Informazione


ABOLITA LA NONVIOLENZA, ADESSO ABOLISCONO LA "PACE"


(NB. La "Tavola della Pace" è quella organizzazione che nel 1999
invitava Massimo D'Alema - primo responsabile della partecipazione 
italiana al bombardamento del petrolchimico di Pancevo e della piazza
del mercato di Nis - a partecipare alla marcia Perugia-Assisi)


Confronto sul senso della parola

Un movimento senza pace

Sara Milanese

La Tavola della Pace ha deciso di abolire il termine “pace” dalla sigla
della prossima edizione della marcia Perugia-Assisi. Per far riflettere
sui significati concreti di quel termine, la spiegazione. “In realtà è
una svolta sinistra”, per Euli. «Un modo per togliere dall’imbarazzo
tanti politici», per Zanotelli.

La Tavola della Pace ha deciso di rompere con le tradizioni. Aldo
Capitini è ormai superato: i tempi sono cambiati, e sono abbastanza
maturi per affrontare il primo “sciopero della parola pace”, come l’ha
definito Flavio Lotti, coordinatore della Tavola.

Uno sciopero necessario, perché pace è una parola troppo abusata,
bistrattata, politicizzata. Uno sciopero che vuole “ricercare il
significato vero e profondo” della pace. Cioè gli aspetti pratici e
concreti: i diritti umani. La prossima marcia Perugia –Assisi, non più
per la pace, vuole sottolineare proprio questo aspetto, lo slogan
infatti è “tutti i diritti umani per tutti”.

Uno sciopero, però, che non cancella definitivamente la parola pace dalle
attività della Tavola: la marcia sarà preceduta dalla “Settimana della
pace”: 7 giorni di iniziative, incontri, assemblee, giornate a tema.
Inoltre, in parallelo alle attività italiane, si svolgerà a Nairobi
l’ottava edizione della Marcia della Pace (il 15 settembre), e, sempre a
Nairobi, una conferenza internazionale sui conflitti africani aperta a
giornalisti e ad esponenti politici chiave (dal 29 novembre al 1
dicembre).

Era proprio necessario dunque “mutilare” la storica marcia? O forse la
meditata riflessione è nata in seguito alle polemiche dell’edizione
2006, quando la Tavola della Pace decise di appoggiare l’invio di caschi
blu in Libano approvato dal governo Prodi?

«Una svolta sinistra» l’ha definita Enrico Euli, docente di peacekeeping
e gestione dei conflitti a Cagliari, ed esponente dei movimenti
nonviolenti. Una decisione, quella di abolire la “pace”, «coerente con
il percorso che la Tavola sta portando avanti da anni». Secondo Euli c’è
ormai una differenza abissale tra il pacifismo della prima marcia nel
’61, antimilitarista e non violento, e quello generico di oggi; «una
degradazione che è in corso da più di un decennio».
Pace come parola è ormai inutilizzabile, «si dovrebbe andare verso
visioni più radicali e più definite» per capire di cosa si intende. Ma
la scelta di sostituirla con la cultura del diritto «ancora più morta,
fallita e ambigua della parola pace, non solo non è una soluzione, ma è
proprio la matrice stessa del problema». La crisi del pacifismo sarebbe
determinata quindi dalla sua riduzione al solo aspetto giuridico. «Il
pacifismo è morto proprio perché lo si è fatto diventare solo pacifismo
giuridico, e non ha invece sviluppato tutti i percorsi tipici della
nonviolenza».

«Per pace intendiamo la costruzione di un sistema di giustizia
internazionale, vogliamo porre l’accento sul cosa permette di costruire
la pace», questo, secondo Lisa Clark di Beati i costruttori di pace, il
vero motivo che sta dietro la decisione della Tavola. Costruire la pace
presuppone il garantire diritti, il soddisfare bisogni. «In questo modo
non si appiattisce il significato della pace, ma lo si esalta. Si esalta
tutto il lavoro che c’è dietro la sua costruzione».

«Tanti politici alla marcia per la pace non si potevano accettare. In
questo modo li si toglie dall’imbarazzo», il primo commento di padre
Alex Zanotelli. Che prosegue: «Il valore della pace è sempre stato molto
a cuore a tanti, togliere il nome pace dalla marcia vuol dire toglierle
il cuore. Proprio quest’anno, per la prima volta noi ci presentiamo con
un governo amico che ha una pagella sulla pace estremamente pesante». In
finanziaria sono aumentate le spese militari, le esportazioni di armi
del 2006 hanno battuto il record di vendite degli ultimi 20 anni. «Ora
come non mai c’è bisogno di porre l’attenzione sulla parola pace, invece
che abolirla».
D’altra parte, l’Italia è ancora presente coi suoi militari in
Afghanistan; il nostro sottosegretario alla Difesa ha firmato accordi
con Washington per la costruzione di oltre 4000 F35; il nostro ministro
Parisi ha già firmato, assieme alla Polonia, l’accordo con gli Stati
Uniti sullo scudo spaziale. In coerenza, quindi, «nessuno di questi
ministri, sottosegretari, esponenti di partiti di governo, potrebbe
partecipare ad una marcia della pace». Ma alla marcia per i diritti
umani non potranno mancare.





