Informazione
Ma il Melograni sull'ultimo domenicale del Sole ritiene di poter prescindere dalle fonti. Che sarà mai un documento? Quello che conta è esprimere un giudizio, dire un'opinione, sentenziare. Ed ecco lo storico farsi «rovescista», e imbastire, non solo senza documenti (ce lo aspettiamo, questo), ma senza uno straccio di argomento, il suo filo riparatore della storia.
«Ritengo che la morte di Antonio Gramsci sia avvenuta nel 1937, perché ucciso dai sovietici o per suicidio». Questo lo scoop. Non ci sono documenti, pietosi «argomenti»; non un filo di ragionamento accettabile sul piano della logica. Ma c'è la notizia che, come insegnano i «grandi direttori» di quotidiani, può prescindere assolutamente dal fatto. E qui il fatto manca, mentre la notizia, sebbene passata sotto silenzio, invece c'è. Ed è doppia: il lettore scelga la soluzione del giallo che più gli aggrada. Preferisce la A), per palati forti: un picconatore nascosto in uno sgabuzzino della clinica Quisisana (dove Antonio Gramsci spirò nella notte del 27 aprile 1937) colpisce Nino alla testa, fingendo poi trattarsi di «commozione cerebrale» ovvero introduce, stile assassinio di Pisciotta o Gelli, arsenico nel caffè...; oppure, soluzione B) per signore e stomaci delicati: il povero Nino quando riceve il decreto di libertà, temendo, chissà, che i paparazzi non si sarebbero occupati di lui, e che il suo destino era... «l'Isola dei famosi», beve la cicuta, come Socrate, che così volle sottrarsi alle angherie della moglie Santippe (prossimo scoop di Melograni; lo avvertiamo che ci pensò già Panzini).
Ma le motivazioni? Facili. Omicidio ordinato da Stalin: «Gramsci non voleva tornare in Russia perché lì sarebbe stato processato e condannato a morte ... Meglio la più tranquilla Sardegna di Mussolini: un affronto che il tiranno sovietico non poteva tollerare». Elementare, Watson.
Più in difficoltà sulle motivazioni del suicidio, il nostro studioso; ma si sa che ognuno di noi ha una buona ragione per morire. E Gramsci ne aveva più d'una: il Partito, la moglie, il fascismo, Stalin...Il romanziere Melograni ci lascia il beneficio del dubbio: condensato in un articolo di giornale, è un esempio perfetto di «opera aperta». Il lettore è invitato a scegliere il finale e, scendendo nel dettaglio, precisare come fu ucciso Gramsci o si uccise, e nel secondo caso, inventarsi una ragione vagamente plausibile. Quella che più lo convince.
Che fonti orali e scritte, e gli studi, ci mostrino tutt'altro quadro, interessa poco l'ex storico che ora racconta storie. Del resto perché stupirsi? Melograni ha al suo attivo un libello intitolato «Le bugie della Storia», campionario di scoop di questo livello (vi si scopre ad esempio che la Luxemburg fu fatta assassinare da Lenin), con un filo sotteso: la maledetta «egemonia» dei comunisti, che hanno prima compiuto crimini e poi hanno assoldato storici bugiardi. Meno male che ci sono gli Zorro della Storiografia a ristabilire la verità.
GRAMSCI SUICIDA......OVVERO LA STORIA SECONDO PIERO MELOGRANI:"Ritengo che la morte di Antonio Gramsci sia avvenuta nel 1937, perchè ucciso dai sovietici o per suicidio".La più robusta tra le motivazioni: "Gramsci non voleva tornare in Russia perchè lì sarebbe stato processato e condannato a morte [...] Meglio la più tranquilla Sardegna di Mussolini: un affronto che il tiranno sovietico non poteva tollerare". Dunque, è ovvio, lo ha fatto ammazzare...Oscure invece le motivazioni del suicidio, tanto più che "Gramsci era relativamente libero dal 1934"...(P. Melograni, domenicale del Sole 24 Ore, 28.9.2008)(segnalato da Alexander Hobel)
In centro, in via Stalin, vive Soslan. Ha una trentina d'anni, gli occhi rossi per il pianto e la barba lunga di 40 giorni per il lutto, come vuole la tradizione cristiano-ortodossa. Sta in piedi a braccia conserte nell'orto dietro casa, vicino al tumulo di terra che, tra cetrioli e pomodori, ricopre le spoglie di due donne. «Mia madre Liana e mia nonna Elena sono morte durante i bombardamenti georgiani dell'8 agosto, quando un missile Grad ha colpito la nostra casa. Erano uscite dal rifugio per prendere del cibo per gli altri. Le abbiamo dovute seppellire qui nell'orto perché in città si combatteva: non potevamo portarle in cimitero».
Liana ed Elena sono solo due delle centinaia di vittime dell'attacco georgiano contro Tskhinvali, la capitale dell'Ossezia del Sud. Nonostante la velocità con cui le centinaia di operaie e operai ceceni delle imprese edili russe stanno ricostruendo e ripulendo la città, Tskhinvali mostra ancora tutti i segni dell'attacco georgiano. Gran parte degli edifici del centro - trecento abitazioni civili, scuole, asili, università, biblioteche, palazzi governativi - sono completamente distrutti dalle bombe e dalle fiamme, ricoperti da teli verdi che pare vogliano pudicamente nascondere la violenza subita. Tutte le altre costruzioni sono crivellate dagli spari delle mitragliatrici o squarciati dalle cannonate.
Ma ciò che più lascia esterrefatti è la vista dell'unico ospedale della città, anch'esso semidistrutto dalle cannonate e dalle mitragliatrici georgiane. «Nemmeno i nazisti sparavano di proposito contro gli ospedali!», si sfoga Tina, l'anziana capoinfermiera, con due occhi celesti ancora arrossati dalla stanchezza. Mostrandoci gli umidi sotterranei dove durante i bombardamenti sono stati trasferiti e curati centinaia di feriti, ci racconta la sua esperienza di quei giorni. «Lavoravamo senza macchinari e senza luce, con pochissime medicine. Sopra di noi continuavano a cadere le bombe. Io non mi sono fermata un minuto, non ho dormito mai, non c'era tempo. Ma ora non mi sento molto bene», dice iniziando a piangere. «Quando siamo riemersi da quell'inferno - continua con la voce rotta - c'è stata una cosa che ci ha fatto più male delle bombe: scoprire che le televisioni internazionali parlavano solo della Georgia e non dicevano una parola della tragedia che abbiamo vissuto qui. Vi prego, almeno voi raccontatela, dite la verità».
