Informazione

"TERRORE ROSSO"

Riportiamo, senza bisogno di alcun commento, l'articolo dell'agenzia
di regime italiana ANSA sull'ondata revanscista in atto nella "nuova
Serbia democratica" del dopo-Milosevic.
Si tratta di una riscrittura della storia di segno monarchico,
nazionalista-cetnico e fascista-collaborazionista, oggi in auge in
Serbia analogamente a quanto avviene in tutti i Balcani ed in tutti i
paesi dell'Europa "liberati" dal socialismo e dal comunismo (Italia
compresa: si pensi ai libri di Pansa o alla propaganda
neoirredentista sulle "foibe").
Riportiamo questo articolo come esempio emblematico di "giornalismo"
da Guerra Fredda fuori tempo massimo, con il suo carico di faziosità
anticomunista, omertà mafiosa sulla condizione della Jugoslavia
occupata dalle truppe di Mussolini ed Hitler, retorica grand-
guignolesca, e squisite menzogne secondo la lezione della propaganda
di guerra antijugoslava: quella propaganda che, dopo avere
accompagnato lo squartamento della RFSJ negli anni Novanta, continua
ancora oggi, violentissima, grazie allo zelante contributo di
professionisti del genere come Alessandro Logroscino. (AM)


SERBIA: DOPO 60 ANNI RIABILITATE VITTIME TERRORE ROSSO /ANSA

(di Alessandro Logroscino) (ANSA) - BELGRADO, 27 NOV - Si dischiudono
dopo 60 anni, in clamoroso ritardo persino rispetto alla
destalinizzazione sovietica, le porte della riabilitazione legale per
le prime vittime del terrore rosso jugoslavo in Serbia: scatenato
nella fase iniziale del regime di Tito, all'indomani della presa del
potere a Belgrado. Rese possibili da una legge varata appena 7 mesi
fa, le sentenze destinate a restituire onore postumo ad alcune delle
migliaia e migliaia di persone che caddero nella rete delle
repressioni politiche hanno cominciato a essere formalizzate in
questi giorni. In un clima di nuovi interessi storici, profonda
rivisitazione del passato - e talora di uso strumentale delle vicende
d'allora - che rompe comunque con decenni di censura. A richiamare
l'attenzione dei media contribuisce anche un anniversario che ricorre
proprio oggi: quello legato alla pubblicazione, il 27 novembre 1944,
della lista delle prime 105 persone giustiziate sommariamente dalle
forze partigiane titine subito dopo il loro ingresso a Belgrado. Una
decimazione di gruppo che coinvolse simpatizzanti veri o presunti
della resistenza nazional-monarchica serba dei cetnici (rivale negli
anni precedenti di quella comunista), ma pure intellettuali sgraditi,
figure genericamente sospette, bersagli di classe o vittime di
espropri, saccheggi e vendette pure e semplici. Un'avanguardia di
quella che sarebbe diventata nell'arco di un decennio una schiera di
morti dimenticati: liquidati a carrettate e sotterrate perlopiu' in
fosse comuni negli anni dell'ascesa e del consolidamento del potere
di Josip Broz, detto Tito. Quelli del rigore ideologico e della
spietatezza di regime, ancora lontani dalla rottura definitiva con
Stalin e dalla svolta che avrebbe fatto del maresciallo di Belgrado
l'icona di una sorta di socialismo dal volto umano. O quasi. In
totale, fra il 1944 e l'inizio degli anni '50, la mannaia del
bolscevismo in salsa jugoslava ''chiuse gli occhi per sempre a 65.000
persone nella sola Serbia'', spiega all'Ansa il professor Srdjan
Cvetkovic, docente di storia contemporanea all'Universita' di
Belgrado e autore di un libro fresco di stampa, 'Tra falce e
martello', dedicato alle repressioni di quell'epoca. ''Nello stesso
periodo altri 200.000 serbi finirono nei gulag di Tito'', aggiunge
Cvetkovic, ricordando poi tra gli episodi piu' sanguinosi quello
dell'eccidio di Dedinje: quartiere borghese per antonomasia di
Belgrado - divenuto nei decenni successivi rifugio di lusso della
nomenklatura comunista - dove in un sol giorno la polizia politica
catturo', condanno' sbrigativamente e stermino' piu' di 900 persone.
''Elementi ostili'', secondo il linguaggio rivoluzionario, ai quali
e' stato negato a lungo pure il diritto alla memoria. In una cappa di
silenzio mantenuta saldamente in vigore ancora nella stagione
dell'ultimo despota jugosocialista di Belgrado: quello Slobodan
Milosevic capace negli anni '90 di servirsi del nazionalismo serbo e
di sobillarne anche i lati piu' oscuri, ma senza mai mettere in
discussione i dogmi della vulgata storiografica rossa ne' i miti di
una nomenklatura da cui egli stesso pretendeva di trarre
legittimazione. A cambiare le cose e' intervenuta ora la legge del 25
aprile 2006, approvata dall'attuale parlamento serbo su impulso del
governo del premier Vojislav Kostunica, un nazional-moderato che non
nasconde le sue simpatie per le tradizioni della Serbia monarchica e
ortodossa. E con il consenso di quasi tutte le maggiori forze
politiche odierne, favorevoli - sia pure con accenti diversi - a un
atteggiamento di revisionismo storico. Ecco dunque le prime richieste
di riabilitazione, avanzate in questi mesi dai discendenti di 250
vittime del terrore di 60 anni or sono per cancellare il marchio
d'infamia lasciato in eredita' dai carnefici. Richieste che la corte
distrettuale incaricata di occuparsene ha cominciato a esaminare. Le
prime tre sentenze d'assoluzione post mortem sono arrivate questa
settimana. Tra i beneficiari c'e' Momcilo Nincic, bollato come
traditore per essere stato ministro degli esteri nel governo
monarchico in esilio a Londra durante l'occupazione nazi-fascista
della Jugoslavia. E Miljko Petrovic, un piccolo industriale del legno
di Cacak (Serbia centrale), internato come nemico di classe. Ma c'e'
anche una 'brava comunista', Kosovka Milosevic (niente a che vedere
con Slobo), gia' tenente dell'armata popolare partigiana, finita al
muro solo per aver denunciato nei primi anni '50 il malcontento
generale della popolazione della provincia del Kosovo, inquieta fin
d'allora. Olga Nincic, figlia novantenne di Momcilo, ha accolto
l'evento come ''la riparazione di un'ingiustizia''. E, per quanto
vedova di un convinto militante titino, si e' detta ''felice d'essere
sopravvissuta sino a questo giorno''. Altri, viceversa, attendono
ancora. Come Milica Veselinovic, figlia di Mihajlo Veselinovic, noto
industriale belgradese d'anteguerra ucciso a Dedinje. L'unica
consolazione - dice all'Ansa - e' d'aver potuto dare di recente ''una
sepoltura degna'' al genitore: dopo averne riesumato la salma dal
luogo in cui era stata celata, grazie alle confidenze ricevute 30
anni fa da un ex prigioniero di guerra italiano - ''della provincia
di Napoli'' - costretto a suo tempo dai boia a fare da becchino. Un
''benefattore'' mai identificato che la signora Milica spera ora di
poter ritrovare. Insieme con la redenzione giudiziaria del padre.
(ANSA). LR
27/11/2006 17:41

http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/20061127174134124114.html

(francais / italiano)

1) Ritorno sul luogo del delitto

2) Il delitto rimane impunito

Sui crimini commessi nel corso dei bombardamenti del 1999 si veda anche:

Sulle inchieste ed i procedimenti penali per quei crimini (tutti insabbiati):

In particolare, sul caso dell'assassinio di 16 lavoratori della RTS:

Sulle responsabilità specifiche di Massimo D'Alema, anche dal punto di vista della copertura "ideologica" in favore della aggressione contro la RF di Jugoslavia:


=== 1: Ritorno sul luogo del delitto ===

D'ALEMA A BELGRADO

(ANSA) - BELGRADO, 4 DIC - Il ministro degli Esteri Massimo D'Alema e' giunto stamani a Belgrado per una visita di alcune ore nel corso della quale incontrera' le massime autorita' serbe. Il titolare della Farnesina avra' colloqui con il presidente Boris Tadic, il primo ministro Vojislav Kostunica e col ministro degli Esteri Vuk Draskovic. Inoltre D'Alema inaugurera' Palazzo Italia, nuova sede dell' Istituto italiano di cultura. Nel pomeriggio il ministro degli Esteri proseguira' per Mosca. (ANSA). PST/FV
04/12/2006 09:53

D'ALEMA A BELGRADO, DA AMICO DOPO TRAGICO CONFLITTO DEL 1999

(ANSA) - BELGRADO, 4 dic - Una visita a Belgrado nel segno dell'''amicizia'' dopo il ''tragico conflitto'' del 1999 e quel momento ''molto doloroso'' che Massimo D'Alema visse da presidente del Consiglio. La visita di stamani nella capitale serba del ministro degli esteri non poteva non passare anche da un ricordo di quei giorni in cui la Nato intervenne contro la Serbia. ''Ho voluto ricordare perche' e' sempre giusto dire tutto'', ha confessato D'Alema al termine della visita a Belgrado, prima di ripartire per Mosca. ''Per me e' stato particolarmente emozionante essere qui - ha aggiunto - ormai dopo lunghi anni da quel tragico conflitto che fu un momento molto doloroso''. Il capo della diplomazia italiana ha sottolineato che la visita di oggi si e' svolta ''nel segno dell'amicizia e del sostegno dell'Italia a questo paese che si e' rimesso in cammino, ad una democrazia che si sta costruendo e ad un popolo che aspira a ricoprire un ruolo importante nel futuro dell'Europa''.(ANSA). PST
04/12/2006 14:02 

KOSOVO: D'ALEMA, NON UMILIARE SERBIA, RISPETTARE KOSOVARI

(ANSA) - BELGRADO, 4 dic - Una soluzione di ''compromesso'' sul Kosovo si potra' trovare, ma e' importante cercare una ''soluzione rispettosa delle aspettative della maggioranza dei cittadini kosovari, che non sia una umiliazione per la Serbia e che dia garanzie precise per le minoranze del Kosovo''. E' questa la formula possibile, secondo il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, per una soluzione alla questione del Kosovo, attesa nei prossimi mesi subito dopo le elezioni in Serbia previste per il 21 gennaio. D'Alema ha incontrato oggi a Belgrado le maggiori autorita' serbe, parlando dei vari aspetti dei rapporti bilaterali. Inevitabilmente, si e' parlato anche del cammino di Belgrado verso le istituzioni europee e internazionali, che l'Italia continua ad appoggiare, e delle prospettive future del Kosovo. ''Il consiglio che do' a tutti e' quello di non scavare trincee o erigere barricate'', ha detto D'Alema convinto che ''una soluzione'' si potra' trovare se non ci saranno ''assurde rigidita' ''. L'Italia, ha confermato il ministro degli Esteri, vuole dare il suo appoggio e il suo contributo all ''ricerca di un compromesso'' che richiedera' comunque, da tutte le parti, ''una certa flessibilita' ''.(ANSA). PST
04/12/2006 14:09 

SERBIA: IL RITORNO DI D'ALEMA, INAUGURATO PALAZZO ITALIA/ANSA

(di Alessandro Logroscino) (ANSA) - BELGRADO, 4 DIC - Un ritorno ''in pace'', nelle vesti di ministro degli esteri e vicepremier di un Paese riconosciuto come ''amico'' dalla Serbia del dopo Milosevic. E' con questa nota, a un tempo politica e personale, che Massimo D'Alema, presidente del Consiglio italiano all'epoca della guerra per il Kosovo e dei bombardamenti Nato del 1999, ha inaugurato oggi nel cuore di Belgrado - con al fianco l'attuale presidente serbo, l'europeista Boris Tadic - l'elegante sede di Palazzo Italia: complesso che riunisce le rappresentanze di aziende ed enti tricolore nel maggiore Paese ex jugoslavo. Ospitato in un edificio storico di fine anni '20, concesso dalle autorita' locali e ristrutturato su iniziativa del governo italiano, Palazzo Italia sorge di fronte ai resti di due spettri del passato: gli scheletri in macerie, mai rimosse, delle sedi della polizia e dello stato maggiore del vecchio regime. E D'Alema non ha evitato di farvi cenno, salutando l'apertura di una istituzione che vuole suggellare un rinnovato cammino di amicizia tra Roma e Belgrado, fatto di offerte di partnership economica, politica e culturale verso un Paese che - seppure in transizione - guarda oggi all'Europa. Ricordando il 1999, D'Alema ne ha parlato pubblicamente come della stagione piu' dura del suo impegno politico. Una stagione di ''divisione tra l'Italia e i Paesi della Nato da una parte e la Serbia dall'altra'', nel quadro di scelte che egli ha rivendicato come atti ''di responsabilita''' e che tuttavia furono ''difficili e dolorosi'' - ha riconosciuto - anche in termini di personale ''esperienza umana''. Qualcosa che e' ormai alle spalle, ma che sulla quale l' ospite italiano non ha voluto glissare, guadagnandosi il plauso dell'uditorio nel momento in cui ha infine sottolineato ''l'importanza di ritrovarsi in un momento di pace, di festa'' e di ''grande speranza nel progresso della Serbia''. Una speranza che Palazzo Italia - inaugurato ufficialmente da D'Alema e Tadic con un mostra (Pueritia) dedicata all'immagine dei fanciulli nella scultura dell'antica Roma - testimonia concretamente. Concentrando in un un luogo rappresentativo realta' economiche e istituzionali impegnate nella promozione dei rapporti commerciali, culturali e di cooperazione con Belgrado. A dimostrazione - ha sottolineato D'Alema - ''dell'amicizia che lega i nostri popoli e i nostri Paesi''. Sullo sfondo vi e' una dimensione di partnership che Tadic ha definito ''strategica'', elogiando ''il ruolo positivo'' dell'Italia a favore delle ambizioni di rilancio e di integrazione euroatlantica del suo Paese. Una partnership nutrita di crescenti relazioni economiche (l'Italia e' oggi il primo interlocutore commerciale europeo occidentale della Serbia), di solidarieta' (secondo Paese donatore dopo gli Usa), come pure ma anche di vicinanza politica. ''L'Italia - ha notato D'Alema - riconosce il ruolo fondamentale esercitato dalla Serbia in forza della sua storia e della sua cultura'' nei Balcani. Ed e' ''persuasa di dover rafforzare i legami di natura economica e culturali, gia' significativi tra i nostri due Paesi'', poiche' ambisce a favorire ''la pace, la stabilita' e la democrazia'' in questa regione limitrofa, dopo gli anni della violenza. ''Naturalmente spetta al popolo serbo decidere del suo cammino nei rapporti con l'Ue e con la Nato'', ha aggiunto il ministro degli esteri italiano, consapevole di quanto cruciali siano le elezioni politiche anticipate indette per il 21 gennaio prossimo. Ma ''i cittadini serbi - ha ripreso - devono sapere che se sceglieranno un cammino di dialogo troveranno nell'Italia un sicuro compagno di strada'': come gia' dimostrato dall'impegno profuso da Roma per la recente inclusione di Belgrado nei programmi Nato di partnership for peace e dalla proposta di ripresa dei negoziati di associazione e stabilizzazione con l'Ue, interrotti nel mesi scorsi a causa della mancata consegna alla giustizia internazionale degli ultimi ricercati per crimini di guerra dell'era Milosevic. Una promessa che la mostra inaugurale di Palazzo Italia suggella, presentando ai visitatori esempi di quelle che D'Alema ha definito ''radici culturali comuni''. In una suggestione di richiami al passato, ma anche a immagini dell'infanzia che - ha concluso il ministro degli esteri - simboleggiano il futuro e rappresentano dunque ''un messaggio di speranza''. (ANSA). LR
04/12/2006 16:02 