From: baracca @ fi.infn.it
Date: June 22, 2007 5:50:34 PM GMT+02:00
Subject: SEMINARIO SUL KOSOVO, 9 luglio, ore 17

CON PREGHIERA DI DIFFUSIONE


Seminario sul
Kosovo

Lunedì 9 luglio, ore 17
Casa del Popolo “Andrea del Sarto”
Via Manara 6 – Firenze

Con la Partecipazione del Prof. Alberto Tarozzi

Nel quasi assoluto silenzio dei media, l'evolversi della situazione nei Balcani si degrada progressivamente in modo allarmante, con pesanti analogie con quella che si era creata agli inizio degli anni 90, con le conseguenze ''inattese'' a tutti ben note.

Lo scenario più probabile vede al momento un allungamento di qualche mese dei tempi decisionali, che consentiranno però solo piccole variazioni, visto che la componente kossovaro albanese è già sostanzialmente soddisfatta del “piano Ahtisaari” e non è dunque propensa a  recedere da una opzione per l'indipendenza che sarà sicuramente sostenuta dagli Stati Uniti, determinati a versare benzina sul fuoco.
La decisione delle Nazioni Unite per l'indipendenza non può essere compresa ed accettata dai Serbi, che vedrebbero sottratto al proprio Paese un 15 per cento del territorio che era stato viceversa mantenuto nonostante la guerra della Nato ai tempi di Milosevic. Tale posizione è stata ribadita anche nella recente visita del Ministro degli esteri D’Alema.
Sul piano internazionale si prefigura una violazione dall'alto dei confini nazionali di uno Stato: un precedente che allarma, per ovvi motivi, numerosi Paesi europei come Spagna e Grecia, oltre naturalmente alla Russia.
Ci si avvia comunque ad una decisione delle Nazioni Unite per l'indipendenza del Kosovo, alla quale verrà probabilmente opposto il veto della Russia, e al successivo riconoscimento unilaterale del Kosovo da parte degli Stati Uniti, riproducendo una situazione perfettamente analoga al riconoscimento di Croazia e Slovenia agli inizi degli anni 90, che fu il punto di partenza del massacro in ex Jugoslavia. ... e poi?

In quelle zone vi sono 2.000 nostri soldati.

Nell’indifferenza generale, sono generali italiani, come Mini (ex-comandante NATO nel Kosovo), che vedono nell'indipendenza del Kosovo elementi fonte di possibili nuovi conflitti (v. intervista al Manifesto, 16 gennaio 2007, ALLEGATA).

Data la sostanziale rimozione di questi nodi nei media e nell’opinione pubblica, a fronte dei rischi concreti di esplosione di nuovi conflitti nei Balcani, riteniamo fondamentale riunirci per una discussione ampia e approfondita.



*** Si veda anche l'intervista a Fabio Mini «Italia apprendista stregone in Kosovo» diffusa su JUGOINFO il 30 maggio 2007:
http://www.esserecomunisti.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=15833%20%20 ***



Quanti leader della Nato si resero conto davvero del vaso di Pandora che si stava aprendo con la scelta della guerra del 1999? 

«In Kosovo vacilla l'Europa»

Il generale Fabio Mini, ex comandante Nato: in questi 7 anni si sono ignorate molte nefandezze. Resta grave la responsabilità dell’amministrazione Unmik che ha impedito il rientro dei rifugiati.

Tommaso Di Francesco 
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)
16 gennaio 2007

Si apre oggi a Roma la Conferenza sui Balcani e sullo status finale del Kosovo del governo italiano. Su questa crisi, che preoccupa i ministri degli esteri europei che temono una «tempesta» tanto da convocare un vertice il 26 gennaio a Bruxelles, abbiamo rivolto alcune domande al generale Fabio Mini, ex comandante Nato della Kfor dal 2002 al 2003 e esperto di Balcani.

Da diverso tempo lei va ripetendo che i Balcani sono, adesso, una polveriera...

Ciò che caratterizza i Balcani è la mancanza quasi assoluta di volontà di sopportazione reciproca fra le varie componenti politiche e sociali. I signori della guerra e della droga in Afghanistan possono trovare sempre un punto d’incontro, magari negli interessi illeciti, per evitare la guerra civile. Curdi, Sunniti e Sciiti si sono sopportati per secoli prima di Saddam e la guerra civile irachena non è mai stata un’opzione di nessuna delle varie componenti. Ci è voluto l’intervento occidentale perché lo diventasse. Anche in Iraq e perfino in Libano gli interessi politici ed economici possono tenere assieme le varie parti. Basta trovare un punto di equilibrio. Nei Balcani l’equilibrio non solo è particolarmente difficile, ma non è ricercato né dagli attori locali né da quelli internazionali. Anzi è sempre stata perseguita la divisione e l’alimentazione dell’odio e dell’instabilità trasferendo al livello interstatale l’intolleranza etnica. Questo è ciò che succederebbe anche per la questione del Kosovo se non fosse trovata un’intesa politica condivisa. Con l’imposizione esterna di uno status qualsiasi si getta il seme per una nuova crisi e si crea un precedente giuridico destinato a scardinare il sistema degli «Stati sovrani» sul quale si basa la comunità internazionale. Per questo ritengo i Balcani più che mai una polveriera sulla quale distinti signori in doppiopetto stanno tranquillamente discutendo brandendo sigari accesi.

