Informazione
Oggetto: COMPLEANNO DELLA "NUOVA ALABARDA"
Data: 20 ottobre 2008 17:57:34 GMT+02:00
IL 16 OTTOBRE CADE IL DICIOTTESIMO ANNIVERSARIO DELLA REGISTRAZIONE DELLA NOSTRA TESTATA GIORNALISTICA. DOPO 18 ANNI DI ATTIVITÀ VOGLIAMO FESTEGGIARE LA RICORRENZA ASSIEME AI NOSTRI LETTORI: VENERDÌ 24 OTTOBRE ALLE ORE 18 PRESSO LA CASA DEL POPOLO DI SOTTOLONGERA (VIA MASACCIO 24 A TRIESTE) PRESENTEREMO IL DOSSIER N. 29 “A CACCIA DI BUFALE: LA RICERCA STORICA TRA LEGGENDE, MITI E MERE FALSIFICAZIONI”. SEGUIRÀ RINFRESCO. PARTECIPATE! |
Al contrario Cgil-Cisl-Uil non hanno mai voluto convocare scioperi contro la guerra (l’aggressione alla Jugoslavia l’hanno addirittura condivisa assieme alla “sinistra di governo” dell’allora esecutivo D’Alema) ed anche le correnti più avanzate nei sindacati ufficiali (Essere Sindacato prima, Lavoro e Società, Rete 28 Aprile dopo o la stessa Fiom) non hanno mai potuto convocare gli scioperi quando la gravità della situazione politica lo richiedeva non potendo o non essendosi dotati di strutture in grado di operare autonomamente..."
http://www.contropiano.org/Documenti/2008/Ottobre08/15-10-08ComunistiSindacatoRicomposizione.htm
Un dibattito da aprire |
I comunisti, il sindacato, la ricomposizione del blocco sociale antagonista |
La scelta da parte di alcuni compagni ed esperienze del movimento comunista di sostenere e costruire i sindacati di base e alternativi a quelli ufficiali, in Italia è una scelta maturata - sulla base di una analisi concreta della realtà concreta - già negli anni Ottanta. Prima con il giornale Contropiano e poi con la costituzione della Rete dei Comunisti, in questi anni abbiamo cercato di portare dentro un dibattito, troppo spesso liturgico, alcuni necessari elementi di rottura culturale e di sperimentazione concreta nell’iniziativa politica e sindacale. Un contributo, tanto più necessario, all’indomani della catastrofe politica ed elettorale della “sinistra”mentre è in corso una potente offensiva contro i lavoratori e i ceti sociali subalterni ad opera dei poteri forti del capitale. La destrutturazione del lavoro In Italia dalla fine degli anni ’70 in poi abbiamo assistito ad un violento processo di destrutturazione del mercato del lavoro. Questo processo si è abbattuto prima tra i lavoratori salariati delle grandi fabbriche ed ha visto la chiusura di interi stabilimenti, una impetuosa delocalizzazione produttiva (cresciuta nei primi anni Novanta, particolarmente verso Est all’indomani dell’89) e una riorganizzazione complessiva basata su unità produttive con sempre meno lavoratori occupati in Italia (il 90% delle imprese in Italia ha meno di 10 operai). La seconda fase della destrutturazione (anni Novanta) si è abbattuta sui lavoratori dei servizi strategici a rete nei trasporti, nelle telecomunicazioni, nell’energia e nel credito attraverso le privatizzazioni, la flessibilità, le esternalizzazioni. La terza fase è in corso e si sta concentrando contro l’ultimo fronte di rigidità della forza lavoro cioè i lavoratori delle amministrazioni pubbliche dove negli anni scorsi sono già stati introdotti precarietà e logica d’impresa a scapito di ogni funzione pubblica. L’Italia fino ai primi anni ’90 è stata una società con una forte prevalenza dei ceti medi, una prevalenza dovuta al fatto che pezzi consistenti di lavoratori salariati erano stati integrati dentro la condizione materiale e culturale assimilabile alle “classi medie” (è sufficiente pensare ai lavoratori dei servizi a rete o del pubblico impiego). La borghesia ha sapientemente utilizzato queste nuove stratificazioni sociali per isolare e destrutturare i lavoratori salariati dell’industria i quali erano quelli che per tutto un ciclo hanno potuto contare su una condizione di unità politica e materiale di classe. La cooptazione delle classi medie nella modernizzazione del sistema è stata decisiva per la sconfitta degli operai Fiat nel 1980 e per l’abolizione della Scala Mobile nel 1984/85. L’uso abnorme della spesa pubblica in questo processo di cooptazione sociale di pezzi di lavoro salariato, dentro il progetto di riqualificazione e di rilancio del capitalismo in Italia, è stato evidente fino a quando – nel 1992, con l’esplodere di Tangentopoli e l’avvio della cosiddetta Seconda Repubblica – il segno di questa modernizzazione ha assunto il carattere aperto del liberismo, delle privatizzazioni, della riduzione della quota di ricchezza destinata al lavoro a tutto vantaggio di profitti e rendite. Il capitalismo rivela il suo carattere regressivo La rottura del compromesso sociale in funzione antioperaia, è avvenuta sia sul piano del sistema politico sia sul piano sociale con l’avvio delle misure economiche dettate dai parametri di Maastricht indispensabili alla costruzione del polo imperialista europeo. In Italia, questi provvedimenti, sono stati gestiti attraverso la concertazione con i sindacati ufficiali i quali hanno sposato, a pieno, gli interessi dell’economia nazionale e delle compatibilità della cosiddetta “Azienda Italia” dismettendo, completamente ogni elemento di alterità conflittuale. Questo processo ha portato al crollo dei salari dei lavoratori italiani (oggi i più bassi d’Europa ad esclusione del Portogallo), ad una spartizione al ribasso della quota del monte salari da dividere in un numero più ampio di lavoratori dovuta alla crescita dell’occupazione attraverso il lavoro precario e intermittente. Sul piano generale questa intensificazione (qualitativa e quantitativa) dello sfruttamento è tra le cause più importanti una crescita vertiginosa dei lavoratori morti e feriti sul lavoro, ma soprattutto ha portato al pesante arretramento della quota di ricchezza destinata al lavoro rispetto a quella destinata a profitti e rendite. Secondo alcuni calcoli e proiezioni statistiche, siamo precipitati ai livelli del 1881, cioè all’Ottocento. Questa lotta di classe del Capitale contro il Lavoro, ha polverizzato la vecchia mappa sociale fondata sulla prevalenza dei ceti medi ed ha provocato una brusca polarizzazione sociale che presenta tratti di vera e propria proletarizzazione di quote sempre più ampie di lavoratori. Gli effetti di questa proletarizzazione acuiscono nitidamente il carattere di classe del conflitto sociale e ne aumentano enormemente le potenzialità politiche. Questo processo, però, non ha incontrato sulla sua strada, né al suo fianco, una soggettività comunista e anticapitalista adeguata a coglierne le domande, la rabbia, la voglia di rivalsa, l’insicurezza sociale, al contrario ha trovato una soggettività e una sovrastruttura culturale reazionaria (e per molti aspetti fascista, razzista e xenofoba) che ne ha intercettato le spinte, le paure e le rabbiose doglianze. Oggi i lavoratori e le loro famiglie si trovano apertamente in competizione in termini di salari, di spazio e di usufruibilità dei servizi con i lavoratori migranti e le loro famiglie. E’ una competizione in basso innescata e alimentata dalle politiche di riduzione del monte salari, di taglio e degrado dei servizi sociali, degli alloggi popolari, dei trasporti pubblici. Questa situazione mostra, chiaramente il carattere regressivo del capitalismo e lo mostra non solo ai militanti comunisti ma all’insieme della società. Oggi in Italia, come altrove, il capitalismo sta evidenziando enormemente la contraddizione tra aspettative e realtà. La crisi inizia a delineare caratteri regressivi ed antisociali di questa formazione sociale. E che questa tendenza non sia una nostra profezia ideologica è dimostrato dall’esplodere della questione ambientale e del suo stretto intreccio con gli attuali meccanismi di valorizzazione del capitale, con la immanente manomissione del territorio e con i pericoli di un probabile infarto ecologico del pianeta. I giovani lavoratori spesso hanno un livello di istruzione e scolarizzazione elevato, ma la logica del mercato è in grado di determinare solo lavori sottopagati e al di sotto delle legittime aspettative. Questa situazione non riguarda solo gli operatori dei call center o dei servizi sociali, ma anche settori avanzati come i ricercatori scientifici o i giornalisti. In tutti questi comparti imperversano precarietà e salari irrisori al pari del mondo della scuola pubblica e della formazione sottoposto da anni, prima con i governi di centro-sinistra ed ora con il governo Berlusconi ad un continuo declassamento. Per la prima volta dall’Ottocento, ci troviamo di fronte ad un declino generazionale per cui i nostri figli sono destinati ad avere aspettative ed a vivere in condizioni peggiori della nostra generazione. Si è così interrotto un processo progressivo che aveva visto l’attuale fascia sociale dei cinquantenni vivere meglio dei genitori, che a loro volta hanno vissuto meglio dei loro genitori e così via. E’ un arretramento visibile e pesante soprattutto nei paesi a capitalismo avanzato piuttosto che nei paesi della periferia industriale dove, al contrario, a seguito dell’esplodere di forti movimenti sociali, sono in corso variegate ed interessanti controtendenze rispetto ai decenni scorsi in cui imperversavano il selvaggio liberismo e gli effetti della incontrastata politica di rapina neocoloniale. La scelta dei comunisti di organizzare i sindacati di base La destrutturazione del mercato del lavoro, i licenziamenti di molti delegati e la verticale riduzione degli spazi democratici dentro i sindacati ufficiali, hanno fatto sì che in Italia, negli anni ’80 hanno cominciato a sorgere i sindacati di base organizzati da comunisti, da settori più radicali della sinistra e da delegati e dirigenti sindacali non asserviti alla linea dei sacrifici portata avanti dalla Cgil. Queste esperienze di base sono nate lì dove era possibile consolidare una presenza significativa e organizzare settori di lavoratori, in modo particolare nel settore pubblico e nei servizi a rete (trasporti, energia, telecomunicazioni). Ancora oggi rimane ardua l’organizzazione dei sindacati di base nelle fabbriche ancora attive o nei settori dove l’agibilità sindacale è più ridotta e il controllo dei sindacati ufficiali convive, sostanzialmente, con il comando padronale. Ma esperienze