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KAPPA VU EDIZIONI UDINE
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Martedì 3 maggio 2011, alle ore 18, la KappaVu edizioni e la Biblioteca nazionale slovena e degli studi presentano al Circolo della stampa di Trieste (Corso Italia 13) il libro di 
Anton Vratuša
Dalle catene alla libertà. La „Rabska brigada“,una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista”.
Anton Vratuša, combattente antifascista, internato nel campo di concentramento fascista di Arbe, diplomatico, politico, studioso, membro dell'Accademia delle scienze  e delle arti di Slovenia ci racconta la storia della Rabska brigada – la Brigata di Arbe, unità partigiana formata dagli internati del campo di concentramento fascista di Rab (Arbe). Nonostante le terribili condizioni di vita – o meglio, di morte – in quello che fu probabilmente il peggior campo di concentramento fascista (con una mortalità più alta di quella di alcuni dei peggiori lager nazisti), il campo per internati sloveni, croati ed ebrei dell'isola i Rab (Arbe), tra gli internati la fiamma della ribellione e della speranza non muore. Non solo mettono in piedi una organizzazione di resistenza, ma riescono ad estenderla e rafforzarla sotto gli occhi dei loro carcerieri e nonostante i loro sforzi per ridurli allo stato di abbrutimento animale. Dopo l'8 settembre riusciranno così, con l'aiuto dell'organizzazione di resistenza degli abitanti croati dell'isola, a liberarsi da soli e a disarmare l'intero presidio italiano dell'isola. Per dar vita a una loro brigata partigiana dalla vita breve, ma dal valore simbolico e morale altissimo. L'autore, che fu il suo vice comandante, ce lo racconta con rigore storiografico, ma al contempo con la partecipazione di chi della vicenda fu protagonista, seguendo le tracce degli internati/combattenti della Rabska brigada fino alla fine della guerra.
 
Alla presentazione parteciperanno l'autore, la storica dell'Università del Litorale e del Centro di ricerche scientifiche di Koper/Capodistria Monica Rebeschini, il curatore del volume Sandi Volk, della Sezione storia della Biblioteca nazionale slovena e degli studi di Trieste, ed il direttore della Biblioteca nazionale slovena e degli studi Milan Pahor.   


 

S PROŠNJO ZA OBJAVO
 
Založba KappaVu in Narodna in študijska knjižnica prirejata v torek, 3. maja 2011, ob 18. uri, v Novinarskem krožku v Trstu (Corso Italia 13), predstavitev knjige Antona Vratuše Dalle catene alla libertà. La „Rabska brigada“,una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista”.
 
Anton Vratuša, protifašistični borec, interniranec v taborišču na Rabu, dilomatik, politik razsikovalec, član Slovenke akademije znanosti in umetnosti, nam v knjigi prikazuje zgodbo Rabske brigade, partizanske brigade, ki so jo ustanovili interniranci fašističnega taborišča na Rabu. Kljub strahotnim življenskim razmeram v verjetno najhujšem italijanskem koncentracijskem taborišču (v katerem je bila smrtnost višja kot v nekaterih nacističnih taboriščih), v taborišču za slovenske, hrvaške in judovske deportirance na Rabu, med interniranci plamen upora  in upanja ni ugasnil. Ustvarili so si odporniško organizacijo, ki so jo pod nosom svjih preganjalcev in kljub njihovim naporom, da bi jih s stradanjem, krutostjo in pomanjkanjem spravili na živalsko raven, uspeli utrditi in celo razširiti.  Po 8. septembru 1943 so se tako interniranc lahko, ob pomoči odporniške organizacije prebivalcev Raba, sami osvobodili in razorožili italijansko vojško posadko na otoku. Iz tajne bojen organizacije taboriščnikov je nastala prava partizanska brigada, kratkotrajnega življenja, a neizmernega simbolnega in moralnega pomena. Avtor, ki je bil v njej namestnik povelnika, nam  njeno zgodbo predstavi z natančnostjo in doslednostjo zgodovinarja, a obnem s čustvenim nabojem človeka, ki je bil v njej soudeležen kot protagonist.  
 
Na predstavitvi bodo sodelovali avtor, zgodovinarka Univerze na Primorskem in Znanstveno raziskovalnega središča Republike Slovenije Koper/Capodistria Monica Rebeschini, urednik knjige Sandi Volk, z Odseka za zgodovino Narodne in študijske knjižnice, ter ravnatelj Narodne in študijske knjižnice, Milan Pahor.



SCHEDA DEL LIBRO

Il racconto della storia della Rabska brigada – la Brigata di Arbe, unità partigiana formata dagli internati del campo di concentramento fascista di Rab (Arbe). Nonostante le terribili condizioni di vita – o meglio, di morte – in quello che fu probabilmente il peggior campo di concentramento italiano, il campo per internati sloveni, croati ed ebrei dell'isola i Rab (Arbe), con una mortalità più alta di quella di alcuni dei lager nazisti, tra gli internati la fiamma della ribellione e della speranza non muore. Non solo mettono in piedi una organizzazione di resistenza, ma riescono ad estenderla e rafforzarla sotto gli occhi dei loro aguzzini e nonostante i loro sforzi per ridurli allo stato di abbrutimento animale. Dopo l'8 settembre riusciranno così, con l'aiuto dell'organizzazione di resistenzadegli abitanti croati dell'isola, a liberarsi da soli e a disarmare l'intero presidio italiano dell'isola, per dar vita a una loro brigata partigiana dalla vita breve, ma dal valore simbolico e morale altissimo. L'autore, che fu il suo vice comandante,ce lo racconta con rigore storiografico, ma al contempo con la partecipazione di chi della vicenda fu protagonista, seguendo le tracce degli internati/combattenti della Rabska brigada fino alla fine della guerra.
Anton Vratuša (1915), durante la Seconda guerra mondiale è stato attivista del Fronte di liberazione nazionale del popolo sloveno (Osvobodilna fronta slovenskega naroda, OF) (aprile 1941-maggio 1945). Arrestato dalle autorità d’occupazione italiane è stato successivamente internato in vari campi di concentramento italiani (febbraio 1942-settembre 1943), per ultimo in quello dell’isola di Rab (Arbe). Vice comandante della Rabska brigada (Brigata di Arbe, settembre - ottobre 1943), è stato poi rappresentante dell’OF presso il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) a Milano e del Quartier generale dell’Esercito popolare di liberazione e dei distaccamenti partigiani della Slovenia presso il Comando generale delle Brigate Garibaldi ed il Comando generale del Corpo Volontari della Liberta (CVL), svolgendo al contempo anche l’incarico di assicurare il collegamento tra il Comitato centrale del Partito comunista di Slovenia ed il Comitato centrale del Partito comunista italiano per l’Alta Italia (ottobre 1943-febbraio 1945). Nello scorcio finale della guerra ha lavorato presso gli organi federali del ricostituito stato jugoslavo (inizio marzo-maggio 1945). Membro dell’Accademia slovena delle scienze e delle arti, nel dopoguerra ha ricoperto importanti incarichi istituzionali nella Repubblica socialista federativa di Jugoslavia.

Anton Vratuša
Dalle catene alla libertà. La „Rabska brigada“,una brigata partigiana nata in un campo di concentramento fascista
Udine, KappaVu 2011
Pagine 200 - Euro 18,00 - SBN 97888898808627


(slovenščina / francais / italiano)

Wojtyla, Ratzinger, e i devoti criminali ustascia

0) Links / collegamenti sul pontificato di Karol Wojtyla

1) Santi cristiani (Fulvio Grimaldi)
2) [Tra un mese] Benedetto XVI a Zagabria pregherà per Stepinac [tanto per cambiare] (Stefano Giantin)
3) Sporno svetništvo Karola Wojtile (Iskraonline)
4) MADRE TERESA, GIOVANNI PAOLO II E LA FABBRICA DEI SANTI (Michael Parenti - estratto)
5) La morte del Papa. Note inattuali (Gino Candreva, 2005)


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LE RESPONSABILITA' VATICANE NEL CONFLITTO BALCANICO: ALCUNI ELEMENTI.
a cura del Comitato unitario contro la guerra alla Jugoslavia (Roma 1999)

IL DEVOTO CRIMINALE USTASCIA.
Ante Gotovina bacia la mano a San Wojtyla
Vescovi croati e Vaticano offrono protezione ad Ante Gotovina
Ante Gotovina è condannato dal "Tribunale ad hoc" dell'Aia per le stragi commesse in gloria di Santa Romana Chiesa

I CRIMINI DEGLI USTASCIA (1941-1945)

SANTO? DUBITO. Una lettura critica del pontificato di Giovanni Paolo II
Anno per anno, nome per nome, tutti i dati e gli eventi, i fatti e i misfatti, le contraddizioni e le ombre di un pontificato controverso. Dalla repressione della Teologia della liberazione ai controversi rapporti con dittatori, Legionari di Cristo e Opus Dei, fino allo scandalo degli abusi sui minori. Tutto quello che non avete mai letto sui media cattolici (e nemmeno su quelli laici), ma che avreste voluto sapere su Wojtyla...

