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www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 26-06-07 

da Serbian network
 
Una risposta a Noam Chomsky
 
di Ljubodrag Simonovic    

 

Maggio 2007  

 

Il Signor Chomsky merita rispetto per la sua coraggiosa resistenza nei confronti della politica imperialista americana. Sfortunatamente, nell’intervista sul quotidiano di Belgrado “Politika” del 7 e 8 Maggio, Chomsky vede come ultima soluzione alla crisi nei Balcani la realizzazione della politica di Washington.

 

Alla domanda “Cosa vede come soluzione realistica allo status finale del Kosovo e quanto essa differisce da ciò che gli Stati Uniti sostengono oggi?” Chomsky risponde: «Già da molto tempo mi sembra che l’unica soluzione realistica allo status finale del Kosovo sia veramente quella proposta dall’ex presidente della Serbia (Dobrica Cosic), penso del 1993, che è una specie di “partizione” dei Serbi. Sono rimasti pochi Serbi, ma le regioni che sono sempre state Serbe devono far parte della Serbia, il resto può essere “indipendente”, come si dice, che vuol dire integrato all’Albania. Non vedo semplicemente nessun’altra soluzione ancora oggi».

 

L’idea di Chomsky non è nuova. Questo è un “modello” per il Kosovo, che durante la Seconda Guerra Mondiale fu realizzato dai fascisti Italiani e Tedeschi. A proposito del riferimento a Dobrica Cosic, l’ex Presidente della Yugoslavia, esso costituisce, nella realtà dei fatti, un alibi molto complesso, alla luce delle motivazioni che stavano dietro al sostegno di Cosic nei confronti della divisione del Kosovo. La posizione di Chomsky è esattamente identica a quella della classe dirigente americana.

 

Ciò significa che Chomsky non parla di una soluzione giusta e negoziata per il problema del Kosovo, ma di una “soluzione realistica”, Qual è realmente la base del “realismo” di Chomsky? Prima di tutto il fatto che gli Albanesi sono la maggioranza in Kosovo e che essi non vogliono vivere in Serbia. Sarebbe veramente “realistico” il “realismo” di Chomsky se l’America non si nascondesse dietro agli Albanesi?

 

In quel caso non avrebbe forse applicato un altro tipo di realismo, e cioè che gli Albanesi rappresentano circa il 15% della popolazione della Serbia e che i Serbi, che sono la maggioranza, non vogliono che il Kosovo si separi dalla Serbia? La “soluzione realistica” di Chomsky è fondata, di fatto, sui risultati della pulizia etnica nei confronti dei Serbi e degli altri non-Albanesi (circa 300.000), portata avanti dai gruppi terroristici Albanesi che, anche secondo Chomsky, furono organizzati e armati dagli Stati Uniti, come anche la colonizzazione in Kosovo di centinaia di migliaia di Albanesi provenienti dall’Albania.

 

Cosa succederebbe se il principio della “autodeterminazione” fosse applicato per risolvere il problema delle minoranze etniche nei paesi europei?

 

Secondo Chomsky, sarebbe una “soluzione realistica” il distacco della Macedonia occidentale e la sua annessione all’Albania? Oppure l’annessione da parte della Grecia di quelle parti dell’Albania in cui i Greci sono la maggioranza? Oppure l’annessione da parte dei Turchi di quelle parti della Bulgaria e della Grecia dove rappresentano la maggioranza? Oppure l’annessione da parte dell’Ungheria di quelle parti della Romania, della Serbia e della Slovacchia dove essi sono la maggioranza della popolazione?

 

E a proposito dell’Abkhazia, del Sud Ossezia, del Nagorno-Karabach, eccetera?

 

E la Catalogna, i Paesi Baschi, la Corsica, il Sud Tirolo, le parti della Turchia dove i Curdi sono la maggioranza, oppure la Crimea e altre parti dell’Ucraina popolate dai Russi, come anche gli Stati baltici con una maggioranza di popolazione russa?

 

Chomsky offre agli Albanesi del Kosovo come minoranza nazionale il diritto di formare uno Stato proprio e di essere annessi all’Albania. E cosa possiamo dire allora del diritto dei Serbi e dei Croati in Bosnia ed Erzegovina, dove non sono minoranze nazionali, ma popoli costitutivi, dove sta il loro diritto di decidere della loro indipendenza?

 

Il problema è se Chomsky è consapevole che la sua concezione “realistica”, di fatto, dà legittimità al principio della pulizia etnica apertamente sostenuta dall’amministrazione americana. La concezione di Chomsky, indipendentemente dai reali motivi del suo autore, rappresenta un invito ad una rottura violenta degli Stati multietnici. Questo cosa significherebbe per la Serbia dove vivono 24 nazionalità? In pratica, tutte le zone di confine della Serbia diventerebbero regioni in cui in cui potrebbero essere provocati conflitti etnici con lo scopo di realizzare poi un’annessione con gli Stati confinanti. In effetti, esistono già provocazioni in quelle parti del paese abitate da Musulmani (Sangiaccato) e da Ungheresi (Voivodina).

 

Come può la secessione di quella parte del paese che rappresenta la fondazione dello Stato Serbo e della coscienza nazionale di un popolo essere accettato “pacificamente”dai Serbi? I serbi sono consapevoli che i veri occupanti del Kosovo non sono gli Albanesi, ma gli Americani. Chomsky non menziona la presenza in Kosovo di Camp “Bond-Steel”, che è la più grande base militare americana in Europa. E questa è, di fatto, la principale ragione per cui gli Americani stanno cercando di staccare il Kosovo dalla Serbia e di annetterlo all’Albania.

 

Gli Americani stanno cercando di trasformare i Balcani e gli stati dell’Est europeo in un corridoio militare per isolare l’Europa dalla Russia e per impedire all’Europa di raggiungere il Medio Oriente. La “Grande Albania” diventerebbe il punto strategico principale nel piano americano di mettere radici sul territorio europeo.

