Informazione

http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/pose4f26.htm
www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 26-06-04

tratto da Slow News


Il Kosovo tra mafia e terrorismo

di Franca Giansoldati (Apcom)


Il Kosovo: paradigma dell'ennesimo flop del Palazzo di Vetro. A cinque
anni tondi tondi dalla fine della guerra Nato e dall'inizio del
protettorato Unmik, la comunità internazionale è di nuovo costretta a
fare i conti coi guasti causati dalla mancanza di una politica
concordata e unitaria. E basta poco per vedere quali risultati
disastrosi abbia prodotto in una regione grande quanto il Molise.

Benché vi sia la più alta concentrazione al mondo di truppe straniere
per chilometro quadrato (25 mila), il crimine organizzato è proliferato
indisturbato, con volumi d'affari da capogiro (secondo fonti della Kfor
l'80 pc del Pil è frutto di traffici: prostituzione, droga, sigarette);
poi c'è lo spettro del terrorismo che si aggira minaccioso sebbene la
penetrazione dell'Islam radicale non sia riuscita ancora a far breccia
nella popolazione. E ancora: il tasso di disoccupazione è al 70 per
cento; il comparto economico tira avanti grazie agli aiuti
internazionali e la convivenza tra la minoranza serba
cristiano-ortodossa (circa 200 mila persone) e l'etnia
kosovaro-albanese, musulmana (circa 2 milioni) al momento è solo un pio
intendimento senza appigli nel concreto.

A questo poco rassicurante quadro va aggiunta - per completezza di
cronaca - la debacle di quella 'road map' studiata per dotare il Kosovo
di standard europei. Il Ksip (Kosovo Standard Implementation Plan) di
fatto resta lettera morta per la quasi totalità degli obiettivi
prefissati. Così l'Onu -dopo i disordini del 18 marzo- ha deciso di far
slittare 'sine die' ogni decisione sullo status finale da assegnare
alla regione. In ballo c'è il tema dell'indipendenza da Belgrado
richiesto a gran voce dall'etnia albanese. Inizialmente era stata
fissata una data: il 2005, ma è chiaro che in queste circostanze sembra
irrealistico affrontare un nodo istituzionale così complesso e in un
contesto così instabile. Inoltre il Parlamento di Pristina non sarebbe
in grado di controllare politicamente del forze dell'Uck.

Dopo i fatti di marzo - 31 morti, 286 case bruciate, 30 monasteri
ortodossi incendiati, 600 civili feriti e 3 mila serbi costretti a
lasciare le proprie case - il capo dell'Unmik, Harri Holkeri si è
dimesso. A riprova del fallimento dell'Onu. Oggi come oggi in Kosovo
sono in pochi coloro disposti a difenderne l'operato. Persino il
partito di governo del Presidente Rugova, Ldk, dice: "non possiamo più
ingannare il nostro elettorato, poiché non ci sono più argomenti a
difesa dell'Unmik". Parole impensabili che fino a qualche tempo fa il
segretario del partito, l'autorevole Kol Berisha, non si sarebbe mai
sognato di pronunciare.

Paradossalmente, invece, arrivano nel giorno del quinto anniversario
della "liberazione di Pristina da parte della Nato". Nel suo studio,
tra la bandiera albanese, campeggiano due enormi fotografie, una in
compagnia di Magdalene Albright e l'altra di Bill Clinton. "Se non
arriverà l'indipendenza è chiaro che ci sarà un'altra guerra. Perché il
Kosovo indipendente, per noi albanesi, è tutta la nostra vita". Fino a
quanto siete disposti a pazientare? "Di sicuro non fino al 2020, né
tanto meno fino al 2010. Serve una decisione subito".

L'OMBRA DEL TERRORISMO - Sullo sfondo della regione si staglia torva
anche l'ombra del terrorismo. Finora la matrice dei disordini era
riconducibile all'eccessivo nazionalismo. Ma a molti questa versione
non convince più e solleva qualche dubbio. Fonti diplomatiche non
nascondono timori per la presenza sul territorio di importanti flussi
di denaro provenienti da fondazioni caritative arabe. Assai esplicito
uno dei più autorevoli islamismi dell'università di Belgrado, Dragan
Vimeunovic: "Attualmente non si può parlare di penetrazione vera e
propria dell'Islam radicale. Tuttavia esisterebbero altre connessioni,
di tipo logistico, tra il crimine kosovaro e possibili transiti di
cellule terroristiche islamiche". Una tesi che condivide anche padre
Janijc Sava del monastero di Dracanica: "Sono in molti a supporre che
l'Uck abbia avuto contatti con cellule di al Qaeda". E rincarando la
dose aggiunge: "in passato in Kosovo era presente la al Haramein
Foundation, associazione benefica saudita poi messa al bando. E anche
una fondazione chiamata Abu Bakr al Sadik che si dice operasse nella
zona di Mitrovica". Infine, Sava aggiunge un altro inquietante
tassello: "Non dimentichiamo che nel 1994 in Albania si è registrata la
presenza di bin Laden".

"Non più nazionalismo. Ora è anche un conflitto religioso". Padre Sava
ha idee ben chiare anche sui disordini che nel marzo scorso hanno messo
ferro e fuoco il Kosovo causando la morte di 31 persone, bruciato 286
case e distrutto 30 monasteri ortodossi. "Gli estremisti
kosovari-albanesi (di religione musulmana) hanno deliberatamente
cancellato simboli cristiani, rotto croci, dissacrato cimiteri,
bruciato icone, senza pensare che spesso erano opere d'arte. È stata
una azione deliberata che non può essere interpretata come un'azione
contro la minoranza serba solo perché serba. Ormai è chiaro. Era contro
la cultura cristiana" afferma il religioso in una intervista ad Apcom.
Poi, rivolgendo un appello all'Europa e a Prodi, aggiunge: "distruggere
le chiese è antieuropeo".

Cosa la induce a pensare di trovarsi di fronte ad uno scontro
religioso? "Fatti. Per esempio -replica padre Sava- la presenza davanti
alle moschee nuove, appena costruite, dell'insegna di una ong
proveniente dall'Arabia Saudita. Solo a Decani in questi due anni sono
sorte cinque nuove moschee. Su una di queste insegne si leggeva la
scritta Al Haramein, che se non ricordo male è una fondazione saudita
fantasma messa al bando poiché indirettamente collegata con al Qaeda.
Credo che questa fondazione sia stata espulsa successivamente anche
dalla Bosnia. Ma sappiamo che ci sono altre fondazioni che operano sul
territorio kosovaro. Non saprei dire quali sono. Una cosa mi pare però
certa: i finanziamenti arrivano".

