Informazione

Perchè odiano Chavez

In ordine cronologico inverso:
1) Chavez aprirà 200 “fabbriche socialiste” (luglio 2007)
2) A partire del primo maggio 2010 la giornata lavorativa in
Venezuela passa ad essere di sei ore (maggio 2007)
3) De-privatizzazione delle compagnie di telefoni e elettricità
(americane) (gennaio 2007)

(... per tacere delle politiche energetiche alternative e della
nazionalizzazione del petrolio!)


=== 1 ===

Chavez aprirà 200 “fabbriche socialiste”

Il presidente venezuelano, Hugo Chavez, ha dichiarato che si appresta
a far partire “più di 200 fabbriche socialiste” come parte del
“progetto di sviluppo nazionale della rivoluzione bolivariana”.

Secondo Chavez nel corso dell’anno saranno inaugurate industrie in
settori strategici; fra quelli interessati ci saranno i settori
dell’alimentare, vestiario, chimico, automobilistico ed informatico.

Queste aziende “saranno create per rafforzare la nostra indipendenza
e sovranità, ed avranno come finalità la produzione per le necessità
di base di tutti”. Il presidente venezuelano ha pure annunciato che
sta per cominciare la distribuzione di computers, telefoni cellulari,
automobili e motociclette assemblati in Venezuela con il partneriato
di Cina ed Iran.

Lo stesso vale per “Industria Petrocasa”, un programma di costruzione
di alloggi popolari realizzati con materiale plastico derivato dal
petrolio.

Chavez cerca di ottenere l’autosufficienza del paese in modo da
dipendere sempre meno dalle importazioni. In merito ha dichiarato:
“Il prossimo anno queste imprese daranno i loro frutti, per questo ho
voluto che il 2008 sia l’anno di un nuovo ciclo della rivoluzione.
Non vi spaventate”

Queste dichiarazioni il presidente venezuelano le ha fatte in
occasione della cerimonia di inaugurazione di una centrale
termoelettrica nello stato occidentale dello Zulia, e sono state
trasmesse in tutta la nazione per radio e televisione. Egli ha pure
chiesto di non spaventarsi per il modello socioeconomico che si sta
introducendo nel suo paese: “E’ un progetto di sviluppo nazionale che
qui non era mai stato considerato... questo noi lo possiamo fare
perché siamo liberi”.

Il presidente ha fatto anche riferimento alla capacità del Venezuela
di costruire armi.

“Stiamo producendo granate e i nostri primi missiletti, che non vanno
molto lontano.. Non dobbiamo aggredire nessuno, ma che a nessuno
venga in mente di venire qui ad aggredirci”.

da Rebelion.org
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=52398

Fonte: aa-info @ yahoogroups.com


=== 2 ===

Epocale annuncio di Hugo Chavez: a partire del primo maggio 2010 la
giornata lavorativa in Venezuela passa ad essere di sei ore

Attilio Folliero

Caracas, 01/05/2007, LPG - E' un salto epocale, quello annunciato
oggi da Hugo Chavez, in occasione della Festa del Primo maggio.
Costituita una commisione presidenziale, presieduta dal Vice
Presidente Jorge Rodriguez, incaricata di promuovere una riforma
costituzionale tendente a portare la giornata lavorativa dalle
attuali otto ore a sei ore, con meta da raggiungere progressivamente
il primo maggio del 2010. Ossia, progressivamente la giornata
lavorativa in Venezuela passerá dalle otto ore attuali, a sei ore, il
che significa un enorme miglioramento della qualitá della vita del
lavoratore, del proletariato.

Con quest'annuncio Hugo Chavez si pone decisamente alla testa delle
rivendicazioni del proletariato non solo venezuelano e
latinoamericano, ma mondiale. Una dozzina di anni fa, in Italia sulla
scorta dell'approvazione in Francia di una legge che fissó la
settimana lavorativa a 35 ore, si ebbe un grande dibattito, poi
caduto nel dimenticatoio. Oggi, la sinistra che allora era alla testa
della rivendicazione della settimana lavorativa di 35 ore, é
pienamente inserita nel Governo, ma il tema della riduzione della
giornata lavorativa non é stato piú ripreso. Oggi, questa sinistra
sembra, preoccupata esclusivamente delle sorti del capitalismo
italiano in affanno per la profonda concorrenza da parte dei nuovi
capitalismi selvaggi, dove lo sfruttamento dei lavoratori é
illimitato ed il salario orario é di poche decine di centesimi di
dollari. Quest'annuncio di Chavez puó e deve avere ripercursioni
anche in Italia, stimolando la ripresa delle lotte rivendicative dei
lavoratori e del proletariato.

