Informazione


La sovranità immaginaria del Kosovo

1) Kosovo: forze speciali albanesi arrestano leader serbo. E' scontro. Vucic chiama Putin (A. Tarozzi, 26.3.2018)
2) Bruxelles unisce gli Albanesi e divide i Serbi (Z. Jovanovic, dalla Tavola Rotonda tenuta a Belgrado il 20/2/2018 sulla situazione in Kosmet)
3) Kosovo: un anno violento per i giornalisti. Oltre venti i casi di attacchi e minacce (Eraldin Fazliu)


Si veda anche:

La Serbia non ha bisogno di un “dialogo” sul Kosovo, ma sull’integrazione europea (di Dragana Trifkovic, direttore del Centro per gli studi geostrategici – Belgrado, Serbia, 14.01.2018)
La regione del Kosovo della Repubblica di Serbia è sotto l’occupazione militare USA-NATO, con un governo fantoccio albanese separatista nominalmente sotto il suo controllo. Questa è stata la situazione per quasi 20 anni...


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KOSOVO: FORZE SPECIALI ALBANESI ARRESTANO LEADER SERBO. E’ SCONTRO. VUCIC CHIAMA PUTIN

27/03/2018
di Alberto Tarozzi

Oggi pomeriggio a Pristina, scontri che portano le tensioni tra kosovari serbi e albanesi vicine a un punto di non ritorno.

Tutto nasce nell’enclave serba di Kosovska Mitrovica dove viene arrestato dalla polizia albanese Marko Djuric, capo dell’ufficio governativo serbo per il Kosovo che doveva partecipare a una riunione di serbi impegnati in una conferenza, nell’ambito del dialogo interno alla Serbia sulla questione del Kosovo.

Pare che la polizia voglia procedere a ricondurre Djuric al confine serbo per espellerlo in base a un accordo secondo il quale l’ingresso dei serbi in Kosovo deve essere preceduto da un avviso di 72 ore alle autorità di Pristina che si riservano il diritto di autorizzare o meno l’ingresso.

Comunque sia, le pesanti misure adottate dalle forze speciali kosovare albanesi sono state interpretate come una vera e propria provocazione dalla comunità serba. La tensione ha raggiunto il suo culmine quando gli albanesi hanno fatto irruzione nell’enclave con decine di agenti armati in assetto antisommossa. La polizia ha lanciato gas lacrimogeni e bombe assordanti fuori dall’edificio in cui si teneva la Conferenza, per disperdere la folla di dimostranti che cercava di impedirne l’ingresso.

Immagini della tv serba ritraggono i serbi sedersi per terra col capo chino e le braccia alzate sotto la minaccia delle truppe. Le immagini sono state trasmesse dalla tv di Belgrado, che ha avuto essa stessa un cameramen ferito dalla polizia.

Si segnalano infatti numerosi feriti. Barricate sono state alzate dai serbi di Mitrovica e vengono segnalati blocchi stradali. Si ode il suono delle sirene.

A Belgrado il governo ha decretato lo stato di emergenza e il Presidente Vucic , secondo alcune voci, si sarebbe messo direttamente in contatto telefonico con Putin a Mosca.

E’ una svolta violenta nei rapporti tra serbi e albanesi del Kosovo, ma non del tutto imprevista. Non più tardi di pochi giorni fa il Parlamento kosovaro era stato teatro di uno scontro tra parlamentari albanesi, alcuni dei quali avevano dato luogo a un lancio di lacrimogeni per protesta contro l’approvazione di confini tra Kosovo e Montenegro da loro ritenuta troppo generosa.

Possibile che la violenta irruzione della polizia kosovaro albanese a Kosovska Mitrovia, possa essere stata una dimostrazione a testimoniare che il governo mantiene una linea di condotta dura e pura, a dispetto delle concessioni di confine.

Se così fosse si tratterebbe comunque di una gravissima mossa dai toni provocatori, capace di innescare una reazione a catena dalle conseguenze imprevedibili


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IN ENGLISH / NA SRPSKOHRVATSKOM: Beograd 20.2.2018., Округли сто о Косову и Метохији:
BRUSSELS UNITES THE ALBANIANS AND DIVIDES THE SERBS / БРИСЕЛ УЈЕДИЊУЈЕ АЛБАНЦЕ А РАЗБИЈА СРБЕ

Dalla Tavola Rotonda tenuta a Belgrado il 20/2/2018 sulla situazione in Kosmet 


www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 04-03-18 - n. 664

Bruxelles unisce gli Albanesi e divide i Serbi

Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali | wpc-in.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

La risoluzione 1244 (1999) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che garantisce la sovranità e l'integrità territoriale della Serbia e l'ampia autonomia di Kosovo e Metohija in Serbia è il documento legale vincolante più alto in grado che obbliga tutti i membri di questa Organizzazione mondiale, compresi gli Stati membri dell'UE, La NATO, l'OSCE, l'OIC, l'UA e l'EAU. La risoluzione 1244 è l'unica base affidabile ed il quadro per qualsiasi negoziato riguardante lo status. A causa dei gravi errori commessi dalle ex autorità serbe, il sistema delle Nazioni Unite ha prodotto alcuni documenti dannosi di carattere consultivo e non vincolante. È di vitale importanza che non vengano commessi errori simili o persino più gravi né nel presente né in futuro, perchè ciò renderebbe più difficile la futura posizione e le prospettive della Serbia.

Il parametro singolo più importante è la Costituzione della Repubblica di Serbia. Ci si aspetta che sia osservata da tutti, e la rilevante responsabilità aumenta con il crescere della posizione di ciascuno di noi nella società. Il rispetto della Costituzione del Paese è la misura della integrità e serietà dello Stato, degli uomini di stato e dei cittadini.

Negoziare "Kosovo e Metohija per ottenere l'adesione all'UE è inaccettabile, perché i valori in questione non sono comparabili. L'adesione è benvenuta, purché sia offerta priva di ricatti e non sia un pedaggio per l'inclusione in una compagine esclusiva.

Tenendo conto di tutte le esperienze finora compiute, è chiaro che qualsiasi garanzia dell'UE per eventuali accordi o soluzioni future riguardanti la Serbia non potrebbe essere attendibile. L'UE ha avviato accordi in cui i diritti della Serbia non sono che un'esca, attirando il consenso e la firma della Serbia, mentre il vero obiettivo è stabilire gli obblighi della Serbia a favore dell'altra parte e, quindi, ottenere un punto fermo per infiniti ricatti usando un unico argomento ": 'Se vuoi l'adesione all'UE!' Le uniche disposizioni attuate dalla risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sono quelle nell'interesse degli albanesi e nessuna di quelle che garantiscono i diritti dei Serbi e della Serbia.

La Serbia ha adempiuto a tutti i suoi obblighi derivanti dall'accordo di Bruxelles del 2013 sponsorizzato dall'UE, mentre gli albanesi non hanno osservato l'unico a cui si sono impegnati: l'istituzione della Comunità dei Comuni Serbi. L'EULEX è stata accettata come "neutrale rispetto allo status", ma in realtà questa Missione era e rimane lo strumento chiave per l'istituzione di un quasi-stato illegittimo su una parte del territorio della Serbia. È adombrato dai soliti sospetti irrisolti di comportamento corruttivo del suo personale. La sfiducia che ne deriva può essere neutralizzata solo attraverso l'attuazione degli obblighi incompiuti nei confronti della Serbia e dei Serbi, unitamente a un'autentica imparzialità, identificando e perseguendo i responsabili dei crimini perpetrati contro i Serbi.

Sotto i negoziati fino ad ora, la Serbia è andata ben al di là nel fare concessioni a Prishtina e all'Occidente e, in cambio, non è stata garantita una minima protezione dei suoi diritti e interessi. Belgrado dovrebbe essere abbastanza saggia da trarre conclusioni adeguate da questa pratica. Non dovrebbe comportare alcun nuovo accordo o obbligo, tanto meno inserire un nuovo "accordo giuridicamente vincolante" per così tanto tempo fino all'implementazione di tutti gli obblighi nei confronti della Serbia e del popolo serbo, incluso il ritorno libero e sicuro di quasi 250.000 persone espulse in un episodio di pulizia etnica. Che tipo di normalizzazione sarebbe senza aver condizionato il ritorno sicuro di un quarto di milione di persone espulse?

Un accordo giuridicamente vincolante sarebbe utilizzato per la creazione accelerata della Grande Albania. Pur rimanendo al di fuori delle Nazioni Unite, il Kosovo difficilmente potrebbe unirsi con l'Albania, in quanto non è un soggetto di diritto internazionale. Un altro ostacolo è quello di essere formalmente sotto il mandato delle Nazioni Unite ai sensi dell'UNSCR 1244.

Per la Serbia, lo status della Provincia del Kosovo e della Metohija è una questione vitale che rimarrà aperta fintantoché i negoziati daranno una soluzione giusta e auto-sostenibile, come stabilito dalla Risoluzione 1244 dell'UNSC. Nessuno ha il diritto di ricattare la Serbia tramite una qualsiasi scadenza, o per imporre soluzioni su misura per soddisfare i propri interessi politici.

L'obbligo e gli sforzi della Serbia per garantire i diritti umani fondamentali del popolo serbo in Kosovo e Metohija, come la sicurezza personale, la libertà di movimento e l'inviolabilità dei diritti di proprietà, godono del pieno sostegno dei cittadini. Questo obbligo, unitamente al dovere di assicurare l'osservanza dello status e dei diritti inalienabili della Chiesa ortodossa serba, elimina l'interesse essenziale, che è - lo status della Provincia in linea con la Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e la Costituzione serba.

Troviamo inaccettabile sia l'indifferenza che la promozione della propaganda malevola che sollecita  che il Kosovo e Metohija non siano che un fardello che la Serbia dovrebbe eliminare, e presto, così da consentire alla sua economia e ai cittadini di imbarcarsi in futuri investimenti, sviluppo, migliori standard di vita, crescita della popolazione più elevata, quasi un paradiso sulla Terra. Tutto questo è ancora un altro grande inganno. In ogni paese, il tenore di vita e l'economia dipendono dalla politica e dai sistemi economici, dalla diversificazione della cooperazione economica e dalle fonti di investimento, piuttosto che dalla rinuncia a qualsiasi interesse vitale nazionale o statale.

La Germania sfrutta l'attuale forma di negoziato di Bruxelles per promuovere il proprio e, in una certa misura, gli interessi geopolitici generali occidentali. Questo combina il modo di risolvere la questione nazionale albanese, l'indebolimento del popolo serbo e la Serbia come fattore politico nei Balcani, e con l'ulteriore deterioramento della questione nazionale serba irrisolta. Un argomento importante a supporto di questa valutazione è l'effettiva proibizione per 250.000 serbi e altri non albanesi dell'esercizio del diritto universale al ritorno libero, sicuro e dignitoso alle loro case e proprietà.