significative non sono mancate in passato ed altre ne stanno emergendo anche in questo segmento sociale. Infatti negli ultimi anni, da Mirafiori a Melfi passando per Pomigliano d’Arco o alle tante fabbriche dei distretti industriali fino ai centri della grande distribuzione (Auchan, Carrefour etc.) molti delegati iscritti ai sindacati di base sono stati repressi e licenziati a causa della loro attività di promozione dell’autorganizzazione. A tale stadio delle contraddizioni riteniamo che la linea, implicita od esplicitata, secondo cui bisogna sempre svolgere attività politica anche dentro i sindacati “reazionari”, nell’attuale contesto storico – profondamente diverso da quello in cui questa tesi è stata avanzata da Lenin - non ha più lo stesso significato anzi relega la soggettività comunista ad una funzione di mera, quanto inefficace, testimonianza. Gli spazi di agibilità democratica oramai inesistenti bloccano ogni vera dialettica interna, ai sindacati concertativi, che possa realmente modificarne la maggioritaria linea politica collaborazionista. Inoltre la modifica della composizione del mondo del lavoro riduce la rappresentanza stessa dei sindacati storici che rappresentano ormai una minoranza dei lavoratori rispetto all’intera gamma con cui si articola lo sfruttamento capitalistico. In Italia come in Spagna o in Francia il tasso di sindacalizzazione è mutato al ribasso, rispetto a quanto ancora permane nei paesi del Nord/Europa, per cui la stessa forma tradizionale del sindacato deve trovare nuove modalità di configurazione, di sviluppo organizzativo e di compiuta strutturazione nei posti di lavoro e nella società tutta. A nostro avviso, per i comunisti oggi la scelta dell’organizzazione e del rafforzamento del sindacalismo di base, indipendente e alternativo a quello concertativo e collaborazionista di Cgil- Cisl-Uil è diventata un progetto strategico. Un fondamentale punto di programma politico generale che costituisce, a nostro giudizio, un elemento di linea fondante per il rilancio di una moderna opzione comunista che vuole rapportarsi alle dinamiche vive e conflittuali agenti. Il problema non è quello di sancire uno “strappo”con un tessuto di compagni e delegati combattivi ancora all’interno dei sindacati concertativi (per quanto la normalizzazione stia riducendo ferocemente i margini di agibilità democratica e rappresentatività di questi compagni dentro quella realtà). Si tratta invece di prendere atto che i comunisti e i militanti anticapitalisti devono costruire e rafforzare gli strumenti concreti di relazione con i settori di classe nel nostro paese per orientarli ed affrontare in modo organizzato il conflitto sociale. Per troppo tempo i comunisti si sono limitati a fare agitazione politica dentro questi sindacati o si sono fatti assorbire da una interminabile battaglia interna di minoranza che non ha mai concretizzato livelli reali di organizzazione autonoma sul piano delle lotte e della successiva tenuta organizzativa. Questa strada non ha prodotto i risultati sperati sul piano sindacale né su quello politico (se molti lavoratori si iscrivono alla Fiom ma poi votano per la Lega – oppure viceversa come sostiene acutamente il compagno Giorgio Gattei - vuol dire che la contraddizione c’è tutta e va compresa fino in fondo). Al contrario il sindacalismo di base (anche all’indomani della prima assemblea nazionale unitaria tra Cub, Cobas e SdL tenutasi a Milano lo scorso 17 maggio e della stipula del recente Patto di Consultazione) ha dimostrato di essere una realtà consolidata che in molti casi risponde dall’esigenza di una identità politica e di classe dei lavoratori ancora più chiaramente di quanto abbia saputo fare, nel corso degli anni passati, la “politica” dei partiti della sinistra. Un contributo al sindacato conflittuale del XXI° Secolo Abbiamo spesso scritto e detto che i comunisti dentro i sindacati non possono limitarsi (o condannarsi) alla propaganda e alla testimonianza, ma devono cercare di contribuire alla loro crescita con l’elaborazione politica e teorica e con sperimentazioni nel movimento reale. In questi anni – ad esempio - abbiamo sviluppato una analisi e una inchiesta articolata sulla realtà delle aree metropolitane come territorio politico in cui quantità e qualità delle contraddizioni di classe, dopo i decenni delle grandi ristrutturazioni, possono trovare una sintesi che fino a ieri era assicurata dalle grandi concentrazioni industriali. La crescente frammentazione della composizione di classe vede assumere nuova e maggiore rilevanza alla questione del salario sociale cioè a quel complesso di servizi, contraddizioni, esigenze che il salario monetario e il rapporto stabile con il luogo di lavoro non assicurano più come prima. I precari, i giovani lavoratori intermittenti e le loro esigenze non trovano più nel posto di lavoro e nella filosofia lavorista il luogo e il simbolo della loro identità di classe. La ricomposizione di questa identità sociale frammentata può avvenire sul territorio qualora in esso agisca un “sindacato” capace di organizzare, orientare, dare identità ad una sorta di contrattazione sociale che accompagni quella sul lavoro o la sostituisca qualora questa non abbia la possibilità di esistere. La contrattazione sociale sul diritto alla casa, contro il carovita, per maggiori servizi sociali può aprire un canale di comunicazione sociale e di organizzazione di interi settori di classe oggi completamente atomizzati dalla destrutturazione del mercato del lavoro. Per tali motivi e sulla base di questa analisi, sul piano dell’organizzazione concreta del blocco sociale antagonista, viene assumendo crescente interesse la sperimentazione sul campo dell’idea/forza di una sorta di “sindacato metropolitano” che verifichi le possibilità di ricomposizione di un proletariato metropolitano fortemente intrecciato – ma diversificato – dal mondo del lavoro tradizionale che abbiamo conosciuto e dentro cui ci siamo battuti in questi decenni. L’altro tema su cui occorrerà collettivamente verificarsi e politicamente attrezzarsi, nella nuova condizione del conflitto, è quello che attiene all’ingresso dei migranti nel mercato del lavoro “legale” ed “illegale”. Questa situazione, oramai consolidata anche nei numeri, oltre ad essere un dato riscontrabile in tutta Europa, pone ai comunisti una inedita sfida teorica e pratica. L’azione concreta per ricomporre, superando razzismo e competizione tra sfruttati, le diverse sezioni del moderno proletariato, acutizzate oltre che dal corso generale della crisi anche dai dispositivi di aggressione e rapina neocoloniale dell’occidente, diventa un banco di prova politicamente qualificante per reggere, anche sul terreno dello scontro di classe immediato, l’intensificarsi della competizione globale interimperialista. A tale scopo sollecitiamo ed appoggiamo tutti i tentativi di organizzazione unitaria tra “bianchi” e “colorati” e ci opponiamo ad ogni provvedimento di differenziazione razzistica nel modo del lavoro e dei lavori. Il sindacato come strumento di orientamento dei lavoratori Ci sono stati episodi concreti e significativi sul piano politico generale (e non solo rivendicativo) che hanno dimostrato l’importanza dell’esistenza dei sindacati di base e della loro capacità di azione autonoma. Il sindacalismo di base, infatti, ha reso possibile che nel 1999 (aggressione alla Jugoslavia) e nel 2003 (aggressione all’Iraq) siano stati convocati degli scioperi generali dei lavoratori contro la guerra, così come è avvenuto in momenti politici significativi nel nostro paese come a Genova nel Luglio 2001, contro la repressione del movimento popolare in Val di Susa nel 2005 e a Vicenza (2006) contro la decisione governativa di costruire una nuova base militare USA al Dal Molin. Al contrario Cgil-Cisl-Uil non hanno mai voluto convocare scioperi contro la guerra (l’aggressione alla Jugoslavia l’hanno addirittura condivisa assieme alla “sinistra di governo” dell’allora esecutivo D’Alema) ed anche le correnti più avanzate nei sindacati ufficiali (Essere Sindacato prima, Lavoro e Società, Rete 28 Aprile dopo o la stessa Fiom) non hanno mai potuto convocare gli scioperi quando la gravità della situazione politica lo richiedeva non potendo o non essendosi dotati di strutture in grado di operare autonomamente. Questo limite è stato ancora più evidente quando, a seguito della firma di Cgil-Cisl-Uil al Protocollo del 26 luglio sul Welfare del governo Prodi, gli stessi militanti dissidenti non hanno potuto svolgere la loro opposizione apertamente perché imbrigliati, politicamente ed organizzativamente, nelle pastoie politiciste e burocratiche del sindacalismo concertativo. Lo strumento/sindacato – pur configurandosi ed agendo in contesti diversi e con modalità pecularie - rimane un mezzo di organizzazione e di relazione importante tra i comunisti e i lavoratori, soprattutto se – anche nelle condizioni di una profonda frammentazione di classe come quella attuale – contribuisce a mantenere o ridare identità di classe e non solo obiettivi meramente economici ai lavoratori stessi. Sulla base di queste considerazioni – che spesso ci hanno visto divergere e discutere con altri compagni in Italia e a livello internazionale - la Rete dei Comunisti intende contribuire al consolidamento del sindacalismo di base ed indipendente ed a tutti i progetti tesi alla costruzione di un vasto ed articolato schieramento anticapitalistico nel nostro paese. * questo è il documento è l'inserto/speciale volantone di Contropiano che la Rete dei Comunisti ha distribuito nelle varie città e distribuirà alla manifestazione di Roma del 17 ottobre in occasione dello sciopero generale convocato dai sindacati di base CUB, Cobas, SdL. |
Si veda anche questo link per i comunicati e le foto del corteo:http://nazionale.rdbcub.it/index.php?id=20&tx_ttnews[tt_news]=16381&cHash=f0385143e7&MP=63-552
(Nota ANSA del 15/10/2008. Segnalata da Claudia Cernigoi)
13:32 - 'faccetta nera' in casa per anziani a pordenone, proteste
(ANSA) - PORDENONE, 15 OTT - Per far ritrovare loro la 'gioia di
vivere' alcuni animatori li hanno invitati a intonare 'Faccetta nera'.
