Informazione




Da: "AREAGLOBALE"<info@...>
Data: 22 Set 2012 00:13
Oggetto: Incontri sulla guerra siriana con Bahar Kimyongür

Incontri con Bahar Kimyongür sulla guerra in Siria


Contro la strategia di ristrutturazione dell'egemonia nord-americana ed europea in Medio Oriente, per la rivolta dei popoli arabi contro l'imperialismo e per il socialismo


27 settembre - ore 21, La Spezia (SP) 
c/o Centro di documentazione proletaria 
Piazza Gianni Maccioli 4, Quartiere Favaro 

28 settembre - ore 21, Firenze (FI) 
c/o Centro Popolare Autogestito Firenze Sud 
Via Villamagna 27/a 

29 settembre - ore 14.30, Schio (VI) 
c/o Centro culturale e di documentazione "Bertolt Brecht" 
Piazzetta San Gaetano 1 

30 settembre - ore 9, Ronchi, Marina di Massa (MS) 
c/o Centro culturale "Pablo Neruda" 
Via Stradella 57d 

Incontri con Bahar Kimyongür 
autore del libro Syriana, la conquête continue


Bahar Kimyongür, nato nel 1974, è un militante politico antimperialista e scrittore; risiede in Belgio ed è originario della città turca di Antiochia, città storicamente appartenente alla Siria, ma regalata dalla Francia alla Turchia dopo la prima guerra mondiale. Città capoluogo di una regione di importanza strategica straordinaria, Antiochia oggi rappresenta sia il punto di raccolta dei rifugiati che fuggono dalla guerra civile siriana, sia il quartiere generale delle forze mercenarie che attraversano il confine nel tentativo di destabilizzare la Siria con azioni terroristiche. 

Bahar collabora da tempo - e tutt’ora collabora - con l'associazione TAYAD (http://www.tayad.org/) nella difesa dei diritti e delle condizioni dei prigionieri politici nelle carceri turche. In questo senso ha svolto, negli anni passati numerose conferenze su questo tema in Turchia e in numerose città europee. 

Bahar è stato oggetto dell’interesse dei mezzi di comunicazione a seguito di un procedimento giudiziario che lo ha visto protagonista, per essere stato uno dei primi imputati perseguiti secondo la legislazione anti-terrorismo, essendo stato accusato di terrorismo per aver tradotto comunicati diffusi dal DHKP-C, un’organizzazione rivoluzionaria considerata terrorista dallo stato turco ed inserita nella lista delle organizzazioni terroristiche dall’Unione Europea in seguito agli avvenimenti dell’11 settembre. Portato in giudizio sulla base della legislazione anti-terrorismo del Belgio, è stato condannato in primo grado nel febbraio 2006 e in appello nel novembre 2006, per essere poi assolto nel 2007 e nel 2009 a seguito delle sentenze della Cassazione che hanno annullato le precedenti. 

È stato fatto oggetto di una richiesta di estradizione da parte della Turchia. 

All’affare DHKP-C e al "caso Kimyongür" è stato dedicato il film “Résister n'est pas un crime – Resistere non è un crimine”, un documentario di Marie-France Collard, F.Bellali e J.Laffont, che ha conseguito il Premio Speciale della Giuria al Festival Internazionale del Film sui Diritti dell’Uomo (FIFDH) 2009 di Parigi. 

Bahar è diplomato in archeologia e storia dell’arte presso l’Università Libera di Bruxelles. 

Bibliografia: 

Bahar Kimyongür, “Turquie, terre de diaspora et d’exil. Histoire des migrations politiques de Turquie”, Éditions Couleur livres, 2008, ISBN 978-2-87003-509-2 

(tradotto da Bahar Kimyongür), “Le Livre noir de la "démocratie" militariste en Turquie”, Info-Türk, 2010, ISBN 978-2-9601014-0-9 

Bahar Kimyongür, “Syriana. La conquête continue”, Éditions Couleur livres (Coédition Investig'Action) 2011.


Bahar Kimyongür 
Il terrorismo anti-siriano e i suoi collegamenti internazionali


Bahar Kimyongür 
Brèves Syrie: merci Al Qaïda, le retour d’Arour, résistance...


Antiper 
Raccolta di interventi su rivolta araba e strategia imperialista in Nord Africa e Medio Oriente


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CATTIVISSIMI TITINI

Dal "Piccolo" del 16/9/12, pag. 44 (Cultura e spettacoli), "Erminio, Yermiyahu, Jerry: le tre vite di un ebreo triestino", di Laura Strano.
E' la recensione del libro "Le mie tre vite", MGS Press 2012, di Jerry Consul, nato Erminio Consolo.