E' indubbio che l'annuncio di oggi, di Hugo Chavez avrá ripercursioni
non solo in America Latina, ma in tutto il mondo e soprattutto nei
paesi del capitalismo avanzato, dove la giornata lavorativa é ferma
alle otto ore. E' arrivato il momento che ovunque si apra la stagione
della rivendicazione della giornata lavorativa di sei ore. Da oggi é
necessario lottare per rivendicare una nuova riorganizzazione della
giornata dell'uomo: 6 ore per il lavoro, 6 ore per dormire, 6 ore per
la diversione e 6 ore per la formazione e la rigenerazione, per
alimentare il corpo e formare il cervello.

Ricordiamo anche che la rivoluzione bolivariana, in otto anni di
Governo Chavez ha sconfitto l'analfabetismo in Venezuela ed é
fortemente impegnata nella sfida per debellare la povertá entro il
2021. Ma la rivoluzione bolivariana non ha solo mete in Venezuela: é
di questi giorni il lancio del programma, nell'ambito dell'ALBA,
tendente a sconfiggere l'analfabetismo in tutta l'America Latina.
Inoltre, sono numerosi i programmi di solidarietá intrapresi nei vari
paesi dell'America Latina, fino ai settori poveri della societá
statunitense, ai quali lo stato venezuelano fornisce petrolio a
prezzo agevolato.

Se l'annuncio piú eclatante, che sicuramente fará il giro del mondo,
é quello della riduzione della giornata lavorativa, non meno
impattanti sono gli altri provvedimenti annunciati: da oggi il
salario minimo in Venezuela passa a 614.000 bolivares circa, con un
aumento del 20%. E' bene ricordare che il salario minimo é
accompagnato anche da un buono pasto giornaliero.

Negli otto anni di Governo Chavez il recupero del potere d'acquisto
reale del salario del lavoratore é cresciuto come in pochi paesi al
mondo: dai circa 30 dollari USA mensili del 1999, anno dell'arrivo di
Hugo Chavez al Governo, ai poco meno di 300 dollari USA mensili
attuali; in realtá aggiungendo il valore del buono pasto giornaliero,
il salario minimo supera i 400 dollari USA mensili. Ma vi é un altro
dato da considerare: quando Chavez arriva al Governo l'inflazione,
che nel 1996 arrivó a superare il 100%, (http://
www.lapatriagrande.net/01_venezuela/economia/ipc_ven.htm) divorava
interamente lo scarso salario; negli anni di Chavez l'aumento del
salario é sempre stato al di sopra dell'inflazione; nel mese di Marzo
2007, ad esempio, ultimo dato disponibile, l'inflazione é stata di
-0.7%.

Sono stati numerosi i provvedimenti annunciati e che da oggi entrano
in vigore, tutti tendenti a migliorare la qualitá della vita delle
fasce piú deboli, come la pensione sociale (il 60% del salario
minimo) per le persone anziane (61 anni di etá) che non hanno versato
contributi previdenziali e che fino ad oggi non avevano diritto a
nessuna fonte di reddito.

Ma oggi é anche il giorno della fine della "Apertura petrolifera",
ossia la legge che permise la privatizzazione del settore
petrolifero, pur in presenza di una legge costituzionale che
riservava l'attivitá lucrativa nel settore petrolifero ed energetico
esclusivamente allo Stato. Con l'"apertura petrolifera" negli anni
novanta si permise praticamente la privatizzazione del settore
petrolifero. A partire da oggi, l'attivitá petrolifero torna ad
essere interamente di uso esclusivo dello Stato.