ITALIA 'RISTRUTTURA' IL DEBITO A SERBIA E MONTENEGRO

BELGRADO - L'Italia ha cancellato meta' del vecchio debito jugoslavo ereditato nei suoi confronti dalla Serbia e dal piccolo Montenegro e ha accordato una generosa ristrutturazione a lungo termine sulla meta' rimanente. L'ha suggellato un'intesa ad hoc, per un importo complessivo di circa 200 milioni di euro, formalizzata oggi a Belgrado.
L'Accordo di riduzione e ristrutturazione del debito e' stato firmato nella sede dell'ambasciata d'Italia dal sottosegretario agli Esteri Famiano Crucianelli per conto del governo di Roma, dal ministro delle relazioni economiche internazionali Milan Parivodic a nome della Serbia e dal ministro delle finanze Igor Lukic a nome del Montenegro: ultima repubblica ex jugoslava a essersi resa indipendente da Belgrado nel maggio scorso.
La cerimonia si e' svolta - come ha sottolineato l' ambasciatore Alessandro Merola - a margine dell'odierna visita a Belgrado del vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, ripartito dalla capitale serba verso Mosca qualche ora prima di Crucianelli, dopo incontri di vertice con l'omologo serbo Vuk Draskovic, il premier Vojislav Kostunica e il presidente della repubblica, Boris Tadic.
L'intesa prevede l'abbonamento di crediti commerciali per 96 milioni di euro (il 54% del totale) alla Serbia e la ristrutturazione della restante somma di 79 milioni di qui al 2041. Condizioni analoghe sono applicate al Montenegro per la propria quota del debito contratto a suo tempo dall'allora Repubblica Federale di Jugoslavia.
L'accordo e' stato definito nel quadro di quello multilaterale fissato nel dicembre 2001 in seno al Club di Parigi, in base al quale gli Stati creditori di Belgrado (tra cui l'Italia, che e' inserita al settimo posto per entita' delle somme prestate) si impegnavano a cancellare in totale 3,3 miliardi di dollari di debiti, su 4,5 miliardi complessivi, per favorire le riforme politiche ed economiche intraprese dai governi democratici del dopo-Milosevic.
''Si tratta di un documento dal profondo significato politico - ha spiegato Crucianelli all'Ansa -, che dimostra quanto importanti siano Serbia e Montenegro per l'Italia in una regione vicina come quella dei Balcani e quale amicizia ci leghi a questi Paesi''.
Il sottosegretario ha rilevato come da un punto di vista tecnico l'alleggerimento del debito ''contribuisca alla riduzione dell'indice di rischio'' dei due Paesi, abbattendo ''un elemento negativo per il commercio e gli investimenti''. Ma ha aggiunto che l'intesa odierna si pone sulla falsariga di una piu' vasta strategia dell'attenzione volta a favorire ''i processi di riforma economica e politica''. Una strategia che e' stata fra l'altro testimoniata di recente dall'intesa sulla facilitazione del regime dei visti tra Italia e Serbia, oltre che dall'impegno di Roma per l'inclusione di Serbia e Montenegro nei programmi di partnership for peace della Nato e per l'auspicata ripresa dei negoziati dell'Ue con Belgrado.
Sullo sfondo - ha concluso Crucianelli - c'e' la consapevolezza che ''i Balcani sono una priorita' per l'Italia'' e che la Serbia, in particolare, ''e' parte importante di questa regione''. Una realta' da non isolare.
04/12/2006 18:14 

D'ALEMA A BELGRADO, RITORNO DA AMICO DOPO TRAGEDIA '99 /ANSA

(dell'inviato Stefano Polli) (ANSA) - BELGRADO, 4 dic - ''Ho voluto ricordare, perche' e' sempre giusto dire tutto''. E' la fine di una mattinata veloce e intensa a Belgrado, carica di significati ed emozioni. Massimo D'Alema ha incontrato le massime autorita' serbe parlando della strada di Belgrado verso l' Europa e del futuro. Ma, adesso, per un attimo guarda al passato, all' intervento della Nato contro la Serbia di Slobodan Milosevic nel 1999 che lui visse da presidente del Consiglio di un paese in prima linea. Il ministro degli Esteri parla di un momento per lui ''difficile e doloroso'', che ha segnato il suo impegno politico e anche, confessa, la sua ''esperienza umana''. ''Per me e' particolarmente emozionante - racconta il capo della diplomazia italiana - essere qui, ormai dopo anni da quel tragico conflitto che fu un momento doloroso''. E quello di oggi e' un ritorno nel segno dell' ''amicizia'' e del ''sostegno'' che adesso l' Italia da' in maniera convinta a questo paese che ''si e' rimesso in cammino, ad una democrazia che si sta costruendo, ad un popolo che vuole esercitare un ruolo importante nel futuro dell' Europa''. D'Alema parla di tutto questo dopo una cerimonia simbolica dei rapporti stretti che oggi legano Roma e Belgrado. Il titolare della Farnesina ha partecipato alla cerimonia di ''Palazzo Italia'', un progetto con il quale vengono unificati gli uffici degli enti italiani presenti a Belgrado per creare uno spazio che possa offrire una visione piu' ampia dell' Italia di oggi. Il complesso sorge a qualche centinaio di metri dal vecchio ministero della Difesa serbo, che porta ancora intatti i segni dei bombardamenti della Nato. Ma quella di oggi e' una Serbia diversa e D'Alema lo ripete piu' volte dopo gli incontri avuti con le autorita' serbe: il presidente Boris Tadic, il primo ministro Vojislav Kostunica e il ministro degli Esteri, Vuk Draskovic. Di questa nuova Serbia l' Italia vuole continuare ad essere un partner strategico ed accompagnarla nel cammino dell' integrazione nell' Unione Europea e del sistema di sicurezza della Nato. Per questo l' Italia e' stata tra i paesi che al recente vertice della Nato a Riga ha insistito affinche' la Serbia venisse inclusa nella 'Partnership for peace' e intende chiedere la ripresa dei negoziati per un accordo di associazione e stabilizzazione con l' Unione Europea. Quest' ultima richiesta e' naturalmente subordinata alla collaborazione della Serbia con il Tribunale penale internazionale. La visita di D'Alema capita in un momento decisivo per la costruzione del futuro della nuova Serbia. Il 21 gennaio si terranno elezioni importanti e l' auspicio italiano e' che il risultato incoraggi ancora la prospettiva di un consolidamento democratico e dell' apertura verso l' Unione Europea. Subito dopo le elezioni si attende la presentazione del rapporto dell' Onu sullo status del Kosovo. Su quest' ultimo argomento D'Alema ritiene che alla fine ''una soluzione si potra' trovare'' se non ci saranno ''assurde rigidita' '' dettate da ''fattori simbolici''. I simboli non vanno sottovalutati, spiega il ministro, ma qui si parla di una provincia dove la gente deve e dovra' vivere. Per questo il consiglio rivolto a tutte le parti dal ministro degli Esteri e' quello di ''non scavare trincee o erigere barricate'' e cercare una ''soluzione rispettosa'' delle aspettative della maggioranza dei cittadini kosovari ma che al tempo stesso ''non sia una umiliazione per la Serbia e dia garanzie precise per le minoranze in Kosovo''. Si tratta di una situazione ''molto complessa'', riconosce D'Alema, che richiedera' ''una certa flessibilita' ''. In questa situazione difficile l' Italia vuole dare il suo contributo. ''Saremo partecipi e non spettatori'', assicura D'Alema, ricordando la presenza militare italiana nella regione, nelle file dell' Onu, e il fatto che Roma dal primo gennaio sara' membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. D'Alema riparte da Belgrado confortato dalle parole del presidente Tadic, il quale ha riconosciuto che per Belgrado fare i conti con il passato, comprese le atroci vicende dei crimini di guerra, non e' un'imposizione ma una necessita'.(ANSA). PST/ARS
04/12/2006 19:11 