LE ARMI DELLA SANTITÀ
LE OFFERTE PER IL BEATO GIOVANNI PAOLO II SI FANNO PRESSO LE BANCHE ARMATE 
(ADISTA)

Giovanni Paolo II santo per miracolo
(ADISTA)

IL GIUBILEO DEI REPRESSI 
1978-2003 : i 25 ANNI DEL PONTIFICATO DI PAPA WOJTYLA VISTI DA UN’ALTRA PARTE
L'offensiva contro la Teologia della Liberazione in America Latina
(dossier ADISTA del 25.10. 2003)

LE VATICAN ET LA QUESTION « YOUGOSLAVE » DEPUIS LA FIN DU XIXÈME SIÈCLE : 
HAINE CONTRE LA SERBIE ET RECOURS AU BRAS SÉCULIER
par Annie Lacroix-Riz
https://www.cnj.it/documentazione/alr_vatican.htm

STEPINAC, SYMBOLE DE LA POLITIQUE À L’EST DU VATICAN
Annie Lacroix-Riz

L'altra faccia del Papa: l'eredità di Giovanni Paolo II nei Balcani
Another Side of the Pope: John Paul II's Balkan Legacy
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4366
http://www.balkanalysis.com/modules.php?name=News&file=print&sid=523

Habemus Europam (sull'elezione di Ratzinger - aprile 2005)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4378

KAROL WOJTYLA: Tutte le guerre dell'ultimo papa
di TOMMASO DI FRANCESCO da "IL MANIFESTO" del 9 aprile 2005
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4424

Il Santo Guerriero - di Enzo Bettiza
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4364

Altri link sul Vaticano e la Croazia


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Santi cristiani

Frenesia mediatica di distrazione di massa, parallela a quella di distruzione di massa per la grande rivincita del colonialismo alla Graziani (un terzo dei libici gassati, sparati, impiccati), attorno alla beatificazione del peggiore degli ontologicamente pessimi papi e al matrimonio del gaglioffo anglomassonico William, collaudatosi degno erede al trono della sterminatrice Vittoria con con la partecipazione in ghingheri da guardia scozzese nel mattatoio Nato dell’Afghanistan. Soffermiamoci sulla prima, degna di collera quanto la seconda lo è di nausea. Anche perché a turlupinare, truffare, obnubilare e manipolare la gente sono stati quelli dei santi ad insegnarlo per primi, meglio di tutti e per duemila anni, alle cricche del dominio, dello sfruttamento e della morte. Vediamoli i meriti di Karol Woytila, papa nero e oscurantista peggio di Pio IX: distruzione manu militari della teologia della liberazione che affiancava gli esclusi nella ricerca della vita e della dignità; cospirazione in combutta con Cia, mafia, P2 e reazione mondiale contro la Polonia sovrana e socialista, alla cui sovversione offriva i denari sottrattici “per il sostegno della Chiesa e delle sue opere di carità”; riabilitazione e connubio con la setta fascista-vandeana di Lefevbre; assalto al Nicaragua rivoluzionario in combutta con i briganti “contras”; apparizione sul balcone accanto a Pinochet, a sostegno della più stragista delle dittature latinoamericane; fraterna solidarietà e incarichi di massimo livello (Propaganda Fide) al delinquente cardinale Pio Laghi, sodale dei generali argentini dei desaparecidos; intima collaborazione e status di braccio armato del papa per la mafia cattolica dell’Opus Dei, cane da guardia del potere finanziario e contro le eresie laiciste; lancio degli speculatori e trafficoni di Comunione e Liberazione e della Compagnia delle Opere alla conquista di mercati, servizi e della spoliazione dei beni pubblici in consorteria con il peggiore malaffare nazionale e internazionale; sostenitore dei nazisti “Legionari di Cristo, in spregio – o per merito – dei suoi sodalizi con la criminalità politica e di un superiore generale pedofilo; occultatore fuorilegge di tutti gli episodi di pedofilia che infestano ranghi bassi e alti dell’edificio ecclesiastico; padrino e patrono del criminale mafioso e piduista, probabile assassino di Papa Luciani, cardinale Marcinkus; beatificatore di serial killer come il vescovo croato Stepinac, stragista ustascia al servizio della Gestapo e due missionari battistrada del genocidio in Messico; cappellano militare dei fascisti croati responsabili del genocidio di serbi in Slavonia e nelle Krajine.
Beatificazione a furor di popolo decerebrato e di successore imperialista, con stile di marketing religioso finalizzato ad accreditarsi come partner politico, culturale e belligerante delle élites occidentali impegnate nella nuove crociate per lo sfoltimento dell’umanità e la dittatura sui sopravvissuti. Mentre il beatificatore non ha trovato, nei suoi perenni excursus nell’ipocrisia e nella farneticante superstizione, mezzo minuto per apostrofare i responsabili della strage degli innocenti in Libia nel giorno di Pasqua, troverà tempi e agi e piaceri da dedicare al presidente dell’Honduras, Porfirio Lobo, installato grazie ai golpisti attivati da Obama e protagonista quotidiano della repressione sanguinosa di un popolo, martire vero, ma dal lato sbagliato. Responsabile diretto di uccisioni, torture, sparizioni forzate, stupri, cacciata di contadini dalle loro terre a vantaggio di una banda di latifondisti e delle multinazionali, Lobo sarà ospite d’onore, insieme ad altri esponenti del crimine politico occidentale, alla beatificazione del passatista facinoroso. Tout se tien.

Fulvio Grimaldi
da Barbarie cristiane (28 aprile 2011 - www.fulviogrimaldicontroblog.info)


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Benedetto XVI a Zagabria pregherà per Stepinac 

Stefano Giantin
su Il Piccolo del 21/4/2011
 
TRIESTE Una preghiera sulla tomba del discusso cardinale Alojzije Stepinac e poi via, in aereo, verso Roma. Si concluderà così la visita di due giorni in terra croata di papa Benedetto XVI, atteso a Zagabria il 4 e 5 giugno prossimi.
Il primo giorno Ratzinger sarà ricevuto dal presidente Josipovic, dal premier Kosor e dal Gotha del mondo economico e culturale di Zagabria. Domenica 5, dopo la messa e il consueto bagno di folla, il Papa si congederà dai croati nella cattedrale di Zagabria, tempio che ospita le spoglie di Stepinac, arcivescovo della città durante il regime ustascia. Su Stepinac, beatificato da Giovanni Paolo II nel 1998, si continua a dibattere: salvatore di ebrei sotto Pavelic o collaborazionista? «Stepinac non era un criminale di guerra, aiutò gli ebrei croati a sopravvivere. Non aveva però quella forte personalità necessaria in un periodo così movimentato», spiega l’analista politico Davor Gjenero. «Stepinac si sforzò di salvare gli ebrei dei matrimoni misti e altre persone. A volte ci riuscì. Ma le sue proteste contro le leggi razziali furono deboli e tardive. E realizzò troppo tardi che l’indipendenza croata sotto l’influenza nazista e fascista non poteva portare a una vera autonomia e a uno stato di diritto», ribatte l’editore e scrittore Slavko Goldstein.
Più che al passato, il viaggio del Papa a Zagabria sembra però proiettato verso il futuro. Zagabria deve «proteggere il suo patrimonio cristiano mentre si avvicina all’entrata nell’Ue» e opporsi agli «ostacoli che si presenteranno sotto il pretesto di una libertà religiosa mal compresa, contrari al diritto naturale, alla famiglia e alla morale». Per il Vaticano, è fondamentale che la Croazia non abbia paura a chiedere a Bruxelles «rispetto per la sua storia e per la sua identità culturale e religiosa». Parole di Benedetto XVI affidate al nuovo ambasciatore croato presso la Santa Sede, Filip Vucak. La Croazia, ha aggiunto il Pontefice, va anche lodata «per il ruolo di promozione della pace nella regione e della reciproca comprensione tra popoli che vivono insieme da secoli in Bosnia».
Sul piano politico, la visita potrebbe aiutare a «sedare il nazionalismo, esacerbato dopo la condanna di Gotovina, delle strutture della Chiesa cattolica croata», si augura Gjenero. «Spero che accada quanto avvenne con la visita di Giovanni Paolo II a Zagabria durante la guerra: che il Papa plachi il nazionalismo nella Chiesa e nella società. Di questo – conclude l’analista – c’è ora particolarmente bisogno».

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FLASHBACK (dall'archivio di Radio Vaticana, tradotto dal portoghese. Ringraziamo Alberto Tarozzi per la segnalazione):

Il cardinale Joseph Ratzinger parlando di Stepinac lo considera ''un uomo di coscienza cristiana che si oppose ai totalitarismi. Al tempo della dittatura nazista divenne il difensore degli ebrei, degli ortodossi e di tutti i perseguitati. Più tardi, ai tempi del comunismo, fu il difensore dei fedeli e dei suoi sacerdoti assassinati e perseguitati. Però, soprattutto, divenne il difensore di Dio su questa terra, difendendo il diritto dell'uomo a vivere come Dio''.



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Sporno svetništvo Karola Wojtile

PRISPEVAL REDAKCIJA   
PONEDELJEK, 28 MAREC 2011 19:55

    Prvega maja bo katolièka cerkev v Rimu proglasila blaženost rajnega papeža Karola Wojtile - Janeza Pavla II. 