L'invito e' stato accolto con entusiasmo dagli ospiti tanto che il
coro si e' sviluppato 'a squarciagola'. E' accaduto a 'Casa Serena' di
Pordenone, una residenza che ospita una sessantina di anziani. Il
fatto - raccontato oggi dal Messaggero Veneto - ha pero' suscitato le
proteste sia di alcuni ospiti, che evidentemente non hanno gradito le
canzoni fasciste proposte dagli animatori, sia da alcuni passanti che
hanno avuto modo di ascoltare il canto degli anziani di Casa Serena.
Un ospite ha fatto rilevare che a 'Casa Serena' lavorano anche persone
di colore e che ''cantare proprio 'Faccetta nera' e' stata una scelta
perlomeno di dubbio gusto''. (ANSA) RED
(ANSA) - NEW YORK, 8 OTT - La Corte Internazionale di Giustizia (Cig), che ha sede a L'Aja, dara' un parere legale sullo status del Kosovo, che lo scorso febbraio ha dichiarato l'indipendenza dalla Serbia. Lo ha deciso oggi l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, approvando una risoluzione proposta dalla Serbia che chiede alla Corte di rispondere alla domanda: ''La dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte delle istituzioni provvisorie del governo del Kosovo e' in accordo col diritto internazionale?''. La risoluzione e' stata approvata con 77 voti a favore, 6 contrari e 74 astensioni, tra cui numerosi paesi europei. (ANSA). YY6-RL
08/10/2008 17:41
(ANSA) - NEW YORK, 8 OTT - L'iniziativa della Serbia alle Nazioni Unite era stata osteggiata da alcuni Paesi dell'Unione europea, i quali pero' - dopo diverse consultazioni - si sono presentati al Palazzo di Vetro senza una posizione comune. L'ambasciatore della Gran Bretagna all'Onu John Sawers ha detto che la richiesta di avere un parere della Corte ''e' piu' politica che legale'' e ''serve a rallentare il riconoscimento del Kosovo come stato indipendente''.''L'indipendenza del Kosovo e' e rimarra' una realta' - ha proseguito Sawers - ed e' stata riconosciuta da 22 dei 27 Paesi dell'Unione europea, la stessa organizzazione di cui la Serbia vorrebbe far parte''. L'Europa, pero', si e' presentata al voto divisa: Cipro e Spagna, ad esempio, hanno appoggiato la richiesta serba, perche' - proprio come Belgrado - i rispettivi governi temono che le minoranze separatiste seguano il modello del Kosovo, dichiarando l'indipendenza. L'Italia invece, come la Francia e la Gran Bretagna, si e' astenuta. I giudici della Corte internazionale di giustizia dovrebbero impiegare dai due ai tre anni per preparare il parere legale sullo status dell'ex provincia serba a maggioranza albanese, creando di fatto un prolungato vuoto legale che diversi Paesi avrebbero preferito evitare. La Serbia ha perso il controllo del Kosovo quasi dieci anni or sono, nel 1999, dopo l'intervento della Nato per fermare gli interventi di pulizia etnica di Belgrado contro gli albanesi kosovari [menzogne di stampa, alle quali l'ANSA servile non può rinunciare. AM]. In seguito, la provincia e' stata amministrata dall'Onu per diversi anni e ha dichiarato la sua indipendenza lo scorso febbraio. (ANSA). YY6-RL
08/10/2008 18:06
(ANSA) - SKOPJE, 9 OTT - Il parlamento della repubblica ex jugoslava di Macedonia ha approvato stasera una risoluzione del governo che impegna il Paese a riconoscere l'indipendenza del Kosovo, l'ex provincia serba a maggioranza albanese separatasi unilateralmente da Belgrado il 17 febbraio scorso. La decisione, destinata a rinfocolare l'irritazione di Belgrado, e' stata presa sulla base di un'iniziativa sostenuta da tempo dai partiti della minoranza albanese di Macedonia. Essa segue di poche ore quella identica di un'altra repubblica ex jugoslava stretta fra i vincoli storici con Belgrado e le pressioni degli Usa e di alcuni governi europei, oltre che di una minoranza albanofona interna: il Montenegro. Quello di Skopje rappresenta il riconoscimento numero 50 per Pristina, la cui indipendenza - che Belgrado ha appena ottenuto dall'Asemblea generale delle Nazioni Unite di sottoporre a un parere della Corte di Giustizia dell'Aja - e' stata finora avallata dalla maggioranza dei Paesi occidentali. Ma solo da una minoranza di membri dell'Onu e non dal Consiglio di Sicurezza, blindat dal sostegno di Mosca e Pechino alle ragioni serbe. Fra i Paesi ex jugoslavi, intanto, il sofferto via libera macedone si aggiunge a quelli precocissimi di Slovenia e Croazia, oltre che a quello del Montenegro, lasciando la sola Bosnia-Erzegovina (dove la comunita' serba locale ha di fatto potere di veto) sul fronte avverso. (ANSA). COR-LR 09/10/2008 21:44
(di Alessandro Logroscino) (ANSA) - BELGRADO, 9 OTT - Doppio scacco stasera per la Serbia nella partita a risiko sul riconoscimento della contestata secessione del Kosovo, l'ex provincia a maggioranza albanese separatasi unilateralmente il 17 febbraio scorso. Il Montenegro e la Macedonia, due fra le repubbliche ex jugoslave piu' vicine a Belgrado per vincoli storici e culturali, hanno concesso in rapida successione il via libera all'indipendenza di Pristina, associandosi dopo qualche mese di esitazione alla linea della maggioranza dei Paesi occidentali, a dispetto dei moniti serbi e del rischio di nuove fibrillazioni diplomatiche nei Balcani. Le due decisioni, non inattese, sono giunte uno dopo l'altra a raffreddare l'entusiasmo di Belgrado per il voto con cui ieri l'Assemblea generale dell'Onu aveva approvato la richiesta serba di trasferire il dossier kosovaro alla Corte di Giustizia internazionale dell'Aja per un delicato parere legale sulla legittimita' dello strappo di Pristina. Il primo passo e' stato formalizzato dal piccolo Montenegro, unito alla Serbia in un solo Stato fino due anni e mezzo fa, che ha demandato la faccenda al governo annunciando il riconoscimento del Kosovo per bocca del ministro degli Esteri, Milan Rocen, nonostante la contrarieta' dell'opposizione filoserba interna. La risposta di Belgrado non si e' fatta attendere. Il giovane capo della diplomazia serba, Vuk Jeremic, che aveva paventato nei giorni scorsi una tale svolta come ''una pugnalata alla schiena'', ha invitato seccamente l'ambasciatore montenegrino a lasciare il suo Paese in quanto ''non piu' gradito''. E ha preannunciato il ritiro del proprio ambasciatore da Podgorica, ribadendo che il governo serbo del presidente Boris Tadic - per quanto moderato ed europeista - non rinuncera' a rivendicare il principio dell'integrita' territoriale. Jeremic ha accusato il Montenegro di aver ceduto alle ''pressioni'' di quelle potenze - Usa in testa, ma anche alcuni Paesi Ue - irritate dal ricorso serbo alla Corte di Giustizia. E ha sottolineato ''la speciale responsabilita' dei governi della regione'' sulle prospettive di ''pace e stabilita' a lungo termine nei Balcani''. Parole che promettono una fase difficile nei rapporti con Podgorica, con contraccolpi inevitabili sull'intreccio di scambi di merci e persone che li caratterizza. Ma che non hanno impedito alla Macedonia di accodarsi in tarda serata, con un voto del parlamento espresso dopo una sessione fiume. Voto che ha permesso l'adozione di una risoluzione del governo favorevole all'avvio di relazioni diplomatiche con Pristina anche a costo del prevedibile congelamento di quelle con Belgrado. Paese a maggioranza slavo-ortodossa - come il Montenegro e la Serbia - la Macedonia e' divenuto cosi' il 50/mo Paese a riconoscere il Kosovo indipendente, frutto dell'intervento militare con cui la Nato nel 1999 mise fine alla repressione delle istanze separatiste della regione da parte dell'allora regime di Slobodan Milosevic. Una realta' accettata finora da una minoranza di membri dell'Onu e non certificata dal Consiglio di Sicurezza (dove pesa il sostegno di Russia e Cina alla causa serba), ma benedetta dagli Usa, da 22 dei 27 dei Paesi dell'Ue e, a questo punto, anche da quattro delle sei repubbliche ex jugoslave: tutte tranne la Serbia e la Bosnia. Dietro le decisioni di Podgorica e Skopje fanno capolino del resto ragioni simili. Legate alla necessita' di tenere a freno le inquietudini delle rispettive minoranze albanesi interne - quasi un terzo della popolazione nel caso della Macedonia, teatro a inizio anni 2000 d'un cruento conflitto irredentista precariamente sopito -, ma soprattutto di adeguarsi alle scelte del club euroatlantico, traguardo strategico comune. Come ha notato fra gli altri l'ambasciatore russo a Belgrado, Aleksandr Konuzin, non esitando a bollare come ''ricatti'' i condizionamenti esercitati a suo dire dal campo occidentale. (ANSA). LR 09/10/2008 22:59
