Informazione

NIENTE DI NUOVO... SU TUTTI I FRONTI


L'Unac denuncia
(Associazione dei Carabinieri)

Dall'Iraq al Celio malati di uranio

Diciannove ricoveri sospetti all'ospedale militare di Roma. Nessuna
smentita
Walter Falgio
Fonte: Liberazione - 30 giugno 2004

http://www.militari.org/rassegna_stampa/
peacelink_liberazione_30062004_03072004.htm

"Ci hanno segnalato che 19 nostri colleghi di ritorno dall'Iraq
sarebbero stati ricoverati al reparto oncologico del policlinico
militare romano del Celio. Alcuni di loro in cura, altri in
osservazione". Antonio Savino, segretario nazionale dell'Unac, Unione
arma dei carabinieri, ha il tono deciso di chi non vuole usare mezze
misure: "E abbiamo il timore che questi ragazzi possano essere stati
colpiti da tumori o gravi patologie a causa di una sospetta
contaminazione da uranio impoverito".

La sindrome del Golfo comincerebbe a farsi sentire tra i commilitoni
italiani impegnati sul fronte iracheno ma l'ordine superiore potrebbe
essere quello di mettere tutto a tacere. "Il Celio non ha ancora
smentito questa notizia", continua Savino, "non ha fornito, dietro
nostra richiesta, i nomi dei ricoverati e continua a negare l'accesso
ai rappresentanti dell'associazione. Noi vogliamo sapere se tra i
militari ammalati ci sono anche dei carabinieri e se comunque hanno
bisogno di assistenza". Questa chiusura alimenta i sospetti del
maresciallo Savino che da buon investigatore di professione vuole
vederci chiaro: "Li avrebbero ricoverati al Celio, struttura
sottoposta al controllo militare, per tenerli nascosti?".

Di questa vicenda si è fatto accenno anche al convegno organizzato
sabato scorso a Tempio Pausania in provincia di Sassari dalla sede
sarda dell'Unac. I temi dell'incontro al quale hanno partecipato
anche familiari delle vittime e militari ammalati sono di quelli che
fanno tremare i polsi ai generali: "Libertà di associazionismo,
rappresentativa sindacale nelle Forze armate. Uranio impoverito e
scorie nucleari: problemi di salute per militari e civili contaminati
e conseguenze per l'ambiente".

L'appuntato Michele Garau, organizzatore dell'iniziativa, è il
segretario regionale e responsabile legale dell'associazione dei
carabinieri: "Sono stato al Celio una ventina di giorni fa ma appena
arriviamo noi le porte si chiudono. Ho chiesto di parlare con i
responsabili dall'ospedale, nulla di fatto. Mi hanno tenuto
nell'anticamera". Garau conferma ciò che dice Savino: "Sospettiamo
che in un padiglione speciale dell'ospedale militare siano ricoverati
i militari ammalati di ritorno dall'Iraq.

Diverse segnalazioni sono arrivate al nostro call center dalle
famiglie dei soldati che ci chiedono informazioni. Dobbiamo riuscire
a penetrare questo muro di gomma". Non è da sottovalutare che
stavolta a scendere in campo sia un'associazione di militari che si
autodichiara lontana "dai palazzi del potere e dai titolati che vi
ruotano all'interno" e che rivendica "il diritto di poter liberamente
manifestare il proprio pensiero, di potersi liberamente associare,
difendere anche in forme sindacali e tutelare nella propria
professionalità".

Oltretutto L'Unac ha reso pubbliche anche una serie di fotografie
inedite scattate in Iraq, parte di un dossier di oltre 200 immagini.
Alcune di queste sono presenti in uno speciale sul sito Internet
dell'associazione,
http://www.unionecarabinieri.it , e mostrano militari che si aggirano
attorno a carri armati che potrebbero essere stati colpiti da
munizioni all'uranio impoverito. "Ne abbiamo altre che ritraggono
soldati senza adeguate protezioni vicini a zone bombardate e
residuati bellici", aggiunge Savino. Il problema della tutela delle
forze armate impegnate nelle missioni internazionali è più che mai
attuale, nonostante un documento della Brigata multinazionale West
datato 22 novembre 1999 e diffuso tra gli ufficiali che operavano in
Kosovo dimostri che già da 5 anni i generali sapevano: "L'inalazione
delle polveri insolubili di uranio impoverito è stata associata con
effetti a lungo termine sulla salute, compresi tumori e malformazioni
nei neonati", dichiara la circolare.

Nonostante questo i proiettili al DU non sono stati ancora banditi.
Nonostante l'esposizione alle polveri radioattive delle munizioni
altamente perforanti avrebbe causato la morte di 24 soldati italiani
e la malattia di altri 240. "Da tempo abbiamo denunciato che in Iraq
è stata usata una enorme quantità di proiettili ad uranio impoverito,
che ha lasciato contaminazioni dappertutto", si legge nel sito
dell'Unione carabinieri. "Come può rilevarsi dalle foto inviateci dai
nostri colleghi rientrati dall'Iraq, i rilievi furono fatti. Perché
non sono stati comunicati ai nostri militari che continuano a
passeggiare in Iraq senza alcuna protezione? Quanti morti dobbiamo
ancora vedere prima che ci raccontino la verità?".

http://italy.peacelink.org/disarmo/articles/art_5880.html


Approfondimenti

Uranio impoverito / Consigli e precauzioni / S.O.S. soldati
http://italy.peacelink.org/disarmo/indices/index_20.html

L'uranio impoverito tra le cause della morte di Stefano Melone
http://www.militari.org/2004/melone_stefano_morte_uranio_18072004.htm


SITO URANIO IMPOVERITO
http://www.uranioimpoverito.it/

Gli effetti sanitari dell'uranio impoverito
http://www.uranioimpoverito.it/sanita.htm

I pericoli dell'uranio impoverito
http://www.dica33.it/argomenti/salute_ambiente/radiazioni/
radiazioni1.asp

