Informazione


Iniziative sulla condizione Rom nelle metropoli

1) ROMA 19 LUGLIO: MANIFESTAZIONE AL CAMPO DI CASTEL ROMANO
- ''Acqua non potabile'': imbottigliata e distribuita per denunciare il degrado del campo rom di Castel Romano
- Background I :  ''Non siamo cani'': i rom si ribellano
- Background II : Caro Veltroni, perché vuoi mandar via i Rom da Roma? 

2) MILANO 23 LUGLIO: MANIFESTAZIONE A PIAZZA SCALA

3) VERSI DAL SILENZIO - antologia di poesie romanì


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(I Korahanè di Castel Romano invitano quindi tutti i  
cittadini di Roma a visitare il campo della Pontina giovedì 19 luglio  
a partire dalle 19:00, e a passarvi la notte...
La locandina della manifestazione si può scaricare anche dal nostro sito:


''Acqua non potabile'': imbottigliata e distribuita per denunciare il  
degrado del campo rom di Castel Romano

E’ quella del pozzo del campo dove vivono circa 1000 persone, l’unica  
disponibile per il migliaio di persone, molti i bambini. “Alcuni dei  
nostri bambini si sono già ammalati di epatite”
  
ROMA - "Acqua non potabile”. In confezioni da due litri,  
imbottigliata e distribuita a Castel Romano, al chilometro 20 della  
via Pontina, a Roma. L'acqua è delle più torbide e sul fondo della  
bottiglia precipita il terriccio in sospensione. L"etichetta  
raccomanda: "solo uso esterno e fanghi”. E più sotto specifica:  
“Acqua non potabile distribuita un'ora al giorno a 1.500 persone”. E"  
l’acqua del pozzo del campo rom di Castel Romano. L’unica disponibile  
per il migliaio di persone, molti i bambini, ospitati nella struttura  
aperta nel settembre 2005. I rappresentanti della comunità Korahanè  
del campo, l’hanno imbottigliata e ne faranno omaggio alle autorità  
responsabili per denunciare la situazione di degrado del campo.  
“Alcuni dei nostri bambini si sono già ammalati di epatite, per aver  
bevuto quell’acqua”, dice Luigi, un trentenne residente nel campo,  
che aggiunge: “Come è possibile che, in Italia, mille persone siano  
tenute senza acqua potabile? Ho sempre lavorato, sono in Italia da  
vent’anni, come tanti altri. Eppure lo stato ci costringe ad essere  
nomadi”. I Korahanè di Castel Romano invitano quindi tutti i  
cittadini di Roma a visitare il campo della Pontina giovedì 19 luglio  
a partire dalle 19:00, e a passarvi la notte per “richiedere un  
intervento urgente da parte delle autorità teso al ripristino delle  
condizioni di vivibilità e sicurezza per le 1.000 persone che vi  
abitano”.
  
© Copyright Redattore Sociale

(la locandina della manifestazione del 19 luglio 2007 a Castel Romano si può scaricare anche dal nostro sito:

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''Non siamo cani'': i rom si ribellano ai patti di sicurezza di Amato e Veltroni

Prevedono il trasferimento di migliaia di famiglie in 4 nuovi grandi  
campi attrezzati, che sorgeranno fuori dal raccordo anulare. Najo  
Adzovic: ''E' tempo di reagire'' . Dure critiche alle associazioni  
che gestiscono i campi

ROMA - Non siamo nomadi. Basta con i campi, vogliamo una casa. Le  
comunità rom di Roma si schierano contro i patti di sicurezza  
sottoscritti da Amato e Veltroni lo scorso maggio, e che prevedono il  
trasferimento in massa di migliaia di famiglie in 4 nuovi grandi  
campi attrezzati, che sorgeranno fuori dall'autostrada del raccordo  
anulare. "E" tempo di reagire - dichiara Najo Adzovic (Campo Casilino  
900) - non possono deportarci e recintarci come cani”. Dure le  
critiche alle associazioni e cooperative che gestiscono i campi  
"Basta lucrare sulle nostre spalle ­ dice Graziano Alilovic (Campo La  
Barbuta) ­. Vogliamo case, non campi. Le associazioni ci dicano da  
che parte stanno”.

Quella del diritto alla casa è la prima delle richieste del  
coordinamento dei rom, riunitosi questa mattina all"università La  
Sapienza in un incontro con la stampa. “Chiediamo al sindaco case  
popolari”, dice Meo Hamidovic (Campo Castel Romano). Hamidovic vive  
al campo di Castel Romano dal 14 settembre 2005. Allora venne  
sgomberato il campo di vicolo Savini, a Ponte Marconi. Mille persone  
trasferite a Castel Romano, in quello che si annuncia come prototipo  
dei villaggi della solidarietà proposti dai patti di sicurezza  
firmati a maggio, a Roma, dal sindaco Walter Veltroni, da Enrico  
Gasbarra, Piero Marrazzo e dal Prefetto Serra - oltre al ministro  
Amato. Undici milioni di euro in tre anni dalla Regione Lazio,  
quattro milioni dal Comune di Roma e un ulteriore contributo da parte  
della Provincia di Roma, per rivedere l'assetto dei campi rom.  
Seimila persone ­ dichiara il professor Marco Brazzoduro (La  
Sapienza) - rischiano la “deportazione” in località periferiche e  
isolate, che saranno definite entro il 23 luglio.

Nel campo rom di Castel Romano vivono mille persone, confinate in 220  
container al confine tra Roma e Pomezia, nel mezzo della riserva  
naturale di Decima-Malafede. Il luogo è talmente isolato che per  
spegnere un incendio divampato nel campo due giorni fa, a nulla è  
servito la chiamata ai vigili del fuoco, che non sono riusciti a  
raggiungere la zona con le autobotti. Il campo è gestito dall’Arci,  
per una convenzione che ammonta a 750.000 euro annui. “Il villaggio  
non è attrezzato, siamo senza acqua potabile, non c’è un solo posto  
all’ombra per i nostri bambini”, si lamenta Hamidovic. L’unica  
distribuzione idrica, per due ore al giorno, è realizzata con acqua  
di pozzo non potabile e inquinata. “Alcuni dei nostri bambini si sono  
già ammalati di epatite, per aver bevuto quell’acqua”, dice un  
trentenne residente al campo. Il primo centro abitato dista 8 km dai  
container, e le scuole dove i bambini erano iscritti prima dello  
sgombero da vicolo Savini, distano 20 km. Molti hanno abbandonato gli  
studi. Anche perché, denuncia Hamidovic, le scuole del XII municipio  
rifiutano di accogliere i nostri figli.