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Notizie Radio Serbia, 4.12.06

Il presidente della Serbia, Boris Tadić e il vicepresidente del Governo italiano, il ministro degli esteri Massimo D’Alema, si sono accordati durante l’incontro a Belgrado che tutte due le parti si adoperano che per il futuro status del Kosovo sia trovata una soluzione compromissoria e tenibile. Tadić ha espresso il ringraziamento del forte appoggio procurato dall’Italia al ricevimento della Serbia nella Partnership per la pace, nonché del costante appoggio procurato nel cornice dell’Unione europea, particolarmente per il continuo delle trattative sulla stabilizzazione ed adesione. Due esponenti hanno constato che la collaborazione economica fra i due paesi è in grande salita e che l’Italia sta diventando il più importante partner del commercio estero della Serbia. Nel contempo, Tadić ha espresso il ringraziamento della decisione dell’Italia di annullare 96 milioni di euro del debito della Serbia nel giro del Club parigino di creditori.

(...)

I ministri degli esteri dell’Italia e della Serbia, Massimo D'Alema e Vuk Drašković, si sono accordati a Belgrado che il ricevimento della Serbia nella Partnership per la pace indubbiamente si rifletterà positivamente sulla stabilità, sicurezza e il progresso economico non soltanto della Serbia ma anche della regione di Balcani occidentali. Come ha comunicato il Ministero degli esteri della Serbia due ministri hanno espresso la convinzione che questo sarà uno stimolo alla Serbia per fare il massimo per rendere possibile il continuo delle trattative con l’Unione europea sull’Accordo della stabilizzazione ed adesione. Drašković, durante il colloquio si è adoperato fortemente per la preservazione dell’integrità territoriale della Serbia, come una condizione fondamentale per il tenibile status futuro del Kosovo, basato sul Documento delle Nazioni Unite, viene sottolineato nel comunicato.

http://www.radioyu.org/


=== 2: Il delitto rimane impunito ===

(francais / italiano)

SERBIA: ATTACCO NATO A TV, CORTE STRASBURGO SU CASO ITALIA

(ANSA) - BRUXELLES, 11 DIC - E' fissata per giovedi' prossimo, 14 dicembre, la seduta della Corte europea dei diritti dell'uomo che si pronuncera' sulla responsabilita' dell'Italia nel 1999 per la morte in Serbia di 16 persone, vittime di un bombardamento della Nato alla radiotelevisione di stato Rts di Belgrado. I parenti delle vittime avevano presentato ricorso a Strasburgo contro 17 Paesi aderenti all'Alleanza atlantica, tra cui l'Italia. Nella denuncia, l'Italia e' accusata di aver violato l'articolo della convenzione dei diritti umani che sancisce il diritto alla vita, ma anche quello relativo ad un equo processo. Secondo i ricorrenti, l'impegno dell'Italia nelle operazioni in Kosovo e' stato ''piu' ampio'' di quello di altri Paesi membri della Nato, visto il sostegno politico e logistico come l'utilizzazione delle basi aeree italiane per velivoli che poi hanno bombardato Belgrado e la Rts. (ANSA). PUC
11/12/2006 18:49

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Envoyé par : "Georges Berghezan" 

Vendredi 15. Décembre 2006  13:35

Plainte contre Rome rejetée

STRASBOURG, (Reuters, 14 décembre) - Les familles de cinq des victimes du bombardement de la radio-télévision serbe par les forces de l'Otan en avril 1999 ont été déboutées jeudi par la Cour européenne des droits de l'homme de leur plainte contre l'Italie.
Les requérants avaient engagé en vain une action en dommages et intérêts devant les tribunaux romains en raison, selon eux, du soutien logistique et politique majeur apporté par l'Italie à l'intervention des forces alliées lors de la guerre du Kosovo.
En 2001, la Cour européenne des droits de l'homme avait déjà rejeté une requête introduite, par d'autres familles des victimes de ce même bombardement, contre les 17 pays européens ayant pris part aux opérations de l'Otan.
Les juges de Strasbourg avaient estimé que les requérants ne relevaient pas de leur juridiction dans la mesure où les faits s'étaient déroulés sur le territoire d'un Etat qui n'était pas membre, à l'époque, du Conseil de l'Europe. 


Commentaire : la Cour européenne prend prétexte de l'exclusion de la Yougoslavie du Conseil de l'Europe pour débouter les victimes yougoslaves de l'OTAN ; pourtant, de nombreux Yougoslaves accusés de crimes de guerre croupissent dans les geoles du Tribunal de La Haye, créé par le Conseil de sécurité de l'ONU, alors que la Yougoslavie avait également été exclue de l'ONU. Logique ?!?
GB


Liste gérée par des membres du Comité de Surveillance OTAN.

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SERBIA: ATTACCO NATO A TV; CORTE, ITALIA NON VIOLATO DIRITTI

(ANSA) - BRUXELLES, 14 DIC - L'Italia non ha violato la Convenzione sui diritti dell'uomo: e' quanto ha stabilito oggi la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo che si e' pronunciata su una denuncia presentata dai parenti delle vittime in seguito alla morte in Serbia nel 1999 di 16 persone, vittime di un bombardamento della Nato sulla radiotelevisione di stato Rts di Belgrado. I ricorrenti lamentavano la violazione dell'articolo della convenzione dei diritti umani che sancisce il diritto alla vita, ma anche quello relativo ad un equo processo. L'impegno dell'Italia nelle operazioni in Kosovo, a loro avviso, sarebbe stato ''piu' ampio'' di quello di altri Paesi membri della Nato, visto il sostegno politico e logistico come l'utilizzazione delle basi aeree italiane per velivoli che poi hanno bombardato Belgrado e la Rts. Oggi i giudici di Strasburgo, a maggioranza (dieci contro sette), hanno pero' ritenuto che non ci sia stata alcuna violazione della Convenzione. (ANSA). PUC
14/12/2006 18:45




(francais / italiano)

CHI SCRIVE ARTICOLI CONTRO FIDEL CASTRO DIVENTA RICCO


È il caso ad esempio del pennivendolo Carlos Alberto Montaner, che
vive a Madrid, che ogni settimana vende a 60 redazioni mondiali un
commento anticubano a 100 euro per ogni redazione come minimo (anche
alla italiana La Repubblica), per un totale settimanale di almeno
6.000 euro, cioè almeno 24.000 euro al mese, cioè almeno 50 milioni
di vecchie lire al mese, cioè come minimo mezzo miliardo di vecchie
lire all'anno...

Questo è l'indirizzo della agenzia giornalistica statunitense (di
proprietà della Cia) che distribuisce gli articoli anticubani di
Montaner:

"Firmas Press"
2333 Brickell Ave., Suite H-1
Miami, Florida, Usa FL 33129
Fax: (305) 858-0084
E-mail: fpresscorp@...
URL: www.firmaspress.com


Fonti:
http://www.firmaspress.com/690.htm
http://www.firmaspress.com/nos.htm
http://www.firmaspress.com/665.htm
http://www.firmaspress.com/Cubanos/index.htm


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Médiamensonge par omission

par MICHEL COLLON

Comment nous (dés)informe-t-on ? Je viens d'en faire une expérience
personnelle très concrète.
La semaine passée, je me trouvais à Cuba. Pour son 80ème
anniversaire, Fidel a recu un soutien impressionnant. Plusieurs chefs
d'Etat latinos: Evo Morales, Ortega, Preval, etc. Plus de mille
intellectuels venus du monde entier. Dont le célèbre écrivain Gabriel
Garcia Marquez. Les plus grands chanteurs et musiciens d'Amérique
Latine avaient tenu à participer à un mega-concert (six heures). En
clôture, grand défilé militaire pour le 50ème anniversaire du
débarquement des guérilleros sur l'île et pour marquer le coup face
aux menaces de Bush. Avec plus de trois cent mille habitants de la
capitale et toutes sortes de petits calicots personnels...