I pericoli dell'uranio impoverito Questo metallo emette particelle
alfa, beta e raggi gamma. Sia le particelle alfa sia quelle beta non
hanno una grande capacità di penetrazione e, in pratica, possono
essere arrestate già dalla pelle o al massimo dal tessuto delle
uniformi. I raggi gamma no, sono radiazioni ad alta energia ma, come
si è detto, l'emissione dell'uranio impoverito è molto debole.
Inoltre si deve tenere presente che il nucleo di uranio è posto
all'interno del proiettile e, quindi, la radiazione risulta
schermata. Studi condotti dal Dipartimento della Difesa statunitense
avrebbero dimostrato che l'equipaggio dei carri che ospitano l'intero
munizionamento del carro sono esposti a una dose di radiazioni che
non supera i livelli di sicurezza stabiliti per la popolazione.
Con l'uranio impoverito, di conseguenza, i pericoli non sono legati
tanto alla radioattività quanto al fatto che come tutti i metalli
pesanti, a partire dal piombo, è tossico e tende ad accumularsi
nell'organismo (in particolare ossa e reni). Il pericolo di
intossicazione ha origine dal fatto che al momento dell'impatto il
penetratore di uranio impoverito letteralmente si polverizza
bruciando, è quindi si ha dispersione nell'aria, e poi nel terreno e
nell'acqua, di particelle che possono essere inalate, bevute,
introdotte con gli alimenti. In pratica, è come usare un gas tossico
i cui effetti, però, si manifestino con l'andare del tempo e non
immediatamente come avviene con i gas nervini o altre armi chimiche.

Che cosa risulta finora
Per capire gli effetti sull'organismo del metallo è bene distinguere
tra esposizione interna ed esterna. La pericolosità dell'esposizione
esterna dipende dall'emissione di radiazioni: è vero che l'uranio
impoverito e l'uranio naturale sono debolmente radioattivi, ma è
anche vero che oggi si tende a credere che non esistano dosi di
radiazioni innocue. Comunque, a oggi non risulta che l'esposizione
esterna all'uranio impoverito causi direttamente tumori del sangue o
tumori solidi. Vero è che secondo alcuni studiosi aumenta comunque il
rischio di tumori.
Per l'esposizione interna, invece, il discorso cambia e anche la
debole radioattività delle particelle del metallo diviene pericolosa:
infatti queste si arrestano nei polmoni, se riescono a superare lo
sbarramento delle prime vie aeree, e lì restano per parecchi anni
esercitando il loro effetto distruttivo.
Nei polmoni, però, si fermano soltanto le particelle insolubili,
mentre quelle che si sciolgono nei fluidi passano in circolo e vanno
a esercitare una serie di effetti tossici in primo luogo a carico dei
reni, come avviene per il piombo. Non è ancora chiarito se, come per
il piombo, anche per l'uranio impoverito si possano avere effetti
neurologici a livelli inferiori a quelli necessari perché si presenti
la tossicità renale. Secondo alcuni studi, condotti però con un
occhio di riguardo all'establishment militare, il rischio della
contaminazione ambientale è poco più che trascurabile, ma non
esistono indagini serie e controllate al riguardo.
Altre fonti, vicine ai movimenti pacifisti, fanno invece presente che
dopo la guerra del Golfo in Iraq la leucemia è balzata dal settimo al
quarto posto per diffusione tra i tumori. Di certo almeno uno studio,
condotto su reduci americani dal conflitto in Iraq dimostrerebbe
conseguenze sul sistema nervoso, minore efficienza cognitiva, tra
coloro che hanno subito l'esposizione interna, provata dai superiori
livelli di uranio riscontrati nelle urine. Studi in vitro molto
recenti, poi, hanno mostrato che l'uranio impoverito induce la
mutazione degli osteoblasti umani (le cellule che costruiscono le
ossa) nella variante cancerogena, anche se poi gli autori dicono che
questo non significa necessariamente che lo stesso effetto si produca
nell'organismo. Tutti indistintamente proclamano comunque che sono
necessari altri studi. Intanto, senza sapere quali possano essere gli
effetti, si continuano a usare i proiettili incriminati.

Maurizio Imperiali

Fonti

Fetter s, von Hippel N. The hazard posed by depleted uranium
munitions. Science & Global Security 1\999 8:2; 125-161

McDiarmid MA et al. Health effects of depleted uranium on exposed
Gulf War veterans. Environ Res 2000 Feb;82(2):168-80

Durakovic A. Medical effects of internal contamination with uranium.
Croat Med J 1999 Mar;40(1):49-66

Miller AC et al. Transformation of human osteoblast cells to the
tumorigenic phenotype by depleted uranium-uranyl chloride.
Environ Health Perspect 1998 Aug;106(8):465-71

Il rapporto del Dipartimento della Difesa statunitense
sull'esposizione durante la guerra del Golfo
http://www.gulflink.osd.mil/du/


Lo scandalo dell'uranio impoverito

http://www.sapere.it/tca/minisite/storia/guerre_tecnologie/
chimica_07.html

[...] In base ai più recenti studi, quindi, l'uranio è più pericoloso
come
tossico chimico che si insedia nelle ossa che per la sua
radioattività, eppure, quando alla fine del 2000 ci sono stati i sei
decessi per leucemia tra i militari italiani in Bosnia, la stampa ha
subito gridato allo scandalo. Alla fine del 2001 tra i contingenti
NATO si sono contati una quindicina di decessi e parecchi casi di
leucemia ma l'Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che non
ci sono prove certe sul legame tra la radioattività dell'uranio
impoverito e quei decessi dato che la radioattività provoca tumori
solidi di altra natura, oltre alla leucemia, non riscontrati in
questa vicenda; inoltre la leucemia può essere causata anche
dall'inalazione di idrocarburi aromatici o da virus e, di solito,
quella indotta da radiazione ha un lungo periodo di latenza in
contrasto con l'insorgere immediato della malattia nei soldati;
bisognerebbe sapere, con esattezza, a che cosa sono stati esposti i
militari ma mancano notizie certe. In tutta questa faccenda ci si è
dimenticati dei civili della regione balcanica esposti agli stessi
rischi dei contingenti armati. Sembra chiaro che l'esatta valutazione
dei rischi sanitari legati alle operazioni belliche si scontra sempre
con la reticenza delle autorità militari e la difficoltà di reperire
dati scientifici certi.