Un giusto compromesso è possibile solo nella cornice della risoluzione 1244 dell'UNSCR e della Costituzione della Serbia. Non è né un compromesso né una soluzione duratura permettere a Pristina di acquisire indipendenza, ricchezza economica e naturale, l'adesione all'ONU, all'UNESCO, all'OSCE, mentre tutti i serbi ottengono nuove divisioni, nuovi confini internazionali invece della linea amministrativa, status di nazionale minoranza, e una comunità di municipi serbi ridotta a una ONG.

Tenendo presente tutto quanto sopra detto, e in particolare le alterate circostanze e l'inadeguato formato dei negoziati di Bruxelles, la dimensione ricattatoria del legare lo status di Kosovo e Metohija ai negoziati di adesione della Serbia, si può supporre che al momento non esistano prerequisiti per il raggiungimento di una soluzione equilibrata, giusta e duratura. Tali prerequisiti possono essere creati coinvolgendo la Russia e la Cina nel processo negoziale e nelle garanzie, ovvero riportando il processo alle Nazioni Unite, dove è stato originariamente iniziato.

La Serbia è stata e rimane disposta a cercare un compromesso, a mettere in armonia gli interessi, non in uno spazio inesplorato, ma all'interno del dominio dei principi e della legge. La Serbia non dovrebbe optare per uscire da questo dominio di principi e di legge e sforzarsi di migliorare la vita futura dando priorità all'ingiustizia sulla giustizia. Anche la giustizia è parte della realtà.

Proporre i cosiddetti "due modelli di Germanie" è un ovvio tentativo di giustificare e ingannare, e un'offerta di "salvare la faccia". Tuttavia, le due situazioni, le circostanze internazionali rilevanti, le loro origini e le loro cause primarie sono incomparabili. La Serbia non è l'ex Repubblica federale di Germania, né il Kosovo e la Metohija sono l'ex Repubblica Democratica Tedesca. La Serbia ha già espresso la sua opinione sull'ultimatum di Zeigmar Gabriel. Sarebbe meglio che sia l'Europa che l'UE rendessero stabile la loro posizione, e quindi escludessero Gabriel dalla sua abitudine di proclamare quali parti dei territori fanno o non costituiscono la parte di altri stati. Ricordiamo che quest'anno è l'ottantesimo anno dell'Accordo di Monaco?

Živadin Jovanović

Presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali


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Kosovo: un anno violento per i giornalisti


Sono stati oltre venti i casi di attacchi e minacce ai giornalisti in Kosovo, molti dei quali restano impuniti o vengono sanzionati con pene talmente lievi da vanificarne la funzione dissuasiva

30/01/2018 -  Eraldin Fazliu

(Originariamente pubblicato da Kosovo 2.0  )

"Non dico nulla di nuovo quando dico che non siamo soddisfatti di come funziona il sistema giudiziario del Kosovo, che in questi casi mostra non poca negligenza", spiega Parim Olluri, direttore esecutivo del quotidiano online Insajderiaggredito fisicamente il 16 agosto scorso da tre persone rimaste non identificate dalla polizia, nonostante le foto degli assalitori siano state rese pubbliche tre settimane fa. L'inchiesta è in corso.

L'attacco a Olluri ha anche attirato l'attenzione internazionale: Reporter senza frontiere ha condannato l'assalto al giornalista e chiesto alle autorità di "fare luce sull'attacco".

"Questo caso potrebbe essere facilmente risolto se l'accusa e la polizia si impegnassero seriamente. Eppure, in Kosovo questa negligenza sembra normale", dice Olluri, scettico sul fatto che i suoi aggressori saranno consegnati alla giustizia. "Il fatto che come vittima sia mio dovere inviare e-mail e lettere per chiedere del caso mi dà l'impressione che possa essere stato dimenticato".

Petrit Collaku, ricercatore presso l'Associazione dei giornalisti del Kosovo (AJK  ), fa eco alle affermazioni di Olluri, anche se crede che siano stati compiuti alcuni progressi nella registrazione dei crimini. "Qualcosa è cambiato, le istituzioni hanno un database e tutti i casi vengono registrati", dice a Kosovo 2.0. Tuttavia, Collaku ritiene che l'impunità rimanga un problema ingombrante.

Pressioni, minacce e attacchi ai giornalisti sono stati frequenti negli ultimi anni. L'anno scorso qualcuno ha lanciato una bomba a mano nel cortile dell'emittente di stato Radio Televisione del Kosovo (RTK). Alcuni giorni dopo, un'altra bomba è esplosa nella casa del direttore di RTK, Mentor Shala. In entrambi i casi ci sono stati solo danni materiali, ma rimane la minaccia diretta al lavoro dei giornalisti. Anche se è passato più di un anno, nessuno è stato portato davanti alla giustizia.

Collaku è autore del recente rapporto AJK Kosovo: Indicators for the level of media freedom and journalists’ safety  , il quale ha rivelato che da gennaio al 20 novembre, data di pubblicazione, sono stati registrati 24 casi di minacce e attacchi ai giornalisti. Questo è già un aumento sostanziale rispetto ai 18 casi denunciati alla polizia e alla magistratura nel corso del 2016.

Anche Vehbi Kajtazi, collega di Ollurri e capo redattore di Insajderi, è stato attaccato in ottobre. Dopo un mese di detenzione, il suo aggressore Fitim Thaci è stato rilasciato con quattro mesi di libertà vigilata. Per Olluri, questi casi di punizioni "ridicole" stanno solo incoraggiando ulteriori attacchi ai giornalisti.

"Chi sta incitando gli aggressori? Penso che sia lo stesso sistema giudiziario del Kosovo", ha detto a Kosovo 2.0. "Gli aggressori smascherati dai media hanno ricevuto punizioni ridicole. Ora, logicamente, qualsiasi "losco" uomo d'affari che abbia evaso le tasse o beneficiato irregolarmente di appalti pubblici troverà molto facile pagare una persona 500-1.000 Euro per aggredire qualsiasi giornalista che ne scrive, perché la punizione è un mese di custodia o qualche altra punizione ridicola".

Le aggressioni ai giornalisti sono proseguite nel corso dell'anno. L'11 novembre Taulant Osmani, giornalista di kallxo.com, è stato aggredito da un gruppo di persone che hanno cercato di prendergli il telefono mentre seguiva una discussione tra due gruppi di persone in una piazza di Gjilan. Fortunatamente il giornalista è stato protetto dagli astanti e non è stato ferito dagli aggressori..

Un altro problema è che i processi talvolta richiedono anni. "Il tribunale ha multato un ex funzionario del ministero del Commercio per 500 euro dopo che il giornalista Liridon Llapashtica lo aveva citato in giudizio per diffamazione. Il processo si è concluso l'anno scorso, mentre il caso risale al 2014", rivela Collaku.

Lo stato del sistema giudiziario ha portato il panorama mediatico del Kosovo a essere descritto come "parzialmente libero" nella relazione 2016 di Freedom House, che misura la libertà di espressione nei media. Il Kosovo ha totalizzato 14 punti (30 è il punteggio peggiore).

Perché gli attacchi sono aumentati?

Il clima a livello globale nei confronti dei media è peggiorato. Secondo un rapporto sulla libertà di espressione di Articolo 19, pubblicato il 30 novembre, i media di tutto il mondo sono precipitati ai peggiori livelli dal 2000. Anche in Kosovo, negli ultimi anni, il clima per i giornalisti è stato teso. Per Olluri, uno dei motivi principali per cui i giornalisti vengono attaccati è l'evoluzione del panorama dei media.

"Dieci anni fa c'erano due o tre giornali e due canali televisivi, per il potere era più facile influenzare le politiche editoriali, evitando di infastidire le forze politiche e para-politiche, mentre ora abbiamo molti media online".

Per Collaku, il boom dei media online ha anche creato casi in cui i giornalisti non hanno adempiuto al dovere di informare in modo equo e imparziale. "I giornalisti con cui abbiamo parlato ci hanno detto che il codice etico è stato gravemente violato in molti casi".

Collaku pensa che le circostanze politiche del paese abbiano provocato un aumento della pressione sui media. "Due parlamentari di questa legislatura hanno mandato messaggi minacciosi: Beke Berisha dell'AAK ha minacciato di morte Vehbi Kajtazi e Milaim Zeka ha usato lo scranno per attaccare i giornalisti".

A ottobre, il deputato di NISMA Milaim Zeka, lui stesso giornalista fino all'ingresso in politica nel 2016, ha attaccato durante una sessione parlamentare il giornalista KTV Adriatik Kelmendi e Vehbi Kajtazi di Insajderi, guadagnandosi un comunicato di AJK sul linguaggio improprio usato.

Zeka ha attaccato Kelmendi affermando pubblicamente che suo padre aveva servito il regime oppressivo quando era procuratore e punito gli albanesi del Kosovo prima della guerra del 1999. I suoi colleghi di partito sono rimasti in silenzio senza dissociarsi.

Anche il primo ministro Ramush Haradinaj ha un atteggiamento antagonistico verso i giornalisti. Nei suoi primi dieci giorni in carica, quando gli è stato chiesto in una conferenza stampa della posizione degli Stati Uniti in merito alla demarcazione del confine con il Montenegro, Haradinaj ha risposto "Ho rispetto per i media, ma la maggior parte di voi non sa leggere o non capisce l'inglese", prima di chiedere a tutti i giornalisti di "tornare a scuola e imparare l'inglese".

In seguito Haradinaj si è scusato, ma affermazioni come queste gli tolgono credibilità quando condanna gli attacchi ai giornalisti. Dopo l'aggressione a Vehbi Kajtazi, Haradinaj ha proclamato che "condanniamo sinceramente l'aggressione fisica, non solo a Kajtazi, ma a tutti i giornalisti. Come governo, ci impegniamo ad avere un rapporto positivo con i media, ad essere trasparenti e garantire la libertà di parola".

Sebbene Collaku accolga la condanna agli attacchi contro i giornalisti, ritiene che anche nella reazione si applichino due pesi e due misure, e invita pertanto i leader politici ad esprimersi anche quando vengono attaccati giornalisti meno conosciuti. "Non ci sono reazioni quando si tratta di un giornalista poco noto o quando viene distrutta la videocamera di un operatore", afferma Collaku.

"Ci sono sempre più giornalisti aggrediti", afferma Collaku. "Ci sono individui picchiati per aver detto alla società 'ehi, sta succedendo questo'. Dovremmo chiedere perché le istituzioni non sono state più efficaci, facendo giustizia e dando più attenzione a questi attacchi".

Olluri conferma le opinioni di Collaku sulla giustizia per i giornalisti: "Se il sistema giudiziario punisce gli aggressori, credo che ci sarà una diminuzione degli attacchi contro i giornalisti. Ma se il sistema giudiziario continua con questa ondata di impunità, le aggressioni contro i giornalisti non faranno che aumentare".



Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto





(français / srpskohrvatski / italiano)

Montenegro, ennesime elezioni-truffa?