E' proprio grazie al recupero degli introiti derivanti dallo
sfruttamento delle fonti energetiche che il Governo Chavez ha potuto
operare una ridistribuzione delle ricchezze piú giusta ed
inidirizzata fortemente a pagare l'enorme "debito sociale" di cui
furono vittime le classi lavoratrici e piú povere. Fino all'avvento
del Governo Chavez, le enormi ricchezze del Venezuela erano di uso
esclusivo delle classi oligarchiche e di governo, lasciando al
proletariato esclusivamente le briciole, ossia i circa 30 dollari USA
mensili di salario minimo, con cui era costretta a sopravvivere il
70% della popolazione venezuelana. Mai in passato i governi
venezuelani avevano realizzato politiche di carattere sociale: il 70%
della popolazione venezuelana non aveva diritto a sanitá, educazione,
formazione, pensione, assistenza sociale... non aveva diritto che
alla povertá estrema.

Oggi Chavez non é solo sempre piú saldamente al Governo nel suo
paese, ma é sempre piú popolare in America Latina e nel mondo intero
e lider riconosciuto alla testa delle rivendizioni del proletariato
mondiale.

Fonte: http://nuke.lapatriagrande.net


=== 3 ===

Chavez: (ri)nazionalizzazioni

Insediandosi a Caracas, annuncia «la strada verso il socialismo» e la
de-privatizzazione delle compagnie di telefoni e elettricità (americane)

Maurizio Matteuzzi da il Manifesto del 10.1.07 p. 6

Con un'accelerazione secca ma per la verità non inattesa la via
venezuelana al socialismo - anche se al «socialismo del secolo XXI» -
sembra tracciata e, stando alle parole del presidente Hugo Chavez, «è
irreversibile». Ne prendano buona nota Bush, le compagnie
transnazionali, la chiesa cattolica e l'opposizione venezuelana.
Alle parole socialismo e nazionalizzazioni delle «imprese
strategiche», la Borsa di Caracas è crollata - meno 9% ieri - e
quella di New York è stata costretta a sospendere le contrattazioni
delle azioni della Cantv, la compagnia telefonica privatizzata nel
'91, cadute del 35%.
Fra lunedì, quando nel teatro Teresa Carreño di Caracas ha ricevuto
il giuramento dei 27 ministri (di cui 15 nuovi nel consueto
tourbillon), e ieri mattina, quando nel Salon protocolar del
Congresso ha giurato per il suo nuovo mandato di 6 anni (fino al
2013, per il momento), Chavez ha interpretato fino in fondo il ruolo
di guastatore che l'ha reso, con l'ineluttabile tramonto di Fidel, il
leader latino-americano più esplosivo.
Ieri mattina le cerimonie sono cominciate presto, perché poi Chavez
doveva partire per Managua per presenziare all'insediamento di Daniel
Ortega. Alle 8, fiori al Panteon nazionale, dove riposa el Libertador
Simon Bolivar; alle 9 nella sede dell'Assemblea nazionale il
giuramento e l'imposizione della fascia presidenziale; subito dopo un
discorso che i network privati (e ostili) hanno dovuto ingoiare in
catena nazionale; alle 11 sfilata militare nel Paseo de los Proceres.
Fra lunedì e ieri Chavez ha tracciato la sua strategia per i prossimi
6 anni: 5 gli assi - o «i motori» - su cui si muoverà «la
rivoluzione». La nuova Ley Habilitante votata dall'Assemblea
nazionale (dove, dopo il ritiro suicida dell'opposizione dalle
elezioni del dicembre 2005, tutti i 167 seggi sono chavisti) per
avere i poteri speciali necessari ad adottare le riforme; la riforma
costituzionale «in senso socialista»; l'«educazione popolare»; la
«nuova geometria del potere»; lo «Stato comunale» («una specie di
confederazione regionale, locale, nazionale dei consigli comunali»)
quale primo passo dello «Stato socialista, dello Stato bolivariano
capace di guidare una rivoluzione». Per avviare questi 5 «motori»,
dovrà essere riformata «profondamente» la sua costituzione
bolivariana che allora, nel '99, già diede un colpo forte ma non
ancora letale al vecchio sistema della democrazia rappresentativa,
formale ed escludente che aveva retto il Venezuela dal '58 al '98
preservandolo da golpe e dittature militari ma facendo di
quell'Eldorado petrolifero il paese dell'incredibile tasso di povertà
(l'80% dei 26 milioni di venezuelani).
Ma Chavez non si è limitato a delineare la strada verso «la
Repubblica socialista del Venezuela». Ha detto altro e di più. E da
subito. Ri-nazionalizzare i settori strategici - a cominciare dalla
Cantv e dall'Edc, la compagnia dell'elettricità -, se non il petrolio
(con le compagnie transnazionali che sfruttano i giacimenti
tradizionali di Maracaibo e quelli nuovi dell'Orinoco ha stretto mesi
fa nuovi accordi che prevedono la creazione di joint ventures con
Pdvsa, la compagnia statale venezuelana, e il forte aumento di
royalities e tasse) almeno le raffinerie, revocare l'autonomia della
Banca centrale (un concetto proprio dell'era «neo-liberista»).
Abbastanza per far crollare, ieri, le Borse e provocare la prima
reazione minacciosa di Bush («Le compagnie Usa dovranno essere
risarcite adeguatamente»).
A parte il petrolio, da maneggiare con cura (il greggio venezuelano
rifornisce il 15% del mercato interno Usa e per le compagnie a stelle
e strisce il Venezuela continua a essere una festa), sotto tiro ci
sono Cantv e Edc. La compagnia dei telefoni è l'unica impresa del
Venezuela quotata a Wall Street ed è controllata dalla statunitense
Verizon (ma ci sono anche la Telefonica spagnola, la Deutsche Bank
tedesca, l'UBS svizzera, la Morgan Stanley americana e fondi di
investimento californiani ed elvetici); la compagnia elettrica,
privatizzata nel 2000, è controllata dalla AES Corp. basata ad
Arlington, Usa.
Chavez non si è risparmiato negli interventi degli ultimi due giorni
citando, per spiegare cosa significi il suo «socialismo del secolo
XXI», citando a profusione Marx e Lenin, il Trotzky della
«rivoluzione permanente» e la Bibbia o «il comandante» Gesu Cristo.
Ma questo può fare parte del personaggio.
Si vedrà presto se la via venezuelana al socialismo imboccherà la
strada presa a suo tempo dalla Cuba castrista o se sarà solo la
semplice - e quasi inevitabile - reazione del Venezuela, come di
molti altri paesi (anche moderati) dell'America latina, contro le
privatizzazioni selvagge e spesso fraudolente degli anni 90 del '900.