I rom criticano anche l’atteggiamento securitario con cui si sentono  
giudicati. “La società dei gage (i non rom, ndr) porta  
all’annullamento dell’identità ­ dice Bruno Morelli -. I problemi di  
microcriminalità esistono, ma sono legati alle condizioni di miseria  
dei campi e non alla cultura”. Morelli si è quindi appellato ai  
media, perché diano voce alle istanze di “una minoranza etnica e  
linguistica mai riconosciuta in Italia” e sostengano la lotta dei rom  
contro i campi, “rimasti soltanto in Italia”. Intanto  
l’amministrazione capitolina va in direzione opposta. Lo scorso 8  
luglio, sono infatti arrivati a Roma i cinque funzionari prestati  
dalle forze dell’ordine romene. Rimarranno per tre mesi, per favorire  
l’identificazione dei rom. (gdg)
  
© Copyright Redattore Sociale h 16.48 17/07/2007

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Da Liberazione del 5/05/2007, pag. 1 (segue a pag. 15) 
 
Caro Veltroni, perché vuoi  mandar via i Rom da Roma? 
 
Gennaro Loffredo* 
 
Caro signor Sindaco Veltroni, 
leggendo su Repubblica di ieri venerdì 4 maggio 2007, l'articolo di G. Vitale sul "Patto di legalità", 
forte mi è venuto il desiderio di scriverLe. Mai avrei pensato che un uomo così attento alle 
tematiche dell'accoglienza, dell'integrazione e dell'inclusione sociale, contro il razzismo, dagli alti 
proclami culturali, potesse un giorno arrivare a realizzare uno dei punti più "qualificanti" del 
programma elettorale di Gianfranco Fini di qualche anno fa, quando si propose come candidato 
Sindaco per il Comune di Roma: i rom fuori dal raccordo anulare. Sono molto deluso, signor 
Sindaco. La sento sempre più distante in questo secondo mandato. Distante da me, dalla mia 
famiglia, dalle mie idee di società, da quello che più volte Le ho sentito dire con convinzione. 
Almeno così mi pareva. Io, maestro elementare, ho cominciato la mia esperienza lavorativa 
occupandomi dell'alfabetizzazione dei bambini/e rom del campo di Tor dei Cenci che frequentavano 
le scuole di Spinaceto. Ho continuato ad occuparmi di rom, appassionandomi sempre di più, anche 
quando sono approdato alla mia attuale scuola, la "Ex-Tor Carbone", nel quartiere Roma 70. Ho 
seguito i bambini/e del campo di Vicolo Savini e diverse loro famiglie. Vicolo Savini aveva, è vero, 
una parvenza molto simile ad un lager - unica via d'accesso e perimetro in cemento armato e filo 
spinato -, era, nonostante gli sforzi anche economici ma mai risolutivi, degradato e sovraffollato; 
ma era dentro la città. Invisibile - poiché via della Vasca Navale è nascosta agli sguardi di chi 
passa su Ponte Marconi - ma dentro la città. I bambini/e, frequentando ormai da anni le nostre 
scuole, si andavano sempre più integrando nel tessuto sociale del nostro Municipio, tirandosi dietro 
anche le famiglie. Feste di quartiere, compleanni di amici/che "gagé", continue visite al campo da 
parte di alunni/e con i papà, le mamme, gli/le insegnanti, genitori rom che partecipavano sempre 
più alle riunioni tra genitori a scuola... Insomma, anni di lavoro che raccoglievano gradualmente i 
primi frutti. Il risultato del nostro lavoro a scuola, come Lei saprà, si vede a distanza di tempo. 
Intorno ai rom di Vicolo Savini si era sviluppato, grazie anche alle politiche messe in atto da attenti 
amministratori del Municipio Roma XI, un tessuto sociale accogliente e solidale.  
Certo non si può dire che era tutto oro quello che luccicava; ma, d'altra parte, anche nei grandi 
eventi di "Veltronia" l'oro è solo in superficie! Bene... Ho preso parte al processo che avrebbe 
dovuto portare al superamento di Vicolo Savini. Va ricordato che furono i rom stessi a lanciare la 
campagna "Ultimo inverno a Vicolo Savini" ed intorno ad essa si sviluppò, a partire dalle scuole, 
una rete territoriale molto ampia che arrivò all'interlocuzione con i livelli istituzionali competenti. 
Come ben ricorderà, signor Sindaco, i bambini/e della mia scuola e non solo, Le inviarono un 
migliaio di lettere chiedendoLe di aiutare i loro compagni/e di classe a trovare una sistemazione 
più consona alla dignità di un essere umano. Si avviò un vero processo di partecipazione all'interno 
del quale i rom furono realmente protagonisti, se protagonista si può definire chi nulla possiede e 
che col cappello in mano chiede. Incontri dopo incontri presso l'assessorato della Milano, coordinati 
dal Dottor Alvaro, abile tecnico ed ottimo stratega della pubblica amministrazione capitolina, alcuni 
ufficiali altri per pochi. Promesse, impegni, fotografie di moduli abitativi...Ecco la " terra promessa 
"...I rom abboccano, accettano di spostarsi sulla Pontina, fuori dal raccordo, ritenendo di aver 
avuto sufficienti garanzie. Espressi pubblicamente la mia contrarietà esplicitando le mie perplessità 
ma rispettando tuttavia la decisione presa dai rappresentanti della comunità rom. Quello che si era 
perso di vista, a mio parere, erano i desiderata degli uomini e delle donne rom. I sogni dei loro 
bambini e dei ragazzi. Desiderata che erano venuti fuori da un'indagine fatta "in profondità" su un 
campione volontario di abitanti del campo, attraverso colloqui individuali, con lo strumento di 
questionari preparati e somministrati da esperti dell'Arci e dell'Università Roma Tre. Dati pubblicati 
e presentati in una iniziativa pubblica presso il Campidoglio dove, guarda un po' Signor Sindaco, 
non partecipò nessuno della Sua amministrazione. Sono passati tre anni dallo spostamento del 
campo sulla Pontina. Il risultato? Sempre meno bambini/e vanno a scuola, non c'è ancora l'acqua 
potabile, nessun tipo di vita sociale fuori dal campo, il negozio alimentare cui rifornirsi più vicino è 
a dieci chilometri, etnie che avrebbero voluto vivere separate convivono, non è stato " preparato " 
un tessuto sociale atto ad accogliere e disponibile ad integrarsi con portatori di cultura e tradizioni 
diverse dalle nostre. Bel risultato signor Sindaco. I rom fuori dal raccordo anulare. Ci credo che 
Alemanno applaude a questa decisione presa con il Prefetto Serra. E' nel loro dna - della destra 
intendo - non nel Suo. Ma le mutazioni genetiche, si sa, sono cosa dei nostri tempi. E' difficile 
gestire tutte le contraddizioni che attraversano una metropoli quale è Roma. E capisco che è 
difficile amministrarla. Pur tuttavia ritengo che, per Sua storia e formazione, Lei non può farlo 
come chiunque altro/a. Usi pure i teatri per spettacolarizzare la politica, ma scenda anche più 
spesso tra la gente, ne assuma i bisogni e metta al centro della sua attività gli ultimi: Lei sa chi 
sono. E' vero che c'è bisogno di maggiore legalità ma non serve un patto; serve più educazione 
alla legalità e forse la scuola, se ci si investisse maggiormente, potrebbe assumere un ruolo 
centrale.  
 
