAZISTA IN SERBIA
In un solo giorno 7300 morti nella città martire. È l'autunno del 1941. Pochi mesi dopo la dissoluzione del regno di Jugoslavia, la penisola balcanica è insorta contro l'occupante nazifascista. Alla rivolta partigiana i tedeschi rispondono facendo strage della popolazione civile.
di ANTONIO PITAMITZ
Il 20 ottobre 1941, sei mesi dopo l'invasione tedesca della Jugoslavia, nei due Ginnasi di Kragujevac (leggi Kragujevaz), la città serba posta nel centro della regione della Šumadija, le lezioni iniziano alle 8.30, come di consueto. Sono in programma quel giorno la sintassi della lingua serbocroata, matematica, la poesia di Goethe, la fisica. In una classe, un professore croato, un profugo fuggito dal regime fascista instaurato in Croazia da Ante Pavelic, sottolinea il valore della libertà. Poco lontano, un altro spiega l'opera di un poeta serbo del romanticismo risorgimentale. La mente rivolta alle secolari lotte sostenute dai serbi per la loro indipendenza e a quella presente che cresce irresistibilmente, anch'egli parla di libertà. La voce calma e profonda che illustra i versi del poeta: "La libertà è un nettare che inebria / Io la bevvi perché avevo sete", ne nasconde a fatica la tensione, che aleggia anche nell'aula, che grava su tutti, sulla cittadina, sui suoi abitanti, e che l'eco strozzata di fucilerie lontane da alcuni giorni alimenta.
Dal 13 ottobre 1941 Kragujevac e la sua regione sono teatro di una vasta azione di rappresaglia, che i tedeschi stanno conducendo con spietata decisione contemporaneamente anche nel resto della Serbia. La ferocia di cui essi in quei giorni danno prova ha una ragione specifica contingente. La rapida vittoria dell'Asse ha dissolto uno Stato, il regno dei Karadjordjevic, ma non ha prostrato i popoli della Jugoslavia. L'illusione tedesca di una comoda permanenza in quella terra è stata presto delusa. Sin dai primi giorni dell'occupazione, i tedeschi hanno avuto filo da torcere. La guerra, che anche in Šumadija i resistenti fanno, è senza quartiere. Sabotaggi sensazionali e diversioni in grande stile si registrano sin dal mese di maggio. Linee telefoniche e telegrafiche vengono tagliate, ponti e strade ferrate saltano. Il movimento di resistenza cresce così rapidamente, ben presto è così ampio che i tedeschi e le truppe collaborazioniste del quisling serbo Milan Nedic abbandonano il presidio dei villaggi. Gli invasori si sentono troppo esposti, isolati, preferiscono arroccarsi in città. La lotta contro i patrioti la organizzano dai centri urbani, e la conducono secondo il metro nazista che misura in tutti gli slavi una razza inferiore, da sterminare. La traduzione pratica di questo principio è all'altezza della fama che si guadagnano. A Belgrado, una moto incendiata della Wehrmacht vale la vita di 122 serbi. Solo nella capitale, in sette mesi fucilano 4700 ostaggi.
Incredibilmente, gli hitleriani ritengono di poter coprire con la propaganda questo pugno di ferro che calano sul paese. Le argomentazioni che diffondono sono quelle care alla "dottrina" nazifascista dell'Ordine Nuovo Europeo. Ai contadini serbi dicono di averli salvati dagli ebrei e dai capitalisti, e promettono anche di salvarli dal bolscevismo semita, che sta per essere sicuramente sconfitto sul fronte orientale.
L'itinerario di questa vittoria, a Kragujevac può essere seguito sulla grande carta geografica che campeggia nel centro della città. Una croce uncinata segna la progressione delle forze dell'Asse in direzione di Mosca. Però, come altrove, nemmeno a Kragujevac terrore, repressione, lusinghe, denaro fatto circolare per corrompere, valgono a indebolire il sostegno alla lotta partigiana, a ridurne il seguito. A dare contorni netti alla situazione, le risposte alla propaganda tedesca non mancano. La carta geografica dell'Asse viene bruciata in pieno giorno. Il fuoco divora anche una delle fabbriche militari della città. Un treno di quaranta vagoni viene distrutto sulla linea Kragujevac-Kraljevo, provocando la morte di cinquanta tedeschi. Da vincitori e occupanti, i tedeschi si trovano nella condizione di assediati.
È Kragujevac, città da sempre ribelle, che prende il suo nome da kraguj, dal rapace grifone che popolava i sui boschi, che alimenta la Resistenza della zona. È questa città di antiche tradizioni nazionali e socialiste che guida la lotta della Šumadija, il cuore della Serbia. Gli operai comunisti che costituiscono il nerbo delle formazioni partigiane vengono dal suo arsenale militare. Dalle sue case dai cento nascondigli, che hanno già ingannato turchi e austroungarici, escono le armi, le munizioni, il materiale sanitario, i libri che donne, bambini e ragazzi portano quotidianamente ai combattenti del bosco.
Per contenere la sua iniziativa, per fronteggiare questa lotta di bande, che è lotta di popolo e che sconvolge gli schemi bellici dei signori nazisti della guerra, già alla fine dell'agosto 1941 Kragujevac conta la guarnigione tedesca più forte di tutta la Serbia centrale. Ma i due battaglioni e i mezzi corazzati di cui i tedeschi dispongono non sono sufficienti ad arrestare lo slancio delle tre compagnie partigiane che operano fuori della città. Né tantomeno la Gestapo è in grado di bloccare i gruppi clandestini che si annidano dentro. La loro azione anzi si fa sempre più audace, punta sul risultato militare, ma ricerca anche l'effetto psicologico. Per i partigiani, importante è non soltanto colpire il nemico, ma aiutare anche i serbi oppressi a sperare, a vivere. Una notte d'agosto, cento metri di ferrovia vengono fatti saltare in città, proprio sotto il naso dei tedeschi.
È una sfida, che ha sapore di beffa. In questa situazione, la rabbia e il desiderio di vendetta dei tedeschi crescono quotidianamente. Quando nel settembre 1941, la ribellione guadagna tutta la Serbia, e conseguentemente mette radici ancora più profonde in Šumadija, il generale Boehme, comandante delle forze tedesche nel Paese, considera che la misura è colma. Il prestigio dei suoi soldati deve essere risollevato, una dura lezione deve essere somministrata ai serbi. Una spietata repressione, da condurre senza esitazione, è decisa. A rendere più chiara la direttiva che passa ai subalterni, e che precisa la "filosofia" del comando tedesco, Boehme ricorda che "una vita umana non vale nulla", e che perciò per intimidire bisogna ricorrere a una "crudeltà senza eguali". A metà settembre i tedeschi passano all'azione. La macchina si mette in moto.
Per un mese la Serbia centrale è trasformata in un campo di sterminio.
A decine villaggi grandi e piccoli sono bruciati, spesso, come a Novo Mesto o a Debrc, con dentro gli abitanti. I serbi muoiono a migliaia, uccisi, massacrati. A Šabac, il 26 settembre, sono 3000 gli uomini dai 14 ai 70 anni che rimangono vittime della razzia tedesca. Cinquecento muoiono durante una marcia fatta fare al passo di corsa per 46 chilometri. Gli altri sono fucilati. Una sorte analoga hanno, il 10 ottobre, a Valjevo, 2200 ostaggi: finiscono al muro. "Pagano" 10 tedeschi uccisi e 24 feriti. Cinque giorni dopo, il 15, è "sentenziata" la punizione di Kraljevo, un'altra città che resiste. I plotoni di esecuzione lavorano per cinque giorni, le vittime sono 5000. Sembra impossibile immaginare una strage ancora più grande. Eppure, l'allucinante escalation non ha toccato la sua punta di massimo orrore.
Lo farà a Kragujevac, e nel suo circondario. La "spedizione punitiva" comincia il 13 ottobre. Quel giorno, nel quartiere operaio di Kragujevac, i tedeschi prendono 30 uomini. Per 3 giorni se li trascinano dietro nella puntata che fanno contro il paese vicino, Gornji Milanovac. Affamati, percossi, costretti a rimuovere tronchi d'albero e a tirare fuori dal fango carri armati, adoperati come scudo contro i partigiani, sono testimoni della sorte del piccolo paese di pastori. Vivono un'agonia che ha fine solo con il grande massacro, nel quale scompaiono anche i 132 ostaggi di Gornji Milanovac. In quanto al paese, anche questo viene bruciato. I tedeschi saldano così un vecchio conto che avevano in sospeso. Anche per questa impresa però devono pagare uno scotto. Trentasei uomini vengono messi fuori combattimento dai partigiani, che attaccano senza sosta.
Di fronte a questo "smacco" la logica tedesca della ritorsione non tarda a scattare. Sarà Kragujevac a pagare, con la vita di 100 cittadini ogni tedesco morto, e con quella di 50 ogni tedesco ferito. Duemilatrecento persone sono condannate a morte.