    To je prvi korak pred proglasitvijo za "svetnika", ki so jo romarji glasno zahtevali že na papeževem pogrebu, njegov naslednik Joseph Ratzinger - Benedikt XVI pa uresničil v čim krajšem roku. 
         Ni naša naloga, da sodimo o t.im. svetniških postopkih. Navsezadnje je to notranja stvar katoliške cerkve, ki je v svoji dvatisočletni zgodovini postorila marsikaj, čeprav naj bi bili "svetniki" nekakšni junaški zgledi za vernike. Nekaterih sploh ni bilo, drugi si očitno svetniške avreole niso zaslužili. Nekateri so postali svetniki potem ko so tvegali očitek krivoverstva, kot Frančišek Asiški. 
    Tisti, ki je svetništvu v RKC pravzaprav odvzel večji del veljave je prav papež Wojtila, saj jih je imenoval za cel bataljon, več kot jih je bilo imenovanih v celotni cerkveni zgodovini. Med njimi so bile tudi skrajno vprašljive osebnosti, kot zagrebški kardinal Alojzije Stepinac.
    Kot zunanji opazovalci in ocenjevalci stvarnosti, v kateri živimo, bomo o svetništvu Karola Wojtile povedali nekaj misli proti toku, ker menimo, da rajni papež vendarle ni zaslužil, da ga vernikom postavljajo za zgled junaštva. 
        Res je, da se je javno zavzemal za mir in bil priljubljen med množicami. Prav tako ima zasluge v boju proti komunizmu, čeprav niso tako velike, kot bi kdo mislil. Pripomogel je k hitrejšemu zrušenju socializma na Poljskem, pa še to z metodami, o katerih tudi cerkev nerada govori. Naprimer s financiranjem Solidarnosti z denarjem, ki ga je Vatikan pridobil pri zločinski mafijski tolpi iz rimske četrti Magliana. Njenega vodjo Renatina Pedinija so ubili, da ni bilo treba vračati posojila, truplo pa zakopali v baziliki sv. Apollinaira kot "dobrotnika krščanstva". 
    Povsem drugače se je Wojtila vedel z naprednimi tokovi v katoliških vrstah. Preganjal je teologijo osvobajanja v Latinski Ameriki, kjer so njene zagovornike v glavnem pobili, razen Leonarda Boffa, ki se je zatekel v Havano na varno. 
    Wojtila je znal biti pri tem zelo krut in neusmiljen, prav nič krščanski. Ugajali so mu fašistični diktatorji, kot čilski krvnik Pinochet, s katerim se je pojavil na balkonu predsedniške palače, v kateri je izdihnil zakonito izvoljeni socialistični predsednik Allende. Res je sicer, da je na stara leta šel na Kubo in se objemal s Castrom, ki je navsezadnje doštudiral v jezuitski šoli. Je pa sovražil nikaragujsko sandinistično revolucijo, v kateri so sodelovali tudi duhovniki. Nikaragujskega podpredsednika, jezuita in znanega pesnika Ernesta Cardenala je javno okrcal in mu odklonil roko v vdanostni poljub. Nahrulil je množico vernikov, ki so ga med mašo na prostem prosili, naj zmoli nekaj tudi za 24 učiteljev, ki so jih tiste dni pobili Reaganovi plačanci "contras". 
    Višek licermerja pa je dosegel v Salvadorju. Nadškof Arnulfo Romero je hotel Vatikan seznaniti z nasiljem "bataljonov smrti", a je par mesecev čakal na sprejem pri Wojtili, ki ga ni maral. Ko se je vrnil, so ga pred oltarjem ubili agenti desničarske "Arene", ki jo je vodil kapetan D'Abuisson. Slednji je pozneje postal "predsednik republike" in se je Wojtila z njim rokoval, nato odšel na Romerov grob in vzkliknil, da so ga ubili levičarski gverilci, kar je bila debela laž. Odveč je poudariti, da mučenik Romero ni nikoli postal ne blažen, ne svetnik. 
    Zgodbe še ni konec. Pozneje je Wojtila javno ožigosal jezuitske voditelje salvadorske univerze, da so "marksisti". Izjavo so objavili latinsko ameriški časopisi, kar je pomenilo zeleno luč za bataljone smrti. In res, v salvadorsko univerzo so vdrli oboroženci in pobili skupino jezuitov, profesorjev na univerzi, zraven pa še nekaj nun in postrežnic. Tudi zanje ni bilo predloga, da bi jih proglasili za mučenike... 
        S takim početjem si je poljski papež zagotovil spoštovanje in vdanost konzervativcev in desničarjev po vsem svetu, svetniške avreole pa najbrž ne. Vsaj po našem mnenju ne.


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also in english / aussi en francais: 


Revised and documented version, 27 October 2007




DI MICHAEL PARENTI
CommonDreams

Durante i 26 anni del suo papato, Giovanni Paolo II ha elevato a santità 483 persone, più santi di tutti i precedenti papi assieme, come viene riferito. 
Ci fu un personaggio che beatificò ma che non ebbe il tempo di canonizzare perché non visse abbastanza, cioè Madre Teresa, la suora cattolica di origini albanesi che sedeva a tavola con i ricchi e i famosi del mondo mentre veniva considerata una ardente difenditrice dei poveri. (...)

Gli “ospedali” di Madre Teresa per gli indigenti in India e altrove si rivelarono poco più che magazzini umani in cui persone seriamente ammalate giacevano su materassini, a volte cinquanta o sessanta persone in una stanza senza il beneficio di un'adeguata assistenza medica. Generalmente i loro malanni non venivano diagnosticati. Il cibo era nutrizionalmente insufficiente e le condizioni sanitarie deplorevoli. C'era poco personale medico sul posto, più spesso suore e preti impreparati.

Tuttavia, quando si occupava dei propri problemi di salute, Teresa si rivolgeva ad alcuni dei più costosi ospedali e reparti di cura del mondo per trattamenti allo stato dell'arte.

Teresa attraversò il globo per ingaggiare campagne contro il divorzio, l'aborto e il controllo delle nascite. Alla cerimonia per l'assegnazione del Nobel, dichiarò che “il più grande distruttore di pace è l'aborto”. Una volta ha anche insinuato che l'AIDS potrebbe essere solo una punizione per una condotta sessuale impropria.

Teresa alimentò un flusso costante di disinformazione promozionale su se stessa. Sosteneva che la sua missione a Calcutta sfamasse più di mille persone ogni giorno. In altre occasioni questo numero arrivava a 4000, 7000 o 9000. In realtà le sue mense per poveri sfamavano non più di 150 persone (sei giorni a settimana), compreso il suo seguito di suore, novizie e preti. Sosteneva che la sua scuola nei bassifondi di Calcutta ospitasse 5000 bambini quando gli effettivi iscritti erano meno di un centinaio.

(...) Durante una conferenza stampa a Washington DC, quando le venne domandato “Insegnate ai poveri a sopportare il proprio destino?” rispose “Penso che sia molto bello per i poveri accettare il loro destino, condividerlo con la passione di Cristo. Penso che il mondo tragga molto giovamento dalla sofferenza della povera gente”.

Ma lei stessa visse eccessivamente bene, godendo di lussuose sistemazioni nei suoi viaggi all'estero. Sembra che sia passato inosservato che come celebrità mondiale trascorreva la maggior parte del suo tempo lontano da Calcutta, con soggiorni prolungati presso opulente residenze in Europa e negli Stati Uniti, volando da Roma a Londra a New York su aerei privati.

Madre Teresa è il supremo esempio di quel tipo di icona accettabilmente conservatrice diffusa da una cultura dominata dalle élite, una “santa” che non ha espresso una parola critica contro le ingiustizie sociali, e che ha mantenuto comode relazioni con i ricchi, i corrotti e i potenti.

Ha dichiarato di essere al di sopra della politica quando era di fatto marcatamente ostile verso ogni tipo di riforma progressista. Teresa era amica di Ronald Reagan, e intima del conservatore magnate britannico dei media Malcolm Muggerridge. Era una gradita ospite del dittatore haitiano “Baby Doc” Duvalier, e aveva il supporto e l'ammirazione di una quantità di dittatori centro e sudamericani.
Teresa fu il modello di santo per Papa Giovanni Paolo II. Dopo la sua morte nel 1997, avviò il periodo di attesa quinquennale che si osserva prima di cominciare il processo di beatificazione che porta alla santificazione. Nel 2003, a tempo di record, Madre Teresa fu beatificata, il passo finale prima della canonizzazione. (...)

Un altro esempio di santificazione lampo, spinta da Papa Giovanni Paolo II, avvenne nel 1992 quando egli beatificò rapidamente il reazionario Mons. José María Escrivá de Balaguer, sostenitore dei regimi fascisti in Spagna e altrove, e fondatore dell'Opus Dei, un potente e riservato movimento ultra-conservatore “temuto da molti come una sinistra setta dentro la Chiesa Cattolica”. (...)

Il successore di Giovanni Paolo, Benedetto XVI, ha avviato il periodo di attesa quinquennale allo scopo di collocare istantaneamente lo stesso Giovanni Paolo II su una strada ultra-veloce per la canonizzazione, correndo fianco a fianco con Teresa. Già dal 2005 ci sono stati rapporti di possibili miracoli attribuiti al pontefice polacco recentemente scomparso.
Uno di tali resoconti è stato offerto dal Cardinale Francesco Marchisano. Mentre pranzava con Giovanni Paolo, il cardinale indicò che a causa di una malattia non poteva usare la propria voce. Il papa “accarezzò la mia gola, come un fratello, come il padre che era. Dopo di ciò mi sottoposi ad una terapia di sette mesi, e fui nuovamente capace di parlare”. Marchisano pensa che il pontefice potrebbe aver dato una mano nelle cure: “Potrebbe essere”, ha detto. Un miracolo! Viva il papa!


[Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di STIMIATO. Fonte: https://www.cnj.it/documentazione/parenti07.htm ]



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Santo Wojtyla

aprile 15th, 2011

In occasione della beatificazione di Wojtyla, pubblico un articolo scritto la notte stessa della scomparsa del coriaceo papa polacco. Naturalmente il punto di vista è quello dello storico e non del teologo.

La morte del Papa

Note inattuali

di Gino Candreva

Anche se non è possibile riassumere in un breve intervento il pontificato di Papa Wojtyla, uno dei papi più longevi della Storia, la cui elezione data dal 16 ottobre 1978, proviamo a trarre un sintetico bilancio.La difficoltà è accresciuta dal fatto che Wojtyla è stato davvero il “papa di tutti”, anche se non nel senso evangelico del termine. E’ stato il papa di Gianfranco Fini e di Walter Veltroni, concordi nel ringraziare il roccioso combattente reazionario polacco per aver dato la “spallata” decisiva a quello che ritengono di comune accordo il “male peggiore del secolo“ XX; è stato il papa di Gorbaciov, grato per avergli dato man forte nello sgretolamento dell’Unione Sovietica, e di Reagan; di Pinochet , di Somoza, della Junta golpista argentina; il Papa dei vescovi reazionari latinoamericani, riconoscenti per la repressione della “Teologia della liberazione”; il Papa della razzista Oriana Fallaci e del pacifista Bertinotti. Tutti chini, non per rispetto della parola di Gesù di Nazareth, ma delle proprie convinzioni e progetti politici. Il cinismo della comune commozione di fronte alla morte del Papa non ne è che l’ulteriore conferma.

Wojtyla è stato il primo papa non italiano dai tempi dell’olandese Adriano VI, morto nel 1523. Succeduto a papa Luciani, la cui morte dopo appena 33 giorni di pontificato è ancora avvolta nel mistero, si è imposto subito per la partecipazione alla guerra fredda contro l’Unione Sovietica. L’elezione del primo papa polacco non è stato un fulmine a ciel sereno, ma ampiamente sostenuta e probabilmente preparata dalla Cia e dall’Opus Dei. Il suo anticomunismo era ampiamente conosciuto, in Polonia e all’estero. Fin dal 1971 il futuro papa era noto per le prese di posizione contro il regime di Varsavia ed era stato molto attivo in Polonia nell’organizzare movimenti e associazioni di protesta. Le sue omelie vennero perfino incriminate in base all’articolo 194 della legislazione polacca dell’epoca. Sembrava dunque il candidato ideale ad aiutare l’imperialismo americano che aveva individuato nella Polonia il tallone d’Achille dell’”impero del male” sovietico. In cambio del suo sostegno l’Opus Dei venne emancipata dalla subordinazione ai Vescovi e divenne molto più importante nella gerarchia vaticana. Ne ha canonizzato il fondatore, il franchista Escrivà de Balaguer, morto solo nel 1975. Il 30 dicembre 1982 il Wall Street Journal scriveva: “L’alleanza è del tutto naturale perché l’Opus Dei e Giovanni Paolo II condividono tre preoccupazioni: un’opposizione fissata al comunismo; un forte desiderio di aumentare l’autorità del papa e un deciso impegno a preservare la dottrina ortodossa della Chiesa sull’aborto, la contraccezione, il celibato dei preti e su altre preoccupazioni tradizionali”. Il pontificato di Giovanni Paolo II si è svolto esattamente lungo queste tre direttrici. E grazie alla posizione conquistata sotto il pontificato di Wojtyla l’Opus Dei potrebbe giocare oggi un ruolo decisivo nella designazione del successore.

Ad appena tre giorni di distanza dal suo insediamento, in un rapporto del 19 ottobre 1978, la Cia considera l’elezione del nuovo papa polacco una pericolosa minaccia per la stessa Unione Sovietica. E nota che in Polonia, Bielorussia, Lituania e Ucraina, la Chiesa cattolica sta prendendo la testa del rinato nazionalismo anticomunista, mentre in Ungheria, Cecoslovacchia e Germania Est si assiste a un’accelerazione delle riforme e a una rinascita della Chiesa Protestante. L’elezione di Wojtyla, nota ancora il rapporto, contribuirà in maniera decisiva alla rottura del legame tra i Partiti comunisti dell’Europa occidentale e Mosca, già indeboliti dall’avvento dell’Eurocomunismo nel 1976. Si può dire che se dio è stato il primo a benedire l’avvento di Giovanni Paolo II la Cia non è stata meno rapida.

In seguito all’ascesa al soglio pontificio, il neo eletto papa intensificò tutto il suo attivismo ideologico nei confronti non solo della Polonia, ma di tutte le nazioni cattoliche del blocco sovietico, la Lituania, la Lettonia, l’Ucraina e la Bielorussia. Nel giugno del 1979, il viaggio in Polonia diventa l’occasione di una protesta di massa contro il regime stalinista di Varsavia, nella quale la Chiesa assume il ruolo centrale. L’occasione per tramutare l’offensiva ideologia in offensiva politica venne fornita dalla crisi polacca del 1980, con la nascita di Solidarnosc. Il contributo ideologico e politico del Vaticano alla nascita di Solidarnosc fu sostanziale. Quello economico ancora di più. Il finanziamento di Solidarnosc fu il risultato di complesse operazioni che ebbero come protagonisti il banchiere Roberto Calvi e il Banco Ambrosiano, la Mafia e lo Ior (Istituto opere religiosa, la banca vaticana) diretta da monsignor Marcinkus. Lo stesso papa Wojtyla, vicino all’Opus Dei difenderà Marcinkus accusato di bancarotta fraudolenta per il Caso Ior-Banco Ambrosiano (e solo l’extraterritorialità del Vaticano ne ha impedito l’incarcerazione).

Ecco ciò che scriveva Tony Zermo sul giornale La Sicilia il 7 gennaio 2003:

“Diciamo che la storia comincia all’incirca negli anni ’70 quando Cosa Nostra prende a trafficare droga, a mettere su le raffinerie (molte in via Messina Marine a Palermo) e a far soldi a palate. Questa montagna di denaro dev’essere investita, una parte va nelle banche svizzere, un’altra ancora in Borsa e agli insediamenti turistici fuori dalla Sicilia, un’altra parte viene affidata al banchiere di Patti Michele Sindona. Quando fa bancarotta nonostante il tentativo di salvataggio di Andreotti, Sindona viene arrestato e poi ucciso nel supercarcere di Voghera con un caffè all’arsenico: come anni addietro all’Ucciardone era capitato a Gaspare Pisciotta, l’uccisore di Salvatore Giuliano.
Sparito dalla scena Sindona, Cosa Nostra era alla ricerca di un banchiere importante e più affidabile di Sindona che potesse investire bene il suo denaro, ed ecco spuntare Roberto Calvi che da semplice “ragiunatt” era diventato presidente del potente Banco Ambrosiano.
Calvi, il “banchiere dagli occhi di ghiaccio”, sembrava l’uomo giusto e i fiumi di denaro della droga finirono all’Ambrosiano. Del resto “pecunia non olet” e nessuno potrà mai provare con certezza che quel denaro affluito al vecchio Ambrosiano era di Cosa Nostra.
Ma Calvi era un ambizioso irrefrenabile, pensava che legandosi al Vaticano, ed esattamente allo Ior, l’istituto bancario della Santa Sede gestito da mons. Marcinkus, avrebbe avuto porte aperte in tutto il mondo e ottenere protezione dai partiti politici italiani. Fu così che centinaia e centinaia di miliardi passarono dall’Ambrosiano allo Ior: e in mezzo a questo denaro c’era anche quello sporco. Con questo denaro il Vaticano finanziò “Solidarnosc” di Walesa che alla lunga riuscì a porre fine al regime comunista in Polonia. Dopo la democratizzazione di questo Paese seguì a catena la caduta dei regimi degli altri Paesi satelliti dell’Urss.
Naturalmente tutto questo era avvenuto senza che Cosa Nostra ne sapesse niente: aveva affidato i suoi “risparmi” a Calvi perché li facesse fruttare, non perché li desse a Marcinkus e da lì a “Solidarnosc”. E fu così che anche Calvi fece la fine di Sindona e venne trovato penzolante da una corda sotto il ponte dei “Frati neri” sul Tamigi. A distanza di venti anni s’è capito che quello non era suicidio, bensì un delitto di mafia, forse affidato da Cosa Nostra siciliana alla camorra, e in particolare a quel Vincenzo Casillo che poi saltò in aria con la sua auto a Roma. Meglio togliere di mezzo testimoni pericolosi.
Al di sopra di questo sordido traffico sotterraneo di miliardi della mafia c’era però il più alto contesto politico, la Storia che cambiava. Che Papa Wojtyla volesse far cadere il regime comunista nella sua cattolicissima Polonia lo sapevano in molti, soprattutto i servizi segreti sovietici.”

