Informazione

GLI INGENUI ANCORA PENSANO CHE IL PROBLEMA FOSSE MILOSEVIC


http://www.liberazione.it/giornale/040926/default.asp

da Liberazione del 26/9/2004 - rubrica delle lettere

A Pancevo si muore di cancro

Cara "Liberazione", ho appena ricevuto una lettera dalla Serbia da
parte di Gordana, un'amica che studia italiano all'università di
Belgrado. La sua città, Pancevo, è stata una delle più bombardate dalla
Nato durante l'offensiva contro Milosevic del 1999. Il petrolchimico e
le altre industrie pesanti hanno ripreso la loro attività - che prima
della guerra occupava 10mila persone - senza che la comunità
internazionale abbia mai veramente bonificato l'area che essa stessa ha
provveduto a inquinare. Questo è quello che scrive Gordana: «negli
ultimi 10 giorni, a Pancevo, c'è un inquinamento incredibile… Dieci
giorni fa i nostri giornali hanno scritto che in un solo giorno dieci
persone si sono ammalate di cancro. Qui, veramente, non si può
respirare; anche io ho dei problemi alle vie respiratorie. Le fabbriche
emettono anidride solforosa, che distrugge i polmoni provocando
irritazioni, infezioni... Ma la cosa più pericolosa è, da noi, il
benzene... È tremendo, non so cosa fare, chi chiamare, cosa comprare
per proteggermi...». Questa è la situazione di una città e di un'intera
nazione che abbiamo liberato da Milosevic per lasciarla morire di
altro...

Ignazio Caruso, via e-mail

Slovenia/Croazia: quali sono i confini della UE? (2)

Continui incidenti diplomatici sul "confine" tra Slovenia e Croazia


1. Ai margini della polemica sui confini rispunta la "zona
ittico-ecologica. Juri: "Affidiamo la questione agli arbitri
internazionali" (1/9/2004)

2. Slaven Letica e Tonči Tadić firmano il «Memorandum di Salvore»: «Giù
le mani da metà del Golfo»
Ivo Vajgl e Miomir Žužul si incontrano a Maastricht. Continua il
dialogo tra Lubiana e Zagabria (5-6/9/2004)

3. GRAVE INCIDENTE SUL "CONFINE" (22-25/9/2004)


( NOTA: una prima parte e' stata diffusa su JUGOINFO lo scorso 1/9/2004
- vedi al nostro archivio
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages )

FONTI:
La Voce del popolo (quotidiano degli italiani in Istria)
http://www.edit.hr/lavoce/index.html
ANSA Balcani
http://www.ansa.it/balcani/


=== 1 ===

Da "La Voce del popolo", Rijeka -Fiume, 1. settembre 2004
 
Ai margini della polemica sui confini rispunta la "zona ittico-ecologica

Juri: "Affidiamo la questione agli arbitri internazionali"

LUBIANA – Le questioni legate ai confini e i rapporti con la Croazia:
sembrano essere questi i temi più cavalcati dai politici sloveni nei
giorni che precedono l’avvio ufficiale della campagna elettorale per le
politiche in programma il 3 ottobre prossimo. Come previsto, data
l’importanza dei temi e la loro forte risonanza nell’opinione pubblica
le soluzioni prospettante sono le più varie e comprendono tutto uno
spettro di proposte che vanno dall’affidamento alla decisione degli
arbitri internazionali alla richiesta di rendere più severo il regime
praticato ai valichi.
Nei giorni scorsi si è inserito nel dibattito sviluppatosi in merito a
dette questioni anche il sindaco di Capodistria e deputato eletto sulla
lista dell’ZSLD, Aurelio Juri. Egli si è rivolto per iscritto al
ministro degli Affari Esteri sloveno, Ivo Vajgl, per proporre di
ricorrere all’arbitrato internazionale per chiarire i dubbi ancora
vigenti in merito al confine sulla terraferma e a quello marittimo. A
suo avviso, infatti, l’attuale situazione è “insostenibile e dannosa
sia per i rapporti con la Croazia che per l’immagine della Slovenia
nell’Unione europea”. “Gli incidenti che si registrano al confine in
merito al quale non è stato raggiunto un accordo potrebbe compromettere
in modo serio l’ingresso della Slovenia nel regime di Schengen nei
termini previsti” – si legge nella lettera di Juri, che prosegue
affermando che – “per la Slovenia accettare una soluzione diversa da
quelle contemplate nell’accordo Drnovšek-Račan significherebbe
comportarsi in maniera autolesionista in quanto l’accordo in questione
ha ricevuto un grande supporto dell’opinione pubblica slovena”.
Ben diversa è invece la posizione riguardo il “problema confine” quella
assunta dal presidente del Partito nazionale sloveno (SNS), Zmago
Jelinčič. Mosso dal quesito inerente i tempi necessari per assicurare
un controllo adeguato dei confini con la Croazia considerato il fatto
trattasi del confine esterno dell’Unione europea Jelinčič si è rivolto
al ministro degli Affari Interni, Rado Bohinc, sostenendo che l’attuale
regime praticato ai valichi con la Croazia non ha portato altri
risultati al di fuori di controlli più rigorosi praticati dalla polizia
italiana ai confini sloveno-italiani.
Rimanendo sempre sul discorso confini una dichiarazione è giunta anche
dal Segretario di Stato presso il MAE sloveno, Andrej Logar,
relativamente all’attuazione dell’allargamento della giurisdizione
croata nell’Adriatico in base alla decisione avvallata dal Sabor.
Ricordando che il regime della zona ittico-ecologica croata non
riguarderebbe nell’immediato i Paesi membri dell’UE, la Slovenia e
l’Italia, Logar ha fatto presente che nel caso i diritti sovrani
verrebbero praticati dalla Croazia anche nelle “acque contese”
dell’Adriatico settentrionale Lubiana reagirebbe inviando una nota di
protesta alla Commissione europea e all’ONU.


=== 2 ===

"La Voce del Popolo", Rijeka - Fiume, 5-6/9/2004

Slaven Letica e Tonči Tadić firmano il «Memorandum di Salvore»

«Giù le mani da metà del Golfo»

SALVORE – Sull'ammiraglia della flotta peschereccia salvorina, è stato
firmato sabato scorso il "Memorandum di Salvore" tra il Partito dei
diritti (HSP) e il candidato presidenziale Slaven Letica . Un documento
che contempla, oltre ai reciproci impegni, in caso di vittoria
elettorale, pure importanti cambiamenti nel modo di condurre la
politica nel Golfo di Pirano-Vallone di Salvore.
Il tutto all'indomani dell'ultimo incidente, che a 150 metri da
Salvore, si è verificato venerdì scorso. Primo Ossich, capitano del
peschereccio "Bukva", nonché i massimi rappresentanti della Assopesca
del Buiese Željko Majdenić (presidente), Danilo Latin (vicepresidente )
e Daniele Kolec (membro della Presidenza) hanno portato sul posto
dell'ultimo incidente uno stuolo di giornalisti croati e sloveni.
"Ecco vedete, dove gli sloveni vengono a calare le reti – hanno detto i
pescatori a Letica e Tadić –: a 150 metri dalla Torre della Marina,
dunque appena fuori porto Salvore". Letica, il quale ha detto che se
diventasse presidente della Croazia nominerebbe Tonči Tadić
ambasciatore croato a Roma, si è detto preoccupato della situazione
attuale in quello specchio di mare appena fuori Salvore.
Il "Memorandum di Salvore", come viene chiamato il documento firmato
sul "Bukva" da Letica e Tadić, dice tra l'altro che i guai nel Golfo
sono iniziati dopo che la Slovenia si è "regalata" tutto il Golfo nel
1993, dando il via a una specie di "guerra del baccalà", come quella
scoppiata nel 1986 tra Islanda e Inghilterra. Sempre stando al
documento, la Croazia non deve rinunciare alla metà del Golfo e deve
far valere l'articolo 15 della Convenzione delle Nazioni Unite sui
diritti sul mare che prevede la divisione dei golfi a metà. Inoltre la
Croazia non può e non deve risolvere i problemi con la Slovenia in
"pacchetto" ma li deve separare per importanza. Una cosa è la centrale
nucleare di Krško, un'altra è Sveta Gera e un'altra ancora è il confine
marittimo.
Per quanto concerne il famoso "SOPS" sul regime provvisorio di pesca,
la Croazia deve abolire l'articolo 39 che prevede agli stranieri di
pescare nelle acque territoriali croate. Inoltre deve far valere la
Zona economica esclusiva e intensificare la presenza sia della polizia
che della nuova guardia costiera croata nella zona di Salvore-Valle di
Salvore o Vallone o Golfo che dir si voglia.
Un riferimento, il Memorandum di Salvore, lo fa anche sul confine
terrestre: "La Croazia e il suo Ministero degli Interni – si dice nel
documento – devono rispondere in modo adeguato a tutte le provocazioni
che provengono dall'altra parte...". Chiaro il riferimento a Joško
Joras, il quale non riconosce la sovranità della Croazia sulla sponda
sinistra del fiume Dragogna.
Insomma, Letica e Tadić dicono di voler ottimi rapporti di amicizia e
di collaborazione con la vicina Repubblica, ma dicono anche di non
voler rinunciare a metà Golfo. Questo "Memorandum di Salvore" ha
sicuramente messo di malumore più di un politico croato, soprattutto
ora che al potere è ritornato l'Accadizeta e che il malcontento
dell'opinione pubblica è aumentato per questa improvvisa
"accelerazione" della politica estera slovena anche in riferimento alla
volontà di controllare tutto il Golfo, fin sotto alle spiagge di
Canegra e Salvore.