Il piccolo Erminio cresce tra il 1940 ed il 1947 affidato ad una famiglia povera del rione triestino di Ponziana, che non lo ama, e non riesce neppure a dargli abbastanza da mangiare vista la scarsità alimentare degli anni di guerra.
Prosegue l'articolo:

"Finisce la guerra e per Erminio finisce almeno la fame: la Croce Rossa di Trieste, controllata dai titini durante i quaranta giorni di occupazione, avvia un programma di nutrizione per i bambini che necessitavano di cure. Erminio viene mandato al mare e in montagna e conosce pure il maresciallo Tito".

Era questo il "terrore" della "quarantena titina" dove gli italiani non osavano uscire di casa?

Claudia



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(In english: Manufacturing Failed States - by Edward S. Herman, Z Magazine, september 2012
En francais: Produire des « Etats Ratés » - par Ed Herman, Z Magazine, septembre 2012
http://www.michelcollon.info/Produire-des-Etats-Rates.html?lang=fr 
or http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7440 )

http://www.resistenze.org/sito/os/mp/osmpci24-011565.htm

Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare 
 
Produrre Stati falliti
 
di Ed Herman (*)
 
09/09/2012
 
Durante la guerra del Vietnam, sopra l'ingresso di una base americana si poteva leggere: "Killing is our business, and business is good" (Uccidere è il nostro mestiere e gli affari vanno bene"). E in effetti, gli affari andarono molto bene in Vietnam (così come in Cambogia, Laos e Corea), dove si contarono a milioni i civili uccisi. In realtà gli affari si mantennero buoni, anche dopo la guerra del Vietnam.
 
I massacri sono continuati in tutti i continenti, sia direttamente che tramite "proxies" [mercenari], ovunque la "sicurezza nazionale" degli Stati Uniti bisognasse di basi, guarnigioni, assassini, invasioni, campagne di bombardamenti o di sostenere regimi assassini e autentiche reti terroristiche transnazionali, in risposta alla "minaccia terroristica" che continua a sfidare il povero "pietoso gigante". Nel suo eccellente libro sull'ingerenza degli Stati Uniti in Brasile (United States Penetration of Brazil, Pennsylvania University Press, 1977), Jan Knippers Black aveva dimostrato già anni fa, come l'accezione sorprendentemente elastica del concetto di "sicurezza nazionale" può essere estesa, in funzione di quale nazione, quale classe sociale o istituzione si riferisca. Al punto che proprio "coloro la cui ricchezza e potere dovrebbe in linea di principio garantire la sicurezza, sono quelli maggiormente paranoici e che, con i loro frenetici sforzi per garantire la propria sicurezza, generano loro stessi la loro propria [parziale] distruzione". (La sua opera affrontava il pericolo di sviluppare una democrazia sociale in Brasile nel 1960, e la sua repressione attraverso il sostegno degli Stati Uniti alla controrivoluzione e all'instaurazione di una dittatura militare). Aggiungete a ciò la necessità per gli imprenditori legati al complesso militare-industriale di promuovere le missioni per giustificare un aumento dei bilanci della difesa e la piena cooperazione dei mass media a questa attività, e otterrete una realtà terrificante.
 
In realtà il suddetto gigante falsamente paranoico si è impegnato a capofitto nella produzione di pretesti per credibili minacce, soprattutto dopo il crollo dell'"impero del male", che il paese aveva sempre sostenuto di "contenere". Grazie a dio, dopo alcuni tentativi episodici di focalizzare l'attenzione sul narco-terrorismo e sulle armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein, il terrorismo islamico è caduto dal cielo per offrire alla defunta minaccia un degno successore, derivante naturalmente dall'ostilità del mondo arabo alle libertà americane e dal suo rifiuto di consentire la possibilità a Israele di negoziare la pace e risolvere pacificamente i suoi disaccordi con i palestinesi.
 