 

Nella sua intervista Chomsky “ha dimenticato” di menzionare il fatto che la ragione fondamentale per il bombardamento della Yugoslavia fu il rifiuto di Milosevic di firmare il documento a Rambouillet, nel quale gli Americani chiedevano il dispiegamento in Yugoslavia di più di 30.000 soldati NATO.

 

Di fatto, essi chiesero a Milosevic di sottoscrivere l’occupazione del suo paese.

 

Rispondendo alla domanda: “Perché gli Usa cominciarono quella guerra?”, Chomsky fa riferimento al libro di John Norris che dichiara: “la vera causa della guerra non ha niente a che vedere con gli Albanesi del Kosovo, la vera causa fu che la Serbia non effettuava le riforme sociali e di mercato richieste, che significava che era l’unico angolo d’Europa che rifiutava di accettare i programmi neo-liberisti dettati dagli Stati Uniti e questo doveva essere fermato”.

 

Nella stessa intervista Chomsky dice che Milosevic “avrebbe dovuto essere rovesciato, e probabilmente lo sarebbe stato, nei primi anni ’90, con i voti albanesi.” Chomsky vede nei gruppi politici che in Serbia hanno fatto da “cavallo di Troia” per gli Stati Uniti e che hanno ricevuto centinaia di migliaia di dollari dagli Usa per rovesciare Milosevic, e nei separatisti albanesi, le forze che avrebbero rovesciato Milosevic.

 

Come si può combattere la politica criminale degli Stati Uniti nei Balcani, e, allo tesso tempo, sostenere le forze politiche che portano avanti gli interessi americani nei Balcani?

 

Qual’è l’opinione di Chomsky su Milosevic? Chomsky pensa che Milosevic “ha commesso molti crimini”, “che non è una persona buona”, “che è una persona terribile, ma che le accuse contro di lui non avrebbero mai potuto essere dimostrate”. Alla domanda “Sei un simpatizzante di Milosevic?” Chomsky risponde: “No, egli era terribile…certamente non avrei mai cenato con lui o parlato con lui. Si meritava di essere condannato per i suoi crimini, ma il suo processo non è stato eseguito in modo equo. Esso era una farsa ed ora sono contenti che sia morto”.

 

Per quali crimini avrebbe dovuto essere stato processato Milosevic e perché avrebbe dovuto essere rovesciato all'inizio degli anni novanta?

 

L’uomo che introdusse il sistema multi-partitico e che portò avanti una Costituzione secondo la quale il cittadino e non la nazione sono la base per la formazione politica della società, cosa che fu fortemente combattuta dalle forze che Chomsky sostiene.

 

Chomsky non da’ una risposta concreta alla domanda ricorrente. Fondamentalmente, Chomsky non ha una visione politica dei Balcani che possa dare a questi paesi la possibilità di preservare la loro indipendenza, senza la quale la storia delle “libertà democratiche” è solo una farsa. Questa è la ragione per cui Chomsky ha teorizzato un’opposizione “democratica” che avrebbe dovuto rovesciare Milosevic, qualcosa che non è mai realmente esistita.

 

Madeleine Albright ha detto molte volte che la Yugoslavia è stata bombardata con lo scopo di portare al potere coloro che avrebbero sostenuto la politica Americana nei Balcani. Questa è la vera opposizione che cercò di rovesciare Milosevic e che andò al potere il 5 Ottobre del 2000 e che trasformò la Serbia e il Montenegro in una colonia Americana.

 

Nella “democrazia” che l’occidente ha imposto alla Serbia con l’aggressione militare, più del 50% della popolazione abile al lavoro è disoccupata; più del 65% dei giovani sotto i 30 anni è senza lavoro; il salario medio è al di sotto dei 300 euro al mese; circa l’80% delle persone impiegate nel settore privato non hanno tutele sociali, solo a Belgrado ci sono più di 80.000 tossicodipendenti; oggi gli studenti pagano tasse dieci volte più alte rispetto ai tempi di Milosevic; nel processo di forzata privatizzazione quasi tutte le più importanti fabbriche, miniere, risorse idriche e altre proprietà pubbliche sono state vendute per pochi soldi alle compagnie occidentali o alle mafie locali; il prodotto interno lordo è sceso al di sotto dei livelli raggiunti anche nei momenti delle più severe sanzioni economiche ed embarghi; non vi è mai stato un numero così alto come oggi di giovani che emigrano fuori del paese; le testate giornalistiche e televisive critiche verso l’Occidente sono state chiuse, ogni giorno le persone che non si adeguano alle politiche dominanti stanno perdendo il loro lavoro, ogni giorno le banche vengono rapinate, i lavoratori delle poste uccisi, la gente muore nelle lotte di mafia…

 

La Serbia è diventata una società “democratica”, secondo gli standard occidentali.

 

Che a Chomsky piaccia o meno, Slobodan Milosevic era ed è ancora un simbolo della lotta per la libertà del popolo Serbo. Non è un caso che alla sua cerimonia funebre a Belgrado e a Pozarevac fossero presenti molte più persone di quante si trovarono il 5 ottobre del 2000.

 

Uno degli slogan era “Il Kosovo è La Serbia!”. Questa è la realtà sulla quale dobbiamo insistere se vogliamo la pace nei Balcani.
 