Voici les images que la TV cubaine a présentées sur ce défilé :
1. Discours de Raul Castro
2. Morales, Ortega, Preval etc...
3. Garcia Marquez et nombreux intellectuels étrangers
4. Chars
5. Soldats
6. 300.000 habitants de La Havane.

Le soir même, voici ce qu'a montré la chaîne francophone TV5 Monde :
1. Discours de Raul Castro
2. Chars
3. Soldats.

Eliminés ? 1. Le soutien des autres dirigeants latinos. 2. Celui des
intellectuels. 3. La population civile.
Que vise une présentation aussi tronquée ? A imposer l'image d'un
régime isolé et militariste. Donc dangereux. Ca s'appelle manipuler
l'opinion. Ca s'appelle propagande de guerre. Bush a dû adorer.

Bien souvent, l'important n'est pas ce que les médias montrent mais
ce qu'ils dissimulent. Toujours se demander : «Qu'ont-ils caché ?»


Nombreux articles sur Cuba à : http://www.michelcollon.info/
Nouveau : Fidel, Cuba et les USA
http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2006-12-15%
2022:34:39&log=invites

http://www.voltairenet.org/article144364.html

Agences, radios et télévisions

La stratégie médiatique états-unienne 1945-2005

par René Naba

Depuis la fin de la Seconde Guerre mondiale, les États-Unis ont
déployé un système sans précédent de propagande. À travers des
structures comme le Congrès pour la liberté de la culture, ils ont
corrompu les élites intellectuelles occidentales. Puis,
instrumentalisant la liberté de l'information, ils ont noyé le monde
sous leur point de vue unique, grâce à de puissantes agences de presse
et à un gigantesque maillage de radios profanes et religieuses, ainsi
que le révèle René Naba dans son dernier livre, Aux origines de la
tragédie arabe, dont nous reproduisons un extrait.

14 décembre 2006


Du bon usage des principes universels

Les grands principes universalistes découlent rarement de
considérations altruistes. Ils répondent davantage à des impératifs
matériels. Il a en a été ainsi du principe de la liberté de la
navigation brandie par l'Angleterre au XVIIe et XVIIIe siècles pour
assurer sa suprématie maritime et partant son hégémonie commerciale à
l'ensemble de la planète. Il en a été de même du mot d'ordre de
libre-échange décrété par les pays occidentaux au XIXe et XXe siècles
pour contraindre la Chine à écouler les marchandises occidentales sur
son marché intérieur au nom de la « politique de la porte ouverte ».
Il en sera de même du « principe de la liberté d'information »
fermement défendu par les États-Unis, au lendemain de la Deuxième
Guerre mondiale pour assoir leur suprématie idéologique dans les
quatre domaines qui conditionnent la puissance : politique, militaire,
économique et culturel.

Dansleur bataille idéologique pour la conquête de l'imaginaire des
peuples, gage essentiel de la pérennité d'une nation, les États-Unis
développent un argumentaire reposant sur une double articulation, un
argument intellectuel, le principe de la liberté de la circulation de
l'information et des ressources, un argument pratique, le fait que les
États-Unis soient la seule grande démocratie au monde à ne disposer ni
d'un ministère de la culture, ni d'un ministère de la communication,
preuve irréfutable, selon eux, d'un régime de liberté.

Présenté comme l'antidote absolu au fascisme et au totalitarisme, le
principe de la liberté de l'information, constitue un des grands
dogmes de la politique états-unienne de l'après-guerre, son principal
thème de propagande. C'est une formidable machine de guerre qui répond
à un double objectif. Briser, d'une part, le cartel européen de
l'information, principalement le monopole britannique des câbles
transocéaniques qui assure —via Cable and Wireless— la cohésion de
l'Empire et confère une position de prépondérance à l'agence
britannique d'information Reuter's, accessoirement la prééminence de
l'Agence française Havas, la future Agence France Presse (AFP) en
Amérique latine, zone d'intérêt prioritaire des États-Unis.

Neutraliser, d'autre part, toute critique par l'élimination de toute
concurrence européenne qui pourrait présenter les États-Unis en termes
peu flatteurs aux lecteurs, l'image dévalorisée de l'Américain cow-boy
mâcheur de chewing gum, ou plus grave la ségrégation raciale et les
lynchages du Klu Klux Klan ou encore le grand banditisme de l'époque
de la prohibition. Sous une liberté apparente perçait déjà le
contrôle. Toute une littérature va théoriser ce principe de liberté de
l'information et donner un habillage moral à une politique d'expansion
[1].

L'un des plus éloquents théoriciens en la matière sera William Benton,
ancien sous-secrétaire d'État du président démocrate Franklin
Roosevelt, promoteur du « New Deal ». Benton qui présidera la
prestigieuse publication Encyclopaedia Britannica, dès la fin de la
Deuxième Guerre mondiale, invitera les États-Unis à « faire tout ce
qui est en leur pouvoir » pour briser les barrières artificielles qui
s'opposent à l'expansion des agences américaines privées, des
magazines, des films et autres moyens de communication.

La liberté de la presse et la liberté de l'échange de l'information
font partie intégrante de la politique étrangère états-unienne,
soutient-il estimant que le contrôle mondial des communications
favorise les débouchés d'exportation [2]. Sous les grands principes
percent déjà des objectifs matériels.

Quant à l'argument pratique, l'absence de structure ad hoc de
propagande, le fait est fondé, mais doit être nuancé. Certes il n'y a
ni ministère de la culture ni ministère de la communication dans le
gouvernement des États-Unis, mais, dans cette bataille idéologique,
les États-Unis pratiquent, non l'attaque frontale mais l'entrisme, une
stratégie de contournement périphérique, une diplomatie multilatérale
instrumentalisant les organisations internationales à vocation
universelle ou spécifique, doublée d'une diplomatie parallèle de ses
agences spécialisées : la CIA (agence centrale du renseignement) et
les Fondations philanthropiques pour le blanchiment des fonds [3].

Que ce soit l'ONU, L'UNESCO, le Conseil économique et social de l'ONU
ou l'Organisation interaméricaine, toutes auront inscrit dans leur
charte « le principe de la liberté de l'information ». Toutes, peu ou
prou, auront fait office de tribune pour la propagation de la doctrine
états-unienne de la libre circulation de l'information. Qu'on en juge.
La chronologie suffit à fonder cette affirmation. En septembre 1944,
le Congrès des États-Unis officialise cette politique par une motion
proclamant « le droit mondial à l'information pour les agences qui
recueillent et font circuler l'information, sans discrimination », un
droit qui sera protégé par le Droit international public.

Cinq mois après la motion du Congrès, la Conférence interaméricaine de
Mexico adopte à son tour une résolution sur le libre accès à
l'information (février 1945), suivie quatre mois plus tard de la
Conférence de San Francisco portant création de l'ONU (juin 1945),
puis du Conseil économique et social de l'ONU qui inclue la résolution
dans sa charte en février 1946. Puis, le principe de la liberté de
l'information reçoit une consécration officielle lors de la première
session de la conférence générale de l'UNESCO à Paris (novembre 1946),
suivi un mois plus tard par l'Assemblée générale de l'ONU qui proclame
« La liberté de l'information, droit humain fondamental, impliquant le
droit de rassembler, de transmettre et de publier des nouvelles
partout sans entraves » (14 décembre 1946). Le temps n'est pas encore
au journalisme embedded, ombiliqué à l'armée, imbriqué aux sources de
l'administration, pratiqué lors de l'invasion anglo-saxonne de l'Irak
en 2003, pour des raisons de « sécurité nationale ».