*maestro elementare 

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LUNEDÌ 23 LUGLIO DALLE 18 ALLE 20 IN PIAZZA SCALA

INCONTRO CON I ROM DEI CAMPI DI MILANO

 

ROM E SICUREZZA: E’ QUESTO IL VERO PROBLEMA DI MILANO?

 

Un’emergenza si è abbattuta sulla città e la provincia di Milano: l’invasione dei rom. Per rispondere a questa calamità presunta le amministrazioni comunali provvedono a sgomberi senza né capo né coda perché non offrono alternative: uomini, donne e bambini vengono semplicemente abbandonati a se stessi costringendoli a cercare rifugi di fortuna in condizioni sempre più precarie.  
La scoperta che la sicurezza è un diritto dei cittadini e che la legge e la polizia devono intervenire per impedire sfruttamento e infrazioni del codice penale è la scoperta dell’acqua calda visto che la legge dovrebbe valere per tutti, rom e non rom. Ma soprattutto nasconde la cattiva coscienza di chi in questi anni ha lasciato crescere l’impunità in tutti i campi – dalle grandi speculazioni immobiliari all’evasione fiscale, alla mancata politica contro traffico e inquinamento -, costruendo le condizioni di una sensazione generale di insicurezza e frustrazione.
Una politica responsabile e degna di un Paese civile non insegue il malcontento e il pregiudizio ma costruisce le condizioni di diritti e doveri uguali per tutti per una convivenza pacifica, sicura e rispettosa delle diverse culture, sconfiggendo gli imprenditori della paura, le forze politiche più reazionarie e razziste, che su questo terreno costruiscono le loro fortune elettorali.
Il problema va affrontato su diversi piani, assumendo l’obiettivo della convivenza tra cittadini che fanno parte della stessa comunità con una visione più generale del complesso problema dell’immigrazione. Ma c’è un piano che va affrontato immediatamente ed è quello che riguarda, in questo momento, le condizioni di vita di queste persone, uomini donne e bambini che cercano, come tutti, un angolo di pace, di serenità e di sicurezza sociale e per i quali si prospetta una vera e propria emergenza umanitaria. 
Per il superamento della politica dei campi nomadi, che diventano ghetti e come tutti i ghetti possibile fonte di degrado umano e sociale
Per una moratoria sugli sgomberi nella città di Milano e in Provincia,
Per la costituzione di tavoli di concertazione reale del Comune, della Provincia, della Regione,
Per un investimento sistematico sulle comunità per sviluppare professionalità in ambiti "imprenditoriali" e formare figure come i mediatori culturali,
Per contrastare il "razzismo istituzionale" e il trattamento discriminatorio nella pubblica amministrazione e nei servizi, vere e proprie violazioni dei diritti umani

 

LUNEDÌ 23 LUGLIO DALLE 18 ALLE 20 IN PIAZZA SCALA
INCONTRO CON I ROM DEI CAMPI DI MILANO

 

Con testimonianze di Renato Sarti, Bebo Storti,
messaggi di Dario Fo e Moni Ovadia letti da Dijana Pavlovic,
più musica rom  e altro

Al prefetto di Milano

Al consiglio comunale di Milano

Alla società civile di Milano

 


Il consiglio comunale di Milano ha deciso a larga maggioranza con la sola opposizione di cinque consiglieri della minoranza, di sgomberare i campi nomadi abusivi. Immediatamente la giunta comunale ha proceduto a sgomberi a tappeto senza predisporre nessun tipo di soluzione per centinaia di rom rumeni che si trovano ora in condizioni disperate determinando gravi situazioni di tensione come è avvenuto al campo di via Triboniano o, come dopo l’incendio del campo di via S. Dionigi, lasciando senza più nulla oltre duecento persone.

Le conseguenze di questa scelta destano grandissime preoccupazioni. Questi sgomberi non offrono alternative: uomini, donne e bambini vengono semplicemente abbandonati a se stessi costringendoli a cercare rifugi di fortuna o, peggio ancora, a bivaccare nei parchi milanesi. Costretta a un nomadismo da tempo abbandonato perde le tracce di integrazione che si erano create - occasioni di lavoro, inserimento scolastico - una popolazione che ha lasciato il disastro della loro terra per cercare condizioni di vita e di lavoro dignitose nell’opulenta Lombardia e per questo sono disposti ad accettare condizioni che una società normalmente civile non dovrebbe consentire a nessuno.

Chi voleva, a parole, la sicurezza ora soffia sul fuoco 

genera una situazione di degrado umano e di conflitto;

legittima le azioni squadristiche contro i rom di leghisti e razzisti vari;

giustifica chi pensa che cittadini stranieri, persone e popoli abbiano meno diritti e più leggi speciali, secondo precedenti storici che hanno tragicamente segnato la storia umana;

infine abbandona a se stesse le molte associazioni e i volontari che  agiscono sul sociale e seguono i rom.

Noi crediamo che una politica responsabile e degna di un Paese civile non debba inseguire il malcontento, il disagio e anche il pregiudizio ma costruire le condizioni di diritti e doveri uguali per tutti per una convivenza pacifica e rispettosa delle diverse culture.

Per questo chiediamo alle autorità prima di tutto di sospendere questa scelta dissennata che porta solo tensione, che si trovino nell’immediato soluzioni che rispettino la dignità e la condizione umana dei rom, infine che le aree vengano svuotate solo dopo aver trovato soluzioni abitative adeguate per tutti, avviando una politica concordata anche con i rom di processi di inserimento reale nel mondo lavorativo e sociale. 


(Message over 64 KB, truncated)

(Intellettuali di lingua albanese riunitisi a Tetovo - nell'odierna FYROM - hanno fatto appello per la unificazione in un unico Stato dei territori popolati da genti di lingua albanese. Nelle intenzioni dei nazionalisti pan-albanesi, infatti, la secessione kosovara non è altro che il preambolo per la disgregazione anche degli altri Stati limitrofi...)


http://www.javno.com/en/world/clanak.php?id=61069

Javno.com (Croatia)
July 10, 2007

Fighting For Kosovo Independence With Guns

Albanian intellectuals called for the unification of
all Albanians. They see Kosovo's independence as the
precursor of a national union.