«Ma perché i vostri governi hanno appoggiato il regime fascista e criminale di Saakashvili? Perché le vostre istruite opinioni pubbliche non hanno protestato per l'aggressione georgiana contro di noi?», domanda Josiph, laureato in legge ed ex impiegato Osce, con sincero interesse e nostro grande imbarazzo. «Vi rendete conto che hanno bombardato a tappeto una città piena di civili, a freddo, anzi a tradimento, perché un'ora prima avevano detto che non avrebbero mai attaccato. E lo hanno fatto di notte, mentre la gente dormiva nei propri letti. I carri armati georgiani hanno sparato contro obiettivi civili, abitazioni, scuole, ospedali. Sparavano alla cieca, su tutto quello che si muoveva. I soldati georgiani buttavano granate nei rifugi. Hanno sparato con tank e cecchini contro le colonne di auto cariche di civili che cercavano di lasciare la città: tantissima gente è morta così! Non vi dice niente che il nome dell'operazione militare georgiana era 'Campo pulito'? Volevano sterminarci, cancellarci come popolo! E ci sarebbero riusciti se non fosse stato per i russi! Altro che reazione sproporzionata!».
Inal è un rubicondo giornalista locale, poeta a tempo perso. «Voi occidentali ci chiamate 'separatisti', come fanno i georgiani. Ma se si guarda alla storia di questo conflitto e al diritto internazionale è chiaro che i separatisti sono i georgiani, non noi. Nel settembre del 1990, quando c'era ancora l'Unione Sovietica, la regione autonoma dell'Ossezia del Sud, che all'epoca era parte della Repubblica sovietica georgiana, decise di rimanere a far parte dell'Urss. Questa scelta, del tutto legittima e legale, fu poi sancita nel marzo '91 da un referendum che si tenne in tutta l'Unione Sovietica. Un mese dopo, in aprile, la Georgia dichiarò la propria indipendenza da Mosca, pretendendo di mantenere la sovranità sull'Ossezia del Sud con la forza. Tbilisi dichiarò lo stato d'emergenza e ci attaccò: vennero bruciati più di cento villaggi e uccise oltre duemila persone. In trentamila fuggirono in Ossezia del Nord. Solo nel gennaio del '92, dopo la caduta dell'Urss, l'Ossezia del Sud si proclamò stato indipendente nella speranza, vana, di mettersi al riparo dalle aggressioni georgiane».
La campana della vecchia chiesetta ortodossa di Santa Maria, l'unica della città, suona a morto. Dentro, nella penombra e nel silenzio, le fiammelle di centinaia di candele accese in ricordo delle vittime di questa guerra illuminano le icone dorate che tappezzano le pareti. I devoti rendono grazie a San Giorgio, molto venerato da queste parti, il santo che uccise il drago simbolo del male. Sul muro fuori dalla chiesa, dipinte a vernice, le parole di un ringraziamento più terreno: «Spasìba Rossìa», grazie Russia.
© PeaceReporter
Da: Fulvio <fuldigior @ gmail.com>Data: 07 ottobre 2008 10:14:05 GMT+02:00A: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"Oggetto: Giovedì 9 ottobre Cineforum alla Forgia "La Battaglia della Neretva"LA BATTAGLIA DELLA NERETVA
di Veljko Bulajic
con Sylva Koscina, Curd Jurgens, Yul Brynner
Iugoslavia-Germania-Italia(1969)
Nell'inverno tra il 1942 e il 1943, Hitler ordina lo sterminio dei partigiani jugoslavi guidati dal generale Tito. Questi ultimi cercano rifugio verso Nord, nelle montagne bosniache: dopo aver sconfitto una divisione italiana, i partigiani - inseguiti dai tedeschi - si dirigono verso il fiume Neretva per attraversarlo, ma ad attenderli sull'altra riva ci sono anche gli ustascia e i cetnici...
SPAZIO POPOLARE LA FORGIA
via Mazzini 24
Bagnolo Cremasco(cr)
Vicenza
APPELLO DEI
LAVORATORI CONTRO LA GUERRA
- A TUTTE/TUTTI COLORO CHE VOTANO SI’ ALLA CONSULTAZIONE sul "Dal Molin" domenica 5 ottobre.
- A TUTTI COLORO CHE COMUNQUE si oppongono alla base militare
- A CHI HA FIRMATO IL PROGETTO DI LEGGE QUADRO nazionale PER IL CONTROLLO POPOLARE SU TRATTATI INTERNAZIONALI, BASI E SERVITÙ MILITARI, contribuendo alla sua presentazione in Parlamento.
Il voto per difendere i beni comuni minacciati da un’altra base di guerra in un territorio già troppo militarizzato e per difendere lo stesso diritto di espressione democratica dalla prepotenza e dall’arroganza di chi pretende di rappresentare una società CIVILE (vedi Consiglio di Stato); così come la presentazione di una legge di iniziativa popolare (62 MILA FIRME) che contrasta totalmente le politiche e l’economia della guerra permanente: questi sono atti di cittadini liberi e solidali, non di sudditi e servi stupidi di un sistema iniquo e distruttivo.
Ma sappiamo tutti che LE OPINIONI NON BASTANO!
LA LOTTA PER ESTIRPARE LE CAUSE PROFONDE DELLA GUERRA E DELLO SFRUTTAMENTO PERVERSO DELLE RISORSE (COMPRESA LA VITA STESSA DEI LAVORATORI) da parte dei centri di potere e di privilegio NON PUÒ E NON DEVE ESAURIRSI IN ATTI DI DEMOCRAZIA FORMALE. DOBBIAMO RINFORZARLA CON LE MOBILITAZIONI, PER RIVENDICARE E COSTRUIRE IN PRATICA LE BASI DI UNA SOCIETÀ PIÙ GIUSTA.
COMINCIAMO DA ORA!
INVITIAMO TUTTI E TUTTE A TROVARCI
DOMENICA 5 DALLE 20
ALLA ROTONDA DI VIALE FERRARIN
PER ANDARE INSIEME VERSO
L’EX AEROPORTO CIVILE
A RIVENDICARE IL RISULTATO DELLA VOTAZIONE!
Presidio informativo e di vigilanza 5 ottobre
Patto permanente contro la guerra – Vicenza
3. La seconda questione attiene all’analisi della realtà internazionale e alle sue ricadute nel nostro paese. C’è ancora qualcuno che oggi vede la questione dell’uscita dalla NATO come un obiettivo politico obosoleto? Gli eventi di questa estate in Georgia ce ne hanno rivelato piuttosto tutta la sua attualità, gravità e le contraddizioni. La NATO appare spesso come un dogma inamovibile e a fortissimo consenso bipartizan nel nostro paese. A sinistra pochi o nessuno se la sentono di riaprire la questione dell’adesione (e della subalternità) dell’Italia alla NATO. Alcuni per snobismo, altri per una sorta di pavida rassegnazione. Eppure le sue contraddizioni interne e le crepe che si delineano al suo interno sono reali. Gli effetti della crisi finanziaria negli USA rivelano le divergenze strategiche crescenti con le altre potenze europee. Tali divergenze sono emerse chiaramente anche dentro la NATO nei vertici di Riga e di Bucarest e nella gestione della crisi nel Caucaso. Non è errato affermare che oggi la NATO è in crisi così come lo sono gli istituti della concertazione internazionale tra le potenze capitalistiche (FMI, WTO, BM) che hanno agito sotto l’egemonia USA dal dopoguerra a oggi.