"L'uranio impoverito resterà in Iraq per generazioni"
http://www.nuovimondimedia.it/
modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=149

L'arroganza della guerra, uranio impoverito e Kuwait
http://www.newmediaexplorer.org/ivaningrilli/2003/10/22/
larroganza_della_guerra_uranio_impoverito_e_kuwait.htm

( Vedi anche:
"Saluto ai nostri amici e alleati Jugoslavi",
da "La nostra lotta", organo del PCI, 13 ottobre 1944 --
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3509 )


La nuova Jugoslavia


Il crollo del fronte nazista nei Balcani, l'entrata dell'Armata Rossa
in Jugoslavia e le vittorie comuni delle armi sovietiche e jugoslave
hanno mostrato ancora una volta -- ed oggi con evidenza inconfutabile
-- il contributo grandioso che il movimento di liberazione jugoslavo ha
portato -- sotto la guida dell'eroe leggendario dei popoli slavi, il
Maresciallo Tito -- alla causa comune dell'umanita' progressiva in
lotta contro la barbarie e l'infamia naziste.

Cio' che era speranza ed augurio di un'avanguardia, il diretto
contributo del popolo sovietico e del popolo jugoslavo alla nostra
liberazione, diviene realta' e oggi ogni italiano vede nell'avanzata
sovietica-jugoslava un valido, decisivo, aiuto allo sforzo degli
Eserciti alleati e del popolo italiano in lotta per la cacciata dei
tedeschi e lo sterminio dei fascisti.
Avanguardia degli eserciti sovietico-jugoslavi, il IX Corpo d'Armata
del NOVJ (Esercito Nazionale della liberazione della Jugoslavia) ha
gia' liberato quasi tutta la Slovenia, costringendo l'occupante a
trincerarsi in qualche capoluogo di provincia e isolandolo colla
distruzione sistematica delle linee di occupazione.
Nel Primorsko (Litorale giuliano) e in tutte le regioni che furono
testimoni dei delitti dell'imperialismo fascista ferve oggi una nuova
democrazia. Nel fuoco della guerra di liberazione, il popolo sloveno
ricostruisce cio' che il fascismo ha distrutto, conquista, alfine, la
sua libera vita nazionale.

Costituita alla fine della prima guerra mondiale, la Jugoslavia era il
risultato di un compromesso tra le grandi potenze imperialistiche,
decise ad asservirsi attraverso il ricatto dei territori
incontestabilmente jugoslavi, il nuovo Stato, sulle rovine dell'Impero
asburgico, sorgeva attorno alla vecchia Serbia e al Montenegro. Appena
i due terzi del popolo sloveno venivano aggiudicati al nuovo Stato: fra
gli Stati confinanti veniva diviso il resto; la fetta piu' grossa
veniva assegnata all'imperialismo italiano, cui toccava anche tutto il
popolo croato dell'Istria.
Privati della loro liberta' nazionale, agli sloveni ed ai croati
compresi nello stato italiano rimaneva ancora una precaria autonomia
culturale, di gran lunga inferiore a quella che essi avevano goduto
sotto la vecchia Austria.
Il misero straccio di liberta' elargito dalla democrazia prefascista,
veniva strappato al popolo sloveno dal fascismo. Proibiti i partiti
sloveni e croati, soppressa la fiorente stampa libera cosi' diffusa tra
i contadini sloveni che vantavano una percentuale di analfabeti
inferiore a quella di ogni altro paese europeo, chiuse le scuole
nazionali e reso obbligatorio l'insegnamento nella sola lingua
italiana, contestato ai sacerdoti il diritto di predicare nella lingua
nazionale, sul popolo sloveno e croato si abbatte' lo stuolo fascista
dei funzionari statali, dei podesta', dei segretari comunali, dei
ferrovieri, dei maestri e, come in un paese di occupazione militare,
una quantita' di carabinieri e di militi.
Il ricco patrimonio cooperativo, le banche popolari, le casse
artigianali e le numerose iniziative sociali, caratteristiche
dell'economia piccolo-contadina degli sloveni, venivano saccheggiate e
distrutte, mentre si estendeva sulle campagne istriane e carsiche il
predominio del capitale finanziario che, attraverso le grandi banche
italiane, si sostituiva al piccolo capitale commerciale sloveno e
croato. L'Istria e la Carsia divennero cosi' le regioni sulle quali -
proporzionalmente al reddito - gravava un debito ipotecario piu' forte
che in ogni altra regione italiana. I beni comunali cosi' necessari ad
un'economia in buona parte zootecnica venivano distribuiti secondo i
soliti criteri dell'amministrazione fascista, arricchendo i beni che i
"signori" italiani avevano da lungo tempo usurpato al contadino
istriano.

Chi di noi triestini non ricorda con orrore lo strazio che il fascismo
ha fatto del popolo sloveno e del popolo croato, chi non ricorda la
loro indomita volonta' di liberazione che il regime di terrore non
riusciva a fiaccare, chi non ricorda i martiri di Pola nel 1929, i
martiri di Basovizza nel 1931 e tutti gli altri eroici caduti fino al
compagno Tomasic e a tutti i fucilati di Trieste nel 1941?
Ricordo un villaggio sloveno sulle pendici del Monte Nanos, poche case
in mezzo alla rada boscaglia carsica, sulla cima di una collina; per
arrivarci soltanto una mulattiera e cinque ore di cammino dalla
stazione dell'autocorriera. Miseria nera, nessun commercio, tasse
enormi schiacciano una miserrima economia essenzialmente naturale,
fondata su qualche capo di bestiame e sui magri prodotti di un suolo
sterile, sassoso, dove qui e li sul grigio rosseggia il magro
campicello costruito faticosamente trasportando a spalla un po' di
terriccio.
Ogni tanto un pattuglione di carabinieri o di militi, armato, col
moschetto carico, passava per il paese, davanti alle porte chiuse, nel
silenzio dell'odio generale.
Il governo italiano, il fascismo non ha fatto niente per questo paese,
lo ha soltanto derubato, oppresso, offeso nei piu' elementari
sentimenti di dignita' umana e nazionale. L'unico edificio civile e' la
scuola, una scuola che il fascismo non ha costruito, ma ha rubato al
patrimonio nazionale del popolo sloveno per metterci dentro un maestro
fascista che obbliga i figli del popolo sloveno a compitare in una
lingua che non sarebbe loro mai servita. Municipio non c'e', perche' il
municipio fascista e' chissa' dove in fondo alla vallata. E in uno di
questi paesi la giustizia popolare raggiungeva un giorno un maestro
fascista, un sadico criminale tubercolotico che seviziava i fanciulli
e, con bestialita' orrenda, sputava loro nella bocca la sua saliva
infetta.
Dopo la scuola il servizio militare, con destinazioni speciali, in
formazioni speciali, separati dai commilitoni italiani dalla diffidenza
che l'imperialismo fascista aveva deliberatamente creato tra gli
sloveni e noi. A migliaia i giovani croati e i giovani sloveni pur di
sottrarsi all'ingiuria di un servizio militare odioso, abbandonavano,
tutti gli anni, casa e famiglia, per rifugiarsi in Jugoslavia.
Questa e' stata per vent'anni la vita del popolo sloveno e del popolo
croato oppressi dall'imperialismo fascista.