Traduzione dall’inglese per resistenze.org a cura del Forum Belgrado Italia



JUGOSLAVENSKI GLAS (Svakog drugog utorka na Radio Citta' Aperta)

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Program                  14. sati   26.VI.2007   ore 14              Programma

Recensione del libro-documento
Il Dossier nascosto del "genocidio" di Srebrenica
(trasmissione a cura di Marco Santopadre)




 

La deriva anti-socialista di Liberazione

1) A che gioco gioca Nocioni? (e Liberazione?) (Claudia Cernigoi)
2) Lettera a Liberazione sul Venezuela (Fosco Giannini)
3) L’ON. FOLENA NON HA IL COPYRIGHT DELLA DEMOCRAZIA (Ass. Naz. Italia-Cuba)
4) Penne all’arrabbiata in salsa creola (PuntoCritico)
5) Risposta ai 24 redattori di Liberazione (Comitato Fabio di Celmo ed altri)
6) La libertà è anche il rispetto della verità (Michele Capuano ed altri)
7) Lettera al direttore (Giovanni Caggiati)
8) Lettera che forse non verrà pubblicata (Sergio Bovicelli)
9) Cuba, Venezuela, "Liberazione" e la verità (Mercedes Frias, eurodeputata)
10) Risposta e controrisposta al compagno Sansonetti (Samir Amin ed altri)
11) EMBARGHI (Cesare Allara)


LINK

Cosa c'è dietro l'acrimonia verso Cuba?

Sono profondamente addolorato da come il vostro giornale, con gli articoli di Angela Nocioni, e con le risposte di Piero Sansonetti e Rina Gagliardi, ha parlato di Cuba, accodandosi all’infame campagna imperialistica. Per di più, come giustamente ha fatto notare Fabio Amato, il nostro rappresentante esteri, con scarso rispetto delle persone (le mogli dei “Cinque” e il povero papà Di Celmo presentati come approfittatori)...

di Giuseppe Abbà, redazionale del 6/6/2007  


=== 1 ===

A che gioco gioca Nocioni? (e Liberazione?)

Dopo gli orrendi articoli contro Cuba, l'inviata di Liberazione Angela Nocioni è tornata al suo antico amore (o forse bisognerebbe dire "odio"): il governo venezuelano di Hugo Chavez. Già un paio di anni or sono la signora si era dedicata ad un paio di servizi di mero "sputtanamento" del presidente Chavez, intervistato ma "amabilmente" preso in giro nei commenti post-intervista. Poco prima di dedicare le proprie "cure" a Cuba (cosa della quale avremmo fatto volentieri a meno) Nocioni aveva nuovamente avuto modo di parlare (male, ne dubitavate?) del governo del Venezuela "intervistando" il ministro degli esteri Nicolas Maduro, definito "Bruce Willis della rivoluzione" o anche "rottweiler del presidente".
Oggi, 13 giugno 2007, ecco la recidiva: sotto il titolo "la mappa del potere a Caracas, ecco gli uomini di Chavez", l'ineffabile Nocioni esordisce con queste parole: "decide tutto lui. Da solo. Quando far tuonare il ministro degli Esteri contro la diplomazia colombiana e quando inaugurare il trenino di Caracas. Cosa dire alle riunioni dell'Opec e in quale corridoio spostare l'albero di Natale". L'articolo prosegue su questo tono per altre 14 righe, nelle quali il lettore presume che il soggetto di cotanta verve ironica sia il presidente Chavez, cosa che pare evidentemente superfluo specificare all'autrice dell'articolo, che il direttore Sansonetti ritiene essere una delle migliori sul mercato. Mi permetto di dire che quando andavo a scuola mi hanno insegnato a scrivere diversamente, se volevo farmi capire, ma non vorrei insistere su questo argomento, che non è quello fondamentale.
Il punto è: dove vuole arrivare Liberazione, sguinzagliando (scusate, ma mutuo lo stile da quello dell'inviata in Sudamerica: se lo fa lei, perché io no?) Angela Nocioni a sparare a zero, spesso con pessimo gusto (vorrei vedere se si apostrofasse "rottweiler" o "mastino", come nell'articolo di oggi, il ministro di un qualunque paese europeo, ma anche di casa nostra, la reazione che ci sarebbe) contro il Venezuela, "casualmente" proprio in questo periodo in cui il Venezuela è sotto tiro (forse perché dal 1° maggio il Venezuela ha riconquistato la propria sovranità energetica a scapito delle multinazionali? chissà) soprattutto da parte degli Usa, ma con il buon aiuto di altri personaggi, come gli italiani Dimitri Buffa di Radio radicale e Aldo Forbice della Rai che propongono come alternativa "moderata" a Chavez nientepopodimeno che Alejandro Pena Esclusa, già coinvolto nel fallito golpe contro Chavez, membro dell'organizzazione Tradizione famiglia e proprietà del fascista brasiliano Pinio Correa de Oliveira, uno che ha dichiarato che "i colpi di stato militari sono soluzioni legittime ed auspicabili".
Ma anche El Paìs spagnolo (la Spagna è uno dei paesi che più hanno avuto un danno economico dalle scelte energetiche di Chavez) si lancia in difesa della democrazia contro chi ha osato chiudere l'emittente RCTV (che in realtà continua a trasmettere, solo sul satellite, cosa che in Italia bipartisanamente si vorrebbe sia per Raitre sia per Retequattro, ma evidentemente quod licet Iovis non licet bovis e mentre noi siamo il faro della democrazia, il Venezuela non lo è). Permettetemi di citare Valerio Evangelisti, che, dopo avere ricordato che questa emittente televisiva aveva apertamente appoggiato il fallito golpe contro Chavez, pone questa domanda provocatoria ai "democratici" nostrani: "mettiamo che in Italia al tempo dell'assassinio di Moro una delle nostre tv private avesse detto che avevano fatto bene ad ammazzarlo. Per quanto tempo sarebbe rimasta nell'etere?".
Andate a leggere la stampa internazionale, curiosate tra gli articoli pubblicati dalla testata francese "Reseau Voltaire" che evidenzia i maneggi Usa contro il Venezuela, tentativi di golpe, problematiche energetiche. Altro che la cronaca salottiera su mastini e rottweiler che ci ammanisce la soave inviata di Liberazione nell'America Latina. L'analisi della politica internazionale non si fa scrivendo articoli da giornale femminile o con l'imitazione della spocchia tipica della defunta Oriana Fallaci.
Del resto, il governo di Chavez ha disposto che dal primo maggio 2010 la giornata lavorativa in Venezuela passi a sei ore. Di questo non fa comodo parlare? Che fine ha fatto quella megagalattica campagna (anno domini 1998, se non ricordo male) per le 35 ore settimanali promossa (giustamente) da Rifondazione e poi finita nel dimenticatoio?
Saluti comunisti (finché possiamo...)