Controllata dal Vaticano e dalla Cia, Solidarnosc divenne il cavallo di Troia dell’imperialismo nell’intero blocco sovietico. Un altro importante polacco, Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale dell’allora presidente americano Jimmy Carter, dichiarò “Mi sono trovato a mio agio con Casey [direttore della Cia]. E’ stato molto flessibile e poco burocratico. Ha cercato soluzioni inedite. Ha fatto tutto ciò che bisognava fare per appoggiare gli sforzi clandestini in termini di materiale, reti, ecc… ed è per questo che Solidarnosc non è stata schiacciata” (24 febbraio 1992). Ma è il successore di Carter, Ronald Reagan, a comprendere in maniera decisiva le potenzialità dell’alleanza tra il Vaticano e l’imperialismo americano. In un rapporto del 1982 la Cia assume decisamente la direzione politica dell’affare polacco, consigliando al Vaticano una strategia di piccoli passi, mentre Wojtyla rafforza le tendenze anticomuniste all’interno della Chiesa e interviene nella politica polacca tramite il cardinale Glemp. Tra la fine del 1982 e il 1983 avviene la svolta nel blocco sovietico; a Breznev succede Andropov, uno dei responsabili della repressione ungherese del 1956, ma ora “riformista”, Walesa riceve il Nobel per la pace e Reagan inaugura il progetto di “guerre stellari”. Il crollo del muro di Berlino nel 1989 e dell’intero blocco sovietico nel 1991 giunsero al culmine di questo processo inaugurato dall’elezione di Wojtyla.

Il Vaticano, i suoi partner finanziari e naturalmente il suo partner politico più importante, l’imperialismo Usa, non mostrarono in America Latina lo stesso zelo per i diritti umani. Anche in America centro-meridionale la politica del Vaticano ebbe come stella polare l’anticomunismo.Tuttavia l’America Latina non era governata da partiti stalinisti bensì da sanguinarie giunte di destra. Il Cardinal Sodano, nunzio apostolico in Cile, fu uno dei più ferventi sostenitori della dittatura del boia cileno Augusto Pinochet, mentre il nunzio apostolico in Argentina, mons. Laghi, benediceva la giunta militare e mons. Tortolo giungeva ad equiparare il golpe argentino del 1976 con la Resurrezione pasquale. I responsabili di queste relazioni sono stati tutti promossi ai posti più alti della gerarchia vaticana, compresa la segreteria di Stato. In particolare uomini dell’Opus Dei sono stati tra i più influenti consiglieri di Pinochet, come il ministro degli esteri Cubillos, o uno degli uomini più ricchi del Cile, Cruzat, il cui impero attorno alla Banca di Santiago consisteva di oltre 250 aziende. Cruzat pagava ogni anno all’Opus Dei milioni di dollari in sovvenzioni. Dopo aver incontrato e benedetto di persona il boia cileno, arriva il 18 febbraio 1993 il Papa invia la sua speciale benedizione su Augusto Pinochet e signora in occasione delle nozze d’oro. I “diritti umani” in America latina sono evidentemente meno importanti che in Europa, dove possono essere usati come parola in codice della guerra fredda.

Se da una parte il Vaticano promuoveva alle più alte cariche gli elementi particolarmente reazionari del clero sudamericano, dall’altra concentrava la repressione all’interno della Chiesa contro la cosiddetta “Teologia della liberazione”.

In occasione del suo viaggio in Nicaragua nel 1983 il Papa condannò energicamente il “falso ecumenismo” dei cattolici impegnati nel processo rivoluzionario sandinista e li invitò all’unità sotto la direzione del vescovo di Managua, il reazionario monsignor Miguel Obando y Bravo, nominato cardinale subito dopo il viaggio.

Nata in America Latina, ma diffusasi in altre parti del mondo, soprattutto in Asia e in Africa, la Teologia della liberazione è una corrente che si propone la riflessione su dio, come tutte le teologie, ma la coniuga con le necessità sociali. Parla di liberazione dei poveri dalla fame, dall’oppressione e dallo sfruttamento, non semplicemente di liberazione dopo la morte. Il punto di partenza è dunque costituito dal tentativo di coniugare cristianesimo ed emancipazione sociale. I teologi della liberazione criticano soprattutto l’intreccio tra la Chiesa cattolica e i poteri forti, che nei paesi del terzo e quarto mondo, spesso sono rappresentati da dittature feroci. Questa tendenza appariva dunque pericolosa sia per le gerarchie ecclesiastiche che per i loro mentori politici locali e regionali. La reazione della Chiesa di Roma e in particolare del Papa è stata durissima. Il cardinal Ratzinger ha accusato questa corrente di marxismo e ateismo, ai teologi venne impedito di continuare il loro insegnamento, ai centri didattici legati alla Chiesa di parlare di questa dottrina. Lo stesso Wojtyla, in occasione di un viaggio in Nicaragua nel 1996, dichiarò che con la morte del comunismo anche questa corrente non aveva ragione di esistere. In questo modo si considerava la teologia della liberazione semplicemente una corrente subordinata al Vaticano, strumentale alla lotta al marxismo, che si proponeva cioè di strappare all’ideologia marxista l’egemonia sulle masse oppresse. Finito il marxismo, la teologia della liberazione aveva perso il suo ruolo di concorrente. La repressione di questa corrente si è inserita in un contesto di profonda restaurazione passatista. Il documento Dominus Jesus ha posto fine al tentativo di dialogo con le altre confessioni religiose, al di là delle esibizioni mediatiche degli incontri di Assisi. Sono stati sospesi e condannati i tentativi delle Chiese locali di adattare la liturgia alle varie culture, diversi teologi hanno subito la proibizione ad insegnare, mentre ad altri, autori di libri ritenuti non ortodossi, sulla verginità della Madonna o sull’origine del Purgatorio, per esempio, sono stati oggetto di scomunica o di pesanti condanne.

Caduto l’”impero del male” sovietico, la frenetica attività del papa si è rivolta alla nomina di centinaia di santi e beati della Chiesa. Alla fine il totale sforerà quota 1500, un record! L’iperattivismo di Wojtyla ha una ragione: la necessità di imporre la Chiesa di Roma al centro dell’attenzione. La beatificazione o la santificazione hanno costituito un potente segno del messaggio restauratore del Vaticano. Ogni cerimonia è finita col diventare un messaggio politico. Interi gruppi di “martiri” sono stati innalzati all’altare, dai sacerdoti bulgari, che hanno subito la pena capitale in seguito a un processo del 1952, a un gruppo di 31 martiri ucraini, a 25 vittime della guerra civile messicana degli anni Venti. 120 sono stati i martiri cinesi, dal 1600 agli anni Trenta.

E’ naturalmente impossibile ripercorrere tutte le fasi di una così frenetica attività beatificatoria. Particolarmente significative sono stati però tre episodi, indicativi delle preoccupazioni del Papa.

Il primo riguarda la beatificazione, avventa nel marzo del 2001, dei 233 preti e laici franchisti uccisi durante la Guerra civile spagnola dagli “anarco-comunisti”. Il clero spagnolo, durante la guerra civile del 1936-39, si spaccò tra leali al governo legittimo del “Fronte popolare” da una parte e ai golpisti di Francisco Franco, sostenuto da Hitler e Mussolini, dall’altra. Molti sacerdoti inoltre parteciparono alle brigate internazionali che accorrevano da più parti d’Europa in difesa della Repubblica. Dopo l’occupazione delle Asturie lo stesso Franco ordinò una feroce repressione e la messa a morte di quanti avevano combattuto tra le file repubblicane, tra cui qualche centinaio di sacerdoti. Queste vittime della repressione franchista-fascista non hanno però trovato ancora un papa che le beatifichi. Così come non l’hanno trovato le migliaia di sacerdoti copti massacrati dal fascismo in Etiopia per il solo sospetto di essere oppositori del colonialismo di Roma. La consacrazione selettiva delle “vittime dell’anarco-comunismo”, come si è espresso Giovanni Paolo II durante la celebrazione, costituisce da parte del Vaticano una rivalutazione postuma del Regime di Franco e un programma politico preciso.

Il secondo episodio riguarda la beatificazione di Alojzije Stepinac, avvenuta in Croazia nell’ottobre del 1998. Stepinac, considerato da Wojtyla una delle “prime vittime del comunismo”, in realtà è stato un fedele alleato del regime Ustascia di Ante Pavelic, che in quattro anni sterminò centinaia di migliaia di serbi, ebrei, zingari e altre minoranze in nome della “purezza etnica e religiosa della Croazia”, in quanto alleato subordinato di Hitler e Mussolini. Vari prelati sedevano nel governo di Ante Pavelic, alcune centinaia di religiosi parteciparono direttamente al massacro (v Marco Aurelio Rivelli: “L’arcivescovo Stepinac, altro che martire”, in il Manifesto, 3 ottobre 1998). Lo stesso Stepinac dispose la celebrazione del Te Deum all’atto dell’insediamento del governo Pavelic e in seguito, perfino quando i massacri e le deportazioni erano ben conosciute, in una lettera del 24 maggio 1943 al Cardinale Maglione, rassicura la gerarchia vaticana, che sollevava dubbi sul regime di Pavelic: “Dal detto segue che il Regime attuale in Croazia pare almeno di essere di buona volontà, la quale non può essere negata dalla Chiesa.” Lo stesso centro Simon Wiesenthal ha considerato la beatificazione di Stepinac “una provocazione”. La beatificazione di Stepinac giunge al culmine di un processo che ha visto il Papa impegnarsi in prima persona a favore della sanguinosa guerra che ha distrutto l’ex Jugoslavia. Il Vaticano (e la Germania) furono i primi a riconoscere la repubblica di Croazia, proclamata su basi etniche e religiose quando ancora esisteva la federazione jugoslava. La benedizione di Wojtyla al nazionalismo croato servì da miccia per l’esplosione della guerra serbo-croata, alimentò il nazionalismo, fece precipitare la crisi bosniaca. Col viaggio del 1994 e infine la canonizzazione di Stepinac, il Vaticano sosteneva apertamente Tudijman, il nuovo poglavnik (duce) della “cattolicissima” Croazia, che si presentava apertamente come l’erede di Pavelic. Come ricompensa al sostegno vaticano il governo di Zagabria restituiva alla Chiesa di Roma i beni confiscati dalla Repubblica federale jugoslava.