Padre Sava racconta anche che alcuni militari gli hanno riferito del
ritrovamento di casse di armi e, tra le armi, libri del Corano. "Un
giorno fermarono un camion per un accertamento e dietro trovarono
quella merce. La fotografarono". Un altro episodio significativo è un
video girato durante i disordini del 17 marzo. "All'interno di una
chiesa, mentre si stava compiendo la devastazione, si intravede un uomo
che fa scempio di cose sacre con la barba lunga. È un particolare che
mi ha colpito. La barba lunga è un elemento della tradizione serba
ortodossa, ma mai di quella kosovara. Non si sono mai incontrati
albanesi con la barba lunga in passato. Perché ora?".

Cosa vede nel futuro dei cristiani di quella regione? "La mia
previsione è che i kosovari puntano ad un Kosovo indipendente e
totalmente dominato dai musulmani. A questo punto la presenza dei
cristiani non avrà più futuro".

L'ISLAM ALLA 'KOSOVARA' - Benché il 90 per cento della popolazione sia
musulmana, quello che c'è in Kosovo è un Islam assai blando, niente a
che fare con il rigido orientamento wahabita. Il capo dei 560 imam
della regione, Bajgora Sabri, 45 anni e una sola moglie ("qui nessuno
può aver più di una moglie, sarebbe impensabile") mette subito in
chiaro: "La religione è libera e non si può imporre. E noi siamo i
primi a vigilare affinché non si affermi un Islam che non ci
appartiene. [...] L'unica cosa che chiedo a tutti in moschea è di
rispettare le cinque preghiere quotidiane, il ramadan, l'elemosina,
l'unicità di Dio e di recarsi alla Mecca almeno una volta prima di
morire. Sul resto sono di manica larga...". Sabri racconta che vengono
fatti periodici controlli sulle associazioni benefiche saudite e sugli
studenti kosovari che si recano ogni anno a studiare nelle madrasse
arabe (circa 200 all'anno).

"Stiamo ben attenti a verificare che a questi ragazzi non venga
inculcata una predicazione troppo radicale". Intanto l'Islam cresce.
Nel 1999 in Kosovo si contavano 560 moschee, oggi ce ne sono 590.
Tenendo conto che con la guerra sono stati distrutti 218 edifici,
significa che nell'arco di cinque anni su un territorio vasto come il
Molise sono state costruite o ricostruite ben 248 moschee. "I
finanziamenti -aggiunge l'imam- arrivano da molti Paesi, anche l'Italia
ha contribuito a costruire l'antica moschea di Pec. A Iablanica la
moschea è stata rimessa a posto grazie all'aiuto della comunità ebraica
americana e della chiesa cattolica".

GENOCIDIO CULTURALE? - La distruzione di chiese e monasteri ortodossi
è stata definita da alcuni un 'genocidio culturale' perpetrato dagli
albanesi-kosovari per distruggere l'identità della minoranza serba
radicata nel cristianesimo. Ma anche un modo, assai sbrigativo, per
evitare il rientro dei profughi. Secondo alcuni diplomatici l'obiettivo
degli albanesi-kosovari è quello di gettare le basi per uno Stato
omogeneo dal punto di vista etnico e religioso. Si sta cercando poco
per volta di svuotare il Kosovo di serbi e di cancellare i loro luoghi
simbolici.. Come è accaduto per la chiesa di S.Giovanni Battista a
Samodreza, andata distrutta durante la guerra. Lì venivano benedetti i
cavalieri cristiani che nel XIV secolo andavano a combattere contro i
turchi. Di quella chiesa oggi non esiste più nulla, nemmeno una pietra,
solo un prato sul quale si divertono a giocare i bambini. Di 300 mila
profughi di guerra hanno fatto ritorno poche migliaia. Anche se rimane
obiettivo primario dell'Unmik riportarli a casa, purtroppo le
condizioni sono tali che nessuno pensa al rientro. La minoranza serba
(poco meno di 20 mila persone) da cinque anni vive reclusa in enclave,
senza poter uscire, controllata dai militari della Kfor che hanno il
compito di assicurare protezione. Non esiste il concetto di sicurezza,
non hanno accesso ai servizi più elementari.

Molte enclave in questi anni hanno cercato di rendersi autonome,
arrangiandosi. Lazic Dragisha, 45 anni, insegnante ed ex dirigente in
una azienda statale elettrica, vive nell'enclave di Priluzie, in tutto
3500 anime. Priluzje si trova a qualche chilometro da Obilic dove c'è
una centrale elettrica a carbone. Il fumo nero che esce dalle bocche
delle ciminiere si vede a chilometri di distanza. Da lì parte una
strada piccola, piena di buche, rettilinea che sembra finire nel nulla.
Ogni tanto si vede una mucca che l'attraversa. "Chi può se ne va e non
fa più ritorno - dice Draghisha. Gli altri campano come possono.
Cerchiamo di arrangiarci".

L'Unmik, al quale è stato affidato il protettorato del Kosovo, si era
posta il rientro entro il 2005 dei 300 mila profughi fuggiti durante la
guerra. Ad oggi ne sono rientrati solo poche migliaia anche se sono
state ricostruite per loro 58 mila case. "Possono pure costruite tutte
le case che vogliono, ma se non ci sono condizioni di vita normali,
come fanno rientrare -si chiede Draghisha- In questo villaggio viviamo
in segregazione, da cinque lunghi anni. Ho pensato più volte di
prendere la mia famiglia e andarmene.Ma dove vado? Io ho casa qui, qui
accanto ci abita il mio anziano padre, dunque: perché me ne devo
andare? Eppoi -aggiunge con sarcasmo- non avremmo nemmeno di documenti
in regola per farlo. L'Unmik, infatti, può solo rilasciarci dei 'travel
document' che molti paesi, tra cui l'Italia, non riconoscono".