* * *

Nel 1941, Hitler e Mussolini aggredivano brutalmente il popolo
jugoslavo che gia' cercava nella lotta contro il nazi-fascismo e
nell'alleanza con l'URSS la garanzia della propria indipendenza.

Le colonne corazzate dell'esercito nazista infransero la resistenza del
regio esercito jugoslavo, minato, nei suoi stessi ranghi, dal
tradimento e dalla collaborazione col nemico. Allo sfacelo
dell'esercito regio rispose l'eroica sollevazione di tutti i popoli
della Jugoslavia contro l'occupante. A decine di migliaia gli arditi
combattenti del popolo, a migliaia le coraggiose donne del popolo
jugoslavo venivano massacrati o seppelliti nei campi di concentramento.
Le truppe d'occupazione, ma anche truppe dell'esercito fascista,
italiani vestiti dall'uniforme disonorante dell'aggressione e
dell'infamia, distrussero villaggi, incendiarono case, decimarono
intere regioni: ma per l'eroico popolo jugoslavo la brutalita', la
barbarie scatenata dai nazi-fascisti furono la gran diana per la lotta
di riscossa popolare. Sui resti sconfitti dell'esercito regio si
formarono i primi nuclei dell'esercito partigiano, che prendendo ben
presto il carattere di un vero e proprio Esercito Nazionale Jugoslavo
di Liberazione (NOVJ) getto' le fondamenta incrollabili per la nuova
Jugoslavia, la Jugoslavia del popolo.

Alla base di questo vastissimo anelito di liberta' e di vittoria era il
movimento dell'O.F. (Fronte di Liberazione). Sorto per iniziativa del
Partito comunista, nove giorni dopo l'invasione, esso raggruppo'
all'infuori di ogni distinzione politica o religiosa tutte le forze
sane dei popoli della Jugoslavia. Fu questo vastissimo movimento
popolare a garantire l'incessante sviluppo dell'Esercito di
Liberazione, furono le migliaia di Comitati dell'O.F. che permisero
all'Esercito di Liberazione di superare la prima grande crisi dovuta
alla vasta offensiva nazi-fascista nella primavera del '42.
In ogni villaggio, in ogni borgata della Jugoslavia si costitui' il
Comitato dell'O.F. e, in forme il piu' possibile democratiche, i
migliori figli del popolo furono chiamati a partecipare a questi organi
di potere popolare. Questa colossale organizzazione capillare garanti'
i rifornimenti al NOVJ, forni' i contingenti sempre crescenti che
permisero di superare le sei offensive del nemico e di forgiare un
esercito di 300.000 uomini.

Capo geniale, creatore di un esercito che i Comandi alleati
annoverarono tra i fattori principali nella strategia generale della
guerra, e' stato il Maresciallo Tito. Tito, militante comunista, figlio
di un contadino croato e di madre slovena, simbolo di quell'unione che
sorge dalla comunanza delle libere volonta' di tutti i popoli della
Jugoslavia. E oggi al maresciallo Tito guardano tutti i popoli
dell'Europa balcanica come alla loro guida sulla via dell'indipendenza
e della democrazia popolare.

Nel fuoco della guerra di liberazione i popoli della Jugoslavia
gettano, cosi', le basi della nuova democrazia.
Premessa del movimento dell'O.F. era stata - tre anni fa - la cacciata
dell'occupante, il non riconoscimento del vecchio stato reazionario,
dimostratosi incapace di organizzare la difesa del paese, la lotta per
la democrazia popolare che assicurasse, nell'eguaglianza di tutti i
popoli della Jugoslavia, l'unita' e l'indipendenza nazionale.
Sotto lo stimolo delle esigenze belliche, dopo la vittoriosa resistenza
contro la grande prima offensiva nazi-fascista, si riuniva nell'ottobre
del 1942 il primo congresso dell'O.F., l'AVNOJ, il quale riconosceva
nei Comitati dell'O.F. gli organi fondamentali per la lotta di
liberazione e per il nuovo potere popolare e investiva Tito del Comando
e della guida di tutto il movimento di liberazione. Al consiglio
dell'O.F., all'AVNOJ, spettava la direzione e la rappresentanza
politica dei popoli della Jugoslavia, senza che fosse ancora
sconfessato il governo fuggiasco.
Lo sviluppo della lotta di liberazione e l'acutizzarsi delle condizioni
generali portavano intanto i circoli reazionari raggruppati attorno a
Mihajlovic e attorno ai collaboratori tipo Macek, a posizioni sempre
piu' apertamente collaborazioniste e quindi all'aperto tradimento.
Durante tutto il 1943 obiettivo essenziale della lotta politica per la
chiarificazione della situazione interna, condotta dall'AVNOJ, fu la
definitiva liquidazione di qualsiasi equivoco che intorbidasse la
profonda linea che separava ed opponeva all'occupante nazista i popoli
jugoslavi, liquidazione quindi di ogni forma di autorita' che
rappresentasse un compromesso col vecchio ordine reazionario.
Fu in quell'anno che la guardia bianco-blu dei reazionari sloveni venne
liquidata e fini' collo sparire dopo il crollo dell'alleato e padrone
fascista; fu in quell'anno che divenne chiara a tutto il mondo la
funzione provocatoria che Mihajlovic esercitava per conto
dell'occupante. Aperta venne dichiarata la lotta contro Mihajlovic e i
manutengoli del governo fuoriuscito e le vittoriose affermazioni del
NOVJ, sottolineando il contributo portato alla causa comune delle
Nazioni Unite, portarono al riconoscimento internazionale dell'AVNOJ
come guida politica dell'insurrezione nazionale dei popoli della
Jugoslavia.