La rappresaglia punta per primo sui "nemici storici" del Reich: comunisti e ebrei. Gli ebrei maschi, e un certo numero di comunisti, 66 persone in tutto, vengono arrestati sulla base delle liste che i collaborazionisti forniscono. Ma questo non basta. Il giorno successivo, il 19 ottobre, una massiccia operazione ha luogo nell'immediata periferia della città. Tre paesi, posti nel giro di tre chilometri, sono travolti della furia tedesca. Grošnica, Meckovac, Maršic bruciano, 423 uomini muoiono. A Meckovac, donne e bambini sono costretti ad assistere all'esecuzione. Lo stesso macabro rituale è imposto a Grošnica, dove si distinguono i Volontari Anticomunisti di Dimitrjie Ljotic. Il paese quel giorno celebra la festa del patrono. I fascisti serbi strappano il pope dall'altare con il vangelo ancora in mano, i fedeli vanno a morire stringendo i pani benedetti della comunione ortodossa. Vengono falciati tutti lì vicino, con le mitragliatrici. Così, intorno a Kragujevac si è fatto un cerchio di morte. La prova generale è compiuta. Ora si passa al "grande massacro".
L'azione inizia la mattina del 20 ottobre. Alle prime luci dell'alba, gli accessi a Kragujevac vengono bloccati. Mitragliatrici sono postate nei punti nevralgici. Nessuno può più uscire dalla città, nessuno può più entrarvi. Chi, ignorando il dispositivo, si avvicina, viene ucciso. È quanto accade a uno zingaro, che arriva dalla campagna, a un vecchio che in città muove verso il mercato. Agli ordini del maggiore Koenig, tedeschi e collaborazionisti aprono la caccia all'uomo. Nessuno sfugge, nessuno è "dimenticato". Il gruppo di operai che lavora tranquillamente a un torrente, i tre popi di una chiesa, che sperano di trovare la salvezza dietro le icone. I razziatori entrano a stanare ovunque. Gli impiegati sono portati fuori dal municipio; giudici, scrivani, pubblico, dal tribunale. Dalle abitazioni vengono tratti anche gli ammalati. Un barbiere è prelevato dal negozio insieme al suo cliente, che con altri disgraziati marcia verso il suo destino, una guancia insaponata, l'altra no.
Alle dieci i tedeschi irrompono anche nei due ginnasi. L'apparizione di quelle uniformi verdi armate di fucili e parabellum, infrange la normalità forzata che da tre giorni nelle due scuole vige. Il barone Bischofhausen, il comandante tedesco della piazza, il 17 ha minacciato presidi, professori e genitori di severe sanzioni se i ragazzi non frequentavano la scuola. Lo ha fatto ripetere anche per le vie della città, a suon di tamburo, dal banditore pubblico. Li vuole tutti in aula, sempre. L'ufficiale tedesco, che da civile è insegnante, combatte l'assenteismo degli studenti non certo perché mosso da passione pedagogica. Chiedendo che proprio per quel giorno 20 tutti siano presenti, egli fa apparire di voler esercitare un controllo; che però si trasforma in una trappola. In realtà, egli non dimentica che i ginnasiali di Kragujevac hanno manifestato sin dai primi giorni la più violenta opposizione all'occupante. Un giovane è finito impiccato dopo uno scontro con la polizia. Il barone sa pure che anche in quelle aule la Resistenza attinge, per alimentare i suoi "gruppi d'azione", i suoi propagandisti e sabotatori.
L'ispezione annunciata per quel giorno è arrivata. I registri chiesti dal barone sono pronti. Arrivando quella mattina a scuola, i ragazzi hanno cancellato i loro nomi dall'elenco. Precauzione inutile. Non c'è appello. I tedeschi entrano direttamente nelle aule, e rastrellano. Hinaus, fuori tutti quelli dai 16 anni in su. Anche il ragazzo invalido che si trascina con la stampella, per il quale invano una professoressa intercede. Anche la classe che il professore di tedesco tenta di salvare. Ai soldati che si affacciano, il professore dice, per rabbonirli, che stanno facendo lezione di tedesco. Mente. E mente una seconda volta quando gli chiedono quanti anni hanno i suoi ragazzi. Quindici dice. I tedeschi, convinti, fanno per andarsene. Ma in quel momento un alunno si alza dall'ultimo banco. È lo spilungone della classe. I tedeschi, dalla soglia si girano, capiscono, e sbattono fuori tutti.
I ginnasiali raggiungono le file dei razziati, i professori in testa. Con loro, ci sono anche Mile Novakovic, insegnante di chimica, celibe, e Djordje Stefanov, di letteratura croata, anche lui rifugiato in Serbia con la moglie e le due figlie per sfuggire ai fascisti della Croazia. Quel giorno i due professori non hanno lezione. Ma quando hanno visto che in città i tedeschi rastrellavano, certi che la scuola non sarebbe stata risparmiata, sono venuti lo stesso, per essere insieme ai loro ragazzi. Li vogliono seguire fino in fondo. Andranno insieme a loro alla fucilazione. Del corpo insegnante, solo le donne non sono razziate. Dalle finestre della scuola vedono sfilare i professori e gli alunni, e "cento berretti levarsi in segno di saluto". I ragazzi credono ancora che torneranno.
Pochi sono i fortunati che riescono a filtrare tra le maglie di quella immensa rete gettata sulla città. Chi vi riesce, va a unirsi ai partigiani. Avrà sicuramente qualcuno da vendicare. Gli altri, a migliaia, ingrossano le colonne che tutto il giorno scorrono per Kragujevac dirette ai luoghi di raccolta. I razziati sono quasi 10.000, su meno di 30.000 abitanti che conta la città. I tedeschi non hanno tralasciato nemmeno il carcere. Ultimi ad arrivare, quei detenuti sono, con comunisti ed ebrei, i primi ad essere fucilati.
Dai luoghi dove sono concentrati in attesa di conoscere la loro sorte, la sera di quel 20 ottobre i prigionieri sentono le prime scariche di fucileria. È l'avvio della grande carneficina. Contando sulla sorpresa, e sulla iniziale "distrazione" dei fucilatori, alcuni dei condannati riescono a salvarsi. Qualcuno fugge appena messo in riga. Altri, come Zivotjin Jovanovic, alla scarica si getta a terra anche se non è colpito, poi balza e corre. Viene ricatturato a un posto di blocco. Tenta di nuovo la fuga, e il suo guardiano gli spara a bruciapelo. Gli sfiora l'inguine. Poi dopo avergli dato il colpo di grazia nella spalla invece che in testa, lo lascia a terra credendolo morto. L'uomo striscia tutta la notte a palmo a palmo finché arriva alla casa di un amico. È soccorso, si crede in salvo. Arrivano i fascisti serbi, che lo riprendono. Dopo averlo picchiato decidono che, essendo ormai in fin di vita, tanto vale lasciarlo morire. Ma l'uomo non muore.
Altri ancora devono la vita alla fortuna, alla professione, al sangue freddo che riescono ad avere anche in un tale frangente. A mano a mano che inquadrano i gruppi per condurli alla fucilazione, i tedeschi fanno la selezione. Alcuni criteri non sono molto chiari. Risparmiano, per esempio, gli elettricisti, gli idraulici, i panettieri. Altri lo sono di più. Ai loro collaboratori fascisti concedono di tirare fuori i loro amici e parenti. In questo mercato i fascisti serbi sono generosi. Arrivano a offrire dei ragazzi di 10/12 anni in cambio dei loro protetti. Viene risparmiato anche chi è cittadino di un paese alleato dell'Asse. O che lo faccia credere. Escono romeni, ungheresi. Un dalmata si dichiara italiano. Forse lo è davvero, forse è solo un croato acculturato italiano, bilingue. Ma riesce a salvarsi, e a salvare il ragazzo che gli è accanto, affermando alla guardia, con la sua "autorità" di "alleato", che non ha ancora 16 anni. Un serbo, invece, mostra un certificato bulgaro qualunque, rilasciato dalle truppe di Sofia che occupano il suo Paese di origine, e viene messo da parte.
Non fa nulla invece per salvarsi Jovan Kalafatic, professore, insegnante di religione, che invece potrebbe. Tutti sanno che è un fascista convinto. A scuola sospettano anche che sia un delatore, che alcuni professori progressisti siano finiti in galera per opera sua. Basterebbe che dica chi è. Kalafatic invece tace. Tace anche quando passano i fascisti serbi per la "loro" selezione. Forse, nelle lunghe ore della tragedia passate con il suo popolo, deve aver capito la vera natura dell'Ordine Nuovo nel quale crede. Va, volontariamente, alla fucilazione con gli altri. Vanno volontari anche due vecchi genitori che non vogliono abbandonare i figli. Alla fucilazione vanno, divisi in due gruppi, anche i 300 studenti ginnasiali e i loro professori. Alla testa di un gruppo vi è il preside del ginnasio. L'altro gruppo marcia verso la morte in fila indiana, le mani sulle spalle, come dovessero danzare il kolo, la danza nazionale serba. Poi, cantano. Intonano "Hej Slaveni!", l'inno antico e comune a tutti gli slavi. Cadono cantando.