Dopo aver attaccato il comunismo, il Papa ha preso di mira la stessa ideologia della Rivoluzione francese, come paradigma di ogni idea di progresso. In un discorso pronunciato il 19 settembre 1996, in Vandea, così si rivolge il Papa ai fedeli di questa regione passata alla storia per essersi opposta alla Rivoluzione francese e aver scatenato il terrore bianco contro i rivoluzionari: “Voi siete gli eredi di uomini e di donne che hanno avuto il coraggio di rimanere fedeli alla Chiesa di Gesù Cristo, quando la sua libertà e la sua indipendenza erano minacciate”. Più che a Cristo il clero e i nobili della Vandea, regione a nord della Francia, furono fedeli al Re e a un sistema di privilegi che non volevano abbandonare. Nel 1789 organizzarono la resistenza alla Rivoluzione nel tentativo di restaurare l’Antico Regime. La rivolta vandeana giunse a spalancare i porti all’invasione inglese, che rischiava di travolgere il neonato potere rivoluzionario, già minacciato dalla reazione monarchica e dai suoi alleati austro-prussiani. Anche i “martiri” vandeani hanno avuto naturalmente la loro beatificazione.

Come se Wojtyla avesse voluto far girare all’indietro il film della storia e del progresso: dalle Repubbliche popolari nate nel dopoguerra, alla Rivoluzione russa, fino alla Rivoluzione francese; un filo percorre le scelte del pontificato di Wojtyla, che si sposa col cattolicesimo liberale moderato: l’idea delle masse come oggetto e non soggetto di trasformazione sociale. La stessa enciclica “Laborem exercens” del 1981, riprende il progetto del “cattolicesimo sociale” ponendosi in concorrenza con la teoria marxista sul terreno dell’egemonia sulla classe operaia. Le masse devono subire passivamente i processi sociali, determinati da un potere sul quale non hanno controllo, ma che deve paternalisticamente badare alle loro necessità. Quindi si criticano gli eccessi del liberismo e del capitalismo, ma l’essenza del socialismo. Il pericolo principale da scongiurare è la possibilità che il proletariato si emancipi istituendo un proprio sistema di potere da contrapporre al potere della borghesia. Dieci anni dopo la “Centesimus annus” travolge nella sua critica non solo il socialismo marxista ma lo stesso “razionalismo illuministico”.

Predicando contro “il potere”, lo stesso Giovanni Paolo II è stato un uomo di potere. Ha utilizzato l’enorme apparato della Chiesa cattolica romana, le sue quasi sterminate risorse finanziarie, il rapporto privilegiato con l’imperialismo americano e un iperattivismo mediatico per rafforzare la gerarchia ecclesiastica e subordinarla all’autocrazia papale. Lo stesso principio di collegialità episcopale, diffuso dal Concilio Vaticano II, sotto Karol Wojtyla è andato disperso. Lo strumento privilegiato è stato il Servizio diplomatico e la Nunziatura, direttamente controllati dal Papa. Sotto Giovanni Paolo II la Chiesa ha rafforzato il peso dell’apparato, finendo per distruggere altre istanze e forze vive richiamando i fedeli, ma non solo, a una stretta ortodossia cattolica tradizionalista.

Nulla è rimasto inespresso nel pensiero di Giovanni Paolo II, dalle grandi questioni politiche alle questioni sociali quotidiane alle questioni morali. In particolare su queste ultime si è fondata l’edificio di una grande restaurazione dottrinale della Chiesa. Innumerevoli sono i documenti nei quali il Papa ha preso posizione. Perfino i villaggi vacanza, “luoghi di un turismo vuoto e superficiale”, sono caduti sotto la scure del pontefice. Ma è stata la famiglia il terreno privilegiato della restaurazione cattolica. Su questo aspetto il Vaticano è rimasto sordo a ogni richiesta di rinnovamento che provenisse dalla società civile. E cuore della famiglia sono i figli. Wojtyla ha ribadito più volte la concezione che scopo della famiglia è la procreazione. Ha quindi condannato senza mezzi termini qualsiasi controllo o pianificazione delle nascite. Perfino di fronte all’esplosione dell’epidemia di Aids in Africa il Papa ha condannato l’uso dei profilattici. Il che ha impedito che centinaia di migliaia di vite venissero salvate. L’omosessualità viene condannata come atto “contro natura” e il possibile riconoscimento legale, di qualsiasi tipo, delle coppie omosessuali ha incontrato sempre una netta chiusura negli ambienti vaticani. Il divorzio è nettamente condannato.

Ma dove il Vaticano ha insistito maggiormente, e in modo più intenso negli ultimi tempi, è nella netta opposizione all’aborto e nella difesa dell’embrione, definito “soggetto umano con una ben definita identità”. Nell’ Evangelium vitae” del 1995, accanto a una condanna senza mezzi termini della contraccezione o di qualsiasi controllo delle nascite, dell’eutanasia, ecc., si teorizza la disobbedienza alle leggi quando queste violino la morale cattolica: “L’aborto e l’eutanasia sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza”. Nell’agosto del 2000 la Pontificia accademia pro vita, istituita da Wojtyla nel 1993, ha condannato la ricerca sulle cellule staminali e nel 2001 lo stesso Pontefice, rivolgendosi ai medici cattolici, ha ribadito le convinzioni morali della Chiesa, auspicando anche qui la necessità della cosiddetta “obiezione di coscienza”, ovvero la violazione delle leggi vigenti, per medici, ostetriche ecc.

L’enciclica “Evangelium vitae” tuttavia è importante anche per un altro aspetto. Essa contiene una casistica dettagliata sui doveri del cattolico che occupi posizioni istituzionali, di fronte a un dilemma di coscienza. Mira quindi al condizionamento religioso della vita politica del Paese. Un attacco alla laicità dello Stato che culmina in questi giorni con la pesante intromissione ecclesiastica nel referendum sulla procreazione assistita.

La visione del mondo che Wojtyla ha voluto diffondere è una visione ampiamente antimodernista. A questo scopo ha utilizzato tutti gli strumenti di forte impatto mediatico messi a disposizione dalla modernità. Si tratta di un utopico ritorno al Medioevo, quando l’Europa si chiamava Cristianità. Da qui l’insistenza al riconoscimento delle “radici cristiane” nella Costituzione Europea. Lo scopo è rendere la religione un “affare pubblico”, ovvero fondamento di diritto. In questo modo la legislazione europea si sarebbe dovuta piegare ed adeguare ai principi morali della Chiesa cattolica in tema di famiglia, aborto, omosessualità, ecc. Ma a ben guardare la logica della nominatio Dei nel preambolo costituzionale europeo andava oltre, fondava la “comunità europea” su basi religiose e non su basi politiche, stabilendo la superiorità del Dio dei cattolici sulla volontà popolare. E, implicitamente, la superiorità del suo rappresentante in terra, il Vescovo di Roma sulle istituzioni politiche.

La scena di un povero vecchio che muore, resaci incessantemente dalla pruderie necrofila dei mass media, non può oscurare l’essenza reazionaria del pontificato di Wojtyla e del suo grandioso progetto di restaurazione che cerca di fare piazza pulita di tre due secoli di progresso ed emancipazione. Né può farci dimenticare che l’emancipazione umana è, oltre che emancipazione sociale e politica, consiste nell’emancipazione della ragione dai dogmi ciechi della fede.

Gino Candreva

3 aprile 2005





Dichiarazione di PeaceLink

Bombardamenti italiani in Libia: nuovo strappo alla Costituzione


Grave l'appoggio di Napolitano, Berlusconi e PD a un'operazione che viola sia la risoluzione ONU sia l'articolo 11 della Costituzione Italiana
26 aprile 2011 - Alessandro Marescotti


Il 25 aprile Berlusconi non ha partecipato alle commemorazioni della Resistenza ma ha proclamato che occorreva passare dai sorvoli ai bombardamenti italiani in Libia.

Oggi a questa nuova opzione militare - sollecitata dall'amministrazione USA - si accodano Napolitano e il PD.

E' davvero incredibile come tali scelte, invece di esser condivise in ambito ONU, vengano decise in telefonate fra capi di governo, senza alcuna consultazione democratica.

Vengono esclusi quei popoli in nome dei quali l'ONU dichiarava - alla sua costituzione - di voler scongiurare il flagello della guerra.