La speranza di quest'uomo è riposta in un miracolo: poter assistere un
giorno alla coesistenza tra serbi e kosovari-albanesi, in uno stato
multietnico, con condizioni di vita migliori. "Ma se ci sarà
l'indipendenza del Kosovo, come vogliono gli albanesi, per noi serbi
non ci sarà futuro. Ormai è chiaro a tutti". Lazan Draghisha confessa
di sentirsi abbandonato: "l'Unmik ci doveva aiutare ma non vediamo
cambiamenti. Così come dovevano aiutarci la Kfor e il governo locale di
Pristina. L'Europa, invece, allarga il portafoglio ma fa finta di non
vedere e così idem per gli Stati Uniti. Credo che se non accadranno
altre cose a noi serbi non rimane che sperare in Belgrado. Ci rimane
solo quello".

LE ELEZIONI A OTTOBRE - Ad appesantire il clima ci sono le elezioni
fissate per il prossimo 23 ottobre. Per la seconda volta l'elettorato
sarà chiamato a rinnovare l'Assemblea. A dare del filo da torcere al
partito di maggioranza presieduto da Rugova, Ldk, che ora ha 47 seggi,
si sta imponendo all'attenzione della gente una nuova lista che si
chiama Aak, Alleanza Democratica che punta ad avere un esercito
nazionale e che si prepara ad una campagna elettorale di fortissima
critica contro l'Unmik. Nonostante il quadro complicato la situazione
almeno in superficie pare calma. Ma sono in molti a chiedersi se
reggerà fino al 2005.

ITALIANO IL PROSSIMO CAPO DELL'UNMIK? - Holkeri se n'è andato,
adducendo motivi di salute: di fatto spinto dal fallimento dell'Unmik.
Ora fervono in contatti tra i Paesi che formano il 'gruppo di contatto'
per individuare un sostituto. La scelta spetterà a Kofi Annan ma per
questo ruolo si ritorna a parlare di un italiano. E in questi giorni si
è fatto il nome anche di Stefano Sannino, diplomatico vicino a Prodi e
Staffan de Mistura. Accanto a loro il norvegese Kai Eide, il francese,
Alain le Roi, e il danese Pietre Feith. Fonti diplomatiche fanno sapere
che potrebbe spuntarla anche un italiano, ma dipende da quanto il
governo si impegnerà per sostenere una delle due candidature.

IL FUTURO - "La pacificazione arriverà, ma bisogna aspettare che
passino almeno due generazioni. Nel frattempo occorre agire su tre
direttrici: la politica di prossimità con la quale l'Ue disegna i
rapporti coi suoi futuri vicini; l'educazione dei kosovari e le
condizioni di sviluppo economico dell'area". Margherita Saulle, docente
di diritto internazionale alla Sapienza di Roma, non vede altre
scappatoie per uscire dal vicolo cieco del Kosovo. "Al momento lo
status finale resta irrisolto e non può essere diversamente".

Questa giurista è tra coloro che meglio conoscono la realtà balcanica
e le dinamiche del dopoguerra per avere vissuto 7 anni in Bosnia quale
presidente della Commissione internazionale istituita per studiare il
problema della restituzione dei beni immobili ai profughi ("finora
siamo riusciti a restituire 240 mila tra case e poderi, secondo lo
spirito degli accordi di Dayton").

"La società multietnica -aggiunge Saulle- è un concetto che abbiamo
noi ed ciò che immaginiamo per il presente e per il futuro del mondo.
Anche in Kosovo si arriverà a questo, ne sono certa, ma ci vorranno
almeno 20 anni. Non è solo per il fatto che lì c'è stata una guerra
civile interetnica. È anche per la mentalità, la gente è molto chiusa e
cruenta, di per sé poco portata a rapportarsi con l'esterno, poiché
vive da sempre in una dinamica di clan. In più c'è una specie di
coefficiente genetico che li porta ad attualizzare i torti subiti dal
proprio popolo anche sette secoli addietro. Sin da bambini pensano al
male che fu fatto ai loro avi nel medio evo. Va da sé che con una
dinamica di questo genere da questa spirale è difficile uscire".

Quanto al ritorno dei profughi, la giurista sottolinea che va avanti
con lentezza ma che "non può essere altrimenti. Durante la guerra,
infatti, sono stati bruciate tutte le mappe catastali, persino quelle
che risalivano a Maria Teresa D'Austria. È difficile ricostruire le
proprietà".

18 giugno 2004
Franca Giansoldati (Apcom)

Da: ICDSM Italia
A: i c d s m - i t a l i a @ y a h o o g r o u p s . c o m
Subject: [icdsm-italia] 50 Lawyers from 12 Countries
Appeal against Imposition of Counsel on Milosevic
Inviato: 29/07/2004 18:24


[ Una cinquantina di avvocati, giuristi ed esperti di diritto
internazionale hanno gia' sottoscritto questa lettera, indirizzata
al Segretario generale dell'ONU e ad altre altissime personalita'
internazionali: in essa si esprime viva preoccupazione per la
cinica manovra in atto all'Aia, dove le gravi condizioni di salute
di Milosevic -- per le quali la Corte non aveva mai preso seri
provvedimenti prima d'ora -- vengono adesso usate a
pretesto per imporre misure che ledono i diritti di autodifesa
dell' "imputato". In particolare, nei prossimi giorni la Corte
potrebbe formalmente imporre a Milosevic un "avvocato
d'ufficio" allo scopo di impedirgli di gestire in prima persona
la successiva fase dibattimentale.
In tale senso si e' espressa anche Carla Del Ponte, con una
formale richiesta, dimostrando cosi' lo sfacciato interesse
della "pubblica accusa" in questa manovra.
Chi volesse aggiungere la propria adesione alla lettera puo'
contattare l'Associazione "Sloboda" di Belgrado
(slobodavk@...) oppure telefonicamente:
Tiphaine Dickson (Montreal) +1 450 263 7974
Christopher Black (Toronto) + 1 416 928 6611
Ramsey Clark (New York) +1 212 475 3232
Vladimir Krsljanin (Belgrade) +381 63 886 2301 ]


Da: "Vladimir Krsljanin"
Data: Gio 29 Lug 2004 17:51:25 Europe/Rome
Oggetto: URGENT: 50 Lawyers from 12 Countries Appeal against
Imposition of Counsel on Milosevic

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P R E S S R E L E A S E 29 July 2004
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50 LAWYERS FROM 12 COUNTRIES APPEAL AGAINST THE
IMPOSITION OF COUNSEL ON SLOBODAN MILOSEVIC

Ramsey Clark (USA), Sergei Baburin (Vice-President of Russian Duma),
Jacques Verges (France), Professor Paech and Friedrich Wolf (Germany),
Jitendra Sharma (India) - President of the International Association of
Democratic Lawyers and Professors Avramov and Cavoski from Belgrade
among those convinced that the intention of the Hague Tribunal must be
prevented since it "threatens the future of International Law and the
life of the defendant".

