Informazione


SCIMMIOTTANDO IL DUCE E IL RE


<< Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi! >>
Vittorio Emanuele II, 10 gennaio 1859

<< Si proclama "protettore dell'Islam". (...) Nel cuore di Tripoli, Mussolini alza nuovamente la spada verso il cielo e, dopo avere promesso di «tenerla con sé fra i ricordi più cari come simbolo di forza e di giustizia», dichiara solennemente che l'Italia fascista intende assicurare alle popolazioni musulmane della Libia e dell'Etiopia «pace, giustizia, benessere e rispetto delle leggi del profeta». >>
18 marzo 1937, Mussolini in Libia

<< Se pensiamo a quello che e' stato il nostro Risorgimento non possiamo rimanere indifferenti a una sistematica repressione dei diritti umani in qualsiasi paese (...) Non possiamo lasciare che vengano distrutte e calpestate le speranze accese di un risorgimento nel mondo arabo. >>
Libia: Napolitano, non possiamo rimanere indifferenti a repressione

<< Non potevamo restare indifferenti alla sanguinaria reazione del colonnello Gheddafi in Libia: di qui l'adesione dell'Italia al giudizio e alle indicazioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e quindi al piano di interventi della coalizione postasi sotto la guida della NATO. >>
Intervento del Presidente Napolitano all'incontro con gli esponenti delle Associazioni Combattentistiche e Partigiane e le Associazioni d'Arma
Roma, 26/04/2011



(slovenscina / italiano)

Evviva il partigiano!

1) Slovenski »evropartizan« razdvaja politiko (Anže Božič)
2) Slovenia: il partigiano e l'Euro (Stefano Lusa)

LINK: 
€2 commemorative coin Slovenia 2011
http://en.wikipedia.org/wiki/File:€2_commemorative_coin_Slovenia_2011.png
EUROPARTIZAN - Komandant Stane - 2 euro
Il francobollo commemorativo
Franc Rozman – Stane - From Wikipedia, the free encyclopedia
http://en.wikipedia.org/wiki/Franc_Rozman_–_Stane


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in english: 100th anniversary of the birth of the national hero Franc Rozman – Stane


100-letnica rojstva narodnega heroja Franca Rozmana – Staneta


Franc Rozman - Stane se je rodil 27. marca 1911 v Spodnjih Pirničah pri Ljubljani. Imel je revno in težko otroštvo. Pri petnajstih je bil hlapec v gostilni, nato pa se je izučil za pekovskega pomočnika. Že kot fant se je navduševal za vojsko in bil po izbruhu španske državljanske vojne med prvimi jugoslovanskimi prostovoljci v Španiji. V Jarmi je končal podčastniško šolo. Postal je poročnik in poveljnik čete, nato pa stotnik in poveljnik bataljona v mednarodni brigadi. Bil je resen in odločen borec. Po vojni v Španiji je preživel nekaj časa v francoskih taboriščih, potem pa pobegnil in se vrnil v domovino.
 
Takoj po okupaciji je organiziral partizanske enote na Štajerskem in bil vojaški inštruktor in organizator Štajerskega bataljona. Spomladi 1942 je postal poveljnik slovenske partizanske brigade, ustanovljene na Kremeniku na Dolenjskem. Štela je več kot tristo borcev in je bila tedaj najmočnejša slovenska partizanska enota. Od julija 1943 je bil poveljnik Glavnega štaba NOV in POS s činom generala, ki ga je vodil vse do svoje smrti. Umrl je 7. novembra 1944 v Bolnišnici OF Kanižarica pri Črnomlju za posledicami rane, ki jo je dobil med preskušanjem novega orožja. Po smrti je bil proglašen za narodnega heroja Jugoslavije in je pokopan v grobnici narodnih herojev v Ljubljani.
 
Komandant Stane, kakor so ga imenovali partizanski borci, je bil izraz idej in upanja slovenskega naroda med narodnoosvobodilnim bojem in velja za enega najsvetlejših likov iz obdobja NOB.
 
Republika Slovenija ob stoletnici rojstva narodnega heroja Franca Rozmana - Staneta izdaja spominski kovanec za dva evra. Na kovancu je upodobljen lik Franca Rozmana - Staneta, v spodnjem delu pa je dodana peterokraka zvezda, ki je simbol gibanja, kateremu je komandant Stane pripadal.
 
Avtor idejnega osnutka: Edi Berk, Ljubljana 
Izdelava in kovanje: Mint of Finland, Vantaa/Finska

Obseg izdaje: 1 milijon kovancev 
V obtoku: od 21. marca 2011

Uradni list EU, št. 2011/C 57/05 - 23. 2. 2011


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Dall'articolo che segue omettiamo alcuni passaggi sciocchi ed offensivi nei confronti della Lotta di Liberazione slovena e jugoslava. Per gli interessati, l'articolo integrale si può leggere alla URL: 


Slovenia: il partigiano e l'Euro

Stefano Lusa | Capodistria 8 aprile 2011

La stella a cinque punte torna sulle monete europee a più di vent’anni di distanza dal crollo del muro di Berlino. La Slovenia ha infatti emesso da poco un milione di monete da due euro, dedicate ad un leggendario comandante partigiano, Franc Rozman

Gli stati della zona euro possono battere ogni anno una moneta celebrativa o commemorativa. Loro decidono la faccia e la Banca Centrale Europea la quantità. La prima fu coniata dalla Grecia nel 2004 in occasione dei giochi olimpici. Poi ce ne furono altre che ricordavano le Nazioni Unite, la Costituzione europea, il processo di allargamento, il suffragio universale ed altri importanti avvenimenti.
Nel 2008 la Slovenia volle commemorare Primož Trubar, l’autore del primo libro sloveno, mentre nel 2010 ha ricordato il duecentesimo anniversario dell’apertura del giardino botanico di Lubiana. Quest’anno invece ha scelto di celebrare il centesimo anniversario della nascita di un leggendario comandante partigiano, Franc Rozman - Stane.

Il comandante

Nato in un paesino nei pressi di Lubiana, Rozman fece della resistenza il suo scopo di vita. Il comandante Stane tentò, senza riuscirci , già nel 1935, di unirsi agli etiopi per contrastare l’invasione italiana; poi partecipò, con le Brigate internazionali alla guerra di Spagna e dopo l’invasione della Jugoslavia si unì al Fronte di liberazione sloveno (OF). Ben presto divenne comandante di una brigata partigiana e nel luglio del 1943 fu nominato comandante del Comando superiore dell’esercito resistente in Slovenia. Morì nel novembre del 1944 a causa dell’esplosione di un mortaio che era appena stato fornito ai partigiani dagli inglesi. [...]
La stella
Sulla moneta, a lui dedicata, oltre all’effige, il nome e la data di nascita e di morte compare anche la stella. “Il simbolo – motivano dalla banca di Slovenia - del movimento a cui il comandante Stane apparteneva”. La decisione è stata presa da un’apposita commissione che ha potuto scegliere tra 31 proposte. Tra di esse c’era anche quella di dedicare la moneta al ventesimo anniversario della proclamazione dell’indipendenza dalla Jugoslavia.
Per ricordare questa ricorrenza ci si dovrà invece accontentare di alcune monete da collezione. In pratica quasi la stessa attenzione che il conio di Stato dedicherà al campionato mondiale di canottaggio in programma a Bled.
La scelta di privilegiare un partigiano e di usare l’iconografia del regime comunista ha provocato una serie di polemiche sia in patria sia all’estero. A gongolare sono soprattutto i reduci che vedono ancora una volta il Paese celebrare i fasti della Seconda guerra mondiale. D’altra parte c’è chi grida allo scandalo. I giovani di Nuova Slovenia, una formazione extraparlamentare clericale e conservatrice, hanno definito sprezzantemente il comandante partigiano null’altro che un criminale di guerra, mentre altri hanno parlato di una provocazione soprattutto perché il tutto è avvenuto mentre la Slovenia si appresta a celebrare il ventennale dell’indipendenza.