Claudia Cernigoi
direttore de "La Nuova Alabarda"
Trieste


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From:   lernestomail @ yahoo.it
Subject: Lettera a Liberazione sul Venezuela
Date: June 14, 2007 4:00:32 PM GMT+02:00


LETTERA A LIBERAZIONE SU VENEZUELA - ARTICOLO NOCIONI


Di nuovo Angela Nocioni. Dopo Cuba questa volta attacca – e denigra – il Venezuela di Hugo Chavez. In Venezuela è in atto un inedito – quanto importante per tutti i popoli subordinati – tentativo di transizione al socialismo. Una transizione che prende corpo dopo poco più di un quindicennio  dalla crisi dell’89 e da ciò che Fukujama chiamava “ la fine della storia” e cioè l’illusione della vittoria eterna del capitalismo.

 E’ proprio dall’asse  Cuba-Venezuela, oggi, che sale invece una spinta liberatrice per tutta l’America Latina, una lotta di emancipazione dall’imperialismo Usa che può  riconsegnare ai popoli latinoamericani il loro destino. Da questo punto di vista ritengo sconcertante l’articolo di oggi

( mercoledì 13 giugno) della Nocioni sul Venezuela e altrettanto sconcertante l’avallo del direttore, Sansonetti.

Credo che in tempi brevi il nostro Partito debba chiarire i rapporti tra gruppo dirigente, iscritti e militanti e “Liberazione”. Qualcuno può anche decidere di alzare, contro Cuba e contro il Venezuela, la stessa bandiera della borghesia, latinoamericana ed europea. Ma non può farlo a nome di un Partito comunista, come lo è il Prc.

Fosco Giannini - Senatore Prc


=== 3 ===


Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba

 

L’ON. FOLENA NON HA IL COPYRIGHT DELLA DEMOCRAZIA

Sergio Marinoni, presidente
Andrea Genovali, vice-presidente

 

 

Abbiamo letto con attenzione l’intervento di oggi su Liberazione dell’onorevole Folena sulla democrazia a Cuba e ci pare opportuno fare alcune considerazioni.
                                                                                                                            
Il primo, affermato dall’onorevole Folena, lapidario, è che “a Cuba non c’è democrazia. Non ci sono elezioni libere. Non c’è un sistema pluralistico”. Parlando di questi argomenti preferiamo iniziare, non dalla eurocentrica idea di democrazia, ma dalla solenne affermazione della Carta di San Francisco che nel giugno 1945 ha dato origine alle Nazioni Unite e che indica nelle peculiarità, nella storia, nelle tradizioni, nelle esigenze e nei bisogni dei popoli la strada maestra per costruire la loro democrazia. Questo è un punto fondamentale, anche quando contraddice la via occidentale e italiana alla costruzione della democrazia.
Nessun sincero democratico può arrogarsi il diritto di stabilire che la democrazia sia solo il confronto elettorale tra due o più partiti. La democrazia può esistere anche attraverso altre forme, tanto è che l’etimologia del termine (nella lingua greca, demos = popolo, krateo = comandare) non contiene affatto alcun riferimento a qualsiasi partito. E non ci risulta che l’onorevole Folena possieda il copyright su questo vocabolo per stabilire lui che cosa sia, o meno, la democrazia.
Non si tratta pertanto di contrapporre sistemi, ma di sforzarci di comprendere che ogni popolo costruisce questa strada come più conviene alla propria storia. Non è giustificazionismo, ma affermazione di un’idea basilare enunciata dalle Nazioni Unite. Cuba e il popolo cubano hanno intrapreso una loro strada, certamente non perfetta, neppure la nostra lo è - ricordiamoci le ultime elezioni politiche - ma è la loro strada che ha un coinvolgimento reale delle persone, che può non piacere all’onorevole Folena e ad altri, ma è la strada liberamente intrapresa dai cubani. La si può criticare, ma non dipingere come una dittatura. Perché questo è falso.
Cuba è uno stato di diritto, retto da una Costituzione approvata tramite referendum il 15 febbraio 1976, con voto libero, segreto e diretto.
Come stabilisce la Costituzione cubana, le elezioni si svolgono ogni due anni e mezzo a livello municipale e ogni cinque anni a livello provinciale (le nostre regionali) e nazionale. Il Partito Comunista di Cuba non partecipa alle elezioni e non propone candidati.

 

Secondo aspetto. Siamo decisamente persuasi che dopo il 1989 anche Cuba sarebbe caduta miseramente, come i vari Stati dell’Est europeo e l’URSS, se il sistema politico cubano non avesse avuto, e tuttora ha, il sostegno popolare. Non bastano le conquista sociali a difendere un regime oppressivo e negazionista dei diritti civili, politici e umani come quello che goffamente si tenta di rappresentare di Cuba. Non ci pare condivisibile in nessun modo l’affermazione di Folena che dice che a Cuba non esistono i presupposti fondamentali della democrazia. E’ veramente eccessiva e dettata da troppo ideologismo che non ha riscontro nella realtà e chiunque si rechi a Cuba lo può facilmente notare da solo. Certamente esiste un’area di scontento, il blocco statunitense, un macigno enorme che ancora grava su Cuba, riforme economiche perfettibili ecc., sicuramente possono colpire alcuni settori della società. Ma Cuba è un paese fatto di persone in carne e ossa che hanno lottato per la propria libertà e continuano a farlo, commettendo talvolta anche errori, ma la conquista dell’indipendenza e di uno stato sociale, unico nei paesi del Terzo Mondo e in parte anche in quello Occidentale, sono il risultato di una partecipazione e di una condivisione popolare alla Rivoluzione. Altrimenti, ripeto, Cuba rivoluzionaria non esisterebbe più dai primissimi anni Novanta.
Allora, non ci pare onorevole Folena, il giusto modo il suo di salire su di una cattedra a dare lezioni di democrazia da parte di chi, nel proprio paese non è mai riuscito a realizzare una profonda riforma sociale dello Stato. Occorre dialogare, anche criticare, ma in uno spirito solidale e mai fare i saccenti e i primi della classe. E’ un profondo errore eurocentrico che ricorda uno spirito neocoloniale per cui fuori dall’Occidente tutti debbono ascoltare le nostre lezioni.