Il massacro dura a lungo. Su un fronte di morte lungo oltre dieci chilometri, fuori della città le armi crepitano fino alle 14 del giorno 21 ottobre. Settemilatrecento uomini di Kragujevac dai 16 ai 60 anni cadono divisi in 33 gruppi. Dovevano essere 2300. I tedeschi hanno più che triplicato il "coefficiente dichiarato" di rappresaglia. I graziati sono circa 3000. Molti di questi sopravvissuti rientreranno a piangere un morto. Kragujevac onora la memoria dei suoi fucilati il sabato successivo al massacro. Il rito ortodosso per il quale il sabato è il giorno dei morti, vuole anche che per ogni morto sia accesa una candela gialla e per ogni candela, cui si accompagna un pane che è da benedire con il vino santo, il pope reciti la parola dei defunti. I sacerdoti rimasti a Kragujevac sono solo due. Altri sette sono stati fucilati. Ma il rito deve essere compiuto. Mentre le donne piantano le candele, presentano i pani, gridano il nome del defunto, i due preti cantano l'antica preghiera della liturgia veteroslava. Dandosi il cambio pregano per ventiquattro ore, dalle sette alle sette.
Inutilmente i nazisti tentano poi di nascondere la verità sulla strage, alterando registri, imbrogliando le cifre, esumando e cremando cadaveri. Kragujevac ha fatto il "suo" appello. È la prova che Zivotjin Jovanovic, l'uomo sopravvissuto tre volte, porta ai giudici di Norimberga: "...Quell'ottobre del 1941 a Kragujevac furono esposte più di settemila bandiere nere... nella chiesa vennero presentati e benedetti in un giorno più di settemila pani... E furono accese settemila e trecento candele...".
Dal 13 ottobre 1941 Kragujevac e la sua regione sono teatro di una vasta azione di rappresaglia, che i tedeschi stanno conducendo con spietata decisione contemporaneamente anche nel resto della Serbia. La ferocia di cui essi in quei giorni danno prova ha una ragione specifica contingente. La rapida vittoria dell'Asse ha dissolto uno Stato, il regno dei Karadjordjevic, ma non ha prostrato i popoli della Jugoslavia. L'illusione tedesca di una comoda permanenza in quella terra è stata presto delusa. Sin dai primi giorni dell'occupazione, i tedeschi hanno avuto filo da torcere. La guerra, che anche in Šumadija i resistenti fanno, è senza quartiere. Sabotaggi sensazionali e diversioni in grande stile si registrano sin dal mese di maggio. Linee telefoniche e telegrafiche vengono tagliate, ponti e strade ferrate saltano. Il movimento di resistenza cresce così rapidamente, ben presto è così ampio che i tedeschi e le truppe collaborazioniste del quisling serbo Milan Nedic abbandonano il presidio dei villaggi. Gli invasori si sentono troppo esposti, isolati, preferiscono arroccarsi in città. La lotta contro i patrioti la organizzano dai centri urbani, e la conducono secondo il metro nazista che misura in tutti gli slavi una razza inferiore, da sterminare. La traduzione pratica di questo principio è all'altezza della fama che si guadagnano. A Belgrado, una moto incendiata della Wehrmacht vale la vita di 122 serbi. Solo nella capitale, in sette mesi fucilano 4700 ostaggi.
Incredibilmente, gli hitleriani ritengono di poter coprire con la propaganda questo pugno di ferro che calano sul paese. Le argomentazioni che diffondono sono quelle care alla "dottrina" nazifascista dell'Ordine Nuovo Europeo. Ai contadini serbi dicono di averli salvati dagli ebrei e dai capitalisti, e promettono anche di salvarli dal bolscevismo semita, che sta per essere sicuramente sconfitto sul fronte orientale.
L'itinerario di questa vittoria, a Kragujevac può essere seguito sulla grande carta geografica che campeggia nel centro della città. Una croce uncinata segna la progressione delle forze dell'Asse in direzione di Mosca. Però, come altrove, nemmeno a Kragujevac terrore, repressione, lusinghe, denaro fatto circolare per corrompere, valgono a indebolire il sostegno alla lotta partigiana, a ridurne il seguito. A dare contorni netti alla situazione, le risposte alla propaganda tedesca non mancano. La carta geografica dell'Asse viene bruciata in pieno giorno. Il fuoco divora anche una delle fabbriche militari della città. Un treno di quaranta vagoni viene distrutto sulla linea Kragujevac-Kraljevo, provocando la morte di cinquanta tedeschi. Da vincitori e occupanti, i tedeschi si trovano nella condizione di assediati.
È Kragujevac, città da sempre ribelle, che prende il suo nome da kraguj, dal rapace grifone che popolava i sui boschi, che alimenta la Resistenza della zona. È questa città di antiche tradizioni nazionali e socialiste che guida la lotta della Šumadija, il cuore della Serbia. Gli operai comunisti che costituiscono il nerbo delle formazioni partigiane vengono dal suo arsenale militare. Dalle sue case dai cento nascondigli, che hanno già ingannato turchi e austroungarici, escono le armi, le munizioni, il materiale sanitario, i libri che donne, bambini e ragazzi portano quotidianamente ai combattenti del bosco.
Per contenere la sua iniziativa, per fronteggiare questa lotta di bande, che è lotta di popolo e che sconvolge gli schemi bellici dei signori nazisti della guerra, già alla fine dell'agosto 1941 Kragujevac conta la guarnigione tedesca più forte di tutta la Serbia centrale. Ma i due battaglioni e i mezzi corazzati di cui i tedeschi dispongono non sono sufficienti ad arrestare lo slancio delle tre compagnie partigiane che operano fuori della città. Né tantomeno la Gestapo è in grado di bloccare i gruppi clandestini che si annidano dentro. La loro azione anzi si fa sempre più audace, punta sul risultato militare, ma ricerca anche l'effetto psicologico. Per i partigiani, importante è non soltanto colpire il nemico, ma aiutare anche i serbi oppressi a sperare, a vivere. Una notte d'agosto, cento metri di ferrovia vengono fatti saltare in città, proprio sotto il naso dei tedeschi.
È una sfida, che ha sapore di beffa. In questa situazione, la rabbia e il desiderio di vendetta dei tedeschi crescono quotidianamente. Quando nel settembre 1941, la ribellione guadagna tutta la Serbia, e conseguentemente mette radici ancora più profonde in Šumadija, il generale Boehme, comandante delle forze tedesche nel Paese, considera che la misura è colma. Il prestigio dei suoi soldati deve essere risollevato, una dura lezione deve essere somministrata ai serbi. Una spietata repressione, da condurre senza esitazione, è decisa. A rendere più chiara la direttiva che passa ai subalterni, e che precisa la "filosofia" del comando tedesco, Boehme ricorda che "una vita umana non vale nulla", e che perciò per intimidire bisogna ricorrere a una "crudeltà senza eguali". A metà settembre i tedeschi passano all'azione. La macchina si mette in moto.
Per un mese la Serbia centrale è trasformata in un campo di sterminio.
A decine villaggi grandi e piccoli sono bruciati, spesso, come a Novo Mesto o a Debrc, con dentro gli abitanti. I serbi muoiono a migliaia, uccisi, massacrati. A Šabac, il 26 settembre, sono 3000 gli uomini dai 14 ai 70 anni che rimangono vittime della razzia tedesca. Cinquecento muoiono durante una marcia fatta fare al passo di corsa per 46 chilometri. Gli altri sono fucilati. Una sorte analoga hanno, il 10 ottobre, a Valjevo, 2200 ostaggi: finiscono al muro. "Pagano" 10 tedeschi uccisi e 24 feriti. Cinque giorni dopo, il 15, è "sentenziata" la punizione di Kraljevo, un'altra città che resiste. I plotoni di esecuzione lavorano per cinque giorni, le vittime sono 5000. Sembra impossibile immaginare una strage ancora più grande. Eppure, l'allucinante escalation non ha toccato la sua punta di massimo orrore.
Lo farà a Kragujevac, e nel suo circondario. La "spedizione punitiva" comincia il 13 ottobre. Quel giorno, nel quartiere operaio di Kragujevac, i tedeschi prendono 30 uomini. Per 3 giorni se li trascinano dietro nella puntata che fanno contro il paese vicino, Gornji Milanovac. Affamati, percossi, costretti a rimuovere tronchi d'albero e a tirare fuori dal fango carri armati, adoperati come scudo contro i partigiani, sono testimoni della sorte del piccolo paese di pastori. Vivono un'agonia che ha fine solo con il grande massacro, nel quale scompaiono anche i 132 ostaggi di Gornji Milanovac. In quanto al paese, anche questo viene bruciato. I tedeschi saldano così un vecchio conto che avevano in sospeso. Anche per questa impresa però devono pagare uno scotto. Trentasei uomini vengono messi fuori combattimento dai partigiani, che attaccano senza sosta.
Di fronte a questo "smacco" la logica tedesca della ritorsione non tarda a scattare. Sarà Kragujevac a pagare, con la vita di 100 cittadini ogni tedesco morto, e con quella di 50 ogni tedesco ferito. Duemilatrecento persone sono condannate a morte.