Gli organi del movimento dell'O.F. conquistarono quindi sempre nuovi
riconoscimenti in campo internazionale, appoggiati in questa loro
azione dal valido aiuto dell'URSS, protettrice di tutti i popoli in
lotta per la loro liberta' e, in special modo, dei popoli slavi verso
la costruzione di un nuovo mondo nei Balcani tormentati. Fu l'Unione
Sovietica che per prima riconobbe nell'AVNOJ il legittimo governo
jugoslavo e strinse con esso normali rapporti diplomatici.
Sulla base di questi successi, l'AVNOJ, nel suo secondo congresso della
fine del 1943, decise quindi la trasformazione del Comitato jugoslavo
dell'O.F. in Governo, riconoscendo nel popolo organizzato nei comitati
dell'O.F. l'unica fonte di potere per la nuova Jugoslavia.
Espressione della concorde volonta' dei popoli jugoslavi, l'AVNOJ, per
sua formazione federativa, costituisce una prefigurazione del Governo
di domani, Governo popolare di una Jugoslavia, federativa e
democratica. Nella democrazia e nella vita federativa si garantisce
cosi' libera espressione alle caratteristiche sociali e storiche di
ogni popolo della Jugoslavia.

Guida alla costruzione della nuova Jugoslavia e' stato il Partito
Comunista. E' stato possibile, grazie alla sua instancabile attivita'
unitaria e alla sua vasta influenza, di trasformare i primi nuclei nel
NOVJ, di creare in ogni villaggio il Comitato dell'O.F.
Vero Partito bolscevico, esso sa unire, alla decisione ed all'audacia,
la comprensione delle esigenze dei piu' larghi strati popolari e ne e'
prova l'iniziativa presa da esso, per la costituzione di larghe
organizzazioni di masse femminili e giovanili che vengono ad
interessare alla suprema lotta nazionale tutti gli strati popolari.
La crescente influenza del P.C. nell'O.F., la profonda crisi degli
altri Partiti i cui dirigenti si sono in massima parte posti al
servizio dell'occupante, ha determinato i residui gruppi politici non
compromessi a riconoscere in Tito la loro guida nella lotta per la
nuova Jugoslavia popolare.
Alla testa di tutti i popoli della Jugoslavia, il popolo sloveno che ha
realizzato una giusta politica unitaria, combatte per una Slovenia
libera, unita e democratica e getta gia' oggi le fondamenta della
libera vita democratica.
Il movimento dell'O.F. consolidato in efficente organismo di governo ha
promosso vaste consultazioni popolari in tutti i paesi della
Jugoslavia. Anche nel Litorale (Primorsko) si sono svolte, e molto
recentemente, le elezioni generali: tale era l'interesse della
popolazione che i contadini dei paesi ancora occupati facevano
chilometri e chilometri per deporre la loro scheda, per partecipare al
loro comizio elettorale.
Cosi' rivivono a nuova coscienza nazionale e democratica le popolazioni
che il fascismo ha avvilito per vent'anni.

Libera vita democratica, autogoverno delle masse popolari, pieno
riconoscimento degli sforzi che i popoli hanno compiuto per la loro
liberazione: queste sono le direttive che informano l'azione politica
del NOVJ nei territori liberati. E per questo non sono soltanto le
popolazioni slave, ma tutti i popoli a guardare a Tito come a un eroe
leggendario, campione di liberta'. Non soltanto i popoli balcanici
vedono nel NOVJ una grande forza liberatrice, ma tutti i popoli
confinanti e particolarmente le nostre popolazioni del Veneto .
L'Armata Rossa ha raggiunto Budapest, l'Esercito di Tito sta ripulendo
la Jugoslavia dalle truppe di Hitler: grandioso e' l'aiuto che
l'esercito di Tito potra' dare alla nostra lotta di liberazione.
Tendere tutte le forze per aiutare il popolo jugoslavo nella sua epica
impresa; questo e' il dovere di ogni italiano, questa e' la via per
avvicinare il giorno della liberazione, per dimostrare che non sul
popolo italiano, ma solo sul fascismo ricadono le responsabilita' e
l'onta per i delitti commessi contro il libero popolo jugoslavo.
Ed e' su questa chiara coscienza che gia' si fonda l'azione del popolo
jugoslavo e delle sua avanguardia liberatrice. Gli italiani schiavi
hanno ridotto in schiavitu' il popolo sloveno e il popolo croato, ma
gli sloveni e i croati liberi aprono oggi, con ampie liberta'
democratiche, nuovi orizzonti alla vita delle popolazioni che entrano
nel raggio delle operazioni del NOVJ.
Lo spirito che informa le relazioni tra popoli liberi agli interessi
progressivi di tutta l'umanita', e' oggi, deve sempre piu' essere alla
base delle nostre relazioni, della nostra amicizia per il popolo
jugoslavo, araldo di liberta' e costruttore nei Balcani della nuova
Europa.
Dalla marcia sempre piu' rapida degli eserciti sovietici ed jugoslavi,
facile e' trarre l'augurio di prossime grandi operazioni per la
liberazione della Venezia Giulia e dell'Italia nord-orientale dal
nazi-fascismo.
Confidando nell'aiuto sovietico ed jugoslavo alla sua lotta, il popolo
italiano, impegnato nella battaglia insurrezionale, rivolge - oggi, 7
novembre - il suo saluto augurale al popolo jugoslavo che l'U.R.S.S.,
guida dei popoli slavi, cosi' validamente sostiene nella sua lotta per
la riscossa e la liberta'.