A letter, signed by 50 distinguished jurists, law professors and
international criminal lawyers from 12 countries has been sent today to
UN Secretary General, Security Council and General Assembly, as
well as to the Hague Tribunal, which works under UN auspices. The
signers state that "the envisaged imposition of counsel constitutes
an egregious violation of internationally recognized judicial rights,
and will serve only to aggravate Mr Milosevic's life-threatening illness
and further discredit these proceedings." In their argument, the lawyers
who joined their signatures to this initiative only within last couple
of
days, refer to the International Covenant of Civil and Political Rights,
US Supreme Court decisions, the Statute of the Hague Tribunal and
"Rivonia trials" of Nelson Mandela.

The letter, drafted by the international criminal lawyers from Canada,
Tiphaine Dickson and Christopher Black, engaged also in the
International Committee to Defend Slobodan Milosevic, points as
well that the Tribunal avoids to consider properly the requests for
provisional release of Slobodan Milosevic on the basis of the state of
his health and violates his rights in a way which only contributes to
his
illness. The petition also warns against the announced "radical reform"
of the proceedings, which is supposed to bring "changes of the rules
in the mid-trial to the defendant's detriment".
The described behavior of the Tribunal is characterized as "perversion
of both the letter and spirit of international law", which "the United
Nations should not tolerate".

The petitioners call upon their colleagues from other countries to join
the petition in the coming days in the interest of justice and
International Law.

The full text of the petition with the complete list of signatures is
given below. It can be also seen on the web site www.icdsm.org
New signers can e-mail their data on slobodavk@...

For additional information or statements, media representatives are
free to contact by phone:
Tiphaine Dickson (Montreal) +1 450 263 7974
Christopher Black (Toronto) + 1 416 928 6611
Ramsey Clark (New York) +1 212 475 3232
Vladimir Krsljanin (Belgrade) +381 63 886 2301

****************************************************************

IMPOSITION OF COUNSEL ON SLOBODAN MILOSEVIC THREATENS
THE FUTURE OF INTERNATIONAL LAW AND THE LIFE OF THE
DEFENDANT

H.E. Mr. KOFI ANNAN, Secretary General of the United Nations,
H.E. Mr. JULIAN ROBERT HUNTE, President of 58th Session of the UN
General Assembly
Romanian (Russian) Presidency of the UN Security Council,
To all members of the UN Security Council, to all members of the UN
Cc: International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia

We the undersigned, jurists, law professors, and international criminal
lawyers, hereby declare our alarm and concern that the International
Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY) is preparing the
imposition of counsel upon an unwilling accused, Slobodan Milosevic.

This apparently punitive measure is contrary to international law,
incompatible with the adversarial system of criminal justice adopted by
the Security Council in Resolution 808, and ignores the court's
obligation to provide adequate medical care and provisional release
to the defendant. The ICTY, instead of taking appropriate measures
to alleviate Slobodan Milosevic's long-standing medical problems,
has compounded them. The ICTY has ignored repeated requests
for provisional release, to which everyone presumed innocent is
entitled, has imposed unrealistically short preparation periods on
the defence, and has permitted the introduction of an inordinate
quantity of Prosecution evidence, much of which was bereft of probative
value, thereby increasing Mr. Milosevic's level of stress, the principal
trigger of his illness. Chamber III has been informed of this by their
chosen cardiologist. The defendant has been denied examination by his
own physician, a further violation of his rights..

Now, having brought about the very degradation of President Milosevic's
health of which it had been warned, the ICTY seeks to impose counsel
upon him over his objections, rather than granting him provisional
release in order to receive adequate and proper medical care, a
reasonable measure reflected in domestic and international law and
practice. The envisaged imposition of counsel constitutes an
egregious violation of internationally recognized judicial rights, and
will serve only to aggravate Mr Milosevic's life-threatening illness
and further discredit these proceedings.

The right to defend oneself against criminal charges is central in both
international law and in the very structure of the adversarial system.
The fundamental, minimum rights provided to a defendant under
the Rome Statute of the International Criminal Court, as well as
the under the Statutes of the International Criminal Tribunals for
Rwanda and Yugoslavia, include the right to defend oneself
in person. The general economy of these provisions
all envisage the reality that rights are afforded to an accused, not
to a lawyer. The right afforded is to represent oneself against
charges brought by the Prosecution and subsidiary to this, to
receive the assistance of counsel, if an accused expresses the
wish to receive such assistance. However, if, as Slobodan
Milosevic, a defendant unequivocally expresses his
objection to representation by counsel, his right to represent himself
supercedes a court's or prosecutor's preference for assigning defence
counsel. As stated by the U.S. Supreme Court, with respect to the Sixth
Amendment of the Bill of Rights, which bears a striking similarity to
Article 21 of the ICTY Statute:

"It speaks of the 'assistance' of counsel, and an assistant, however
expert, is still an assistant. The language and spirit of the Sixth
Amendment contemplate that counsel, like the other defense
tools guaranteed by the Amendment, shall be an aid to a willing
defendant - not an organ of the State interposed between an
unwilling defendant and his right to defend himself personally.
To thrust counsel upon the accused, against his considered wish,
thus violates the logic of the Amendment. In such a case,
counsel is not an assistant, but a master; and the right to make a
defense is stripped of the personal character upon which the
Amendment insists."
Faretta v.California, 422 U.S. 806 (1975)

The ICTY Statute (as well as ICTR and ICC Statutes) similarly grant
"defence tools," such as the right to be represented by counsel, or
the right for counsel to be provided free of charge, if the accused
is indigent. The essence of the right to represent oneself is defeated
when the right to counsel becomes an obligation. As stated in
Farretta, supra:

"An unwanted counsel 'represents' the defendant only through a tenuous
and unacceptable legal fiction. Unless the accused has acquiesced in
such representation, the defense presented is not the defense
guaranteed him by the Constitution, for, in a very real sense, it is not
his defense."
Id.

Nor would the defence of Slobodan Milosevic be the defence guaranteed
him under international law, were he to have counsel imposed
upon him against his will.