La rappresaglia punta per primo sui "nemici storici" del Reich: comunisti e ebrei. Gli ebrei maschi, e un certo numero di comunisti, 66 persone in tutto, vengono arrestati sulla base delle liste che i collaborazionisti forniscono. Ma questo non basta. Il giorno successivo, il 19 ottobre, una massiccia operazione ha luogo nell'immediata periferia della città. Tre paesi, posti nel giro di tre chilometri, sono travolti della furia tedesca. Grošnica, Meckovac, Maršic bruciano, 423 uomini muoiono. A Meckovac, donne e bambini sono costretti ad assistere all'esecuzione. Lo stesso macabro rituale è imposto a Grošnica, dove si distinguono i Volontari Anticomunisti di Dimitrjie Ljotic. Il paese quel giorno celebra la festa del patrono. I fascisti serbi strappano il pope dall'altare con il vangelo ancora in mano, i fedeli vanno a morire stringendo i pani benedetti della comunione ortodossa. Vengono falciati tutti lì vicino, con le mitragliatrici. Così, intorno a Kragujevac si è fatto un cerchio di morte. La prova generale è compiuta. Ora si passa al "grande massacro".
L'azione inizia la mattina del 20 ottobre. Alle prime luci dell'alba, gli accessi a Kragujevac vengono bloccati. Mitragliatrici sono postate nei punti nevralgici. Nessuno può più uscire dalla città, nessuno può più entrarvi. Chi, ignorando il dispositivo, si avvicina, viene ucciso. È quanto accade a uno zingaro, che arriva dalla campagna, a un vecchio che in città muove verso il mercato. Agli ordini del maggiore Koenig, tedeschi e collaborazionisti aprono la caccia all'uomo. Nessuno sfugge, nessuno è "dimenticato". Il gruppo di operai che lavora tranquillamente a un torrente, i tre popi di una chiesa, che sperano di trovare la salvezza dietro le icone. I razziatori entrano a stanare ovunque. Gli impiegati sono portati fuori dal municipio; giudici, scrivani, pubblico, dal tribunale. Dalle abitazioni vengono tratti anche gli ammalati. Un barbiere è prelevato dal negozio insieme al suo cliente, che con altri disgraziati marcia verso il suo destino, una guancia insaponata, l'altra no.
Alle dieci i tedeschi irrompono anche nei due ginnasi. L'apparizione di quelle uniformi verdi armate di fucili e parabellum, infrange la normalità forzata che da tre giorni nelle due scuole vige. Il barone Bischofhausen, il comandante tedesco della piazza, il 17 ha minacciato presidi, professori e genitori di severe sanzioni se i ragazzi non frequentavano la scuola. Lo ha fatto ripetere anche per le vie della città, a suon di tamburo, dal banditore pubblico. Li vuole tutti in aula, sempre. L'ufficiale tedesco, che da civile è insegnante, combatte l'assenteismo degli studenti non certo perché mosso da passione pedagogica. Chiedendo che proprio per quel giorno 20 tutti siano presenti, egli fa apparire di voler esercitare un controllo; che però si trasforma in una trappola. In realtà, egli non dimentica che i ginnasiali di Kragujevac hanno manifestato sin dai primi giorni la più violenta opposizione all'occupante. Un giovane è finito impiccato dopo uno scontro con la polizia. Il barone sa pure che anche in quelle aule la Resistenza attinge, per alimentare i suoi "gruppi d'azione", i suoi propagandisti e sabotatori.
L'ispezione annunciata per quel giorno è arrivata. I registri chiesti dal barone sono pronti. Arrivando quella mattina a scuola, i ragazzi hanno cancellato i loro nomi dall'elenco. Precauzione inutile. Non c'è appello. I tedeschi entrano direttamente nelle aule, e rastrellano. Hinaus, fuori tutti quelli dai 16 anni in su. Anche il ragazzo invalido che si trascina con la stampella, per il quale invano una professoressa intercede. Anche la classe che il professore di tedesco tenta di salvare. Ai soldati che si affacciano, il professore dice, per rabbonirli, che stanno facendo lezione di tedesco. Mente. E mente una seconda volta quando gli chiedono quanti anni hanno i suoi ragazzi. Quindici dice. I tedeschi, convinti, fanno per andarsene. Ma in quel momento un alunno si alza dall'ultimo banco. È lo spilungone della classe. I tedeschi, dalla soglia si girano, capiscono, e sbattono fuori tutti.
I ginnasiali raggiungono le file dei razziati, i professori in testa. Con loro, ci sono anche Mile Novakovic, insegnante di chimica, celibe, e Djordje Stefanov, di letteratura croata, anche lui rifugiato in Serbia con la moglie e le due figlie per sfuggire ai fascisti della Croazia. Quel giorno i due professori non hanno lezione. Ma quando hanno visto che in città i tedeschi rastrellavano, certi che la scuola non sarebbe stata risparmiata, sono venuti lo stesso, per essere insieme ai loro ragazzi. Li vogliono seguire fino in fondo. Andranno insieme a loro alla fucilazione. Del corpo insegnante, solo le donne non sono razziate. Dalle finestre della scuola vedono sfilare i professori e gli alunni, e "cento berretti levarsi in segno di saluto". I ragazzi credono ancora che torneranno.
Pochi sono i fortunati che riescono a filtrare tra le maglie di quella immensa rete gettata sulla città. Chi vi riesce, va a unirsi ai partigiani. Avrà sicuramente qualcuno da vendicare. Gli altri, a migliaia, ingrossano le colonne che tutto il giorno scorrono per Kragujevac dirette ai luoghi di raccolta. I razziati sono quasi 10.000, su meno di 30.000 abitanti che conta la città. I tedeschi non hanno tralasciato nemmeno il carcere. Ultimi ad arrivare, quei detenuti sono, con comunisti ed ebrei, i primi ad essere fucilati.
Dai luoghi dove sono concentrati in attesa di conoscere la loro sorte, la sera di quel 20 ottobre i prigionieri sentono le prime scariche di fucileria. È l'avvio della grande carneficina. Contando sulla sorpresa, e sulla iniziale "distrazione" dei fucilatori, alcuni dei condannati riescono a salvarsi. Qualcuno fugge appena messo in riga. Altri, come Zivotjin Jovanovic, alla scarica si getta a terra anche se non è colpito, poi balza e corre. Viene ricatturato a un posto di blocco. Tenta di nuovo la fuga, e il suo guardiano gli spara a bruciapelo. Gli sfiora l'inguine. Poi dopo avergli dato il colpo di grazia nella spalla invece che in testa, lo lascia a terra credendolo morto. L'uomo striscia tutta la notte a palmo a palmo finché arriva alla casa di un amico. È soccorso, si crede in salvo. Arrivano i fascisti serbi, che lo riprendono. Dopo averlo picchiato decidono che, essendo ormai in fin di vita, tanto vale lasciarlo morire. Ma l'uomo non muore.
Altri ancora devono la vita alla fortuna, alla professione, al sangue freddo che riescono ad avere anche in un tale frangente. A mano a mano che inquadrano i gruppi per condurli alla fucilazione, i tedeschi fanno la selezione. Alcuni criteri non sono molto chiari. Risparmiano, per esempio, gli elettricisti, gli idraulici, i panettieri. Altri lo sono di più. Ai loro collaboratori fascisti concedono di tirare fuori i loro amici e parenti. In questo mercato i fascisti serbi sono generosi. Arrivano a offrire dei ragazzi di 10/12 anni in cambio dei loro protetti. Viene risparmiato anche chi è cittadino di un paese alleato dell'Asse. O che lo faccia credere. Escono romeni, ungheresi. Un dalmata si dichiara italiano. Forse lo è davvero, forse è solo un croato acculturato italiano, bilingue. Ma riesce a salvarsi, e a salvare il ragazzo che gli è accanto, affermando alla guardia, con la sua "autorità" di "alleato", che non ha ancora 16 anni. Un serbo, invece, mostra un certificato bulgaro qualunque, rilasciato dalle truppe di Sofia che occupano il suo Paese di origine, e viene messo da parte.
Non fa nulla invece per salvarsi Jovan Kalafatic, professore, insegnante di religione, che invece potrebbe. Tutti sanno che è un fascista convinto. A scuola sospettano anche che sia un delatore, che alcuni professori progressisti siano finiti in galera per opera sua. Basterebbe che dica chi è. Kalafatic invece tace. Tace anche quando passano i fascisti serbi per la "loro" selezione. Forse, nelle lunghe ore della tragedia passate con il suo popolo, deve aver capito la vera natura dell'Ordine Nuovo nel quale crede. Va, volontariamente, alla fucilazione con gli altri. Vanno volontari anche due vecchi genitori che non vogliono abbandonare i figli. Alla fucilazione vanno, divisi in due gruppi, anche i 300 studenti ginnasiali e i loro professori. Alla testa di un gruppo vi è il preside del ginnasio. L'altro gruppo marcia verso la morte in fila indiana, le mani sulle spalle, come dovessero danzare il kolo, la danza nazionale serba. Poi, cantano. Intonano "Hej Slaveni!", l'inno antico e comune a tutti gli slavi. Cadono cantando.