I MERCENARI DEI DIRITTI UMANI
di Attilio Folliero
Attilio Folliero, LPG, Caracas, 22/09/2008. Attualizzato il 23/09/2008
In giro ci sono veri e propri mercenari che si dedicano alla difesa dei diritti umani. E’ il caso dell’organizzazione Human Rights Watch con sede a Washington. Il direttore per le Americhe di questa ONG è il cileno José Miguel Vivanco. Puntualmente, ogni anno, il signor Vivanco si reca in Venezuela per presentare il solito informe sulla violazione dei diritti umani che qui - secondo HRW - si starebbero consumando.
Violazione della libertà di stampa; canali di televisione chiusi dal regime; persecuzioni; decine di prigionieri politici; violazione della libertà sindícale; migliaia di lavoratori, oppositori del regime, licenziati; tutti i poteri accentrati nelle mani del dittatore! Questo il Venezuela per Human Rights Watch. Ogni anno centinaia di pagine sulla violazione dei diritti umani in Venezuela; quest’anno, in occasione del decimo anniversario della Rivoluzione Bolivariana, HRW dedica un voluminoso documento di 273 pagine, intitolato "Dieci anni di Chávez". (Il documento puó essere letto in inglese o spagnolo).
Curioso, però il fatto che ogni anno, questo personaggio vada a Caracas a presentare il suo documento, davanti a centinaia di organi di informazione e televisisoni che poi ripetono pappagallescamente quanto riferisce!
Quest’anno, però c’è stato un imprevisto: il giorno dopo la presentazione del suo ennesimo documento sulla violazione dei diritti umani in Venezuela, il “regime” di Hugo Chávez, si è deciso ad espellerlo dal paese per violazione della legge del visto d’ingresso. Qualsiasi straniero che entra in un qualsiasi paese del mondo con visto turistico, qual’era il caso di Vivanco in Venezuela, non puó esercitare ne' attivita lavorativa, ne' tanto meno politica e diffamatoria ai danni del paese che lo ospita. Questa la motivazione alla base dell'espulsione di Vivanco. L'espulsione è avvenuta, sotto gli occhi delle telecamere, in modo del tutto civile; i funzionari incaricati di accompagnarlo all'aereoporto hanno concesso a Vivanco tutto il tempo necesario per riordinare le sue cose.
Video
http://www.youtube.com/watch?v=9h1-moEh-i8&e
- L'espulsione di Vivanco dal Venezuela (in spagnolo)
Ovviamente, dopo l'espulsione, Vivanco ha esternato nuovamente contro il Venezuela attraverso i principali media del mondo (CNN in primis): la sua espulsione sarebbe una ulteriore conferma della violazione dei diritti umani in Venezuela!
La ONG Human Rights Watch
Il famoso giornalista venezolano, Alberto Nolia, nella sua nota trasmissione di VTV "Los papeles de mandinga" ha vincolato il Vivanco con il golpe fascista di Pinochet e lo ha definido “mercenario” dei diritti umani, per essere la sua organizzazione finanziata dalla CIA e dal Dipartimento di Stato USA. E’ certo che il popolo venezuelano da Vivanco e dalla sua organizzazione sta ancora aspettando un pronunciamento sul colpo di stato fascista avvenuto nell’aprile del 2002.
Questa organizzazione con sede a Washington specializzata nella difesa dei diritti umani in realtà non fa altro che “costruire” espedienti propagandistici contro i governi che non godono la fiducia del suo finanziatore (il governo USA).
In tutto il mondo, quotidianamente vengono violati i diritti umani di centinaia, migliaia, milioni di persone inermi, ma questa organizzazione nulla dice o dice molto poco! Nulla dice delle violazioni nella base Usa di Guantánamo, nulla ha detto e nulla dice delle violazioni operate dai soldati delle varie forze di pace in Iraq, Afganistán, Yugoslavia … Unicamente è impegnata a costruire “violazioni” nei Paesi considerati nemici del governo USA! Hugo Chavez è per gli USA una vera minaccia, soprattutto negli ultimi tempi.
Il problema non è legato solamente al controllo delle matierie prime di cui il Vnezuela è ricco, ma anche alle politiche integrazioniste portate avanti da Hugo Chavez in America Latina.
Il controllo delle materia prime
Fino all’avvento di Hugo Chavez l’ingente ricchezza petrolifera e di tutte le principali materia prime di cui è ricchissimo il suolo venezuelano erano completamente nelle mani dell’oligarchia locale, che faceta capo alle multinazionali. In sostanza l’enorme richhezza del Venezuela beneficiava le compagnie straniere e l’oligarchia venezuelana. L’80% della popolazione venezuelana viveva nella più completa miseria. In particolare per la principale risorsa, il petrolio, nazionalizzato fin dal 1976 c’era un piano per privatizzarlo e consegnarlo alle multinazionali. L’industria petrolifera nazionale fu ridotta a pezzi ed il prezzo del petrolio venezuelano era sceso a 7 dollari il barile. Non solo: non era neppure di conoscimento pubblico (era secretamente conosciuto solamente dalle grande multinazionali) che la riserva petrolifera venezuelana certa ed utilizzabile era la più ricca del mondo, con oltre 300.000 milioni di barili stimati. Ovviamente le multinazionali se ne guardavano bene dal rivelare la esatta ricchezza petrolifera esistente in Venezuela, anzi hanno sempre e solo parlato di petrolio di pessima qualità, di petrolio pesante. Solo con l'avvento di Chávez è diventata di dominio pubblico l'esatta quantità di petrolio esistente in Venezuela: oltre 300.000 milioni di barili estraibili ed un altro lago di petrolio ammontante ad oltre 1.000.000 di milioni di barili (avete letto bene: un milione di milioni di barili) al momento non estraibili in quanto la tecnologia umana attuale non è in grado di arrivare a certe profondità.
La politica energetica del governo di Hugo Chávez ha condotto lo stato a riprendere totalmente il controllo dell’indiustria petrolifera, i cui ingenti proventi vengono utilizzati per finanziare programmi sociali. inoltre, attraverso i contatti con i pricipali paesi produttori dell’OPEC ha ridato importanza a questa organizzazione ormai in fase di smanetellamento.