The ICTY's general structure is that of an adversarial system of
criminal justice. Other legal influences have been integrated to
the Rules of Procedure and Evidence, but the nature of the
proceedings, which involve a prosecutor and defendant, as
parties, presenting evidence before a panel whose function is
that of arbiter, is unquestionably of an adversarial nature. In the
adversarial system, history has eloquently illustrated that
imposition of counsel on an unwilling accused is the practice of
political courts, and does not have its place in a democratic system
of justice, much less before an institution that will generate
precedent for a truly legitimate international criminal jurisdiction,
whose establishment has been the fruit of half a century of struggle:

"In the long history of British criminal jurisprudence, there was only
one tribunal that ever adopted a practice of forcing counsel
upon an unwilling defendant in a criminal proceeding. The tribunal
was the Star Chamber. That curious institution, which flourished
in the late 16th and early 17th centuries, was of mixed executive
and judicial character, and characteristically departed from
common-law traditions. For those reasons, and because it
specialized in trying 'political' offenses, the Star Chamber
has for centuries symbolized disregard of basic individual rights."
Faretta, Id.

Recently, the ICTY has ordered the Prosecutor, and only the
Prosecutor, to provide an opinion with respect to the imposition
of counsel in the absence of instructions or cooperation from
Mr. Milosevic. The Chamber has repeatedly referred to its
obligation to carry out a fair trial, and held, when it acknowledged
the right to self-representation in April 2003, that it
"has indeed an obligation to ensure that a trial is fair and
expeditious; moreover, where the health of the Accused is in
issue, that obligation takes on special significance." Article 21 of
the ICTY's Statute states that the Chamber must exercise this
obligation "with full respect for the rights of the accused." However,
expediency has become, as the defendant is set to present
essential and potentially embarrassing evidence, the Chamber's
apparently overwhelming concern.

Imposition of counsel, even "standby counsel", as appears to be
presently envisaged by the ICTY, will not alleviate any of the
difficulties facing the process: it will not treat, much less cure,
Slobodan Milosevic's malignant hypertension; it will not provide
the defendant with the time and conditions to prepare his case; it
will not redress the gross imbalance in the resources accorded
the Prosecutor and the defence, a redress required by the
principle of equality of arms, which the Court professes to recognize.
If counsel is imposed, Slobodan Milosevic's basic right to
represent himself will be violated, and he will still have only 150
days to present his defence, only half of the time allotted to the
Prosecution.

It is presently unclear what role an imposed counsel would play.
Whatever it may be, it is certain that there is no benefit to be gained
from going forward with this unprecedented measure. The ICTY
Statute provides the minimum right to be present for one's trial.
If Slobodan Milosevic's medical condition does not permit him to
attend the proceedings, and he does not waive his right to be
present, the ICTY does not have the jurisdiction to
hold hearings in his absence. Adjournments will continue as long as
measures are not taken to treat Mr. Milosevic's malignant
hypertension, a condition that cannot be treated by further violating
his rights, threatening to remove him from the process, or by
transferring his defence to a complete stranger.

The ICTY assigned three counsel to act as amicus curiae, and whose
stated role is to ensure, inter alia, a fair trial. It is doubtful an
imposed
counsel, even a "standby counsel" could provide any additional
assistance, without hijacking President Milosevic's defence, or
simply silencing him.
Furthermore, any reference to precedent with respect to the imposition
of standby counsel is inapposite. In the case of Dr Seselj, "standby
counsel" has been imposed, before the beginning of a trial, and
to prevent "disruption" of the proceedings.

President Slobodan Milosevic does not recognize the ICTY. He asserts
his innocence, and steadfastly criticizes the ICTY and NATO. He is
innocent until proven otherwise, and has every right to oppose the
legitimacy of this institution. By imposing counsel, the ICTY would
not only violate his right to self-representation, but his right to
present relevant evidence demonstrating the repeated violations
of Yugoslavia's sovereignty over a decade. These violations led
to NATO's illegal war of aggression against and bombing of
Yugoslavia - at the very height of which an indictment against
Slobodan Milosevic was confirmed by the ICTY - in a transparent bid to
deprive the Yugoslav people of a voice to negotiate peace and in order
to justify the continuation of that war of aggression.

The trial of Slobodan Milosevic before the ICTY has been adjourned until
August 31st, 2004. The Prosecutor has presented 295 witnesses in as many
days, all of which have been cross-examined by the defendant in person,
as he does not recognize the ICTY as a judicial body, and signals this
non-recognition by refusing to assign counsel. Slobodan Milosevic is a
law school graduate, was three times elected to the highest state
offices
of Serbia and Yugoslavia, and has by all accounts ably contested the
Prosecution's case. There is no question as to his mental fitness and
ability to waive his right to counsel. The ICTY may not enjoy President
Milosevic's criticism. Nonetheless, the public benefits of respecting
his right to self-representation far outweigh whatever embarrassment
might be visited upon the ICTY. Justice demands that Slobodan
Milosevic be given the right to demonstrate that the Security Council
institution detaining him is a political weapon against the sovereignty
and self-determination of the people of Serbia and all the peoples
of Yugoslavia.

Nelson Mandela represented himself during the infamous Rivonia trials
of the 1960s. Mandela mounted a political defence against apartheid,
yet even the South African judiciary did not impose counsel to
silence him. The ICTY is poised to threaten the future of international
law by doing what even apartheid-era judges dared not do - gag a
defendant and impair his ability to respond to a case. A case, we
note, made unwieldy, unintelligible and inexplicably lengthy by
the Prosecutor, with the Chamber's assent, and not
by Slobodan Milosevic. Indeed, most observers of the process have noted
that the Prosecutor failed to present compelling evidence to support
any of their charges; rather than stay the proceedings, the ICTY
permitted the Prosecutor to present additional witnesses, in
apparent desperation to make something stick.

The right to defend oneself in person is at the heart of the
International Covenant for Civil and Political Rights. The United
Nations should not tolerate these continuing violations of international
law in the name of expediency. Using a detained person's
inappropriately treated illness as an excuse to infringe upon his
rights and silence him, and embark upon a "radical reform"
of the proceedings-- as the Chamber is now considering, by
changing the rules in mid-trial, and to the defendant's detriment-- is a
perversion of both the letter and spirit of international law.

As jurists, we are deeply concerned that the planned imposition of
counsel constitutes an irrevocable precedent, and potentially deprives
any accused person of the right to present a meaningful defence
in the future. In the case of Slobodan Milosevic, this measure will
only increase his hypertension and place his life at risk.