Albanian intellectuals from Macedonia, Albania and
Kosovo gathered over the weekend in Tetovo and are
advocating the unification of all Albanians.

The representative of the Macedonian assembly Fazli
Veliu announced that he and the members of the former
so-called National Liberation Army would help the
Kosovo Liberation Army (UCK) to fight for Kosovo
independence with weapons if necessary, reports the
Macedonian press on Tuesday.

Reporting on writings in the media in the Albanian
language in Macedonia about the gathering of the
Albanian intellectuals that took place last weekend,
the Skopje daily newspaper Vreme writes that they
called for the unification of Albanians from all
regions and assessed that Kosovo’s independence was
only the precursor of national unification.

On Tuesday, the Skopje daily newspaper Dnevnik
reported the statement made by Fazli Veliu,
representative of the opposition party Democratic
Union for Integration in Macedonia’s parliament and
president of the [National Liberation Army] veterans’
association ONA, which had started an armed conflict
with Macedonian defense forces in 2001, saying that,
along with the Kosovo UCK, he would fight for Kosovo’s
independence.

“If the resolution of the Kosovo issue keeps being
postponed,” Veliu threatened, “very soon, we will join
UCK soldiers, first at big protests in order to
internationalize the issue and then, if necessary, we
will win Kosovo’s independence with weapons.”

He thinks that he would have to gather all 10,000 ONA
members who fought in Macedonia in 2001, writes
Dnevnik. 


Source: R. Rozoff through http://groups.yahoo.com/group/stopnato



( Lettre ouverte à M. Pierre Moscovici, Vice-président du Parlement européen

par Jean-Michel BERARD, Chroniqueur au mensuel B.I. Balkans-Infos,

à lire ici: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5513 )



L’indipendenza del Kosovo consacrerebbe
  il più nero arbitrio e aprirebbe la via ai diversi separatismi

(Elaborazione e traduzioni di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova.

Ulteriori materiali e traduzioni curate da Curzio Bettio sulla problematica kosovara e pan-albanese saranno diffusi nel corso dei prossimi giorni attraverso questa lista JUGOINFO)

 
Lettera aperta al Signor Pierre Moscovici, 
Vice-presidente del Parlamento Europeo, 
inviata da Jean-Michel Berard, cronista del mensile B.I. Balkans-Infos
 
Il 28 e il 29 marzo 2007, il Parlamento Europeo ha approvato con 319 voti contro 268 la relazione presentata dal Signor  Joost Lagendijk sul futuro del Kosovo e il ruolo dell’Unione Europea.(1). Questa relazione rappresenta una proposta di risoluzione del Parlamento Europeo che convalida le conclusioni del Signor Martti Ahtisaari, Inviato Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per i negoziati sullo statuto finale della Provincia Serba. Il diplomatico Finlandese raccomanda caldamente per Pristina una forma di indipendenza a sovranità limitata. Gustatevi l’ossimoro... Il Signor Ioannis Kasoulides, eurodeputato Cipriota aderente al Partito Popolare Europeo, si è ribellato a questa originale nozione : «Un paese indipendente è interamente sovrano, oppure non è indipendente». Tutto questo si presterebbe al sorriso, se le 14 pagine della relazione, malgrado le loro affermazioni contrarie, (specialmente al paragrafo 3 p.5), non rappresentassero una violazione specifica, quasi ad ogni comma, della Carta delle Nazioni Unite relativa alla sovranità degli Stati, dell’Atto Finale di Helsinki del 1975 sull’intangibilità delle frontiere dei paesi europei, e della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 10 giugno 1999, che si rifaceva giustamente al Trattato di Helsinki per riaffermare la sovranità di Belgrado sul Kosovo e la conservazione delle sue frontiere.      
Ma gli eurodeputati Francesi hanno votato a favore di questo testo! Io fremo in anticipo per le conseguenze implicite che questo non mancherà di comportare. Bisogna accusare di ignoranza i nostri rappresentanti? No, Signor Moscovici, io non permetterò che ve ne usciate a così buon mercato. Voi, voi siete ben consapevoli!

La relazione inizia (paragrafo B, p.3) con il giustificare l’aggressione della Jugoslavia da parte della NATO, stravolgendo la cronologia degli avvenimenti per farli aderire alla propria tesi.  
L’Alleanza Atlantica sarebbe intervenuta per impedire una espulsione di massa di popolazioni civili. Questo non è esatto: voi scambiate le cause e le conseguenze. Prima del 23 marzo 1999 esistevano 2.000 persone profughe, e nel giro di qualche giorno, dopo l’inizio dei bombardamenti, un milione di Albanesi del Kosovo prese la via della fuga o fu espulso dalla Provincia dalle forze armate Serbe. 
Solamente cinque giorni prima dello scatenarsi della guerra, il 19 marzo 1999, una nota del Ministero per gli Affari Esteri Tedesco, classificata come «molto confidenziale», concludeva che la repressione Serba non era diretta contro gli Albanesi in quanto gruppo etnico, ma contro i membri dell’UCK e contro coloro che li sostenevano.(2) Questo cambia tutto: non si trattava più di purificazione etnica, ma di legittima difesa di uno Stato sovrano a fronte di una guerriglia separatista. Questa nota metteva giustamente in guardia contro un’iniziativa militare occidentale che rischiava di attirare rappresaglie contro la popolazione civile Albanese. Ed è stato precisamente questo ciò a cui si è arrivato. 
Le conseguenze, che il vostro relatore rifiuta ostinatamente di chiamare «guerra», furono 78 giorni di bombardamenti. Quindicimila tonnellate di bombe sganciate su tutto il paese, fra cui munizionamento all’Uranio Depleto pure proibito dalla Convenzione di Ginevra, vergogna flagrante rispetto alle vostre pretese umanitarie. La vostra non-guerra, violando la Carta dell’ONU, quella della NATO, la Convenzione di Vienna, di Ginevra, di Helsinki, e in via accessoria perfino la nostra Costituzione Francese, apriva nel contempo la strada all’unilateralismo, come viene praticato dagli Americani in Iraq. Gli stessi, che oggi denunciano questo, dimenticano per opportunismo di ricordarsi che loro sono stati i promotori zelanti del primitivo unilateralismo.
Voi trattate la Serbia come se al potere in questo Stato ci fosse sempre Slobodan Milosevic. Devo io ricordarvi che è stato deprivato del potere nell’ottobre 2000 e che poi è deceduto ? La Serbia è uno Stato perfettamente democratico, e, malgrado il marasma economico in cui si dibatte questo Stato, paria della vostra «comunità internazionale», per quel che concerne la sicurezza, si vive molto meglio a Belgrado che a Pristina. 
Dopo otto anni, il Kosovo è separato dalla Serbia e l’indomani radioso di plurietnismo, che voi ci avevate promesso, si fa ancora attendere. Che cos’è che vi permette di supporre che in questo territorio l’indipendenza produrrà quello che otto anni di protettorato ONU non sono riusciti a stabilire? Con la vostra « società tollerante e non segregazionista» (comma D, p.4) voi vi compiacete di parole, di un ottimismo forzato degno dell’era Brežnev. In Kosovo, la suddivisione etnica è una realtà. Che i Serbi, attualmente, abbiano una tale paura dell’indipendenza, a cui voi fate appello malgrado le vostre promesse, da esumare i loro morti e da trasportarli in ciò che resta della Serbia, per voi rimane un puro sogno! 
Dopo l’indipendenza, se voi arriverete ad impedire la secessione delle enclavi del nord della Provincia, per i Serbi otterrete al meglio delle riserve indiane, al peggio dei ghetti. Tenuto conto della Sua storia famigliare, come potete rendervi garante di tutto ciò?
   