Rossi e bianchi

Il Paese è così per l’ennesima volta ritornato al clima di “guerra culturale” tra “rossi” e “bianchi”. Nel centrosinistra ci tengono a sottolineare che l’indipendenza slovena ha radici profonde e parte proprio dalla resistenza, quindi fornendo così una giustificazione alla scelta di celebrare il comandate Stane. Del resto, nei mesi scorsi, lo stesso ministero dell’Istruzione ha pensato bene di accomunare nelle scuole il ricordo del settantesimo anniversario della costituzione del Fronte di liberazione con il ventesimo anniversario dell’indipendenza. L’iniziativa dal titolo “Stringi il pugno” è stata presentata con un manifesto simil-ciclostilato di impronta real-socialista su cui capeggia un pugno chiuso rosso.
Il centrodestra, invece, non manca di presentare il periodo comunista e la vittoria delle truppe di Tito come un'enorme iattura. Il Paese - dicono – sarebbe caduto in mano ai comunisti che misero in atto una feroce e sanguinosa resa dei conti che riempì la Slovenia di fosse comuni. In sintesi, se i primi considerano quello jugoslavo, seppur con i suoi errori, un comunismo dal “volto umano”; i secondi non sono disposti a fare nessuno sconto e lo paragonano in tutto e per tutto a quello del resto dell'est Europa.
In quest’ottica si muovono anche i governi sloveni di differenti colori. Il precedente esecutivo di centrodestra partecipò con entusiasmo alle iniziative che condannavano i crimini del comunismo; mentre l’attuale compagine di centrosinistra (o i suoi uomini) ha fatto una serie di scelte che sembrano andare in tutt’altra direzione: a Lubiana è stata intitolata una via al maresciallo Josip Broz – Tito, un’alta onorificenza è stata concessa all’ultimo ministro degli Interni della Slovenia socialista ed ora è stata emessa anche una moneta con una bella stella a cinque punte. [...]



(english / italiano)

Cospirazione contro la Siria

1) Western media lie about Syria – eyewitness reports
Interview with Ankhar Kochneva

2) La cospirazione crescente contro la Siria
Osama Maghout (Partito Comunista Siriano)

3) Comunicato sulla riunione del Comitato Centrale del Partito Comunista Siriano
Damasco 25/03/2011


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Western media lie about Syria – eyewitness reports


Published: 29 April, 2011, 15:50
Edited: 29 April, 2011, 22:13

 

While media reports paint a picture of the situation in Syria as a mass public uprising brutally suppressed by the dictatorial government, the events are viewed in a totally different way by those living there.

RT caught up with Ankhar Kochneva, director of a Moscow-based tourist firm specializing in the Middle East. She often travels to Syria, and stays in touch with hundreds of people in the region. She shared what her contacts say about the unfolding unrest and who they blame for the spreading violence.

RT: What’s happening in Syria? What have you seen? And that are the Syrians saying?

Ankhar Kochneva: Not even once did I come across anyone who would in any way support these riots; and mind you, in the line of my job, I deal with all sorts of people. There are many vehicles with the president’s portraits driving the streets throughout the country – ranging from old, barely moving crankers to brand new Porsches and Hummers. You can't force people into hanging up portraits. It means that people, irrespective of their status and income, support the president rather than the rebellion. I saw quite a number of young people walking or driving around with Syrian flags. How can you force a young person hanging out with friends to wave flags? I think it's difficult too. If you understand the mentality of the Syrians you can tell there is a sincere impulse from a forced obligation.

On March 29, I saw a rally in Hama to support the president – indeed, many thousands of men and women, with their children, and entire families went out. The streets were flooded with people. It was quite a shock to see Al-Jazeera presenting rallies in support of the president as if they were protests against him. It was just as surprising to see the Israeli websites post photos and videos of supporters' rallies with comments saying those were opponents of the regime. There you have people holding portraits of Bashar al-Assad and flags, and we’re told that these people are against him.

RT: The media reports mass anti-government rallies.

AK: There’s a powerful misinformation swell going on. On April 1, the media reported a large anti-governmental rally in Damascus. I was in Damascus on that day. This rally never happened – I didn’t see it, and neither did the locals.

On April 16, Reuters news agency wrote that 50,000 opponents of the regime took to the streets of Damascus, and that they had been dispersed with tear gas and batons. Damascus’ residents realize that such a rally could not take place in the city unnoticed. How many policemen would it take to disperse it? And how come nobody saw it except Reuters? Five hundred people in the streets of Damascus are a large crowd. Reuters broadcast their material around the world, including Russia. One source lies, and then this lie is like a snowball rolling downhill creating a fake reality, and picking up rumor and speculation.

People in Syria watch the footage. What do they see? A picture allegedly from Yemen. A picture allegedly from Egypt. A picture allegedly from Syria. But the pictures all show people dressed in the same fashion. People in Syria can tell their fellow countrymen from their neighbors – both by their faces and their clothes.

There are videos on the internet showing how amateur footage of the so-called riots is made. There's a parked car and nothing’s going on around. And there's a man standing next to it throwing rocks. And people around are taking pictures.

There are a lot of staged videos. A Lebanese can tell the difference between footage taken in Lebanon and that taken in Damascus at a glance. And they show footage from Tripoli, or footage taken several years ago in Iraq, and say it is unrest in Syria.

There are many online forums for women in Arab countries. Women share information following TV reports on ‘mass unrests’. Women write – what’s happening outside your window? And they reply: we looked down from the balcony, and didn’t see anything that the TV was talking about.

Presently, a lot of young unarmed policemen get killed. The media propaganda immediately labels them as victims of the regime. I repeat, policemen are unarmed. The Syrian police are not too good with guns, because nothing like this has happened here for a long time. But the killed rookies are reported as either victims among the protestors, or as policemen who refused to shoot at their fellow countrymen, depending on the editors’ preference. Goebbels’ words seem to be true: the bigger the lie, the more easily they believe it.

RT: But why are policemen dying if there are no mass protests?

AK: Policemen die because they get shot by those who know that they are unarmed. 

RT: Who shoots policemen?

AK: They talk a lot about it in Syria. Rumor has it that trained commandos came across the border from Iraq. People in Syria are well-aware that after the US occupied Iraq, they formed special squads there. They were killing people, stirring up conflicts between the Shiite and Sunni communities, and between Muslims and Christians; they were blowing up streets, markets, mosques and churches. Those terrorist attacks targeted civilians rather than the occupying regime.

Not long ago, they caught three such commandos in the outskirts of Damascus, when they were randomly shooting at people. They turned out to be Iraqis.

Syrian TV showed footage of somebody shooting at policemen and passers-by from bushes and rooftops. They occasionally get caught, and they either turn out to be Iraqis, or they admit that they were paid for it. Such militants were detained in Deraa and Latakia. They had US-made weapons.

The Lebanese security service intercepted several cars carrying weapons as they were coming into Lebanon. One such car was stopped coming from Iraq. There were American weapons in those cars too. Also there are reports about detained people who had large sums of money with them – with US dollars. These people carried expensive satellite phones that cannot be tapped by the Syrian security service.

In Syria, it is no longer a secret to anyone that the Americans have an unhindered opportunity to recruit and train the commandos in Iraq, and then send them wherever they want.

Hilary Clinton has already stated that if Syria cuts its relations with Iran and withdraws its support for Hamas and Hezbollah, the demonstrations would stop the next day. They don't even bother to keep secret the hand instilling riots in Syria.

There’s plenty of evidence of foreign interference. 

Finally, people say protestors are brought in from afar for the rallies. Those people speak and look differently from the locals. Nobody in the neighborhood knows them. Who rents the buses and finances the delivery of these people?  The question stands.

The former Syrian Vice-President Abdel Halim Khaddam had initiated the riots in the coastal regions. He had plundered half of the country. He was involved in corruption schemes and finally fled to the West. It was he who tried to accuse Syrian President Bashar al-Assad of assassinating the former Lebanese Prime Minister Rafic Hariri. The Syrians firmly believe that Sayed Hariri had personally given a villa to Abdel Halim Khaddam for spreading this version of Rafic Hariri’s murder. But when that version fell apart and was not confirmed, the villa was taken away. Today, those who shot at cars in Banias are shouting: “We don’t want Bashar. We want Abdel Halim!” 

There are peaceful and cultured opposition members in Banias who have been against al-Assad’s regime for many years. But they are shocked by what’s going on and do not support Khaddam at all. They say: “He’s a thief. He who stole most calls to fight corruption and thievery.”

RT: What role are Syrian emigrants playing in the Syrian destabilization? 

AK: It’s an open question. There was a leak claiming that Dan Feldman, Hillary Clinton’s special representative for the Middle East, met representatives of the Syrian opposition in Istanbul in mid-April and suggested the tactics for assassinations of civil and military officials. In less than three days, on April 19, several military officials had been brutally killed in Syria.  Not only were they attacked and shot dead, some victims of the attacks, including three teenage children of a Syrian general, who were in a car with him, were cut to pieces with sabres.