1) 15 aprile, Elezioni presidenziali 2018: Verso nuove elezioni-truffa?
2) "Integrazione europea", Jean-Claude Juncker in visita a sostegno del clan Djukanović. Ma il negoziatore si dimette
3) 21 febbraio, Dalibor Jauković attacca l'Ambasciata USA "contro la adesione del Montenegro alla NATO" / bacio bombu na ambasadu protiv ulaske Crne Gore u NATO


=== 1: Elezioni presidenziali 2018 ===

PRÉSIDENTIELLE AU MONTÉNÉGRO : MLADEN BOJANIĆ, LE CANDIDAT QUI S’ATTAQUE À LA CITADELLE ĐUKANOVIĆ (par Jasna Tatar Andjelić, CdB / Radio Slobodna Evropa, 20 mars 2018)
La nouvelle est tombée lundi. Sans surprise, Milo Đukanović a annoncé son « retour » et entend bien se faire de nouveau élire à la présidence le 15 avril. Face au « Gospodar », au « seigneur » qui règne sur le Monténégro depuis 1991, Mladen Bojanić, un économiste de 55 ans, tente d’unifier l’opposition...

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Presidenziali in Montenegro, ancora Đukanović?

di Redazione, 22 marzo 2018

Il 15 aprile prossimo si terranno le elezioni per eleggere il presidente del Montenegro, tuttavia fino a pochi giorni fa non si sapeva ancora chi fossero i candidati alla presidenza. Un’anomalia che la stampa locale ha bollato come reality show elettorale.
Nei giorni scorsi il partito di governo DPS ha però rotto il silenzio, presentando la scontata candidatura di Milo Đukanović. In 27 anni Đukanović è stato sei volte premier e una volta presidente della Repubblica. Per ben tre volte ha fatto un passo indietro da cariche istituzionali, pur restando saldamente alla guida del partito. Alla fine è sempre tornato. L’obiettivo di Đukanović è di vincere al primo turno le presidenziali del 15 aprile.
Come ha scritto per Radio Free Europe l’esperto di questioni balcaniche Florian Bieber: “Il partito di governo e il suo modello di governo, basato sul clientelismo e sul controllo statale, dipendono da una persona che tiene il sistema sotto controllo: Milo Đukanović”.
Il ritardo nel presentare i candidati è stato causato, a onor del vero, anche dall'opposizione che si è decisa solo di recente di presentare la candidatura condivisa di Mladen Bojanić, figura attualmente al di fuori dell'appartenenza a singoli partiti ma con posizioni affini al Fronte democratico, con cui ha condiviso la contrarietà all’ingresso del Montenegro nella NATO. Ex deputato e vicepresidente del partito Montenegro positivo, dal quale uscì per divergenze con parte della dirigenza, Bojanić è noto per essere esperto di economia. Prima di scendere in politica ha lavorato come broker per la borsa, fino ad essere per un periodo direttore della borsa di Podgorica e per nove anni ha fatto parte della dirigenza dell’Unione degli economisti del Montenegro.
Dietro lo slogan “Sì insieme possiamo farcela” Mladen Bojanić è riuscito ad unire buona parte dei partiti di opposizione: Fronte democratico, Partito socialista popolare, Democratici del Montenegro e URA.
Il resto dell’opposizione ha presentato cinque candidati: l’indipendente Vasilje Miličković; il leader del neo partito Prava Crna Gora Marko Milačić; il presidente del Partito della giustizia e della riconciliazione (SPP) Hazbija Kalač; la deputata del Partito socialdemocratico (SDP), un tempo alleato di Đukanović, Draginja Vuksanović, l’unica donna candidata nonché la prima della storia del Montenegro a concorrere per la carica e infine il leader di Montenegro unito Goran Danilović.


=== 2: "Integrazione europea" ===


Juncker, Montenegro "modello" per l'integrazione UE

Ieri a Podgorica nella cornice del suo tour balcanico, Jean-Claude Juncker ha lodato i progressi del Montenegro verso l'UE. Il paese resta però spaccato, con l'opposizione che continua il suo boicottaggio del parlamento. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria 

28 febbraio 2018

Il Montenegro è il paese dei Balcani più avanti nel percorso di integrazione europea, e può fare da modello agli altri paesi della regione. Queste le parole del presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ieri a Podgorica.
Juncker è impegnato in un tour delle capitali dei Balcani occidentali per dare forza alla nuova Strategia Ue per la regione, che ha rilanciato le prospettive di piena integrazione per il sud-est Europa.
Dopo l'incontro col premier Duško Marković, Juncker ha ribadito che la velocità dell'allargamento “dipende da paese a paese”, aggiungendo poi che la data del 2025, indicata nei documenti della Commissione, “rappresenta solo una prospettiva realistica, a cui avvicinarsi in fretta”.
Dal canto suo, Marković ha dichiarato che le priorità per il Montenegro restano crescita economica ed integrazione europea. Il premier montenegrino ha espresso la speranza che nel corso del 2018 il paese possa aprire due nuovi capitoli negoziali e avanzare sui basilari 23 e 24, dedicati a giustizia e diritti fondamentali.
A rovinare il clima trionfalistico da parte del governo, però, è arrivata la decisione dell'opposizione di continuare il proprio boicottaggio del parlamento anche durante la visita di Juncker.
Dalle elezioni dell'ottobre 2016 - segnate da un presunto e controverso colpo di stato pro-russo - l'opposizione diserta infatti le istituzioni. Per i critici il putch, in cui sono stati coinvolti leader del Fronte Democratico, sarebbe in realtà una messa in scena ordita dal governo per falsare le elezioni e reprimere il dissenso.


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INTÉGRATION EUROPÉENNE DU MONTÉNÉGRO : LE NÉGOCIATEUR EN CHEF DÉMISSIONNE (Jasna Tatar Andjelic / Courrier des Balkans, Vijesti, RSE – 5 mars 2018)
C’était l’homme clé des négociations d’adhésion du Monténégro à l’UE, mais Aleksandar Andrija Pejović occupait un peu trop de fonctions : ministre des Affaires européennes, ambassadeur à Bruxelles et chef de l’équipe de négociation - sans oublier son fauteuil à la direction du DPS. Un mauvais exemple, alors que le Monténégro a encore bien du chemin à faire sur la voie de l’État de droit. Le cumulard a été contraint à la démission...


=== 3: Dalibor Jauković ===

Montenegro: Attacco contro l'ambasciata USA (PTV News 22.02.18)

Jos clanaka

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Montenegro, attentato contro l'ambasciata americana

22 febbraio 2018

Mercoledì 21 febbraio un attentatore solitario ha gettato una bomba nel cortile dell'ambasciata americana a Podgorica, per poi morire in una seconda esplosione, in quello che sembra un suicidio.
Secondo il quotidiano Vijesti, la polizia avrebbe identificato l'attentatore in Dalibor Jauković, 43 anni, residente nella capitale montenegrina ma nato a Kraljevo, in Serbia. Ancora scarse le informazioni sulla dinamica dell'attacco, così come da definire le motivazioni di Jauković.
Sempre secondo Vijesti, Jauković avrebbe ricevuto una medaglia per “i servizi nel campo della difesa e della sicurezza per la Repubblica federale di Jugoslavia” nel 1999, l'anno della guerra in Kosovo e dei bombardamenti Nato.
Secondo le prime ricostruzioni delle forze dell'ordine, l'esplosione di cui si sospetta Jauković è avvenuta intorno a mezzanotte. L'attentato, che sarebbe stato effettuato con una bomba a mano, non ha fatto registrare danni o vittime, se non il presunto attentatore.
Attraverso il suo sito l'ambasciata ha intanto comunicato l'esistenza di una situazione di pericolo, invitando i cittadini americani a non avvicinarsi alla sede diplomatica fino a nuova comunicazione.

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Potvrđen identitet: Jauković bacio bombu na ambasadu, pa se digao u vazduh

U eksploziji nije bilo drugih žrtava, a motiv je i dalje nepoznat

22.2.2018.  AUTORI: Ivana GudovićOlivera Lakić

Dalibor Jauković (43)  je sinoć bacio bombu u dvorište američke ambasade, a potom poginuo u drugoj eksploziji, saznaju "Vijesti".

Identitet Jaukovića je potvrdio njegov brat. Obdukcija je završena.

Jauković je živio u Podgorici, a rođen je u Kraljevu.

Na Jaukovićevom facebook profilu se vidi da je nagrađen medaljom za zasluge u oblastima odbrane i bezbjednosti Savezne republike Jugoslavije 1999. godine. [ http://www.vijesti.me/media/cache/e5/ea/e5ea2c85edb68a3840f79cddb6be08e5.jpg ]

Jauković je nagrađen za "izuzetno zalaganje u obavljanju dužnosti i izvršavanju zadataka u odbrani i bezbjednosti otadžbine", a nagradio ga je tadašnji predsjednik SRJ Slobodan Milošević.

Eksplozija se desila oko ponoći.

"Pola sata poslije ponoći ispred objekta Ambasade SAD jedno lice je izvršilo samoubistvo eksplozivnom napravom. Neposredno prije samoubistva lice je sa raskrsnice kod Sportskog centra ubacilo u krug Ambasade SAD jednu eksplozivnu napravu. Najvjerovatnije je riječ o ručnoj bombi sa kašikom. U toku su uviđaj i identifikacija. Tužilac je na licu mjesta i rukovodi uviđajem. Uprava policije CG", napisala je Vlada Crne Gore na Twitteru. 

Podsekretar Stejt Dipartmenta Stiv Goldstin je kazao da su očevici vidjeli čovjeka kako baca objekat preko zida ambasade, prenosi NewYork Times. Navodi se i da niko u ambasadi nije povrijeđen.

Goldstin je dodao i da su bezbjednosni zvaničnici ambasade pretražili teren i da nisu nađene druge eksplozivne naprave, a da zgrada nije oštećena u napadu. 

On nije znao šta je motiv napada, niti da li se radi o namjernom samoubilačkom napadu. 

Ambasada je na svom sajtu saopštila da postoji aktivna bezbjednosna situacija i savjetovani su američki državljani da izbjegavaju ambasadu do novog obavještenja.

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Jauković u pismu poručio: Izvinite svi koji me cijenite

Ništa bitno do sada u pretresima protekla dva dana


Dosadašnja istraga crnogorskog tužilaštva i policije nije pokazala da je 43-ogodišnji Dalibor Jauković bombom napao američku ambasadu kao član neke za to formirane  organizacije, saznaju “Vijesti”. 

On je, između ostalog, u pisma koje je ostavio na desetak strana rokovnika i koje je pronađeno tokom pretresa njegovog stana, napisao da nema želju da živi. 

Jauković, učesnik rata na Kosovu 1999, bacio je bombu na ambasadu SAD u Podgorici tačno deset godina nakon što je zapaljena američka ambasada u Beogradu 2008, neposredno poslije proglašenja nezavisnosti Kosova, a zatim drugom bombom sebi oduzeo život,. 

"Izvinite svi koji me cijenite. A znam da vas ima", stoji u njegovom pismu.. U toj rečenici je naknadno precrtao  najvjerovatnije riječi "volite i". 

Na toj stranici napisao je i rečenicu "Ja prevarant neću bit'. Tako nemam želju da živim”.