 

Terzo aspetto. A Cuba si rimprovera una mancanza di democrazia e di pluralismo politico. Peccato che non si consideri mai il fatto che Cuba non abbia mai vissuto una situazione tranquilla. Cuba non è la Svizzera e ha lo storico problema dell’ingerenza statunitense, fin dai tempi in cui era una colonia spagnola. Anzi, dal 1898 gli Stati Uniti sono diventati i padroni assoluti dell’Isola, concedendo poi, nel 1902, una farsa di indipendenza e di democrazia durata fino al 31 dicembre 1958.
Da quel giorno il problema di Cuba è stato quello di innalzare una diga di fronte a tale ingerenza e questa barriera è costituita dall’unico partito esistente. Questo partito non è assolutamente di ispirazione “sovietica”, come si vuol far credere, ma fonda le sue radici nel partito unico ideato da José Martí nel 1892. Gli Stati Uniti hanno avuto gioco facile a penetrare e a dividere l’unità del popolo cubano come ha ampiamente dimostrato la storia del periodo pre-rivoluzionario. E’ l’unità, invece, che ha permesso di sviluppare una società che innanzitutto salvaguardi la loro indipendenza, la loro autodeterminazione e il diritto di sviluppare il sistema sociale a loro più congeniale.
Pertanto, onorevole Folena, non cada nell’errore di considerare Cuba un modello politico a cui ispirarsi o di cui parlar male. I cubani non pretendono affatto che il loro sia un modello. Non pretendono affatto di esportarlo. Non pretendono affatto che altri lo condividano. Pretendono unicamente di essere rispettati e che altri non mettano il naso nei loro affari interni.

 


=== 4 ===

From:   info @ puntocritico.net
Subject: ANCORA A PROPOSITO DELLA NOCIONI
Date: June 14, 2007 5:19:58 PM GMT+02:00

Penne all’arrabbiata in salsa creola.

Continua lo stillicidio di articoli su Liberazione  dopo Cuba e Castro ora è la volta del Venezuela e di Chavez
 
Dopo i vergognosi articoli su Cuba e la rivoluzione cubana, Angela Nocioni continua a dare prova della propria faziosità attaccando la Rivoluzione Bolivariana del Venezuela e il presidente eletto Chavez .
Negli articoli su Cuba la Nocioni impostava i suoi attacchi con l’arma dell’ironia condita con falsità e mezze verità francamente troppo faziose per essere condonate ad una inviata, senza farsi peraltro neanche troppi scrupoli nell’attaccare il padre di Fabio Di Celmo (l’Italiano morto a Cuba in un attentato nel 97’) tacciandolo di essere divenuto un’arma della propaganda di “regime”in cambio di privilegi di natura economica. E così un ristorante statale che porta il nome del povero Fabio diviene di proprietà del padre, colpevole di lavoravi nei momenti liberi.
Un padre che sceglie di vivere a Cuba per lottare per la verità sulla morte del figlio, diviene un’arma della propaganda, un mercenario. Non entriamo ulteriormente nel merito degli articoli su Cuba in quanto molto già è stato detto da molti compagni autorevoli o semplici militanti, associazioni, organizzazioni e rappresentanti di partiti della sinistra, che hanno condannato ampiamente gli articoli in questione.
Ora il bersaglio è il Venezuela Bolivariano. L’articolo : Venezuela, tutti gli uomini di Chavez a pag. 4 di mercoledì 13 giugno attacca frontalmente Chavez e il suo governo, mettendo in campo chiacchere di corridoio e maldicenze tutte da provare sugli uomini di governo, ministri e militari bolivariani.
L’immagine che ne esce è quella di un governo di persone succubi del carismatico leader, quasi come si insinuasse l’idea che la rivoluzione bolivariana venezuelana, che sta travolgendo e contaminando il continente dipendesse solo dalla figura dispotica del suo presidente, coccolato, venerato e temuto.
Si insinua l’idea che Chavez è circondato da persone poco qualificate incapaci e timorose di criticare e esprimere giudizio; la rivoluzione bolivariana quindi è Hugo Chavez e pochi altri fanatici.
Ricorda molto come quanti insistono tuttora, tra cui la stessa Nocioni, che il socialismo a Cuba è Fidel e suoi accoliti, nonostante i fatti dimostrino tutt’altro.
Vogliamo ora ricordare alcune cose molto significative rispetto l’esperienza rivoluzionaria bolivariana: innanzi tutto l’aspetto straordinariamente importante della democrazia partecipativa sospinto anche sotto il profilo giuridico con la conformazione dei Consigli Comunali (Legge del giugno scorso – che istituisce queste sottostrutture di base sul modello dei Comitati in Difesa della Rivoluzione di Cuba, ma con un’ampia autonomia anche sotto il profilo economico con l’Istituzione delle Banche Comunali).
La nascita del partito unico di governo PSUV (Partito Socialista Unificato del Venezuela), cha ha al momento raccolto l’adesione di più di 5 milioni di venezuelani su una popolazione complessiva di 26 milioni e mezzo (1 elettore su 4) di abitanti; questa scelta di unificare i partiti della sinistra venezuelana è frutto della necessità di mobilitare sempre più maggiormente un numero maggiore di cittadini e venezuelani in difesa della rivoluzione e nei processi di trasformazione socialista in atto.
La nascita dell’economia cooperativistica, dove l’interesse sociale viene anteposto a quello privato, queste nuove imprese semi statali (statali – coop) stanno cambiando il panorama economico delle imprese sia distributive sia produttrici, soprattutto in campo alimentare; oggi sono più di mezzo milione, cinque anni fa meno di cinquemila.
Le missioni sono i piani di trasformazione sociale che, congiuntamente all’apporto di tecnici e specialisti cubani, hanno sradicato dal paese piaghe come quelle dell’analfabetismo, del deficit dell’assistenza sanitaria (per non parlare dell’Operazione Milagro in campo Oftamologico), e dell’istruzione in senso largo su corsi parauniversitari e una riforma straordinaria del sistema educativo.
Tutto ciò non è avvenuto perché il petrolio conduce a entrate più alte, non è frutto della crescita del 9% del PIL annuo, ma di una mobilitazione di massa di un popolo che sta giorno per giorno conquistando il proprio futuro.
Ritenere che la Rivoluzione Bolivariana vada dove decide che va una singola persona è piuttosto ridicolo, nonché irreale.
Le missioni hanno mobilitato decine di migliaia di medici, insegnanti, giovani, assistenti; le trasformazioni socialiste dell’economia coinvolgono invece centinaia di migliaia di lavoratori; la nascita dei consigli comunali comporta la partecipazione dal basso del popolo alle decisioni più importanti sul proprio futuro.
Questo avremmo voluto sapere, non la storia fiabesca degli “uomini di Chavez” ma la realtà oggettiva, concreta e di sostanza che la trasformazione socialista bolivariana stà conducendo.