Che cosa è accaduto in Kosovo in questi sette anni dopo la conclusione della guerra «umanitaria». Anni nei quali i governi occidentali hanno guardato da un’altra parte. Come se non ci fossero mai stati né i 78 giorni di bombardamenti sull’ex Jugoslavia (Kosovo compreso), né la pace di Kumanovo del giugno ’99, fatta propria da una risoluzione, la 1244, del Consiglio di sicurezza Onu che, ponendo fine alla guerra, prevedeva l’ingresso temporaneo delle truppe Kfor-Nato e la riconsegna a Belgrado dopo sei anni del territorio. L’ex ambasciatore jugoslavo Miodrag Lekic si è chiesto se quella guerra non si sia conclusa «con un imbroglio»...

In questi sette anni in Kosovo si sono avvicendati vari tipi di fumatori di sigaro. Alcuni pericolosamente consapevoli e altri altrettanto pericolosamente inconsapevoli. La comunità internazionale, di fronte alle crescenti evidenze di manipolazione della crisi kosovara in funzione di una guerra già decisa, ha preferito ignorare i problemi e non approfondire le cause e le dinamiche della repressione nazionalista serba. Per oltre un decennio ha ignorato le nefandezze serbe e non ha neppure voluto considerare le poche voci che si sono levate a denunciare le nefandezze kosovaro-albanesi. Non concordo con la «tesi dell’imbroglio». La Serbia è sempre stata consapevole delle richieste kosovare d’indipendenza. Sapeva anche che l’insurrezione armata avrebbe portato all’indipendenza e che i massacri e le repressioni avrebbero solo peggiorato le cose, come in Croazia e Bosnia. Sapeva bene che i vari negoziatori di professione avevano già in mente una Dayton per il Kosovo, e che una maggiore determinazione internazionale sul piano diplomatico e militare avrebbe potuto strappare l’indipendenza del Kosovo, non per decisione del Consiglio di sicurezza, ma per «concessione» della stessa Serbia. Sapeva anche benissimo che la risoluzione del Consiglio di Sicurezza non aveva voluto riconoscere l’indipendenza del Kosovo per evitare il veto russo e cinese e per non creare un problema giuridico allo stesso principio fondatore delle Nazioni Unite. Sapeva perciò che la formula scelta per la risoluzione era un compromesso, ma non un regalo alla Serbia. Era un modo per prendere tempo e per dare tempo al Kosovo e alla Serbia di venire ad un accordo. Né la Serbia né il Kosovo hanno tratto profitto da questa opportunità e, allora sì, entrambi, aiutati dall’indifferenza e dalla superficialità di tutti, hanno «imbrogliato» la comunità internazionale.

Come giudica lo strabismo dell’Onu che, da una parte, con il Consiglio di sicurezza hanno condannato la contropulizia etnica, dall’altra con l’amministrazione Unmik l’hanno di fatto autorizzata e legittimata?

Il Consiglio di Sicurezza, mentre si discutevano gli accordi militari di Kumanovo tra il comandante Nato e i Serbi, ha dovuto prendere atto della situazione. Il rischio di contropulizia etnica era concreto ed erano già cominciate le vendette dell’Uck che assumeva il controllo del territorio mentre le truppe Nato erano ancora in Macedonia. Gran parte dei serbi ancora rimasti in Kosovo dovettero fuggire abbandonando case, lavoro e proprietà. Le popolazioni Rom, Ashkalia, Gorani, Egyptian, che per il solo fatto di parlare serbo erano considerate «collaborazioniste», non ebbero tale opportunità e dovettero sopportare repressioni anche più dure. La responsabilità del Consiglio di Sicurezza e della Nato di non aver saputo o voluto evitare tali crimini è grande, ma in parte giustificata dall’impegno di assumere il controllo del territorio in regime di legalità e quindi soltanto dopo la firma degli accordi, l’accordo sulla risoluzione ed il ritiro delle truppe serbe. Più grave è invece la responsabilità di Unmik che ha deliberatamente formulato una politica che limitava i rientri dei rifugiati, che non ha salvaguardato le proprietà individuali, che non ha preservato le fonti di lavoro e di energia e che ha favorito le faide interne o quelle interetniche rendendo così impossibile il ritorno alle proprie case dei serbi kosovari a sud dell’Ibar e dei kosovaro-albanesi a nord.