Il massacro dura a lungo. Su un fronte di morte lungo oltre dieci chilometri, fuori della città le armi crepitano fino alle 14 del giorno 21 ottobre. Settemilatrecento uomini di Kragujevac dai 16 ai 60 anni cadono divisi in 33 gruppi. Dovevano essere 2300. I tedeschi hanno più che triplicato il "coefficiente dichiarato" di rappresaglia. I graziati sono circa 3000. Molti di questi sopravvissuti rientreranno a piangere un morto. Kragujevac onora la memoria dei suoi fucilati il sabato successivo al massacro. Il rito ortodosso per il quale il sabato è il giorno dei morti, vuole anche che per ogni morto sia accesa una candela gialla e per ogni candela, cui si accompagna un pane che è da benedire con il vino santo, il pope reciti la parola dei defunti. I sacerdoti rimasti a Kragujevac sono solo due. Altri sette sono stati fucilati. Ma il rito deve essere compiuto. Mentre le donne piantano le candele, presentano i pani, gridano il nome del defunto, i due preti cantano l'antica preghiera della liturgia veteroslava. Dandosi il cambio pregano per ventiquattro ore, dalle sette alle sette.
Inutilmente i nazisti tentano poi di nascondere la verità sulla strage, alterando registri, imbrogliando le cifre, esumando e cremando cadaveri. Kragujevac ha fatto il "suo" appello. È la prova che Zivotjin Jovanovic, l'uomo sopravvissuto tre volte, porta ai giudici di Norimberga: "...Quell'ottobre del 1941 a Kragujevac furono esposte più di settemila bandiere nere... nella chiesa vennero presentati e benedetti in un giorno più di settemila pani... E furono accese settemila e trecento candele...".
(srpskohrvatski / italiano)
Iniziative segnalate
1) Trieste 20/10: BALKAN BEAT PARTY with NEMA PROBLEMA ORKESTAR & DJ STONER
2) Novi broj NOVOG PLAMENA u knjižarama i na kioscima širom regiona/regije
3) Beograd 24/10: ŠETNJA ZAHVALNOSTI
4) Bihać 23.-24.11.2012: 70 godina AVNOJ-a i Bihaćke republike
=== 1 ===
BALKAN BEAT PARTY with NEMA PROBLEMA ORKESTAR & DJ STONER
Evento pubblico · Creato da BALKAN BEAT TRIESTE
Sabato 20 ottobre 2012
dalle 22.30 fino alle 4.00
Sabato 20 ottobre, lo stabilimento Ausonia ospita l’appuntamento mensile con il Balkan Beat Party, come sempre curato da dj Stoner.
Questa volta ci sono degli ospiti d’eccezione: i Nema Problema! Orkestar.
Milano è la città, l'anno il 2004: sette musicisti provenienti dalle più svariate esperienze decidono di dare vita a un progetto di musica di strada, che ruota attorno alle tradizioni musicali dell'est Europa e del bacino del Mediterraneo orchestrando un repertorio originale dal sapore popolare e dai confini molto ampi: si mischiano musiche balcaniche e klezmer alle influenze eurocolte, allo swing in sano
approccio maccheronico.
Sempre ballabile, non meno raffinato all'ascolto attento.
La ricercata qualità musicale, spinta dall'esuberanza dei fiati e delle percussioni, è tessuta nella trama di un divertente spettacolo
musicale, capace di improvvisare e di rubare tutti i segreti dell'arte di strada.
La formazione conta nove elementi (a volte 7 a volte 12, chi c'è suona, comunque vada: Nema Problema!): tre trombe, sassofoni alto e tenore, il Susafono, un bombardino, una chitarra e la batteria.
L'ultimo Tour PanESTeuropeo 2011 ha toccato città come Berlino, Praga, Brno, Budapest, Belgrado, Dubrovnik e sono stati premiati due volte al 51° Festiva Sabor Trubači di Guča (Serbia), prestigioso tempio della musica Balcanica: terzi classificati alla competizione internazionale di fanfare e insigniti del premio del pubblico istituito dal giornale "Alo".
L'Orchestra Nema Problema! ha suonato in tutta Italia ospite di numerosi concerti, festival e teatri, e all'estero a Londra, Bruxelles, Istanbul, Berlino e Lisbona.
Sono orgogliosi di presentare il loro terzo disco autoprodotto "L'Amo" , lavoro registrato in studio, raffinato e artigianale.
Prima e dopo l’esibizione dei Nema Problema, dj Stoner intratterrà
il pubblico con una selezione di scatenati brani balkan/gypsy,
per arrivare fino a notte fonda.
ingresso 5 euro
Questa volta ci sono degli ospiti d’eccezione: i Nema Problema! Orkestar.
Milano è la città, l'anno il 2004: sette musicisti provenienti dalle più svariate esperienze decidono di dare vita a un progetto di musica di strada, che ruota attorno alle tradizioni musicali dell'est Europa e del bacino del Mediterraneo orchestrando un repertorio originale dal sapore popolare e dai confini molto ampi: si mischiano musiche balcaniche e klezmer alle influenze eurocolte, allo swing in sano
approccio maccheronico.
Sempre ballabile, non meno raffinato all'ascolto attento.
La ricercata qualità musicale, spinta dall'esuberanza dei fiati e delle percussioni, è tessuta nella trama di un divertente spettacolo
musicale, capace di improvvisare e di rubare tutti i segreti dell'arte di strada.
La formazione conta nove elementi (a volte 7 a volte 12, chi c'è suona, comunque vada: Nema Problema!): tre trombe, sassofoni alto e tenore, il Susafono, un bombardino, una chitarra e la batteria.
L'ultimo Tour PanESTeuropeo 2011 ha toccato città come Berlino, Praga, Brno, Budapest, Belgrado, Dubrovnik e sono stati premiati due volte al 51° Festiva Sabor Trubači di Guča (Serbia), prestigioso tempio della musica Balcanica: terzi classificati alla competizione internazionale di fanfare e insigniti del premio del pubblico istituito dal giornale "Alo".
L'Orchestra Nema Problema! ha suonato in tutta Italia ospite di numerosi concerti, festival e teatri, e all'estero a Londra, Bruxelles, Istanbul, Berlino e Lisbona.
Sono orgogliosi di presentare il loro terzo disco autoprodotto "L'Amo" , lavoro registrato in studio, raffinato e artigianale.
Prima e dopo l’esibizione dei Nema Problema, dj Stoner intratterrà
il pubblico con una selezione di scatenati brani balkan/gypsy,
per arrivare fino a notte fonda.
ingresso 5 euro
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NOVI PLAMEN |