[ tratto da "La nostra lotta",
organo del Partito Comunista Italiano, novembre 1944 ]

Croazia: apartheid in fabbrica

[ "Rivelazioni" su episodi di alcuni anni fa: all'epoca, nessuno in
Italia osava spiegare che la discriminazione su base nazionale in
Croazia era la regola, e non l'eccezione, sin dalla promulgazione della
"Costituzione di Natale" (1990), e sin dalla dichiarazione di
"indipendenza" (1991). Allora i serbi venivano sistematicamente
cacciati dal posto di lavoro e privati dei diritti civili. E dopo tante
vessazioni, arrivarono la guerra civile e la menzogna mediatica della
"aggressione serba".
Oggi, la separazione etnica si e' cronicizzata - come mostra l'articolo
- oppure, laddove i serbi sono stati semplicemente eliminati, non si
vede piu'... E dunque: ritorniamo in vacanza in Croazia ?!? IS ]

---

http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=3061


Come il governo Tudjman divideva i lavoratori

Diritti diversi ai lavoratori di una stessa fabbrica a seconda della
loro nazionalità. Il caso della ditta “Borovo”, di Vukovar

(06/05/2004) Da Osijek, scrive Drago HEDL


Malgrado il governo del Primo Ministro Ivo Sanader cerchi di riparare
alle ingiustizie commesse dalla Croazia di Franjo Tudjman contro i
cittadini di nazionalità serba, nuovi casi emergono in continuazione da
dietro le quinte.

Circa 4.000 ex lavoratori della fabbrica di gomma e scarpe “Borovo”,
una delle più grandi imprese della ex Jugoslavia, situata a Vukovar,
hanno minacciato la scorsa settimana di organizzare manifestazioni di
piazza se il governo non risponderà alle loro richieste.

I lavoratori cercano senza successo di risolvere una questione che è
già stata risolta molto tempo fa per 1.746 impiegati della stessa
ditta. Poiché la fabbrica è stata distrutta durante la guerra e i
lavoratori hanno perso il proprio lavoro, lo Stato gli ha corrisposto
una indennità in misura di 1.500 kune (circa 200 euri) per ogni anno di
impiego. Questa indennità, tuttavia, è stata assegnata a soli 1.746
operai, mentre più di 4.000 altri lavoratori della “Borovo” non hanno
mai ricevuto un centesimo.

Ci si potrebbe logicamente chiedere quali fossero le differenze tra gli
ex lavoratori della “Borovo”. Per di più, sapendo che i 65 milioni di
kune (poco meno di dieci milioni di euri) spesi per il pagamento delle
indennità sono stati raccolti con la vendita degli immobili e di altre
proprietà della “Borovo”, che erano state prodotte in modo uguale da
tutti i lavoratori. La risposta è semplice: la differenza tra i
lavoratori sta nella loro nazionalità.

La nazionalità dei 1.746 lavoratori che hanno ricevuto l’indennità è
croata, mentre gli altri 4.000 lavoratori impiegati dalla stessa ditta,
che non hanno mai ricevuto alcuna compensazione, sono Serbi. Tuttavia,
per nascondere il fatto che la Croazia discriminava i propri cittadini
in base alla loro nazionalità, il sistema di Tudjman aveva trovato una
soluzione per decidere chi avrebbe ricevuto l’indennità. Quando Vukovar
fu presa e le formazioni paramilitari serbe sono entrate in città
insieme all’Esercito Popolare Jugoslavo (JNA), la direzione della
“Borovo” ha chiesto ai lavoratori, il 3 dicembre 1991, di prendere
contatto con la nuova direzione della fabbrica a Zagabria. La nuova
direzione ha inserito gli impiegati nell’organico, pagato i loro
salari, garantito la assicurazione sanitaria e sociale. In altre
parole, si sono più o meno presi cura di loro.

Questo, tuttavia, è stato il caso per i soli 1.746 lavoratori di
nazionalità croata che hanno lasciato Vukovar prima o dopo la caduta
della città.

Al tempo, era assolutamente impossibile che i lavoratori della “Borovo”
di nazionalità serba andassero a Zagabria a contattare la nuova,
temporanea, direzione della compagnia. Non avrebbero potuto in nessun
modo andare a Zagabria dalla ex “Krajna” – il nome che i ribelli serbi
avevano dato alla propria formazione statale creata dopo la cattura di
Vukovar e della Slavonia orientale. I Serbi rimasero a Vukovar o
trovarono rifugio presso i propri parenti in Jugoslavia o Bosnia
Erzegovina. Dal momento che non presero contatti con Zagabria, tutti e
4.000 furono collettivamente licenziati.

La maggior parte dei lavoratori della “Borovo” di nazionalità serba che
rimasero a Vukovar o nei villaggi vicini, governati dai ribelli serbi,
continuarono a lavorare in quello che rimaneva della “Borovo”. Questo
accadde fino all’inizio della reintegrazione pacifica del 1996,
allorché la lettera di intenti del governo croato promise ai lavoratori
che avrebbero ricevuto un riconoscimento per gli anni di impiego una
volta che la reintegrazione fosse terminata, e che sarebbero stati
messi nella condizione di continuare il proprio lavoro. Quello che
accadde fu invece l’esatto contrario. Il 15 gennaio del 1998, alla fine
del periodo di reintegrazione pacifica, i lavoratori non ricevettero
nulla.

“Malgrado ovviamente non ci siano spiegazioni che dichiarino che il
motivo per il quale l’indennità e altri diritti – attribuiti ai
lavoratori di nazionalità croata – non siano riconosciuti agli altri
perché sono Serbi, tutti capiscono molto bene quello che sta
accadendo”, afferma Petar Miletic, avvocato di Vukovar che rappresenta
i 4.000 lavoratori della “Borovo”. Miletic ha fatto appello alla Corte
Distrettuale di Vukovar, ma la questione non è ancora stata portata in
giudizio per motivi procedurali.

Milan Grahorac, che rappresenta i 4.000 lavoratori che chiedono il
riconoscimento dei propri diritti, ha inviato una lettera al Primo
Ministro Ivo Sanader alla fine di gennaio 2004, nella quale sottolinea
la discriminazione operata nei confronti dei lavoratori della ex
fabbrica di Borovo. In quanto rappresentante dei lavoratori di Borovo,
Grahorac chiede aiuto al Primo Ministro. Se questo non arriva, scrive
Grahorac, i lavoratori dovranno rivolgersi alla Corte Europea per i
Diritti dell’Uomo a Strasburgo.