Murders committed with a high degree of brutality are aimed at intimidating the population. The news that children had been cut to pieces served that purpose quite well.

RT: Media reports used to say that the riots started after the arrest in the city of Deraa, in southern Syria, of several children writing anti-government slogans?  Is it really so? 

AK: All the children had been released very quickly. Moreover, the government-owned Syrian newspapers published the release orders.

RT: Have the troops been brought into Deraa? 

AK: Yes, troops are there. After an Islamic emirate had been proclaimed in Deraa, the local residents asked the government for help. Troops have been brought in. I’ve just seen the videos. The demonstrators published them on the internet and shortly after erased them. But people made copies. There are soldiers, and people come to them and talk peacefully. Nobody shoots anyone.

RT: Is there a sentiment in Syria that if it gets rid of Hamas support and the Palestinians and strike a peace deal with Israel, all the riots will end immediately? 

AK: No, there’s no such sentiment. There’s consolidation of society. The people are sticking together because they see that the enemy is extremely dangerous. For instance, previously I never heard anything except pop music and the recital of the Koran on the radio when I rode in a taxi. Now, patriotic music is coming from all cars. When Bashar al-Assad was speaking on television, the people who were listening to him at the market applauded him. You cannot force people to applaud a president who speaks on television.

RT: What has the public mood been in recent days? 

AK: People are afraid of going out. In some regions, people risked their lives to record with a secret camera how unidentified persons sneaked into a car, moved off and started shooting in all directions. This is how they are sowing panic in residential areas.  

Bandits blocked a bridge on the road near the coast. Soon, the military pushed them back. One of my Syrian contacts told me: “you don’t need many people to plunge the country into trouble.”

Putting five people on a major road would be enough to paralyze the whole area. People are unable to deliver foodstuffs or reach hospitals. And the whole country is in shock because of a handful of bandits.

Now, Syrian television is making live broadcasts from various parts of Damascus and other cities for people to see how the situation is unfolding and how life is getting back to normal, whatever the Western media show.

It’s noteworthy that bandits intentionally tried to rouse hatred among various communities.  Recently, a sheikh was insulting the Druze, particularly women, in an address to the residents of the south. This video is being broadcast by the foreign media and is advertized on the internet. Nothing like that ever happened in Syria before. Provocations failed in Damascus though attempts were made to set religious communities against each other. Provocateurs lack support in rural areas too – the sowing campaign has started there.

The most massive demonstrations in Dera gathered 500 people. But they say 450 people have been killed.

RT: Has the government launched any reforms? 

AK: The government has lifted martial law and has allowed the staging of authorized rallies if permission for them is obtained five days ahead. Foreigners have been allowed to buy real estate. The Kurds have been granted citizenship. The Kurdish population didn’t have it before for a number of historical reasons. The government is opening business courses for women in northern Syria. Many provincial governors have been dismissed. Unfortunately, in some cases they were honest people. Like those who refused to free criminals from prison for bribes and had been targeted by smear campaigns in public for it.

RT: Have the number of flights to Syria been cut? 

AK: There are no tickets for Syria.  We wanted to dispatch a group of tourists to Syria but there were no air tickets to Damascus for April 30. But Russians are not fleeing from Syria. I have full information about it for my job.

Nadezhda Kevorkova, RT



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Giovedì 28 Aprile 2011 13:30

La cospirazione crescente contro la Siria

di  Osama Maghout*

Un compagno siriano analizza le contraddizioni interne e le ingerenze esterne che spingono la Siria verso uno scontro feroce sia a livello interno che regionale. Il ruolo dei Sauditi e di Hariri. Wikileaks rivela dettagli non certo irrilevanti. Sono informazioni che non assolvono il regime dalle sue responsabilità ma svelano anche che gli interventi esterni ci sono e sono pesantissimi.


Per spiegare la dimensione della congiura ordita contro la Siria e che utilizza i movimenti popolari, bisogna partire dalle condizioni logistiche che si sono venute a determinare in alcune città a fronte  in seguito all’adozione di nuove politiche economiche di stampo liberale. Rispetto a queste misure il nostro partito ha subito messo in guardia per i rischi che queste misure comportavano sulla situazione del paese, ma ci è stato risposto con arroganza che il nostro popolo è flessibile, ignorando che anche scientificamente c’è un limite alla flessibilità.

Questa situazione di difficoltà ha creato i presupposti per il lavoro della destabilizzazione. Questo è quello che è successo attraverso i circoli imperialisti e le stanze segrete dei circoli finanziari si è preparato il terreno per l’attacco alla Siria. I fatti dimostrano che l'Arabia Saudita ha deciso di stringere tempi al fine di alimentare il conflitto confessionale in Siria, così ha deciso di utilizzare gli strumenti dell'opposizione siriana contro il governo (e qui dobbiamo renderci conto che buona parte dell’opposizione  non può muoversi senza un comando dell’Arabia Saudita).

Naturalmente, questo non significa affatto che tutti i movimenti di opposizione e di protesta in Siria si muovono per volere dell’ Arabia Saudita, ma ci sono elementi che lavorano per servire gli interessi del Regno saudita, il quale, non è un segreto, ha clienti e agenti in tutti i paesi arabi. 
Gli Stati Uniti, l'Arabia Saudita e con loro un certo numero di Stati del Golfo hanno spinto per una politica dei bassi salari come è accaduto in Libano, ma hanno affrontato una battuta d'arresto con la perdita dei regimi fantoccio in Egitto e Tunisia, in definitiva volevano riformare il sistema di relazioni e imporre l’umiliazione e la vergogna di un nuovo ordine per raggiungere una serie di obiettivi che sono apparsi in alcuni giornali occidentali, e che riporto  testualmente: 
1) contenere e controllare i regimi arabi attraverso il nuovo accordo con le forze armate e dare avvio ai preparativi per il controllo dei risultati delle elezioni democratiche. 
2) minare quei governi che non siano pienamente coerenti con l'interesse dell’Arabia Saudita, e che abbiano relazioni con l' Iran (dopo il diktat degli Stati Uniti di far cessare la lotta contro Israele). 
3) guerre segrete ai movimenti di resistenza contro Israele nella regione araba. 
4) accelerare il ritmo di incitamento settario. 
5) migliorare il rapporto con Israele a un livello strategico. 
6) aumentare il ritmo del confronto con l'Iran, e questo è ciò che spiega, ad esempio il discorso di Saad Hariri contro l'Iran. L'Arabia Saudita vuole mantenere uno scontro ideologico e servire gli interessi di Israele, rifiutando qualsiasi sostegno alla questione palestinese e ammantando questa prassi come una prassi realista, e non in quanto interesse arabo.

 

In questi giorni, non è strano vedere sionisti, come Elliott Abrams, farsi avanti per sostenere l'immagine dell'Arabia Saudita e difendere i regimi del Golfo, trovare delle ragioni per le tirannie arabe del Golfo,(come ha fatto sul «Washington Post»lo scrittore , David Ignatius).

Essi ignorano la storia di brutalità in questi sistemi contro i propri cittadini. I recenti massacri del Qatar e Bahrain e del Sultanato di Oman, sono un'estensione di una storia piena di criminalità, come la guerra, contro il Fronte Popolare per la Liberazione di Oman, o la brutale repressione di scioperanti e manifestanti in Arabia Saudita negli anni Cinquanta e Sessanta e andando oltre,  la storia della repressione in Bahrain contro i movimenti di sinistra e nazionaliste .