The ICTY and Security Council will be held responsible for the
tragically predictable consequences of their actions.

Signed:

Tiphaine Dickson, Lawyer, Montreal, Quebec, Canada

Christopher Black, Lawyer, Toronto, Canada


Professor Smilja Avramov (Former President, International Law
Association), Belgrade, Serbia and Montenegro

Sergei Baburin, Doctor of Law, Professor, (Vice-President, State Duma
of the Federal Assembly of the Russian Federation), Moscow,
Russian Federation

Nicole Bergevin, Lawyer, Montreal, Quebec

Professor Aldo Bernardini, International Law, University of Teramo,
Italy

Professor Erich Buchholz, Lawyer, Berlin, Germany

Professor Kosta Cavoski, University of Belgrade, Belgrade, Serbia and
Montenegro

Professor Panayotis G. Charitos, LLD, International Law, Supreme Court
Attorney, Greece

Ramsey Clark, Former US Attorney General, New York, USA

Goran Cvetic, Lawyer, Belgrade, Serbia and Montenegro

Trendafil Danailov, Lawyer, (Former President, Sofia District Court),
Sofia, Bulgaria

Bjørn Elmquist, Lawyer, (Former MP), Copenhagen, Denmark

Professor Peter Erlinder, (past-President, National Lawyers Guild, NYC),
William Mitchell College of Law, St. Paul, MN, USA

Armin Fiand, Lawyer, Hamburg, Germany

Jeff Frazier, Lawyer, Houston, Texas, USA

Dr Mikhail Fomichenko, (Head, Center for Human Rights and Legal
Protection), Moscow, Russian Federation

Sergei Glotov, Doctor of Law, Professor, (Deputy President, Commission
on Administrative and Organizational Issues of the State Duma),
Moscow, Russian Federation

Dr Heinrich Hannover, Lawyer, Worpswede, Germany

Professor Yuri Ilyin, Lawyer, Moscow, Russian Federation

Viktor Ilyuchin, State Counselor of Justice of II Order, (Deputy
President, Commission for Security of the State Duma), Moscow,
Russian Federation

Strahinja Kastratovic, Lawyer, (Former President, Lawyers' Chamber of
Belgrade), Belgrade, Serbia and Montenegro

Professor Mikhail Kuznecov, Lawyer, (President, Tribunal for NATO
Crimes in Yugoslavia), Moscow, Russian Federation

Jennie Lusk, J.D., Lawyer, Albuquerque, New Mexico, USA

Mikhail Menev, Lawyer, (Former President, Sofia City Court), Sofia,
Bulgaria

Dr Alexander Mezyaev, International Law, (Deputy Head, Department of
Constitutional and International Law, Academy of Busyness, Kazan';
Member, Russian International Law Association; Member, Experts'
Council of the Ombudsman of the Republic of Tatarstan), Kazan',
Tatarstan, Russian Federation

Professor Dimitar Mikhailov, Criminal Law, (Former Member, UN Committee
Against Torture), Sofia, Bulgaria

Oksana Mikhalkina, Lawyer (President, Moscow Lawyers' Association),
Moscow, Russian Federation

Oleg Mironov, Doctor of Law, Professor, (Director, Institute for Human
Rights), Moscow, Russian Federation

Professor Claudio Moffa, Ordinario, University of Teramo, Italy

E. Olof, Lawyer, Zeist, Netherlands

H.E. Schmitt-Lermann, Lawyer, Munich, Germany

Professor Norman Paech, University for Econonomy and Politics, Hamburg,
Germany

Dmitrij Potockij, Lawyer, Moscow, Russian Federation

Professor Enyo Savov, International Law, Sofia, Bulgaria

Dr Heinz Juergen Schneider, Lawyer, Hamburg, Germany

Elena Semenovna, Lawyer, Moscow, Russian Federation

David K. Sergi, Lawyer, San Marcos, Texas, USA

Jitendra Sharma, Senior Advocate, Supreme Court of India (President,
International Association of Democratic Lawyers)

Dr Taras Shamba, Moscow, Russian Federation

Sergei Shtin, Lawyer, Moscow, Russian Federation

Valentina Shtraus, Lawyer, Rostov, Russian Federation

Professor Bhim Singh, Advocate, Supreme Court of India (President,
National Panthers Party)

N.M.P. Steijnen, Lawyer, Zeist, Netherlands

L.P.H. Stibru, Lawyer, Zeist, Netherlands

Dr Milan Tepavac, International Law, Belgrade, Serbia and Montenegro

Professor Andre Tremblay, Lawyer, Montreal, Quebec, Canada

Professor Velko Valkanov, (President, Bulgarian Committee for Human
Rights, Former MP), Sofia, Bulgaria

Jacques Verges, Advocate at the Court of Appeal, Paris, France

Dr Friedrich Wolff, Lawyer, Berlin, Germany

Professor Ivan Yatsenko (Vice-President, European Peace Forum), Moscow,
Russian Federation

****************************************************************

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http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.pasti.org/milodif.htm (ICDSM Italy)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)



==========================
ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
00043 Ciampino (Roma)
tel/fax +39-06-4828957
email: icdsm-italia @ libero.it

Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC

sito internet:
http://www.pasti.org/linkmilo.htm

"Commissariamento globale e preventivo"
nel PRC in vista del Congresso

3: CAPRI ESPIATORI


3a. Comunicato stampa di Claudio Grassi
3b. Comunicato stampa di Bianca Bracci Torsi ed altri
3c. Come far fuori Nunzio D’Erme, Nichi Vendola e dar la colpa a
Beatrice
Giavazzi. Piccolo manuale per il prossimo congresso, di Gianni Favaro

... e la discussione prosegue su Indymedia:
http://italy.indymedia.org/news/2004/07/592765_comment.php#593006


=== 3a ===


Partito della Rifondazione Comunista
Direzione Nazionale

COMUNICATO STAMPA DI CLAUDIO GRASSI
(SEGRETERIA NAZIONALE P.R.C.)

Rifondazione Comunista ha ormai imboccato la strada dei commissariamenti
e degli interventi burocratici e autoritari tesi a colpire le
espressioni di dissenso che si sono manifestate in questi anni
all’interno della maggioranza del partito.