Che ironia quella di strappare alla Serbia il 15% del suo territorio per farne uno Stato indipendente secondo criteri etnici, (il vostro famoso « 90% d’Albanesi e 10% di Serbi », formula che richiama alla mente il vergognoso abbandono dell’Europa dell’Est da parte di Churchill a Yalta), quando nel contempo vi state sfiancando per mantenere unitaria una Bosnia-Erzegovina che di multiculturale ha solo l’apparenza, dopo che le tre comunità che la compongono hanno votato per partiti nazionalisti e si voltano in modo ostentato le spalle!
Voi convalidate (commi E, F e G, p.4) le proposizioni di Martti Ahtisaari di indipendenza del Kosovo, rimettendo schiena contro schiena le due fazioni, le cui posizioni si sarebbero radicalizzate. Di fatto, voi penalizzate Belgrado per le pretese capricciose di Pristina. La Serbia ha proposto per il Kosovo « tutto, salvo l’indipendenza ». Quale paese d’Europa concederebbe una tale libertà d’azione ad una delle proprie regioni ? Le dichiarazioni radicali, voi potrete riscontrare che sono degli Albanesi del Kosovo, loro che non concepiscono null’altro che la secessione. Inoltre è il non rispetto della Risoluzione 1244 da parte della NATO e della Missione delle Nazioni Unite (la MINUK), particolarmente sul piano monetario, anche da parte dell’amministrazione controllata, e la carenza di vigilanza alle frontiere, che hanno mandato in frantumi i legami fra la capitale e la sua Provincia. Ora, come prendere a pretesto questa rottura per renderla definitiva? Come invocare (paragrafo J, p.4) la mancanza di fiducia fra le comunità e l’instabilità della situazione per proporre una fuga in avanti ? Soprattutto, quando un poco prima, (paragrafo I, p.4) voi ammettete che « le relazioni fra il Kosovo e la Serbia dovevano, essendosi venuta a creare una limitatezza di legami culturali, religiosi ed economici, essere rinforzate ». Che ragionamento assurdo ! Prima innalzate una frontiera fra la Provincia Serba e il resto del Paese, poi voi richiamate Pristina e Belgrado a rinforzare i loro legami al di sopra dei vostri reticolati!  

Il vostro relatore si felicita (paragrafo 8, p.6) della proposta  di Martti Ahtisaari che disegna «i contorni di una larga autonomia per le comunità Serbe e le altre, comportando un sostanziale grado di autonomia municipale». Traducendo, voi raccomandate l’indipendenza per la Provincia, e l’autonomia per le municipalità Serbe della Provincia. Estendere il frazionamento all’estremo, balcanizzare i Balcani, che bel programma! Vi si ritrova lo spirito della Commissione Badinter, quando, durante l’inverno 1991-1992, questa sfilza di apprendisti stregoni, non contenta di affrettarsi a siglare l’atto di morte di una Jugoslavia ancora viva, aprendo la strada all’indipendenza delle repubbliche separatiste di Slovenia e Croazia, ha esteso le sue elargizioni all’insieme delle repubbliche della Federazione, precipitando la Bosnia-Erzegovina nell’inferno che si sa.                
Signor Moscovici, state riservando la sorte della Bosnia alle disgraziate popolazioni del Kosovo? O meglio, è per la posizione strategica del Kosovo, la sola confessione sincera presente nella relazione   Lagendijk (paragrafo L, p.4), che voi desiderate prolungare il caos, pretesto ad una presenza militare Occidentale? Perché avete tanta urgenza (comma 1 p.5) di sotterrare la Risoluzione 1244 che ribadiva il diritto internazionale?
In uno strano spirito democratico, la relazione richiama i suoi desiderata (comma 4 , p.5) di un insediamento in Serbia di un governo filo Europeo. Bisogna essere ben cinici per meravigliarsi della percentuale di voto registrata dall’estrema destra nazionalista a Belgrado, perché ancora una volta questo è l’effetto specchio della vostra attitudine nei confronti del popolo Serbo: il disprezzo richiama il disprezzo. Quale altra scelta concedete ai Serbi, dei quali voi state mutilando il Paese? Dopo avere strappato alla Serbia il Kosovo, coccolerete la secessione degli Albanesi della vallata di Presevo, dei Musulmani del Sangiaccato di Novi Pazar, degli Ungheresi della Voïvodina ? Quando della Serbia non resterà altro che un riquadro per legumi, cosa credete che avverrà? Scaglierete ancora l’infamia sui Serbi che dissotterreranno i loro fucili per difendere i resti della loro casa comune?
   