(ANSA) - BELGRADO, 13 OTT - La Slovacchia ritiene che l'indipendenza unilaterale proclamata dal Kosovo il 17 febbraio sia avvenuta ''in contrasto con il diritto internazionale'' e confida che la Corte di Giustizia internazionale dell'Aja possa sanzionarlo una volta per tutte. Lo ha ribadito oggi a Belgrado il premier del Paese slavo (uno dei membri dell'Ue ostili al riconoscimento della secessione di Pristina), Robert Fico. ''Se esiste un minimo di giustazia nel mondo, la Corte dovra' esprimersi in questo senso'', ha sottolineato Fico dopo un incontro con l'omologo serbo, Mirko Cvetkovic. Parole che confermano il pieno sostegno di Bratislava nei confronti di Belgrado - nel braccio di ferro contro l'indipendenza della ex provincia a maggioranza albanese -, nonche' della recente iniziativa diplomatica serba sfociata nel voto favorevole della maggioranza dei Paesi dell'Assemblea generale dell'Onu alla richiesta di una pronuncia della Corte di Giustizia sulla contestata legittimita' del divorzio di febbraio. ''La Slovacchia resta ferma nel rifiuto di avallare la secessione del Kosovo'', ha assicurato Fico, aggiungendo che il riconoscimento accordato dalla maggioranza dei Paesi dell'Ue non comporta ''alcuna forma di pressione per noi, poiche' abbiamo chiarito fin dall'inizio che non avremmo lasciato spazio a condizionamenti di sorta su questo tema''. Cvetkovic, da parte sua, ha reso noto come la Corte abbia gia' lasciato intendere di voler accogliere come ''urgente'' il ricorso presentato dalla Serbia, cosa che permettera' di giungere a un verdetto ''non in alcuni anni, come nei casi di ordinaria amministrazione, ma fra 6-12 mesi''. (ANSA). LR 13/10/2008 14:54
Deutsche Welle
October 9, 2008
UN Refers Kosovo Independence to World Court
In a last ditch effort to maintain sovereignty over
the breakaway republic, Serbia has challenged the
legality of Kosovo's independence in the International
Court of Justice in The Hague.
Serbian newspapers on Thursday, Oct. 9 announced a
"great diplomatic victory" following a UN decision to
seek an advisory legal opinion from the International
Court of Justice (ICJ) on Kosovo's unilateral
declaration of independence.
"Serbia's first diplomatic triumph in New York,"
"Great diplomatic victory" and "Serbia's win: Kosovo
at the Court of Justice," wrote mass-circulation
dailies Blic and Vecernje Novosti.
The UN General Assembly on Wednesday voted 77-6 to
send the request to the ICJ in The Hague, with 74
abstentions. The request read: "Is the unilateral
declaration of independence by the provisional
institutions of self-government of Kosovo in
accordance with international law?"
Serbia insists that Kosovo, with its majority Albanian
population, is its territory and has warned that
dismembering a sovereign state could trigger a wave of
secessions worldwide.
The territory announced its independence in February
and has since been recognized by nearly 50 countries,
including the US and all but five European Union
members. Its promotion in the UN was however blocked
by Serbia's ally Russia.
Germany abstained
Germany abstained from the UN vote Wednesday.
According to news agancy AFP, Chancellor Angela Merkel
said that, while they were convinced the recognition
of Kosovo as an independent nation was the right thing
to do, they "cannot say that the International Court
of Justice is not allowed to decide."
In addition to Germany, 22 other EU nations abstained,
while Spain, Cyprus, Greece, Romania, and Slovakia
voted in favor.
In the debate ahead of the vote, France and Britain,
which have recognized Kosovo, said its case is unique
and therefore is not a threat to Serbia's sovereignty
and territorial integrity. The US voted against
Serbia's initiative.
The outcome of the vote particularly pleased the
Serbs, who feel that the West wanted to carve Kosovo
out of Serbia and that the realization of the plan
started even before the 1999 NATO bombing campaign
which expelled Belgrade's army and police from the
province.
"Is anything more natural than ... somebody's claim
for the rule of law? Can you imagine a situation where
authorities in France, Great Britain or America advise
citizens not to seek justice in court because they
would anyway not heed the court's ruling?" a column in
Blic said.
[One] side of the media was reflected in a huge
headline on the front page of the tabloid daily Press,
which read, "Serbia busts America in UN."
Ethnic Albanian-majority Kosovo has been administered
by the United Nations since 1999 when it was wrested
from Belgrade's control in a NATO air war.
Voice of Russia
October 9, 2008
TALKS ABOUT KOSOVO STATUS GET ANOTHER CHANCE
The UN General Assembly has voted in favour of a
hearing by the international Court of the appeal by
Serbia, questioning the legitimacy of the unilateral
declaration of independence of Kosovo.
Serbia has demonstrated to the world its resolve to
defend its territorial integrity by diplomatic methods
only.
That is the reaction by Serbian foreign minister, Vuk
Jeremic, to the General Assembly’s decision.
Seventy seven UN members voted for the Serbian
resolution, 74 abstained and 6 voted against it – a
tiny margin of victory maybe, but a victory all the
same. It is now clear that the international community
wants to get a legal opinion about Kosovo UDI.
Kosovo, historically an integral part of Serbia,
announced its unilateral independence on February 17
of this year, with the encouragement and active
support of America and some EU frontline states, in
violation of UN resolution 1244 recognizing Kosovo an
inseparable part of Serbia.
Moreover, the international community proceeded from
the point that relationship between Kosovo Serbs and
Albanians should be regulated only through
negotiations, a process that was not carried to its
logical conclusion, resulting in the division of UN
members and violation of existing international laws.
Rulings by the international Court are not binding,
meaning that even if the Serbian case succeeds, it
will only be a moral victory.
But the fact that the case has again hit the headlines
raises a serious question about the wisdom of the
hasty recognition by some states and establishment of
diplomatic relationship with the Pristina separatists.
The tardy and chaotic process of recognition of Kosovo
independence may sooner, rather than later, die a
natural death, believes VOR correspondent, Pavel
Kandel. Tape.
The support by the UN General Assembly of the Serbian
case might put an end to new recognitions of Kosovo
independence, because most of the countries which
voted for the Serbian resolution will refrain from
recognizing Kosovo as an independent state until the
verdict of the International Court.
Undoubtedly, it represents a diplomatic victory for
Serbia, but its significance should not be
exaggerated.
Serbia is not euphoric about the UN decision; rather,
it is cautiously optimistic.
At any rate, there is hope that a dialogue about
Kosovo's status will be restarted under international
law.
Sofia Echo
October 9, 2008
Montenegro and Macedonia recognise Kosovo
Montenegro’s cabinet voted unanimously, and
Macedonia’s parliament by a substantial majority, to
recognise Kosovo as independent. The steps, both taken
on October 9 2008, were expected to set Podgorica and
Skopje on a collision course with Serbia, from which
Kosovo declared independence in February 2008.
The developments came a day after Serbia won a
symbolic victory by winning a vote in the United
Nations General Assembly to refer the question of
Kosovo’s independence to the International Court of
Justice, and on the same day that Serbia’s cabinet
decided to reinstate all its ambassadors to foreign
capitals from which it withdrew them in protest at
their countries’ recognising Kosovo as independent.
With the United States and several European Union
states having taken the lead soon after Pristina
unilaterally seceded from Serbia, the number of states
now deeming Kosovo to be independent is close to 50.
Serbian news agency Beta reported from Podgorica that
the leader of Montenegrin opposition party the Serb
People’s Party, Andrija Mandic, said that the
opposition would now “consult the people” about the
government’s decision.