Contestazioni a D'Alema

1) I. Pavicevac: Lettera aperta a D'Alema
2) Serravalle Pistoiese, 29 giugno: D'Alema contestato alla festa
della CGIL alla presenza di Epifani


=== 1 ===

----- Original Message -----
From: Ivan P. Istrijan
To: Coord. Naz. per la Jugoslavia
Sent: Sunday, June 17, 2007 9:58 AM
Subject: Fw: Lettera a D'Alema


Sig. ministro D'Alema
E p. c. Al sig. Prodi



Il Kosovo (e Metohija) indipendente è un'idea fascista del 1941 e Lei
con le recenti dichiarazioni non fa che accodarsi a questo continuato
atto di aggressione imperialista americana nello smembramento della
Jugoslavia socialista.

Come non vedere, in riferimento al 1941, che la proposta di un Kosovo
indipendente non è altro che un'espressione del revanscismo più bieco
di quelle forze che sono state sconfitte nell'ultima guerra (Italia e
Germania, quest'ultima, insieme al Vaticano, storica nemica della
Jugoslavia).

Gli schipetari, albanesi kosovari, secessionisti e terroristi, non
sono riusciti a perseguire nel loro intento utilizzando lo strumento
demografico tanto che l'espressione ricorrente da parte di costoro
era “vi sconfiggeremo con il c....”

La maggior parte del popolo albanese, e non albanese, del Kosovo e
Metohija volevano rispettare il governo del paese nel quale essi
vivevano.

I secessionisti albanesi non hanno mai voluto dialogare, nemmeno
l'ipotesi di una possibile divisione della regione, hanno invocato
l'intervento internazionale/americano, la barbara aggressione con
bombardamenti di cui il governo da Lei presieduto, all'epoca, si è
vantato.

Soltanto i miserabili, Rugova, Taci e quant'altri, possono applaudire
e costringere il proprio popolo ad applaudire gli autori dei
bombardamenti.