Va notato che Elliott Abrams, è un sionista che si è formato negli Stati Uniti e ha scritto diversi articoli in modo esplicito contro la Siria, ad esempio diversi articoli  in cui  ha chiesto a Israele di sfruttare l'occasione (sul Weekly Standard dal 11 Aprile 2011 ), cercando di sollecitare il suo amico, e leader del Likud Benjamin Netanyahu ad  approfittare delle tensioni in corso in Siria e in Medio Oriente in termini di creazione di Israele di realizzare quanto segue:

a) Pressione sul Quartetto del processo di pace in Medio Oriente al fine di ridurre il suo impegno nel processo di pace in Medio Oriente,  l'accettazione dell’espansione degli insediamenti ebraici come un fatto compiuto, come per esempio hanno  fatto gli USA. 
b) Aumento delle pressioni israeliane, anche sugli Stati Uniti per indebolire la posizione palestinese in occasione della riunione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che si svolgerà durante il mese di settembre 2011 dove è previsto mettere ai voti il pieno riconoscimento di uno stato palestinese. 
c) Israele lavora alla realizzazione del "golpe" all'interno dell'Autorità Palestinese, puntando a fare “bruciare” Mahmoud Abbas e Salam Fayyad, e lavorare per sostituirli con un nuovo “equipaggio” palestinese collegato con i circoli sionisti americani,  conseguente indebolimento della posizione di Hamas tra l'opinione pubblica palestinese e il mondo arabo.

d) Riorganizzare le alleanze israeliane nella regione attraverso l'uso dell’asse Amman-Washington  per la costruzione dei rapporti con Cairo e Tunisi. 
In aggiunta a quello richiesto Elliott Abrams bisogna sottolineare che il successo delle operazioni segrete, israelo-americano mira a dare continuità ai disordini in Siria, in modo da indebolire il paese  e mettere Israele nelle condizioni di estorcere le migliori condizioni a Damasco, in qualsiasi futuro negoziato di pace. 
Tutte le ambizioni delle grandi potenze oggi sono rivolte nella cospirazione contro Damasco. Il 23 marzo, il "Jewish Journal" parlando della "primavera araba" diceva  che "un bel po' dipende dalla Siria, dove la posta è più alta, ma i rischi e i benefici potenziali sono molto più elevati . Nella marcia verso la democrazia in tutto il mondo arabo, ora tutte le strade devono portare a Damasco”. 
Ciò è evidenziato da Merwih Haytham Manna, uno degli eroi delle TV satellitari, rabbioso contro Damasco. Portavoce della Commissione Araba per i Diritti Umani,, in un'intervista sul canale televisivo libanese al-Manar ha dichiarato di essere stato nei primi giorni delle rivolte in Siria contattato da un uomo di affari siriano che si sarebbe poi presentato all'appuntamento con altri tre uomini, libanesi e sauditi. L’uomo d'affari siriano con doppia  cittadinanza nel corso della riunione, si è dichiarato in grado di soddisfare le esigenze dei giovani a Daraa, e più in generale della Siria, e più in generale, di armare le forze di opposizione, offrendo tutto quello che potesse interessargli in quantità e qualità. Il Dottor Haytham Manna si è affrettato a dichiarare che lui non solo ha rifiutato, ma che ha informato le autorità sostenendo che si devono  respingere offerte di armi a qualsiasi partito e che nessuno deve utilizzare le armi . Ma il Dottor Manna con la sua dichiarazione ha confermato la presenza di armi e di personaggi stranieri coinvolti .

Al momento ci sono due offerte di armi, l’altra viene dal partito libanese oggi in aperto contrasto con le autorità siriane ". 
Le parti coinvolte nelle forniture e nella  battaglia con il regime siriano sembrano essere : 
A – Gli statunitensi e alcuni paesi della NATO. 
B – I partiti libanesi che di recente hanno ricevuto duri colpi dagli alleati politici del regime siriano. 
C - Alcuni che hanno accumulato fortune in Siria e che hanno relazioni estese con i paesi del Golfo e con la cospirazione reazionaria.


Secondo  Wikileaks il presidente del Movimento del Futuro di Saad Hariri, avrebbe incontrato uno staff di alto livello del Comitato sulle Relazioni Estere del Senato USA e lo staff diplomatico politico dell’ambasciata USA a Beirut. Hariri, in questa riunione  avrebbe  dichiarato : “I regimi siriano e iraniano sono un grave ostacolo alla pace nella regione”.

Hariri, secondo i documenti ha poi continuato “il governo degli Stati Uniti ha bisogno di una politica chiara e di un nuovo isolamento della Siria”. Attraverso la  Siria, il ponte principale dell'Iran, questi può svolgere un  ruolo in Libano e in Palestina ».

E’ stato chiesto ad  Hariri, chi potrebbe colmare il vuoto in caso di caduta del regime di Damasco. Hariri ha risposto parlando di dividere la democrazia in Siria secondo percentuali confessionali (come in Libano, NdR). Stabilire queste quote  prima di proporre un «partenariato tra la Fratellanza Mussulmana siriana, e alcuni dei personaggi che facevano parte del sistema in passato, come ad esempio l’ex vice premier siriano  Khaddam..

 

In attesa del benestare degli Stati Uniti, Hariri sostiene che il movimento dei Fratelli musulmani in Siria “ha caratteristiche simili agli islamisti moderati in Turchia. Accetterebbero  un cristiano o una donna alla presidenza. Essi sono pronti ad accettare un governo civile. Come in Turchia anche  in Siria”. Hariri ha detto che mantiene forti legami con tutti, da  Khaddam alla  Fratellanza musulmana il cui  leader in esilio Ali Bayanouni, sta proponendo  agli americani di avviare relazioni.

Hariri ripete agli statunitensi “parlate con Bayanouni: Guardate che non è come appare. Lo vedrete”

Questo processo di cospirazione vede coinvolti anche personaggi come Mamoun Homsi con un passato nella presunta opposizione siriana o come Abdul Razzaq Eid , che a quanto descrive  Hariri al giornale  "Arabi Mahathir," hanno partecipato ad una riunione in cui erano presenti  agenti iraniani.  Mamoun Homsi  come portavoce della Commissione Araba per i diritti umani si è detto favorevole all'introduzione della divisione confessionale e si è concentrato  sulla necessità di vendetta. 
"Tutte queste informazioni  provengono da Washington ed è stato divulgato  attraverso ciò che è noto come Partito Riformista Siriano guidato da Farid Ghadry - che ha guidato la visita alla  Knesset israeliana nel giugno 2007. Naturalmente, questa cospirazione non si ferma  alle frontiere, soprattutto perché lo hanno dimostrato i fatti sul terreno le armi degli Stati Uniti e anche quelle dei  paesi del Golfo che sono riuscite ad entrare in Siria diverse volte sfruttando la corruzione di alcuni funzionari .La  TV ha riportato che domenica 17 aprile la polizia doganale siriana ha sequestrato una grande quantità di armi, bloccando il tentativo di contrabbando dall'Iraq alla Siria. 
Secondo  Mustafa Biqai direttore generale delle dogane siriane "Le armi includono 140 pistole e un certo numero di fucili da cecchino, mitragliatori vari e una serie di fucili per gas lacrimogeni, una serie di visori notturni e sofisticate pistole " BKC " oltre ad un gran numero di proiettili.

L'inchiesta è in corso per determinare le dimensioni di questo contrabbando. Da quanto si sa le armi provenivano dall’Iraq . Il mese scorso le forze di sicurezza siriane hanno sequestrato una grande partita di armi e di esplosivi, delle attrezzature per la visione notturna su un camion proveniente sempre dall’ Iraq.

Secondo l'agenzia di notizie siriana "SANA", la spedizione intercettata era destinata ad essere utilizzata nei processi che incidono sulla sicurezza interna in Siria e alla diffusione del disordine e del caos. Da quanto riferito dal comandante di polizia, il trafficante di armi ha dichiarato di avere caricato le armi a Baghdad e di aver ricevuto cinquemila dollari per consegnarle  in Siria. 
Infine, va detto che oggi più che mai, a mantenere il paese libero e indipendente è la direzione collettiva,  la patria prima di tutto. Le circostanze del movimento che passa attraverso la Siria sta dimostrando la proliferazione del complotto intorno ad essa.

Sì, la Siria era ed è il bersaglio degli aggressori imperialisti, dei sionisti e degli ambienti reazionari e regressivi, perché ha scelto la sua strada lontano dall' agenda dell'imperialismo. Questo al tempo stesso è il segreto della sua gente, è  il popolo siriano e la caratteristica  nazionale e la prima e l'ultima scommessa è su questo nobile popolo.


* Da “La Voce del popolo” quotidiano del Partito Comunista Siriano


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Comunicato sulla riunione del Comitato Centrale del Partito Comunista Siriano
 
15/04/2011
 (fonte: http://www.lernesto.it/)
 
Il Comitato Centrale del Partito Comunista Siriano ha tenuto, il 25 marzo 2011, una riunione ordinaria, presieduta dal Segretario generale compagno Ammar Bagdache. Il compagno Wissal Farha Bagdash capo del partito ha preso parte all’incontro.
 
Durante la discussione sulla situazione politica, nel Comitato Centrale è emersa la considerazione dell’importanza della promozione dei movimenti di massa nei paesi arabi, che si sono manifestati con il rovesciamento dei due regimi mercenari dell'imperialismo in Tunisia ed Egitto, con l’estendersi di proteste di massa in molti paesi arabi contro i regimi legati all'imperialismo. Il movimento di liberazione nazionale arabo sta conoscendo un avanzamento importante e attualmente occupa un posto di rilievo nel quadro del movimento di liberazione antimperialista internazionale, come anticipato dal 11° Congresso del Partito Comunista Siriano.
 