“We will consult the people and the people will help
us to have its majority will on this issue taken into
account,” Mandic was quoted as saying.
Politicians from Serbia’s opposition parties said that
Belgrade should consider sanctions against Montenegro
and blamed the government for allowing relations with
the neighbouring state that formerly was joined with
Serbia in a post-Yugoslavian “state union”, into
disrepair.
The Macedonian parliament began a debate on the issue
on October 9 after two ethnic Albanian parties, the
Democratic Party of Albanians and the Democratic Union
for Integration, collected MPs’ signatures in support
of a petition for a parliamentary debate.
In debate, some opposition MPs warned that recognition
by Macedonia of Kosovo would prejudice relations
between Belgrade and Kosovo.
....
The moves by Montenegro and Macedonia were widely
reported as being made under pressure from some
influential Western countries, especially because the
two countries aspire to EU membership and see
recognition of Kosovo as a box to be checked along the
way.
News agency Reuters reported Russia’s ambassador to
Serbia, Aleksandr Konuzin, as saying that Montenegro
and Macedonia were “being blackmailed by certain
states which threaten to make problems for their
European integration.
“Montenegro and Macedonia are under the strongest
external pressure which is aimed at forcing these two
countries to recognise the so-called independence of
Kosovo,” Konuzin was quoted as saying.
....
B92/Beta News Agency/FoNet/Tanjug News Agency
October 10, 2008
Macedonian ambassador expelled too
BELGRADE - The Macedonian ambassador has joined his
Montenegrin counterpart on the list of persona non
grata in Serbia, a day after the two countries
recognized Kosovo
Earlier, the Serbian government responded by expelling
Montenegrin Ambassador Anka Vojvodic, and today it has
done likewise to Aleksandar Vasilevski, Beta learns
from the Macedonian embassy.
....
The recognitions come just a day after the UN General
Assembly decided to refer the issue of the legality of
Kosovo’s unilateral independence declaration to the
International Court of Justice (ICJ).
In the wake of Podgorica’s decision, the Serbian
government reacted abruptly and expelled the
Montenegrin ambassador. That is the first time that an
ambassador of a country recognizing Kosovo has been
expelled.
Foreign Minister Vuk Jeremic told B92 that the reason
why Belgrade took that step was “the fact that the
decision of the regime in Podgorica came after the
vote at the General Assembly.”
“Countries that have not thus far recognized Kosovo,
now, after the ICJ has begun to consider that issue,
have absolutely no reason to do so, other than to
prejudice the court’s final verdict,” said Jeremiæ.
The minister said that Serbia would continue to apply
harsh measures as it believes that there is no reason
to recognize the province’s independence at a time
when the ICJ is considering the case.
On Thursday night, the Montenegrin ambassador stated
that Serbia’s decision that she should leave the
country within 48 hours “isn’t a clever or good
political move”.
“I’ve been delivered a note, according to which, based
on the provisions of the Vienna Convention, I’ve been
declared a persona non grata, and been given 48 hours
to leave the country,” said Vojvodic.
....
President Boris Tadic told FoNet that the UN’s
decision was a triumph for Serbian foreign policy,
which returned Serbia to the forefront of
international relations.
He said that Serbia had regained friends that she had
once forgotten, first and foremost, from the
Non-Aligned Movement and Third World countries.
MakFax (Macedonia)
October 13, 2008
Protest rally in Podgorica against recognition of Kosovo
Podgorica - A protest rally against the decision of
the Montenegrin government to recognize Kosovo's
independence will be staged in front of parliament
building in Podgorica on Monday.
The opposition parties are organizing the protest
after they agreed last Friday to voice their
discontent with the government's move.
Opposition parties urged the government to withdraw
its decision to recognize Kosovo's unilateral
declaration of independence, arguing that such a
decision does not bear democratic legitimacy expressed
by the majority of citizens' will.
Opposition parties are insisting that the citizens
decide about the matter in a referendum, Montenegrin
media said.
The Association of Families of Kidnapped and Missing
Kosovo Serbs confirmed its presence at the protest
rally.
"We are going to Podgorica. We will bring pictures of
murdered Serbs and Montenegrins and we will seek
responsibility because Montenegro allowed Albanians to
create a second Albanian state in the Balkans although
they are aware that besides Serbs, a number of
Montenegrins had been killed in Kosovo," Association
president Simo Spasic said.
------------ --------- --------- --------- --------- ------
Beta News Agency
October 13, 2008
K. Serb activist arrested ahead of rally
PODGORICA - Montenegrin police this morning arrested
Simo Spasic, who heads the Association of the Families
of the Kidnapped and Murdered Kosovo Serbs.
This association told Beta news agency that Spasic was
arrested as he was entering Podgorica.
The group's members are planning to take part in a
rally this afternoon in the Montenegrin capital,
protesting that country's government's decision to
recognize Kosovo Albanians' unilateral declaration of
independence.
The gathering in front of the government building in
Podgorica is scheduled to start at 18:00 CET, and is
organized by the Serb List, the Socialists People's
Party, the People's Party, and the Democratic Serb
Party.
They will send a request to the authorities to
withdraw their recognition of Kosovo's proclamation,
or call a referendum on the issue and fresh elections.
This rally was preceded by protests in several
Montenegrin cities, organized by drivers circling the
streets in their cars, led by opposition leaders,
which have gone without incidents.
....
Central streets in Podgorica will be closed starting
16:00 CET.
By PREDRAG MILIC - 2 hours ago
PODGORICA, Montenegro (AP) - Police fired tear gas at thousands of angry pro-Serb Montenegrins who pelted state buildings and fired flares Monday to protest their government's recognition of Kosovo's independence.
Chanting "Treason! Treason!" and "Kosovo is Serbia!" the protesters condemned last week's decision to recognize the former Serbian province which declared independence in February.
At least 13 protesters and one policeman were injured during the clashes in Podgorica, Montenegro's capital, hospital officials said.
Earlier, some 10,000 protesters gave the country's pro-Western government until Wednesday to withdraw recognition of Kosovo, or face attempts to topple it "by unparliamentary means."
"This is the biggest shame in the Montenegrin history," Andrija Mandic, a leader of the pro-Serbian opposition in the parliament, told a rally in Podgorica.
He and others demanded a referendum on Kosovo's recognition. About 35 percent of Montenegro's population of 650,000 identify themselves as Serbs.
After Montenegro and Macedonia recognized Kosovo on Thursday, Belgrade expelled the two neighboring countries' ambassadors and threatened additional retaliatory measures.
Serbia, Montenegro and Macedonia were all part of the former Yugoslavia. Montenegro, considered Serbia's closest ally, did not split from Serbia until 2006.
On Monday, Prime Minister Milo Djukanovic of Montenegro accused Serbia of wanting to continue to influence his small country's policies. Belgrade "is forgetting that we are now a sovereign country which is making the decisions in its own interest," Djukanovic said.
He denied Montenegro has been pressured by the United States and others to recognize Kosovo.
Serbia has not had effective control over Kosovo since 1999, when NATO led airstrikes that halted former Serbian leader Slobodan Milosevic's crackdown on ethnic Albanian separatists. For years, it was administered by both NATO and the U.N.
http://ap.google. com/article/ ALeqM5iue5ekw- rAKovudtmy- SteWxdTQwD93PQ23 01
Martti Ahtisaari: degno erede di Henry Kissinger e Shimon Peres.
Subito dopo avere ottenuto il premio Nobel chiede - per la pace? - che la Finlandia entri nella NATO...
Sul ruolo di Ahtisaari per la creazione di nuove gabbie etniche nei Balcani e la realizzazione del progetto nazista pan-albanese si veda anche, ad esempio:
https://www.cnj.it/documentazione/kosova.htm#ahtisaari
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5949
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/msearch?query=ahtisaari&submit=Cerca&charset=ISO-8859-1
1) НОБЕЛ АХТИСАРИУ ИЛИ НАТО-у (Живадин Јовановић)
2) Friedensratschlag kritisiert Nobelpreis-Komitee
3) DISPACCI ANSA: NOBEL PACE: LEADER KOSOVO ESULTANO, VITTORIA ANCHE PER NOI / EX PREMIER SERBO, DA AHTISAARI PREGIUDIZI ETNICI / SERBIA, SPERIAMO PREMIO NON PER KOSOVO / NOBEL PACE: MA NEI BALCANI AHTISAARI SEMINA DISCORDIA
4) Nobel Committee's Prize - yet another scandal / "Nobel's Will": Fredrik Heffermehl's analysis of the misuse of the most prestigeous peace prize ever (TFF - transnational.org)
5) Russia Outraged By Ahtisaari 'Peace' Prize / In Service To NATO Powers In Destabilizing Balkans
6) COMMENTARIES: The conflicting Nobel Peace Prize (Dmitry Kosyrev - RIAN) / Ahtisaari's Well Deserved Prize (Srdja Trifkovic - chroniclesmagazine.org)
7) Latest "peace" commitment by Martti Ahtisaari: Wants Finland in Nato!!!