Al presidente Clinton è stata intestata una via a Pristina, non credo
che a Lei, sig. D'Alema, concederanno più che una pacca sulla spalla.

Personalmente ritengo che Lei non sia un uomo politico di grande
rilievo, in questo credo che anche gli albanesi siano del mio stesso
parere.

Un Kosovo indipendente non potrà diventare che uno stato di mafie con
“bulli e pupe” a intrattenere i “valorosi” (sic!) soldati americani
di stanza nella loro base di Bondsteel, da cui pensano di non andare
mai via!



Con profonda disistima

Ivan Pavicevac


=== 2 ===

From: annacapecchi @ gmail.com
Date: July 1, 2007 11:35:40 AM GMT+02:00
Subject: venerdi 29


CONTESTATO IL GUERRAFONDAIO D'ALEMA

Nel pomeriggio di venerdì 29 gugno, alla festa nazionale della CGIL
che si svolge a Serravalle Pisoiese (PT) erano presenti il segretario
generale CGIL Epifani e il Ministro degli Esteri Massimo D'Alema.

Un gruppo di compagni, appena ha preso la parola il "PORTATORE DI
DEMOCRAZIA" D'Alema, ha steso uno striscione contro le guerra
imperialista di cui questo signore è uno dei maggiori promotori in
Europa. Hanno gridato slogan contro l'intervento in Afganistan, in Iraq.
Immediato e violento è stato l'intervento del servizio d'ordine del
sindacato, che ha letteralmente strappato di mano ai compagni lo
striscione. E successivamente vi è stato un massiccio intervento
della DIGOS, che coadiuvati da un sostenuto numero di poliziotti
nonche della scorta stessa del m/sinistro hanno provveduto a portare
via letteralmente di peso i compagni.

L'azione, seppure nel limite della partecipazione, del breve tempo
per pochi slogan, è stata alquanto devastante per la tranquillità con
cui la CGIL agisce in un territorio completamente controllato
(insieme ai DS) con metodi mafiosi.
Sul giornale locale si è provveduto a far passare la contestazione
come l'iniziativa di "un isolato giovane".
Non hanno però potuto impedire che tra i presenti si comprendesse il
significato dell'iniziativa, che ha invece trovato ampio consenso.

https://www.cnj.it/INIZIATIVE/bologna060707.htm

LA BALCANIZZAZIONE DEI COMUNISTI

Lo squartamento della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia
ha colpito ovviamente innanzitutto i comunisti, che erano il cemento
dell'unità del paese. Oggi, per loro l'agibilità politica in
repubbliche come la Croazia è pressochè nulla. Una situazione non
dissimile si è determinata in altre aree dell'Europa che furono
governate dai comunisti - dai Paesi Baltici alla Repubblica Ceca -
dove la messa fuorilegge è all'ordine del giorno. Parliamo di paesi
che sono già nell'Unione Europea, o sono in procinto di entrarci.

Inoltre, le difficoltà dell'azione politica e le sconfitte subite
hanno oggettivamente determinato fino ad oggi un processo di
frammentazione, dispersione e litigiosità interna nelle sinistre
anticapitaliste dell'area jugoslava. Questa condizione però
contraddice i bisogni ed i sentimenti della fascia maggioritaria
della popolazione, la quale, indipendentemente dalla nazionalità, è
duramente colpita dai processi di restaurazione/ristrutturazione
capitalistica e rimpiange in modo sempre più esplicito le conquiste
civili, il livello di benessere e la convivenza pacifica conseguiti
con il socialismo.

Di recente, un esperimento è stato avviato per superare la
frammentazione sia dal punto di vista politico-ideologico che da
quello nazionale. Si tratta di una rivista - NOVI PLAMEN
( http://www.noviplamen.org/ ) - dal carattere "transfrontaliero",
realizzata da anticapitalisti - marxisti, ambientalisti, libertari -
di alcune delle repubbliche in cui la Jugoslavia si è scomposta.
Tra gli animatori di questo esperimento ci sono anche comunisti
di Croazia, Bosnia-Erzegovina, Serbia.

Le drammatiche vicende dei comunisti jugoslavi, ed il loro modo di
affrontare le difficoltà, sono di monito e di insegnamento anche per
i comunisti attivi nei paesi capitalisti: Italia compresa.
"Balcanizzazione" e confinamento in uno spazio di "dissidenza",
lontani dalla possibilità di incidere e di cambiare il corso delle
cose, appaiono incombenti anche qui.