Al comma 34, p.10, il Signor Lagendijk invita « i paesi confinanti a rispettare le frontiere esistenti». Bisogna che l’Europa paventi l’Anschluss del Kosovo e di una parte della Macedonia in favore dell’Albania, perché essa proibisca a questi paesi quello che lei stessa si autorizza da sola a fare: tagliare nel vivo di uno Stato sovrano, membro dell’ONU.                     
Signor Moscovici, immagini per un istante il medesimo scenario in Francia. 
La Bretagna, le Fiandre, l’Alsazia, i Paesi Baschi, l’Occitania, la Catalogna, la Corsica che reclamano una « indipendenza a sovranità limitata»... Impossibile ? E perché, dato che voi avete scoperchiato il vaso di Pandora ? Pensate voi di essere credibili nelle città-ghetto delle nostre periferie, quando voi in Francia sostenete la cittadinanza, mentre a Bruxelles agitate le bandiere delle etnie ? Bisogna scegliere: o la Repubblica, o il comunitarismo. Il secondo non è proprio solubile nella prima...   
Voi avete presente il proverbio della Romania : quando la casa del vicino va a fuoco, fa provvista di acqua. Che segnale inviate a questo membro dell’Unione Europea, che sedendo a Bruxelles dopo appena quattro mesi, assiste sbalordito nel consesso del Parlamento Europeo allo squartamento del suo vicino, quando Bucarest, con 1.620.000 cittadini di ceppo Ungherese concentrati in Transilvania, ospita anche nel suo interno un suo specifico Kosovo? Dato che voi mettete in pericolo il suo equilibrio, come potete stupirvi dei risultati prestigiosi del tribuno dell’estrema destra Corneliu Vadim Tudor, che intende « governare il paese con raffiche di mitraglia»? [Come potete stupirvi] Della crescita folgorante dell’euroscetticismo in questo paese, che tuttavia si è sottoposto a considerevoli sacrifici, dopo la caduta di Ceausescu, per riunirsi all’Europa? Dunque, non avete il timore di vedere la Romania prendere la deriva verso una nuova direzione « di anni di sconvolgimenti », di fasci e camice verdi? (3) Signor Moscovici , io leggo quotidianamente molti titoli della stampa Rumena. Dunque, conosco il vostro impegno personale per l’adesione di Bucarest all’UE. Voi conoscete la situazione e le paure che hanno prevalso a ragione del suo voto negativo alla relazione Lagendijk, a fianco della Grecia, della Bulgaria, di Cipro, della Slovacchia e della Spagna. Perché non avete avuto la bontà di rispondere alla proposta originale e costruttiva di Adrian Severin, eurodeputato Rumeno e socialista come voi?
Perché non tenete in alcun conto le doglianze di quei paesi che si oppongono al vostro piano?  Certamente che Atene e Bucarest sono alleati tradizionali di Belgrado. Ma lasciar credere che la Romania, la Bulgaria e la Grecia abbiano votato spinte da ragioni di buon vicinato con la Serbia è molto inadeguato e voi lo sapete. Cosa pensate che la minoranza Turca della Bulgaria (10% della popolazione), già di per sé abbastanza turbolenta, vada a fare attualmente? Andrete anche a macellare le frontiere Bulgare, quando le autorità di Sofia reprimeranno brutalmente le aspirazioni separatiste delle loro popolazioni turcofone? La prevedibile frattura della Macedonia, dove un abitante su tre è Albanese, non rischia forse di estendersi a macchia d’olio sul versante Greco? Atene non ha forse delle ragioni valide per contestare il vostro approccio al problema del Kosovo, Atene che ha sempre in memoria il doloroso evento traumatico noto come “disastro di Smirne”, quando nel 1922, 1.500.000 Greci dell’Asia Minore furono buttati a mare dai Turchi, che cancellavano così 2.500 anni di presenza ellenica nell’altro lato del Mare Egeo? 
E la sfortunata Cipro, che vive sotto la permanente minaccia di Ankara, che nega perfino la sua esistenza, conosce meglio di qualsiasi altro, dopo Nicosia, l’ultima capitale divisa d’Europa, ciò che significa la spartizione etnica di un paese. Perché dunque siete rimasti sorpresi che due eurodeputati Ciprioti abbiano preso la parola per opporsi con forza alla vostra relazione? Il loro intervento poteva essere considerato solo puramente chimerico?
Chimerico anche il comportamento della Slovacchia, lavorata al corpo dalla sua popolazione di origine Ungherese (10% della popolazione)? 
Chimerico, infine, il comportamento della Spagna, che mette in gioco la sua sopravvivenza per contrastare le inesorabili forze centrifughe che tentano di staccare poco a poco le sue Province, i Paesi Baschi, la Catalogna e l’Andalusia? 
Rendersi garanti dell’indipendenza del Kosovo, significa avvalorare la scelta delle armi. Vale a dire cedere alla legge del più forte, quella della jungla, la quale, lo sappiamo, non ha nulla a che vedere con il diritto. Voi pretendete che la vostra Europa sia una garanzia di pace per il futuro, ma sono dei temibili germi di guerra che la vostra Europa si accinge a seminare. 
Puntati gli occhi sul Kosovo, voi vi dimenticate che si tratta di una Provincia della Serbia, ed è al livello di questi paesi che bisogna esaminare chi è la maggioranza e chi la minoranza. I Serbi del Kosovo non sapranno mai essere una minoranza nel loro stesso Paese. Se si ragiona con il metro della Serbia, sono gli Albanesi, che si sono stabiliti principalmente in Kosovo, che con il loro 17% della popolazione nazionale costituiscono una minoranza. 

Il Kosovo, che lo si voglia o no, costituisce una delle più forti concentrazioni di arte medioevale religiosa al mondo. Per rendere meglio l’idea, prima della tragedia che ha insanguinato la regione, io ho potuto constatare con i miei occhi ciò che significa la presenza di 1370 santuari disseminati su un territorio tanto piccolo. Il nome ufficiale della Provincia, Kosovo e Metoja, sempre eluso nei nostri media, non è così per caso : Kosovo è il genitivo di Kos, una parola Serba che significa «merlo», e Metoja, che deriva dal greco Metohos, designa un territorio ricollegato ad un monastero. Alcuni di questi monasteri, come Gracanica o Decani, sono giudicati appartenenti al Patrimonio Mondiale dell’Umanità da parte dell’UNESCO. 
Dopo l’inizio del protettorato ONU, nel giugno 1999, più di un centinaio di edifici religiosi, di cui alcuni molto importanti, risalenti al XIII.esimo o al XIV.esimo secolo, sono stati ridotti in polvere da parte di estremisti Albanesi. Quando in Afghanistan, i Talebani hanno devastato con la dinamite i Budda di Bâmyân, assegnati  al Patrimonio Mondiale dell’Umanità da parte dell’UNESCO, il grido di indignazione e di collera è stato generale, per denunciare la barbarie e l’oscurantismo. Quando « i Talebani d’Europa » hanno devastato con la dinamite un monastero ortodosso del XIII.esimo secolo in Kosovo, il vostro silenzio è stato eloquente... Allora, consultate l’opera magnifica di Gojko Subotic, « Terra consacrata del Kosovo » (Edizioni Thalia, 2006). Aprite la pagina relativa alla chiesa della Madre-di-Dio di Ljevisa, a Prizren, datata XIV.esimo secolo. Ammirate bene le sue linee, i suoi affreschi di una emozionante bellezza. Restano solo quelle pagine dove potrete ancora ammirare tutto ciò. L’edificio è stato incendiato e distrutto dagli Albanesi in occasione degli « avvenimenti del marzo 2004 », così questi vengono designati pudicamente dal vostro relatore (comma C, p.4), troppo sconvolto per impiegare la parola giusta: pogroms. In questo stesso mese, il villaggio Serbo di Svinjare è stato sgomberato dei suoi abitanti, saccheggiato prima di essere completamente arso dagli Albanesi, sotto lo sguardo impassibile dei soldati Francesi della KFOR. 
Ed è a questa gente che voi auspicate accordare l’indipendenza! Senza dubbio, per incoraggiarli nei loro progressi democratici? 