Franco Sodomaco

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Ivo Vajgl e Miomir Žužul si incontrano a Maastricht

Continua il dialogo tra Lubiana e Zagabria

VALKENBURG/LUBIANA – Il Governo croato e quello sloveno continueranno a
dialogare onde trovare una soluzione alle questioni aperte che oberano
i rapporti tra i due stati, innanzi tutto a quelle legate all’entrata
in vigore dello Zona ittico-ecologica protetta nel Mare Adriatico. Lo
ha annunciato sabato scorso il ministro degli Affari esteri sloveno,
Ivo Vajgl, dopo aver discusso della faccenda con il proprio omologo
croato, Miomir Žužul.
I capi delle diplomazie di Lubiana e Zagabria hanno avuto modo di
affrontare l’argomento ai margini dell’incontro informale dei ministri
degli Esteri dell’Unione europea svoltosi nei pressi di Maastricht.
All’appuntamento è stato invitato a partecipare per la prima volta
anche il ministro degli Affari esteri croato. Ivo Vajgl non ha celato
che Lubiana è preoccupata per l’imminente entrata in vigore della Zona
ittico-ecologica protetta nell’Adriatico (3 ottobre). Benché le
restrizioni da essa previste non saranno applicate agli stati membri
dell’UE, una parte della flotta slovena batte bandiera
extracomunitaria. Il ministro Žužul non ha voluto commentare
l’argomento. Egli si è limitato a affermare che si tratta di un
problema di carattere tecnico e che l’intento di Zagabria quando ha
deciso di proclamare la Zona ittico ecologica protetta, non era di
turbare i propri vicini, bensì di salvaguardare il Mare Adriatico. Per
quanto riguarda i confini marittimi, Miomir Žužul ha ammesso che le due
parti hanno atteggiamenti divergenti. Egli ha anche espresso l’opinione
che per risolvere definitivamente la vicenda sarà necessario ricorrere
all’arbitraggio internazionale.
In merito ai rapporti croato-sloveni è intervenuto anche l’ex
presidente Milan Kučan. Nel corso di un suo intervento l’ex capo di
Stato sloveno ha rilevato che persino il primo presidente croato,
Franjo Tuđman era favorevole agli sloveni. "Nel corso delle
conversazioni che ho intrattenuto con Tuđman, egli ha dato a intendere
di condividere le mie opinioni, ossia che bisogna trovare una soluzione
che accontenti gli interessi di entrambe le parti. Cioè che la Slovenia
ottenga lo sbocco al mare aperto e che la Croazia possa confinare con
l’Italia. In questo senso una delle possibili soluzioni transitorie
consisteva nel dare in affitto, per alcuni decenni, alla Slovenia una
parte della penisola di Salvore. L’idea però non è stata mai affrontata
a livello ufficiale", ha spiegato Kučan.


=== 3 ===

SLOVENIA-CROAZIA: ROP, NON SOSTENIAMO PIU' INGRESSO IN UE

(ANSA) - ZAGABRIA/LUBIANA, 23 set - Lubiana non sosterra' piu'
l'adesione della Croazia all'Ue. Lo ha dichiarato oggi il primo
ministro sloveno Anton Rop dopo aver richiamato a Lubiana ''per
consultazioni'' l'ambasciatore sloveno a Zagabria Peter Bekes a causa
di un incidente ieri al confine tra i due paesi. Lo hanno reso noto i
media. La polizia croata ha fermato, verso le 16.30 di ieri, nei pressi
del valico di Plovania, 12 cittadini sloveni, membri del Partito
popolare sloveno (Lsl), tra cui anche Janez Podobnik, parlamentare e
presidente del Partito, per ''passaggio illegale di confine''. Il
gruppo, trattenuto nella stazione di polizia di Buje per accertamenti,
e' stato rilasciato verso le 22.00. Da ieri Lubiana ha inviato al
governo di Zagabria una serie di proteste e da stamani ha avviato una
campagna di internazionalizzazione dell'incidente. Il premier Rop oggi
ha dichiarato che ''l'incidente inaccettabile di mercoledi' significa
che la Slovenia non potra' piu' sostenere l'ingresso della Croazia
nell'Unione europea''. (ANSA) COR
23/09/2004 14:40

SLOVENIA-CROAZIA: ROP, NON SOSTENIAMO PIU' INGRESSO IN UE (2)

(ANSA) - ZAGABRIA/LUBIANA, 23 SET - A causa dell'incidente di ieri, il
ministro degli esteri sloveno Ivo Vajgl ha anticipato il rientro da New
York, dall'Assemblea generale dell'Onu, e ne ha informato
immediatamente l'Alto rappresentante dell'Ue per la politica estera e
di sicurezza Javier Solana che, secondo quanto riferito dallo stesso
Vajgl, si e' detto ''scioccato che simili fatti possano accadere''.
Lubiana ha ufficialmente informato anche la Commissione europea e il
caso verra' presentato alla prossima riunione dei ministri degli esteri
dei paesi membri. Secondo il premier Rop, l'incidente ''non e' stato
diretto contro la Slovenia, ma contro l'Unione europea, e ci aspettiamo
pertanto che Bruxelles reagisca in modo adeguato''. Da parte croata il
primo ministro Ivo Sanader ha commentato che ''non ci puo' essere
tolleranza contro quelli che non rispettano il confine di stato ed
entrano in Croazia senza documenti, violando le leggi''. Sanader ha
collegato il comportamento dei politici sloveni alla campagna
elettorale per le politiche del 3 ottobre, definendo l'incidente
''completamente inutile''. Per il presidente croato Stipe Mesic
''l'accaduto e' la prova che nessuna questione aperta puo' essere
risolta con la forza e la linea di frontiera puo' essere definita
solamente ad un tavolo di negoziati''. I dodici membri del Partito
popolare sloveno (Sls) si erano recati ieri pomeriggio, accompaganti
dai media, nel villaggio di Milni, nei pressi del valico Plovanija, per
una visita a Josko Joras, candidato del Sls, che sostiene che la sua
casa non si trova in territorio croato bensi' in Slovenia. Nel cortile
di Joras hanno piantato un albero di tiglio, simbolo dello Stato
sloveno. Sulla via del ritorno, senza passare per il valico ufficiale,
sono stati fermati dalla polizia croata per passaggio illegale di
confine e condotti in questura per l'accertamento di identita',
poiche', secondo Zagabria, non avevano voluto mostrare i documenti.
Secondo il presidente del Sls, Janez Podobnik, al momento del fermo la
polizia croata ha usato la forza e lui stesso sarebbe rimasto
lievemente ferito. Da piu' di un decennio Zagabria e Lubiana non
riescono a definire la frontiera marittima e alcuni tratti di quella
terrestre, questione che di tanto in tanto aumenta la tensione tra i
due paesi e viene regolarmente riaperta dai politici di entrambe le
parti durante le campagne elettorali. L'anno scorso, in settembre,
Lubiana aveva gia' richiamato l'ambasciatore da Zagabria, protestando
per l'intenzione della Croazia di proclamare una zona ecologico-ittica
in Adriatico che, secondo Lubiana, avrebbe pregiudicato la definizione
della frontiera marittima nel golfo di Pirano. In quel momento la
Slovenia, che fa parte dell'Ue dallo scorso primo maggio, aveva solo
minacciato di ritirare il sostegno alla candidatura di Zagabria
all'Unione. La Croazia e' stata ammessa tra i paesi candidati all'
ingresso nell'Ue al vertice europeo di giugno e i negoziati dovrebbero
cominciare all'inizio del 2005. (ANSA). COR
23/09/2004 16:00

SLOVENIA-CROAZIA: UE TURBATA VUOLE INDAGINE ZAGABRIA

(ANSA) - BRUXELLES, 23 SET - La Commissione europea e' 'turbata'' per
l'incidente di confine tra Slovenia e Croazia e si aspetta che Zagabria
stessa conduca un'indagine sui fatti. ''Siamo turbati per le notizie
che abbiamo letto'', ha detto oggi a Bruxelles la portavoce del
Commissario europeo alle relazioni esterne Chris Patten. ''Ci
aspettiamo - ha aggiunto - che le autorita' croate vogliano condurre
indagini su questo incidente e siamo molto ansiosi di vedere il
risultato di questa inchiesta''. ''Finche' non abbiamo a disposizione
fatti - ha detto ancora la portavoce, Emma Udwin - non possiamo dare
una risposta piu' precisa''. (ANSA). CAL
23/09/2004 16:57

CROAZIA-SLOVENIA: CRISI, RICHIAMATO AMBASCIATORE LUBIANA

(ANSA) - ZAGABRIA, 23 SET - Un incidente ieri sera al confine con il
fermo di 12 sloveni, tra i quali il presidente del Partito popolare
(Sls) Janez Podobnik, ha scatenato la nuova crisi tra Croazia e
Slovenia che ha sullo sfondo il problema irrisolto della definizione
delle frontiere tra i due paesi e che ha provocato il richiamo, per
consultazioni, dell' ambasciatore sloveno a Zagabria. Impegnati in
campagna elettorale per le politiche del 3 ottobre, 12 esponenti
dell'Sls, tra i quali appunto Podobnik, sono andati ieri pomeriggio nel
villaggio di Mlini, in Istria presso Buie, situato a pochi metri del
valico di confine Plovanija. Si sono fatti fotografare dai media mentre
piantavano un tiglio, simbolo dello Stato sloveno, nel cortile del loro
collega di paritito e candidato al parlamento Josko Joras che da piu'
di un decennio sostiene che la sua casa si trova in territorio sloveno
e non quello croato, come invece afferma Zagabria. La polizia croata ha
fermato i politici sloveni perche' avevano percorso una strada che
evita il valico di frontiera fra i due paesi e, dopo aver rifiutato di
mostrare i documenti, secondo la polizia, sono stati portati con la
forza alla stazione di Buje e denunciati per ''passaggio illegale di
confine''. I dodici sloveni sono stati rilasciati solo dopo sei ore e
Podobnik sostiene che il comportamento della polizia croata e' stato
''brutale'' e che lui stesso e altri suoi colleghi sono rimasti feriti
nel momento dell'arresto. Le reazioni di Lubiana sono state immediate e
gia' in tarda serata l'ambasciatore sloveno a Zagabria Peter Bekes e'
stato richiamato a Lubiana per consultazioni. Il primo ministro Anton
Rop ha denunciato l'episodio a Bruxelles definendo l'incidente ''un
attacco all'Unione europea''. La Slovenia dallo scorso maggio fa parte
dell'Unione europea mentre la Croazia invece e' stata da pochi mesi
ammessa tra i candidati all'Ue. Il ministro degli esteri slovena Ivo
Vajgl ha anticipato il rientro da New York, dall'Assemblea generale
dell'Onu, ed ha subito informato dell'incidente l'Alto rappresentante
Ue per la politica estera e sicurezza Javier Solana che, secondo quanto
ha riferito lo stesso Vajgl, si sarebbe detto ''scioccato che simili
fatti possano accadere.'' A differenza di altre crisi, questa volta la
Slovenia, da maggio membro dell'Unione europea, ha reagito da posizioni
di forza e oggi Rop ha annunciato che ''la Slovenia non puo' piu'
sostenere l'adesione della Croazia all'Ue''. ''Quello che ha fatto e'
inaccettabile e noi non possiamo tollerarlo - ha aggiunto - e pertanto
avvieremo una procedura adeguata contro Zagabria''. Il ministro degli
esteri da parte sua ha dichiarato che ''finche' non c'e' un accordo
sulla frontiera, per noi quello e' territorio sloveno''. Da Zagabria,
il presidente Stipe Mesic ha definito l'accaduto ''una prova che
nessuna questione aperta puo' essere risolta con la forza, ma solo a un
tavolo di negoziati''. Secondo Mesic i politici sloveni hanno
''oltreppasato la linea del buongusto''. Il premier Ivo Sanader e'
rimasto irremovibile nel difendere l'operato della polizia, affermando
che ''non ci puo' essere tolleranza contro quelli che non rispettano il
confine di stato ed entrano in Croazia senza documenti''. Collegando
l'accaduto alla campagna elettorale in Slovenia, Sanader ha auspicato
la situazione non degeneri ed ha ribadito la proposta di Zagabria di un
arbitrataggio internazionale, piu' volte rifiutata da Lubiana. (ANSA)
COR
23/09/2004 20:08