Dopo aver commissariato, 15 giorni fa, l’intera regione Calabria dove il
segretario regionale era espressione dell’Area de l’Ernesto, oggi la
Segreteria nazionale, a maggioranza (voto contrario di Claudio Grassi)
ha deciso di colpire il Dipartimento Enti Locali guidato, guarda caso,
da Gianluigi Pegolo, anch’egli rappresentante di spicco dell’Area de
l’Ernesto.

Le motivazioni di questo provvedimento, che consiste nel togliere
l’Ufficio Elettorale dal Dipartimento Enti Locali per passarlo
all’Organizzazione, sono legate alla mancata elezione di Nichi Vendola
al Parlamento Europeo.

Peccato che l’Ufficio Elettorale non abbia alcuna responsabilità di
questo! Si è voluto costruire e cercare un capro espiatorio. Infatti
mai, da quando esiste Rifondazione Comunista, la scelta di opzione in un
collegio o in un altro di Fausto Bertinotti, o di altri dirigenti del
partito, è stata effettuata dall’Ufficio Elettorale.

Siamo di fronte, quindi, ad un nuovo provvedimento contro il pluralismo
interno, che assume una valenza ancora più grave poiché viene attuata,
così come per il commissariamento della Calabria, a Congresso avviato.

Probabilmente si pensa di fermare con queste modalità il processo di
crescita e di consenso intorno alle posizioni politiche espresse
dall’Area de l’Ernesto. In questi ultimi due anni, infatti, la
componente che allo scorso congresso presentò gli emendamenti, si è
rafforzata, come ha dimostrato anche lo straordinario successo della
Festa nazionale de l’Ernesto conclusasi domenica scorsa a Cantiano.

Con i provvedimenti, come quello preso oggi a maggioranza dalla
Segreteria nazionale, la democrazia, la partecipazione, il rispetto del
pluralismo interno vengono purtroppo sempre più calpestate da un modo di
procedere burocratico e maggioritario.

Claudio Grassi (Segreteria nazionale PRC)

Roma, 27 luglio 2004


=== 3b ===


COMUNICATO STAMPA

In riferimento al comunicato stampa del 27 luglio scorso a firma di
Claudio Grassi, membro della Segreteria nazionale del Prc, si informa
che i firmatari del presente comunicato, in sintonia con le
preoccupazioni di una parte consistente del partito romano in ordine
allo stato del partito stesso e alla sua democrazia interna, si sono
recati oggi presso la Direzione Nazionale del Prc per chiedere un
urgente incontro alla Segreteria e per consegnare la seguente lettera:

Care compagne, cari compagni,

apprendiamo esterrefatti della decisione assunta a maggioranza (con il
voto contrario di Claudio Grassi) dalla Segreteria nazionale in merito
alla vicenda che ha visto inopinatamente rimesso in questione l’incarico
di deputato europeo del compagno Nichi Vendola.
La responsabilità di tale grave infortunio è stata attribuita
all’Ufficio elettorale e, quindi, alla compagna Beatrice Giavazzi (unica
componente di detto ufficio): conseguentemente, si è deciso di
trasferire l’Ufficio elettorale dal dipartimento Enti Locali a quello
dell’Organizzazione.
Riteniamo tale decisione profondamente ingiusta. Sappiamo che la
comunicazione formale dell’opzione dei compagni eletti in più collegi
elettorali non è sin qui mai stata compito dell’Ufficio elettorale
medesimo. Inoltre conosciamo bene la compagna Beatrice: senza un filo di
retorica, possiamo dire che il suddetto provvedimento di fatto penalizza
una compagna splendida, che – nella totale solitudine in cui in questi
mesi è stato lasciato l’ufficio in questione – ha dato con abnegazione
un contributo unico di esperienza e competenza per il bene e il successo
del nostro partito. Vediamo dunque in tale decisione l’ennesima e più
sconcertante pagina nera nell’ambito della dialettica interna al
partito.
Anche per assicurare al percorso congressuale un clima consono allo
sviluppo di una libera discussione, nell’auspicare un ripensamento che
includa una giusta valutazione dei fatti e delle persone coinvolte,
chiediamo urgentemente un incontro con i membri della Segreteria
nazionale.

Saluti comunisti

Bianca Bracci Torsi
Rosanna Palomba
Mauro Belisario
Bruno Steri
Daniela Cortese
Emilio Zanetti Chini
Gualtiero Alunni
Massimo Cola
Franco Vanni
Franco Pallone
Vincenzo Di Brango
Alba Paolini
Tina Costa
Luca Fontana
Manuela Ausilio
Giovanni Barbera
Silvia De Bianchi
Luca Placidi
Clelia Forgnone
Renato Caputo
Roberto Fucci
Giorgio Montesi
Francesco Cori
Franco Forconi
Domenico Farina
Romolo Moreschi
Angelo Cavalli
Franco Guerra
Claudio Di Cesare
Massimiliano Ortu
Valentina Steri
Giovanni Ammendola
Nicola Porcelli

... e tanti altri

(si tratta di segretari di circolo, consiglieri, assessori, giovani del
PRC e del presidente dell'Associazione Italia-Cuba di Roma di Roma)

Roma, 28 luglio 2004


=== 3c ===


Come far fuori Nunzio D’Erme, Nichi Vendola e dar la colpa a Beatrice
Giavazzi. Piccolo manuale per il prossimo congresso.

Regola n° 1 bisogna avere un autorevolissimo segretario nazionale con
almeno sei persone (tra segretari e ufficio stampa) alla sede della
direzione nazionale, un imprecisato numero di altre persone tra uffici
della camera dei deputati e del parlamento europeo che lo seguono, ne
curano l’immagine e sbrigano tutte sue incombenze amministrative.

Regola n° 2 bisogna avere un dipartimento enti locali diretto da un
dirigente, ex membro della segreteria nazionale, critico verso la linea
del segretario (area Grassi), meglio se ha ottenuto un buon risultato
alle ultime elezioni amministrative.

Regola n° 3 serve una impiegata del dipartimento enti locali che da anni
si occupa (stimata e apprezzata da tutti) anche dell’ufficio elettorale.
Bisogna però lasciarla sola durante tutta la campagna elettorale e
negarle anche i mezzi (ad esempio il fax ) per poter garantire il lavoro
minimo.