Voi, che avete così duramente criticato il Presidente François Mitterrand per avere avuto frequentazioni  con René Bousquet, uno ben addentro nei meccanismi della Soluzione Finale, non vi siete proprio imbarazzato di fiancheggiare Agim Ceku, il quale, prima di diventare Primo Ministro del Kosovo, è stato un ex “barbouze” dell’esercito Croato, che si è messo in evidenza nella  Krajina per le sue atrocità, prima di comandare le bande di scorticatori dell’UCK e di essere messo sotto accusa per crimini di guerra commessi fra il 1995 e il 1999? Perché, malgrado la presenza di migliaia di soldati della KFOR, i rapimenti e gli assassinati sono moneta corrente in Kosovo, e i Serbi non sono le uniche vittime : ci sono anche i non-Albanesi, i Rom, gli Ebrei, i Gorani, gli Ashkali che vengono minacciati. (4)
Voi, che vi definite socialista, non siete imbarazzato di ritrovarvi nella indegnità interessata dell’Europa, che il grande Jaurès denunciava in circostanze simili più di un secolo fa ? (5) Non la imbarazza proprio il silenzio compiacente dei media occidentali ? 
   
Voi affermate : « La soluzione predisposta per il Kosovo non creerà un precedente nel diritto internazionale». Le circonvoluzioni dei paragrafi 6 p.6 e 2 p.11 sono altrettanti prodigi di acrobazie giuridiche. Si indovina l’imbarazzo del relatore, che sicuramente ha dovuto ripetere per molto tempo il suo numero da equilibrista, ma ecco, senza convinzione : tutti i vostri postulati non possono mascherare i fatti reali. Come procederete per impedire che questo non costituisca un precedente ? In nome di cosa rifiuterete agli Albanesi di  Macedonia (vale a dire al 30% della popolazione Macedone) quello che voi avete concesso agli Albanesi di Serbia (al 17% degli abitanti)? Cosa direte agli Ungheresi e ai Siculi di Transilvania che hanno moltiplicato, specialmente lo scorso anno, le azioni politiche aggressive, i referendum illegali sull’autonomia di un Territorio Siculo che copre circa tre Dipartimenti della Romania? Non capite proprio che la relazione Lagendijk va incontro al modo di sentire di questa gente, di costoro che propiziano dichiarazioni e manifestazioni di provocazione contro i simboli dello Stato, che sfoggiano bracciali neri in segno di lutto in occasione della festa nazionale della Romania, e che addestrano una milizia paramilitare nei Carpazi? 
Come vi comporterete davanti alla riconoscenza, sulla base del precedente Kosovaro, della Transnistria nei confronti del Cremlino, e di quale margine di manovra disporrà l’Europa per opporsi ad una presenza Russa dotata del più grande arsenale militare del nostro continente a Colbasna, in questa  enclave alle sue porte?
Il Kosovo è Serbo per più del 58% dal punto di vista catastale.(6) Questa è una realtà totalmente passata sotto silenzio dal rapporto di Joost Lagendijk. Come vi apprestate a gestire il diritto imprescrittibile alla proprietà privata (Articolo 17 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) con l’indipendenza di un Kosovo Albanese che spoglia i Serbi nella culla stessa della loro nazione? Voi avete appoggiato il ritorno degli Albanesi cacciati dalle loro case, ma la sorte dei non-Albanesi, dei Serbi, Rom, Ashkali, Ebrei, Gorani, che non hanno avuto altra scelta che la valigia o la bara, vi è indifferente. In otto anni, non avete fatto nulla per il loro ritorno. La vostra pretesa società multietnica porta soprattutto il marchio “multistandard” dei Dirittti dell’Uomo!      

Il voto sulla relazione Lagendijk al Parlamento Europeo è avvenuto in modo precipitoso, per il timore che venga messa in discussione. Il vostro stesso relatore ha dovuto riconoscere che due giorni prima Martti Ahtisaari aveva ottenuto l’appoggio del Segretario Generale dell’ONU rispetto al suo piano. Il mettersi al seguito e la fuga in avanti come linea politica, ecco non costituiscono passi gloriosi. Al contrario, il coraggio politico è saper affermare il proprio « no », quando tutti pedissequamente affermano il « sì », affermare le proprie convinzioni, soprattutto quando queste vanno in direzione contraria alle posizioni dominanti. 
La Vostra storia familiare vi collega alla città Rumena di Braïla, grande porto sul Danubio e patria di  Panaït Istrati. Si tratta di una eredità drammatica, dolorosa, che vi consegna una responsabilità particolare e supplementare. 
Voi siete un eurodeputato Francese, che dovrebbe affermare dall’emiciclo di Strasburgo i valori del nostro Paese, dove i cittadini sono uguali in diritti e doveri, qualsiasi siano le loro origini o la loro religione? Per caso, non sarete divenuto, per parafrasare Panaït Istrati, la campana stonata dell’idea europea, al punto da perdere tutto il senso critico, finanche sulla questione decisiva del Kosovo? In questo caso voi comprenderete facilmente che io respingo la relazione del Signor Joost Lagendijk con lo stesso disgusto e la stessa indignazione con cui rigetto la vostra Costituzione Europea. Quella che state per costruirci è l’Europa delle tribù, Signor Moscovici. La dittatura delle minoranze agitatrici. E io non la voglio, ne’ per me, ne’ per i miei figli.  
Per le nostre comodità occidentali, possiamo contentarci delle vostre decisioni irresponsabili adottate in nostro nome, come dire « che non c’è fumo senza fuoco », che il Kosovo è comunque perso per la Serbia e che, se il passato della Provincia è stato incontestabilmente Serbo e cristiano ortodosso, il suo presente è del tutto incontestabilmente Albanese e musulmano sunnita. 
In effetti, possiamo chiudere gli occhi sui pogroms anti Serbi, come quelli del marzo 2004, e sul saccheggio irrimediabile di un patrimonio artistico e religioso unico! 
O meglio, da uomini liberi – ma ne esistono ancora ?– possiamo ribadire che ciascun uomo che viene ammazzato per quello che é , è una parte della nostra stessa umanità che se ne va, che ogni chiesa che viene fatta saltare in aria con la dinamite nel cuore del nostro continente è una violenza arrecata alla nostra stessa chiesa.
Ora che si va a decidere lo stato giuridico finale del Kosovo, in questa direzione si rivolge tutto il senso del mio impegno. Avevo sperato – senza dubbio in modo tanto ingenuo – che questo fosse anche il vostro...