CROAZIA-SLOVENIA: ZAGABRIA, CAUSA CRISI PRETESE TERRITORIALI

(ANSA) - ZAGABRIA, 24 SET - La reazione del governo di Lubiana, che
ieri, dopo un incidente sul confine tra i due paesi ha richiamato
l'ambasciatore da Zagabria e negato il sostegno all'ingresso della
Croazia nell'Unione europea, potrebbe essere qualificata dal governo
croato come ''un'aperta pretesa territoriale''. Lo ha detto il
sottosegretario agli esteri Hido Biscevic ai giornalisti stranieri
invitati oggi al ministero degli esteri.
L'incidente che ha provocato la crisi tra i due paesi e' avvenuto
mercoledi' scorso presso il valico di Plovanija, nei pressi di Buie, in
Istria, quando la polizia croata ha fermato, per ''passaggio illegale
del confine'', dodici esponenti del Partito popolare sloveno (Sls), tra
cui due parlamentari, e li ha trattenuti per sei ore nella stazione di
Buje. Impegnati in campagna elettorale per le politiche del 3 ottobre,
gli sloveni, guidati dal presidente dell'Sls Janez Podobnik, non erano
passati per il valico di frontiera sostenendo di trovarsi sul
territorio sloveno e di non avere percio' alcun motivo di mostrare i
documenti d'identita' ai poliziotti croati.
Il fatto che Lubiana, in un comunicato diffuso ieri, abbia parlato di
''comportamento brutale e non-europeo della Croazia contro cittadini
sloveni in territorio sloveno'', riflette, secondo il governo di
Zagabria, una pretesa territoriale su quattro villaggi nei pressi del
valico di Plovanija e un tratto di confine lungo sette chilometri.
I villaggi sono oggetto di contesa sin dall'indipendenza dei due paesi
nel 1991. Da allora sono controllati dalle autorita' croate che si
richiamano alla situazione di fatto nel 1991, al momento del
riconoscimento internazionale, mentre la parte slovena insiste sui dati
del registro catastale di Pirano che li assegna alla Slovenia.
Secondo il sottosegretario Biscevic il vero problema non sono i quattro
villaggi, ma la questione della frontiera marittima nel golfo di
Pirano. L'incidente e la reazione slovena, ha aggiunto, sono stati
''completamente inutili, irresponsabili e nocivi per i rapporti
bilaterali; la Croazia vuole evitare ulteriori tensioni e invita il
paese vicino al tavolo dei negoziati, riproponendo anche la
possibilita' di ricorrere all'arbitraggio internazionale''.
Che la Slovenia adoperi la sua posizione di forza come membro dell'Ue
''e' completamente improprio e senza esempio nei precedenti turni di
allargamento'', ha concluso Biscevic. In numerose dichiarazioni e
comunicati diffusi ieri il governo e il parlamento croato hanno
ribadito ''l'indubbia appartenenza alla Croazia'' del territorio
conteso, collocando il comportamento del gruppo sloveno nel contesto
della campagna elettorale, mentre la reazione della polizia croata
viene difesa come ''completamente legale e corrispondente a quello che
farebbe la polizia di frontiera di qualsiasi altro paese europeo''.
Alla campagna di internazionalizzazione dell'incidente, intrapresa ieri
da Lubiana presso le istituzioni di Bruxelles, la Croazia ha reagito
con un'intensa attivita' diplomatica per chiarire le proprie posizioni.
(ANSA)
24/09/2004 15:51

CROAZIA: UE, RESTA VALIDA CANDIDATURA ZAGABRIA

(ANSA) - BRUXELLES, 24 SET - La Commissione europea non ritiene di
dover cambiare la propria linea politica nei confronti della Croazia
solo a causa delle prime informazioni sull'incidente di frontiera
dell'altro ieri con la Slovenia. Bruxelles pero' insiste per essere
informata sull'inchiesta che dovra' in ogni caso essere condotta dalla
magistratura croata. ''Per il momento non c'e' motivo di cambiare la
nostra politica nei confronti della Croazia - ha detto oggi a Bruxelles
la portavoce del Commissario europeo alle relazioni esterne Chris
Patten - ma vogliamo piu' informazioni su quel particolare incidente''.
Il riferimento e' al fermo di 12 sloveni, tra i quali il presidente del
Partito popolare (Sls) Janez Podobnik, che ha scatenato una nuova crisi
tra Croazia e Slovenia sul problema irrisolto della definizione delle
frontiere tra i due Paesi. Solo nel giugno scorso la Croazia si era
vista concedere lo status di ''Paese candidato'' ad entrare nell'Ue,
candidatura che ora la Slovenia - Paese dell'Unione europea a tutti gli
effetti dal primo maggio - dice di non voler piu' sostenere come invece
fatto finora. La portavoce di Patten ha ribadito che l'esecutivo Ue e'
''turbato'' per il fermo degli sloveni e ''si aspetta'' che i croati
indaghino sull'episodio informando sui risultati.(ANSA). CAL
24/09/2004 15:01


=== * ===


Ti, 'ex'-jugoslavenu/ko,
odgovori!
1) Koje si nacionalnosti? Da li znas - ili ne znas?
2) Daju li ti pasos?
3) Kuda prolaze nove granice?
a. izmedju tebe i tvoga supruga/e?
b. izmedju tebe i tvoj djece?
c. izmedju tvoje i susjedove kuce? ...

(Milena Cubrakovic, 1994)


Tu, 'ex'- jugoslava/o,
rispondi!
1) Di che nazionalita' sei? Lo sai - o no?
2) Ti danno un passaporto?
3) Dove passano le nuove frontiere?
a. fra te ed il tuo coniuge?
b. fra te ed i tuoi figli?
c. fra la tua casa e quella del tuo vicino?
Chi ti rilascia il visto sul passaporto per
andarlo a trovare? ...

(Milena Cubrakovic, 1994)

http://www.reseauvoltaire.net/article14344.html

Aristocratie du dollar

Comment le Conseil des relations étrangères détermine la diplomatie US

Depuis 60 ans, le Council on Foreign Relations (CFR) conseille le
département d'État. Pour chaque conflit, il détermine les buts de
guerre dans l'intérêt de ses membres et hors de tout contrôle
démocratique. Il participe aussi à l'écriture d'une histoire officielle
chaque fois qu'il est nécessaire de condamner les errements du passé et
de se refaire une image. Financé par 200 multinationales, il comprend 4
200 membres co-optés parmi lesquels sont choisis la plupart des
dirigeants gouvernementaux. L'élite du business élabore la politique
étrangère des États-Unis par consensus à huis clos.

25 juin 2004

[PHOTO: Dans une émission de télé-réalité, NBC a sollicité des
ministres en exercice et d'anciens ministres pour simuler leur réaction
en cas de nouvelle attaque terroriste. Pour reconstituer les conditions
réelles, les officiels sont assistés par des dirigeants du CFR qui les
conseillent en direct.]


Pendant la Première Guerre mondiale, le président Woodrow Wilson nomme
le journaliste progressiste Walter Lippmann sous-secrétaire à la
Guerre. Il est chargé de constituer un groupe secret de 125
universitaires de haut niveau, « L'Enquête », pour étudier les
opportunités d'étendre le libéralisme dans le monde à la faveur de la
Première Guerre mondiale [1]. Il travaille en étroite collaboration
avec le conseiller spécial du président, le colonel Edward Mandell
House. Le rapport final, Les Buts de guerre et les clauses de paix
qu'ils requièrent [2], servira de base aux célèbres Quatorze points de
Wilson.

On qualifie souvent cette démarche d'idéaliste (faire le bien de
l'Humanité sans elle) par opposition au réalisme (défendre ses intérêts
propres sans se préoccuper des grands principes). En réalité Wilson
mène les deux à la fois : il entend étendre la démocratie, mais se
réserve le droit d'envahir le Mexique ou d'annexer Haïti. Aujourd'hui,
les néo-conservateurs se réclament de cette tradition : vouloir
démocratiser le Grand Moyen-Orient et commencer par bombarder
l'Afghanistan et l'Irak.

À l'armistice, Wilson se rend en Europe pour participer personnellement
à la Conférence de paix de Versailles. Il est accompagné de cinq
collaborateurs directs, dont le colonel House, qui emmène avec lui 23
membres de « L'Enquête ». La délégation états-unienne impose sa méthode
de travail à ses partenaires : il n'est pas question de discuter des
traités de paix, État par État, avant que l'on ait défini ce que sera
la paix. Elle tente de faire partager sa vision de ce que l'on nommera
plus tard, la globalisation : un monde ouvert au commerce, sans
douanes, ni règles, et une Société des Nations (SDN) qui prévient les
guerres. Ce projet sera largement amendé par les Européens, puis
finalement rejeté par le Congrès des États-Unis désavouant Wilson.

En marge de la Conférence de paix, les délégations britannique et
états-unienne décident de créer une sorte d'Académie binationale qui
poursuivrait et mettrait à jour les travaux de « L'Enquête » pour aider
les deux gouvernements à définir conjointement leur politique étrangère
à long terme. Il est convenu que cet Institut anglo-états-unien pour
les Affaires internationales sera organisé en deux sections autonomes,
l'une à Londres, l'autre à New York.

Cependant, de son côté, Elihu Root (secrétaire d'État qui avait
organisé les interventions à Cuba, à Saint-Domingue et au Honduras, et
a néanmoins obtenu le prix Nobel de la Paix) avait déjà créé un Conseil
pour les relations étrangères (Council on Foreign Relations - CFR).
Cette association rassemblait une centaine de personnalités, mais ne
fonctionnait pas vraiment. « L'Enquête » fusionna donc avec ce CFR pour
former la branche états-unienne du dispositif, tandis que les
britanniques créaient l'Institut royal des Affaires internationales
(Royal Institute for International Affairs - RIIA) à Chatham House.