Dopo le sconfitte sul terreno dell'imperialismo statunitense in Iraq e dell'attacco imperialista sionista contro il Libano nel 2006, le masse popolari hanno rovesciato i due simboli dell'imperialismo in Tunisia ed Egitto.
 
La rivoluzione in questi due paesi, nonostante le differenze e le diverse specificità, hanno fatto cadere due regimi del tutto fedeli all’imperialismo e strettamente legati al sionismo, due regimi fondati sulla tirannia, nonostante alcune loro esteriorità istituzionali. Inoltre, questi regimi hanno diligentemente applicato le disposizioni del liberismo economico dettate dai centri imperialisti, che sono il riflesso degli interessi di Washington, spalancando le porte all’azione del capitale monopolistico straniero, privatizzando i principali ambiti dell’economia e riducendo il ruolo sociale dello Stato, colpendo la produzione nazionale attraverso la revoca del sostegno statale, che ha portato a un drammatico peggioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione, compresa la classe media tradizionale, ad una maggiore polarizzazione sociale e alla esasperazione del fenomeno della disoccupazione, soprattutto tra i giovani. Questi dettami, che sono ostili agli interessi del popolo, sono stati applicati con il contributo importante della borghesia compradora, strettamente legata ai monopoli e all’imperialismo e attraverso i loro rappresentanti al potere e negli apparati dello Stato.
 
A causa di questi fattori, le rivoluzioni in Egitto e Tunisia hanno assunto un carattere nazionale liberale, uno democratico ed un carattere di classe. Il nostro partito fin dall'inizio si è sempre espresso a favore di queste rivoluzioni, in virtù della loro importanza come rivoluzioni liberali nazionali per rafforzare le posizioni del movimento antimperialista internazionale rivoluzionario, con in più il rilievo derivante dall’essere la prima espressione dei movimenti di massa più estesi verificatisi nel ventunesimo secolo.
 
Imperialismo internazionale, sionismo e reazionari locali cercano di contrattaccare per ostacolare l'escalation del movimento di liberazione nazionale arabo. Il pericolo maggiore nella nostra regione è la brutale aggressione imperialista della NATO contro la Libia, aggressione che utilizza la foglia di fico della risoluzione del Consiglio di Sicurezza, di quelle della Lega Araba, e con il contributo simbolico a questa guerra di rapina imperialista dei regimi arabi reazionari. La condanna del nostro partito e del movimento comunista internazionale per questa incessante aggressione contro la Libia, non intende trascurare quanto commesso dal regime dittatoriale libico, che dall'inizio di questo secolo teneva buoni rapporti con l'imperialismo mondiale e stretti legami con i gruppi monopolistici più sordidi del campo imperialista. È del tutto evidente però che l'imperialismo e il sionismo, dietro giustificazioni inconsistenti come la “protezione dei civili”, sono in Libia per il controllo di questo paese ricco di petrolio e lavorano per dividerlo in osservanza del progetto imperial-sionista di “nuovo Grande Medio Oriente”, progetto che mira al completo asservimento dei popoli della regione. Così il mondo arabo e il mondo intero devono condannare questa brutale aggressione imperialista e combatterla con tutti i mezzi disponibili.
 
Alla campagna multilaterale contro la resistenza nazionale libanese partecipano molte forze di vario genere, del tutto fedeli all'imperialismo, e lavorano nella stessa direzione le forze reazionarie arabe che cercano di infiammare le tendenze settarie, questa arma pericolosa che in definitiva serve solo all'imperialismo globale e a quella forza confessionale, razzista e reazionaria che è Israele sionista.
 
La cospirazione imperialista che con gli stessi fini si scaglia contro la Siria ha molte facce, tanti elementi dei regimi arabi reazionari con i loro mezzi di comunicazione in stretto rapporto con l'imperialismo. La Siria è uno dei maggiori ostacoli all’interno del mondo arabo al progetto di un nuovo Grande Medio Oriente. E' noto il ruolo specifico della Siria nel sostegno dell'antimperialismo e dei movimenti di resistenza anti-sionista nella regione.
 
Il Comitato Centrale ha fermato le manifestazioni e disordini che hanno avuto luogo in alcune città in Siria, in particolare gli sventurati incidenti nella città di Dara. Il 18 marzo, vi è stato uno scontro tra le forze di sicurezza e i cittadini che avanzavano slogan e richieste. In cima a queste richieste vi era il rilascio di alcuni ragazzi arrestati sotto la legge marziale e lo stato d'emergenza. A seguito del ricorso ad una forza eccessiva da parte delle autorità di sicurezza per disperdere la folla, vi sono state molte vittime e alcuni morti, creando un vasto malcontento aggravando così lo stato di grave tensione. I media ufficiali hanno riportate notizie circa la formazione di una commissione d'inchiesta su tali fatti e i giovani detenuti sono stati rilasciati.
 
Le forze reazionarie hanno provato e stanno cercando di usare il malcontento reale presente in questi avvenimenti per innescare disordini in tutto il paese, utilizzando un metodo perverso di accostamento di parole d’ordine corrette che attirano le masse e che riguardano l'ampliamento delle libertà democratiche, con slogan chiaramente reazionari e istanze oscurantiste a carattere settario e provocatorio, contro i principi laici e di tolleranza che storicamente contraddistinguono la società siriana.
 
I media dei centri imperialisti e dei media arabi reazionari stanno attuando una grande guerra mediatica contro la Siria, gonfiando gli eventi, distorcendo i fatti e pubblicando bugie provenienti da fonti equivoche che non hanno alcuna rilevanza per i cittadini siriani. Sfortunatamente, l’operato dei media ufficiali non è stato all’altezza di quanto richiesto da questi momenti critici.
 
In tali circostanze si deve dire la verità e non abbellirla, cosa che farebbe aumentare la fiducia generale e rafforzerebbe la determinazione nel contrastare l’attuazione di questa complotto.
 
Il Comitato Centrale ha espresso il proprio sostegno alle decisioni e indicazioni della dirigenza del Partito Socialista Arabo Baath, che vedono innanzitutto, in campo politico, la revoca della legge marziale e l’invio della proposta di legge sui partiti alla discussione generale per la successiva approvazione, la modifica della legge sulla stampa, ecc...
 
Queste le richieste che il Partito Comunista Siriano ha tenacemente avanzato nei suoi documenti, fra i quali le risoluzioni dell'11° Congresso. Il nostro partito ritiene che un'accelerazione nell'applicazione di queste misure contribuirà a rafforzare la situazione interna in tempi brevi.
 
Il Comitato Centrale ha inoltre espresso la propria soddisfazione per la decisione di rettifica della legge 41 del 2004 inerente alle proprietà nelle zone di confine, nonché le decisioni relative all’aumento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici e dei pensionati varate per decreto.
 
Il Comitato Centrale ritiene indispensabile la revisione di quelle leggi e disposizioni di orientamento economico liberale, che hanno contribuito alla destabilizzazione della produzione nazionale e indebolito le posizioni del settore statale (pubblico) portando un peggioramento dei livelli di vita delle masse, e che in ultima analisi hanno fornito dei vantaggi ai gruppi sfruttatori, in particolare alla borghesia compradora.
 
Il Comitato Centrale considera necessario frenare questi orientamenti eco

(Message over 64 KB, truncated)

(english / italiano)

La morale dell’imperialismo

0) Segnalazione: Michael Parenti, The Face of Imperialism

1) La morale dell’imperialismo: “Niente di disumano mi è estraneo” (Michele Basso)
2) Mobilitiamoci contro la partecipazione dell'Italia alla guerra imperialista! (Fosco Giannini)


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The Face of Imperialism

by Michael Parenti

"Michael Parenti's The Face of Imperialism is a powerful, frightening, and honest book. It will be hated by those who run the Empire, and it will be loved by people who are searching for truth amidst the piles of garbage of Western propaganda. Above all, this book will be like a bright spark of hope for billions of men, women, and children who are fighting this very moment for survival, defending themselves against the Empire and against all monstrous faces and masks of imperialism." 

Andre Vltchek, author of Western Terror: From Potosi to Baghdad

In the last half-century we have witnessed a dramatic expansion of American
corporate power into every corner of the world, accompanied by an equally
awesome growth in U.S. military power. These phenomena are often treated as independent developments. Here, Michael Parenti brings them together in a sharp critique aimed as much at errant liberals and former fellow Marxists as at the dominant political actors who have perpetrated the imperial lie.