Si parla di Kosovo come di «stato delle mafie», di «stato della droga» e di stato della «burocrazia internazionale» che lucra sull’ipermercato umanitario delle Ong, mentre a Pristina, «miracolata dalla guerra», sono arrivati a pioggia miliardi di euro spariti nel nulla...

Le espressioni «stato mafia», «stato fallito», o «stato della droga» sono prospettive negative di possibili scenari futuri, non realtà attuali. Sia perché il Kosovo non è uno «stato» sia perché in Kosovo esistono forze serie e veramente dedicate allo sviluppo, alla democrazia e alla pace. Il problema è che queste energie, ancorché espresse dalla maggioranza della gente, sono minoritarie nei luoghi del potere ed hanno bisogno di tutto il supporto internazionale per prevalere su quelle dedicate allo sfruttamento dell’instabilità e dell’indeterminatezza. L’espressione «burocrazia internazionale» è invece una realtà concreta. Anche qui bisogna distinguere i buoni dai cattivi e separare la buona burocrazia che tende al rispetto dei piani e delle procedure di trasparenza da quella cattiva per incapacità o fini criminali. Ma è in questo mix di incapacità e criminalità che sono finiti i miliardi. La miscela delle oligarchie deviate e della cattiva burocrazia alimenta la probabilità degli scenari negativi e fornisce un cattivo esempio anche per quelle forze giovani e volenterose che vorrebbero una svolta.

La comunità internazionale ha rimandato il riconoscimento dell’indipendenza a dopo le elezioni del prossimo 21 gennaio in Serbia - dove la nuova Costituzione sancisce che il Kosovo «è parte irrinunciabile della nazione». Sono immaginabili forti proteste, sia che venga concessa sia che venga rimandata o negata? E nei Balcani che accadrà?

Non vedo scenari, dell’immediato «dopo status», catastrofici. Ci saranno dimostrazioni e prese di posizione estremiste, ma penso che la Serbia non correrà il rischio di tagliarsi per sempre fuori dall’Europa per il Kosovo. Vedo nello stesso preambolo della costituzione serba la voglia di ribadire in forma solenne e «statuale» la propria sovranità sul Kosovo proprio per giustificare una eventuale controversia giuridica internazionale piuttosto che uno strumento per infiammare la piazza. Anche l’eventuale dichiarazione unilaterale d’indipendenza kosovaro-albanese può essere un modo interlocutorio per continuare a discutere e pervenire ad una soluzione concordata. Purchè la stessa comunità internazionale non l’avalli per convinzione o ricatto e capisca che c’è ancora bisogno di discutere per dare soluzione concreta ai problemi veri della gente sia serba che albanese o di qualsiasi altra etnia. Il caso peggiore è perciò la cristallizzazione da parte della comunità internazionale di una posizione o imposizione estrema qualsiasi: l’indipendenza, l’autonomia, la mezza indipendenza, la cantonizzazione e così via. Con un irrigidimento internazionale si possono innescare tutte le reazioni peggiori, dalla sollevazione, all’invasione o alla sistematica destabilizzazione di tutta l’area. E oltre.

Il governo italiano è in prima fila, anche perché ha contingenti nei Balcani. Quale dovrebbe essere il ruolo dell’Italia?

Favorire la ripresa di una soluzione concordata questa volta portando allo stesso tavolo i responsabili delle due parti per parlare di status e non di carte d’identità o di targhe automobilistiche. Bisogna anche che l’Italia spinga l’Europa, non solo per accontentare chi grida più forte, assegnare altri miliardi o condurre altre infinite missioni militari, ma per stabilizzare i Balcani. Marten van Heuven, un analista d’intelligence che ha commentato i rapporti informativi segreti sulla Jugoslavia dal 1948 al 1990 di recente declassificati dal Dipartimento di Stato Usa, ha giustamente osservato che «Finchè i Balcani sono instabili, l’Europa rimane instabile». Se l’Italia tiene veramente all’Europa deve «stanare» chi intende tale osservazione come auspicio o come policy e lavora per l’instabilità dei Balcani.

A questo punto è legittimo interrogarsi sui risultati reali della guerra Nato del 1999?

E’ legittimo e doveroso. Siamo noi stessi, noi soldati, a chiedere perché e per chi dobbiamo morire e ammazzare. Ma dobbiamo anche interrogarci sul dopo guerra. Su chi lo gestisce, come lo gestisce e in nome di cosa.

La guerra venne motivata dai leader della Nato in chiave umanitaria (difesa dei profughi e contro la pulizia etnica). Ora emerge che quel conflitto, al di fuori di ogni autorizzazione del Consiglio di sicurezza e deciso da un’allenza militare (la Nato, oltre il suo mandato di difesa, almeno fino a quel momento), preparava un’altra indipendenza etnica. Non le sembra un pericoloso precedente, viste le tante crisi internazionali con indipendenze rivendicate, profughi e pulizie etniche?