Les règles de fonctionnement du CFR et de Chatham House sont celles,
classiques, des sociétés de pensée : les participants sont invités à
citer à l'extérieur les propos tenus, mais à ne jamais révéler
l'identité de leurs auteurs. En outre, à cette époque, les deux clubs
sont réservés aux ressortissants nationaux et exclusivement masculins.
Mais la tonalité des débats évolue différemment au Royaume-Uni (tourné
vers son Empire) et aux États-Unis (en proie à l'isolationnisme). Cette
divergence apparaît dans les titres de leurs revues respectives :
Foreign Affairs (Affaires étrangères) pour le CFR, International
Affairs (Affaires internationales) pour le RIIA.

Pendant l'entre-deux-guerres, le CFR passe de 300 à 663 personnalités à
New York, choisies par cooptation. Ils représentent toutes les
sensibilités politiques, sauf bien sûr les isolationnistes. Le CFR est
grassement financé par des dons privés, notamment ceux de la Fondation
Carnegie, et non pas par l'État fédéral qu'il conseille. Des clubs
identiques sont créés dans huit grandes villes états-uniennes.

À la fin des années trente, le Conseil se divise sur l'attitude à
adopter face au militarisme nippon et à l'Allemagne nazie. En
définitive le club prend partie : le directeur de l'époque Hamilton F.
Armstrong et le secrétaire, Allen W. Dulles, publient un retentissant
opuscule Peut-on être neutre ?. Dès l'invasion de la Pologne, en 1939,
c'est-à-dire deux ans avant que la Maison-Blanche ne décide l'entrée en
guerre, le CFR commence à plancher sur les buts de guerre. Il
poursuivra ses travaux d'expertise jusqu'à la fin des hostilités. Une
centaine d'universitaires rédige les Études sur la paix et la
guerre [3], en 682 mémoires, à l'attention du département d'État. Les
recherches sont financées par la Fondation Rockfeller à hauteur de 350
000 $. Elles serviront de base à la convocation des Conférences de
Dumbarton Oaks et de San Francisco (création de l'ONU).

À la fin des hostilités, Allan W. Dulles, qui a servi pendant la Guerre
mondiale au sein de l'OSS [4], est élu président du CFR. La première
initiative du Conseil est de tirer le bilan de la guerre pour le compte
de l'administration Truman. Cette fois, c'en est un peu trop.
D'éminents historiens protestent contre la monopolisation de la
recherche historique par un club d'intérêts privés articulé à l'État
fédéral. Dans la pratique, le CFR est le seul à avoir accès aux
archives gouvernementales et peut écrire une Histoire officielle sans
craindre d'être contredit.

Le nombre d'adhérents ne cesse de croître et atteint rapidement le
millier. De manière à couvrir tous les secteurs de la société, les
administrateurs du CFR décident d'ouvrir le club à des personnalités
moins fortunées : les dirigeants syndicaux de l'AFL-CIO [5].

C'est encore le Conseil qui élabore la doctrine de la Guerre froide.
Foreign Affairs publie anonymement un article retentissant, « Les
sources du comportement soviétique » [6]. Il s'agit en fait d'une
analyse de l'ambassadeur George F. Kennan de retour de Moscou. Il
décrit le communisme comme intrinsèquement expansionniste, et assure
qu'il ne tardera pas à représenter une menace plus grave encore que le
IIIe Reich. Une sorte de paranoïa s'empare du Conseil, où beaucoup
interprètent à tort cet article comme l'annonce d'une attaque militaire
imminente des Soviets. Quoi qu'il en soit, le président Harry S. Truman
charge Kennan d'élaborer le National Security Act qui met en place
l'appareil secret d'État (état-major interarmes permanent en temps de
paix, CIA et Conseil national de sécurité). Spontanément, les hommes du
CFR arrivent aux postes de responsabilité de ces institutions secrètes
de l'État fédéral, notamment Dean Acheson, Charles Bohlen, Averell
Harriman, Robert Lovett et John McCloy. En retour, ces institutions
utilisent le CFR pour prévenir tout retour de l'isolationnisme dans les
élites et pour mobiliser celles-ci au service du Plan Marshall [7].

Cependant, le tournant effectué par l'administration Truman, lorsque
Kennan est limogé au profit de son adjoint Paul H. Nitze [8] et que la
Guerre froide évolue du simple containment à l'affrontement indirect,
est une réaction au premier essai atomique soviétique et se décide hors
du CFR.

Durant les années cinquante, le Conseil étudie la doctrine nucléaire.
Des groupes de travail ad hoc sont créés en 1954 et 1955. Les minutes
des réunions sont rédigées par un jeune universitaire proche du
complexe militaro-industriel, Henry A. Kissinger [9]. Après le premier
essai atomique chinois, en 1964, le CFR planche sur la Chine et
préconise une politique d'ouverture. Elle est adoptée par Richard
Nixon, qui l'annonce dans Foreign Affairs, puis progressivement mise en
œuvre par Kissinger devenu secrétaire d'État de Nixon.

C'est dans cette période que la Ford Foundation [10] se joint aux
donateurs. De brillants universitaires sont engagés comme Zbigniew
Brzezinski ou Stanley Hoffman.

Poursuivant la même technique, le CFR rédige des études historiques à
la fin de la guerre du Viêt-Nam. Une Histoire officielle est publiée
sous la signature de 22 personnalités de très haut niveau. Comme en
1945, les élites états-uniennes décident elles-mêmes les crimes qui
doivent être reconnus et absous, et ceux qui peuvent être occultés et
doivent donc tomber dans l'oubli. On démet Nixon, et l'on feint de
tirer des leçons du passé pour pouvoir tourner la page et prétendre une
nouvelle fois à la bonne volonté.

David Rockfeller de la Chase Manhattan Bank (devenue la JP Morgan
Chase) prend la présidence du CFR en 1970. Il ouvre timidement le club
aux femmes et recrute des jeunes. Il crée un poste de directeur
exécutif qu'il confie à l'ancien secrétaire d'État de Carter, Cyrus R.
Vance, puis un Conseil consultatif international (la France y est
représentée par Michel Rocard, le Canada par Brian Muroney).

Après l'effondrement de l'URSS, le CFR établit la nouvelle ligne
politique du pays en publiant dans Foreign Relations un article de
Samuel Huntington, « Le clash des civilisations » [11].

[PHOTO: Séance de travail au Council on Foreign Relations.]

Le Council on Foreign relations est actuellement présidé par Richard N.
Haass, un ancien conseiller diplomatique du président Bush père devenu
adjoint de Colin L. Powell dans l'administration Bush fils. Il passe
pour être l'un des mentors de Condoleezza Rice. Le chairman est Peter
G. Peterson, un banquier proche des Bush. Plus de 200 multinationales
financent le club à hauteur de plus de 7 millions de dollars par an. Il
comprend 4200 membres et emploie 50 chercheurs. Foreign Affairs est
vendu dans le monde à 125 000 exemplaires.

Tout au long des soixante dernières années, le CFR a élaboré les
stratégies à long terme du département d'État en établissant un
consensus à l'intérieur des élites états-uniennes (isolationnistes
exclus) hors de tout contrôle démocratique. Il a fixé les buts de
guerre de tous les conflits où les États-Unis se sont engagés en
fonction des intérêts de ses membres. Dans ce système, la guerre n'est
pas « la continuation de la politique par d'autres moyens », selon la
formule de Clausewitz, mais la continuation du libre-marché.
Parallèlement, la définition des stratégies de guerre est revenue à la
Rand Corporation comme conseil du département de la Défense. Le Council
on Foreign Relations a également élaboré une Histoire nationale
consensuelle qui crédite le mythe d'un interventionnisme désintéressé
et nie les souffrances infligées par Washington au reste du monde.
Enfin, le CFR a contribué à exporter le modèle politique états-unien en
cooptant des dirigeants étrangers.


[1] Quelques années plus tard, Walter Lippmann deviendra l'un des
théoriciens du libéralisme par opposition à la planification initiée
par Franklin Roosevelt pendant le New Deal. Cf. « Friedrich von Hayek,
pape de l'ultra-libéralisme » par Denis Bonneau, Voltaire, 4 mars 2004.

[2] The War Aims and Peace Terms its Suggests.

[3] War and Peace Studies.

[4] L'OSS donne naissance à la CIA, dont Dulles deviendra directeur.

[5] Voir l'enquête de Paul Labarique « AFL-CIO ou AFL-CIA ? » et
« 1962-1979 : l'AFL-CIO et la contre-insurrection syndicale », Voltaire
des 2 et 11 juin 2004. Parmi les responsables de l'AFL-CIO qui entrent
au CFR, notons David Dubinski, Robert J. Watt, Lane Kirkland, Thomas R.
Donahue et Glenn Watts.

[6] « The Sources of Soviet Conduct » par Mr. X, Foreign Affairs,
juillet 1947.

[7] The CIA and the Marshall Plan par Sallie Pisani, University Press
of Kansas, 1991.

[8] Paul Nitze était marié à Phyllis Pratt, une héritière de la
Standard Oil. C'est dans la maison de famille des Pratt, aimablement
offerte, que le CFR est installé depuis 1944.

[9] « Le retour d'Henry Kissinger » par Thierry Meyssan, Voltaire, 28
novembre 2002.

[10] « La Fondation Ford, paravent philanthropique de la CIA » et
« Pourquoi la Fondation Ford subventionne la contestation », Voltaire,
5 et 19 avril 2004.

[11] « La Guerre des civilisations » par Thierry Meyssan, Voltaire, 4
juin 2004.