Parenti adds shocking new evidence to the litany of injustices visited upon victims of U.S. imperialism: expropriation of their communal wealth and natural resources, complete privatization and deregulation of their economies, loss of local markets, deterioration of their living standards, growing debt burdens, and the bloodstained suppression of their democratic movements.

Just as compelling is Parenti’s convincing case that the empire feeds off the republic. He shows how the richly financed corporate-military complex is matched at home by increasing poverty, the defunding of state and local governments, drastic cutbacks in human services, decaying infrastructure, and impending ecological disaster.

In this brilliant new book, Michael Parenti redefines empire and imperialism to connect the current crisis in America to its own bad behavior worldwide.

Michael Parenti (Ph.D., Yale University) is an internationally known, award-winning author, scholar, and lecturer who addresses a wide variety of political and cultural subjects. Among his recent books are God and His Demons (2010), Contrary Notions: The Michael Parenti Reader(2007), The Culture Struggle  (2006), The
Assassination of Julius Caesar 
(2003), and Democracy for the Few, 9th edition (2011).
April • 160 pp • 6 x 9
978-1-59451-918-5 (pb), $19.95 T
978-1-59451-917-8 (hc), $79.00 S
Library E-Book:
978-1-61205-001-0, $79.00 S
World Rights
• Clarifies the political economic context behind the pursuit of imperial power.
• Explains the role of U.S. foreign policy in serving the interests of transnational corporate America.
• Shows that Third World poverty is not a product of “underdevelopment” but of systematic exploitation. 
• Integrates the challenges of global warming into a plan for a sustainable future free of what Parenti calls “the pathology of profit”


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La morale dell’imperialismo: “Niente di disumano mi è estraneo”
 

Se continua così, tra qualche tempo i giornali scriveranno: “La camorra ha portato avanti un’operazione umanitaria contro alcuni noti sovversivi che, in spregio alle consuetudini consolidate, si rifiutavano di pagare il pizzo. Bisogna difendere le basi economiche, democratiche e cristiane del nostro vivere civile. Purtroppo, a causa della reazione violenta dei rivoltosi, si sono verificati effetti collaterali, con la morte di alcuni ribelli e di bambini innocenti”.

Stiamo esagerando? In realtà, il confine tra la malavita organizzata e l’imperialismo è sempre più tenue, e la morale predatoria che li guida è esattamente la stessa.

Comunità internazionale o “liberatori” sono sinonimi di bombardatori imperialisti che castigano il paese malcapitato di turno. La neolingua orwelliana si  afferma sempre più e il suo vocabolario è largamente seguito da governanti e partiti. “La pace è guerra, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” è il passo più noto. Scrive Orwell: “Nessuna parola del vocabolario B era ideologicamente neutra. Gran parte erano eufemismi. Parole, ad esempio, come “svagocampo” (campo per lavori forzati) o “Minipax (Ministero della Pace, e cioè Ministero della Guerra). Talune parole, d’altra parte, manifestavano una schietta e spregiativa comprensione della vera natura della società dell’Oceania. Un esempio era la parola “prolenutro”, che stava ad indicare tutti gli intrattenimenti da pochi soldi e le notizie di varietà che il Partito teneva in serbo per le masse”.(1)

Contrariamente a quanto può apparire a prima vista, Orwell non parla di un mondo creato dalla sua fantasia, ma delle tendenze reali presenti nella nostra società. Con queste differenze: nella realtà, non c’è bisogno di un  partito unico, possono essere moltissimi, purché condividano le stesse posizioni di fondo, anzi la loro pluralità dà l’illusione della presenza di un’opposizione, sempre utile per cambiare i cavalli senza mutare la meta prefissata. E non è utile, come pensavano i dirigenti di Oceania, eliminare dal vocabolario parole come  democrazia, internazionalismo, onore, giustizia, morale, scienza. Basta capovolgerne il significato, e la democrazia sarà un perfetto alibi per giustificare il lancio di missili contro un popolo da “liberare”, l’onore la giustificazione per lanciare un vile attacco con droni, aerei senza pilota. L’attuale società è più orwelliana di Orwell.

L’America è stanca di un guerrafondaio rozzo come G:W. Bush? Ecco pronto un personaggio brillante e rassicurante, capace dei più raffinati discorsi sull’intesa tra i popoli, atteso come il Messia dai popoli dell’Asia e dell’Africa, insignito del premio Nobel da una delle più rinsecchite e inutili istituzioni accademiche del mondo. Risultato: ancor più soldi regalati alle banche, e invece di due guerre, l’America ne  affronterà tre. Il presidente deve fingere di essere entrato nel conflitto tirato per i capelli, e a questo sono  serviti i colpi d’ariete alla Sarkozy. Se l’operazione fallirà, sarà quest’ultimo il capro espiatorio.

L’elettore non può scegliere mai la linea politica del paese, ma soltanto l’involucro, la presentazione, se volete, la coreografia politica. E se la politica effettivamente condotta è proprio l’opposto di quella che ha “scelto”, tanto peggio per lui. Un’altra volta scelga un candidato “sincero e attendibile”. Sembra una farsa, ma è una tragedia. Questa è la democrazia blindata dell’epoca dell’imperialismo. La mano è d’acciaio temprato, il guanto non è neppure più di velluto, ma di plastica dozzinale.

L’inganno è dunque permanente, quotidiano, e la radice della menzogna è da cercare nella realtà, nello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che ha mille forme, e deve essere celato ai più, persino alle vittime dirette, che devono credere che la loro triste situazione è colpa del destino o della propria incapacità, o di un singolo governo, caduto il quale tutto si risolverà, o frutto di volontà divina. L’uomo primitivo non era libero, dipendeva dalla natura, poteva essere violento, persino cannibale. Però, la sua azione era guidata dai suoi bisogni, nel complesso assai limitati, come quelli degli animali. I lupi uccidono i cervi, ma quando non c’è il morso della fame, gli uni e gli altri possono convivere sullo stesso territorio senza ostilità.

L’uomo moderno è assai meno condizionato dalla natura, ma molto di più dal capitale,  la cui fame   di plusvalore è inesauribile. Quando lo sfruttamento nelle fabbriche o nelle fattorie, il normale modo di creazione del plusvalore, non basta più, quando neppure i complicatissimi trucchi  e truffe della finanza sono più sufficienti, allora il capitale torna alle origini, alla guerra corsara, alla rapina. Gli imperialisti, tra i numerosi paesi che reprimono violentemente il dissenso, hanno scelto la Libia per impadronirsi dei suoi ingenti fondi sovrani, come hanno messo in rilievo alcuni giornalisti non embedded.

Il malcapitato paese è tra quelli storicamente avversi a Washington – l’aggiornamento della lista e l’esclusione della Libia dai paesi canaglia si rivela una pura operazione di facciata. Ma diamo tempo al tempo: poiché il disastro finanziario è inevitabile per USA e Inghilterra (la Standard&Poor's ha già declassato il debito pubblico americano), questi paesi dovranno continuare nella loro prassi corsara. Dopo la Libia a chi toccherà? Si può guardare la mappa del petrolio o del gas, e gli stati oggetto di attenzione sono molti. E si può scommettere che, alla fine, toccherà anche all’Arabia Saudita. Luttwak, che è ben informato, più volte l’ha fatta oggetto di pesanti critiche. Si tratta di un’alleata, nei confronti della quale c’è già un forte controllo militare, anche per timore che l’esercito faccia un golpe repubblicano. L’occupazione vera e propria potrebbe avvenire strappando il consenso alla monarchia, e col pretesto di proteggerla dall’aggressione di qualche altro paese o dal terrorismo. Dopo di che, le ingenti riserve finanziarie e petrolifere del paese sarebbero utilizzate per rimandare il crollo degli imperialismi anglosassoni, con la parte del leone per gli USA. E si potrebbe indorare la pillola introducendo una piccola dose di diritti democratici, qualche modesta libertà formale alle donne. Fantapolitica? L’Arabia è amica degli USA? Anche Gheddafi era amico del cuore di Berlusconi, di Tony Blair, di Sarkozy, e non è stato lui a tradirli. Se avesse concesso a Francia, Inghilterra e USA quel che chiedevano, avrebbe avuto licenza di mitragliare gli insorti, esattamente come il Bahrein.