Cijelo pismo je konfuzno napisano i u njemu on piše da se protivi ulasku Crne Gore u Nato, koliko je ogorčen zbog toga i da će njegov napad na ambasadu biti njegov odgovor na bombardovanje Jugoslavije 1999.godine. 

Pismo je tužilaštvo predalo vještaku grafološke struke. koji će utvrditi da li ga je pisao Jauković.

Policija je preksinoć i juče pretresala više lokacija na kojima žive ili rade osobe povezane sa Jaukovićem istražujući da li je Podgoričanin u samobilački napad na ambasadu krenuo sam ili kao član neke šire organizacije. 

Izvor "Vijesti" iz bezbjednosnih službi kazao je da se sada već sa velikom sigurnošću može reći da je Jauković djelovao sam. Još je otvoreno pitanje da li ga je i ko podstakao na takav čin. On je, oko između srijede i četvrtka, bacio bombu M75 u dvorište ambasade sa udaljenosti od pet-šest metara. Bomba nije nikoga od zaposlenih u ambasadi povrijedila, niti je napravila veću štetu u dvorištu. Nakon toga, Jauković je prešao ulicu i na poljani preko puta ambasade, i ubrzo aktivirao drugu bombu i ubio se.

Ambasadu je juče bila otvorena kao I obično za izdavanje viza i posjete, iako uz snažne mjere obezbjeđenja I pojačano prisustvo naoružane crnogorske policije. 

Ministar vanjskih poslova Srđan Darmanović juče je nakon posjete ambasadi najoštrije osudio napad i naglasio da je Vlada preduzela sve mjere da istraži slučaj zajedno sa američkim prijateljima i zaštiti sva diplomatska predstavništva u zemlji.

„Crna Gora je dobar domaćin svojim gostima. Mi želimo da se oni osjećaju sigurno u našoj zemlji. Sjedinjene Američke Države su naš partner, saveznik i prijatelj. Vjerujemo da ovaj tragičan događaj nije ugrozio osjećaj sigurnosti diplomatskih misija u Crnoj Gori, jer Crna Gora jeste sigurna zemlja i to će ostati“, poručio je ministar.




Tre autori ricordano i bombardamenti NATO

1) Mauro Gemma
2) Alberto Tarozzi
3) Enrico Vigna


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24 MARZO 1999, INIZIAVA IL CRIMINE DELLA NATO CONTRO LA JUGOSLAVIA E LA PIÙ GRANDE INFAMIA DELLA REPUBBLICA ITALIANA

di Mauro Gemma, 24/03/2018
 
Il 24 marzo 1999, la NATO, senza mandato dell'ONU e con la partecipazione dell'Italia, governata allora da un esecutivo presieduto da Massimo D'Alema, scatenava una criminale guerra contro la Jugoslavia, provocando morte e distruzione.

L'anno dopo (nell'ottobre 2000) un colpo di Stato orchestrato da forze filo-imperialiste (che godevano anche dell'appoggio internazionale di settori della cosiddetta "sinistra radicale", con il Manifesto che arrivava addirittura a titolare "La Rivoluzione d'Ottobre") rovesciava il presidente Milosevic, per poi arrestarlo e consegnarlo al Tribunale dell'Aia che lo avrebbe fatto morire in carcere con accuse infamanti che, recentemente, lo stessa corte ha riconosciuto completamente infondate.
 
Nel frattempo, sarebbe iniziata la penetrazione della NATO ad Est, che l'avrebbe portata ai confini della Russia, oggi minacciata seriamente da una guerra di aggressione che, purtroppo, non sembra turbare più di tanto l'opinione pubblica italiana e neppure pezzi di quella "sinistra radicale" che, anche oggi, sembrerebbe accodarsi alle manovre propagandistiche della NATO (questa volta per quanto riguarda il Medio Oriente) e alle sue campagne all'insegna della russofobia.

Nell'occasione ripropongo un mio articolo, scritto esattamente due anni fa, che ritengo non abbia perso di attualità.
 

Sono passati 17 anni dallo scatenamento della guerra di aggressione alla Jugoslavia, che ha inaugurato la lunga catena di massacri e distruzioni che hanno caratterizzato tutte le innumerevoli campagne belliche della NATO destinate ad annientare interi popoli e Stati.

Il 24 marzo 1999,  l'Alleanza Atlantica, guidata dagli Stati Uniti (sotto la presidenza del più noto esponente del clan Clinton e in presenza di un'amministrazione “democratica” - in cui si distingueva per ferocia e cinismo il segretario di Stato Madeleine Albright - che si è macchiata dei più atroci crimini di guerra), senza alcun mandato delle Nazioni Unite (Russia e Cina minacciarono il veto nel Consiglio di Sicurezza, impedendone il pronunciamento favorevole), avviava la campagna militare, definita “Allied Force”, che, terminata due mesi dopo con la capitolazione delle autorità di Belgrado, avrebbe determinato in breve tempo il completo collasso della Repubblica Federale della Jugoslavia.

L'anno seguente, attraverso una “rivoluzione colorata”, finanziata in particolare dal faccendiere George Soros (e sostenuta anche, incredibilmente, da settori della “sinistra radicale” dell'Europa occidentale), il legittimo governo jugoslavo veniva rovesciato da un moto di piazza e il presidente Slobodan Milosevic arrestato (nel 2001) e deferito al Tribunale dell'Aia per un processo farsa, conclusosi con la sua morte in carcere; il Kosovo sarebbe stato trasformato in uno stato fantoccio, guidato dai capi delle bande di trafficanti di organi umani dell'UCK, che, in un clima intimidatorio di discriminazione nei confronti delle minoranze nazionali (a cominciare da quella serba), ha consentito la costruzione della più grande base militare USA del nostro continente, utilizzata anche come campo di prigionia, una sorta di Guantanamo europea.
Mentre la NATO avrebbe accelerato la sua “marcia trionfale” verso est, con l'incorporazione di quasi tutti gli ex stati socialisti dell'Europa centro-orientale, fino a incombere minacciosamente alle frontiere stesse della Federazione Russa, non esitando a tale scopo a sostenere un colpo di Stato in Ucraina che ha fatto calare nuovamente le ombre del nazifascismo in Europa, e ad appoggiare una guerra di sterminio contro le popolazioni russe e russofone del Donbass.

Fu una campagna condotta unicamente dal cielo, costellata di atrocità inaudite, di massacri della popolazione inerme attraverso vigliacchi bombardamenti che non hanno risparmiato le strutture civili, come case, ospedali, scuole, fabbriche,  centrali e la stessa sede della Televisione jugoslava, ridotta in macerie, il 23 aprile 1999, da un'incursione che provocò 16 morti. A Belgrado furono allora colpite persino le ambasciate di paesi contrari all'avventura militare, come quella della Repubblica Popolare Cinese, con alcuni morti sotto le bombe: certo non un “errore” come ci si affrettò a comunicare, ma piuttosto un primo deliberato e minaccioso avvertimento, da parte dei fautori di un mondo “unipolare”, al grande paese socialista che stava emergendo come protagonista di primo piano della scena mondiale.

Si trattò di una campagna, iniziata molto tempo prima con l'avvio del processo di disgregazione della Jugoslavia socialista, e caratterizzata dalla massiccia intossicazione mediatica dell'opinione pubblica occidentale. Si era avviata così la stagione di quella “guerra di propaganda” che, in seguito, avrebbe distinto la preparazione di tutte le aggressioni imperialiste - da allora succedutesi nelle più diverse regioni del mondo e tragicamente in corso anche in questo momento - contro paesi e popoli che, come quello della Repubblica Federale della Jugoslavia, non intendono piegare la testa di fronte al “nuovo ordine mondiale” - con i massacri USA-NATO della popolazione civile sistematicamente presentati come “effetti collaterali”, mai come delitti deliberatamente portati a compimento.

A questa criminale impresa diede un apporto decisivo anche l'Italia - guidata allora da un governo di centro-sinistra presieduto da Massimo D'Alema - non solo con il supporto logistico ai 600 micidiali raid giornalieri contro le città e i villaggi jugoslavi, ma anche con la partecipazione diretta di piloti e aerei del nostro paese ai bombardamenti, smentita in un primo tempo dalle fonti ufficiali ma confermata da numerose testimonianze, a cui da parte governativa non si esitò a rispondere con arroganza.

Mai in seguito, dall'allora presidente del Consiglio (e da coloro che ne avallarono le scelte nel suo partito) sono venuti segnali di ripensamento autocritico rispetto a decisioni che hanno coinvolto il nostro paese in una vicenda bellica dalle così tragiche conseguenze, sul piano delle vittime civili (oltre 2.000 secondo alcune fonti), delle micidiali distruzioni che si proponevano di annientare ciò che rimaneva della Jugoslavia, ed anche dei devastanti effetti sull'ambiente, che non hanno risparmiato neppure le acque del Mare Adriatico che bagnano le nostre coste, inquinate da quell'uranio impoverito che, in quantità massicce, fu sganciato nel corso dell'aggressione.

Occorre opportunamente rammentare che fu proprio dalle basi USA-NATO collocate sul territorio italiano che partirono le operazioni di una impresa militare che violava tutte le più elementari norme del diritto internazionale, nel disprezzo assoluto del ruolo delle Nazioni Unite, della sua Carta costitutiva e dello stesso articolo 11 della nostra Costituzione repubblicana. Come pure non va assolutamente dimenticato che l'aggressione imperialista ebbe l'avallo sostanziale ((oltre che della gran parte dell'opposizione di centro-destra) di tutta la coalizione parlamentare che sosteneva il governo italiano e che allora non ne mise in discussione la tenuta, in un contesto vergognoso di ipocriti distinguo, patetiche giustificazioni e spudorate menzogne - smentite in seguito dalle più autorevoli testimonianze -, utili a criminalizzare la Jugoslavia aggredita, allo scopo, da un lato, di carpire l'appoggio dell'opinione pubblica e, dall'altro, di ridimensionare la portata dell'intervento italiano nella guerra.

Oggi, mentre il nostro paese è sul punto di partecipare all'ennesima operazione militare a guida USA/NATO, riteniamo doveroso rinfrescare la memoria su quella pagina oscura della storia patria, perché sono ancora troppi quelli che ne rivendicano la legittimità, come pure quelli che fingono di essersene dimenticati.


*Direttore di Marx21


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BOMBE SU BELGRADO, DECOLLATE DALL’ITALIA.. ERA IL 24 MARZO 1999

24/03/2018
di Alberto Tarozzi

Un altro anno è passato, ma il tempo non ci allontana da quel 24 marzo 1999. Qualcuno domanda: “Lontano da cosa?”.
Quei 78 giorni di bombe su Belgrado, 19 anni fa, subito vennero giustificati e quasi subito vennero dimenticati. Ma le tracce di quel passato ad ogni anno mostrano segni più profondi.