Quelli che vogliono squartare la Russia (7)

1. Risoluzione approvata al congresso costitutivo del "Partito
Comunista Panrusso del Futuro", settembre 2004
2. Putin, l’imperialismo e i comunisti
(Dmitrij Jakushev, marzo 2004)
3. Si avvicina per la Russia il momento delle scelte decisive
(Dmitrij Jakushev, maggio 2004)
4. I neo-cons sono dentro fino al collo nelle provocazioni del Caucaso
(Jeffrey Steinberg, settembre 2004)


=== 1 ===

LA MINACCIA TERRORISTA ALLA SICUREZZA NAZIONALE DELLA FEDERAZIONE RUSSA

Risoluzione approvata al congresso costitutivo del "Partito Comunista
Panrusso del Futuro"
www.kprf.info

settembre 2004

Dopo avere illustrato, nel n. 87 di "Nuove resistenti", le prese di
posizione dei due principali partiti della sinistra russa (PCFR e
"Rodina") in merito alla spaventosa strage di Beslan, riteniamo utile
proporre anche la risoluzione approvata al congresso, in cui, in
conseguenza della scissione consumatasi nello scorso luglio, si è dato
vita al cosiddetto "Partito Comunista Panrusso del Futuro", che, a
detta dei promotori, raccoglierebbe una parte considerevole del gruppo
dirigente e del quadro attivo del "Partito Comunista della Federazione
Russa".


Tra il 1 e il 3 settembre 2004 in Ossezia settentrionale, si è compiuto
un crimine di una mostruosità inaudita: un gruppo terroristico ha preso
in ostaggio più di mille pacifici cittadini. Il risultato di tale
azione disumana è stato la morte e la mutilazione di centinaia di
persone, in maggioranza donne e bambini. Una settimana prima nel cielo
russo erano stati fatti esplodere dai terroristi due aerei di linea e
una deflagrazione era avvenuta anche nelle vie di Mosca. I sanguinosi
crimini, diretti a terrorizzare la popolazione e a paralizzare i poteri
dello stato, purtroppo, stanno assumendo un carattere permanente.
Desideriamo esprimere le più sentite condoglianze ai parenti e agli
amici delle vittime, ci inchiniamo di fronte al coraggio dei militari e
dei civili, che hanno interposto i propri corpi tra i bambini e le
pallottole dei banditi.

La società russa in un passato ancora prossimo - quello sovietico - era
immunizzata dal terrorismo, che attualmente agisce quasi indisturbato.
Il terrorismo, che rappresenta, per sua natura, un complesso fenomeno
politico-sociale, accumula in sé le contraddizioni sociali che si
manifestano in modo lacerante nella nostra società. Lo stato russo ha
raggiunto, nel proprio sviluppo, un limite pericoloso. Il terrorismo da
minaccia interna si è trasformato in un tipo particolare di aggressione
esterna, pianificata e realizzata dall'estero e diretta
all'annientamento definitivo delle posizioni geopolitiche della Russia,
alla definitiva demolizione dell'entità statale russa.

Le "riforme" distruttrici in campo economico, militare, giuridico, e in
altri settori dell'attività statale, l'indebolimento del sistema
statale e di controllo, i difetti delle basi giuridiche e la mancanza
di una forte politica statale in ambito economico-sociale, la riduzione
del potenziale spirituale-morale, rappresentano i principali fattori,
che favoriscono un deciso incremento dei fenomeni terroristici.

La terribile tragedia, il dolore e le sofferenze oggi hanno unito il
popolo russo. Tutti, indipendentemente dalle posizioni politiche e
dalle convinzioni ideologiche, sono pronti a sostenere decisioni,
dirette a garantire la sicurezza nazionale. Ma, come dimostra la
pratica dell'ultimo decennio, tali decisioni approdano solo a misure
punitive e a un temporaneo "stringimento di vite" con il successivo
ritorno della situazione all'attuale confusione sul piano della
legalità. La lotta viene indirizzata contro le conseguenze del
problema, e non contro la sua causa primaria, che consiste nel
difettoso modello dell'economia di mercato, che naturalmente spinge
alla ricerca di profitti, alla corruzione, al banditismo, alla
fioritura di tutti i vizi della convivenza umana.

Il congresso dichiara che il successo reale nella lotta contro il
terrorismo è possibile non solo attraverso il rincrudimento delle
punizioni nei confronti dell'attività terroristica, ma, essenzialmente,
attraverso l'affermazione nello stato e nella società dei principi di
una nuova strategia economica, della giustizia sociale,
dell'avvicinamento degli interessi dei popoli che abitano il paese,
della creazione di un sistema di misure di efficace profilassi sociale
e di formazione di cittadini osservanti delle leggi, della difesa
dell'eredità culturale e spirituale-morale della nostra Patria. La
Russia potrà ottenere questo solo percorrendo una strada socialista di
sviluppo.

Traduzione dal russo di Mauro Gemma


=== 2 ===

URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/
texte.phtml?section=BE&object_id=22531

www.resistenze.org - popoli resistenti - russia - 13-03-04

Putin, l’imperialismo e i comunisti

di Dmitrij Jakushev
http://www.kprf.ru/articles/21530.shtml

Il lungo articolo, di cui proponiamo la traduzione dei passaggi più
significativi, è stato scritto da Dmitrij Jakushev, un intellettuale
marxista russo che milita nel “Partito Comunista Operaio Russo-Partito
Rivoluzionario dei Comunisti”, i cui lavori appaiono frequentemente nel
sito “Kommunist.ru”. Il lavoro di Jakushev è stato ripreso anche dal
sito del PCFR, a testimoniare dell’aspro confronto che si è aperto nel
principale partito dei comunisti russi, dopo la bruciante sconfitta
elettorale del 7 dicembre 2003. L’autore sottopone a critica spietata
la linea adottata dal gruppo dirigente del più importante partito
comunista del paese, sollecitando la sinistra russa ad una radicale
revisione dell’approccio nei confronti dello scontro in atto ai vertici
del potere e del ruolo (per Jakushev sostanzialmente positivo) assolto
dal presidente Vladimir Putin nell’attuale fase della storia russa.
M.G.


Questo articolo rappresenta la continuazione e la concretizzazione del
tema proposto nell’articolo “I comunisti rivoluzionari e le elezioni
presidenziali”, pubblicato nel numero 112 del settimanale
“Kommunist.ru”. L’autore è assolutamente convinto che, se non si ha un
approccio corretto al triangolo “Putin-imperialismo-comunisti”, la
sinistra russa non avrà alcuna prospettiva: il che vuol dire che non ci
saranno prospettive per la Russia e per i suoi popoli. Come minimo. Ma
tutto potrebbe andare ancora peggio. La disfatta della sinistra in
Russia porrebbe in discussione la prospettiva rivoluzionaria mondiale,
dal momento che anche oggi la Russia, per una serie di ragioni
oggettive, rappresenta uno dei candidati principali (se non l’unico) al
ruolo di “anello debole” dell’imperialismo. Ma perché proprio la
Russia? Questo è un grande tema per una ricerca seria, che non è
possibile esaurire in un solo articolo. Ma è comunque possibile
sviluppare alcune riflessioni che indichino la
direzione di questa ricerca.

Con l’apparizione, all’inizio del XX secolo dell’imperialismo, la
Russia si trovava in una posizione in qualche modo intermedia, essendo
da un lato non sufficientemente forte perché le fosse permesso di
sedere alla stessa tavola dell’imperialismo, dall’altro, troppo forte
per essere semplicemente relegata nel terzo mondo, tra coloro che
venivano dominati dalle grandi nazioni. E’ possibile affermare che tale
posizione intermedia ha anche reso la Russia un “anello debole”,
particolarmente esposto alle tempeste rivoluzionarie. Oggi, dopo la
sconfitta della rivoluzione, la Russia è venuta nuovamente a trovarsi
in questa posizione intermedia. Solo adesso si aspira sempre più
intensamente a spingerla verso il terzo mondo, nel ruolo di colonia e
di appendice di materie prime dell’imperialismo. Ma decine di milioni
di russi non riescono a rassegnarsi all’idea che la Russia è solo un
paese di terzo rango... Il socialismo ha vinto inizialmente proprio in
Russia e non certo casualmente.
Esisteva una necessità storica, che fu realizzata dai bolscevichi. Tra
le grandi nazioni, la Russia sembrava essere il “fratello minore”…Oggi
la stessa necessità storica pone di nuovo la Russia nella posizione di
“anello debole” e a noi spetta ancora una volta il compito di
realizzare tale necessità. Ma la necessità non significa inevitabilità.
Il successo rimane incerto. La responsabilità è enorme.

E allora occorre dire che la sinistra russa non è certo all’altezza del
compito. La sciagura più grave della nostra sinistra è dovuta al fatto
che essa non riesce a vedere la questione nella sua interezza, a
comprendere la totalità e che, di conseguenza, assolutizza la
parzialità. E quando non sei in grado di vedere la totalità, allora non
riesci assolutamente a comprendere la storia in quanto processo
unitario.
(…)
Per questa ragione, non è corretto guardare all’attuale situazione
politica in Russia e nel mondo, separando un contesto dall’altro e al
di fuori da un comune processo storico unitario, di cui tale situazione
è il risultato. In caso contrario, si prendono per buone le più
ridicole sciocchezze, come quella dell’imperialismo russo che avrebbe
attaccato due volte la Cecenia negli anni ’90. Gli autori di tali
stupidaggini proprio non vogliono porsi la domanda: ma da dove è
sbucato l’imperialismo russo negli anni ’90? Se non si dimentica che
nel mondo ci sono dei veri imperialismi, se si ricorda come e quando si
è manifestato l’imperialismo, allora risulta evidente che non esiste un
imperialismo russo neppure oggi, nel 2004. Negli anni ’90, la Russia
era un paese senza un bilancio statale, di fatto senza uno stato
unitario, senza esercito, con un enorme debito estero, che sembrava
impossibile restituire, con regioni che non facevano più riferimento al
centro e che addirittura avevano
cominciato ad emettere una propria moneta, con una direzione esterna
esercitata dal FMI, che controllava il budget e tutte le spese del
governo centrale. La guerra in Cecenia rappresentava la continuazione
della politica di annientamento della Russia, in quanto stato
indipendente unitario.

Ricordate che all’inizio i banditi di Dudajev, non senza il sostegno
dei “democratici” moscoviti, si impadronirono dell’intera repubblica,
che furono compiuti i “pogrom” e il genocidio dei russi del luogo, che
bande armate fino ai denti scorazzavano per tutto il paese, seminando
il terrore fra la popolazione ed imponendo il “pizzo” non solo ai
piccoli imprenditori, ma anche alle grandi aziende. Il tentativo di
riportare l’ordine in Cecenia si concluse con la disfatta dell’esercito
russo affamato, spogliato e demoralizzato, che era diventato lo
zimbello per il mondo intero. Nel ’99, i banditi ringalluzziti
cercarono di infliggere il colpo decisivo alla Russia. E se non ci
fosse stato Putin, non ci sarebbe più la Russia. Non ci sarebbe più
un’industria, né la classe operaia, né ordini del giorno su cui qualche
sinistra possa intervenire. Il sud del paese sarebbe controllato dai
banditi e a guardia del petrolio e dei gasdotti ci sarebbero le truppe
della NATO, di cui noi stessi avremmo
sollecitato l’intervento, per tenere sotto custodia gli arsenali
nucleari sparsi per il paese, ormai incapace di esercitare un controllo
autonomo del proprio territorio. Questa non è fantasia, perché quattro
anni fa le cose stavano proprio così.