Ovviamente gli USA e le multinazionali petrolifere che contavano con la principale riserva petrolifera del mondo a costi bassissimi, sono state le principali vittime di questa politica, ragione sufficiente, ma non unica per cercare di far fuori Hugo Chávez.
L’integrazione latinoamericana
Gli Stati Uniti, in virtú del proprio capitalismo e del consumismo sfrenato, hanno totalmente consumato le ingenti quantità di materia prime di cui era ricco il proprio territorio, mettendo poi gli occhi sulle materia prime dell’America Latina.
L’America Latina è diventato per gli USA il retroterra per rifocillarsi a prezzi bassissimi delle materia prime; ma è anche il principale mercato di sbocco delle proprie merci. Ancora oggi, per fare un esempio, i negozi venezuelani (ma anche di tutti gli altri Paesi dell’America Latina) sono ricchi di merci “made in Usa”. Riassumendo, in una frase, l’America Latina è “el patio trasero de los estados Unidos”.
Con l’avvento di Hugo Chávez in Venezuela, gli Usa non solo perdono il controllo delle materie prime venezuelane, ma in virtù della politica di Chávez iniziano ad essere spiazzati da tutta la regione. Le sue politiche integrazioniste finiscono per influenzare gli altri paesi, in molti dei quali arrivano al governo uomini vicini alle sue idee, come in Bolivia, Ecuador, Nicarugua, Paraguay, Argentina.
La politica integrazionista sta portando all'unificazione dell'America Latina; ovvero il sogno di Bolivar di una Patria Grande dal Messico alla Terra del Fuoco. La strada è ancora lunga, però in questi dieci anni di Governo di Hugo Chávez sono stati fatti notevoli passi avanti: UNASUR (Unione degli Stati del Sud) è una realtà; cosi come pure il Banco del Sur e tante altre istizioni che vanno esattamente nella direzione dell’integrazione (l'ALBA, Telesur, Petrocaribe, Universidad del sur, il grande oleodotto che porterà gas a tutta l’America Latina ecc…).
Man mano che si procede con l’integrazione, perde importanza il predominio USA. Materialmente l’integrazione significa che i Paesi del sud avranno sempre meno bisogno degli USA ed intercambieranno fra di loro i beni e servizi di cui necessitano.
Tra l’altro cessa anche l’influenza del dollaro e probabilemnte questo è il principale problema degli USA. Tutta l’economia USA si basa sullo strapotere del dollaro, moneta utilizzata internazionalmente nelle transazioni commerciali, in particolare per l’interscambio delle materie energetiche e del petrolio. Il possibile abbandono del dollaro, come moneta di riferimento per gli scambi commerciali mondiali, costrinegerà i vari Paesi del mondo a riconvertire le proprie riserve di dollari in un’altra moneta, che potrebbe essere l’euro, il rublo, lo yen, l’oro o qiualsiasi altra moneta o un paniere di monete. L’abbandono del dollaro, significherà il tracollo dell’economia USA. Per approfondimenti sul tema vedasi "Il dollaro, l'euro, il petrolio e l'invasione nordamericana".
Con la nascita del Banco del Sur, la politica di Chávez e degli altri governanti latinoamericani è diretta anche a diventare “padróni” delle prorie ingenti riserve. Il Venezuela, al 18 settembre 2008 ha una riserva valutaria di 39.196 milioni di dollari, mentre la riserva totale dell’America Latina e Caraibiascende a circa 300.000 milioni di dollari. Questa enorme quantità di denaro attualmente è depositata nelle grandi banche dei nord america. Tra gli obiettivi del Banco del Sur c'è quello di riportare questi soldi in America Latina al fin di utilizzarli per finanziare progetti di natura sociale.
Spesso accade che i Paesi dell’America Latina sono costretti a chiedere prestiti alle banche del nord ad interessi che son il doppio o il triplo di quanto ricevono per i propri depositi. Chávez in particolare in questi ultimi anni ha premuto per la nascita del Banco del Sur, ed oggi che tale entità è una realtà, sta premendo per riportare a casa i soldi dell’America Latina. Tra l'altro con la crisi del sistema finanziario USA, c'è il rischio che questi soldi vadano in parte persi.
Togliere dalle banche USA, una tale quantità di denaro, rappresenta un ulteriore duro colpo alla già critica situazione economica di questo paese. Di questo Hugo Chávez ne ha parlato anche recentemente.
Video
http://www.youtube.com/watch?v=Ao2LnIwCdVk&e
- Hugo Chávez parla del Banco del Sur in Aló Presidente del 21/09/2008 (in spagnolo)
Si comprende dunque, che le politiche proposte da Hugo Chavez in beneficio della regione latinoamericana danneggiano fortemente gli interessi economici degli USA. Di qua la necessità, per gli USA, di sbarazzarsi di Chávez.
Fare fuori Hugo Chávez
Per farlo fuori gli USA hanno fatto ricorso a tutti i mezzi possibili: colpi di stato, tentativo di omicidio (su tutti proponiamo uno dei tanti, denunciato da Rebellion), sabotaggio economico ecc…. Ovviamente per farlo fuori avevano bisogno di creare un clima internazionale avverso a Chávez. In questi anni la politica comunicazionale dei grande media mondiali, nelle mani di poche famiglie capitaliste, ha avuto il compito di presentare il presidente venezuelano, il principale artefice delle politiche integrazioniste in America Latina, come un dittatore ed il suo paese, il Venezuela, lo Stato dove sistematicamente si violano i diritti umani.
A tale scopo ci si è serviti anche dei mercenari dei diritti umani, delle ONG come Human Rights Watch e dei burattini di turno, come il cileno José Miguel Vivanco, che ogni anno preparano appositi voluminosi documenti sulla violazione dei diritti umani in Venezuela.
I supposti diritti violati in venezuela
Hugo Chávez un dittatore? E' una strana dittatura quella venezuelana, dove si svolgono elezioni a qualsiasi livello e in alcuni casi le proposte di Hugo Chávez vengono anche rigettate dal popolo. Già parlare di dittatura in un paese dove avvengono elezioni è assurdo, se poi "il dittatore" le perde pure, diventa una ridicolaggine.
Hugo Chávez è un presidente eletto democraticamente, la prima volta nel dicembre 1998 ed insediatosi al governo nel febbraio 1999. Dopo l’approvazione della nuova costiztuzione del paese ha deciso di rimettere il mandato e di sottoporsi ad elezione in base alle nuove norme. La nuova Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela prevede l’elezione del presidente per 6 anni e la posibilità di essere rieletto una sola volta. Tra l’altro, tra le pochissime costituzioni al mondo, prevede, a metà del mandato presidenziale, la possibilità di indire un referéndum revocatorio; tale possibilità è prevista per tutte le cariche di natura elettiva.