Articles in english were posted by R. Rozoff through http://groups.yahoo.com/group/stopnato
=== 1 ===
-------- Original-Nachricht --------
Betreff: Friedensratschlag kritisiert Nobelpreis-Komitee
Datum: Fri, 10 Oct 2008 14:55:59 +0200
Von: Dr. Peter Strutynski <peter.strutynski @ gmx.de>
An: Verborgene_Empfaenger:;
Pressemitteilung des Bundesausschusses Friedensratschlag
- Verrat an Intention des Begründers des Friedensnobelpreises
- Zweifelhafte Leistung des Preisträgers im Kosovo-Konflikt
- Immer seltener wird genuine Friedensarbeit und -politik gewürdigt
Kassel, 10. Oktober 2008 - Zur Verleihung des Friedensnobelpreises 2008
an den finnischen Politiker Martti Ahtisaari erklärte der Sprecher des
Bundesausschusses Friedensratschlag in einer ersten Stellungnahme:
Vor wenigen Tagen veröffentlichte Fredrik S. Heffermehl, eine
norwegischer Jurist, ein Aufsehen erregendes Buch über die Geschichte
des Friedensnobelpreises. Seine wichtigste These: Der Preis sei häufig
an die falschen Personen vergeben worden, die Jury halte sich immer
weniger an die ursprüngliche Zielsetzung des Begründers des Preises,
Alfred Nobel.
Die Entscheidung des Nobelpreiskomitees, den Friedensnobelpreis 2008 an
Martti Ahtisaari zu vergeben, ist eine Bestätigung der Anklage
Heffermehls. Der finnische Politiker erfüllt keines der Kriterien, die
Alfred Nobel 1895 an die Preisvergabe gestellt hatte, nämlich einen
Beitrag zu leisten zur Brüderlichkeit unter den Menschen, zur
Reduzierung der Armeen und zur Gründung von Friedens-Kongressen.
Martti Ahtisaari wurde, so viel ist richtig, nach seiner Amtszeit als
finnischer Staatspräsident zu verschiedenen Konflikten als Vermittler
hinzu gezogen, etwa in Aceh (Indonesien) 2007, im Irak, in Namibia oder
in Nordirland 2000. Dafür erhielt er u.a. im Mai 2008 den
Félix-Houphouët-Boigny-Friedenspreis der UNESCO. Pikanterweise hielt
damals die Lobrede auf den Preisträger der frühere US-Außenminister
Henry Kissinger, bis zum heutigen Tag einer der prominentesten Berater
von US-Präsident Bush und in seiner Biografie eher ein Brandstifter denn
ein Friedensmann.
In bester oder besser: schlechter Erinnerung bleibt die "Leistung"
Ahtisaaris im Kosovokonflikt. Er erarbeitete im Auftrag der UNO den sog.
Ahtisaari-Plan einer "bewachten Souveränität", der einer staatlichen
Unabhängigkeit des Kosovo den Weg bereiten sollte. Mit diesem Plan
schoss er über sein Mandat und über das Völkerrecht derart hinaus, dass
nicht einmal der UN-Sicherheitsrat folgen wollte. Vor wenigen Tagen hat
das höchste Organ der UNO, die Generalversammlung, die einseitige
Unabhängigkeitserklärung des Kosovo zur Begutachtung an den
Internationalen Gerichtshof in Den Haag überwiesen.
Wenn man die Preisträger der letzten Jahre Revue passieren lässt, muss
man zum Schluss kommen, dass sie mit der ursprünglichen Idee Nobels
tatsächlich nicht mehr viel gemein haben. Manche von ihnen hätten eher
einen Umweltpreis oder einen Preis für Menschenrechtsarbeit oder für
humanitäre Hilfe bekommen können. (Vgl. z.B. die Kritik Heffermehls am
Friedensnobelpreis 2007 [Al Gore]:
http://www.uni-kassel.de/fb5/frieden/themen/Friedenspreise/nobel2007.html)
Der letzte wirkliche "Friedenspreis", der diesen Namen auch verdient,
liegt 11 Jahre zurück: 1997 erhielt die internationale Landminenkampagne
den Friedensnobelpreis zugesprochen.
2008 hat das Nobel-Komitee (der Friedenspreis wird von Parlamentariern
des norwegischen Reichstags vergeben - auch das nicht im Sinn von Nobel)
einem angesehenen Politiker einen Freundschaftsdienst erwiesen - die
vielen unabhängigen Kandidaten, die mit genuiner Arbeit am Frieden, mit
Konfliktprävention und friedlicher Konfliktbearbeitung praktisch und
theoretisch zu tun haben, gingen wie so oft leer aus.
Für den Bundesausschuss Friedensratschlag:
Peter Strutynski, Kassel (Sprecher)
Bei Rückfragen:
P. Strutynski: 0561/804-2314; mobil: 0160-97628972
Unsere Empfehlung:
Besuchen Sie die friedenspolitische Website der AG Friedensforschung,
u.a. mit dem Dossier "Friedenspreise":
http://www.uni-kassel.de/fb5/frieden/themen/Friedenspreise/Welcome.html
=== 3 ===
(ANSA) - PRISTINA, 10 OTT - La leadership albanese kosovara si e' felicitata oggi per l'attribuzione del Nobel per la Pace a Martti Ahtisaari - autore nei mesi scorsi del piano d'indipendenza sorvegliata, divenuto la base della secessione del Kosovo da Belgrado - estendendo anche a se stessa l'onore di questa ''grande vittoria''. ''E' un premio meritato'', ha dichiarato all'ANSA il presidente del Kosovo, Fatmir Sejdiu. ''Facciamo tanti auguri al presidente Ahtisaari per questo premio prestigioso'', ha aggiunto, assicurando che Pristina si impegnera' da parte sua a ''tener fede alle promesse fatte alla comunita' internazionale durante il processo di conseguimento dell'indipendenza''. ''Congratulazioni ad Ahtisaari - ha fatto eco lo speaker del Parlamento locale, Jakup Kraniqi - per un riconoscimento che rappresenta una grande vittoria anche per il Kosovo''. (ANSA) RED (ANSA) - BELGRADO, 10 OTT - La concessione del premio Nobel per la pace a Martti Ahtisaari e' stato accolta oggi con amarezza dall'ex premier nazional-conservatore serbo Vojislav Kostunica, strenuo oppositore della legittimita' del divorzio del Kosovo da Belgrado. Kostunica ha rimproverato il negoziatore ed ex presidente finlandese di aver aperto le porte, con il suo piano di soluzione, alla ''creazione del falso Stato del Kosovo'', ma anche di essere animato da una sorta di pregiudizio etnico antiserbo. ''Ahtisaari sara' ricordato per la sua affermazione secondo cui i serbi sono colpevoli in quanto popolo'', ha dichiarato Kostunica, denunciando questa espressione come ''inaccettabile e grossolana''. L'ex premier, citato dall'agenzia Tanjug, ha quindi sottolineato che questo premio - e la dichiarazione rimbalzata oggi dal comitato di Oslo in base alla quale l'indipendenza di Pristina sarebbe stato uno sbocco ''senza alternative'' - non sono accettabili e devono spingere ''la Serbia a mostrarsi ancor piu' decisa e ferma nella difesa della sua legittima sovranita' sul Kosovo''. (ANSA) RED
10/10/2008 16:55
10/10/2008 16:56
(ANSA) - BELGRADO, 10 OTT - La Serbia ''spera'' che il Nobel per la Pace attribuito oggi al finlandese Martti Ahtisaari ''non sia stato assegnato per la sua opera di mediazione nel Kosovo'', laddove - a giudizio di Belgrado - egli ''ha aiutato una secessione illegittima, aumentando le tensioni nei Balcani e i pericoli per la pace''. Lo ha detto all'ANSA il capo dell'ufficio stampa del governo serbo, Miroslav Mihajilovic. (ANSA). LR (ANSA) - BELGRADO, 10 OTT - ''Spero che il Nobel ad Ahtisaari sia stato assegnato per altre opere di mediazione e non per quella sul Kosovo'', ha detto Mihajilovic, poiche' ''sarebbe l'unico Nobel premiato per una carta inapplicabile e non accettata''. Il suo piano sul Kosovo, secondo Mihajlovic, avrebbe infatti ''soltanto aiutato una secessione illegittima, aumentando le tensioni nei Balcani e i pericoli per la pace''. Interpellato sulle previsioni (smentite) che fino a ieri ipotizzavano l'attribuzione del premio a un dissidente cinese o un'attivista russa dei diritti umani, il portavoce di Belgrado ha poi osservato polemicamente come ''sia piu' facile colpire la piccola Serbia che non irritare le grandi potenze''. ''La Serbia - ha soggiunto - doveva essere punita anche per aver sfidato gli Stati Uniti nell'Assemblea generale dell'Onu'', dove due giorni fa ha ottenuto il via libera al trasferimento della questione kosovara alla Corte di Giustizia internazionale dell'Aja per un parere legale sulla legittimita' dello strappo attuato da Pristina il 17 febbraio. (ANSA). LR
10/10/2008 17:30
10/10/2008 17:30