Forse che il mantenimento dell’unità e dell’indipendenza della Russia,
la fuoruscita dalla situazione in cui essa versava alla fine degli anni
’90, non rappresentavano un compito di interesse nazionale? Putin si è
dedicato a questo compito e lo ha risolto, agendo in fretta, con
decisione ed efficacia. Il risultato è stato che il paese ha evitato la
rovina: è stato soffocato il separatismo dei governatori, è stato
creato un terreno legislativo unitario, è stata creata una cospicua
riserva valutaria, la Russia si è sottratta al giogo del debito ed è
diretta da un governo nazionale e non dagli esperti del FMI. Putin ha
salvato lo stato russo e di questo gli dobbiamo essere molto grati. Lo
stato borghese non è il “male assoluto”. E sebbene noi comunisti siamo
impegnati a demolire lo stato borghese, trasformandolo in democrazia
proletaria, quale autentica espressione del potere del popolo, non
siamo comunque assolutamente interessati a che questo stato borghese
scompaia nell’abisso del
separatismo, dell’estremismo religioso, dell’oscurantismo medievale e
dell’imperialismo che sta dietro a tutti questi fenomeni. C’è solo da
rallegrarsi che il popolo si sia raccolto dietro a Putin, come gli
ebrei dietro a Mosè.

Naturalmente, con Putin è stato varato il “Codice del lavoro”, è
iniziata la riforma pensionistica, si sono ridotte l’istruzione e
l’assistenza sanitaria gratuite. Perché Putin è pur sempre un
presidente borghese, che non promette a nessuno il socialismo. E poi,
tutto l’attacco di Putin ai diritti sociali fino ad ora si è limitato
alla sanzione giuridica di ciò che è già stato perso “de facto”, e
perciò non viene avvertito dal popolo come una riduzione di diritti. Ad
esempio, negli anni ’90 avevano semplicemente smesso di finanziare la
sanità e l’istruzione: per anni non hanno pagato i salari, non c’erano
le attrezzature, i mezzi per le riparazioni, ecc. Oggi si parla di
assicurazione sanitaria che, nonostante tutto, è pur meglio che mandare
tutto alla malora (dal momento che per i ricchi non cambierebbe nulla,
disponendo essi di cliniche carissime). E se anche Putin fosse un
convinto comunista, tuttavia dovrebbe ugualmente dare alla società
delle leggi borghesi, per adattare la
legislazione alla nuova realtà delle cose. E poi non va dimenticato
che in Russia fino ad ora semplicemente non abbiamo avuto un’ala
sinistra organizzata, un forte movimento comunista ed operaio. Ciò
significa che nella società non ci sono sostegni, non diciamo per
progetti socialisti, ma neppure per quelli sociali.

In effetti Putin, in mancanza di autentici e influenti comunisti,
rappresenta il politico più di sinistra nell’attuale Russia, il
democratico borghese più conseguente e onesto. In un contesto diverso
tutto potrebbe andare molto peggio. I progetti più radicali di riforma
dei codici del lavoro e della terra, delle pensioni, della sanità e
dell’istruzione sono stati accantonati. E ciò avviene, sebbene da
sinistra non venga praticamente alcuna pressione, sebbene non scendano
in piazza milioni di dimostranti, sebbene non vengano paralizzati
interi settori con scioperi organizzati sull’esempio di quanto avviene
in Europa. In una certa misura, bisogna riconoscere che un ruolo di
relativo contrappeso da sinistra è stato esercitato dal potere stesso.
E’ proprio il potere di Putin che non ha ancora permesso quella
privatizzazione di settori energetici strategici, che rappresenta il
sogno dell’oligarchia.

(…) Oggi non ci sono uomini d’affari che diano la rotta al Cremlino, al
contrario di quanto accadeva non molto tempo fa. Nel settore
petrolifero non assistiamo alle risse tra i gruppi per la spartizione
della proprietà, ma è ormai evidente che si sta attuando una politica
tesa alla limitazione del ruolo del capitale straniero in tale ambito
strategico e di ripristino del controllo statale sulle risorse.

E’ una coerente politica democratico-borghese, che crea condizioni
migliori per la lotta dei lavoratori. E se i comunisti hanno l’esigenza
di unirsi agli autentici democratico-borghesi contro la dittatura di
tipo “pinochettista”, essi devono convincersi che tale unità va
realizzata con Putin contro le Khakamada, i Berezovskij, il Comitato
2008, i seguaci di Zjuganov e di Limonov (leader dei nazi-bolscevichi,
nota del traduttore). La democrazia è qui con Putin, mentre là c’è il
ritorno dello strapotere degli oligarchi, con i loro sanguinari
“gorilla”, che imporrebbero al popolo di gelare in città che non
servono a nessuno, di morire di fame, al fine di succhiare dalla Russia
quanto più si può. Il programma dell’opposizione antiputiniana è allora
il programma degli oligarchi e dell’imperialismo, nudo e crudo: la
piena apertura della Russia al capitale occidentale, la privatizzazione
dei condotti energetici, lo scorporo e la privatizzazione di Gazprom,
l’instaurazione della proprietà
privata delle risorse strategiche e l’abolizione di qualsiasi
controllo statale sull’estrazione e il trasporto del petrolio, del gas,
dei minerali. Da qui potrebbe derivare anche la radicale risoluzione in
senso liberale delle questioni dei “codici”, della sanità,
dell’istruzione, vale a dire tagli in questi settori fino a
trasformarli in merce. Tale programma di per sé stesso presuppone il
ricorso a un suo Pinochet. Per questo oggi la democrazia è Putin, per
quanto paradossale possa sembrare tale affermazione. La dittatura di
tipo “pinochettista” è incarnata dall’opposizione antiputiniana, in cui
oggi sono stati attirati con un ruolo attivo anche i comunisti.

(…) Certo, il carattere borghese della presidenza non permette di
esprimere con coerenza l’autentico interesse nazionale, che coincide
con l’interesse del proletariato. Ricordiamo, a questo proposito, che
anche i primi passi di Putin, diretti alla conservazione dell’unità del
paese, hanno sollevato la furiosa resistenza dei vertici della
borghesia russa. Gli attacchi, che si concentrarono su Putin ai tempi
della tragedia del “Kursk” e le lotte attorno a NTV non avevano
precedenti. Ma, in veste di leader borghese, Putin non arrivò fino al
punto di contrapporre al ricatto e alla pressione della grande
borghesia il sostegno popolare, come, ad esempio, sta facendo Chavez.
Putin preferisce appoggiarsi su una parte della classe dominante,
legata al grande capitale statale: Gazprom, Rosneft, Transneft. (…)
Naturalmente, una parte significativa del grande capitale privato non è
affatto interessata a che si affermi un forte stato russo. Per costoro
è sicuramente ben più importante l’appoggio
che a loro viene dall’Occidente imperialista, che ha bisogno di
realizzare le condizioni migliori per esportare le risorse naturali:
petrolio, gas, legname, metalli. E tali condizioni si possono ottenere
con la disgregazione della Russia, con la presenza delle truppe della
NATO e con l’instaurazione di un feroce stato di polizia. Il loro
programma, concordato con l’imperialismo, si dovrebbe concretizzare
nello sfruttamento coloniale di quel territorio che una volta si
chiamava “Russia”.

Un’altra parte del grande capitale, compreso quello di stato,
convenzionalmente definito “patriottico”, non è del resto disposta a
spingersi troppo lontano. Costoro sognano di essere ammessi nel club
degli imperialisti. L’ideologia di questa parte della borghesia, di
interrelazione con l’imperialismo, è stata ben illustrata da Gleb
Pavlovskij in un articolo pubblicato in “Russkij Zhurnal”. “Oggi il
compito di qualsiasi leader della Russia è quello di mantenere
relazioni amichevoli con gli USA, facendo in modo, allo stesso tempo,
di porre un limite alle improvvisazioni americane, ergendo barriere
rappresentate dagli interessi della società e dello stato. E’ un
compito difficile, ma non esito a dire che Putin, almeno fino ad ora, è
riuscito a soddisfarlo. Pur mantenendo l’amicizia con l’America, egli
non le ha permesso di intervenire, vivisezionandolo, sul nostro
processo politico, al contrario di quanto è avvenuto in Georgia, in
Iraq oppure in Ucraina.
Anche se questa minaccia continuerà ad incombere”.

(…) E’ evidente l’incoerenza dell’antimperialismo russo. A fianco di
Putin si schiera una borghesia che è molto interessata ad intrattenere
rapporti di amicizia con gli USA, anche quando l’imperialismo
interviene direttamente contro la Russia, come sta avvenendo nel
Caucaso, dove l’imperialismo sostiene apertamente dei banditi.

Ma la parte “patriottica” della borghesia russa, sebbene desideri
l’amicizia con l’imperialismo, contemporaneamente si trova in una
contraddizione insanabile con esso, dal momento che la realizzazione
dei piani imperialistici in relazione alla Russia, significherebbe la
sua fine. Il complesso militare-industriale, i settori automobilistico
e dell’aviazione, l’agricoltura, le banche e le assicurazioni, il
petrolio, il gas e l’atomo controllati dallo stato, tutto ciò verrebbe
messo in ginocchio. Ormai l’imperialismo non può più sganciarsi dalla
Russia, e ciò significa che lo scontro decisivo sarà inevitabile. C’è
solo da sperare che parte dei borghesi “patrioti” - dal momento che non
è possibile una conciliazione con l’imperialismo e che non ci sono le
condizioni per batterlo – realizzi che l’unica via di uscita che ha di
fronte è quella di fare affidamento sul proletariato, risolvendo in
modo dialettico la contraddizione. Qui non c’è possibilità di scelta.
La necessità dovrebbe
spingere gli elementi più di buon senso della borghesia nazionale
verso il proletariato.

Certamente, tra le vittime potenziali dell’imperialismo non c’è solo la
Russia, ma è proprio lo scontro con la Russia che potrebbe generare una
crisi mondiale di rilievo tale, da preludere alla rivoluzione. I
comunisti dovrebbero persino augurarsi questo scontro.