En deux ans, la structure de la diplomatie multilatérale de
l'après-guerre est verrouillée par ce principe. Les États-Unis
réussissent à le faire figurer dans la charte des cinq grandes
organisations internationales (ONU, UNESCO, ECOSOC (Conseil Economique
et Social), Organisation interaméricaine et l'Assemblée générale de
l'ONU). L'ONU compte à l'époque cinquante cinq membres, le quart du
nombre actuel avec une majorité automatique pro-occidentale composée
de pays européens et latino-américains sous la férule états-unienne.
Tous les grands États du tiers-monde en sont absents. La Chine
continentale est boycottée au profit de Taiwan, l'Inde et le Pakistan,
les deux nouvelles puissance nucléaires d'Asie sont sous domination
anglaise de même que le Nigeria et l'Afrique du Sud, les deux géants
de l'Afrique, nouveaux candidats au titre de membres permanents du
Conseil de sécurité des Nations Unies, tandis que le Maghreb et
l'Afrique occidentale se trouvent, eux, sous contrôle français.

Les États-Unis, qui disposent pendant une quinzaine d'années d'une
majorité automatique, ne la dénigrent que lorsqu'elle rejoint le camp
adverse, le bloc neutraliste soutenu par le camp soviétique. Elle
refuse en conséquence de verser sa cotisation pendant une dizaine
d'années.


Le déploiement sur le théâtre euro-méditerranéen

Ce corpus doctrinal est animé par le Congrès pour la liberté et la
culture doublé sur le terrain d'une structure d'appoint de propagation
thématique en application d'une stratégie de maillage planétaire dite
de « global connexion » constitué d'un réseau enchevêtré de radios
profanes, de radios religieuses et de publications périodiques animées
par des prestigieuses personnalités sur les principaux théâtres de la
confrontation Est-Ouest, avec un ciblage particulier sur l'ensemble arabe


Le Congrès pour la liberté et la culture (1950-1967)

Fer de lance de la guerre idéologique anti-soviétique, le Congrès est
constitué d'un rassemblement hétéroclite de transfuges du bloc
soviétique, d'intellectuels occidentaux, anciens compagnons de route
du Parti communiste ou de simples intellectuels épris de
reconnaissance sociale ou de bien être matériel [4]. Sa propagande
vise tout autant à dénoncer le matérialisme marxiste qu'à sensibiliser
les esprits, sur le plan du conflit du Proche-Orient, à un arrimage
d'Israël au système d'alliance du monde occidental.

Ponctionnant 5 % du budget du Plan Marshall, soit près de 200 millions
de dollars par an, le Congrès finance la publication de dizaines
d'ouvrages au succès retentissant notamment New Class, une étude sur
l'oligarchie yougoslave réalisée par le dissident anti-Tito et Docteur
Jivago de l'écrivain russe Boris Pasternak ou encore L'Art de la
Conjecture du royaliste français Bertrand de Jouvenel.

Parmi les principaux animateurs du Congrès figuraient ainsi Sol
Lovitas, ancien collaborateur de Léon Trotski, le fondateur de l'Armée
Rouge, désormais recyclé à la tête de l'influente revue Partisan
Review, Nicolas Nabokov, fils du musicien Vladimir Nabokov ainsi que
de l'écrivain Arthur Koestler, dont la CIA assure la promotion de son
livre-culte Le Zéro et l'Infini achetant en sous main plusieurs
dizaines de milliers d'exemplaires pour en faire un succès de
librairie avec les retombées éditoriales inhérentes. Ce qui fait la
gloire de cet ancien communiste hongrois, ancien kibboutznik israélien
qui se suicide à Londres, point ultime de son parcours cahoteux.

Le Congrès complète son travail de pénétration par un maillage
éditorial sur tous les continents, finançant l'édition de quinze
publications aux avants postes de la Guerre froide. En France, le
Congrès bénéficie notamment du relais de deux institutions : Force
ouvrière (FO), la formation syndicale dissidente de la CGT
(Confédération générale du travail), la principale centrale ouvrière
communiste française de l'époque, et l'équipe du journal conservateur
Le Figaro autour de Pierre Brisson, ami du sociologue Raymond Aron [5]
et de Nicolas Nabokov ainsi que du concours d'André Malraux, ancien
ministre de la culture de Charles de Gaulle.

Annie Kriegel, éditorialiste du Figaro, passe ainsi de
l'ultra-stalinisme à l'ultra-sionisme sans le moindre sas de
décompression, trouvant dans ce quotidien une tribune appropriée à ses
nouvelles diatribes anticommunistes, à la mesure des panégyriques
passés en faveur de la « Patrie des travailleurs ». Épousant un
cheminement intellectuel analogue, son neveu par alliance, Alexandre
Adler, lui succède trente ans plus tard dans cette même fonction
tribunicienne au sein de ce même journal, fustigeant à longueur de
colonnes le nouvel ennemi public universel le « fascisme vert », que
son collègue éditorialiste Yvan Rioufol désigne par le terme
stigmatisant de « nazislamisme » [6]

Outre Annie Kriegel, deux autres personnalités se sont distinguées
dans ce dispositif pendant un demi-siècle par leur rôle prescripteur
de l'opinion occidentale particulièrement à l'égard du conflit
israélo-arabe et de la question palestinienne : Walter Laqueur et
Claire Sterling [7]. Natif de Pologne, en 1921 à Breslau (Wroclaw
actuellement), naturalisé anglais, collaborateur de la revue
Commentary et de The Public Interest fondé par son ami Irwing
Kristoll, père de William Kristoll junior, un des théoriciens du
néo-conservatisme de l'administration George Bush Jr. lors de la
guerre d'Irak (2003) et de « la destinée manifeste des Etats-Unis »,
Walter Laqueur représente à Tel-Aviv pendant toute la durée des 17 ans
de son fonctionnement le Congrès pour la liberté et la culture. Il
contribue largement à cimenter un partenariat stratégique entre Israël
et le « Monde libre », notamment les États-Unis et l'Europe
occidentale à travers une série d'ouvrages répercutés par l'ensemble
du réseau des quinze publications du Congrès sur tous les continents.
En Europe, notamment à Berlin et Vienne, les deux lieux de transit
privilégiés du monde interlope des transfuges, des exfiltrés et des
agents double, à Rome, siège du parti communiste le plus important
d'Europe occidentale, le Parti communiste italien animé par des
dirigeants de légende tels Palmiro Togliatti et Enrico Berlinguer,
ainsi qu'à Beyrouth, traditionnelle caisse de résonance des
turbulences arabes, via une publication en langue arabe Al-Hiwar (Le
Dialogue) qui assure la propagation des thèses du Congrès à
destination de l'ensemble arabo-musulman.

Auteur de plusieurs ouvrages notamment La Génération Exodus , Mourir
pour Jérusalem, « La Tentation neutraliste, Walter Laqueur co-préside,
à 85 ans, le Conseil de la recherche internationale rattaché au CSIS
de New York [8]. Ses plus récents écrits portent sur la nouvelle
thématique idéologique de ses amis néo-conservateurs : Une Guerre sans
fin, le terrorisme au 21ème siècle, ainsi qu'un ouvrage dont
l'ambition cachée est de faire le tour de la question sur l'un de
sujets d'actualité les plus violemment controversés de l'époque
contemporaine : Les Voix de la terreur : manifestes, écrits, Al-Qaïda,
Hamas et autres terroristes à travers le monde, à travers les âges.

Claire Sterling, (1918-1995), trône, elle, pendant un demi-siècle sur
le Reader's Digest, l'un des principaux vecteurs souterrains de la
guerre culturelle menée par les services états-uniens. Grande
théoricienne de la criminalité transnationale, elle assume une
fonction de diversion, pratiquant avec un art consommé la « technique
de l'enfumage », poussant des contre-feux médiatiques pour détourner
l'attention sur les propres turpitudes de son camp.