E' incredibile leggere dichiarazioni come quella di Marina Sereni (PD): "La scelta annunciata dal Presidente del Consiglio di partecipare ai bombardamenti di obiettivi militari in Libia è la conseguenza obbligata della nostra appartenenza alla Nato ed è coerente con il ruolo geostrategico dell'Italia nell'area".

E' infatti assolutamente falso che l'appartenenza dell'Italia alla Nato preveda tale obbligo, che scatta solo se una nazione della Nato venisse attaccata militarmente.

Ed è grave che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dichiari: “L'ulteriore impegno dell’Italia in Libia costituisce il naturale sviluppo della scelta compiuta dall'Italia a marzo, secondo la linea fissata nel Consiglio supremo di difesa da me presieduto e quindi confortata da ampio consenso in Parlamento”.

PeaceLink fa appello alla società civile: l'opinione pubblica può e deve dissociarsi dalle bombe e dalla guerra. Nessuna risoluzione ONU impone all'Italia di bombardare. La risoluzione ONU prevede solo la no-fly zone.

Ogni altra azione, oltre che provocare nuove possibili vittime, viola la nostra Costituzione che nell'articolo 11 "ripudia la guerra"; l'Italia prevede, nella seconda parte, delle "limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni"; prevede quindi la partecipazione ad organismo sovranazionali per scopi di pace, non certo per fare la guerra.

Scopo dell'ONU è quello di far cessare il fuoco, non far vincere una delle due parti in conflitto in Libia.

Grave è l'appoggio di Napolitano, Berlusconi e PD a un'operazione che viola sia la risoluzione ONU sia l'articolo 11 della Costituzione Italiana.

Spetta al popolo italiano, alla società civile, dissociarsi da questa manomissione dei cardini fondamentali dell'identità nazionale che dopo il 25 aprile 1945 furono fissati perché in Italia non risorgesse alcuna ambizione di ingerenza militare all'estero. Per decenni in Italia le forze politiche sono state concordi a tenere fuori l'Italia da ogni azione di bombardamento in teatri di guerra; oggi è in atto invece un grave strappo a quella tradizione costituzionale che fissò le basi della nostra democrazia e gli ideali della Repubblica.

E' nostro compito testimoniare e rivendicare quei valori di pace e democrazia per i quali è stata scritta la nostra Costituzione, oggi calpestata.


Note:

Risoluzione integrale n.1973 dell'ONU (sulla Libia) 
http://www.forumcivico.it/risoluzione-onu-nazioni-unite1973-2011-sulla-libia-358.html

Articolo 11 della Costituzione Italiana 
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.






PISA, 16 aprile 2011: Convegno nazionale NO ALL’HUB MILITARE  - NO ALLA GUERRA 

APPELLO FINALE ASSEMBLEA DEL 16 APRILE


Posted on 17/04/2011


A conclusione del Convegno Nazionale “NO all’Hub militare NO alla guerra” svoltosi a Pisa il 16 aprile 2011 i partecipanti concordano sulla necessità e sull’urgenza di rilanciare in Italia il Movimento Contro la Guerra. Ciò anche a seguito del drammatico attacco militare alla Libia (risoluzione ONU n.1973 che istituisce la No fly zone) da parte dell’alleanza USA-NATO che rischia di infuocare il Mediterraneo e in cui l’Italia è già pesantemente coinvolta sia con l’uso delle basi militari che col comando ad essa assegnato per il pattugliamento navale.

A questo proposito richiamano alla memoria la Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza antifascista e in particolare i seguenti articoli:
Art 11 “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali; ……….”
Art. 78 “ Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”.
Art.80 “Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei Trattati Internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio o oneri alle finanze o modificazioni di leggi”.
Questi articoli della Costituzione insieme a quello del diritto di asilo politico sono stati violati più volte dal dopoguerra in poi e oggi continuano palesemente a essere violati. L’Italia si è trovata molte volte a essere in stato di guerra senza che il parlamento avesse né discusso né votato alcuna risoluzione in tal senso e spesso le stesse missioni militari sono state approvate a posteriori.
Attraverso le violazioni dell’art. 80 non sono mai stati resi pubblici, perché coperti da segreto di Stato, gli accordi dei nostri governanti con il governo USA, in riferimento alla concessione di parti del territorio italiano per l’installazione di basi militari.

E’ evidente la difformità con altri paesi europei come per esempio la Germania che nonostante abbia perso la guerra ha già ricontrattato la presenza delle basi militari USA e NATO, anche a proposito dello stoccaggio di armi nucleari.
Tutto ciò è dimostrabile prendendo come modello – riproponibile per tutte le basi USA / NATO sparse per l’Italia – la storia di Camp Darby, la base logistica USA più grande d’Europa che ha svolto e svolge un ruolo strategico a livello planetario e in cui sono stoccate armi proibite come le cluster bomb, proiettili all’uranio impoverito e da dove con alta probabilità sono transitate anche armi nucleari.
Da questa base sono partiti mezzi e munizioni per tutti i teatri delle ultime guerre: Iraq, Afghanistan, ex-Jugoslavia ed oggi anche verso il nuovo teatro di guerra nel cuore del Mediterraneo: la Libia.

In questo quadro diventa ancora più preoccupante la decisione di realizzare nell’aeroporto militare di Pisa l’Hub Nazionale dell’aeronautica da dove partiranno le truppe e i mezzi per le cosiddette “missioni umanitarie”, cioè le guerre, in sinergia con la base militare USA di Camp Darby. La situazione del territorio tra Pisa e Livorno, già critica sul piano ambientale, sanitario, logistico ed economico si aggraverà, poiché l’inizio della guerra contro la Libia a seguito della Risoluzione ONU n. 1973 ci vede direttamente coinvolti come paese.

Non meno grave però sarà la situazione nelle aree in cui si trovano le altre basi o strutture militari di comando degli alleati, pensiamo a Napoli sede del Centro di Comando strategico della Nato, da cui si stanno coordinando le operazioni militari contro la Libia; alla Sicilia Trapani Birgi e Sigonella e il suo centro di ascolto radar e integrazione della rete di comunicazione Nato; alle basi di Aviano e Ghedi con la presenza di bombe nucleari; la base di Vicenza con il Dal Molin, a base di Solbiate Olona con il comando europeo di pronto intervento NATO a Cameri-Novara con gli F35; a Il salto di Quirra in Sardegna per l’addestramento e la formazione militare.
Tutto ciò, insieme a Camp Darby e ora all’Hub nazionale militare dell’aeronautica a Pisa, rappresenta il complesso strategico-operativo per la guerra globale, infinita e permanente a guida Usa-Nato. Anche l’U.E. e altri paesi utilizzano le basi militari presenti in Italia Se a ciò aggiungiamo l’incremento progressivo delle spese militari, l’ulteriore militarizzazione diffusa dei territori e le missioni militari all’estero, ci rendiamo conto di come l’Italia sia l’avamposto della guerra permanente.

Nel nostro paese il Movimento contro la guerra ha avuto in questi ultimi anni una battuta d’arresto, anche a causa delle nefaste scelte di rifinanziamento delle missioni all’estero e dell’aumento astronomico delle spese militari durante il precedente governo Prodi, che ha contribuito alla crescente delusione, con una progressiva smobilitazione delle coscienze dei cittadini e del “popolo della pace”, a una lacerazione nelle forze politiche anche di opposizione, tanto che oggi il PD si fa paladino dell’aggressione contro la Libia, votando in Parlamento con il PDL la guerra e la cosiddetta sinistra “radicale” appare confusa ed incapace di indicare una chiara strategia di contrasto al militarismo e alle guerre coloniali.

Il drammatico paradosso è che assistiamo a un a nuova guerra in pieno Mediterraneo, alle porte di casa, senza che vi sia ancora un movimento di opposizione forte, coordinato e permanente .
In nome dei diritti umani violati in Libia, si scatena una nuova guerra di aggressione da parte del neocolonialismo imperialistico, non perché si hanno a cuore le sorti del popolo libico, ma piuttosto in nome di una “santa alleanza” per l’accaparramento delle riserve di petrolio e gas di cui è ricco quel paese.
Le compagnie transnazionali, soprattutto francesi, ma anche inglesi e americane, non si stanno facendo quindi scrupoli nel sostenere e finanziarie con ogni mezzo i cosiddetti “ribelli” per sbarazzarsi la prima possibile di Gheddafi e avere così mano libera per privatizzare nuovamente i pozzi di petrolio e gas. E magari ripristinare le basi militari straniere che la precedente esperienza della Jamaijria (la repubblica popolare libica nata nel 1969 dopo la cacciata del Re Idris, fantoccio dell’imperialismo inglese) era riuscita a cacciare.

Il disegno del nuovo espansionismo neocoloniale – prevalentemente a guida europea con supervisione statunitense (i comandi NATO sono saldamente in mano al Pentagono) – è così evidente che non dobbiamo esitare nel contrastarlo con ogni mezzo informativo, ma anche di grande mobilitazione nazionale.
Ciò richiede l’urgente rilancio in Italia di un diffuso Movimento Contro la Guerra.

Ripartiamo da Pisa e da Napoli per lanciare il presente Appello per un Coordinamento Nazionale Contro la Guerra che, nel rispetto delle varie sensibilità, riunisca tutte le forze autenticamente pacifiste e contro la guerra, i movimenti contro le basi e le servitù militari, le Associazioni umanitarie e di solidarietà tra i popoli.
In Toscana, come Coordinamento nazionale contro la guerra ci impegniamo a promuovere a Pisa una mobilitazione costante contro l’Hub e la base militare Usa di Camp Darby, ormai evidenti strumenti funzionali alle strategie belliche della Santa Alleanza USA-Nato nell’area Mediterranea- Mediorientale.