Broj 17 - Sadržaj UVODNE MISLI 3 Pelagius, O bogatstvu HRVATSKA 4 Jasna Tkalec, Klub Dante i Hrvatska 7 Karolina Leaković, Žene i oskudica BIH 9 BiH Goran Marković, Kako do promjena u Bosni i Hercegovini? 14 Zlatiborka Popov Momčinović, Neko je rekao veronauka?! Refleksije na bosanskohercegovačka iskustva SLOVENIJA 18 SLOVENIJA Sonja Lokar, Slovenija: sve se vraća, sve se plaća SRBIJA 20 Branko Mišović, O kontinuitetu državnih institucija u Jugosferi: slučaj Srbije 25 Miloš Ranković, Reformisani, pa na čelo Vlade CRNA GORA 29 Filip Kovačević, Proljeće crnogorske pobune INTERVIEW 32 Richard Jolly, Demilitarizacija zahtijeva vizionarsko vodstvo 37 Franco Cassano, Graditi na pijesku 40 Ivan Ergić, Sport: ideologija u svom čistom obliku SVIJET U 21. STOLJEĆU 44 10 GODINA terorističkih konc-logora u "ratu protiv terora" 47 Bill Van Auken, Nakon NATO summita: pokolj u Afganistanu i Pakistanu se nastavlja 49 James Cogan i John Walters, Afganistanski glas protiv okupacije predvođene SAD-om 52 Manlio Danucci, Nakon pokolja nevinih 53 Eric Stoner, Zunesova kritika rata sa Libijom i predlog nenasilne alternative 54 Mladen Jakopović, Nenasilnim otporom Palestinaca smirio bi se ekstremizam 56 Anastas Vangeli, Kina: priča dvadeset i prvog vijeka 62 Goran Marković, Uspon i dometi grčke radikalne ljevice 67 Jasna Tkalec, Italija: kako ponovo oživeti Lazara? 76 Friedrich Burschel, Savremena Nemačka: ukratko o ekstremizmu 80 Ivica Mladenović, Socijalističke magle i vidici: istorijsko zaleđe, aktuelno stanje i potencijal za strukturnu transformaciju u Francuskoj EVROPSKA DEMOKRATSKA LJEVICA 102 Leo Furtlehner, Situacija na levici u Austriji 107 Thomas Kachel, Ljevica u Britaniji: prema novom ustroju 112 Dag Seirstad, Ljevica u Norveškoj: politika vlade lijevog centra 116 Antti Alaja, Progresivni pokret u Finskoj i crveno-zelena agenda 118 Cornelia Hildebrandt, Die Linke u Nemačkoj SUVREMENA SOCIJALDEMOKRACIJA 124 Vicente Navaro, Postoji alternativa! Kako bi Španija mogla voditi ekspanzionističku politiku 126 Dany Rodrik, Proizvodnja: put do razvijene ekonomije 128 Klaus Mehrens, Učešće zaposlenih u razvojnoj politici 129 Goran Lukić, Nova ekonomija nasuprot starom načinu 131 Andrea Nahles, Obnova partija tiče se demokratije i učešća 132 Markus Roberts i Daniel Elton, Zašto partije treba ponovo da postanu pokreti? TEMA BROJA: Komercijalizacija obrazovanja i studentski otpor 134 Todor Kuljić, Studentski delatni otpor kapitalizmu 137 Jana Bačević, Konflikti u polju visokog obrazovanja danas: izazov nalaženja alternativa između masifikacije, komodifikacije i neokonzervativizma 140 Emin Eminagić, Direktno-demokratsko društvo: analiza novog vala studentskih protesta u zemljama bivše Jugoslavije 143 Sanja Petkovska, Globalna restrukturacija obrazovnih sistema: neke od pretpostavki procesa 147 Bojan Maričik, Da li demokratizacija studentskog pokreta može pripremiti studente za borbu za bolju poziciju, unatoč komercijaliziranog obrazovanja? 151 Pavluško Imπirović, Omladinski pokret u Jugoslaviji i Srbiji: juče i danas POGLEDI 160 Darko Suvin, Petnaest teza o komunizmu i Jugoslaviji, ili dvoglavi Janus oslobođenja kroz državu 169 Andrea Martocchia, Intelektualrijat 180 Aleksa Milojević, Razvoj svojine temeljni je faktor ekonomskog napretka 183 Ljubomir Cuculovski, Neki aspekti raspadanja SFRJ 189 Zagorka Golubović, Kriza demokratske tranzicije u Srbiji SOCIJALNO KRŠĆANSTVO 193 Francis McDonagh, Dom Hélder Câmara: od moći do proročanstva SINDIKATI 196 Martin Thomas, Politički fondovi sindikata u Britaniji 198 Hilary Wainwright, Novi sindikalizam u nastanku 203 Michael Hurley i Sam Gindin, Napad na javne usluge: hoće li sindikati žaliti zbog napada ili povesti otpor? 196 Martin Thomas, PolitiËki fondovi sindikata u Britaniji 209 Pavle Vukčević, Sindikati kao akteri postizbornih promjena u RH: moć i nemoć sindikata HISTORIJSKA PITANJA 211 Goran Marković, Talas rehabilitacija u Srbiji SJEĆANJE 214 Dragoljub Stojanov, Branko Horvat: Čovjek koji je previše znao DOKUMENTI 215 Prvi Balkanski Forum: drugačiji Balkan je moguć PRIKAZI 218 Milan Vukomanović, Srbija i moderna (Đokica Jovanović: "Prilagođavanje") 219 Merima Omeragić, Skepsa kao postupak: pad od visokog modernizma u postmodernu (Ranko Marinković, "Kiklop") 223 Zlatko Jelisavac, Kultura sećanja (Todor Kuljić, "Sećanje na titoizam") 224 Srećko Horvat, U zemlji krvi i novca (Angelina Joly, "In tha land og blood and honey") KULTURA 229 Jasna Tkalec, Ispod mosta Mirabeau 236 Vladan Milanko, Dok čekamo na film o Ratku Mladiću: film i ideologija danas i ovde POEZIJA 240 Darko Suvin, Političke pjesni za Zagrebom PRAVA ŽIVOTINJA 244 Umberto Veronesi, Vegetarijanstvo je izbor zdravlja, a ne samo etički izbor 244 Prijatelji životinja, Život svinja 247 Snježana Klopotan, Zakon o zaštiti životinja 249 Hrvoje Jurić, Veliki ciljevi i mali koraci 252 Prijatelji životinja, Saborski zastupnici i zaštita životinja 253 Osjećaju li kukci bol? |
Novi broj Novog Plamena u knjižarama i na kioscima širom regiona/regije
Drage drugarice i dragi drugari,
Pr(ij)e nekog vremena je na više od 260 str. izašao novi broj Novog Plamena, regionalnog časopisa demokratske l(j)evice za politička, kulturna i društvena pitanja. Novi Plamen je jedini časopis toga tipa na ovim našim prostorima. U telu poruke vam šaljemo gde se časopis tačno može nabaviti u Hrvatskoj, Srbiji, BiH i Makedoniji.
Za dodatne informacije vid(j)eti:
www.noviplamen.org,
naš blog: http://noviplamen.net/kako-nabaviti-novi-plamen/
ili pisati na:
redakcija@...
Drugarski pozdrav i hvala svima na podršci,
Redakcija časopisa
SRBIJA
BEOGRAD
• Centar za kulturnu dekontaminaciju (CZKD)
Birčaninova, br. 21
Paviljon Veljković
• Knjižarsko-izdavačka zadruga "Baraba"
Solunska 18
• Knjižara “Plavi krug”
Takovska ulica
preko puta državne televizije (na uglu Takovske i Majke Jevrosime)
• Knjižara ”Beopolis”
Makedonska 22
• Knjižara ”Zepter Book World”
Knez Mihailova 42
• Knjižara ”DELFI” SKC
• Knižara ”Aleksandar Belić”
Studentski trg 5
NOVI SAD
• Omladinski centar CK13
Vojvode Bojovića, br. 13
• Knjižara ”Solaris”
Sutjeska 2
• Knjižara ”Mala velika knjiga”
Ignjata Pavlasa 4
BOSNA I HERCEGOVINA
BANJALUKA
• Knjižara Litera
ulica Jevrejska
MAKEDONIJA
SKOPJE
• Knizara Kultura - Plostad Makedonija
• Knizara na Ekonomski Fakultet pri Univerzitet Sv. Kiril i Metodij
HRVATSKA
• ŠKOLSKA KNJIGA (www.skolskaknjiga.hr)
ZAGREB
• Bogovićeva 1a
• Masarykova 28
• Ivana Lučića 3 (Filozofski fakultet)
• Trg bana Josipa Jelačića 14 (zatvorena zbog preuređenja)
BJELOVAR
• Gundulićeva 8
ČAKOVEC
• Kralja Tomislava 6
DUBROVNIK
• Poljana Paska Miličevića 1
GOSPIĆ
• Dr Ante Starčevića 17
KARLOVAC
• Stjepana Radića 7
METKOVIĆ
• Ante Starčevića b.b.
OSIJEK
• Trg A. Starčevića 12
POŽEGA
• Trg Sv. Trojstva 7
PULA
• Forum 6
RIJEKA
• Ignacija Henckea 1B
SINJ
• Trg kralja Tomislava 3
SISAK
• Trg bana Josipa Jelačića 6
SPLIT
• Trg braće Radića 7
VARAŽDIN
• Janka Draškovića 2
• Stanka Vraza 8
VINKOVCI
• Duga ulica 27
VUKOVAR
• Dr Franje Tuđmana 13
Pr(ij)e nekog vremena je na više od 260 str. izašao novi broj Novog Plamena, regionalnog časopisa demokratske l(j)evice za politička, kulturna i društvena pitanja. Novi Plamen je jedini časopis toga tipa na ovim našim prostorima. U telu poruke vam šaljemo gde se časopis tačno može nabaviti u Hrvatskoj, Srbiji, BiH i Makedoniji.