Oltre a rendere più efficaci i massacri e il soldo dei mercenari che ne deriva, gli Stati Uniti sono diventati de facto il più maggior produttore di Stati falliti, su scala industriale. Per Stato fallito, intendo uno Stato che, dopo esser stato schiacciato militarmente o reso ingovernabile a causa di una destabilizzazione politica o economica che lo getti nel caos, ha quasi sicuramente perso la capacità (o il diritto) di ricostruirsi e di soddisfare le legittime aspirazioni dei suoi cittadini. Naturalmente, questa abilità degli Stati Uniti non nasce ieri: come dimostra la storia di Haiti, della Repubblica Dominicana, di El Salvador, del Guatemala o degli Stati dell'Indocina, dove i massacri hanno funzionato così bene. Inoltre, abbiamo visto di recente una recrudescenza incredibile nella produzione di Stati falliti, di tanto in tanto senza ecatombe, come ad esempio nelle repubbliche ex-sovietiche e in tutta una serie di paesi dell'Europa dell'est, dove la riduzione dei salari e l'aumento vertiginoso del tasso di mortalità sono frutto diretto dalla "terapia d'urto" e del saccheggio generalizzato e semi-legale dell'economia e delle risorse, da parte di élite sostenute dall'Occidente, ma anche più o meno organizzate e sostenute a livello locale (privatizzazioni a tutto campo, corruzione a livelli esorbitanti).
 
Un'altra cascata di Stati falliti origina dagli "interventi umanitari" e dai cambi di regime guidati dalla NATO e dagli Stati Uniti in modo più aggressivo che mai dopo il crollo dell'Unione Sovietica (vale a dire dopo la scomparsa di una "forza di contenimento" estremamente importante anche se molto limitata). Qui, l'intervento umanitario in Jugoslavia è servito da modello. Bosnia, Serbia e Kosovo sono diventati Stati falliti, altri sono usciti stremati, tutti assoggettati all'Occidente o alla sua pietà: una base militare statunitense monumentale è sorta da subito in Kosovo, eretta sulle rovine di quello che un tempo era uno Stato socialdemocratico indipendente. Questa bella dimostrazione di merito per l'intervento imperialista ha inaugurato la produzione di una nuova serie di stati falliti: Afghanistan, Pakistan, Somalia, Iraq, Repubblica Democratica del Congo, Libia, mentre oggi è in corso un programma simile in Siria e un altro si appresta per la gestione della cosiddetta "minaccia iraniana", nel tentativo di far rivivere i giorni felici della dittatura filo-occidentale dello Shah.
 
Questi fallimenti programmati hanno di solito in comune i segni caratteristici della politica imperiale e una proiezione di potenza dell'impero. Il copione prevede: la comparsa e/o legittimazione (o riconoscimento ufficiale) di una ribellione etnica armata che si atteggia a vittima, la quale conduce contro le autorità del proprio paese azioni terroristiche volte a provocare apertamente una reazione violenta da parte delle forze governative e che invoca immancabilmente le forze dell'impero a soccorrerla. Mercenari stranieri vengono generalmente assoldati per aiutare i ribelli, mercenari e ribelli indigeni vengono armati, addestrati e sostenuti logisticamente dalle potenze imperiali. Queste ultime si impegnano a incoraggiare e sostenere le iniziative dei ribelli il tanto per giustificare la destabilizzazione, i bombardamenti e, infine, il rovesciamento del regime bersaglio.
 
Il processo è stato eclatante durante tutto il periodo dello smantellamento della Jugoslavia e nella produzione di Stati falliti che seguirono. Le potenze della NATO, mirando alla disgregazione della Jugoslavia e al crollo della sua componente più importante e indipendente, vale a dire la Serbia, hanno incoraggiato alla ribellione gli elementi nazionalisti delle altre repubbliche della federazione, per le quali il sostegno o l'impegno militare della NATO sul terreno era un fatto acquisito. Il conflitto fu lungo e virò verso la pulizia etnica, ma per quanto concerne la distruzione della Jugoslavia e la produzione di Stati falliti, fu un successo (vedi Herman e Peterson, The Dismantling of Yugoslavia, Monthly Review, ottobre 2007). Stranamente, è con l'approvazione e la collaborazione dell'amministrazione Clinton e dell'Iran che si importarono tra gli altri mercenari, degli elementi di Al Qaeda in Bosnia e poi in Kosovo, per aiutare a combattere il paese obiettivo: la Repubblica di Serbia. Ma Al-Qaeda appariva anche tra le fila dei "combattenti per la libertà" impegnati nella campagna di Libia, ed è anche un componente riconosciuto (ora perfino dal New York Times, anche se con un po' di ritardo) del cambiamento di regime programmato in Siria (Rod Nordland, Al Qaeda Taking Deadly New Role in Syria Conflict»New York Times, 24 luglio 2012). Certo, Al Qaeda era precedentemente stata al centro del cambiamento di regime in Afghanistan [1996] e un elemento chiave nella svolta dell'11 settembre (Bin Laden, capo dei ribelli sauditi di primo piano, dapprima sostenuto dagli Stati Uniti, si sarebbe poi rivoltato contro di loro, da cui venne demonizzato ed eliminato).
 