Elle s'applique ainsi à dénoncer régulièrement la pieuvre mafieuse
[9], pour mieux occulter l'une des plus grande entreprises criminelles
du monde, le système Clearstream, système de compensation bancaire du
Luxembourg chargé du blanchissement des opérations douteuses des
grandes démocraties occidentales [10] ou encore pour occulter
l'instrumentalisation de la commercialisation de la drogue pour le
financement des opérations clandestines des services états-uniens en
Amérique latine.

Diffusé en dix sept langues dans 160 pays, le Reader's Digest
popularise les analyses de Claire Sterling autoproclamée grande
spécialiste du terrorisme moyen-oriental dans son ouvrage The terror
network (Le Réseau terroriste) », exerçant de ce fait une sorte de
monopole de l'intimidation par l'expertise [11]. Sous couvert de
professionnalisme, Claire Sterling et Walter Laqueur auront alimenté
régulièrement les revues spécialisées subventionnées par la CIA de
chroniques dont le contenu est puisé directement auprès de leur
bailleur de fonds.

Préfiguration de l'endogamie contemporaine entre pouvoir politique et
pouvoir médiatique, le Congrès pour la Liberté et la Culture pratique
à grande échelle l'autolégitimation d'une pensée homogénéisée où
l'expert ne se reconnaît pas à la qualité de ses recherches mais à sa
fréquentation assidue des forums médiatiques ; où l'intellectuel
décrété comme tel mène une réflexion conforme à la politique
éditoriale des médias dont il est l'invité précisément afin
d'accréditer la pensée qu'ils propagent.

À coups de manipulation, de falsifications, de prévarications, une
large fraction de l'élite intellectuelle occidentale aura ainsi sombré
dans les travers qu'elle dénonce aujourd'hui comme étant l'une des
plaies du tiers-monde. De l'autopromotion des experts à
l'autosuggestion des thèmes, à l'intimidation par une prétendue
expertise, « l'Amérique », héraut du « Monde libre », aura utilisé
avec les complicités européennes et la vénalité de certains leaders
d'opinion contre le totalitarisme, les méthodes mêmes du totalitarisme.


Les radios profanes : un tir de saturation

Le dispositif médiatique mis en place pour mener de pair le combat
contre le communisme, sur le plan international, et le combat contre
l'athéisme, sur le plan arabo-musulman, répond à un objectif qui
relève dans la terminologie militaire du « tir de saturation tous
azimuths ». Si sur le plan idéologique, Radio Free Europe est au
premier rang des instruments de la guerre psychologique contre le bloc
soviétique en sa qualité de principal retransmetteur de la production
intellectuelle du Congrès pour la liberté et la culture », Voice of
America est, quant à elle, le vecteur d'accompagnement de la
diplomatie états-unienne, alors que les radios religieuses font office
de levier de sensibilisation des groupes ethnico-communautaires de
confession chrétienne dans la zone euro-méditerranéenne.

Par l'entremise de Radio Free Europe, l'es États-Unis assurent une
pleine couverture de l'Europe orientale et des républiques musulmanes
d'Asie centrale, servant d'amplificateur aux débats et grandes
manifestations artistiques ou culturelles, les éditoriaux et analyses
confectionnés dans les publications satellites. Soutenue
intellectuellement et matériellement par la puissante Freedom House
[12] , bras armé de la propagande gouvernementale et de la droite
conservatrice internationale, Radio Free Europe Radio liberty Inc,
basée à Prague (République tchèque), dipose pendant 40 ans de cinq
sites d'émission en Europe, dont trois en Allemagne et de 54
fréquences. Radio Free Europe a un prolongement sur le continent
latino-américain Radio TV Marti (anti-cubaine) et en Asie, Radio Free
Asia.

Avec Voice of America (VOA), ces trois vecteurs relèvent au sein de
l'administration américaine de l'International Broadcasting Bureau
(IBB), disposant de vingt sites de retransmission dans le monde dont
trois dans les pays arabes (Maroc, Koweït, Émirats Arabes Unis) ainsi
qu'en Albanie, en Grèce, au Sri Lanka, en Allemagne, au Portugal et en
Espagne.

Voice of America est le premier vecteur trans-régional en termes de
puissance. Il dispose pour le secteur Méditerranée-Océan Indien de 24
émetteurs totalisant une puissance de feu inégalée de 9.100 KW et de
83 fréquences réparties sur trois sites d'émission. Deux d'entre eux
(Rhodes et Kavala (nord de la Grèce) sont destinées au secteur
Moyen-Orient/Asie Centrale, le troisième, Tanger, pour le Maghreb, les
Balkans et la Méditerranée occidentale. Ce dispositif est complété par
deux retransmetteurs installés dans deux principautés pétrolières, le
Koweit et les Émirats Arabes Unis. À cela s'ajoutent les nouveaux
vecteurs crées à l'occasion de la Deuxième Guerre contre l'Irak en
2005, Radio Sawa (Ensemble), la chaine de télévision Hurra (Libre).
Toujours en Méditerranée, les États-Unis aménagent, tant en Italie
qu'en Grèce, deux centres régionaux radiophoniques pour la production
des programmes à l'intention des troupes stationnées dans le cadre de
l'OTAN, à Héraklion (Grèce), siège de l'Armed Forces Radio and TV
Service Air Force European Broadcasting Squadron et à Vicenza
(Italie), siège du Southern European Broadcasting Service.

Le Congrès fonctionne pendant dix sept ans jusqu'à la Troisième Guerre
israélo-arabe de juin 1967. Il passe ensuite la main aux prédicateurs
électroniques dont le zèle prosélyte va se conjuguer au lobbying de la
politique sioniste des organisations juives états-uniennes pour
conduire Washington à s'engager dans un soutien sans faille à Israël.
États-uniens et Israéliens s'appliquent alors à promouvoir une «
idéologie des Droits de l'Homme », selon l'expression de l'historien
Peter Novick [13], comme arme de combat contre le totalitarisme
communiste, dans un premier temps, contre le totalitarisme islamique,
dans un deuxième temps, après l'effondrement du bloc soviétique.


Le prosélytisme religieux : les prédicateurs électroniques

Aux radios profanes se sont superposées une vingtaine de grandes
corporations radiophoniques religieuses disposant de moyens financiers
et techniques sans équivalent dans les deux tiers des pays de la
planète, dont les motivations ne paraissent pas toujours répondre à
des considérations exclusivement philanthropiques.

S'appliquant à porter quotidiennement la « Voix du Seigneur » à
travers le monde dans l'espoir problématique de gagner de nouvelles
ouailles à la cause de leur propre dieu, ces prédicateurs
électroniques nourrissent une prédilection particulière pour les
foyers de tension (Sud du Liban, Sud du Soudan) et les minorités
ethnico-religieuses des pays fragilisés par les dissensions intestines
(Arméniens, Kurdes, Berbères) et, depuis l'invasion de l'Irak, en
2003, pour le nord kurdophone irakien. Tel est le cas de IBRA Radio
(International Broadcasting Radio) qui anime au Moyen-Orient vers le
Sud du Liban et la zone frontalière libano-israélienne une antenne
locale onde courte pour les émissions de la station High Adventure
alors que le Sud du Soudan, peuplé de chrétiens et d'animistes en
rébellion contre le gouvernement islamique de Khartoum, est alimenté
par les programmes de "Radio Elwa", dirigée depuis Monrovia (Libéria)
par des missionnaires anglo-saxons.

Au premier rang de ces corporations radiophoniques se place Trans
World Radio (TWR), suivie d'Adventiste World Radio (AWR), FEBA Radio,
IBRA Radio, WYFR-Family Radio, Monitor Radio et Nexus IBD. À
l'exception de Radio Vatican (1555 KW, 36 fréquences, 33 langues) et
d'une minuscule radio orthodoxe, Radio Trans Europe, toutes les
grandes radios religieuses sont d'inspiration anglo-saxonne.