Jean-Michel Berard, cronista del mensile B.I. Balkans-Infos
 
 NOTE:                                                                                    

(1) Parlamento europeo, rapporto n° A6-0067/2007, disponibile sul sito Internet http//:www.europarl.europa.eu /

(2) Jürgen Elsässer, La RFA dans la guerre du Kosovo, chronique d’une manipulation – La Repubblica Federale Tedesca nella guerra del Kosovo, cronaca di una manipolazione -  Edizioni L’Harmattan, Paris, 2002, p.48 a 51

(3) Pierre Moscovici è il figlio di Serge Moscovici, nato nel 1925 a Braïla, in Romania. Nato da una famiglia di origine ebraica, fu espulso dal suo liceo a causa delle leggi antisemite, sfuggito per poco al pogrom di Bucarest nel gennaio 1941 scatenato dalla Guardia di Ferro, milizia fascista Rumena, in seguito fu costretto al lavoro forzato fino al 1944. Nel 1947, abbandonava la Romania per raggiungere Parigi, dove diventava, come si sa, il grande psicologo sociale. Serge Moscovici racconta questa ossidea nelle sue memorie, Chronique des années égarées – Cronaca di anni sperduti, Edizioni Stock, Parigi, 1997.

(4) Vedere l’eccellente documentario in DVD di Michel Collon e Vanessa Stojilkovic, Les damnés du Kosovo – I dannati del Kosovo, Bruxelles, 2000.

(5) Jean Jaurès, « Il faut sauver les Arméniens – Bisogna salvare gli Armeni », Edizioni Mille et Une Nuits, Paris, 2006. Discorsi dal 1896-1897.

(6) Ziua, (« Le Jour », quotidiano Rumeno di diffusione nazionale), « Le Kosovo, propriété des Serbes – Il Kosovo, proprietà dei Serbi »,  Bucarest, 8 gennaio 2007.


La Rete nazionale Disarmiamoli!
 


LO “SCUDO ANTIMISSILISTICO” USA/NATO INIZIA A FUNZIONARE

 

Rilanciamo la Petizione popolare in tutte le mobilitazioni del movimento nowar

 

Comunicato della Rete nazionale Disarmiamoli! 

 

La sospensione del trattato CFE per la riduzione degli armamenti convenzionali da parte della Russia è un segnale molto preoccupante. Dopo mesi di false trattative, nelle quali il cowboy d’oltre Oceano ha imposto una classica visione dei rapporti diplomatici intrisa del peggior colonialismo, la risposta del governo russo viene dipinta dai mass media occidentali come provocazione, sfida, scelta arrogante e simili.
Leggendo le cifre e i rapporti di forza sul campo, si scopre però che la Russia di oggi non ha neppure la quantità di armi convenzionali permessa da quegli accordi che oggi sospende. Senza spendere una parola in difesa di un sanguinario “capitano d’industria” qual è Vladimir Putin, appare evidente lo scopo dell’attuale campagna stampa.

 

Il nuovo clima da “guerra fredda” è determinato oggi dall’arroganza dell’amministrazione statunitense e NATO, impegnate in una offensiva politico militare di vasta scala, di cui il cosiddetto “scudo antimissilistico” è solo la punta avvelenata di un iceberg di guerra.
I missili  in Polonia, il radar repubblica ceca, il coinvolgimento diretto dell’Italia nel progetto con la ratifica di un trattato semiclandestino da parte del governo Prodi, sono parte integrante di una strategia aggressiva che segna profondamente l’Europa centro meridionale.
Il sostegno occidentale all’’indipendenza del Kosovo ( fuori e contro gli accordi di Kumanovo che formalizzarono lo sgretolamento della Jugoslavia dopo i bombardamenti “umanitari” nel 1999), le nuove basi USA/NATO in Romania, Bulgaria, Albania, Italia (Vicenza), i quotidiani massacri in Afghanistan ad opera della “nuova” NATO uscita dal vertice di Washington del 24 aprile 1999, l’ inserimento diretto di Israele nel sistema bellico Atlantico, sono i dati più evidenti dell’atttuale modello economico occidentale, nascosto sotto il manto ideologico della cosiddetta “guerra infinita”: il WARFARE.

 

L’Europa condivide ed affianca attivamente queste politiche di guerra. L’Italia di Prodi si è subito adeguata, a partire dall’incremento astronomico della spesa militare contenuto nella legge finanziaria.

 

Il movimento contro la guerra ha preso coscienza di questo scenario, iniziando un cammino di resistenza attiva a politiche belliciste bypartisan.
La lotta delle popolazioni vicentine è la punta di diamante di una ripresa complessiva della mobilitazione, come dimostrato con la grande manifestazione del 9 giugno a Roma.

 

Di fronte all’escalation in atto, gli strumenti di resistenza a queste politiche dovranno essere molteplici, permettendo al movimento di dispiegarsi sui territori con iniziative, campagne , mobilitazioni di vario tipo, legittimandolo agli occhi di una opinione pubblica quotidianamente bombardata dalle deformazioni di un altro potente strumento di guerra: il sistema massmediatico. Non sfugge a nessuno il silenzio tombale degli organi di stampa nazionali sul coinvolgimento diretto dell’Italia nel nuovo progetto bellico  statunitense, grazie alla firma di un misterioso accordo quadro USA / Italia da parte del governo Prodi.

 

La petizione popolare contro lo scudo antimissilistico si conferma come una importante campagna di massa, proposta da alcuni mesi al movimento in previsione degli attuali sviluppi del confronto Est Ovest.

 

Il dossier che accompagna la raccolta delle firme contro lo scudo è un formidabile strumento di controinformazione ed attivizzazione sui territori, che può rafforzare ed accompagnare le mobilitazioni contro la base al Dal Molin.

 

Sollecitiamo tutte le realtà di movimento, i singoli militanti nowar a usare questo strumento, scaricando i moduli dal sito di disarmiamoli ed usandoli nei banchetti e nelle mobilitazioni dei prossimi mesi.

La Rete nazionale Disarmiamoli!