Questi programmi comportano sempre una gestione sapiente delle atrocità, che permette di accusare il governo aggredito di aver commesso atti di violenza gravi contro i ribelli e i loro sostenitori, così da demonizzarlo efficacemente per giustificare un intervento massiccio. Questo metodo ha avuto un ruolo fondamentale durante le guerre di dissoluzione della Jugoslavia, e probabilmente ancora di più nella campagna di Libia e di quella in Siria. E' un metodo che deve molto anche alla mobilitazione delle organizzazioni internazionali che sono attivamente coinvolte in questa demonizzazione denunciando le atrocità attribuite ai leader riconosciuti, perseguendoli e condannandoli penalmente. Nel caso della Jugoslavia, il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY), istituito dalle Nazioni Unite, ha lavorato mano nella mano con le potenze della NATO per assicurare che la sola messa in stato d'accusa delle autorità serbe fosse sufficiente a giustificare qualsiasi azione che gli Stati Uniti e la NATO avessero deciso di intraprendere. Esempio mirabile di questa meccanica, la messa in stato di accusa di Milosevic da parte del Procuratore del ICTY, lanciata proprio quando (nel maggio 1999) la NATO decideva di bombardare deliberatamente le infrastrutture civili serbe per accelerare la resa della Serbia, bombardamenti che costituivano crimini di guerra condotti in piena violazione della Carta delle Nazioni Unite. Eppure fu proprio il processo a Milosevic che permise ai media di distogliere l'attenzione pubblica dagli abusi illegali della NATO.
 
Allo stesso modo, alla vigilia dell'attacco alla Libia da parte della NATO, il procuratore della Corte penale internazionale (CPI) si affrettò a promuovere un'azione giudiziaria contro Muammar Gheddafi senza aver mai chiesto un'indagine indipendente, rendendo di pubblico dominio che la Corte penale internazionale non aveva perseguito nessun altro che i leader africani non allineati con l'Occidente. Questo modo curioso di "gestione della legalità" è una risorsa preziosa per i poteri imperiali ed è estremamente utile in un contesto di cambiamento di regime, come nella produzione di Stati falliti.
 
Sono anche coinvolte delle organizzazioni umanitarie o di "promozione della democrazia" apparentemente indipendenti, come Human Rights Watch, l'International Crisis Group e l'Open Society Institute, che regolarmente si uniscono alla processione imperiale, facendo l'inventario dei soli crimini correlati al regime obiettivo e ai suoi dirigenti: cosa che contribuisce in modo significativo alla polarizzazione dei media. L'insieme consente di creare un ambiente morale favorevole a un intervento più aggressivo in nome della difesa delle vittime.
 
Poi si aggiunge che, nei paesi occidentali, le denunce o le accuse di atrocità - che rafforzano le immagini di vedove in lutto e rifugiati indigenti, le prove apparentemente attendibili di abusi odiosi e l'emergere di un consenso attorno alla "responsabilità di proteggere" le vittime del conflitto - commuove profondamente gran parte dei circoli di sinistra e libertari. Molti di loro vengono ad ululare con i lupi contro il regime bersaglio, ed esigono l'intervento umanitario. Gli altri in genere sprofondano nel silenzio, certo perplesso, ma pregno soprattutto della paura di essere accusati di sostenere il "dittatore". L'argomento degli interventisti è che, a costo di apparire sostenitori dell'espansionismo imperialista, talvolta occorre fare un'eccezione se le cose sono particolarmente gravi e se tutti sono indignati e chiedono un intervento. Ma bisogna, per dimostrarsi autenticamente di sinistra, tentare una micro-gestione degli interventi per contenere l'attacco imperiale, esigendo per esempio che ci si attenga all'interdizione di una no-fly zone come in Libia.
 