(di Alessandro Logroscino) (ANSA) - BELGRADO, 10 OTT - In Occidente la mediazione sul Kosovo gli e' valsa piu' d'ogni altra la nomea di negoziatore delle cause disperate. Ma nei Balcani l'eredita' di Martti Ahtisaari continua a seminare discordie anche nel giorno dell'assegnazione del Nobel per la pace: con la leadership albanese-kosovara pronta a esultare (e persino a ritagliare per se' un pezzo di gloria) e l'establishment serbo inesorabile nel proiettare sul prescelto l'ombra di sospetti e recriminazioni. Autore e mentore del ''piano di pace'' sfociato il 17 febbraio scorso nella controversa proclamazione unilaterale d' indipendenza del Kosovo dalla Serbia, Ahtisaari e' stato congratulato senza mezze misure a Pristina. ''Premio piu' che meritato'', ha sentenziato il presidente kosovaro, Fatmir Sejdiu. ''Degno d'ogni rispetto'', gli ha fatto eco lo speaker del Parlamento, Jakup Kraniqi, estendendo un po' anche ''al Kosovo sovrano'' l'onore di questa ''grande vittoria''. Toni imbarazzanti - chissa' - per un mediatore tanto elogiato da una delle parti, quanto malvisto dall'altra. Come testimonia dall'opposta trincea di Belgrado il gelido silenzio dei vertici istituzionali serbi, limitatisi in prima battuta ad affidare a un portavoce l'eco del sentimento collettivo offeso. ''Spero che il Nobel ad Ahtisaari sia stato assegnato per altre opere di mediazione e non per quella sul Kosovo'', laddove egli ha ''soltanto aiutato una secessione illegittima, aumentando le tensioni nei Balcani e i pericoli per la pace'', ha tagliato corto all'ANSA Miroslav Mihajilovic, capo ufficio stampa del nuovo governo europeista di Belgrado. Parole dure accanto alle quali fa capolino la convinzione che la Serbia sia stata umiliata in quanto ''pesce piccolo'' della scena internazionale. E che la decorazione ad Ahtisaari finisca per trasformarsi in occasione di ''vendetta per gli Stati Uniti, dopo la spiacevole sorpresa subita da parte dell'Assemblea generale dell'Onu'': favorevole due giorni fa - in barba alla contrarieta' americana - alla richiesta serba di trasferire il dossier kosovaro alla Corte di Giustizia dell'Aja per una delicata pronuncia sulla legittimita' dello strappo di febbraio. Come se non bastasse, l'ex premier nazional-conservatore Vojislav Kostunica si e' spinto fino evocare lo spettro del pregiudizio razziale sull'ex presidente finlandese. Ricordando velenosamente una sua affermazione sulle presunte colpe ''dei serbi in quanto popolo'' nella sanguinosa vicenda della dissoluzione dell'ex Jugoslavia. Mentre Dusan Janjic, analista belgradese di orientamento moderato, ha sottolineando all'ANSA come proprio nei Balcani il mandato negoziale di Ahtisaari ''non sia stato coronato da successo'' e non sia riuscito a ''sciogliere un nodo che resta irrisolto''. Neppure il momento dell'annuncio del Comitato di Oslo appare del tutto felice. E' di ieri la notizia del riconoscimento della secessione kosovara da parte di altre due repubbliche ex jugoslave - Montenegro e Macedonia, strette fra gli antichi legami con la Serbia, le pressioni di quel club euroatlantico in cui aspirano a entrare e la necessita' di tenere a bada le tentazioni irredentiste delle rispettive minoranze albanesi - seguito dalle immediate ritorsioni diplomatiche di Belgrado e da una nuovo abbozzo di crisi regionale. Mentre risale a mercoledi' 8 il contrastato via libera di Palazzo di Vetro al ricorso serbo alla Corte di Giustizia: destinato a lasciare sub judice a lungo (almeno formalmente) l'indipendenza di Pristina e a offrire argomenti a chi, come Ossezia del Sud o Abkhazia, si richiama in altri scacchieri al ''precedente kosovaro''. La morale di tutto questo - dal punto di vista serbo e non senza tracce di vittimismo - prova a tracciarla ancora Mihajilovic. Convinto che Ahtisaari sia stato preferito alla fine ad altri candidati della vigilia (dai dissidenti cinesi a quelli russi) poiche' ''in fondo e' piu' facile colpire la piccola Serbia che irritare le grandi potenze''. (ANSA). LR === 4 === http://www.transnational.org/Resources_Nonviolence/2008/Heffermehl_Nobel.html "Nobels vilje" - "Nobel's Will" About Fredrik Heffermehl's sensational analysis of the misuse of the most prestigeous peace prize ever The intention behind Nobel´s Peace Prize has sunk into oblivion, the Norwegian parliamentarians he entrusted with the award of the prize have taken it over and made it their peace prize. Since the end of WWII in 1946 well over half of the peace prizes have failed to respect elementary principles on the interpretation of wills. This is asserted by Fredrik S. Heffermehl, a Norwegian lawyer, in a new book, Nobel´s Will, that is available in Norwegian on Oct. 7, few days before the announcement of the winner/s of the 2008 Nobel Peace Prize. - In 1948 the Norwegian parliament introduced a new procedure which is illegal, says Mr. Heffermehl, since the seats on the Nobel committee were allocated to the parties in parliament who have proved more concerned about the welfare of their own veterans than with Nobel´s intention and the content of the will. Since WWII the secretaries of the Nobel committee have been educated in history and languages and, according to the book Nobel´s Will, the committee cannot have received proper advice regarding the applicable legal constraints. The author describes the legal principles that the committee is obliged to respect, and on this basis he evaluates each of the prizes and to what extent the committee has given a tenable justification for the awards. Mr. Heffermehl´s conclusion is that the peace prize has removed itself more and more from the intention of Nobel; it has ceased to challenge the social forces it was established to combat. We have collected some of the central texts, interviews, reviews so you may follow this debate: Aftenposten, Oslo - "Nobelprisen misbrukes!" Economic Times, India - Nobel Peace Prizes to Mother Teresa, Al Gore illegal: Lawyer Last year Jan Oberg wrote a critical argument against Al Gore's being awarded the prize "Nobelpriset till Gore - en allvarlig felbedömning" Information Fredrik Heffermehl - Dagbladet 7 juli 2008 Copyright © TFF & the author 1997 till today. All rights reserved. === 5 ===
10/10/2008 18:37
Ahtisaari has repeatedly functioned as "peace fixer" for Western power elites. In 1999 he was the envoy who persuaded the Serb state to give in after NATO's 78 days of bombing, the most brutal event in Europe since 1945, which also lacked a UN Security Council mandate.
He then was appointed as the "architect" of the plan behind the separation of now "independent" Kosovo which, following this bombing, broke off from Serbia. Independent Kosovo is recognized by only 25% of the world's governments.
So, Ahtisaari is a man who by his "mediations" fully endorses the "peace" brought about by militarist means and international law violations - rather than following the UN norm of "peace by peaceful means."
The Nobel Committee should, according to Nobel's will, not necessarily consist of Norwegian parliamentarians. Nobel only stated that those who decided on the Prize should be appointed by the Norwegian Parliament.
Would anyone dream of letting a group of parliamentarians anywhere award the prize in, say, medicine, physics or literature without having the slightest knowledge of the subject or professional background? Yet this is exactly what the Nobel Committee does. None of them have any professional knowledge about the subject of peace.
The Committee has again rewarded one of its politician friends instead of one of the independent candidates of this year, who have truly contributed intellectually, culturally or people-to-people wise to genuine peace.
This is a scandal - one more after Al Gore last year.
"The Nobel Peace Prize 200/: A great misjudgement"Russia Outraged By Ahtisaari 'Peace' Prize
Posted by: "Rick Rozoff"
Fri Oct 10, 2008 6:18 am (PDT)
Russian Information Agency Novosti
October 10, 2008
2008 Nobel Peace Prize choice stirs up resentment in Russia
MOSCOW - A decision to award Martti Ahtisaari the 2008
Nobel Peace Prize is likely to cause anger among those
opposed to Kosovo's independence, a senior Russian
lawmaker said on Friday.
Former Finnish president Ahtisaari was announced
earlier on Friday as the 2008 Nobel Peace Prize
laureate in recognition of his three decades of
worldwide mediation efforts, including his role in
Kosovo.
"If not his UN mission on Kosovo, which Ahtisaari,
let's face it, failed to fulfill, the award would not
have given rise to unpleasant feelings among those who
consider Kosovo's independence illegitimate, " said
Mikhail Margelov, head of the upper house's
international affairs committee.
Margelov said Ahtisaari's other achievements
outweighed his "failure" in Kosovo, but that failure
"meant Serbia's breakup."
....
As UN Special Envoy for Kosovo, Ahtisaari laid out a
plan in 2007 proposing "supervised independence" for
the Albanian-dominated province. It was backed by the
Kosovo government, the U.S. and Europe, but strongly
opposed by Serbia and Russia as infringing on the
former's territorial integrity.
Kosovo unilaterally declared independence from Serbia
in February and has since been recognized by the
United States and the majority of European countries.
Russia, Serbia's long-time ally and a veto-wielding UN
Security Council member, has refused to follow suit.
Macedonia and Montenegro, both formerly part of
Yugoslavia, recognized Kosovo - considered by Serbs to
be their religious and historical heartland - late on
Thursday.
Both countries are seeking to join NATO and the
European Union and had been under pressure from the
United States and some EU countries to recognize
Kosovo's sovereignty.
....
General Leonid Ivashov, head of the Academy of
Geopolitical Problems think-tank, said the prize was
awarded to Ahtisaari for his role in the secession of
Kosovo from Serbia.