Sanader ha risposto che in quanto Primo Ministro del Governo ha
l’obbligo di proteggere i diritti di tutti i cittadini della Repubblica
di Croazia, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa o
nazionale, e ha inoltrato la lettera al Ministro della Giustizia,
chiedendo a lei di risolvere la questione. Sanader ha inoltre aggiunto
di auspicare che la questione venisse risolta in un Tribunale croato, e
che l’intervento di Strasburgo non fosse necessario.

“Malgrado la risposta di Sanader possa rallegrarci - dichiara Petar
Miletic, il legale che rappresenta i lavoratori della “Borovo” -
purtroppo non fa che confermare la discriminazione attuale. Sanader ci
fa andare in Tribunale, e non vuole risolvere il problema nel modo in
cui è stato risolto senza Tribunali, e con l’aiuto del Governo, per
1.746 lavoratori di nazionalità croata.”

Mirko Grahorac afferma che la loro pazienza ha un limite e che
aspetterà ancora poco per vedere se c’è buona volontà per risolvere il
problema. “Se non riceviamo una risposta positiva entro l’inizio di
questa estate organizzeremo manifestazioni e blocchi stradali, come
hanno fatto i 1.746 lavoratori di nazionalità croata prima di ricevere
la loro indennità. Se questo è l’unico modo per ottenere quello che gli
impiegati croati, che hanno lavorato con noi fino al 1991, hanno già
ottenuto – sceglieremo questa possibilità. In questo modo la opinione
pubblica croata, e sfortunatamente anche quella internazionale,
scopriranno che, indipendentemente da quanto lo si voglia negare,
esiste in Croazia una enorme discriminazione su base nazionale”,
conclude Grahorac.


» Fonte: da Osijek, Drago Hedl © Osservatorio sui Balcani

Da Alessandro Di Meo di "UN PONTE PER..." riceviamo questo importante

APPELLO :

Nel 2001 distribuivamo volantini che titolavano: "L'uranio impoverito
fa male ai nostri soldati. E ai bambini jugoslavi?" [vedi sotto]

Ora la Jugoslavia non esiste più, la chiamano Serbia-Montenegro, ma
fra quei bambini che, invece, continuano ad esistere eccome, ce ne
sono sempre di più che si ammalano di malattie del sangue, prima molto
rare. Leucemie, anemie varie. Ce lo raccontano alcuni medici pediatri
che abbiamo invitato a Roma, presso l'università di Tor Vergata. Ma i
dati statistici, quelli proprio non è possibile averli. Perché nessuno
te li da. Anche a Belgrado, all'istituto per la Salute della Madre e
del Bambino, ti fanno capire che questi casi drammatici sono in forte
aumento. Ma un numero proprio no, non possono fornirlo. Perché è un
tema che è meglio nascondere, sottacere, parlarne per metafore, hai
visto mai che poi tagliano quei fondi, qualcuno alla CEE si potrebbe
infastidire, ecc.

La verità è che di quel disastro, di cui è colpevole, purtroppo fra i
principali, anche il nostro paese, si cerca di far sapere poco.
Come si tende a non parlare dei profughi, circa 300 mila. Sono i
serbi, ma non solo, fuggiti dal Kosovo, dopo l'entrata della Nato nel
giugno `99. Profughi che in patria non sono considerati tali, in
quanto il Kosovo, formalmente, ancora è terra serba. E allora il
governo centrale li usa a scopo propagandistico, raccontando loro del
diritto al ritorno, illudendo, non troppo, ormai, quella gente che un
giorno riavranno la propria terra, la propria casa. E invece, non
riavranno un bel niente.
Non la casa, spesso bruciata o distrutta, non la terra, confiscata
dagli albanesi kosovari. Non certo gli affetti perduti, con più di
mille "scomparsi", spesso civili, di cui non si sa più nulla.
A questa gente nemmeno un risarcimento per tutto quello che avevano e
non hanno più. Eppure, molti di loro potrebbero anche dimostrare, con
tanto di documenti, le proprietà perdute.
A loro andrebbe bene anche un semplice risarcimento di ciò che hanno
perso, un indennizzo, perché permetterebbe, specie a coloro che hanno
figli piccoli da crescere, di stabilirsi nei luoghi che li hanno
accolti, rassegnati come sono al fatto che il ritorno tanto
sbandierato è solo una utopia.
E con le utopie, non si crescono i figli. E' gente stanca, che
vorrebbe tornare a vivere in pace. Come è stato per tanto tempo.

Vorremmo far partire una campagna per chiedere un risarcimento alla
comunità internazionale per queste famiglie. Cerchiamo giuristi di
diritto internazionale disposti a darci una mano. Un appello anche a
"il manifesto" e ad altri quotidiani che abbiano a cuore la sorte di
queste persone.
Un risarcimento... che non riuscirebbe certo a chiudere ferite così
gravi, ma che darebbe se non altro il modo a tante persone di provare
a rigiocarsi la vita. Magari con una idea di futuro meno buia.


Alessandro Di Meo (un ponte per... - www.unponteper.it)

PER CONTATTI: Un ponte per...
Associazione Non Governativa di Volontariato per la Solidarietà
Internazionale
Piazza Vittorio Emanuele II 132 - 00185 - ROMA
Tel 06-44702906 oppure 06-44360708 Fax 06-44703172
e-mail: posta@... - web: www.unponteper.it

C/C Postale n° 59927004
C/C Bancario n° 100790 c/o Banca Popolare Etica, ABI 5018, CAB 12100


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Un ponte per...

L'uranio impoverito fa male ai nostri soldati...

E AI BAMBINI JUGOSLAVI?