E’ dell’altro giorno la tragedia che diventa farsa. Il parlamento del Kosovo, lo stato partorito da una guerra e da anni di terrore, è stato luogo di scontri a base di lacrimogeni, che l’hanno trasformato nel palcoscenico di una sceneggiata fuori dell’ordinario. I kosovari albanesi in lite fra loro per un pugno di metri quadri. Gruppi denominati “guerrieri”, ma fino al 1998 nel libro nero del terrorismo, secondo la stessa Nato, poi assunti dall’occidente al rango di padri della patria di uno Stato che anche noi abbiamo riconosciuto. Uno stato che una accreditata rivista di studi geopolitici come Limes ha definito, tempo fa, “Stato delle mafie”, tanto per rendere l’idea. Un giudizio super partes, avallato dalla testimonianza di un generale Fabio Mini, che quella guerra combatté, con un ruolo autorevole, dalla parte della Nato e corredato dalla documentazione sui crimini contro i serbi, raccolta da una giudice svizzera, Carla Del Ponte, incaricata di far luce sui crimini di Milosevic.

All’origine del contenzioso odierno tra kosovari albanesi, al gusto di lacrimogeni, 80 km di metri quadri che una parte di quei guerrieri riconosce al Montenegro e che un’altra parte di loro ritiene intoccabili territori kosovari. Poveri loro, nessuno li ha avvertiti che il Montenegro adesso fa parte della Nato e che su quel fronte la festa è finita.

Tra Pristina e Belgrado, faticose ricuciture a corrente alternata paiono di quando in quando raffreddare le tensioni nei giorni pari, nel nome di un’entrata nella Ue. Poi la fiamma si riaccende, nei giorni dispari, perché mano misteriose assassinano un leader serbo kosovaro disposto al dialogo oppure perché quel buco balcanico che si chiama Serbia può fare gola alle superpotenze e la speranza del non allineamento ha i colori sfumati di un miraggio. Una tregua da qualcuno chiamata pace.

Il Kosovo oggetto di contesa di quella guerra, sopravvive nel segno della miseria e dell’abbandono, avendo come simbolo i pullman carichi di gente che se ne va da Pristina e dintorni, col biglietto di sola andata, Non sanno che festeggiare al ripetersi delle ricorrenze e giunti in terra Ue si sentono dire che se ne devono andare. Trattati come clandestini perché provenienti da un paese che ufficialmente non presenta elementi sufficienti di criticità.
La Serbia ha incassato qualche benemerenza a Bruxelles e a Berlino, quando ha soccorso i profughi lungo la rotta dei Balcani, ma le ombre della sera calano in fretta sulle genti di una Belgrado che taglia le pensioni per compiacere i guru dell’austerity che predicano a Francoforte. E cala in fretta sui malati di cancro che continuano a riproporsi, nel silenzio tipico di una autocensura delle vittime, conseguenze di bombe all’uranio impoverito o di quelle che hanno colpito i petrolchimici di Pancevo e le raffinerie di Novi Sad.

Ovunque, nella ex-Jugoslavia, fuoco sotto la cenere: Croazia, Bosnia, Macedonia ancora tregue col nome di pace.
Noi, Italia, quelli cha allora combatterono in prima linea e qualcuno di noi più in prima linea che mai, sul fronte della retorica.

Di quella scelta paga ancora oggi il prezzo Massimo D’Alema che, confermando la disponibilità delle basi italiane come rampe di lancio per i bombardieri Nato, di quei giorni fu protagonista. Ma oggi lui ha altre scelte da pagare: quelle di essere sceso in campo, alle recenti elezioni, convinto di avere dietro di sé masse a due decimali, dovendo poi constatare che poteva contare solo su di un gruppo di reduci da sconfitte a catena. Un destino amaro, senza neppure la consolazione di costituire un punto di riferimento italiano per i suoi amici americani della Fondazione Clinton, oggi declinante, a dispetto delle donazioni saudite.

Minore il prezzo pagato da Emma Bonino, che anticipava ogni bombardamento della Nato con suppliche di intervento bellico-umanitario. Memorabili solo per chi non dimentica, sue frasi come “Usa, aiutaci a punire i colpevoli” cui seguivano le bombe su civili innocenti.

Ma, sia pure con un grosso sforzo, proviamo a ricordarci anche di chi non aveva in ballo coinvolgimenti di parte. Come poteva essere la Presidenza Clinton per D’Alema oppure Georg Soros, teorico della dissoluzione dei Paesi a socialismo reale, presente a Belgrado con una sede della sua Open society e di cui la nostra Emma si dichiara ancora apertamente amica.

Se propaganda di guerra, in termini mediatici, significa soprattutto sottolineare i crimini di guerra di una parte in causa, quella da colpire, e farla breve sui crimini della parte che va sostenuta, come altrimenti definire le esternazioni di chi in quei tempi (1998/99) dichiarava, ad esempio sulla rivista “Vita” che “i cecchini serbi hanno ucciso un vecchio albanese, con i suoi due muli. Gli hanno sparato in pieno territorio albanese, poi i soldati di Milosevic ne hanno trascinato il cadavere in Jugoslavia” e poi via via tutto un “ci hanno detto”, “c’è il timore che”, costantemente abbinato a crimini dei serbi e soltanto dei serbi. A chi domanda se le guerre siano sempre le stesse, nel 99, sempre su “Vita” si risponde “Nei Balcani forse, perché la matrice è sempre quella, le pretese egemoniche serbe”. Con riferimento a crimini reali, purtroppo, e comunque credibili, anche quando non documentati da altre fonti. Impresa titanica, però, trovare nelle parole di quella persona riferimenti ad altri crimini dimostrabili, come le teste di serbi mozzate ed esibite in rete da terroristi musulmani, probabilmente di importazione, in terra bosniaca, ad anticipare la fioritura del terrorismo islamico da quelle parti, come testimoniato dalla costruzione di una moschea a Zenica, opera dei talebani.
E neppure troviamo l’episodio di una deportazione di oltre 100mila serbi espulsi dalle truppe croate dalle terre di Krajna, usati in parte da Milosevic per “ripopolare” il Kosovo e trovatisi due volte profughi nel giro di pochi anni. Cacciati prima dai croati e poi dai kosovari albanesi. La cosa avrebbe dovuto essere già da allora di dominio pubblico, se negli stessi articoli di “Vita” un cooperante italiano in Kosovo, Alessandro Pieroni, che pure non risparmia critiche pesanti alla Jugoslavia di Milosevic, ne riferisce ampiamente. Invece il riferimento ai crimini di guerra riconduce esclusivamente alla matrice serba; se qualcuno trovasse traccia di questa storia di perseguitati serbi nelle parole della persona di cui stiamo parlando lo preghiamo di segnalarcelo. Oltre tutto quella persona non era sulla linea del fronte come D’Alema a guerreggiare per una parte contro l’altra, ma doveva rappresentare una istituzione al di sopra delle parti. Ci riferiamo a Laura Boldrini allora rappresentante delle Nazioni Unite in terre balcaniche (Unhcr) e alle sue interviste, dove era facile trovare tracce delle colpe degli uni, mentre costituiva impresa ai limiti dell’impossibile trovare un riscontro delle colpe altrui.

Pure di quanto commesso dalla Nato e sulle sue conseguenze o comunque su colpe non solamente serbe, esistevano ed esistono testimonianze in base alla quali rivedere eventualmente le posizioni di un tempo. Pensiamo ai reportage di Ennio Remondino, Massimo Nava, Sigfrido Ranucci, Elena Ragusin, Aldo Provvisionato, Tommaso Di Francesco, Michele Santoro, Massimo Serafini, Giuseppe Zaccaria, Angelo Mastrandrea, Lorenzo Sani, Fulvio Grimaldi e anche alle testimonianze di chi riteneva che quella guerra avesse un senso come Alberto Negri o Tony Capuozzo.

La stessa Amnesty, che non crediamo possa essere ritenuta colpevole di pregiudiziale antiamericanismo stese un dossier critico e molto dettagliato e ancora in questi giorni dichiara che sussistono ostacoli alla consegna degli autori di crimini di guerra alla giustizia per “una costante mancanza di volontà politica in tutti e sei i paesi” (Croazia, Serbia, Kosovo, Macedonia, Bosnia, Montenegro).

Peraltro la memoria fa brutti scherzi anche dove non te lo aspetteresti. E così sul fronte pacifista, dove pure si rifiutano il concetto-ossimoro di guerra umanitaria e i contatti con D’Alema, proprio per quegli eventi, si sente parlare di “guerra IN Kosovo”. In realtà quella guerra venne fatta a proposito del Kosovo e anche nel Kosovo si sviluppò, ma gran parte dei raid aerei ebbero come obiettivo Belgrado e altre città della Jugoslavia di allora, perché lì era prioritario colpire, distruggere l’economia per le generazioni presenti e l’ambiente a riguardo delle generazioni future.

24 marzo, l’anno prossimo saranno vent’anni. C’è chi preferisce dimenticare. Fatti suoi. Noi ricordiamo e speriamo solo che il ventennale non sia costituito da giorni in cui si abbia a rompere una delle tanti fragili tregue che vedono la sopravvivenza di quei luoghi e di chi li abita.


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24 MARZO 1999 - 24 MARZO 2018: PER NON DIMENTICARE - ENRICO VIGNA

Saturday, 24 March 2018

A cura di Enrico Vigna- Forum Belgrado Italia

“…la guerra non è una canzone, che si può dimenticare
 la guerra è una favola funesta, che ogni giorno si manifesta…”     ( Milena N. Kosovo, 12 anni )
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…Ho appena dato mandato al comandante supremo delle forze alleate in Europa, il generale Clark, di avviare le operazioni d'aria (ndt: bombardamenti aerei…) sulla Repubblica Federale di Jugoslavia…Tutti gli sforzi per raggiungere una soluzione politica negoziata alla crisi del Kosovo sono falliti e non ci sono alternative all'intraprendere l'azione militare…”.

Così, il 23 marzo 1999, l'allora Segretario generale della NATO J. Solana, davanti ai mass media del mondo, decretava l'inizio della fine della “piccola” Jugoslavia e del popolo serbo in particolare…

L'aggressione alla Repubblica Federale di Jugoslavia/ Serbia…era motivata dalla necessità di fermare una “pulizia etnica”, un “genocidio” e ripristinare i “diritti umani” nella provincia. Perché queste furono le tre basi fondanti su cui la cosiddetta Comunità Internazionale: cioè gli otto paesi più ricchi della Terra, cioè il loro braccio armato, la NATO (in quanto i governi dei 2/3 dell'umanità tra voti contrari e astensioni, erano contrari alla guerra) hanno decretato l'aggressione alla Jugoslavia il 24 Marzo 1999.
La realtà sul campo è esattamente il contrario delle verità ufficiali raccontate dalla NATO, dall’UNMIK, dall’OSCE o dalla cosiddetta Comunità Internazionale.