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Risposta ai 24 redattori di Liberazione


Perfettamente d’accordo con la solidarietà di un gruppo di giornalisti di Liberazione pubblicata sullo stesso solo che ci sembra ci siano delle imperfezioni in quanto delle scuse le dovremmo contro ogni falsità e menzogna a Giustino Di Celmo, papà di una vittima del terrorismo, a cinque donne che hanno i loro mariti ingiustamente detenuti nelle carceri nordamericane e ad una bambina alla quale è impedito di vedere il proprio genitore. La libertà di un giornalista e di chiunque non significa il diritto ad inventare infamità spacciandole per vere ma richiama alla conoscenza della realtà pur nel rispetto di ogni libera critica. Crediamo che in questa fase tra Cuba, Chavez e poi toccherà a Lula, a Morales e a chiunque sta cercando un percorso diverso in quello che è sempre stato il cortile di casa degli Stati Uniti (ricordate il Cile? L’Argentina? Feroci dittature in tutta il latinoamerica?) stiamo minacciando la serietà del quotidiano Liberazione e sviando il conflitto e l’analisi sulla democrazia spostandolo dai responsabili di guerre, sfruttamento e altro a una sorta di pretestuoso dibattito “interno” facendo lezioni di organizzazione di società mentre abbiamo molto da ragionare sulle nostre perenni contraddizioni. Il danno che deriva da articoli contro Cuba ecc. sta creando oggettivamente disorientamento e confusione nelle nostre fila e in più in generale a sinistra. Ci auguriamo che il Partito, i suoi gruppi dirigenti ci rispettino come iscritti, simpatizzanti e lettori del quotidiano Liberazione intervenendo su questa penosa e forzata vicenda.

Comitato Fabio di Celmo, 
Siporcuba, 
Angolo cubano, 
Zona Rossa, 
usd Tor di Quinto,
Promocaraibi,
Punto Cubano, 
AIASP, 
sgs Artiglio Calcio, 
AGTI, 
associazioneITACA, 
ComitatoProvinciaHabana,
ASIDAL, 
Rete Associazioni Popolari, 
Comunità Montana Valle dellAniene,
Comitè Internazionalista Camillo Cianfuegos 
Casa dei popoli di Roma, 
Società Artisti Comunisti dello spettacolo, 
Polisportiva RM6 villa Gordiani,
Le Villette di tutta l’Italia, 
le Associazioni del Comitato 28Giugno

CON CUBA, CON FIDEL SENZA SE SENZA MA


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La libertà è anche il rispetto della verità