(…) Alcuni compagni domanderanno perché poi l’imperialismo dovrebbe
colonizzare proprio la Russia, e non la Cina o qualche altro paese. Il
fatto è che, nel caso della Cina, è ancora possibile un’espansione
economica, mentre in Russia tale espansione urta con un mercato
interno, che, in modo abbastanza deciso, non permette la concorrenza.
L’imperialismo non può tollerare questo, soprattutto oggi, nel momento
in cui la permanente crisi economica lo obbliga a realizzare
l’espansione a qualsiasi prezzo. La crisi economica rende
l’imperialismo particolarmente aggressivo.

Per quanto riguarda la Russia, la questione si pone senza mezzi
termini. La situazione è mutata negli ultimi anni. Soprattutto dopo
l’11 settembre e nel periodo di preparazione della guerra in Iraq, era
sembrato che la Russia, in qualche modo, potesse fare il suo ingresso
nel club dei più forti, utilizzando le contraddizioni tra i centri
imperialistici. Ma oggi è sempre più evidente che la situazione si è
capovolta: non hanno nessuna intenzione di ammettere la Russia nel loro
club.

Gli avvenimenti in Georgia, in Ucraina e nelle altre ex repubbliche
sovietiche mostrano che si è accelerato il processo di separazione
dalla Russia, se pensiamo che fino a non molto tempo fa pareva fossimo
in presenza di un unico aggregato. Non ci vogliono particolari capacità
divinatorie per pronosticare già nell’immediato futuro (uno o due anni)
i primi scontri militari della Russia con l’imperialismo. L’Abkhazia e
l’Ossezia del Sud sono repubbliche, dove la popolazione quasi al
completo ha assunto la cittadinanza russa. La Russia dovrà difendere
queste repubbliche dall’esercito georgiano armato dagli americani. Dopo
l’arrivo di Saakashvili la guerra sarà inevitabile. E cosa succederà in
Ucraina se dovesse arrivare al potere Juschenko? Quando si porrà la
questione delle basi NATO in Crimea, ben difficilmente la popolazione
locale accetterà passivamente il fatto compiuto. E se dovesse divampare
una rivolta contro il nuovo potere ucraino e i suoi padroni della NATO,
cosa farà la
Russia? Simili sollevazioni potrebbero verificarsi anche in altre
parti dell’Ucraina, particolarmente nell’oriente abitato da russi. Sarà
allora in grado il potere borghese russo di contrapporsi adeguatamente
all’aggressione imperialista? Naturalmente no! E’ evidente che
un’efficace resistenza all’aggressione potrà manifestarla solo un
potere popolare, che attraverso l’esproprio delle proprietà,
restituisca le ricchezze al popolo, soffocando con durezza i tradimenti
borghesi. Tale potere dovrà essere in grado, da un lato, di
confrontarsi con la necessaria energia all’imperialismo e ai suoi
complici e, dall’altro dovrà rivolgersi ai popoli del mondo, chiedendo
solidarietà e un intervento deciso contro il sistema capitalista
mondiale e la guerra scatenata dall’imperialismo. Se l’imperialismo
dovesse abbattersi sulla Russia, ciò significherebbe la sua fine,
significherebbe la rivoluzione mondiale, che oggi sembra del tutto
improbabile.

La sinistra russa, per potere assolvere adeguatamente al proprio ruolo,
deve fin d’ora definire correttamente la propria posizione. Dal momento
che ora si sta cercando di arruolare la sinistra nel campo
imperialista. Circola nella sinistra una leggenda del genere: “la
Russia è una potenza imperialista aggressiva, Putin è un tiranno.
L’essenziale è abbatterlo, restaurando la democrazia”. Di per sé stessa
tale posizione è del tutto falsa, e spinge la sinistra a fare fronte
comune con l’imperialismo. Se la sinistra ha una ragione per criticare
Putin, non è certo perché egli è un tiranno e un imperialista, ma
piuttosto perché egli è un democratico-borghese e, di conseguenza, non
può essere un combattente deciso e determinato contro l’imperialismo.
Ma fin dall’inizio sarebbe stato necessario sostenere Putin contro
un’opposizione creata dall’imperialismo. Per questa ragione è
necessario collocarsi alla sinistra di Putin, mettendo in rilievo la
mancanza di coerenza e l’indecisione del suo
antimperialismo, della sua lotta con gli oligarchi; occorre esigere
passi più decisi in difesa degli autentici interessi nazionali; che
sono allo stesso tempo gli interessi di classe del proletariato e gli
interessi generali dell’umanità.

Un ruolo di rilievo nello spingere la sinistra nel campo imperialistico
viene svolto da Ilija Ponomariov (responsabile del settore informatico
del PCFR ed esponente di spicco della più giovane generazione di
dirigenti del partito comunista, nota del traduttore), che si è
pronunciato apertamente per l’unità della sinistra con gli oligarchi e
per un’opposizione antiputiniana “di sinistra-destra”: Ecco cosa
propone Ponomariov alla sinistra:

“Si deve sottolineare che la posizione del nostro partito rispetto al
sistema di capitalismo oligarchico che si è sviluppato nel paese, è
molto dura. Personalmente ritengo che proprio questa sia la causa della
povertà del nostro popolo e che tutte queste persone, Khodorkovskij,
Ciubajs, Berezovskij, Potanin ed altri, portino una personale
responsabilità. Ma perché non capire che costoro, in questo momento,
rappresentano il nostro alleato oggettivo, l’unica alternativa al
Cremlino? Un fattore positivo si riscontra nello svolgimento della
campagna per la presidenza. Una parte significativa dell’opinione
pubblica democratica ha espresso l’intenzione di boicottare le
elezioni, e non solo tra i “democratici” classici, ma anche nella
sinistra. Ciò pone le condizioni per la creazione di un’opposizione “di
sinistra-destra”, dall’ “Unione delle forze di destra” (SPS) al
“Partito Nazional-Bolscevico” (NBP), che potrebbe avere delle analogie
con il blocco “Kmara” della Georgia” (“La sinistra ha
un’opportunità”, www.kprf.ru).

Questo è il programma concreto che l’imperialismo, per bocca di
Ponomariov, propone alla sinistra russa. E questo programma si sta
realizzando a tutti i livelli. Alcuni esponenti del partito comunista,
cercando di giustificare unioni senza principi, si affannano a
convincere il pubblico che Putin avrebbe riunito attorno a sé tutta la
borghesia e che, quindi, tutto ciò che si rivolge contro Putin è contro
il capitalismo. Naturalmente non è così. Parlare di blocco della
borghesia attorno a Putin, in presenza della massiccia pressione che
l’imperialismo sta oggi esercitando sulla Russia e su Putin, è
semplicemente ridicolo. Sarebbe piuttosto il caso di parlare di un
blocco della grande borghesia contro Putin. In sostanza, in questo
blocco le sinistre vengono, da Ponomariov, esplicitamente invitate ad
entrare.

(…) Che l’imperialismo abbia comperato la sinistra russa, sarà chiaro a
tutti entro brevissimo tempo. Ma coloro che non si riconoscono in
questa opposizione unitaria “di sinistra-destra” dal SPS al NBP, devono
cominciare a riflettere seriamente su come unirsi allo scopo di creare
una vera sinistra.

Traduzione dal russo di Mauro Gemma


=== 3 ===

www.resistenze.org - popoli resistenti - russia - 09-05-04

Si avvicina per la Russia il momento delle scelte decisive

di Dmitrij Jakushev
http://www.partaktiv.info/analytics/409a197fea4c1/

Il sito comunista ucraino "partaktiv.info" ha pubblicato un commento
dello studioso marxista russo Dmitrij Jakushev, di cui si propone la
traduzione


Recentemente è stata resa pubblica la relazione dal titolo "Le tendenze
globali fino al 2015", preparata dagli analisti della CIA nel 2000,
secondo cui la Russia nel giro di alcuni anni dovrebbe essere divisa in
6-8 stati, mentre le sue enormi risorse energetiche verranno spartite
tra Unione Europea, Giappone e USA. E' evidente come l'autorevolezza
degli autori dello studio testimoni della sua serietà. I quattro anni
della presidenza di Putin, attraverso la repressione del separatismo e
la costruzione della "verticale" del potere, nel migliore dei casi
hanno solo ridotto l'acutezza del problema, ma, certamente, non lo
hanno risolto. E non avrebbero potuto farlo, dal momento che
nell'ambito del capitalismo tale questione non è risolvibile in linea
di principio. Il capitalismorappresenta la morte per la Russia.E'
assolutamente inevitabile che le infinite ricchezze naturali del paese
debbano essere divise tra i centri imperialistici dominanti. La Russia
capitalistica non è in grado di competere con l'imperialismo.

Una parte significativa della grande borghesia russa, pur incontrando
alcuni ostacoli, ritiene inevitabile accordarsi sulla spartizione del
proprio paese e sulla sua consegna al pieno controllo imperialista. In
prospettiva, è solo l'Occidente imperialista, e non certo lo stato
russo, che sarà in grado di garantire effettivamente la conservazione
dei capitali di costoro. Già ora il capitale privato russo chiede che
l'Occidente lo difenda dal proprio stato, che intende sottoporlo al
rispetto di alcune regole. Ecco perché Dmitrij Rogozin (attuale leader
di "Rodina"), che conosce a fondo i retroscena delle relazioni tra la
Russia e l'Occidente, così si esprime sul ruolo degli oligarchi nelle
trattative con l'Unione Europea: "A giudicare da ciò che avviene in
sede di trattative con l'UE, si può affermare che i nostri oligarchi,
attraverso le imprese e le lobby occidentali, pongono la questione
della privatizzazione dei condotti energetici. E ciò annienta tutti i
vantaggi derivanti dall'esportazione. Ciò significa che i nostri
oligarchi sono ancora vivi e che se ne infischiano degli interessi del
paese. Per questo gli oligarchi continuano a rappresentare per noi un
pericolo molto concreto". ("Nezavisimaja gazeta" 30.04.04).

No c'è alcun dubbio che la dura pressione dell'Occidente in merito alla
questione energetica prima o poi riuscirà a raggiungere il suo scopo:
la rete energetica, il gas e il petrolio saranno strappati dalle mani
dello stato e consegnati ai privati, il che significa, in ultima
analisi, all'imperialismo. Non dovrebbe esserci neppure alcun dubbio
sul fatto che l'attuale accerchiamento militare della Russia, che si
stringe sempre di più, si concluderà con l'occupazione del suo
territorio, con lo smantellamento dell'arsenale nucleare e con la
spartizione in zone di influenza tra i centri imperialistici.