Dopo 19 anni dove sono la cosiddetta “pulizia etnica”, il “genocidio”, “le fosse comuni” con le decine di migliaia di albanesi kosovari dentro?
Quando, secondo i documenti CIA, FBI, OSCE, Unmik, NATO… a tutt’oggi: 
sono stati ritrovati 2108 corpi di tutte le etnie; 
secondo l’UNCHR i primi profughi sono stati registrati il 27 marzo 1999, cioè 3 giorni dopo l’inizio dei bombardamenti; 
sono stati uccisi dal giugno ’99 in poi 3.000 serbi, rom, albanesi jugoslavisti, e di altre minoranze; sono stati rapiti 1300 serbi; oggi si sa (tramite le memorie della ex procuratrice del tribunale dell’Aja per la Yugoslavia, Carla Del Ponte) che loro sapevano dei 300 serbi rapiti dalle forze terroriste dell’UCK portati in Albania per estirpare loro gli organi ad uno ad uno.

 

Ora viviamo come in gabbia, prigionieri, ma gli stranieri dicono che siamo liberi...”.                    

Jovan 10anni, enclave di Gorazdevac, Kosovo

24 marzo 2018 – Anniversario dell’aggressione della NATO alla Repubblica Federale Jugoslava

Il 24 marzo, ricorrono 19 anni dall’inizio dell’aggressione NATO alla Repubblica Federale di Jugoslavia.
Durante questa aggressione, che è durata 78 giorni, migliaia sono state le vittime, un gran numero sono state feriti e resi invalidi permanentemente.
Durante l’aggressione NATO contro la Repubblica Federale di Jugoslavia dal 24 marzo al 10 giugno 1999, l’aviazione della NATO ha effettuato numerosi attacchi, bombardando civili e obiettivi non militari.
Molti bambini sono periti durante questi attacchi, e sono anche  morti molti malati ricoverati negli ospedali, passanti, persone nelle strade, nei mercati, nelle colonne dei profughi.
Sono stati distrutti ospedali, abitazioni, scuole, ponti, chiese, monasteri.
Questi attacchi sono stati cinicamente definiti dagli ufficiali della NATO come danni collaterali, benché si trattasse di attacchi il cui obiettivo era di distruggere il morale della popolazione con l’intimidazione intenzionale come strumento.
Ecco alcuni esempi di bombardamenti in cui le vittime sono stati i civili :

4 aprile : stazione di riscaldamento urbano a Belgrado (un morto)
12 aprile : treno viaggiatori nella gola di Grdelica (20 morti)
14 aprile : una colonna di profughi in Kosovo (73 morti)
23 aprile : la sede della Radio-Televisione di Serbia (16morti)
1 maggio : un ponte in Kosovo (39 morti)
3 maggio : un bus nei pressi del villaggio Savine Vode in Kossovo (17 morti)
7 maggio : la città di Nis (17 morti)
8 maggio : un ponte a Nis (2morti)
13 maggio : un campo profughi in Kosovo (tra 48e 97 morti)
19 e 21 maggio : la prigione Durava nel Kosovo (23 morti)
30 maggio : il ponte nella città di Varvarin sul fiume Morava, durante una religiosa (10 morti tra i    quali una liceale Sanja Milenkovic  e un prete della locale chiesa)

Non è che un piccolo numero delle vittime civili dell’aggressione NATO.
Come esseri umani e come persone coscienti, abbiamo un obbligo morale di rendere omaggio a queste vittime e a tutte le altre vittime dell’aggressione.
In questa lunga lista di vittime menzioniamo la piccola Milica Rakic, una bimba di 2 anni della periferia di Belgrado, così come le piccole vittime della bombardamento della sezione infantile dell’ospedale Misovic a Belgrado e molti altri.
La rete stradale e ferroviaria distrutte, altrettanto un gran numero di fabbriche, di scuole, ospedali, installazioni petrolchimiche, di monumenti e siti culturali.
Il danno diretto è stato stimato in 100 miliardi di dollari americani.
Intere regioni della Serbia e in particolar modo, il Kosovo sono stati inquinati a causa dell’uso dell’uranio impoverito. 
Le conseguenze per la popolazione e soprattutto per i nuovi nati si manifestano in orrende malformazioni che si acutizzano con il passare del tempo.

Decine di migliaia di serbi resistenti, continuano a vivere in enclavi, tuttora protetti per evitare violenze ed assalti.

L’aggressione della NATO contro la R.F. di Jugoslavia ha rappresentato un colpo senza precedenti all’ordine giudiziario internazionale, ai principi delle relazioni internazionali e alla carta delle Nazioni Unite.
A seguito delle motivazione e delle sue conseguenze, quest’aggressione ha rappresentato il primo  avvenimento globale più importante dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Si è trattato di una guerra contro l’Europa, le cui conseguenze si vedono oggi. 
L’aggressione contro la Jugoslavia ha lastricato la strada per l’utilizzo unilaterale della forza nelle relazioni internazionali ed ai successivi attacchi all’Afghanistan, all’Iraq, alla Siria, alla Libia e in questi mesi i venti di guerra sono in Ucraina, ai confini della Russia.  
Durante questa aggressione una stretta alleanza tra la NATO e l’organizzazione terroristica, chiamata Armata di Liberazione del Kosovo (UCK) è stata realizzata, garantendo a questi ultimi la trasformazione da terroristi a governanti dell’attuale stato fantoccio del Kosovo.
Le conseguenze di questa alleanza si sono continuate a manifestare anche in questi 16 anni,  attraverso la continuazione di forme di intimidazione e terrorismo contro la popolazione serba ed ogni altra popolazione non albanese in Kosovo e Metohija; tra cui anche attacchi e distruzioni di monumenti della cultura cristiana, antifascista e jugoslavista.
La dimostrazione più evidente di tutto quanto sopra descritto sono stati gli avvenimenti accaduti dal 17 al 19 marzo 2004, quando i terroristi albanesi hanno cacciato altre migliaia di serbi dalle proprie case e distrutto altre 35 chiese e monasteri serbi risalenti al medio evo.
Le conseguenze di questa aggressione sono molteplici: 
presenza e rete di collegamenti e di cellule jihadiste nei Balcani, sono documentati in alcune centinaia gli jihadisti kosovari partiti da lì per la Siria e la Libia, in questi ultimi anni.
L’impossibilità a tutt’oggi del rientro in Kosovo di 250.000 tra serbi e altre minoranze non albanesi, che furono cacciati dopo l’arrivo dell’UNMIK e della KFOR.
Pochissimi dei 150, tra chiese e monasteri, che sono stati distrutti, dal 10 giugno 1999, è stato ricostruito e tutto ciò malgrado le promesse fatte.
Sono tutti indifferenti nei confronti di tutto ciò ? 
I Balcani, la Serbia e i paesi della regione necessitano di pace, di stabilità e di sviluppo.
Tutto ciò è possibile solo nel rispetto delle risoluzioni dell’ONU, sancite tra le parti nel 2000, alla cessazione dei bombardamenti, in particolare la Risoluzione 1244 che assicurava le garanzie ed i diritti uguali per tutte le popolazioni dell’area. 
MA ESSA E’ TUTTORA CALPESTATA E RIMOSSA.

Enrico Vigna, 24 marzo 2018                                                        

Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali
                                                               
Forum Belgrado Italia – Assoc. SOS Yugoslavia-SOS Kosovo Metohija

S.O.S. Yugoslavia
S.O.S. KOSOVO METOHIJA  





(srpskohrvatski / english / italiano)

24 MARZO 1999--2018
XIX Anniversario della aggressione NATO contro la RF di Jugoslavia

1) PROGRAM 2018: Деветнаест година од почетка агресије / Nineteen years ago the start of the aggression
* 21.3.: НАТО-АГРЕСИЈА КОЈА ТРАЈЕ (Конференција); 24.3.: DA SE NE ZABORAVI
* АПЕЛ: Мораторијум на војне вежбе Србије са НАТОМ 2019.
* CONFERENCE REPORT: Continuing Aggression

2) FLASHBACK 2017:
* APPEAL of the Conference titled “NATO Aggression, 18 years on – where do we stand today?” (Belgrade 23.3.2017.)
* АПЕЛ са конференције ,,Агресија НАТО 18. година после – где смо данас?'' (Beograd 23.3.2017.)
* 18. годишњица рушења Варваринског моста у агресији НАТО


Sulla aggressione della NATO si veda anche la sezione dedicata sul nostro sito internet:


=== 1: PROGRAM 2018 ===


XIX Anniversario della aggressione NATO contro la RF di Jugoslavia


24. 3. 1999. – 2018. 19. godišnjica od NATO-agresije protiv SR Jugoslavije / 19th Anniversary of the NATO aggression against the FR of Yugoslavia

 

L'annuncio delle iniziative che si terranno a Belgrado nel 19.mo Anniversario della aggressione della NATO:

 

Деветнаест година од почетка агресије

НАТО-АГРЕСИЈА КОЈА ТРАЈЕ (Конференција)

DA SE NE ZABORAVI

PROGRAM (Izvor)

Sreda 21.3.2018.

11:00 Konferencija ha temu: DEVETNAEST GODINA OD POCETKA AGRESIJE NATO. AGRESIJA KOJA TRAJE
Dom Vojske Srbije, svecana sala, Brace Jugovica 19, Beograd
Govore: Momir Bulatovic, Milomir Miladinovic, Nikola Sajnovic, Zivadin Jovanovic, Slobodan Petkovic

Subota, 24.3.2018.

11:00 Polaganje cveca kod spomenika Deci-zrtvama agresije NATO, park Tasmajdan
12:00 Polaganje cveca kod spomenika zrtavama agresie NATO "Vecna vatra", park "Usce", Novi Beograd



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19-ТА ГОДИШЊИЦА АГРЕСИЈЕ НАТО НА СРБИЈУ (СРЈ)

среда, 21 март 2018 

МОРАТОРИЈУМ НА ВОЈНЕ ВЕЖБЕ СРБИЈЕ СА НАТОМ 2019. - АПЕЛ

И овог марта Београдски форум за свет равноправних, Клуб генерала и адмирала Србије и друга независна нестраначка удружења одају почаст жртвама агресије НАТО. У тој агресији пало је преко хиљаду бранилаца, војника, полицајаца и њихових старешина, као и више хиљада цивила међу којима и 87-ро деце. Списак цивилних жртава, нажалост, још увек није утврђен иако се њихов број процењује на око 3000. Колико је људи изгубило животе по окончању оружане агресије због тешких рањавања, неексплодираних касетних бомби, тровања хемијским супстанцама услед разарања рафинерија, трафо станица и фабрика хемијских производа, а посебно услед закаснелих последица коришћења оружја са осиромашеним уранијумом, тешко да ће икада бити прецизно утврђено. Штета од разарања индустрије, инфраструктуре, стамбених и објеката од јавног значаја процењена је на преко 100 милијарди долара.
Тим поводом, у Дому Војске Србије, 21. марта је одржана конференција са темом „19 година од почетка агресије НАТО – агресија која се наставља“ којој су присуствовали генерал Александар Живковић, државни секретар у Министарству одбране, пук.. Иришкић, представник ГШ ВС, амбасадори Белорусије Валериј Бриљов и Палестине Мухамед Набхан, представник Амбасаде Руске федерација пуковник Короњенко, као и представници других амбасада пријатељских земаља, гости из Црне Горе, Републике Српске, Немачке, Македоније и други.