Si può essere indignati o sollevare critiche nei confronti di una giornalista o di un direttore di quotidiano o di un giornale stesso che decide, liberamente, di esprimere un proprio e legittimo punto di vista nei confronti di un qualsiasi avvenimento? Certamente no e sicuramente anche Liberazione, quotidiano del PRC, ha il diritto sacrosanto di scrivere su Cuba quello che più ritiene giusto anche se questo comporta trattare con superficialità la storia di un popolo e di uomini e donne che subiscono da anni un intollerabile bloqueo e vili e ripetuti attentati terroristici. E’ altrettanto vero, tuttavia, che la menzogna e le opere di fantasia che infangano le persone e che sono semplice frutto di un pressappochismo giornalistico che non dovrebbe appartenerci vanno ostacolate o almeno ricondotte a realtà lasciando spazio alla verità e contrastando gratuite invenzioni. Questo è il caso dell’articolo della signora Nocioni apparso su Liberazione ed è quanto ribadisce a firma della Bufalini L’Unità, storico quotidiano fondato da Antonio Gramsci, perseguendo nella menzogna pur volendo apparire come super partes tra “Liberazione e Castro”. E’ davvero cinico trasformare violentemente un uomo che ha visto morire il figlio davanti ai propri occhi e che ha consumato le proprie lagrime nel piangerlo in un profittatore che sciacallando su quella morte cerca di trarne un profitto personale e lo è, a maggior ragione, se persiste l’indifferenza del Governo italiano verso un terrorista reo confesso che circola liberamente negli Stati Uniti. La verità unica e documentabile è che dopo dieci anni Cuba ha inteso realizzare un sogno che era della vittima innocente della barbarie Fabio Di Celmo di realizzare un ristorante italiano a La Habana. In questa realizzazione Giustino non ha altro ruolo, per un ristorante cubano e i cui proventi vanno alle autorità cubane, se non quello di consulente prima e di gerente poi con la “conquista” di ricordare in un nome, una dedica e fosse anche una pizza una vita vigliaccamente spezzata. Il Ristorante, un film, uno spettacolo con Alicia Alonzo, un concerto, una manifestazione, un libro, un convegno: qualsiasi opportunità o scelte alla ricerca di una giustizia che attende da anni di arrivare a compimento. Cuba riesce a dedicare a questo papà un’ospedale con il nome del figlio e da noi sostenuto con la solidarietà internazionale, un museo e noi, comitato italiano per Fabio Di Celmo, un comitato che ha tra i suoi fondatori magistrati, avvocati, giornalisti, deputati, semplici cittadini, dirigenti di diverse associazioni, a suo tempo le firme prestigiose di Tom Benetollo o del premio nobel Alferov, realizzammo un libro con tutti i più grandi poeti italiani e dei diversi continenti (da Luzi ancora in vita a Merini, da Vendola a Lunetta, da Sanguineti a Di Benedetti) per aprire una sala convegni (progetto realizzato) con Alberto Granado alla Casa Africa de l’Avana. Questo e molto altro in nome della lotta al terrorismo, per la pace, per un mondo migliore ma, soprattutto e nel caso specifico, cercando disperatamente di tenere sempre acceso il faro su un delitto che ancora rimane impunito. Ugualmente ci siamo attivati, anni fa, con il parere positivo anche del sindaco della città di Roma e del Municipio Roma 6, per una targa nel parco di viale Irpinia, dinanzi la Casa dei Popoli, dedicata a Fabio Di Celmo “vittima del terrorismo”. Giustino dopo la morte del figlio, imprenditore italiano, è rimasto a Cuba e sono non poche le sue attività verso gli ultimi ed i più deboli. E’ rimasto dove si è portata avanti la battaglia contro chi ha assassinato il figlio ed è tornato ripetutamente in Italia (diversi gli incontri anche in Parlamento con gli onorevoli Rizzo o Pistone o parlando con Giovanni Russo Spena o con Paolo Cento, Con Bertinotti e Diliberto e noi stessi con Livia Turco in un sit in su tale tema fuori il Parlamento solo due anni fa) per chiedere giustizia, l’estradizione o un giusto processo per un terrorista. Infine una parola su una omaggiata, altra invenzione forzata della giornalista, laurea in sociologia a Giustino. Abbiamo la documentazione di un percorso fatto di iscrizione all’Università, di docenti incontrati, esami etc. e abbiamo il filmato integrale della presentazione della tesi con tanto di interrogazione, domande e risposte. La dignità di un uomo colpito da un grave lutto è consistita, anche in questo caso, nel tenere viva la memoria del figlio con un altro impegno a lui promesso in un tempo in cui anziché vivere nel dolore era la gioia e programmi verso il futuro ad appartenere alla famiglia Di Celmo. Il filmato fu da noi realizzato casualmente, trovandoci a Cuba, con l’idea di portarlo alla madre Ora: una donna che non ha più trovato serenità dopo la  morte  inaudita del suo figlio più giovane. Caro direttore, crediamo doverosa la pubblicazione di tale lettera, una sorta di errata corrige, almeno per farci continuare a ritenere che c’è sempre posto per la verità anche in un’epoca in cui l’ipocrisia la fa da padrona e che anche la critica politica o di qualsiasi genere, poggia le sue basi, soprattutto per noi che lottiamo disinteressatamente per una società migliore, sulla realtà. Questo è l’impegno che abbiamo preso parlandone con Giustino Di Celmo al telefono ed è quanto a lui ribadiremo portando la nostra solidarietà e le nostre scuse ad un uomo fortemente provato dalla vita andando il 15 giugno a Cuba. 

Michele Capuano –giornalista, direttore della rivista “La Ragione”
Ines Venturi – presidente del comitato “Fabio Di Celmo”
Luciano Iacovino presidente La Villetta
Comitato 28 Giugno


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----- Original Message ----- 
From: Giovanni Caggiati 
To: Liberazione 
Sent: Friday, June 15, 2007 1:37 AM
Subject: lettera al direttore (14-6-'07)

Caro direttore,
mi/ti chiedo dove vuole arrivare Liberazione con la pubblicazione del nuovo articolo di Angela Nocioni, su Chavez. Già Cuba era stata condannata senza appello per la mancanza di democrazia, pluralismo e libertà. Democrazia che certo è elemento fondamentale, non semplicemente da aggiungere al socialismo, come scrive Folena, ma parte integrante del socialismo stesso, cosa senza la quale il socialismo non è pienamente tale, come ha maturato il Partito Comunista Italiano nel corso storico della sua esperienza politica. Ma non ha senso il richiamo a democrazia e socialismo se lo spirito degli articoli della giornalista è sprezzante e distruttivo nei confronti di quel tanto di socialismo che a Cuba è stato realizzato: se viene a mancare, se si distrugge, un termine (per quel tanto che c'è), il socialismo, dei due termini, democrazia e socialismo, della discussione, non ha ragion d'essere la discussione stessa. Nei confronti del Venezuela di Chavez l'accusa è ancora più fuori luogo. Al di là delle critiche, anche questa volta sprezzanti, alla persona Chavez - come se "personalismi" non esistessero anche nella democratica sinistra radicale comunista (o soltanto sinistra) nostrana - sono i fatti politici a parlare: in Venezuela democrazia, pluralismo, libertà e libere elezioni sono rispettati e garantiti. E per questa via democratica, con questa via sostanzialmente, là si sta avanzando verso il socialismo, mentre in Italia non si riesce nemmeno a riempire una piazza di Roma contro il presidente americano guerrafondaio nel giorno della sua presenza nella capitale.