E da tutto ciò ne deriva che la politica di Putin, indirizzata alla
creazione di una Russia capitalistica indipendente, nell'ingresso della
Russia nel club imperialista, andrà incontro, in tempi molto
ravvicinati, a un completo fallimento. Non ci accetteranno mai tra i
ranghi dei forti e dei ricchi e la Russia non ha certo la forza per
ottenerlo. Lo stato russo non è in grado di difendere i russi nella
regione del Baltico dall'assimilazione violenta, non è in grado di
controllare le repubbliche vicine (Ucraina, Bielorussia, Georgia,
ecc.), anche in presenza di governi leali, o addirittura diretti dalla
Russia, non è in grado di fermare l'allargamento della NATO e dell'UE,
non è in grado di fare quasi nulla.

Quando sarà chiaro che il progetto di una Russia capitalistica
indipendente è fallito - e ciò avverrà molto presto -, allora tutti ci
troveremo di fronte alla scelta: o ancora una volta ci si orienterà
verso una rivoluzione comunista, o si consegnerà il proprio destino ai
partiti filoimperialisti, quali l' "Unione delle forze di destra",
"Mela", "Comitato-2008" (che raccoglie anche i radicali "alla Pannella"
e che è direttamente sostenuto dai principali oligarchi, in vista del
prossimo ricambio presidenziale, nota del traduttore), il "Partito
nazional-bolscevico" (i nazisti di Limonov), il "Fronte giovanile di
sinistra" (diretto dal giovane dirigente del PCFR Ilya Ponomariov e che
raccoglie alcune organizzazioni giovanili di estrema sinistra, tra cui
quella del PCFR e sigle "altermondialiste", nota del traduttore), una
parte dei "comunisti". Allora si dovrà sperare che la Russia non venga
eccessivamente straziata, che si possa trattare sulle forme meno
pesanti di occupazione. Si dovrà sperare che costoro cerchino di
"ottenere uno sconto", attraverso una qualche variante di
confederazione, e di assicurare uno spazio culturale e linguistico.

E' allora evidente che non ci sarà una via d'uscita comunista da questo
vicolo cieco, se in tempi molto ravvicinati nel paese non apparirà un
vero partito comunista operaio.

Traduzione dal russo di Mauro Gemma


=== 4 ===

http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.php?langue=5§ion=&id=23032

I neo-cons sono dentro fino al collo nelle provocazioni del Caucaso

Jeffrey Steinberg    14/09/2004

URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.phtml?section=&object_id=23032


Criticando espressamente i paesi occidentali in un discorso dell'8
settembre, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha detto che
essi "hanno responsabilità dirette per la tragedia del popolo ceceno
perché danno asilo politico ai terroristi. Quando i nostri partner
occidentali dicono che dobbiamo rivedere la nostra politica, che
essi chiamano tattiche, io li inviterei a non interferire negli
affari interni della Russia".
Lavrov faceva così riferimento alle decisioni di Stati Uniti ed
Inghilterra di dare asilo politico a due leader separatisti ceceni,
Ilyas Akhmadov e Akhmed Zakayev, che oggi vivono rispettivamente a
Washington e a Londra. I due hanno avuto legami con Aslan Maskhadov
e Shamil Basayev, i dirigenti di due fazioni indipendentiste cecene.

Ma questa decisione di autorità inglesi e americane di ospitare e
proteggere gente vicina alla recente ondata di terrore che ha scosso
la Russia è solo la punta dell'iceberg. L'EIR ha iniziato una
ricerca sulla strategia degli ambienti liberal-imperialisti, in
Inghilterra e negli USA, che mirano a sottrarre alla Russia tutta la
regione caucasica ricca di petrolio.

Si tratta di una strategia che procede a tutto vapore dal 1999 e che
s'inquadra più generalmente nel contesto del Piano Bernard Lewis,
che diventò operativo negli anni Settanta, con cui ci si riproponeva
di minare tutta la regione meridionale dell'allora Unione Sovietica,
trasformandola in un "Arco di crisi". I punti focali del piano di
destabilizzazione a lungo termine, che contava di fare leva
soprattutto sull'istigazione del fondamentalismo islamico, erano
l'Afghanistan e la Cecenia.


Brzezisnki, Haig e Solarz

Chi segue regolarmente l'EIR non si meraviglierà del fatto che tra gli
architetti delle provocazioni oggi in atto nel Caucaso spicchi
Zbigniew Brzezinski, il consigliere di sicurezza nazionale di Carter
che per primo adottò i piani geopolitici messi a punto da Lewis
all'Arab Bureau di Londra, che contavano di usare il radicalismo
islamico contro il comunismo sovietico. "L'arco di crisi" di
Brzezinski e Lewis fu ereditato in blocco dall'amministrazione
Reagan-Bush nel 1981. Questo fu in parte dovuto ai buoni uffici del
direttore della CIA William Casey e dall'allora capo dei servizi
francesi Alexandre de Maranches. La promozione dei mujhaiedeen
diventò un progetto curato dalla banda dei neo-con che si trasferì
al Pentagono ed al Consiglio di Sicurezza nazionale con Reagan, con
i soliti noti in testa: Douglas Feith, Michael Ledeen e Richard
Perle.
Nel 1999 un centro di coordinazione delle destabilizzazioni che i
neo-con giustificano in nome dei diritti umani, la Freedom House
fondata da Leo Cherne, lanciò un organismo chiamato American
Committee for Peace in Chechnya (ACPC). L'obiettivo dichiarato:
interferire negli affari interni della Russia ricorrendo alla scusa
secondo cui "la guerra russo-cecena" deve essere risolta
"pacificamente". A guardare la lista dei presunti pacifisti
dell'ACPC si resta però perplessi. I fondatori sono infatti
Brzezinski, Alexander Haig (segretario di stato che disse "ci sono
io al comando" quando Reagan fu vittima dell'attentato del 1982), e
l'ex deputato Stephen Solarz. Tra i membri: Elliot Abrams, Kenneth
Adelman, Richard Allen, Richard Burt, Elliot Cohen, Midge Decter,
Thomas Donohoue, Charles Pairbanks, Frank Gaffney, Irving Louis
Horowitz, Bruce Jackson, Robert Kagan, Max Kampelman, William
Kristol, Michael Ledeen, Seymour Martin Lipset, Joshua Muravchik,
Richard Perle, Richard Pipes, Norman Podhoretz, Arch Puddington,
Gary Schmitt, Helmut Sonnenfeldt, Caspar Weinberger e James Woolsey.
Oltre che delle strutture della Freedom House, l'ACPC si serve anche
della Jamestown Foundation, un centro studi della guerra fredda
diretto da Brzezisnki e Woolsey, la cui causa è promuovere
operazioni di "democratizzazione" negli stati "totalitari". Questo
centro studi produce la newsletter "Chechnya Weekly" per l'ACPC
insieme a altre lettere di propaganda contro la Cina, la Corea del
Nord e altri paesi eurasitici nel mirino dei neo-con.


Obiettivo Cecenia

I piani attuali dell'AIPAC sono stati persentati in un commento di
Richard Pipes sul New York Times del 9 settembre 2004. Sotto il
titolo "Dare ai ceceni la propria terra", Pipes sostiene che il
presidente Putin ha sbagliato di grosso nel paragonare l'attacco
terroristico di Beslan, nell'Ossetia del Nord, agli attacchi dell'11
settembre 2001 negli USA. Pipes ha minacciato il governo russo che i
leader del terrorismo ceceno non si fermeranno fino a quando la
Russia non concederà l'indipendenza. Citando l'esperienza francese
con il movimento indipendentista algerino negli anni Cinquanta, Pipes
scrive: "I russi dovrebbero imparare dai francesi. Anche la Francia
una volta fu implicata in una sanguinosa guerra coloniale in cui
migliaia furono le vittime del terrorismo. La guerra d'Algeria
iniziò nel 1954, si protrasse senza una fine in vista fino a quando
nel 1962 Charles de Gaulle non risolse coraggiosamente il conflitto
garantendo all'Algeria l'indipendenza. Questa decisione si può
considerare molto più dura di quella che deve prendere oggi Putin,
perché l'Algeria è molto più grande e contribuiva molto di più
all'economia francese di quanto oggi la Cecenia contribuisce alla
Russia, e c'erano centinaia di migliaia di cittadini francesi che ci
vivevano".
Pipes poi minaccia: "Fino a quando Mosca non decide di seguire
l'esempio francese, la minaccia terroristica non diminuirà ... la
Russia, il più grande paese della terra, può certamente permettersi
di lasciar andare una piccola dipendenza coloniale, e dovrebbe farlo
senza indugi". Il numero dell'8 settembre di Chechnya Weekly
criticava Putin per non aver convocato "il diplomatico separatista
ceceno Akhmad Zakayev", residente a Londra, per negoziare con i
terroristi il rilascio degli ostaggi.


Gli inglesi hanno reclutato i terroristi del Caucaso

Ciò che nel governo russo sanno bene è che mentre negli USA si
fondava l'ACPC, il governo inglese concedeva aiuti sempre più diretti
agli ambienti terroristici. In una documentazione del 21 gennaio 2000,
diretta al segretario di stato USA Madeleine Albright e intitolata
"L'Inghilterra deve essere messa sulla lista degli stati che
promuovono il terrorismo" l'EIR riferiva come le autorità inglesi
avrebbero facilitato il reclutamento di elementi della jihad in
Inghilterra da portare poi clandestinamente in Cecenia. Nel
documento dell'EIR si poteva leggere tra l'altro: "Il 10 novembre 1999
il governo russo aveva già presentato formale protesta diplomatica,
attraverso la sua ambasciata a Londra, per gli attacchi ai
giornalisti russi e per l'ospitalità concessa allo sceicco Omar
Bakri Mohammd, capo di Al Muhajiroon, 'ala politica'
dell'organizzazione di Bin Laden, che era il gruppo che reclutava
musulmani in Inghilterra da mandare a combattere in Cecenia contro
l'esercito russo. L'organizzazione di Bakri operava liberamente da
uffici nel sobborgo londinese di Lee Valley -- due stanze in un
centro informatico -- e gestivano una propria impresa di internet.
Bakri ha ammesso che ufficiali militari 'in congedo' provvedono agli
addestramenti delle nuove reclute a Lee Valley, prima di essere inviate
nei campi in Afghanistan o Pakistan, o vengono fatti entrare
cladestinamente direttamente in Cecenia".

Fonte: www.movisol.org