Potenza della disinformazione! Non so quanti leader dei paesi Nato del 1999 fossero a conoscenza della reale situazione e forse non si sarebbero sbracciati nel sostegno alla guerra se avessero saputo che preparava lo smembramento della Serbia, anche se essi avevano sostenuto quello della Jugoslavia. Non so quanti si rendessero conto del vaso di Pandora che si stava aprendo. La Russia stessa non ha assunto una posizione forte ed è poi intervenuta a fianco della Nato, così come si è sganciata dopo tre anni, quasi a dimostrare la propria indifferenza. Devo riconoscere che alcuni politici italiani (tra cui il ministro Dini) avevano subodorato qualcosa a Rambouillet, ma le inaccettabili pretese di Milosevic e i tentativi di pulizia etnica erano reali. Purtroppo la questione è stata posta solo in bianco e nero: bisognava scegliere tra una posizione debole che avrebbe dato forza a Milosevic ed una posizione forte che l’avrebbe abbattuto. Non è stato fatto alcuno sforzo per trovare altre soluzioni che accogliessero le legittime aspirazioni del popolo kosovaro albanese senza incorrere in conseguenze ingestibili o compromettere l’intero quadro internazionale. Oggi si può solo trarre un insegnamento: dobbiamo saperne di più, dobbiamo informarci e informare meglio e dobbiamo adottare una politica di equilibrio ma soprattutto di coerenza. Quello che vale per una crisi deve valere anche per l’altra. Bisogna poi ponderare meglio le conseguenze degli interventi militari di qualsiasi tipo e chiedersi se si è in grado di gestirle: prima d’intervenire. 

Note: 

Un generale «balcanico»
Aspettando il dopoguerra

Mini è stato Capo di Stato Maggiore del Comando Nato del Sud Europa dal 2000 al 2002, quando questo ha assunto la responsabilità operativa di tutte le operazioni nei Balcani. Ha coordinato l’intervento Nato in Macedonia nella crisi del 2001 costituendo il primo Comando Nato in un paese non alleato. È stato Comandante Nato di Kfor dal 2002 al 2003. Ha scritto, oltre a numerosi saggi e articoli, molti libri sulla guerra e sui Balcani, in particolare il saggio«La guerra dopo la guerra» (Einaudi, 2003). Per la Libreria Editrice Goriziana ha curato l’edizione italiana di «Guerra senza limiti» (di Qiao Liang e Wang Xiangsui)




Si è tenuto lo scorso 17 giugno in Croazia un concerto del noto cantante rock nazista Marko Perovic "Thompson". Il concerto, che ha visto la partecipazione di decine di migliaia di persone, si è trasformato in una occasione per manifestare, con slogan e simboli, la apologia del nazismo genocida croato (ustascismo). 

Sulla figura del rocckettaro nazista Thomson si veda anche:

http://www.exju.org/comments/640_0_1_0_C/
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3186


From:   romale @ zahav . net . il
Subject: [Roma ex-Yugoslavia] Nevipe katar Croacija
Date: June 21, 2007 12:52:06 PM GMT+02:00
To:   Roma_ex_Yugoslavia @ yahoogroups.com


Poštovani,
 

u Hrvatskoj se održao koncert 17. 06 2007 hrvatskog pjevača Marka Perkovića Thompsona". pred oko 60 000 gledatelja. Što je u ovome loše možete vidjeti iz dole navedene  reakcije. Osim Margelovog instituta u Zagrebu reagirao je i srpski saborski zastupnik Milorad Pupovac a romski zastupnik koji je po nacionalnosti njemac nažalost nigdje ni glasa i po ovome što se može zakljućiti.

 

Iz medija

 

Margelov institut u Zagrebu traži opoziv ministra Kirina jer je, zakazala pravna država u slučaju Thompsonova koncerta. Centar Simon Wiesenthal iz Jeruzalema obratio se Mesiću, izražavajući zgražanje i gnušanje masovnim pokazivanjem fašističkih pozdrava, simbola i uniformi na koncertu

 

Margelov institut u Zagrebu u otvorenom pismu premijeru Ivi Sanaderu traži opoziv ministra unutarnjih poslova Ivice Kirina jer je, ocjenjuju, "zakazala pravna država prije, u tijeku i nakon nedjeljnog koncerta hrvatskog pjevača Marka Perkovića Thompsona".
Ostavku traže, kako se navodi, "s obzirom na to da službe za čiji je rad i odgovoran nisu spriječile nezapamćen ustaški skup na maksimirskom stadionu u nedjelju, 17. lipnja, te je time prouzročena nepopravljiva šteta ugledu i interesima Republike Hrvatske pri procesu prijama u Europsku uniju, zajednicu država i naroda utemeljenu na zasadama antifašizma". Premijeru predlažu da osobno inicira u Hrvatskom saboru žurno donošenje zakona o deustašizaciji.