Qualcuno eccepirà che gli Stati Uniti sono in cattive condizioni economiche, e che non possono permettersi nuove guerre. Questo, “secondo ragione”. Ma, ricalcando Pascal, potremmo dire che l’imperialismo ha le sue ragioni che la ragione piccolo borghese non conosce, o che, come un drogato all’ultimo stadio, non può più smettere, pur rendendosi conto delle conseguenze letali. La natura stessa dell’imperialismo non permette di ritirarsi con ordine, e gli USA saranno coinvolti in sempre nuove guerre, fino al crollo. Dana Visalli scrive: “Gli Stati Uniti hanno sganciato 15 milioni di  tonnellate di bombe sulla superficie terrestre negli ultimi 60 anni e 1 milione di tonnellate di napalm su campi e foreste, hanno disperso 20 milioni di galloni di defoliante in alcune delle foreste con più biodiversità del pianeta. In ogni caso, le forze armate USA stanno conducendo una guerra contro la Terra stessa. Uno sforzo così inutile non è avvenuto con poca spesa: il costo totale di tutte le spese militari per il 2012  si stima che ammonti a 1200 miliardi di dollari, un terzo del totale del budget federale. Sono proprio le forze armate che  stanno portando il paese in bancarotta.”  E mette in rilievo anche i costi umani all’interno degli Stati Uniti stessi: ”L’angoscia esistenziale e le disfunzioni dei soldati di ritorno dal fronte è una cosa ordinaria. Un recente studio indica che il 62% dei soldati di rientro dalla guerra in Iraq hanno chiesto una consulenza per la salute mentale, con il 27%  che mostra pericolosi livelli di abuso di alcol. I tassi di suicidio tra i soldati e i veterani sono incrementati drammaticamente negli ultimi anni. Più di 100.000 veterani del Vietnam si sono uccisi, molti più di quelli morti in guerra. Più di 300.000 veterani delle forze armate USA sono al momento senza casa, come rivela un altro studio. (2)

Ripensiamo alle parole di Lenin, per il quale l’imperialismo non è una politica, una scelta spontanea, ma uno sviluppo inevitabile del capitalismo, giunto a un determinato grado di sviluppo. Il paese più potente del mondo non ha scelta, la sua via è quella del capitale finanziario sempre più avventurista e delle guerre predatorie.

Quanto agli imperialismi caudatarii come il nostro, alla tragedia si mescola la farsa. Dopo tante assicurazioni che l’Italia non aveva intenzione di bombardare, Berlusconi ha gettato la maschera. E’ confermato, tuttavia, che a spingerlo a tale passo sono state le pressioni del premio Nobel per la pace Obama (Nobelpax, potremmo chiamarlo, ispirandoci a Orwell).

“Il governo informerà il Parlamento sulle azioni mirate in Libia”, recita uno scarno comunicato. E la Russa ha già detto che non occorre una nuova votazione. Il parlamento “Sovrano”, ridotto a una cassetta delle lettere, è informato dei bombardamenti, prima dai giornali e solo dopo dal presidente del consiglio e dai ministeri degli esteri e della difesa (Il Minipax di La Russa!). Napolitano è d’accordo con i bombardamenti, su questo  non avevamo dubbi.

Il parlamento è ridotto a un talk–show, e ci si aspetta che qualcuno interrompa i dibattiti annunciando: “Pubblicità!”. Dai primi commenti, non pare che sia venuta una vera opposizione alla guerra. Calderoli protesta, non per motivi di principio, ma perché, in cambio dell’impegno militare, non si ottenuto un congruo guiderdone, cioè un valido aiuto alla campagna xenofoba : “Abbiamo già fatto abbastanza mettendo a disposizione le basi e l'appoggio logistico e il pattugliamento anti-radar - prosegue Calderoli -. Personalmente non avrei dato neanche questa disponibilità se non in cambio di un concreto concorso delle forze alleate al respingimento dell'immigrazione clandestina e alla condivisione del peso dei profughi”.

Ancor peggio la Finocchiaro: “Il nostro riferimento continua ad essere la risoluzione 1973 dell'Onu. Se verranno confermati i confini di quella risoluzione il Pd non farà mancare il suo assenso... Quello che troviamo gravi  sono le divisioni irresponsabili che continuano a manifestarsi dentro il governo con la Lega che continua a prendere le distanze dalle decisioni di Berlusconi. Questo è un fatto per noi inaccettabile che testimonia della crisi continua e irreversibile di questo esecutivo”. (Unità.it 25/04/2011)

Trova gravi, non i bombardamenti, ma la presa di distanza della Lega che, sia pure per motivi elettorali, intacca l’Union sacrée.

Geniali le dichiarazioni di Gasbarra, Pd:  “La decisione del governo italiano di partecipare alla missione libica con azioni belliche dirette è grave e in palese contrasto con l'articolo 11 della Costituzione...   Una modifica così rilevante della missione deve essere decisa dal Parlamento che va convocato per votare l'autorizzazione  a bombardare e non può certo bastare una semplice informativa”. Prima parla dell’incostituzionalità dei bombardamenti, poi pensa che il parlamento possa autorizzarli. Questa è alta sapienza giuridica!

Qui si vede che, sui temi essenziali, non c’è differenza tra Pd e Pdl, partiti che hanno sposato in pieno la causa dell’imperialismo. Eppure c’è chi ha ancora il coraggio di parlare di “sinistra” a proposito del Pd.

Non a caso, più lettori dell’Unità  hanno commentato l’articolo con queste parole: “vergognoso il PD, vergognosa la Finocchiaro, questa è la Caporetto di quello che fu la sinistra italiana”. Un altro: “ma la finocchiaro, invece di acquattarsi, pronta a far cadere il governo, che fa? dice che potrebbero anche offrire la solita stampella? ah, dimenticavo, è una questione di ideali interventisti, al cuore non si comanda.”  Un terzo: “Bene, questa è un occasione da non perdere per mandare a casa Berlusconi. Peccato che ci penserà di nuovo il PD a salvarlo. Come per il primo voto sull'intervento contro la Libia, dove senza i voti del PD il governo sarebbe andato sotto. Scommettiamo???” Un quarto grida senza fine: “finocchiara vergognati finocchiara vergognati ...” E un quinto, dalla memoria lunga:  “Gasbarra del PD ha accusato il governo di violare l'art.11 della costituzione. Giusto, come fece D'Alema per il Kossovo.” Ci sono anche commenti interventisti, che vi risparmio.

Le risposte che abbiamo riportato mostrano che esiste nel paese una tendenza antimilitarista, che non trova una rappresentanza in nessun partito del parlamento, e che ha bisogno solo di un centro di riferimento, di un’organizzazione in grado di collegare le proteste e dare all’indignazione e alla collera uno sbocco politico.

Michele Basso

27 aprile 2011
 

Note

1) George Orwell, “1984”, “Appendice, I principi della neolingua”.

2) Dana Visalli, “La guerra globale degli USA contro il pianeta terra. Un’analisi delle forze armate statunitensi”, Globalresearch.ca, in ComeDonChisciotte, 20 aprile 2001.


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Mobilitiamoci contro la partecipazione dell'Italia alla guerra imperialista!

di Fosco Giannini

su l'Ernesto Online del 30/04/2011

In nome della Costituzione, mobilitiamoci contro la partecipazione dell'Italia alla guerra imperialista!

Giovedi 28 aprile 2011: i “ Tornado” italiani decollano dalla base area di Trapani Birgi e si dirigono a Misurata per sganciare bombe e missili su sconosciuti “obiettivi militari”. E’ la missione di guerra con la quale il governo italiano dichiara la resa totale al progetto di aggressione armata degli Usa, della Francia e della NATO contro la Libia. Il premio Nobel per la pace Obama ha piegato e subordinato a sé, alla sua determinata volontà di guerra imperialista, sia Berlusconi che la quasi totalità del Parlamento italiano, passando per lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, peraltro grande amico storico degli USA. La guerra è la tragedia più grande dell’umanità; la guerra imperialista – con la sua dichiarata, ferina volontà di assassinio di un popolo per mano di un altro popolo – ha la forza di evocare tutta la pulsione bestiale che ancora abita nell’essere umano, o per meglio dire che si perpetua all’interno di un sistema, quello capitalistico, che ha come suo valore cardine il profitto e come pulsione maggiore la spoliazione dei popoli. Questa drammatica consapevolezza deve indurci a svelare la verità, anche quand’essa è imbarazzante, difficile. Chi scrive, dunque, non può tacere, non può non ricordare che durante l’ultimo governo Prodi, il fascino “democratico” di Obama colpì anche figure specchiate del movimento pacifista come la senatrice Lidia Menapace che, assieme a diversi altri senatori del PRC e della sinistra, aspettava il futuro Presidente come il liberatore, come colui che avrebbe portato il vento della pace, e in virtù di questa speranza criticava quei senatori e deputati di Rifondazione che si battevano contro la guerra in Afghanistan, definendoli massimalisti e irresponsabili. Obama avrebbe cambiato le cose. Occorreva solo resistere e attendere pazientemente. Oggi, Obama, spinge il nostro intero Paese ad una nuova guerra, all’ennesima, brutale e delinquenziale aggressione imperialista.