На Конференцији су говорили Проф. Др Момир Булатовић, ранији председник Савезне владе СРЈ, Мр. Никола Шаиновић, ранији председник владе Србије и потпредседник Савезне владе СРЈ, Миломир Миладиновић, генерал у пензији, председник Клуба генерала и адмирала Србије, Живадин Јовановић, председник Београдског форума за свет равноправних, Слободан Петковић, генерал у пензији, проф. Др Милован Милутиновић, председник организације старешина Војске Републике Српске, Симо Спасић, председник Удружења породица отетих, несталих и убијених на Косову и Метохији, гости из Немачке и други.
Конференцији је присуствао велики број чланова и пријатеља Београдског форума и Клуба генерала и адмирала Србије, међу којима су била и три ранија наћелника Генералштаба ВС, генерали – Бранко Крга, Драгољуб Ојданић и Милоје Милетић.

Учесници Конференције су једногласно усвојили два апела, први је иницијатива државним органима да се поводом 20-те годишњице агресије, 2019. година прогласи годином мораторијума на војне вежбе Србије са НАТО-м како би се и на тај начин одала почаст палим браниоцима отаџбине и цивилним жртвама агресије НАТО и други, да се све мирољубиве организације, покрети и појединци ангажују са циљем да се заустави даљи раст напетости и продубљивање неповерења у глобалним односима, да се заустави трка у наоружавању и ширење страних војних база, да се унапреди дијалог, партнерство и равноправност као основа односа међу великим силама и светског поретка како би се отклонила растућа опасност од глобалне конфронтације и конфликта. 
Велику пажњу изазвало је излагање генерала Слободана Петковића о катастрофалним последицама коришћења пројектила са осиромашеним уранијумом по здравље људи и природну околину. Он је навео да су пројектили са осиромашеним уранијумом масовно кроишћени тек у завршници агресије када је било јасно да предстоји договор о прекиду агресије што упућује на закљућак да су водеће земље чланице НАТО показале да журе да се ослободе тоих пројектила, односно, нуклеарног отпада, пре него што им се та прилика ускрати. 

Председник Београдског форума Живадин Јовановић је рекао да говорити о агресији НАТО данас значи говорити о грубом кршењу међународних закона, Повеље ОУН, Завршног документа ОЕБС из Хелсинкија и Париске повеље. Заобилажењем Савета безбедности НАТО је 1999. направио преседан који ће касније користи за глобализацију интервенционизма и дестабилизацију целе планете. То је био најозбиљнији ударац Европском и светском систему безбедности од којег се Европа и свет нису опоравили до данас. НАТО је на свом самиоту априла 1999. године у Вашингтону своју јубиларну 50. годишњицу обележио напуштањем дефанзивне и усвајањем офанзивне стратегију експанзије на Исток коју следи и данас у посве другачијем распореду снага на глобалном плану. Извор опасности по мир данас лежи превасходно у немирењу са новим односом моћи карактеристичном за мултиполарност и у илузијама да се привилегије водећих чланица НАТО стечене у ранијим деценијама могу одбранити војном силом, односно, нуклеарним оружјем – сматра Јовановић. Он је рекао да 19 година после агресије водеће чланице НАТО покушавају да оправдају тај злочин против мира и човечности. У том циљу настоје да принуде Србију да учествује у исцртавању нових међународних граница и стварању још једне државице на делу српске државне територије коју они зову «Република Косово». Наметнути рокови и решење по мери геополитичких циљева, сматра Јовановић, не могу довести до мирног и одрживог решења већ искључиво воде гомилању конфликтног потенцијала на Балкану. На односу Европе, а пре свега, Немачке и Велике Британије, као и САД, према начину решавања питања статуса српске Покрајине Косово и Метохија, показаће се да ли је Европа на путу стабилизације и развоја или је безнадежно на колосеку даљег продубљивања нестабилности, слично стању 1938. када је наивно веровала да Судете жртвује ради мира а добила је рат – упозорио је Јовановић. Он је подвукао да једино уравнотежени компромис на основу резолуције СБ УН 1244, уз поштовање суверенитета и територијалног интегритета Србије, гарантују одрживост мира и стабилности на Балкану и у Европи.

У суботу, 24. марта Београдски форум и Клуб генерала и адмирала Србије организују полагање цвећа код споменика деци - жртвама агресије, Парк „Ташмајдан“ (11ч.) и код споменика жртвама агресије НАТО у парку „Ушће“, Нови Београд (12ч.).


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CONTINUING AGGRESSION

19 years since the start of the NATO military aggression on Serbia (FRY)

Once again this March, the Belgrade Forum for a World of Equals, the Club of Generals and Admirals of Serbia and other independent non-party associations in Serbia pay tribute to the victims of NATO 1999 aggression on Serbia (FRY). This aggression took lives of more than thousand defenders, military and the police and their officers, and also of thousands of civilians, including 87 children. Regrettably, the final list of the civilian casualties has not been determined as yet, although the number is estimated to stand at over 3,000. About 10.000 people were wounded. However, the number of those who lost their lives after the end of the aggression due to sustained heavy injuries, or from unexploded cluster bombs, chemical poisoning that resulted from the destruction of refineries, transformer stations, chemical factories and, in particular, due to the delayed effects of the use of missiles with depleted uranium, most likely, will never be precisely determined. There is a certainty, though, of a large scale of victims of the cancerous diseases never heard of before the aggression, with no end of the suffering of the people at sight. The direct damage from the devastation of the industry, infrastructure, residential buildings and facilities of public importance, was estimated to exceed $ 100 billion.
This year, March 21st the Central Military Club of Serbia in Belgrade served as the venue for the Conference titled “NATO Aggression 19 Years On - Aggression Continues”. Among the guests were General Aleksandar Živković, State Secretary in the Ministry of Defense, Colonel Iriškić,  of the General Staff of the Serbian Army, Ambassadors of Belarus Valery Brilov and of Palestine Muhammad Nabhan, representative of the Embassy of the Russian Federation Colonel Koronyenko, as well as representatives of other embassies of friendly countries, and coleagues from Montenegro, the Republic of Srpska, Germany, Macedonia, and others.
The Conference speakers included Prof. Dr. Momir Bulatović, former President of the Federal Government of the FR of Yugoslavia, mr. Nikola Šainović, former President of the Government of Serbia and Deputy-President of the Federal Government of the FRY, General Milomir Miladinović, retired, President of the Club of Generals and Admirals of Serbia, Živadin Jovanović, President of the Belgrade Forum for a World of Equals, General Slobodan Petković, retired, Prof. Dr. Milovan Milutinović, President of the Organization of Senior Officers of the Army of Republic of Srpska, Simo Spasić, President of the Association of Families of the Abducted, Missing and Killed Persons in Kosovo and Metohija, and others.
The Conference was also attended by about 150 members and friends of the Belgrade Forum for a World of Equals and of the Club of Generals and Admirals of Serbia, including three former Chiefs of Staff of the Army General Branko Krga, General Dragoljub Ojdanić and General Miloje Miletić

 
Tribute to the victims - stop military exercises with NATO in 2019

The participants of the Conference unanimously endorsed two appeals.  The first addressed to the state authorities to declare moratorium on all military exercises of Serbia and NATO in 2019, as the year marks the 20th anniversary of the aggression, and thus pay tribute to the fallen defenders of the motherland and the civilian victims of this NATO aggression. The second is to invite all peace-dedicated organizations, movements and individuals to engage with a view to halting further rise of tensions and the deepening of mistrust in global relations, to stop the arms race and expansion of foreign military bases, to promote dialogue, partnership and equality as the only basis of normal relations between the countries, stability and development in the world, so to eliminate causes of the growing danger of a global conflict. 
“Political processes preceding the 1999 NATO aggression has not been finished as yet” - said the first speaker Momir Bulatovic, the war Prime minister. He said: “In order to justify criminal act of aggression and preserve Alliance’s credibility they invented our apparent crimes. They created exodus of Albanians falsifying justification for the bombardment. For those who are open to see the truth this has been proved even in Hague tribunal”- said Bulatovic. 
The professional presentation of General Slobodan Petković on the catastrophic consequences of the use of missiles filled with depleted uranium on human health and the environment has attracted great attention. He revealed that a massive use of the missiles with depleted uranium began in the final days of the aggression when it became clear that the agreement on termination of the aggression was impending. Hence, it may be inferred that the leading countries of NATO were in a hurry to get rid of such missiles containing nuclear waste, before the opportunity would disappear. 

 
Blow to the European security system

President of the Belgrade Forum, Živadin Jovanović, said that to talk about NATO aggression today means to talk about gross violation of the international laws, the UN Charter, the Final Act from Helsinki, and the Paris Charter. By circumventing the UN Security Council, NATO has created a precedent using it later on for a chain of other aggressions in Afghanistan, Iraq, Libya, Mali and other countries. Such a practice has led to the globalization of interventionism and destabilization of the entire planet. This was not the most severe blow to the European and the global security system, from which neither Europe nor the world managed to recover to this day. 
Speaking about this aggression inevitably reminds us on the alliance between NATO and the terrorist KLA which led to the ethnic cleansing of over 250.000 Serbs from the Serbian province of Kosovo and Metohija who still are waiting to return freely and safely to their homes and fields. Over 150 Serbian churches and medieval monasteries a number of which belong to the world heritage under UNESCO custody had been destroyed during and in the aftermath of the aggression.   The Aggression continues in so far occupied and stolen Kosovo and Metohija has proclaimed unilateral secessions in 2008 in spite of being under UN mandate, solely by support and recognition of that illegal act by the governments of the most of NATO and EU member countries. This is also precedent which has been invoked in a number of other cases and will be invoked even more frequently in the future.  
At the April 1999 Washington Summit marking 50th anniversary of its foundation NATO leaders abandoned the defensive and adopted offensive strategy of expansion to the East, in fact, to the Russian western borders. To date, NATO pursues the same strategy even if in a quite different global distribution of might. Presently, the root causes of the danger for peace are to be found in the denial of a new balance of power that is indicative of multi-polarity, and in the delusions that the privileges of the leading NATO members acquired over the past decades may be defended by military force, that is, by nuclear weapons – contends Jovanović. He went on to say the West is having great difficulties in adapting to the new realities of a multi-polar world. The only way to bring the world back to stability, peace and development is to abide with the principles of equality, partnership and mutual respect.