Za dodatne informacije vid(j)eti:
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Drugarski pozdrav i hvala svima na podršci,
Redakcija časopisa
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Birčaninova, br. 21
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Solunska 18
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preko puta državne televizije (na uglu Takovske i Majke Jevrosime)
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• Knjižara ”Zepter Book World”
Knez Mihailova 42
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OSIJEK
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PULA
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RIJEKA
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SINJ
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SPLIT
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• Stanka Vraza 8
VINKOVCI
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VUKOVAR
• Dr Franje Tuđmana 13
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ŠETNJA ZAHVALNOSTI - Konferencija za štampu |
ŠETNJA ZAHVALNOSTI - SEĆANJE NA PONOSNU SRBIJU 1912. 24. OKTOBAR 2012. u 12 č. ispred VLADE REPUBLIKE SRBIJE Facebook event: https://www.facebook.com/events/480035498693648/ Nikad nam kao danas -- ceo vek posle Kumanovske bitke, koja je rešila Prvi balkanski rat -- iz slavnog primera naših predaka nije dolazilo toliko teških pitanja i, istovremeno, nikad nam se nije nudilo toliko jednostavnih odgovora. Pošto je, nošena neponovljivim istorijskim poletom, mobilisala vojsku od preko 240 hiljada ljudi -- više od 40 odsto aktivnog muškog stanovništva -- srpska Vrhovna komanda, na čelu sa tada generalom Radomirom Putnikom, ni nedelju dana posle objave rata Turskoj, vodila je 23. i 24. oktobra 1912. (po novom kalendaru) odsudnu bitku. Posle dvodnevnog sudara oružja u okolini Kumanova, neprijatelj je nateran na povlačenje a slavna Srpska vojska oslobodila Kosovo i Makedoniju, do tada više od pola milenijuma pod turskom okupacijom. Iako u zapadnoj politici nije bilo oduševljenja za srpske oslobodilačke akcije, istorijski trijumf omogućilo je formiranje Balkanskog saveza Srbije, Crne Gore, Grčke i Bugarske, pod pobedničkom devizom -- „Balkan balkanskim narodima". Bio je to najsvetliji primer šta ujedinjeni mogu mali narodi, kada sopstvene interese pretpostave interesima velikih sila. Vek kasnije, naraštaj naših otaca i naš pokazao se nedostojnim velike misije naših predaka iz Balkanskih ratova. Razjedinjeni i posvađani u spolja i iznutra razorenoj zemlji, uplašeni pretnjama i zavedeni obećanjima zapadnih sila -- vodeći deo ovog naraštaja gotovo je poništio velika postignuća slavnih predaka i svojim istorijskim iluzijama žrtvovo i klicu svakog narodog postojanja -- slobodu. Ima li danas mesta na svetu pred kojim će se sve srpske omraze, sukobi i iluzije pokazati toliko malim i nedostojnim, ima li mesta koje nas toliko napaja zaboravljenom idejom slobode, kao što je to grob Vojvode Putnika, vojnog stratega velikih srpskih pobeda koji je znao i to koliko solidarnost može da nas ujedini, pa je u tim istim Balkanskim ratovima naredio da dnevnica potporučnika i vojvode bude ista -- tri dinara? Ima li, onda, mesta na svetu pred koje ćemo izaći toliko mali i nedostojni, sa toliko razloga da tražimo oproštaj za istorijski udes za koji smo odgovorni? Zato naše sećanje na Vojvodu Putnika i veliki naraštaj srpske Vojske koji je predvodio, danas nije samo izraz pijeteta prema velikanu slavnog srpskog oružja već i naš izraz stida sopstvenim naraštajem, koji nedovoljno razume koliko sloboda manje košta kada se čuva nego kada se ponovo osvaja. Uvereni da taj milenijumski temelj slobode, na kome je čvrsto stajao identitet naših predaka, nije mogao netragom nestati i da je negde duboko zapreten u svima nama, pozivamo sve koji u to veruju, bez obzira na političke stavove i razlike, da u sredu 24. oktobra 2012, na samu stogodišnjicu Kumanovske pobede, zajedno pohodimo grob Vojvode Putnika, na koji ćemo položiti venac i zapaliti sveće. Okupljanje i „Šetnja zahvalnosti -- Sećanje na ponosnu Srbiju 1912", na koju su pozvani svi i u kojoj će biti mesta za svakog, počeće tačno u podne pred Vladom Republike Srbije, u Nemanjinoj ulici, odakle ćemo se zaputiti prema Aleji velikana na Novom groblju. Neka nas slavni grob ujedini! Neka nas ponovo osvoji idejom slobode! Neka nas nadahne za pregnuća dostojna slavnih predaka! Živela Slobodna Srbija! Ana Radmilović Milo Lompar Branko Pavlović Slavoljub Kačarević Slobodan Antonić Boris Malagurski Željko Cvijanović |
=== 4 ===
70 godina AVNOJ-a
Evento pubblico · Creato da Antifašistička liga Jugoistočne Evrope
23 novembre alle ore 9.00 fino a 24 novembre alle ore 20.00
Ove godine navšava se 70 godina od osnivanja AVNOJ-a (Antifašističkog vijeća narodnog oslobođenja Jugoslavije) Značaj ovog događaja za sve narode na prostoru Balkana i uopšte daljnjeg vođenja oslobodilaćkog rata pod vodstvom vrhovnog komadanta Partizanskog pokreta u Jugoslaviji je nemjerljiv.
18. oktobra 1942. Vrhovni stab na čelu sa Josipom Brozom Titom naredjuje Vrhovnom stabu NOP i DV za Krajinu da se izvrsi priprema za Bihacku operaciju. Ova naredba morala se sprovesti najkasnije do 05. novembra kako bi se time proslavila 25-godisnjica Oktobarske revolucije... Po naredbi Vrhovnog staba u napadu ce ucestvovati 4 krajiške, 4 licke i 1 proleterska brigada... Istog dana Vrhovni stab izdaje naredjenje Hrvatskom glavnom stabu da sa najmanje dvije brigade koordinira sa Krajisnicima u napadu na Bihac tako sto ce oko 1.novembra preduzeti jednu vecu diverziju na dijelu istocne Banije, a Krajisnicima je naredjeno da u isto vrijeme preduzmu diverzije prema Bosanskom Novom i Kljucu...
04.novembra oslobodjen je Bihac i Licko Petrovo Selo, a partizanske jedinice su nastavile napredovanje u pravcu Slunja, Cazina i Bosanske Krupe. Kompletnom operacijom komandovao je Kosta Nadj, a nakon okoncanja operacije 06. novembra oslobodjen je grad Slunj i Cazin sa okolnim selima, a neprijateljska vojska se nasla u obruču na prostoru izmedju Slunja i Gospica...
Tako su stvoreni uslovi za odrzavanje prvog zasjedanja AVNOJ-a u Bihacu na kojem su prakticno udareni temelji buducoj zajednickoj drzavi Socijalistickoj Federativnoj Republici Jugoslaviji. Slobodni teritorij proglasen je Bihackom Republikom a bio je to tada najveci slobodni teritorij u Evropi kojeg su kontrolisale partizanske snage NOP Jugoslavije...
Program u Bihaću 23.11.2012
(Petak)
9.00 do 12.00 - Doček gostiju ispred Muzeja Prvog zasjedanja AVNOJ-a
13.00 - Polaganje cvijeća na partizansko spomen obilježje Borići.
Organizirani polazak u 12.30 ispred muzeja AVNOJ-a
14.00 - Svečana sjednica povodom 70-te godišnjice AVNOJ-a
Sala Kulturnog centra (Dom Armije)
BIŠĆU BUDI NAM KOLIJEVKOM
Kulturno zabavni program u spomen AVNOJ-u
U okviru programa predviđeno je obraćanje predstavnika
Iz svake Yu-republike po jedan
20.00 Druženje gostiju u ugostiteljskom objektu
caffe-bar ,,Marshal“ i ,,Paviljon“ uz
PARTIZANSKO PIVO
24.11.2012 godine
8.00 – Organizirani odlazak u Jajce
71. godišnjica Drugog zasjedanja AVNOJ-a.
Polazak sa Trga M. Tita u Bihaću
Bihaćka republika
Bihaćka republika je simboličan naziv za jedinstvenu oslobođenu teritoriju koja je nastala poslije — bihaćke operacije i oslobođenja Bihaća 4. novembra 1942. spajanjem do tada oslobođenih teritorija Bosanske krajine i susjednih oblasti Hrvatske. Bihać je od tada do kraja januara 1943. bio sjedište CK KPJ (centralnog komiteta Komunističke partije Jugoslavije) i Vrhovnog štaba NOV i POJ Narodno-oslobodilačke vojske i Partizanskih odreda Jugoslavije) i centar te teritorije. Ofanzivnim dejstvom NOVJ, posebno u srednjoj Bosni, ova slobodna teritorija je proširivana do sredine januara 1943. godine. Prostirala se od prilaza Karlovcu i Zagrebu, do rjeke Bosne i Neretve i zahvatala je oko 50.000 km2.
Razvitak Narodno-oslobodilačkog pokreta, dostigao je na ovoj teritoriji najviši stepen. Tu su, u novembru 1942. godine, formirane prve divizije i korpusi NOVJ, čija je dejstva usmjeravao Vrhovni štab. Teritorija republike bila je poprište zimskih operacija okupatorsko-kvinsliških snaga (Vajs 1 i 2) i bitke na Neretvi. (Četvrta neprijateljska ofanziva 1943.).
Onivanjem Privremenog upravnog odsjeka pri Vrhovnom štabu, 22. oktobra, koji je trebao da usmjerava rad NO (Narodnih odbora) i vojno-teritorijalnih organa, a zatim Izvršnog odbora AVNOJ-a. 26/27. novembra 1942., na ovoj tertoriji je bio izgrađen jedinstven sistem vlasti. Na teritoriji 30 srezova sprovedeni su izbori za mjesne, opštinske i sreske, a u nekim krajevima i okružne NOO (Narodno-oslobodilačke odbore) — komandi mjesta i komandi područja. Na inicijativu Izvršnog odbora AVNOJ-a razvijena je politička, privredna i prosjvetna aktivnost. Podstaknut je razvoj proizvodnje, organizovanja razmjena i saobraćaj, sprovedena kampanja prikupljanja dobrovoljnih priloga naroda za snabdjevanje vojnih jedinica, akcija otvaranja osnovnih škola i drugih oblika prosvjećivanja naroda, osnovano je Pozorište narodnog oslobođenja, unapređena zdravstvena služba i razni oblici socijalne zaštite (zbrinjavanje izbeglica, osnivanje domova za nezbrinutu djecu i dr.). Pored ovih aktivnosti NOO i KPJ je radila na razvijanju antifašističke organizacije žena i omladine. Održani su osnovačka konferencija AFŽ (Antifašističkog fronta žena) Jugoslavije u Bosanskom Petrovcu od 6. do 8. decembra i osnivački kongres USAOJ-a u Bihaću, od 27. do 29. decembra 1942.godine.