Dunque, eletto nel 2000, sulla base della nuova costituzione, è stato riconfermato nel dicembre del 2006; nell’agosto del 2004 è stato sottoposto al referéndum revocatorio, proposto dalle opposizioni, uscendone indenne.
Chávez è il presidente costituzionale del Venezuela eletto sempre con non meno del 60/65% dei voti, quindi con una grossa maggioranza e sempre il doppio dei voti rispetto al più immediato avversario di turno.
Tutti i poteri accentrati in una sola persona? Altra grande falsità contenuta proprio nell’ultimo informe di Vivanco. In Venezuela esiste la divisione dei poteri ed ognuno è autonomo ed indipendente. Chávez non solo non controlla gli altri poteri, ad esempio il giudiziario, ma proprio quest'ultimo sta svolgendo una politica ostruzionistica al governo; basta pensare all'impunità esistente in questo paese: si può fare un colpo di stato, si può vilipendiare il presidente, si può assalire una ambasciata, si può chiudere arbitrariamente la televisione dello Stato, si può ammazzare il giudice che conduce le indagini sul golpe ... e nessuno o pochi finiscono in carcere, pur vivendo molti di questi reati, commessi dall'opposizione, sotto gli occhi delle telecamere! Come mai la magistratura non attua?
Basta ascoltare quotidianamente su VTV, la trasmissione "Los papeles de mandinga" di Alberto Noliaper rendersi conto di quanto il potere giuduziario avversi il governo. Non solo: l'evasione fiscale è un crimine, in Venezuela, come in tutti paesi del mondo. Proprio recentemente, Alberto Nolia ha denunziatol'evasione fiscale milionaria da parte di alcuni squallidi personaggi dell'opposizione. In Venezuela si arriva al paradosso che si permette evadere le tasse ai riccaccioni di questo paese. Dove sono le autorità? E Chávez controllerebbe tutti i poteri?
Video
http://www.youtube.com/watch?v=SRUDojAlBcU&e
- Alberto Nolia denuncia l'evasione fiscale di Zuloaga e Ravell (in spagnolo)
Ma l’accusa che Chávez controllerebbe tutti i poteri cade da sola, semplicemente ricordando che lo stesso Hugo Chávez aveva proposto una riforma della Costituzione ed il referendum sovoltosi nel dicembre del 2007 non è passato. Se controllasse veramente gli altri poteri (in questo caso il Tribunale Supremo, l’equivalente della Corte Costituzionale italiana ed il Consiglio Elettorale, non avrebbe certo “perso” un referéndum su cui aveva puntato molto.
Le Leggi abilitanti un esempio di despotismo. Tante accuse sono piovute sul mandatario venezuelano per via delle Leggi abilitanti, ossia la possibilità di legiferare (competenza spettante in via di principio al Parlamento). Tale podestà innanzitutto è limitata nel tempo, riguarda solo determinate materie e comunque ogni legge emanata dal Presidente deve trovare l'approvazione del Parlamento. Non sono altro che i Decreti Legge esistenti in Italia.
Le altre accuse sono sempre le stesse da 6/7 anni a questa parte, come la violazione dei diritti sindacali. Grande falsità riferita al licenziamento dei circa 18.000 lavoratori dell’impresa petrolifera. I 18.000 lavoratori, quasi esclusivamente dirigenti ed alti funzionari, non sono stati licenziati, ma semplicemente hanno abbandonato il proprio posto durante il sabotaggio petrolifero attuato dal 2 dicembre 2002 al 2 febbraio 2003. In quei due mesi, proprio per l’abbandono ed il sabotaggio di questi dirigenti, la produzione petrolifera venezuelana scese dai 2,5 milioni di barili giornalieri a praticamente zero, provocando al paese un danno economico enorme, valutabile in decine di miglia di milioni di dollari.
Così come la violazione della liberta di stampa e di opinione, la chiusura di canali televisivi e medio informativi. Tutto falso. Il riferimento è sempre e solo a RCTV, televisione che non è mai stata chiusa ed infatti continua regolarmente a trasmettere. Lo Stato venezuelano ha semplicemnte deciso di non rinnovare il contratto che prevedeva l’assegnazione delle frequenze a questa televisione, la quale continua a trasmettere via cavo. Lo Stato venezuelano, cosi come lo Stato italiano o qualiasi altro Stato del mondo, può decidere liberamente di asegnare le frequenze.
Nulla vieta che lo Stato italiano, allo scadere del contratto con Mediaset (ad esempio), possa decidere di non rinnovare il contratto ad una o a tutte e tre le televisioni appartenenti a questo gruppo. Può accadere e sicuramente nessuno in Italia si sognerebbe di gridare alla dittatura.
Nessun canale, nssun organo di informazione è stato mai chiuso in Venezuela. Aggiungiamo, malgrado i gravissimi e ripetuti reati commessi da questi organi, tra l'altro il vilipendio al Capo dello Stato, nessun responsabile di canale o giornalista è mai stato sottoposto a giudizio da parte di qualche giudice. La giustizia venezuelana, sotto questo punto di vista è veramente vergognosa. In Italia un comico per qualche batuta sul papa viene subito incrimninato di Vilipendio. E' il caso di Sabina Guzzanti. In Venezuela mai nessun giudice si è sognato di incriminare dei giornalisti per vilipendio!
Violazione delle libertà religiose? Tutte le religioni sono libere ed ammese. Nessuna religione viene proibita in Venezuela. Girando per Caracas, qualsaisi persona può rendersi conto di quanti predicatori esercitano liberamente in mezzo alle strade, nelle piazze. Chávez, fervente cattolico, che spesso appare in TV mostrando la croce, non ha mai proibito alcuna pratica religiosa. Anzi - e chiunque visita il Venezuela può comprovarlo - le messe, praticamente quasi tutte le messe cattoliche finiscono per essere sermoni contro il governo. E’ veramente assurdo il modo in cui attua la Chiesa Cattolica venezuelana, che trasforma la messa in comizi politici contro il Governo.
Nixon Moreno e gli altri presunti perseguitati e prigionieri politici del regime? L’opposizione venezuelana ha un sito web (www.venezuelavigilante.com) dove propone l’elenco dei proigionieri politici! Niente di più falso: nessuno di questi può essere considerato un prigioniero politico. Si tratta di delinquenti e presunti delinquenti, sottoposti a giudizio per gravissimi reati. Per esempio, Henry Vivas o Ivan Simonovis, tra i pochissimi responsabili del golpe finiti in carcere, stanno scontando delle pene per il reato di omicidio: sono i responsabili delle decine di vittime durante il Golpe del 2002.