"S obzirom na naslov Thompsonove turneje "Bilo jednom u Hrvatskoj", napominjemo da je jednom u Hrvatskoj bio holokaust i da to čitava Hrvatska mora znati, priznati i s dužnim se pijetetom prema toj činjenici odnositi", kaže se u pismu koji je potpisao direktor Instituta Alen Budaj. Uz ostalo se napominje kako je "žalosno da malobrojna židovska zajednica grada Zagreba i nakon goleme tragedije holokausta mora gledati ustaške skupštine, na mjestu gdje su prije 66 godina razdvajani Židovi od nežidova.

Žalosno je da hrvatska policija takve skupove blagonaklono dopušta: da omogućuje nesmetanu prodaju ustaških insignija, barjaka i dijelova uniforma, pronošenje ustaških simbola, izvikivanje ustaških pozdrava iz desetina tisuća grla, pjevanje ustaških pjesama maloljetnika, masovno dizanje ruku na fašistički pozdrav; da se naposljetku dopušta jednom pjevaču koncertno izvođenje pjesme koja počinje Pavelićevim pozdravom "Za dom - spremni!".

Centar Simon Wiesenthal iz Jeruzalema izrazio je, također, u pismu hrvatskom predsjedniku Stjepanu Mesiću, zgražanje i gnušanje "masovnim pokazivanjem fašističkih pozdrava, simbola i uniformi na rock koncertu popularnog ultranacionalističkog hrvatskog pjevača Thompsona", kojem je u nedjelju u Zagrebu nazočilo 60.000 ljudi.

Direktor Centra Efraim Zuroff u pismu Mesiću od njega traži zabranu koncerata pjevača poput Thompsona, na kojima se slavi fašizam i rasizam. "Prema hrvatskim medijima, koncert se pretvorio u masovnu fašističku demonstraciju u kojoj su deseci tisuća ljudi uzvikivali ustaški pozdrav 'Za dom spremni'. Osim toga, veliki broj sudionika nosio je ustaške uniforme i simbole", stoji u Zuroffovu pismo.
Zuroff također izražava zabrinutost zbog toga što su na koncertu bili i visoki hrvatski dužnosnici, saborski zastupnici, kao i "ministar znanosti, obrazovanja i sporta".

Prema hrvatskim medijima, koncert se pretvorio u masovnu fašističku demonstraciju u kojoj su deseci tisuća ljudi uzvikivali ustaški pozdrav 'Za dom spremni' "Pod tim okolnostima, smatram da je došlo vrijeme da se zabrane javni koncerti onih koji pjevaju nostalgične pjesme o Jasenovcu i potiču isticanje ustaških simbola", dodaje Zuroff napominjući da se time huška protiv svih nacionalnih manjina u Hrvatskoj. "Vjerujem da samo kada bi netko s vašim ugledom i izraženom antifašističkom reputacijom poveo borbu protiv tog ružnog vala obnovljenog fašizma, moglo bi biti spriječeno da taj izvanredno opasni novi trend zahvati cijelu Hrvatsku", stoji na kraju Zuroffova pisma predsjedniku Mesiću

 
 

Ki hrvatska sine koncerto ko 17. 06. 2007, gilavda o hrvatsko gilavno Marko Perkovich Thomson. Ko koncerto sa kotar 60 000 manisha.

 

So si kate bilache: O Marko Perkovich barjarol o fashizam hem o nazizam. Reakcija pala kodo kerda o Miguelo institut katar o Zagreb, srpsko parlamentarco Milorad Pupovac a amaro parlamentarsko manush savo si germanco na kerda reakcija.

Hrvatsko medije phenena, o koncerto kerdilo fashističko demonstracije, kate 10 mije gjene phenenas o Ustashko pozdrav " Za dom spremni" Baro nomero phiravde ustashko uniforme hem simbolja.

 

Ko koncerto sine hem bare manusha katar o parlamento, hem o ministro pala edikacija."

 

"Prema hrvatskim medijima, koncert se pretvorio u masovnu fašističku demonstraciju u kojoj su deseci tisuća ljudi uzvikivali ustaški pozdrav 'Za dom spremni'. Osim toga, veliki broj sudionika nosio je ustaške uniforme i simbole", stoji u Zuroffovu pismo.
Zuroff također izražava zabrinutost zbog toga što su na koncertu bili i visoki hrvatski dužnosnici, saborski zastupnici, kao i "ministar znanosti, obrazovanja i sporta".




(deutsch / english)

Con due testi, intitolati rispettivamente "Il tiranno visita Tirana" e "In cerca d'affetto", il Comandante Fidel Castro Ruz ha commentato con duro sarcasmo la visita di Bush a Tirana, l'accoglienza ivi rivoltagli, e la strategia statunitense mirata ad un ulteriore smembramento dei Balcani ed alla creazione di una "Grande Albania" vassalla degli USA in funzione (anche) anti-UE.