Il miserrimo balletto italiano ( “voliamo ma non bombardiamo”) è finito: bombardiamo, distruggiamo, massacriamo, partecipiamo da protagonisti armati al disegno – chiaro a tutti – di smembramento colonialista della Libia e di occupazione militare imperialista della Cirenaica ( dove si trova il 70% del petrolio che appartiene al popolo libico). La nevrotica accelerazione che è stata impressa al disegno di aggressione militare porta in superficie in modo inequivocabile “l’inconscio” imperialista: i padroni del mondo non ne potevano più di accettare passivamente la rivoluzione gheddafiana del ’69, attraverso la quale era stato tolto loro il topo dalla bocca, il petrolio libico. Non ne potevano più di subire tanta mortificazione e hanno ripreso le armi. Il petrolio, il gas e l’acqua della Libia torneranno ai “naturali” padroni del mondo. Per questo grande obiettivo vale la pena praticare ogni orrore, perdere ogni coerenza e moralità: si massacrerà il popolo libico, si costruirà un potere filoamericano, si tenterà di trasformare la Libia in una nuova Arabia Saudita, si tenterà di uccidere l’ex amico Gheddafi ( come dimostrano i ripetuti bombardamenti sul compound di Bal al-Azizya, dove il leader libico risiede) o farlo impiccare successivamente, dopo la scontata condanna di un Tribunale internazionale amico di Obama il pacifista.

Il prossimo ottobre scatterà il centesimo anniversario della prima guerra dell’Italia contro la Libia. Come ricorda Angelo Del Boca quell’attacco imperialista portò alla costituzione di quindici campi di concentramento, ove furono internati 100 mila libici, dei quali 40 mila morirono di stenti e inaudite sofferenze. Si bombardò, si torturò, si utilizzarono contro le popolazioni libiche le armi chimiche, si impiccarono centinaia di oppositori, se ne esiliarono altre migliaia. L’aggressione italiana fu lunga, sanguinaria, maledetta: proseguì dal 1911 sino al 1934, con infinite stragi e bagni di sangue. Ora, a cent’anni di distanza, mentre potevamo illuderci che potesse subentrare nella coscienza delle nostre classi dirigenti il senso delle vergogna, riemerge invece – intatta – la bramosia imperialista del saccheggio e della spoliazione: come se nulla fosse accaduto, come se fossimo immemori dei nostri stessi orrori, ripartiamo con la bava alla bocca per conquistare il nostro pezzo di carne della gazzella libica. E fa davvero male pensare che a capo di questo cruento safari colonialista si sia posto il Presidente della Repubblica, immemore dei nostri orrori colonialisti e primo difensore, stando alle sue stesse parole, della Costituzione italiana contraria alla guerra.

L’Italia bombarda, partecipa alla carneficina, ripete la propria storia sanguinaria e le piazze sono vuote, il movimento pacifista è debole, disperso, non all’altezza del proprio compito. Lo scarto tra la guerra, la qualità predatoria, sfacciatamente imperialista di questa guerra e la debolezza del movimento per la pace è ciò che più di ogni altra cosa colpisce. E’ del tutto evidente che oggi paghiamo il conto finale di una lunga seria di tradimenti, mutazioni, rese, errori, involuzioni politiche e istituzionali che hanno desertificato lo spazio sociale e politico a sinistra e messo in ginocchio anche il movimento contro la guerra. Lo scioglimento del PCI, il fallimento del processo di rifondazione comunista, l’organicità di tanta parte della sinistra al potere e alla concezione del mondo capitalistica ci hanno ridotto in queste condizioni.

La troppo debole risposta del movimento per la pace all’entrata in guerra dell’Italia ci dice come l’ideologia dell’imperialismo umanitario abbia fatto breccia anche in tanta parte del senso comune di sinistra. Le televisioni di Berlusconi e quelle dell' "opposizione", all'unisono, raccontano quotidianamente dei “ massacri di Ghedaffi ” e nessuna controinformazione ha la forza di ripristinare la verità su quella stessa scala di massa o su di una scala anche molto minore, dicendo da chi sono armati gli insorti ( dai francesi, dagli americani, dagli inglesi), da chi sono guidati ( da esponenti ex gheddafiani e filoamericani della classe dirigente libica), da chi sono addestrati ( dai francesi, dagli inglesi, dalla NATO, dalla CIA, ed ora anche dai primi dieci esperti militari italiani, giunti nei giorni scorsi a Bengasi) e qual è il loro progetto strategico ( essere cavallo di Troia per la costruzione di governi quisling filoamericani, filo francesi, filo imperialisti). 

L’egemonia dell’imperialismo umanitario è tanto forte da infiltrarsi anche all’interno di coscienze di grande spessore intellettuale come quelle di Rossana Rossanda, che parteggia così apertamente per gli insorti, al punto di evocare “brigate internazionali” da schierare al loro fianco. E il cedimento di coscienze strutturate come quella della Rossanda ci danno la misura di quanti pacifisti possono essere stati trascinati nel dubbio e nella passività dalla seduzione ideologica dell’imperialismo umanitario.

La guerra è l’evento centrale che, sempre, scopre il quadro politico d’insieme. La risposta insufficiente del movimento contro la guerra mette in luce l’aspetto drammatico dell’assenza di un partito comunista radicato, di quadri, di militanti in grado di uscire immediatamente nelle piazze trascinandovi altre forze della sinistra e pacifiste. E pone all’ordine del giorno la costruzione di un tale partito e di una più grande sinistra di classe. Così come la completa accettazione della guerra da parte del PD mette in luce problemi enormi, non solo legati alla natura intima del partito di Bersani ma anche – naturalmente e in modo drammatico – legati alla politica delle alleanze che i comunisti e la sinistra di classe e di alternativa possono realisticamente condurre in questo Paese.

Ottimismo della volontà e pessimismo della ragione: non possiamo non chiedere ai comunisti, in queste ore, in questi giorni, uno sforzo supremo per svolgere il ruolo d’avanguardia che ad essi compete, chiedendo loro di organizzare celermente, ovunque possibile, evocando tutte le forze disponibili, iniziative e presidi contro la guerra. Rimboccarsi le maniche, essere in piazza, dannarsi l’anima: se non ora quando?

Nel contempo sappiamo che il problema non può essere risolto con un surplus di soggettivismo. Abbiamo tre problemi fondamentali di fronte a noi: la ricostruzione di un partito comunista all’altezza della fase, che sappia riproporsi come motore della lotta, a cominciare dalla lotta antimperialista; la costruzione di una sinistra più vasta in grado di incidere sul quadro sociale e politico complessivo e la delineazione di una progetto politico di respiro che liberi questo Paese dall’egemonia berlusconiana, di destra e subordinata ai disegni di guerra degli USA e della NATO. Un progetto politico che si differenzi nettamente da quello del centro sinistra di Prodi, risultato non all’altezza dei problemi. Un compito estremamente arduo, il delineare un tale progetto, specie di fronte ad un PD incapace di coraggio e svuotato ormai di ogni spinta trasformatrice. 

Ma il compito di delineare un progetto di alternativa credibile non possiamo ( specie noi comunisti) non porcelo, pena la vittoria strategica del berlusconismo e il consolidamento del suo regime di guerra, autoritario, antioperaio e anticostituzionale; pena la consunzione finale delle stesse forze comuniste e di sinistra.

Si tratta, probabilmente, di alzare gli occhi e non pensare più ad una politica di alleanze che si riduca al solo – e molto problematico – rapporto con i partiti e i partitini del centro sinistra, col PD. E’ forse l’ora di allungare lo sguardo, di pensare ad un sistema di alleanze tra le forze sociali più avanzate del Paese, riportando al centro del quadro politico il mondo del lavoro e rompendo il fronte borghese. Questioni qui appena accennate, difficili, problematiche, sulle quali tuttavia vale la pena riflettere.