Ancora una volta siamo davanti a un bivio storico in cui ciascuno di noi come singolo o movimento si trova di fronte alle proprie responsabilità nel difendere i valori fondanti della nostra Costituzione antifascista nata dalla Resistenza e dire un NO alla GUERRA chiaro e netto o accettare passivamente che si compia in Libia la tragedia già vista in Iraq, Jugoslavia, Afghanistan.
L’Italia rischia di pagare un prezzo altissimo con la partecipazione a questa guerra. Le conseguenze non saranno solo nell’immediato con l’ondata di profughi, ma anche in termini di economia, di approvvigionamento energetico, ambientali e morali. Si è scatenata una guerra contro i migranti, utilizzando mezzi e infrastrutture per impedire sbarchi, realizzare respingimenti o deportare uomini, donne, bambini nei centri – ghetto (spesso ex basi o caserme). Ciò favorisce ulteriori processi di militarizzazione, come le stazioni radar in Su d Italia acquistati dalla GdF con fondi UE.
Non esiste una guerra giusta anche se approvata con una risoluzione dell’ONU.
NO, in nostro nome la guerra non si farà! Non siamo disposti a mantenere in piedi un sistema mondiale consumistico, divoratore di materie prime e risorse energetiche che condanna a morte la maggioranza degli abitanti del pianeta.
Educhiamo alla pace e non educhiamo alla guerra. Chiediamo l’uscita dell’Italia dalla NATO e il ritiro di tutte le truppe italiane dai vari fronti di guerra.
L’unica medicina contro la guerra è: meno caserme, meno armi, più giustizia sociale, più scuole, più cultura, un nuovo modello sociale, basato sulla divisione equa delle ricchezze e non sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura.

FIRMATARI

Coordinamento NO HUB Pisa-Livorno
Comitato NO Camp Darby
Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella
Rete nazionale Disarmiamoli
Comitato pace, disarmo e smilitarizzazione dei territori, Napoli
Assemblea No F35 Novara
Salento No War
Brigate di Solidarietà Popolare con l’America Latina
Comitato Internazionale di Educazione per la Pace
Gruppo No Hub No Guerra di Lucca


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Report dell'assemblea nazionale contro la guerra 
Napoli 17 aprile 2011

Scritto da Assemblea napoletana contro la guerra

Si è svolta a Napoli, nella mattinata di domenica 17 aprile, all’Università Orientale occupata, l’assemblea nazionale contro la guerra in Libia, primo momento di confronto all’interno del movimento. Più di 130 persone hanno partecipato all’iniziativa, decine e decine sono stati gli interventi di singoli e strutture, presenti compagni da circa 10 città, da Milano a Palermo. 

L’assemblea si è aperta ricordando il compagno ed attivista dell’ISM, Vittorio Arrigoni, rapito ed ucciso a Gaza nelle prime ore di venerdì. Fuori al Palazzo dell’Università è stato esposto uno striscione commemorativo, e sono state ammainate le bandiere dell’Unione Europea e dell’Italia e messe al loro posto quelle della Palestina. L’impegno di Vittorio, la sua umanità, la sua ironia anche nelle situazioni più tragiche, il calore e la gioia che ha saputo comunicare a chi lo aveva conosciuto rimarranno per sempre nei nostri cuori, e ci spingeranno ad un rinnovato impegno perché non vi siano più nel mondo oppressi ed oppressori.  

Gli organizzatori sono poi passati a fare un rapido bilancio della manifestazione nazionale del giorno prima. Una manifestazione che ha visto sfilare verso il comando NATO di Bagnoli oltre 3.000 persone, provenienti da diverse parti d’Italia, per contestare l’aggressione militare che da un mese sta insanguinando la Libia. La manifestazione, chiamata dall’Assemblea napoletana contro la guerra – un coordinamento di realtà autorganizzate, di collettivi studenteschi e territoriali – è stata giudicata pienamente riuscita. Nonostante il boicottaggio dei media ufficiali e l’indifferenza (se non il sabotaggio) di pezzi consistenti della sinistra “istituzionale” o di “movimento”, migliaia di persone, per lo più giovani, studenti medi e universitari, sono scesi in piazza per contestare la retorica delle “guerre umanitarie” e quella degli “interessi nazionali”. Nonostante tutte le difficoltà che i movimenti incontrano in questa fase, nonostante la confusione che questo intervento ha provocato nella sinistra, nonostante lo sbandamento di gran parte del movimento pacifista che nel 2003 era riuscito a esprimersi con forza, si è riusciti in sole due settimane a creare un appuntamento che superasse le piccole espressioni locali e individuali di contrarietà alla guerra. 
Senza indugiare in trionfalismi assolutamente fuori luogo – perché è innegabile che una contrarietà di massa alla guerra non si ancora espressa e che anzi le modalità di intervento bellico sono state in buona parte metabolizzate dal Paese – la lezione da trarre da questa manifestazione è evidente: se in poco tempo e con pochi mezzi alcuni collettivi di base sono riusciti a portare in piazza migliaia di persone, che cosa sarebbe successo se tutti i compagni, le realtà pacifiste etc avessero deciso di costruire anche loro questa mobilitazione? 
Il valore del corteo di sabato non è stato insomma solo nell’essere l’unica alternativa al silenzio ed alla complicità, o nell’essere coerente con le passate prese di posizione, ma nell’essere dimostrazione concreta che “si poteva fare”, che c’è un sentimento diffuso di contrarietà alla guerra e che se non lo si riesce a interpretare politicamente è anche per malafede, per un senso di sconfitta complessivo, per incapacità soggettive dei movimenti. 

Sono quindi iniziati gli interventi delle diverse realtà politiche presenti, che sono entrati nel merito delle differenti analisi e valutazioni su quello che è successo nell’ultimo mese sia in Libia che in Italia. Rispetto alla specificità della situazione libica, si è ricordata l’importanza del petrolio e delle royalties delle multinazionali, così come il ruolo e gli interessi di lungo corso della Francia nell’espansione dell’UE verso Sud, mentre altri hanno sottolineato come l’intervento sia legato anche ad un’esigenza di controllo delle rivolte della primavera araba. Sul “fronte interno”, si è discusso della questione dei migranti e del loro “uso strumentale”, nonché del restringimento delle libertà democratiche anche in Parlamento, con interventi militari che ormai non sono oggetto né di un dibattito pubblico né di uno istituzionale, e delle ricadute delle spese militari sulle classi popolari. 
Ci si è quindi interrogati sul perché non si sia creato un sentimento di sdegno forte contro questa guerra, e questo è stato imputato innanzitutto alla persistenza dell’idea di un’Unione Europea “buona”, anche quando si lancia in avventure militari, di un antimperialismo che più spesso è rivolto solo contro gli Stati Uniti e – non ultimo – ad una sinistra di base che si è comportata come se stesse al “governo”. Molti interventi hanno insistito sulla necessità in questa fase storica di ragionare su scala internazionale, mettendosi quantomeno allo stesso livello politico in cui vengono prese la maggior parte delle decisioni, quello europeo.

Vista la ricchezza del dibattito, tutti hanno convenuto che bisogna continuare il confronto e l’analisi delle varie situazioni arabe e nord africane, che hanno profonde peculiarità e differenze. Anche perché l’assemblea deve segnare un punto di partenza ed una forma pur embrionale di scambio e di coordinamento, soprattutto dopo l’incoraggiante manifestazione di sabato. Secondo gli intervenuti, bisogna continuare il lavoro di controinformazione e demistificazione nei posti di lavoro, nelle scuole, in ogni ambito sociale. Si è infine letto l’appello scritto dai compagni di Pisa in lotta contro l’Hub militare, scaturito dalla loro assemblea antimilitarista del 16 aprile, e si è presa conoscenza con favore della loro lotta, che è parte integrante del movimento contro la guerra.

L’assemblea ha quindi deciso:

- di creare di una mailing list su cui possano viaggiare informazioni, iniziative, segnalazioni, comunicazioni. 
- di convertire il sito usato per la manifestazione napoletana www.stopwar.altervista.org in sito contro la guerra in Libia, per propagandare analisi, iniziative etc. I compagni che se ne occuperanno sono quelli del CAU, a cui però vanno segnalate eventuali iniziative, rassegna stampa, articoli di approfondimento…
- di rivedersi il 15 maggio a Roma, per un nuovo incontro sulla guerra in Libia, per fare il punto della situazione ed immaginare qualche nuova iniziativa coordinata. 

Nel frattempo, ogni realtà deciderà se e come partecipare alle seguenti date:

- Manifestazione nazionale di sostegno alla Freedom Flottilla, 14 maggio a Roma
- Giornata nazionale di lotta presso il campo di Manduria, intorno al 18-19 giugno

Per il momento l’invito a tutte e tutti è a far girare questo report, coinvolgere altre realtà, organizzare iniziative e tenere aggiornato il sito, per rivedersi ancora più numerosi il 15 a Roma.

per iscriversi alla mailing list dell'assemblea nazionale contro la guerra spedire una mail a assembleanowar.na@...