Tutti quelli indicati in questo sito sono accusati di reati gravissimi. In quanto a Nixon Moreno, povero studente di opposizione perseguitato dal regime e sepolto vivo nella nunziatura apostolica (come lo presenta La Stampa) è ricercato dalla giustizia venezuelana per gravissimi reati comuni (tentado omicio e stupro, tra gli altri).
Vivanco, il mercenario dei diritti umani
Vivanco, dunque è a buon ragione da considerarsi un mercenario dei diritti umani. Nulla dice circa le vere violazioni dei diritti umani dove veramente avvengono, per esempio in USA a Guantánamo e “costruisce” le violazioni in Venezuela con l’unico scopo di screditare il presidente venezuelano. La sua azione, come detto, si inserisce in un più ampio progetto di discredito internazionale, messo in atto dalla CIA e dal Governo USA, contro coluí che maggiormanete sta favorendo gli interessi nazionali latinoamericani e penalizzando le ruberie operate fino ad ora, in America Latina dagli USA.
Russian Information Agency Novosti
October 1, 2008
From Munich to Kosovo
John Laughland
The 70th anniversary of the Munich agreement, reached
on 30th September 1938, opens what will doubtless now
be many years of formal reminiscence about the Second
World War.
As the events of the 1930s and 1940s recede in time,
indeed, the shadows they cast over the present seem to
grow ever longer. Contemporary politics is now guided
by only a single (and negative) moral lodestar: the
black hole of Nazism.
The memory of Munich is therefore very important.
The agreement between Britain, France and Fascist
Italy to allow Nazi Germany to annex the Sudetenland
(the Western, German-inhabited parts of
Czechoslovakia) was the fruit of that policy known as
appeasement by which London and Paris tried to mollify
Hitler. The failure of this policy became
spectacularly obvious when Hitler occupied all of the
Czech lands in March 1939 and then attacked Poland on
1st September 1939.
As a result, Munich stands as a symbol for shameful
capitulation towards aggression.
Faced with the threat of the use of force by Hitler,
the Western powers agreed to destroy the very state
they had themselves created at Versailles only twenty
years previously. Czechoslovakia' s immediate
neighbours behaved no better: Poland, which later
succeeded in presenting itself as the supreme victim
of World War II, annexed the territory around Teschen,
while Hungary occupied parts of Southern and Eastern
Slovakia.
Munich is therefore frequently invoked, especially by
American neo-conservatives, in justification of
contemporary wars which, they say, are also responses
to aggression. Whether it is with respect to the
Yugoslavia of Slobodan Milosevic in 1999, the Iraq of
Saddam Hussein in 2003, or almost any country or
situation in the world, the mantra is that the
mistakes of 1938 must never be repeated.
How strange, therefore, that in the 70th anniversary
year of Munich, the Western powers have indeed
precisely repeated it.
In February 2008, in the face of the threat of the use
of force by Albanian separatists in Serbia, the United
States and the European Union recognised the
independence of Kosovo.
They had in fact strongly encouraged the original
proclamation of independence, and indeed the use of
force itself to the extent that they attacked
Yugoslavia in 1999 in support of the Albanian cause.
They thereby unilaterally destroyed the territorial
integrity of Serbia, just as the integrity of
Czechoslovakia was destroyed 70 years ago.
The EU then immediately dispatched a 2,000 strong team
of administrators to run the province, which in any
case is already home to a massive United States
military base housing thousands of GIs.
To that extent, the "independence" of Kosovo resembles
the bogus "independence" of Slovakia under the puppet
regime of Monsignor Tiso, which Hitler encouraged Tiso
to proclaim in March 1939 and which he used as a
pretext for the simultaneous German occupation of the
Czech lands.
Both recognitions destroyed the governments of the
countries affected.
In 1938, Munich led to the immediate collapse of the
patriotic government of President Edvard Benes; in
2008, the recognition of Kosovo immediately destroyed
the government of Vojislav Kostunica, the very man the
West hailed as a great democrat in 2000 when he
toppled Sloboan Milosevic from power.
In Prague in 1938, a collaborationist government took
power under Emil Hacha, who promised to try to protect
Czechoslovakia' s position in the New European Order
which was then emerging. (Many of his ministers were
convicted as war criminals in 1946.)
In 2008, the new Belgrade government under the
leadership of the Democratic Party President, Boris
Tadic, has similarly confirmed that Serbia's
"principal strategic goal" is to become a member of
the European Union - the same organisation which now
illegally administers Kosovo. (The EU administration
is illegal because United Nations Security Council
1244, passed in the aftermath of the NATO attack on
Yugoslavia, reaffirmed that Kosovo is part of Serbia
and that it is administered by the UN; its existence
emphasises that the so-called "independence" of Kosovo
is, in reality, a kind of annexation.)
The parallel even extends to the last-ditch attempts
made respectively by Prague and Belgrade to hold on to
their territories.
President Benes negotiated with Konrad Henlein, the
Sudeten German leader, and promised both substantial
autonomy for the German-inhabited parts of the country
and a cabinet post for Henlein himself.
The government of Vojislav Kostunica was prepared to
give so much autonomy to Kosovo that the province
would have been freer in Serbia than it now is as a
US-EU protectorate.
In both 1938 and 2008, more importantly, the domestic
negotiations then under way were deliberately wrecked
by outside intervention.
Hitler's occupation of the Czech lands in March 1939,
on the basis that the "artificial state" of
Czechoslovakia had collapsed and that Germany needed
to preserve peace and stability, then invoked exactly
the same logic as the Western interventions in the
former Yugoslavia today.
It is obvious that the EU and the US, unlike Nazi
Germany, do not secretly harbour any plans for
wholesale genocide.
The evil they have perpetrated is therefore not in the
same league as Hitler's.
But it is evil nonetheless, in particular because it
represents a unilateral abrogation, backed by military
force, of international laws (general principles of
law as well as UN Security Council resolutions) to
which these powers have themselves signed up.
It is here that the similarity with Munich is
strongest. As for the consequences of the Kosovo
recognition, it appears, also like Munich, to have
started a dangerous ball rolling in the Caucasus. It
must be our fervent hope that the parallels stop now.
John Laughland, a British historian and journalist, is
director of studies at the Institute of Democracy and
Cooperation in Paris.
UN FALSO STORICO ED UNA GRAVISSIMA OFFESA ALLA RESISTENZA
La libertà di espressione e la creatività artistica sono diritti sacrosanti, ma non possono sconfinare nella menzogna e nel falso storico, per di più dopo la sentenza del Tribunale Militare di La Spezia che ha stabilito che la strage fu un’operazione pianificata a tavolino per colpire la popolazione, senza alcuna responsabilità del movimento partigiano, confermando, così, anche i risultati della ricerca storica.