Toutefois par son ampleur et ses capacités, Trans World radio (TWR)
constitue la première radio planétaire transfrontière de surcroît
religieuse. Pionnière en la matière, TWR assure des émissions en 100
langues dans des idiomes négligés par les majors occidentales, dont
elle apparaît dans les nouvelles terres de mission, les zones
d'évangélisation d'Afrique et d'Asie, comme un utile instrument
d'appoint. Disposant de neuf relais terrestres dont cinq en Europe
(Albanie, Monaco, Pays-Bas, Chypre et Russie) deux en Asie (Ile de
Guam et Sri Lanka) un en Afrique (Swaziland) et un en Amérique latine
(Uruguay), TWR gère les émissions des trois sites méditerranéens
(Albanie, Monaco et Chypre) depuis Vienne (Autriche) et aligne, rien
que pour l'Europe, une puissance substantielle (1500 KW, 14 fréquences
et des émissions en 30 langues), supérieure à bon nombre de radios
occidentales. Vers la rive sud de la Méditerranée, TWR assure des
émissions en 21 langues dont le Kurde, le Berbère, ainsi que les
langues des pays méditerranéens. À Chypre, à la suite des programmes
de RMC Moyen-Orient et à partir des antennes de la radio française
[14], TWR assure des émissions religieuses nocturnes en trois langues
(Arabe, Farsi, Arménien) sur ondes moyennes en direction des
principaux pays musulmans. À travers les sites de Remoules (Sud de la
France) et de Cap Greco (Chypre), grâce à sa coopération avec RMC
France et RMC-MO, TWR jouit d'un avantage incomparable celui d'émettre
en ondes moyennes lui assurant un bon confort d'écoute dans une zone
qui abrite le centre historique de l'Islam et les principales réserves
énergétiques mondiales. Deux autres radios religieuses participent de
ce verrouillage médiatique : Adventist World Radio (AWR) et FEBA (Far
East Broadcasting Association-Missionary) : Adventist World Radio
dispose, pour sa part, pour l'Europe de 16 fréquences pour des
émissions en 17 langues dont l'arabe (5 heures), l'anglais (6 heures
dont 3 vers le Moyen-Orient), le français (5 heures en direction du
Maghreb et de l'Afrique), le Farsi (2H), l'Urdu et le Hindi (2 heures
chacun).

À titre indicatif, les radios religieuses anglo-saxonnes assurent 9
000 heures de programmes par mois, soit près de 10 fois plus que Radio
Le Caire, le principal vecteur arabe du plus grand pays arabe,
l'Égypte, qui abrite la plus forte densité de population (75
millions). En comparaison, The Friend of Israël Gospel Ministry,
Église baptiste états-unienne, diffuse des émissions en faveur
d'Israël sur 700 stations états-uniennes et publie la revue Israël My
Glory dans 151 pays, collectant, rien qu'en 2005, des dons d'un
montant de 8,5 millions de dollars en faveur de l'État hébreu [15].

À journées faites, sans interruption, et rien qu'en Méditerranée, pas
moins de 2500 KW diffusent des programmes sur une vingtaine de
fréquences dans toutes les langues du puzzle humain de la sphère
arabo-musulmane, sans parler naturellement de Radio Vatican, la radio
officielle de la chrétienté catholique. Relayant en programmes
religieux les émissions profanes des vecteurs internationaux, les
médias des grandes corporations religieuses optimisent ondes et
fréquences saturant comme pour l'aseptiser de toute pollution
anti-occidentale l'espace hertzien au point de donner l'impression à
un passager d'un vol de nuit d'être propulsé aux confins du Paradis,
bercé par Le Cantique des cantiques. Longtemps avant l'émergence des
fedayins palestiniens dans le paysage arabe, bien longtemps avant
Oussama Ben Laden, bien des décennies avant la désignation du « péril
islamiste » comme la menace majeure du XXIe siècle, quotidiennement,
invariablement, inlassablement, telle une symphonie pastorale
s'élançant des îles de la Méditerranée vers l'espace arabo-musulman,
les incantations divines de la liturgie occidentale avec une
méticulosité monacale.

En tout temps, en tout lieu, en toute langue, l'aspersion est
continue, l'intensité diluvienne. Sans exception, toutes les îles au
nom si évocateur de paradisiaques vacances : Chypre, Malte, Rhodes, la
Crête, la Sicile, toutes sont mobilisées pour prêcher la bonne parole.
Toutes y compris le promontoire de Gibraltar et la sérénissime enclave
de Monaco. De quoi combler d'aise le souverain marocain très
sourcilleux sur les croyances de ses fidèles sujets, justifier les
imprécations des Algériens contre le parti de l'étranger ou celles des
théologiens de Qom contre le « Grand Satan états-unien » ou celle des
islamistes salafistes sur « une nouvelle croisade occidentale ». Ainsi
se nourrit l'imaginaire collectif des populations exacerbées.

René Naba


[1] Parmi les ouvrages préconisant la liberté d'information, citons
Barriers Down (Abattre les frontières) de Kent Cooper, directeur
exécutif de l'agence états-unienne Associated Press, Farrar & Rinehart
éd., 1942, ainsi que la contribution de James Lawrence Fly, président
de la Federal Communications Commission (équivalent états-unien du CSA
français) « A free flow of news must link the nations », Free World,
Volume VIII, Août 1944. Bibliothèque du Congrès.

[2] « La propagande culturelle au service des Affaires », Herbert
Schiller, professeur à l'Université de Californie à San Diégo, in
Manière de voir n°47 (Cinquante années qui ont changé notre Monde),
avril -mai 2004.

[3] « La Fondation Ford, paravent philanthropique de la CIA » et «
Pourquoi la Fondation Ford subventionne la contestation » par Paul
Labarique, Réseau Voltaire, 5 et 19 avril 2004.

[4] « Quand la CIA finançait les intellectuels européens » par Denis
Boneau, Réseau Voltaire, 27 novembre 2003.

[5] « Raymond Aron, avocat de l'atlantisme » par Denis Boneau, Réseau
Voltaire, 21 octobre 2004.

[6] « Choc des civilisations : la vieille histoire du « nouveau
totalitarisme » » par Cédric Housez, Réseau Voltaire, 19 septembre 2006.

[7] - Manufacturing Consent : The Political Economy of the Mass Media
par Noam Chomsky, linguiste et philosophe, professeur au Massachusetts
Institute of Technology (MIT) et Edward S. Herman. Version française :
La Fabrique de l'Opinion publique, Le serpent à Plumes éd., 2003.

[8] « CSIS, les croisés du pétrole », Réseau Voltaire, 6 juillet 2004.

[9] La Pieuvre. La mafia à la conquète du monde, 1945-1989 et Pax
mafiosa, les multinationales du crime vont-elles s'emparer du pouvoir
mondial ?, Robert Laffont éd., 1990 et 1993.

[10] Révélation$ par Denis Robert et Ernest Backes, Les Arènes éd.,
2001. M. Backes a été administrateur du Réseau Voltaire.

[11] Who paid the piper par par Frances Stonor Saunders, productriuce
de documentaires historiques pour la BBC, Granta Books éd., 1999.
Version française : Qui mène la danse ? La Cia et la guerre froide
culturelle, Denoël éd., 2003.

[12] « Freedom House : quand la liberté n'est qu'un slogan », Réseau
Voltaire, 7 septembre 2004.

[13] Holocaust and Collective Memory par Peter Novick, Bloomsbury
Publishing éd., 2001. Version française : L'Holocauste dans la vie
américaine, Gallimard éd., 2001.

[14] « L'audiovisuel extérieur français : cahoteux, chaotique et
ethniciste » par René Naba, Réseau Voltaire, 6 décembre 2006.

[15] « Evangelized foreign policy ? » par Howard LaFranchi, The
Christian Science Monitor, 2 mars 2006. Version française : « Quand
les évangéliques dictent la politique étrangère américaine », Le
Courrier International, n°803 du 23 mars 2006.