Ne parliamo con

JASNA TKALEC
redattrice di NOVI PLAMEN, militante del SRP (Partito Socialista dei
Lavoratori, Croazia) ed aderente al CNJ (Coordinamento Nazionale per
la Jugoslavia, Italia)

MARCELLO GRAZIOSI
collaboratore de L'Ernesto, esperto di questioni balcaniche ed
internazionali

Coordina
ANDREA MARTOCCHIA
per l'Associazione "Politica e Classe" e per il CNJ.

VENERDI 6 LUGLIO 2007 ORE 21

presso la sede della
Associazione marxista Politica e Classe per il socialismo del XXI secolo
via Barbieri 95 (quartiere Navile)
Bologna

Promuovono
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - jugocoord@...
Associazione marxista Politica e Classe per il socialismo del XXI
secolo - politicaeclassebologna@...

PER ARRIVARE:
* in treno ed autobus:
dalla uscita principale della Stazione attraversare la strada;
prendere a sinistra; dopo 200m, in Via XX Settembre prospiciente alla
Stazione Autocorriere, attendere l'autobus in direzione opposta al
centro cittadino; prendere l'autobus n.11 e scendere a Fondo Comini
(ca. 7 minuti):
http://www.atc.bo.it/orari_percorsi/planner/plannerIT.asp
* in automobile:
da ogni direzione, imboccare la Tangenziale fino all'uscita n.6; alla
rotonda svoltare per il centro cittadino e percorrere Via Corticella
per circa 1km; subito dopo l'Ippodromo (grande cartello "BINGO
Ristorante") entrare a destra in Via Barbieri; percorrerla per circa 500m:
http://it.mappe.yahoo.net/tc/mappa.jsp?com1=bologna+%28bo%29&to1=Via+G.
+Francesco
+Barbieri&civ1=95&rg=15&pv=bo&cx=11.34383&cy=44.5167&lx=11.34383&ly=44.516
7&z=0.6&lv=1&ct=&st=&cs=&nm=&al=default&type=null&d=1

http://search.japantimes.co.jp/cgi-bin/eo20070702gc.html

Japan Times
July 2, 2007

Serbia owed justice in Kosovo

By GREGORY CLARK*


No commentator likes to sound like a conspiracy nut.

But if that is the fate of anyone who tries to
challenge the distortions involved in painting Serbia
as criminally guilty over Kosovo and the breakup of
the former Yugoslavia, then so be it.

Let's go back to the beginning. When Nazi Germany
tried to occupy Yugoslavia during World War II, the
Croat and Muslim minorities there backed the Nazis in
their campaign against the mainly Serbian resistance.

Even the Nazis are said to have been impressed by the
brutality with which the Croatian forces — the dreaded
Ustashi — set out to massacre and cleanse whole
villages and even towns of their Serbian populations.
Some 1 million Serbs died as a result, many of them in
the Croatian death camp at Jasenovac, said to rival
some Nazi Holocaust operations in scale and atrocity.

With the war over, Serb revenge seemed inevitable. But
the Yugoslav resistance leader, Tito, managed to
restrain passions by allowing Serbian domination of
the central government while dividing the nation into
semi-autonomous regions with mixed ethnic populations.

But it was an uneasy compromise, as I saw on the
ground in the former Yugoslavia of the '60s and as
even we in distant Australia probably realized better
than most.

There we saw frequent attacks by recalcitrant Ustashi
elements on Yugoslav diplomatic missions and the large
Serbian immigrant community.

We took it for granted that in any breakup of
post-communist Yugoslavia it would be insanity to ask
the large Serbian minorities in Croatia and Bosnia to
accept rule by their former pro-Nazi Croatian and
Muslim oppressors. But insanity prevailed, thanks
largely to pressure from Germany, Britain and the
United States, all seeking to expand influence into
yet another Eastern Europe ex-communist nation.

In short, the subsequent fighting was inevitable, as
were the atrocities, by all sides. But the Serbs could
at least claim they were seeking mainly to recover
some of the towns and villages they had lost under the
Nazis.