Per l'ipocrisia dei mezzi di informazione la vita di un nostro soldato
vale cento, mille vite di uomini, donne, bambini altrui. Possono anche
morire, purché nel silenzio più assoluto, lontani dal nostro mondo,
dalle nostre case, dalle nostre tavole, per non risvegliare in noi
sensi di colpa inattesi e indesiderati. L'elezione di Kostunica e la
consegna di Milosevic all'Aja hanno fatto dimenticare il dramma di
questo popolo. L'embargo è stato tolto in teoria ma, nel quotidiano,
l'inflazione del dinaro è inarrestabile e i prezzi continuano a
salire. La questione del ritorno degli sfollati in Kosovo, come
previsto dagli accordi, ma pure quella del ritorno dei profughi di
Croazia, Krajne e Bosnia nelle loro terre, rimangono irrisolte mentre
grave è la crisi politica con il Montenegro che, evidentemente, non
considerava l'uscita di scena di Milosevic, un fatto prioritario.
Inoltre, il "disciolto" UCK ricostituitosi come UCPMB, pretende, con
continue azioni di guerra nel sud della federazione, sotto gli occhi
bendati della Kfor, l'annessione della valle di Presevo, di Bujanovac,
di Medvedja. La guerra "umanitaria", è servita a poco, dunque! A meno
che, la nuova presidenza jugoslava non si dimostri sempre più servile
e accondiscendente con chi, dopo aver sganciato migliaia di tonnellate
di bombe avvelenate, si autoelegge a giudice e benefattore, fingendo
di preoccuparsi delle sorti del popolo jugoslavo. Nostri amici da
Belgrado ci scrivono che.

"Sfollati e Profughi sono le parole più comuni da dieci anni, in
Jugoslavia. Hanno preso il posto di Pane e Latte."

Noi, che insieme a pochi altri, questo popolo l'abbiamo difeso in
tempi decisamente diversi, facendo arrivare solidarietà e aiuti
concreti già sotto le bombe, non ci facciamo incantare dalle sirene
del capitalismo mondiale che, specie nei paesi dell'est Europa
(Europa?.), ha saputo creare soltanto miseria, malavita, terre e
braccia, anche di bambini, da sfruttare.

Restiamo attenti, continuiamo a far sentire tutto il nostro sostegno
ad un popolo bollato come "nemico" e che, invece, ha la sola "colpa"
di non aver scelto il luogo dove nascere.


Sostieni i progetti di " Un Ponte per." in Jugoslavia
a sostegno degli sfollati, dei profughi, della gente in difficoltà


Una scommessa. da vincere!


Noi dell'associazione "Un Ponte per." siamo spesso a Kraljevo,
Jugoslavia (ora Serbia-Montenegro), sia per seguire i numerosi
progetti in solidarietà con le vittime della guerra del 99, sia per
consegnare le rate dei sostegni a distanza a famiglie profughe di
quella guerra, che ancora vivono nei centri di prima accoglienza. Fra
queste, le famiglie che mandano i propri bambini in vacanza a Roma,
ospiti di famiglie di dipendenti dell'università di Tor Vergata.

In una di queste occasioni, a luglio del 2002, arriva una mamma. Non è
profuga, è solo disperata. Suo figlio, Marko, affetto da Anemia
Aplastica, terribile malattia del midollo, sta sempre peggio e i
medici di Belgrado che lo hanno avuto in cura non hanno possibilità di
curarlo. Per via di soldi che non ci sono, per via dei medicinali
introvabili e costosi, per via di mille altre cose che un decennio di
guerre provocherebbe dovunque. Anche in Italia. Anche ai nostri figli.

"Un Ponte per." ha il senso delle proporzioni. "Un Ponte per." non fa
ospedalizzazioni perché è un'associazione piccola, ma di quelle per le
quali ci si onora di spendere tempo.

Però "Un Ponte per." incontra molti occhi di disperati nelle sue missioni.

Disperati particolari, perché le guerre li hanno resi tali. Perché
senza le guerre avrebbero ancora una speranza e un futuro in cui
credere. E una casa, un lavoro, una vacanza, un viaggio da fare.

Al ritorno, quella mamma non può essere dimenticata. E ci si muove,
anche su terreni sconosciuti.

Dopo un primo tentativo presso strutture dell'Università di Roma "Tor
Vergata", la Regione Lazio indica l'Oncologia Pediatrica del Gemelli.
Questa struttura, insieme a poche altre, rientra in un progetto della
Regione sulle ospedalizzazioni di stranieri provenienti da zone disagiate.

Ma dopo qualche mese di cure, anche il Gemelli si è arreso. A Giugno
dello scorso anno il trasferimento al San Camillo dove Marko, ora, fa
day hospital. Dopo una drammatica operazione per una emorragia
cerebrale in Dicembre, che oggi lo costringe ancora su una sedia a
rotelle, lo scorso 5 Febbraio ha finalmente ricevuto il trapianto di
midollo osseo da non consanguineo.

Anemia Aplastica. Marko non è profugo, ma a Kraljevo hanno bombardato
molto. La malattia può insorgere anche per le radiazioni subite. Non
esiste un collegamento diretto dimostrabile e difficilmente verrà mai
dimostrato. Ma questi casi prima rari, ora sono in aumento. Leucemie,
anemie e malattie del sangue in generale. L'uranio impoverito non fa
male solo ai nostri soldati, dunque...

Non sappiamo se riusciremo a salvarlo, Marko.

Lui è solo uno dei tanti, ma è vivo e vorrebbe continuare a vivere. Ad
andare a scuola, a fare passeggiate in bicicletta coi suoi amici, a
fare progetti di vita coi suoi genitori e col piccolo fratellino di 4
anni. Magari, anche a giocare a pallone, con la maglietta di
Stankovic, il suo idolo che ha conosciuto in occasione del suo compleanno.

Marko e sua madre Novka sono in Italia da quasi due anni, ormai. Molte
sono state le spese affrontate. Molti hanno donato sangue e piastrine,
sempre necessarie per le trasfusioni. Ma non basta. Non può bastare
perché ogni giorno è una scommessa. Aiutaci a vincerla.


Un Ponte per. sta portando avanti da tempo numerosi progetti in
Jugoslavia. Dalla fornitura di importanti macchinari alla Neonatologia
di Belgrado all'aggiornamento di medici pediatri in strutture
ospedaliere italiane, dai gemellaggi scolastici con piccole
ristrutturazioni di scuole all'ospitalità di bambini in Italia, dai
corsi di formazione professionale per profughi e non ai campi di
lavoro, dalla promozione dei lavori di ricamo delle donne profughe ai
viaggi di conoscenza, dalla collaborazione fra la Pediatria
dell'università di Tor Vergata a progetti di sistemazione reti
fognarie e idriche. Per aderire, puoi effettuare un versamento
specificando la causale (contatta la nostra sede). Le quote sono
fiscalmente detraibili.