Fidel Castro on Kosovo and US tyranny

1) KOSOVO: CASTRO RAPS 'TYRANT' BUSH
2) REFLECTIONS BY THE COMMANDER IN CHIEF: NEEDING AFFECTION
3) Fidel Castro zu Kosovo:
- Der Tyrann besucht Tirana
- Bedürftig nach Zuneigung


=== 1 ===

http://www.adnki.com/index_2Level_English.php?cat=Politics&loid=8.0.424718864&par=0

ADN Kronos International (Italy)
June 12, 2007

KOSOVO: CASTRO RAPS 'TYRANT' BUSH


Havana - Cuba's leader Fidel Castro has issued a stern
rebuke to United States president George W. Bush for
remarks he made over the independence of breakaway
Kosovo last Sunday during his visit to the Albanian
capital, Tirana.

In a statement headed 'The Tyrant Visits Tirana'
carried by the Cuban news agency, Castro slammed Bush
for voicing support for Kosovo's independence "without
the least respect for the interests of Serbia, Russia
and the various European countries all sensitive to
the fate of the province which was the scenario for
the latest NATO war."

"He lectured Serbia that it would receive economic aid
if it would support the independence of Kosovo, the
birthplace of that country’s culture. You can take it
or you can leave it," the statement of the
octogenarian Castro continued.

"Bush is craving for affection. He fully enjoyed his
reception without protests in Bulgaria. He spoke with
that country’s soldiers who took part in the wars in
Iraq and Afghanistan," the statement said

"He tried to commit them further to spill generous
blood in those peaceful wars," the statement added.

Bush on Monday visited Bulgaria - a staunch US ally -
on the final leg of an eight-day European visit that
also took in the G8 summit in Germany, the Czech
Republic, Poland, Italy and Albania.

Commenting on the arrival in September of more than
3,000 US troops at a new base in Bulgaria as part of a
US policy to move many of its European forces closer
to the Middle East, Castro, 81, said: "From two
thousand to five thousand of Bush’s soldiers will be
rotating constantly through the three military bases
implanted by the empire....As if we were living in the
happiest of all worlds!"
....


=== 2 ===

http://www.plenglish.com/article.asp?ID=%7BC9C6116D-AFD2-484C-8F6C-6809BC066D0B%7D)&language=EN

Prensa Latina
June 14, 2007

New Reflections by Fidel Castro

Havana - Cuban President Fidel Castro reflected on US
President George W. Bush's support for Albania's
immediate entry into NATO and his decision to demand
independence for the Serbian province of Kosovo.

Due to its importance, Prensa Latina integrally
reproduces reflections by the Cuban president:

REFLECTIONS BY THE COMMANDER IN CHIEF:

NEEDING AFFECTION

Albania was really the only place where Bush got any
affection; to such an extent that the reception in
Bulgaria where several thousand people awaited him
waving little American flags seemed cool to him.

Bush’s support for Albania's immediate entry into NATO
and his decision to demand independence for the
province of Kosovo made quite a few Albanians a bit
crazy.

Newspapers and other media report that some of them,
when questioned individually, answered:

“Bush is a symbol of democracy. The United States is a
protector of peoples' freedom."

Thousands of unarmed Albanian soldiers and policemen,
because that was what the Yankee authorities demanded,
stood guard in two columns along more than 20
kilometers stretching between the airport and the
capital.

The thorny problem of the independence of one part of
Serbia is very controversial in Europe, and a
precedent that could be followed in several countries
by other regions claiming sovereignty within current
borders.

And so Albania went over from the extreme left to the
extreme right.

To live to see it! Seeing is believing!

Serbia receives a hard blow not only political but
also economic.

Kosovo possesses 70 percent of Serbia’s energy
reserves.

Between 1928 and 1999, the year of the NATO war
against Serbia, the province contributed 70 percent of
the zinc and silver.

It is estimated to have 82 percent of its possible
reserves of these metals. It also has the largest
reserves of bauxite, nickel and cobalt.

Serbia loses factories, lands and properties, and is
left only with the duty to pay for the foreign debt
incurred for investments in Kosovo prior to 1998.

I have just received a news dispatch from AFP that
forces me to extend myself for a few more lines. It
literally reads:

“Moscow, June 13, 2007.

“Russia accuses the West of holding secret talks for
the independence of Kosovo.

“Russia reproached the Western nations on Wednesday
for working secretly and in ‘unilaterally’ to prepare
Kosovo’s independence, according to a communiqué
released by the Russian Ministry of Foreign Relations.

“The ‘secret discussions lead us to suspect that a
scenario for Kosovo’s sovereignty is being
unilaterally prepared', indicated the Ministry’s
spokesman, Mikhail Kamynin, in reference to the
meeting that the Western powers held in Paris on
Tuesday, in the absence of the Moscow government.

“This attitude, he continued, is ‘intolerable’;
moreover, ‘Russia was not invited to the meeting, and
this is incompatible with declarations in the sense of
seeking accommodating solutions’, he added.” 