Giovanni Caggiati - Parma, 14 giugno '07


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(francais / italiano)

Pausa forzata per il Feral

15.06.2007   


Dopo 14 anni di pubblicazioni regolari, il giornale che ha ricevuto tra i più alti riconoscimenti internazionali per la qualità del suo lavoro, oggi non sarà in edicola. Il comunicato inviatoci dalla redazione del Feral Tribune, alla quale ancora una volta rivolgiamo piena solidarietà
Redazione Feral Tribune 

Traduzione a cura della redazione di Osservatorio Balcani 


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Le tasse soffocano la stampa

11.06.2007    Da Osijek, scrive Drago Hedl


I giornali croati versano allo stato tasse altissime, le più alte d’Europa. Qualcosa pare stia cambiando ma per alcuni giornali potrebbe essere troppo tardi. Tra questi anche lo storico settimanale Feral Tribune, al quale la redazione di OB esprime piena solidarietà


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FERAL TRIBUNE

Croatie : Feral Tribune en danger, la liberté de la presse menacée

TRADUIT PAR PERSA ALIGRUDIC
Publié dans la presse : 14 juin 2007
Mise en ligne : samedi 16 juin 2007

Le fameux hebdomadaire de Split, Feral Tribune, pourfendeur du nationalisme et de la corruption, véritable conscience morale et satirique de la Croatie, n’est pas dans les kiosques cette semaine. Les comptes du journal ont été saisis pour un retard de paiement de TVA. En cause : une lourde fiscalité qui étouffe la presse, mais aussi la dictature des annonceurs et des lobbies médiatiques, décidés à faire taire une voix critique. Le « marché de la presse » n’est pas plus libre que sous Tudjman, dénonce la rédaction de Feral.

Par la rédaction


Feral Tribune, le journal croate le plus récompensé, n’est pas sorti cette semaine. On ne sait toujours pas si et quand les prochains numéros se trouveront dans les kiosques. Le fait que Feral ne soit pas en vente, après quatorze années de parution régulière, est le résultat des problèmes auxquels la rédaction est confrontée depuis longtemps, mais qu’elle n’est pas en mesure, malgré de grands sacrifices, de surmonter.

Le récent blocage de notre compte par l’État, qui a prélevé de force un demi-million de kunas (environ 66.000 euros) au titre des TVA impayées, a financièrement détruit notre maison de sorte que, depuis des mois, les journalistes n’ont pas reçu leur salaire. Nous sommes encore menacés de rembourser le solde d’un million de kunas dû au titre de la TVA. Le fait est que le gouvernement de Croatie avait renoncé à plusieurs reprises à percevoir les dettes de TVA redevables par les médias appartenant à l’État (par exemple Vjesnik, la télévision publique HRT ou plus récemment Slobodna Dalmacija), ce qui a créé une concurrence déloyale. Nous avons également signalé que le montant draconien de la TVA pour les journaux - le plus élevé du monde - ne pouvait que mener les petits éditeurs indépendants à une mort certaine.

Les mesures prises d’urgence par le gouvernement, prévoyant que le montant de la TVA sur la presse devrait être deux fois inférieur au taux normal, ne font que confirmer que le problème existe et qu’il sera réglé grâce à l’appel de Feral, mais cela n’ira pas sans d’énormes pertes pour ce journal.

Les diktats de la pub

Nous avons également attiré l’attention sur le dictat de la corporation qui gouverne le marché des médias, de sorte que Feral Tribune, en raison de sa ligne politique de nature indépendante et incorruptible, est entièrement privé de revenus publicitaires. La situation est absolument insoutenable, car les gros annonceurs, apparemment en accord avec la politique gouvernante, divisent les médias entre les « bons » et les « mauvais », mettant ainsi tout le journalisme croate au service de leurs entreprises. La profession journalistique en Croatie, dirigée par les corporations de médias et leur tendance à faire des profits, s’abandonne sans résister à cette forme d’obéissance, au détriment des informations librement exprimées et des intérêts des citoyens de ce pays.

Les médias enclins à publier la vérité, à l’instar de Feral, sont généralement ignorés, privés d’une part considérable de leurs revenus potentiels et condamnés à la ruine financière. Il s’agit d’un racket de grande envergue, d’une corruption qui s’est transformée en système - avec les intérêts associés des maîtres profiteurs de la politique et des médias - et ce n’est qu’en humiliant le bon sens qu’on peut qualifier la situation actuelle de « situation de marché ».

Finalement, les sentences énoncées par la justice pour de présumés préjudices moraux, avec d’énormes demandes de dédommagement, sont beaucoup plus fréquentes ces derniers mois qu’au cours des dernières années, de sorte qu’il ne se passe pas une semaine sans que la rédaction de Feral ne reçoive une plainte judiciaire réclamant des dommages et intérêts de quelques dizaines de milliers de kunas. Ainsi, la justice croate, soumise au diktat des intérêts et de la politique, apporte sa contribution à l’étouffement de la libre expression publique, comme dans les années les plus noires du régime de Tudjman.

Feral Tribune est le lauréat de plusieurs reconnaissances internationales professionnelles. Il a obtenu plus de prix que tous les autres médias croates réunis. Il a sauvegardé les standards professionnels et moraux qui, dans ce pays, continuent d’être bien éloignés. Il a ouvert des sujets les plus dramatiques, que d’autres journaux n’ont osé aborder que des années plus tard. Le coup actuellement porté contre Feral annonce la mort de toute critique de la scène médiatique. La disparition de Feral des kiosques, que cela plaise à certains ou non, serait le signe avant-coureur d’un avenir qui réservera un misérable rôle de serviteur au journalisme.

La rédaction remercie les fidèles lecteurs de Feral Tribune qui nous ont appuyés dans les moments les plus difficiles. Encouragés par ce soutien ainsi que par les voix de soutien qui parviennent de l’opinion publique démocrate croate, les journalistes de ce journal feront tout leur possible pour que Feral Tribune soit de nouveau dans les kiosques le plus vite possible.