La fedele ricostruzione del massacro proprio sul luogo dove avvenne, com’è quella effettuata da un regista di indubbia e meritata fama come Spike Lee, finirà per indurre gran parte degli spettatori a ritenere veritiera la vicenda cinematografica, che, invece, è una pura fantasia e una colossale falsità storica.
BASTA CON LE ACCUSE FALSE E TENDENZIOSE AI PARTIGIANI E CON LE OFFESE ALLA MEMORIA DEI CADUTI DELLA RESISTENZA!
Sezioni A.N.P.I. di Pietrasanta, Montignoso, Massa, Carrara, Intercomunale di Licciana Nardi, Villafranca e Pontremoli – (Viareggio, 1 ottobre 2008)
=== 2 ===
Mercoledì 1° ottobre dalle ore 19.30 presidio in P.zza Campioni in difesa della verità storica Per esprimere la nostra critica alla tesi sostenuta, nei 13 minuti dedicati alla strage di Sant’Anna di Stazzema, nel film “Miracolo a Sant’Anna” dal regista Spike Lee. Tesi che contiene un falso storico, ovvero che sarebbe stato un partigiano traditore ad indicare la strada agli aguzzini tedeschi della XVI Divisione “SS Panzer GrenadierReichsfuhrer” per raggiungere il paese. Per la difesa della memoria storica, come hanno fatto, criticando questa tesi, anche l’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi), ex partigiani, storici e sopravvissuti alla strage. Ci sono voluti 61 anni per avere giustizia. Lo Stato italiano ha sempre insabbiato questa vicenda. L’“interesse” istituzionale è iniziato nel maggio ‘94, in occasione del processo Priebke, quando fu scoperchiato l’“armadio della vergogna”, contenente 695 fascicoli “provvisoriamente archiviati”, che riguardavano le numerose stragi perpetrate dai nazisti in Italia, tra cui quella di S’Anna di Stazzema. Questi fascicoli, dal 10 dicembre ’47, aspettavano di essere inviati presso le Procure provinciali di riferimento. La censura e il silenzio, l’occultamento successivo, venivano giustificati con le “ragioni di Stato”, in un carteggio dell’ottobre ’56, tra l’allora ministro degli Esteri, Gaetano Martino, ed il ministro della Difesa, Paolo Emilio Taviani; l’archiviazione provvisoria avveniva definitivamente il 14 gennaio ‘60. Il 20 aprile ’04, davanti ai giudici del Tribunale militare di Spezia, è stato celebrato un processo per questo crimine. Il 22 giugno ‘05 dieci ex ufficiali e sottufficiali tedeschi sono stati condannati all'ergastolo dallo stesso Tribunale. Al momento della sentenza i 10 erano ultra-ottantenni. L'8 novembre ‘07 sono stati confermati dalla Corte di Cassazione gli ergastoli all'ufficiale Gerhard Sommer e ai sottufficiali nazisti Georg Rauch e Karl Gropler. La sentenza conferma che l'eccidio è stato un atto terroristico premeditato, avvenuto con la collaborazione di fascisti locali. Cosa significa premeditato? Significa che la strage rientrava nella strategia di guerra decisa da Hitler: i civili dovevano essere colpiti con ferocia e bestialità per stroncare la solidarietà con l’eroica resistenza dei partigiani. Non importava sesso, età, idee politiche: le popolazioni dovevano essere massacrate e terrorizzate. Il regime fascista, collaborazionista dei nazisti, è stato fondamentale per la realizzazione di questo piano. Spike Lee ha sempre affermato di non aver voluto produrre una pellicola storica, ma inventata, sulla falsa riga del romanzo di James Mc Bride. Forse (?) il regista non conosce il clima politico del nostro paese, i continui tentativi di riscrivere la storia da parte di forze di destra, centro e “sinistra”, di mettere sullo stesso piano fascisti e partigiani, tra chi ha scatenato un odioso regime sanguinario e chi ha dedicato la vita per porvi fine. Negli ultimi anni vi è stata un’allarmanteescalation di operazioni revisioniste in questa direzione come quella che “i ragazzi di Salò” erano a loro modo ‘patrioti’, che il razzista e fucilatore Almirante è stata una brava persona, che il fascismo ha ‘ecceduto’ solo per le leggi razziali e così via. La memoria storica deve essere difesa e questo film, in versione fiction, rischia di essere l’ennesima farsa di sdoganamento dei fascisti e di denigrazione dei partigiani. Cosa penseranno della strage di Sant’Anna di Stazzema le persone che formano la propria cultura esclusivamente attraverso TV e mezzi di comunicazione di regime? Di fronte al fatto che ancora oggi i fascisti aggrediscono e assassinano giovani immigrati, giovani dei centri sociali, attivisti di sinistra, gay … Questa operazione di revisionismo storico rappresenta un altro tassello per legittimare le nuove forme di fascismo mascherate da falsa democrazia, che si chiamano Centri di Permanenza Temporanea (dove sono incarcerati immigrati in condizioni disumane e senza processo, per il “reato” di sfuggire dalla miseria, dalla povertà, dalla guerra); eserciti che militarizzano le città; repressione di ogni forma di partecipazione diretta (comitati popolari contro basi militari, alte velocità, devastazioni ambientali, inceneritori, discariche, rigassificatori, ecc.); cancellazione dei diritti individuali e collettivi; assassinii e stragi sul lavoro ... fino agli stermini di massa con guerre, aggressioni, boicottaggi, come contro i popoli della Jugoslavia, il popolo palestinese, dell’Afghanistan, dell’Iraq: una guerra permanente in ogni angolo del mondo. Guerre di invasione, saccheggio e occupazione che niente hanno da invidiare a quelle di Hitler e di Mussolini. Chi resiste e si oppone a tutto questo, a questo stato di cose, è il partigiano di oggi. Quel legame tra i partigiani di ieri e quelli attuali non potrà essere spezzato fintanto che non saranno cancellati dalla faccia della terra l’oppressione dei popoli e lo sfruttamento delle classi subalterne. Viareggio, 29/09/2008 - fotoc. in propr. antifascisti versiliesi
In allegato il volantino del presidio di Viareggio.
Gentile dott. Augias,
sono un italiano residente all’estero, in Russia, per la precisione.
Guardo con molto interesse, quando posso, la Sua trasmissione,
apprezzando molto la Sua precisione, cura, attenzione, rispetto nei
confronti della lingua italiana. Nella puntata N°32, che ho visto oggi
su RAItalia, Lei ha chiesto, giustamente, ad una sua collaboratrice,
Cristina (che Lei ha presentato come “praticamente russa”: in effetti,
aveva un leggero accento slavo, ma molto più era evidente l’accento
romano), se si dicesse:
1. Kòssovo o Kossòvo;
2. Ucràina o Ucraìna.
La collaboratrice in questione ha affermato, senza nemmeno tentennare:
1. Kossòvo, perché così si dice in russo;
2. Per diretta conseguenza, Ucràina o Ucraìna indifferentemente,
sempre perché – si suppone – così è in russo.