Much is made of Serbian revenge killings in the
Bosnian district of Srebrenica in 1995. But we see no
mention of the wartime and postwar killings of Serbs
in that area, which had reduced the Serbian population
from a prewar level of over half to less than one
third. Nor do we find much mention of the atrocities
involved in expelling hundreds of thousands of Serbs
from Croatia.

Enter the Kosovo problem.

To assist the Muslim side during the 1992-1995 Bosnian
fighting, British and U.S. intelligence organs
resorted to the extraordinary recruitment and training
of Islamic extremists from Afghanistan's anti-Soviet
wars of the 1980s.

Help and training was also given to Albanian Muslim
extremists setting up their Kosovo Liberation Army to
launch guerrilla attacks against isolated Serbian
communities. (These long-suspected facts were
confirmed by Britain's former environment minister
Michael Meacher writing in The Guardian newspaper
recently).

Even more extraordinary was the way Serbian attempts
to prevent or retaliate against those KLA attacks were
denounced as the "ethnic cleansing" of Kosovo's
Albanians (ironically it was the KLA that invented the
term, to describe its plan to drive out the Serbian
minority).

The U.S. and the North Atlantic Treaty Organization
move to bomb Serbia into submission followed soon
after, even though it was the KLA, not Belgrade, that
violated a 1998 ceasefire organized by the U.S.

The propaganda war used to justify Western policies
over Kosovo was unrelenting.

We were told that 500,000 ethnic Albanians had been
killed there by the Serbs (miraculously we are now
given a figure of around 10,000).

Much was made of a 1989 speech by former Yugoslav
leader Slobodan Milosevic said to call for "ethnic
cleansing" in Kosovo. But one has only to read the
speech to realize it said the exact opposite — that it
was a call for moderation in handling ethnic Albanian
hostility to a justifiably stronger Serbian political
presence there; the idea that the 10 percent Serbian
minority there would set out deliberately to expel the
large ethnic Albanian majority was patently absurd
from the start.

Yet that absurdity has regularly been trundled out by
allegedly objective Western commentators relying
heavily on the 1999 flight of ethnic Albanians to
neighboring Macedonia as proof. But that flight was
temporary, and came after the U.S./NATO bombing
attacks, not before. Some of it was also staged.

Almost nowhere do we see any mention of the hundreds
of thousands of Serbs, Jews, Gypsies [Roma] and
moderate ethnic Albanians since expelled permanently
from Kosovo by the now dominant extremists. Meanwhile
we are supposed to be annoyed by Belgrade's and
Moscow's resistance to a Kosovo independence that
would almost certainly see the remaining ethnic
minorities even further victimized.

The implications for the future are frightening. The
propaganda victory over Kosovo seems to have convinced
our Western policymakers that they can say anything
they like on any issue and rely on spin, black
information and a lazy or compliant media to get away
with it.

The 1999 ultimatum given Belgrade over Kosovo was pure
blackmail: Either you agree to our demands, no matter
how unreasonable (including the demand to put not only
Kosovo but also Serbia under NATO military
occupation), or we use our dominant air power to wreck
your economic and social infrastructure. The
subsequent destruction of Serbia's industries,
including its only car factory, was pure vandalism.

Even Belgrade's willingness to accept a Kosovo under
the control of moderate ethnic Albanians was rejected,
in favor of the KLA Muslim extremists the U.S. had
long supported. Ironically some of those extremists
have now joined al-Qaida's anti-U.S. jihad.

On the 50th anniversary of their original unification,
the EU powers congratulated themselves on the way they
had kept Europe free of war ever since 1945.

They did not seem even to notice how they had just
gone to war with a European nation called Serbia.

Serbia was the one European nation to resist Nazi
German domination (the others either surrendered or
collaborated). Its capital, Belgrade, was viciously
bombed as a result. The next time it was bombed was by
a NATO that included Germany and many of the other
former collaborator nations, this time to force it to
submit over Kosovo. Little wonder the Serbs remain
angry.



*Gregory Clark is a former Australian government
official and currently vice president of Akita
International University. A translation of this
article will appear at www.gregoryclark.net 

(Source: R. Rozoff via http://groups.yahoo.com/group/stopnato and http://groups.yahoo.com/group/yugoslaviainfo )