Ma gli Stati Uniti stessi non sono che un caso, dei peggio riusciti, di produzione di tali Stati falliti. Ovviamente, nessuna potenza straniera li ha mai schiacciati militarmente, ma la base della sua popolazione ha pagato un tributo pesante al sistema di guerra permanente. Qui, l'elite militare, così come i suoi alleati nel mondo dell'industria, della politica, della finanza, dei media e gli intellettuali, hanno contribuito ampiamente ad aggravare la povertà e il disagio generalizzato dovuto alla disintegrazione dei servizi pubblici e all'impoverimento del paese; la classe dirigente, paralizzata e compromessa, è incapace di rispondere adeguatamente alle esigenze e alle aspettative dei suoi cittadini, nonostante il costante aumento della produttività pro capite del PNL. Le eccedenze sono completamente dirottate verso il sistema di guerra permanente e dal consumo e l'arricchimento di una piccola minoranza, che lotta in modo aggressivo per realizzare la captazione non solo delle eccedenze, ma fino al trasferimento diretto delle entrate, delle proprietà e dei diritti pubblici della stragrande maggioranza dei suoi concittadini (in difficoltà). In quanto Stato fallito, come in molti altri campi, gli Stati Uniti sono una nazione senza dubbio d'eccezione!

 
(*) Edward S. Herman è professore emerito di Finanza alla Wharton School, University of Pennsylvania. Economista e analista di media di fama internazionale, è autore di numerosi libri tra cui:Corporate Control, Corporate Power (1981), Demonstration Elections (1984, con Frank Brodhead), The Real Terror Network (1982), Triumph of the Market (1995), The Global Media (1997, con Robert McChesney), The Myth of The Liberal Media : an Edward Herman Reader (1999) e Degraded Capability : The Media and the Kosovo Crisis (2000). La sua opera più nota, Manufacturing Consent (con Noam Chomsky), pubblicata nel 1988, è stata ristampata negli Stati Uniti nel 2002 e nel 2008 nel Regno Unito.



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INIZIATIVE SEGNALATE

1) Milano e dintorni 1-7/10: Appuntamenti con Paul POLANSKY 
2) Guastalla (RE) 6/10: Iniziativa con G. SCOTTI a vent'anni dallo scoppio della guerra in Bosnia
3) Padova 9/10: Videoproiezione in esterni su Bogdan BOGDANOVIĆ


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Milano e dintorni 1-7/10: Appuntamenti con Paul POLANSKY

 POESIA PER RESTARE UMANI

PAUL POLANSKY: Arrivato dagli States in Spagna quasi 50 anni fa per scappare alla guerra del Vietnam, girerà l'Europa alla ricerca delle sue radici vichinghe, diventando un personaggio tanto famoso quanto scomodo: la voce dei dimenticati.
Giornalista, poeta, scrittore, fotografo, regista e antropologo di fama internazionale, ma anche ex pugile e giocatore di football americano...
Agli inizi degli anni '90 inizia un lungo percorso di ricerca sulle origini della propria famiglia, durante il quale scopre docum
enti che permettono di riportare alla luce l'esistenza del campo di concentramento di Lety, in Repubblica Ceca, che oggi è un allevamento di maiali. Le testimonianze raccolte lo rendono inviso al governo ceco.
Nel 1999 viene ingaggiato dalle Nazioni Unite e inviato nel Kosovo come intermediario tra le istituzioni e i gruppi rom perseguitati. Lotterà per 11 anni perché i Rom, cacciati dagli estremisti albanesi, possano uscire dai campi profughi, costruiti su terreni altamente inquinati da piombo e metalli pesanti.
Nel 2004 è insignito del premio Human Rights Award, consegnatogli direttamente da Günter Grass. Nel 2005 il suo film-documentario Gipsy Blood, visibile su youtube, è premiato al Golden Wheel International Film Festival di Skopje.
Attualmente risiede a Nish, in Serbia, dove prosegue la sua attività per i diritti umani, tramite l'associazione Kosovo Roma Refugee Foundation.

SETTIMANA MILANESE

* 1 ottobre Ore 21.00 Reading presso CAM Ponte delle Gabelle, via san Marco 45 (ingresso libero).
* 2 ottobre Ore 21.00 Reading presso circolo "Via d'Acqua", viale Bligny 84 PAVIA (ingresso con tessera Arci ed offerta libera a sostegno per l'iniziativa)
* 3 ottobre Ore 16.00 visita agli insediamenti rom in zona Cavriana-Forlanini. Ore 21.00 Reading presso Libreria Popolare in via Tadino 18 (ingresso libero).
* 4 ottobre Pomeriggio (orario da definire): visita al villaggio rom di via Idro, seguita da Reading alle ore 21.00 (ingresso libero). Alle 20.00 sarà possibile cenare al Social Rom (CENA SOLO SU PRENOTAZIONE, 347-717.96.02 oppure info@...).
* 5 ottobre Pomeriggio (orario da definire): visita al campo sinti Terradeo a Buccinasco. Ore 21.00 Reading a Corsico presso la Biblioteca comunale di via Buonarroti n. 8 (ingresso libero).
* 6 ottobre Pomeriggio (orario da definire): visita al campo di Monte Bisbino (Milano-Baranzate).
* 7 ottobre Ore 21.30 Reading all'enoteca Ligera via Padova 133 (ingresso libero).