Il sottoscritto non è solo residente in Russia: ho vissuto in Italia
27 anni su 46 (collaborando anche con la RAI, ad esempio, ma non solo,
con RAI 3 nel periodo del golpe in URSS del 1991), ho iniziato la
scuola a Mosca e l’ho terminata a Roma, ma soprattutto faccio
l’interprete da 30 anni esatti. Per tutto ciò mi permetto di farLe
notare che:
1. In russo si dice esclusivamente Ukraìna, mentre in italiano si
dice e si scrive Ucraìna, non Ucràina, mentre ucràini sono gli
abitanti di tale Paese, sempre in italiano. Il tutto rigorosamente con
la “c”, essendo un Paese noto fin dai tempi, relativamente recenti, in
cui Paesi e città si “traducevano”, per cui Lei si reca a Londra e non
a London, ed a Mosca e non a Moskva, a Ragusa e non a Dubrovnik, ma a
Ekaterinburg e non a Caterinburgo. Fin qui, una questione linguistica;
2. In russo, ed in tutte le lingue slave in genere, si dice Kòsovo
(con una “s”) e non Kossòvo, che invece è il nome imposto dagli Stati
Uniti in seno all’ONU perché tale è la sua dizione in albanese. E qui,
invece, è una questione squisitamente politica.
Dispiace avere assistito a questo scivolone di superficialità che,
sono convinto, è del tutto episodico e non potrà diventare una regola
della Sua apprezzabile trasmissione.
Cordialmente,
Mark Bernardini
Da: g.carpi
Oggetto: Solzhenicyn
Data: 25 settembre 2008
A: jugocoord
Cari compagni,
per un foglio comunista della mia zona ho scritto un breve
"necrologio" di Solzhenicyn:
-----------------------------
Fra gli alti lai di intellettuali, stampa, nani e ballerine e'
recentemente scomparso Aleksandr Solzhenicyn. Condannato nel 1945 a
una pena detentiva in un campo di lavoro correzionale per aver diffuso
propaganda disfattista al fronte, durante la detenzione fu curato dal
cancro e salvato. Tornato in liberta', scrisse veri e propri monumenti
di antisovietismo belluino in cui, pur di dare addosso al proprio
Paese, giungeva ad elogiare i reparti collaborazionisti filonazisti
russi (del generale traditore Vlasov) e ucraini (i cosiddetti
benderovcy).
Ricevuto meritatamente il premio Nobel per tali opere e buttato fuori
dall’Unione sovietica nel 1974, si mise al servizio della Cia e,
ritiratosi in una sfarzosa tenuta in Vermont, continuò a scrivere
romanzi soporiferi che nessuno legge mai e a sostenere la causa della
democrazia sbeffeggiando il movimento contro la guerra in Vietnam e
inneggiando alla Vandea, allo zarismo, a Franco e a Pinochet. La sua
megalomania e la convinzione di essere una via di mezzo fra un
redentore e un Napoleone del popolo russo gli guadagnano il sarcasmo
perfino degli altri emigrati antisovietici: nel romanzo “Mosca 2042”,
Vladimir Vojnovich lo descrive come una macchietta squilibrata.
Tornato in Russia nel 1994 con un pacchiano e magniloquente viaggio in
treno da Vladivostok, Solzhenicyn prese subito ad atteggiarsi a guida
spirituale di un Paese distrutto anche a causa sua, ma il suo roboante
mix di integralismo religioso e nazionalismo messianico tanto poco
interessava al pubblico, che il suo programma televisivo fu in breve
chiuso per far posto a una serie di telefilm di Chuck Norris. L’ultimo
periodo della sua vita è illuminato dal lungo saggio antisemita “Due
secoli insieme”, che suggella nel modo migliore la sua carriera di
intellettuale. Inutile dire che ci manchera'.
Guido Carpi
via Falck 44 Sesto san Giovanni (MI)
ProBLeMA!
Sabato 27 settembre ore 20
...e il 30 settembre, mattinata in Fucina per presidiare la struttura contro lo sgombero per far posto all'ennesimo palazzo di appartamenti mascherato da centro per gli anziani....
Un altro mondo e' possibile... e' il socialismo!
---
a miscela turbo-poetica
NeMa PrObLeMa! orkestar
Jazz / Funk / Afro beat / Balcanica brass band
e la FUCINA sotto sgombero vi invitano al primo concerto del tour autunnale – presentazione del nuovo CD:
“c'è un pss nella mm..."
una banda da vacanza, una formazione da escursione, una pletora di viaggiatori più o meno fai da te, sempre strumento-muniti. chi c'è suona! CONCERTO venerdì 26 settembre dalle ore 21,00 alla Fucina, via Falck 44, Sesto S. Giovanni, MM1 Rondò / FF.SS., ingresso a sottoscrizione
la NeMa PrObLeMa! orkestar si palesa a Milano in clima post-feriale, come d'autunno, sugli alberi, le foglie.
il disco è fatto! la banda plana in preda all'abbrivio e succube della forza di gravità che (da sempre) ci attanaglia.
11 musiche per nulla originali, 10 musici che sembrano una famiglia, l'animazione video della giovane artista Francesca Cogni, il progetto grafico di Alessandra Modarelli e Cromazoo, danno forma al prezioso lavoro d'arte/artigianato, fatto di poesia e di dettagli, che la NeMa PrObLeMa! presenta in versione postuma.
strumenti a fiato e percussioni, una chitarra verdeletrica, la presenza fatale di un violino gitano, per una miscela turbo-poetica.
la NeMa PrObLeMa! suona ormai da quasi un lustro per infinite manifestazioni culturali, festival di arte di strada, eventi teatrali seri e concerti faceti, feste pubbliche e private, comandate e spontanee (matrimoni, battesimi e funerali), e infinite strade, piazze, parchi, palchi, sottopassaggi, autogrill, ponti, fermate dell'autobus, autobus, tram e treni...
sul palco invitati di prestigio e ricchi premi e cotillon!
venghino signori venghino!
l'intenzione è di spargere il verbo quanto più possibile, dunque ci si accontenta di cachet contenuti (certo inferiori ai 2'450 euro), eventualmente concordando la possibilità di passare il cappello, essendo la NeMa PrObleMa! - per vocazione - un gruppo di giullari artisti di strada (accattoni).
cordialità, carlo coppadoro & NeMa PrObLeMa!
info +39 3200522785 - nemaproblema@... - www.giudabasso.net/nemaproblema -www.myspace.com/nemaproblemaorkestar