Kao izraz izvojevanih pobjeda u ratu protiv okupatora i domaćih kolaboracionista i stepena razvitka NOP-a, Bihaćka republika je uticala na jačanje međunarodnog položaja NOP-a. Nastala je u doba prelomnih bitaka na sovjetsko-njemčkom frontu i na frontu u Africi, ona je pobudila zanimanje sila Osovine i sila antihitlerovske koalicije. Računajući s mogućnošću skore invazije anglo-američkih trupa na evropsko Sredozemlje i prije svega na Balkan, Hitler je smatrao da bi NOV mogla da ugrozi odbranu Balkana. Zato je donio odluku o zimskim operacijama Vajs (Weiss) za uništenje „Titove države“ kako je sam nazivao oslobođenu tritoriju sa centrom u Bihaću. Sa istog stanovišta poraslo je i zanimanje za događaje u Jugoslaviji kod vlada antihitlerovske koalicije. To se pokazalo, u pojačanom nastojanju britanske vlade da odvrati četnike Draže Mihailovića od saradnje sa okupatorom i s druge strane, u njenoj odluci da stupi u kontakt sa Vrhovnim štabom NOV i POJ.
Oslanjajući se na izbvojevane pobjede i stepen razvitka NOP-a, u vreme Bihaćke republike, CK KPJ, još odlučnije kreće u borbu za mađunarodno priznanje NOP-a, što je bilo izraženo i osnivanjem AVNOJ-a i posebno prvom notom koju su Izvršni odbor AVNOJ-a i Vrhovni štab NOV i POJ uputili vladama sila antifašističke koalicije iz Bihaća januara 1943. godine. U toj noti su otvoreno postavili pitanje izdajničke aktivnosti vlade Kraljevine Jugoslavije u izbeglištvu.
18. oktobra 1942. Vrhovni stab na čelu sa Josipom Brozom Titom naredjuje Vrhovnom stabu NOP i DV za Krajinu da se izvrsi priprema za Bihacku operaciju. Ova naredba morala se sprovesti najkasnije do 05. novembra kako bi se time proslavila 25-godisnjica Oktobarske revolucije... Po naredbi Vrhovnog staba u napadu ce ucestvovati 4 krajiške, 4 licke i 1 proleterska brigada... Istog dana Vrhovni stab izdaje naredjenje Hrvatskom glavnom stabu da sa najmanje dvije brigade koordinira sa Krajisnicima u napadu na Bihac tako sto ce oko 1.novembra preduzeti jednu vecu diverziju na dijelu istocne Banije, a Krajisnicima je naredjeno da u isto vrijeme preduzmu diverzije prema Bosanskom Novom i Kljucu...
04.novembra oslobodjen je Bihac i Licko Petrovo Selo, a partizanske jedinice su nastavile napredovanje u pravcu Slunja, Cazina i Bosanske Krupe. Kompletnom operacijom komandovao je Kosta Nadj, a nakon okoncanja operacije 06. novembra oslobodjen je grad Slunj i Cazin sa okolnim selima, a neprijateljska vojska se nasla u obruču na prostoru izmedju Slunja i Gospica...
Tako su stvoreni uslovi za odrzavanje prvog zasjedanja AVNOJ-a u Bihacu na kojem su prakticno udareni temelji buducoj zajednickoj drzavi Socijalistickoj Federativnoj Republici Jugoslaviji. Slobodni teritorij proglasen je Bihackom Republikom a bio je to tada najveci slobodni teritorij u Evropi kojeg su kontrolisale partizanske snage NOP Jugoslavije...
Program u Bihaću 23.11.2012
(Petak)
9.00 do 12.00 - Doček gostiju ispred Muzeja Prvog zasjedanja AVNOJ-a
13.00 - Polaganje cvijeća na partizansko spomen obilježje Borići.
Organizirani polazak u 12.30 ispred muzeja AVNOJ-a
14.00 - Svečana sjednica povodom 70-te godišnjice AVNOJ-a
Sala Kulturnog centra (Dom Armije)
BIŠĆU BUDI NAM KOLIJEVKOM
Kulturno zabavni program u spomen AVNOJ-u
U okviru programa predviđeno je obraćanje predstavnika
Iz svake Yu-republike po jedan
20.00 Druženje gostiju u ugostiteljskom objektu
caffe-bar ,,Marshal“ i ,,Paviljon“ uz
PARTIZANSKO PIVO
24.11.2012 godine
8.00 – Organizirani odlazak u Jajce
71. godišnjica Drugog zasjedanja AVNOJ-a.
Polazak sa Trga M. Tita u Bihaću
Bihaćka republika
Bihaćka republika je simboličan naziv za jedinstvenu oslobođenu teritoriju koja je nastala poslije — bihaćke operacije i oslobođenja Bihaća 4. novembra 1942. spajanjem do tada oslobođenih teritorija Bosanske krajine i susjednih oblasti Hrvatske. Bihać je od tada do kraja januara 1943. bio sjedište CK KPJ (centralnog komiteta Komunističke partije Jugoslavije) i Vrhovnog štaba NOV i POJ Narodno-oslobodilačke vojske i Partizanskih odreda Jugoslavije) i centar te teritorije. Ofanzivnim dejstvom NOVJ, posebno u srednjoj Bosni, ova slobodna teritorija je proširivana do sredine januara 1943. godine. Prostirala se od prilaza Karlovcu i Zagrebu, do rjeke Bosne i Neretve i zahvatala je oko 50.000 km2.
Razvitak Narodno-oslobodilačkog pokreta, dostigao je na ovoj teritoriji najviši stepen. Tu su, u novembru 1942. godine, formirane prve divizije i korpusi NOVJ, čija je dejstva usmjeravao Vrhovni štab. Teritorija republike bila je poprište zimskih operacija okupatorsko-kvinsliških snaga (Vajs 1 i 2) i bitke na Neretvi. (Četvrta neprijateljska ofanziva 1943.).
Onivanjem Privremenog upravnog odsjeka pri Vrhovnom štabu, 22. oktobra, koji je trebao da usmjerava rad NO (Narodnih odbora) i vojno-teritorijalnih organa, a zatim Izvršnog odbora AVNOJ-a. 26/27. novembra 1942., na ovoj tertoriji je bio izgrađen jedinstven sistem vlasti. Na teritoriji 30 srezova sprovedeni su izbori za mjesne, opštinske i sreske, a u nekim krajevima i okružne NOO (Narodno-oslobodilačke odbore) — komandi mjesta i komandi područja. Na inicijativu Izvršnog odbora AVNOJ-a razvijena je politička, privredna i prosjvetna aktivnost. Podstaknut je razvoj proizvodnje, organizovanja razmjena i saobraćaj, sprovedena kampanja prikupljanja dobrovoljnih priloga naroda za snabdjevanje vojnih jedinica, akcija otvaranja osnovnih škola i drugih oblika prosvjećivanja naroda, osnovano je Pozorište narodnog oslobođenja, unapređena zdravstvena služba i razni oblici socijalne zaštite (zbrinjavanje izbeglica, osnivanje domova za nezbrinutu djecu i dr.). Pored ovih aktivnosti NOO i KPJ je radila na razvijanju antifašističke organizacije žena i omladine. Održani su osnovačka konferencija AFŽ (Antifašističkog fronta žena) Jugoslavije u Bosanskom Petrovcu od 6. do 8. decembra i osnivački kongres USAOJ-a u Bihaću, od 27. do 29. decembra 1942.godine.
Kao izraz izvojevanih pobjeda u ratu protiv okupatora i domaćih kolaboracionista i stepena razvitka NOP-a, Bihaćka republika je uticala na jačanje međunarodnog položaja NOP-a. Nastala je u doba prelomnih bitaka na sovjetsko-njemčkom frontu i na frontu u Africi, ona je pobudila zanimanje sila Osovine i sila antihitlerovske koalicije. Računajući s mogućnošću skore invazije anglo-američkih trupa na evropsko Sredozemlje i prije svega na Balkan, Hitler je smatrao da bi NOV mogla da ugrozi odbranu Balkana. Zato je donio odluku o zimskim operacijama Vajs (Weiss) za uništenje „Titove države“ kako je sam nazivao oslobođenu tritoriju sa centrom u Bihaću. Sa istog stanovišta poraslo je i zanimanje za događaje u Jugoslaviji kod vlada antihitlerovske koalicije. To se pokazalo, u pojačanom nastojanju britanske vlade da odvrati četnike Draže Mihailovića od saradnje sa okupatorom i s druge strane, u njenoj odluci da stupi u kontakt sa Vrhovnim štabom NOV i POJ.
Oslanjajući se na izbvojevane pobjede i stepen razvitka NOP-a, u vreme Bihaćke republike, CK KPJ, još odlučnije kreće u borbu za mađunarodno priznanje NOP-a, što je bilo izraženo i osnivanjem AVNOJ-a i posebno prvom notom koju su Izvršni odbor AVNOJ-a i Vrhovni štab NOV i POJ uputili vladama sila antifašističke koalicije iz Bihaća januara 1943. godine. U toj noti su otvoreno postavili pitanje izdajničke aktivnosti vlade Kraljevine Jugoslavije u izbeglištvu.