Organizzano: LA CONTA di Milano, ApertaMente di Buccinasco, FAREPOESIA di Pavia e Mahalla con il concorso delle comunità rom e sinte locali - per informazioni: 347-717.96.02 oppure info@...

(pagina Facebook: http://www.facebook.com/events/306574316116547/ )


=== 2 ===

Sabato 6 Ottobre
Guastalla (RE), Chalet lido Po ore 21,00

Don’t Forget ( non dimenticare )

A Vent'anni dallo scoppio della guerra in Bosnia

iniziativa organizzata dall'associazione MirniMost di Guastalla RE - www.mirnimost.org

Interverranno:

Giacomo Scotti - giornalista del Manifesto, scrittore, poeta, attivista dei diritti umani

Jasna Jugo - cittadina di Mostar, ha vissuto il periodo della guerra fratricida. Di religione mussulmana, con la sua associazione KOS opera a favore delle vittime della guerra

Sejla Hodzic - project manager, lavora per associazioni di volontariato

La città di Mostar è situata nel cuore dell’Erzegovina, sulle rive del fiume Neretva, uno dei corsi d’acqua più belli della Jugoslavia: scorre tra vallate e si getta nell’Adriatico. Il fiume con le sue acque azzurre ha ispirato numerose leggende e favole popolari, poeti e scrittori... Attualmente la popolazione è di 126.000 abitanti, di cui il 60% croati (di religione cattolica), meno del 40% bosgnacchi (di religione mussulmana); a queste si aggiungono minoranze etniche tra cui quella serba (di religione ortodossa) e rom (di religione mussulmana).
Mostar prima della guerra veniva chiamata “la rossa“ per l’importante contributo dato dai suoi cittadini alla resistenza partigiana del Maresciallo J.B.Tito contro l’esercito invasore Nazi- Fascista appoggiato dagli Ustasca di Ante Pavelic - il regime sanguinario (con campi di sterminio come Jasenovac ) dello stato fantoccio croato.
La composizione della popolazione prima della guerra degli anni '90 era: 34 % mussulmani, 33% croati, 18 % serbi, più un 12 % che si dichiaravano jugoslavi, non appartenenti a nessuna etnia. Vi era una percentuale altissima di matrimoni misti...
Mostar è stata una delle città martiri della guerra degli anni '90. Il suo ponte ottomano era un simbolo di convivenza che doveva perciò essere distrutto...


=== 3 ===

Passaggi artistici
Il contemporaneo nei luoghi storici - Porte e bastioni di Padova

Martedi 9 ottobre ore 21

Porta San Giovanni
Viaggio nella Memoria di un paese che non c'è più con Bogdan BOGDANOVIĆ

Videoproiezione in esterni di Bruno Maran


Dall’ambito di un uso militare al passaggio controllato delle merci e delle persone, dalla chiusura difensiva all’apertura al via vai quotidiano, le porte delle città hanno svolto molteplici funzioni. Emerge pertanto la volontà e la necessità di conservare le nostre città anche attraverso i loro simboli, per evitare che esse sprofondino in un tetro anonimato, in un'abitudine visiva foriera di un annullamento delle loro caratteristiche peculiari.
Oggi diventano il proscenio per una installazione visiva: una proiezione sulla facciata della porta medioevale di un video fotografico, che ripercorre un “viaggio nella Memoria” attraverso le opere di Bogdan Bogdanović. Dalla memoria di un passato, più o meno vicino, al nostro presente a ricordare che tutti gli edifici storici hanno un valore intrinseco, che può essere utilizzato per conoscere oltre alla loro storia anche la Storia dei nostri tempi. Memoria, che si rifà alle opere dell’architetto Bogdan Bogdanović, che, con la sua straordinaria creatività, ha realizzato grandi monumenti rievocativi della Storia e degli eventi fondanti lo Stato socialista jugoslavo, ormai scomparso, con sempre vivo il pensiero del presente.

www.artcontroluce.it
http://padovacultura.padovanet.it - info 049 8204546

In caso di maltempo l'evento si svolgerà all'interno della Porta

(pagina Facebook: http://www.facebook.com/events/283662701743208/ )



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