 
Kosovo - Sudetenland

He added that, 19 years since the aggression, the leading members of NATO seek to vindicate this crime against the peace and humanity. To that end, they are attempting to coerce Serbia to participate in drawing of the new international borders in the part of Europe, in creation of another puppet criminalized state stealing the part of the Serbia’s state territory. The imposed timetable and solution fitting someone else’s geopolitical goals, in the opinion of Jovanović, cannot result in a peaceful and sustainable solution, but will rather lead to further build-up of conflict potential in the Balkans. The position taken by Europe, most notably by Germany and the United Kingdom, as well as the USA, on how to resolve the matter of status of the Serbia’s Province of Kosovo and Metohija, will reveal whether Europe is on the course of stabilization and development, or is hopelessly stuck on the path to further deepening of instability, weakening of identity and missing development opportunity. This is reminiscent of the situation in 1938, when some European leaders met in Munich naively believing that sacrificing the Czechoslovakian Sudetes would bring peace and stability. In fact, they become entangled in war – warned Jovanović. He emphasized that only a balanced compromise based on the UN SC Resolution 1244, coupled while observance of the sovereignty and territorial integrity of Serbia, is capable of guaranteeing the sustainability of peace and the stability in the Balkans and in Europe.
Jovanović pointed out that, in the meantime, the NATO aggression has evolved from its military format into other forms, all having the same goals: stealing Kosovo and Metohija from Serbia, drawing new international borders, creating a new Albanian state on a part of the state territory of Serbia, and dividing the Serbian people to those south of this presumed new border making them to be yet another national minority, and to those north of the border remaining in the central Serbia. Attempts are underway to coerce Serbia, with pressures and threats, into collaboration in this geopolitical project by having her refrain to oppose the admission of this illegal construct in the membership of the United Nations. The form is - signing a “comprehensive legally binding document” particularly advocated by Germany.  The aggression continues also by telling Belgrade that “none has the right to veto the creation of the armed forces of Kosovo”, regardless of the territory of the Province of Kosovo and Metohija still being under the UN mandate. The two-year timeline for the ‘delivery’ recently set for Serbia by the EU European Commission, the USA has subsequently reduced to a year, thus demonstrating its dissatisfaction not only with the pace of ‘delivery’ but also with the inefficiency of the European Union.

 
Serbia has chosen - neutrality

The public position of senior NATO echelons is that none is forcing Serbia to accept membership, that Serbia alone is entitled to assess her priorities and interests, though NATO remains open. At lower levels and through the so-called non-governmental sector financed by the funds originating from the member states, however, the points made are that joining NATO is but a natural result of the Serbia’s European (EU) option, that Serbia is encircled by NATO members, that membership bestows huge advantages but does not imply participation in all NATO interventions since this is the matter of own discretion of each member, and so on. It is becoming ever more apparent that NATO is disturbed by anti-NATO public opinion in Serbia whose some 85% of the total population are against membership. This worrying reality prompts NATO to invest great efforts and huge financial resources into portraying NATO as promising, democratic, peace building alliance. Relying on the IPAP (Individual Partnership Action Plan), NATO expects that Serbian official and unofficial structures do contribute to a positive, friendly image of NATO in the public of Serbia. 
Jovanović recalled that there are other neutral countries in Europe which are surrounded by NATO and yet do not feel threatened nor forced to consider formal accession to it. He cited examples of Austria, Switzerland, and Sweden.  Where a country borders with several member states of NATO, this should not imply that, by virtue, NATO poses a threat to the same – said Jovanović. The countries which joined NATO in the period following 1999 aggression on Serbia (FRY) at a short notice,  have different historic experiences, they were no strangers to affiliation in military treaties, have not been neutral or non-aligned and, none of them has genuinely experienced the true meaning of the offensive character and strategy of NATO endorsed at the 1999 Summit in Washington. After all, pointed Jovanović, each country is entitled to own free choice. Serbia’s choice is military neutrality and let it stay so.. She should nurture this neutrality, affirm and strengthen it, by acknowledging the past experiences, tested alliances, and friendships. Serbia is an open, peaceful country and does not fit in a military alliance of an offensive character – concluded Jovanović.



=== 2: FLASHBACK 2017 ===


APPEAL of the Conference titled “NATO Aggression, 18 years on – where do we stand today?”

The participants of the Conference titled “NATO Aggression, 18 years on – where do we stand today?”, held on 23 March 2017, in the House of the Army of Serbia, Belgrade, concluded the following:

- that NATO Aggression of 1999 against Serbia (the FRY) was executed in a gross violation of the UN Charter, the role of the United Nations Security Council, the fundamental principles of the international relations, and of the NATO Founding Act of 1949;
- that NATO Aggression of 1999 constitutes a crime against peace and humanity;

Consequently, the participants of the Conference determine decided to submit to the state institutions of the Republic of Serbia the following:

APPEAL

1.    To compile the list of all civilian victims of NATO Aggression of 1999. This is a moral debt whose observance should not be delayed. 
2.    To establish a state commission tasked with finding out the consequences of the use of weapons filled with depleted uranium and of the destruction of chemical facilities and power stations in terms of repercussions on human health and the environmental damage.
3.    To initiate, ex officio, the matter of reparation for the inflicted war damages, on the basis of the irrefutable fact that NATO committed an armed aggression of 1999 in violation of the UN Charter, of the fundamental principles of the international relations, and of the NATO Founding Act of 1949. This was publicly corroborated by representatives of NATO and by several leaders of NATO Member States who had served at the time of aggression.
4.    To legalize and repair the “Eternal Flame” Monument dedicated to the victims of NATO aggression of 1999, located in the “Ušće” Park in Novi Beograd, which had, during its 18 years of existence, garnered a general affirmation and public appreciation. This includes the carving of the names of all victims of NATO aggression onto the plates surrounding this Monument, and the instalment of the “eternal flame”.
5.    To declare 24 March as the Day of Remembrance of Serbian victims, on which would the national flag be lowered on half-mast on the buildings of all state institutions, establishments and publicly-owned enterprises.
6.    To conduct an expert analysis of the representation and the contents of the subject on NATO aggression of 1999 in curricula and textbooks for the primary and the secondary education, in order to remove any potential gaps, one-sided and/or politicised views, and to enable the young generation to form their judgment on the basis of verifiable facts.

On behalf of the participants, the Conference organizers:

Belgrade Forum for a World of Equals            Club of Serbian Generals and Admirals
Živadin Jovanović, President                                Milomir Miladinović, President          
             
 SUBNOR of Serbia                                          Association of Serbian Hosts
Dušan Čukić, President                                      Nićifor Aničić, President                       

An appeal is delivered to the following address:

Mr Tomislav Nikolić
President of the Republic of Serbia

His Holiness Mr Irinej 
Patriarch of Republic of Serbia

Mr Aleksandar Vučić
Prime Minister of the Republic of Serbia

Mrs Maja Gojković
President of the National Assembly of Serbia

Mr Ivica Dačić
Minister of Foreign Affairs of the Republic of Serbia

Mr Nebojša Stefanović
Minister of Internal Affairs of the Republic of Serbia

Mr Zoran Đorđević
Minister of Defence of the Republic of Serbia

Mr Aleksandar Vulin
Minister of Labour, Employment, Veteran and Social Policy

Mr Vladan Vukosavljević
Minister of Culture and Information

Mr Siniša Mali
Mayor of Belgrade

Mr Mladen Šarčević
Minister of  Education, Science and Technological Development

Prof. Vladimir Kostić Ph.D.
President of Serbian Academy of Sciences and Arts

Prof. Branislav Đorđević Ph.D.
Director of Institute of International Politics and Economics


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АПЕЛ са конференције ,,Агресија НАТО 18. година после – где смо данас?''

Учесници Конференције ,,Агресија НАТО 18. година после – где смо данас?'',  одржане 23. марта 2017. године у Дому војске Србије, Београд, констатовали су

- да је агресија НАТО 1999. против Србије (СРЈ) извршена грубим кршењем Повеље УН, улоге СБ УН, основних принципа међународних односа, као и Оснивачког акта НАТО од 1949.;
- да агресија НАТО 1999. представља злочин против мира и човечности;

Сагласно томе, учесници Конференције су закључили да државним институцијама  Републике Србије упуте следећи:

А П Е Л

1.    Да се у што краћем року утврди листа свих цивилних жртава агресије НАТО 1999. године. То је морални дуг чије извршење не треба одлагати. 
2..    Да се формира Државна комисија за утврђивање последица коришћења оружја са осиромашеним уранијумом, уништавања хемијских постројења и трафо станица, по здравље људи и природну околину.
3.    Да се званично покрене питање накнаде ратне штете полазећи од тога да је неоспорна чињеница да је оружана агресија НАТО извршена 1999. године кршењем Повеље УН, основних принципа међународног парава као и оснивачког акта НАТО-а од 1949. године. Ове чињенице јавно су потврдили и представници НАТО као и више лидера земаља чланица НАТО-а из времена агресије.
4..    Да се изврши легализација и поправка Споменика ,,Вечна ватра'' жртвама агресије НАТО 1999. године, у парку ,,Ушће'', на Новом Београду, који је током осамнаестогодишњег периода постојања доживео афирмацију и поштовање јавности. То укључује урезивање имена свих жртава агресије НАТО на плочама око споменика и активирање ''вечног пламена''.
5.    Да се 24. март прогласи Даном сећања на српске жртве и да се тог дана на свим државим институцијама, установама и јавним предузећема државна застава спусти на пола копља.
6.    Да се изврши стручна анализа заступљености и садржине теме о агресији НАТО 1999. године у наставним плановима и уџбеницима основног и средњег образовања како би се отклониле све, евентуалне празнине, једностраности, или политизација, а младим нараштајима омогућило формирање свести на поузданим чињеницама.

У име учесника Конференције , организатори:

Београдски форум за свет равноправних            Клуб генерала и адмирала Србије
Живадин Јовановић, председник                              Миломир Миладиновић, председник
СУБНОР Србије                                                               Друштво српских домаћина
Душан Чукић, председник                                            Нићифор Аничић, председник



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Београдски форум за свет равноправних традиционално је учествовао у обележавању годишњице злочина НАТО пакта у коме је срушен мост на обали Велике Мораве у Варварину. Поред Спомен обележја жртвама НАТО агресије 1999. године, одржан је комеморативни скуп у знак сећања на осамнаест година од НАТО бомбардовања варваринског моста када је погинуло 10 цивила, 17 тешко рањено, а 70 лакше..
Комеморацији су присуствовали представници Војске Републике Србије, Општине Варварин, града Крушевац, као и представници више десетина удружења, установа, политичких странака, предузећа и стотине грађана ове општине.

Напад на варварински мост догодио се 30. маја 1999, на Свету Тројицу, у 13.05 сати, у време када је у малом градићу био свети дан. Око цркве, у близини Велике Мораве, и на мосту било је на стотине грађана. Два НАТО бомбардера, са неколико пројектила, срушила су челични мост. Многи грађани и верници одмах су потрчали како би помогли онима који су имали снаге да запомажу. Али, пет минута после првог уследио је други напад. Морава је тога дана била црвена од крви убијених грађана Варварина.

Присутнима су се обратили Председник општине Варварин Војкан Павић и Председник Скупштине општине Варварин Драгољуб Станојевић истичући да овај трагичан злочин  Варварин никада неће и не може заборавити. “Једна мала и мирна варош, без икаквих војних циљева постала је мета која је подмукло, у два наврата, погођена тог мајског дана 1999. године. Овим речима господин Станојевић указао је апсурд злочина у Варварину, граду у чијој близини није било нити једног војног возила.

Делегација Београдског форума за свет равноправних, коју су чинили Драгутин Брчин, директор, као и Сандра Давидовић, Славољуб Матић и Никола Чубрић, чланови Управног одбора Београдског форума, положили су цвеће на спомен обележје и одали почаст невино страдалима.