Regola n°4 si convoca una segreteria nazionale e si incolpa, a
maggioranza, la povera Giavazzi di non aver pensato che gli innumerevoli
collaboratori e lo stesso segretario, improvvisamente e stranamente
colti da amnesia, non si sono ricordati di far optare Bertinotti (com’è
sempre stato in passato) per una delle circoscrizioni in cui è stato
eletto, in questo caso quella delle Isole come deciso dalla stessa
segreteria diversi giorni prima. Ovviamente non bisogna far sapere che:
- le lettere di nomina a parlamentare europeo sono arrivate
personalmente al segretario e non all’ufficio elettorale.
- Le lettere arrivate ai rappresentanti della lista nelle
circoscrizioni o sono sparite o non sono state trasmesse a Roma
- Quando hanno discusso in segreteria del caso D’Erme/ Vendola e
si è scelta la circoscrizione Isole nessuno ha pensato che bisognasse
optare, nemmeno il segretario che lo fa oramai da anni.

Seguendo queste semplici regole si possono ottenere simultaneamente
diversi risultati positivi:
a) Si evita di far fare un figuraccia al segretario smemorato
b) Si scarica su un’area interna critica la responsabilità del
pasticcio, sempre creato dal segretario, sul caso D’Erme e disobbedienti
c) Si scarica sull’ufficio elettorale la figuraccia fatta dal
segretario nei confronti del povero Nichi Vendola.
d) Si colpisce un dipartimento che da fastidio.
e) Si scredita una compagna molto stimata e ascoltata dal partito
che ha anche lei una posizione critica.

Gianni Favaro
Direzione PRC

http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=3269


Uranio Impoverito: tutto da rifare

Nel 2001 l'indagine Mandelli negò una relazione certa tra linfoma di
Hodgkin e uranio. Conclusioni criticate, messe in dubbio persino da ex
membri della Commissione. Ora il direttore generale della Sanità
militare annuncia un altro studio epidemiologico

(28/07/2004)
Un articolo tratto da "La Nuova Ecologia"


Il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che è anche capo
delle forze armate, intervenga sul caso dei militari italiani esposti
all'uranio impoverito. Lo chiede il presidente dell'Associazione
italiana assistenza vittime arruolati nelle forze armate (Anavafaf),
Falco Accame.

Un altro militare, fa sapere Accame, è morto per linfoma di Hodgkin. Si
tratta di Fabio Porru di Cagliari e il fatto, prosegue il presidente
dell'Anavafaf, «si è saputo al solito casualmente, dal padre nel corso
di un convegno, mentre si tratta di dati che il Ministero della Difesa
dovrebbe comunicare alle Commissioni parlamentari della Difesa.
Finalmente - ha proseguito - dopo le errate valutazioni espresse a
seguito della Relazione Mandelli, nella quale si dava per certo che
l'uranio impoverito non presentasse pericoli, sta emergendo la verità:
la Relazione era affetta da gravissimi errori di calcolo, solo in
piccola parte evitati nelle relazioni successive». Ora, ha aggiunto,
«vista l'indifferenza delle istituzioni, è necessario che intervenga
direttamente il capo dello Stato».

A poche ore dalle dichiarazioni di Accame, il direttore generale della
Sanità militare, generale Michele Buonvito, nel corso di un'audizione
alla commissione Difesa della Camera ha reso noto che a cominciare dal
prossimo agosto partirà uno studio epidemiologico sull'uranio
impoverito promosso dalla stessa Sanità militare. I primi risultati ci
saranno dopo 18 mesi e cioè all'inizio del 2006. Mille militari
italiani impegnati in missioni all'estero saranno monitorati nel tempo
per avere, in meno di 10 anni, una risposta «inequivocabile» sui
possibili legami tra esposizione all'uranio impoverito e aumento
dell'incidenza dei tumori. L'iniziativa, ha detto il generale,
«rappresenta la logica conclusione dei tanti sforzi sin qui posti in
essere dalla Difesa per cercare di sgomberare il campo dai dubbi sul
tema dei rischi per la salute legati ai vari teatri operativi».

Lo studio si propone di valutare la presenza di esposizione a uranio
impoverito; evidenziare la presenza di esposizione non previste a
sostanze cancerogene; stimare il rischio di tumore in funzione della
variazione della frequenza delle sostanze tossiche studiate. La
principale innovazione di questo studio, ha proseguito il direttore
della Sanità militare, «consiste nella caratteristica prospettica e
seriale della ricerca, in base alla quale per ogni militare sottoposto
alle indagini è prevista l'analisi di campioni di urine prelevati prima
e al termine dell'impiego in area di operazione». Tra le ipotesi da
verificare quella sostenuta da Antonietta Morena Gatti dell'Università
di Modena, che avendo rinvenuto delle nanoparticelle di elementi
metallici in campioni bioptici di militari italiani affetti da
patologie tumorali, reduci da aree balcaniche, ha supposto che
potessero derivare da inalazione o ingestione di polveri fini. Queste
polveri, che possono risultare dall'impatto dei dardi contenenti uranio
impoverito contro obiettivi «duri», sarebbero in grado secondo la
studiosa di innescare, se inalati o ingeriti, un processo neoplastico.

Lo studio è basato sull'adesione volontaria e ciò comporta la necessità
di avviare iniziative di informazione preliminari, in modo da
raccogliere il consenso alla partecipazione. Questa, secondo il
generale, «rappresenta l'unica via in grado di raggiungere un'ottima
sensibilità nei sottogruppi di soldati potenzialmente esposti a vari
agenti genotossici ed evidenziare, in un ragionevolmente breve
intervallo di anni, l'esistenza di importanti incrementi nel rischio di
tumore».


Vedi dal nostro archivio [ http://www.osservatoriobalcani.org ] :

- Uranio impoverito: animali con otto zampe

- Morire di Zastava

- Uranio impoverito: la guerra infinita

- Uranio impoverito: si faccia chiarezza

- Ancora veleno radioattivo nel distretto di Pcinj

- Uranio impoverito alla ribalta della RAI

- Sindrome dei Balcani? Accordo governo - regioni per il monitoraggio

- Uranio impoverito in BiH

- Sud Serbia: radiazioni nell’aria

- Le Nazioni Unite trovano tracce di uranio impoverito in FRY

- Uranio impoverito: tra silenzi, morti sospette e nuove ricerche

- La realtà delle armi all'uranio impoverito

- Montenegro: la bonifica di Punta Arza, contaminata dall’uranio
impoverito


» Fonte: © Osservatorio sui Balcani