=== 3 ===

-------- Original-Nachricht --------
Datum: Sat, 16 Jun 2007 21:00:39 +0200
Von: "Kaspar Trümpy" 
Betreff: Fidel Castro zu Kosovo

Gedanken des Oberkommandierenden

Der Tyrann besucht Tirana

Nun wissen wir, dass dieser merkwürdige Besuch Bush's in der Hauptstadt Albaniens stattgefunden hat. Dort sprach er sich resolut für die Unabhängigkeit des Kosovo aus, ohne die geringste Rücksichtnahme auf die Interessen von Serbien, Russlands und verschiedener Länder Europas, sensibilisiert über das Schicksal der Provinz, welche Schauplatz des letzten Krieges der NATO war. Serbien drängte er ökonomische Hilfe auf, falls sie der Unabhängigkeit des Kosovo zustimmten, der Wiege der Kultur dieses Landes. Akzeptiere es oder lass es!

Bush ist erpicht auf Zärtlichkeiten. Er war sehr erfreut über den Empfang ohne Proteste in Bulgarien. Er sprach mit Soldaten dieses Landes, welche an den Kriegen in Irak und Afghanistan teilnahmen. Er versuchte, sie noch fester einzubinden, wohlfeiles Blut in diesen friedfertigen Kriegen zu vergiessen.

Auf die Klage der Führer des Landes, dass sie nicht unter dem Schutzschild gegen nukleare Angriffe stehen, antwortete er kurzerhand: die notwendigen Abwehrmittel gegen Mittelstrecken-Raketen werden bereitgestellt.

Zwischen zwei und fünftausend Bush Soldaten rotieren ohne Unterbrechung zwischen den drei militärischen Basen, welche das Imperium in Bulgarien installierte. Als ob wir in der glücklichsten aller Welten lebten!

Fidel Castro Ruz, 11. Juni 2007, 18h00

---

Gedanken des Oberkommandierenden

Bedürftig nach Zuneigung

Der einzige Ort, wo Bush wirklich Zuneigung erfuhr, war Albanien, sodass ihm der Empfang in Bulgarien kühl vorkam, wo ihn mehrere tausend Personen, amerikanische Fähnchen schwenkend, erwarteten.

Die Unterstützung Bush's für die unverzügliche Aufnahme Albaniens in die NATO und sein Beschluss, die Unabhängigkeit des Kosovo zu fordern, liess nicht wenige Albaner aus dem Häuschen geraten.

Berichte aus der Presse und anderen Medien informieren, dass manche von ihnen bei persönlicher Befragung antworteten:

"Bush ist ein Symbol für Demokratie. Die Vereinigten-Staaten, ein Beschützer der Freiheit der Völker."

Tausende entwaffneter Soldaten und Polizisten, so wie es die Yankie-Behörden forderten, standen in einer über mehr als 20 Kilometer langen Reihe zwischen dem Flugplatz und der Hauptstadt Wache.

Das schwierige Problem der Unabhängigkeit eines Teils von Serbien ist in Europa als Präzendenzfall sehr umstritten, welcher in verschiedenen Ländern bei anderen, innerhalb bestehender Grenzen Souveränität fordernden Regionen, Nachahmung finden könnte.

So schwenkte Albanien von der extremen Linken zur extremen Rechten.

Leben um zu sehen! Und sehen um es zu glauben!

Serbien erleidet nicht nur einen harten politischen- sondern auch einen ökonomischen Schlag. Innerhalb des Kosovo liegen 70% der Energie Reserven von Serbien. Zwischen 1928 und 1999, dem Jahr des NATO Krieges gegen Serbien, steuerte die Provinz 78 Prozent des Zink- und Silber Aufkommens bei. Man nimmt an, dass sie über 82 Prozent der möglichen Reserven dieser Metalle verfügt. Die grössten Reserven an Bauxit, Nickel und Kobalt befinden sich ebenfalls dort.

Serbien verliert Fabriken, Ländereien und Besitztümer. Es bleibt nur die Aufgabe, Schulden für die vor 1998 getätigten Investitionen im Kosovo, zurückzuzahlen.

Soeben erhalte ich eine Meldung von AFP, welche mich dazu bringt, weitere Linien anzufügen. Es heisst dort:

-Moskau, 13 Juni 2007.

-Russland beschuldigt den Westen, im Geheimen über die Unabhängigkeit des Kosovo zu diskutieren.

-Russland wirft am Mittwoch den westlichen Ländern vor, versteckt und in 'unilateraler' Form die Unabhängigkeit des Kosovo vorzubereiten, entsprechend einer Meldung des russischen Ministeriums für Aussenbeziehungen.

-Die 'geheimen Verhandlungen legen den Schluss nahe, dass unilateral die Unabhängigkeit des Kosovo vorbereitet wird', teilte der Sprecher des Ministeriums Mijail Kamynin mit, Bezug nehmend auf die Versammlung, welche die westlichen Mächte am Dienstag in Paris abhielten, ohne die Moskauer Regieren einzuladen.

-Dieses Verhalten, fuhr er fort, ist 'untolerierbar' und ausserdem 'wurde Russland nicht an die Versammlung eingeladen, was im Widerspruch zu den Erklärungen steht, wonach Kompromisslösungen gesucht werden', fügte er bei.

Fidel Castro Ruz, 13 Juni 2007, 20h12


(Übersetzungen: K.Trümpy)