"The politician worked on the U.S. and NATO's side and
did everything to destroy Yugoslavia and annex
Kosovo," Ivashov said. "The peace prize is obviously
an award for his zealous efforts in that shameful
process."Ahtisaari: In Service To NATO Powers In Destabilizing Balkans
Posted by: "Rick Rozoff"
Fri Oct 10, 2008 9:37 am (PDT)
ADN Kronos International (Italy)
October 10, 2008
Serbia: Ahtisaari's Nobel Peace Prize win shocks observers
Belgrade – Serbian politicians and analysts reacted
with dismay when this year's Nobel Peace Prize was
awarded to Finnish diplomat Martti Ahtisaari on Friday
for three decades of mediation around the world.
Ahtisaari mediated in the Balkan conflicts and forged
a plan for the independence of Kosovo from Serbia. He
also brokered a landmark peace deal in 1995 between
Jakarta and separatist rebels in the Indonesian
province of Aceh.
Belgrade analyst Cvijetin Milivojevic laughed at the
news that Ahtisaari had been awarded the peace prize.
“Ahtisaari negotiated no peace in Kosovo, but awarded
ethnic Albanians a state on Serbian territory,”
Milivojevic told Adnkronos International (AKI).
“He was, in fact, rewarded for carrying out the orders
of the major powers,” Milivojevic added.
Ahtisaari was the only international mediator whose
plan was not approved by the UN Security Council, but
was implemented in Kosovo by a policy of force, said
Serbia's former prime minister Vojislav Kostunica.
"It only confirms that the mentors of a false Kosovo
state are exerting pressure in all fields,” said
Kostunica, a staunch opponent of Kosovo's
independence.
But Kosovo's ethnic Albanian leaders all agreed that
the award had gone to the right person and that it
represented another “victory for Kosovo”.
“This is an exceptionally important recognition that
is no doubt more than deserving,” said Kosovo's
President Fatmir Seidiu.
Kosovo Serb leader, Milan Ivanovic, disagreed with
Seidiu.
"Ahtisaari is the last person who should get the Nobel
peace prize," he said.
He created a one-sided pro-Albanian plan for solving
the Kosovo problem which completely ignored Serbs and
the interests of Serbian state, Ivanovic told Serbian
news agency Beta.
“He contributed nothing to peace, but was in the
service of world powers which destabilised the
situation in the Balkans for a long period,” Ivanovic
added.
Russian Information Agency Novosti
October 13, 2008
The conflicting Nobel Peace Prize
MOSCOW - On Friday, former Finnish President Martti
Ahtisaari won the $1.4 million (10 million Swedish
krona) Nobel Peace Prize for his 30-year work as peace
mediator on different continents and for his
contribution to settling the Kosovo conflict.
Naturally, millions of people in Russia, Serbia and
dozens of other countries will be enraged because
Kosovo is not a classic example of a peace settlement.
On the contrary, the conflict highlights a situation
when the Kosovo Liberation Army (KLA), a terrorist
organization, used the most brutal methods, including
armed force, to expel the Serbs from their native
lands. However, KLA attacks met with armed Serb
resistance.
In 1999, the United States and several European
countries decided to support the KLA and enabled it to
establish control over Kosovo, thanks to a plan
formulated by UN Special Envoy Martti Ahtisaari in
violation of international law. Now Kosovo is a
Taiwan-style territory which is officially recognized
by some nations and shunned by others. But at least
there is no more warfare there.
In 1999, NATO launched air strikes against Belgrade
and forced it to cede Kosovo to the Albanian diaspora.
Had the Kosovo conflict erupted after September 11,
2001, the situation could have been different because
the international community had changed its opinion of
terrorism and armed separatism after the 9/11 attacks
in New York and Washington. Nonetheless, the issue is
still being debated.
The awarding of the 2008 Nobel Peace Prize to
Ahtisaari is probably the most scandalous decision in
the past 10-15 years.
However, the decision highlights all-out disagreements
between the international community on some key
issues, including war and peace, justice and legality.
The Norwegian Nobel Committee's controversial decision
has sparked a lively debate that will continue for a
while.
This and other similar decisions will always be
controversial because the losing side in a conflict
will feel that it has been treated unjustly. Peace
enforcement also served to aggravate the situation in
the former Yugoslavia.
The Committee should therefore look for different
approaches and promote other candidates, rather than
career diplomats like Ahtisaari.
In the last few years, the Norwegian committee has
awarded the Peace Prize to many people who have had
nothing to do with peace-making or the prevention of
wars.
In 1996, East Timor's outspoken and often fiery Roman
Catholic bishop Carlos Belo and an exiled activist,
Jose Ramos-Horta, shared the Peace Prize "for their
work toward a just and peaceful solution to the
conflict in East Timor."
(Message over 64 KB, truncated)
Giovedì 16.10.2008, ore 18,30-19,30
Museo Diffuso della Resistenza, Deportazione, Guerra, Diritti e della Libertà
Palazzo dei Quartieri Militari Corso Valdocco 4/A Torino
I postumi degli interventi: le conseguenze sulla salute e sull’ambiente delle “guerre chirurgiche”
Conferenza di Massimo Zucchetti, con proiezione di materiali documentari
Un esperto racconta i devastanti effetti a lungo termine delle armi “intelligenti” messe in campo dalle “nuove guerre”.
La conferenza prevederà la proiezione di materiale molto crudo ed impressionante.
Kosovo-Ossétie : cherchez la différence !
Georges Berghezan
Le 26 août, six mois à peine après la proclamation d’indépendance du
Kosovo, la Russie reconnaissait les indépendances de l’Ossétie du Sud
et de l’Abkhazie, territoires en état de sécession de la Géorgie
depuis qu’elle a elle-même proclamé son indépendance de l’ex-URSS.
Réponse du berger à la bergère ? En tout cas, les dirigeants des pays
occidentaux et les commentateurs les plus diffusés n’ont pas hésité à
affirmer que l’on ne pouvait pas comparer les deux situations, que la
Russie violait grossièrement le droit international et que l’intégrité
territoriale géorgienne devait être respectée.
Par contre, la Russie, la Serbie, la Roumanie, mais aussi les
présidents tchèque et polonais, et même certaines voix en Géorgie (qui
n’a pas reconnu l’indépendance du Kosovo, malgré sa proximité avec
Washington) soulignaient que la reconnaissance de l’indépendance
kosovare avait bel et bien, et comme annoncé, servi de précédent,
ouvrant une boîte de Pandore qui risque de ne pas se refermer de si tôt.
Droits de l’homme ?
Selon les partisans de la thèse de l’« unicité kosovare », pour qui la
proclamation d’indépendance de Pristina serait – pour reprendre le
terme qu’ils affectionnent depuis quelques mois – un cas sui generis
(« de son propre genre »), ne pouvant être reproduit ailleurs, le
Kosovo aurait gagné son droit à l’indépendance à cause des violations
des droits de l’homme, voire du « génocide », que la Serbie de
Milosevic y aurait commise. Dans les régions sécessionnistes
géorgienne, de telles exactions ne s’y seraient jamais produites.
Cet argument ne résiste cependant guère à l’examen des faits. Au
Kosovo, des suites du conflit armé, depuis l’apparition de l’Armée de
libération du Kosovo (début 1996) jusqu’à à la fin des bombardements
de l’OTAN (juin 1999), quelque 10.000 personnes ont péri, civils et
militaires, dont au moins 80 % pendant les trois mois de frappes de
l’OTAN. Si les victimes ont été en majorité albanaises, on a également
compté des milliers de Serbes et autres non-Albanais.
En Ossétie du Sud (1991-1992) et en Abkhazie (1992-1993), ce sont sans
doute plus de 20.000 personnes qui ont perdu la vie pendant les
hostilités avec les forces géorgiennes dirigées successivement par les
Présidents Gamsakhourdia et Chevardnadze. Plus du double qu’au Kosovo.
Et si l’on tient compte du nombre d’habitants de ces trois entités, la
mortalité en Ossétie et Abkhazie a été de l’ordre de 10 fois plus
élevée qu’au Kosovo. Sans même parler des victimes du récent conflit,
qui aurait fait, au cours d’une seule nuit de bombardements massifs
géorgiens, plus de mille morts dans la population civile ossète. Si le
droit à l’indépendance dépend de l’ampleur des exactions commises par
le pouvoir central, c’est donc bien celle de l’Ossétie du Sud qui
paraît la plus justifiée !
Négociations ?
Deuxième argument avancé par les disciples de la théorie de l’«
exception » kosovare, la proclamation d’indépendance aurait été, dans
ce cas, mais pas dans l’autre, précédée d’un long processus de
négociations sous les auspices de l’ONU. Mais peut-on qualifier de «
négociations » les pourparlers serbo-albanais organisés par l’envoyé
de l’ONU, l’ancien Président finlandais Marti Ahtisaari ? Avant même
qu’ils aient débuté, en février 2006, il déclarait qu’il ne voyait pas
d’autre option que l’indépendance du Kosovo. Une approche aussi
partiale a bien entendu radicalisé la position albano-kosovare et ne
pouvait conduire au moindre accord. Seul le dernier round de
pourparlers, dans le courant de 2007, sous les auspices d’une troïka
de médiateurs européen, états-unien et russe, a permis à la Serbie de
proposer différents modèles d’autonomie pour sa province, respectant
au moins formellement son intégrité territoriale. Mais, forte du
soutien indéfectible des États-Unis, Pristina n’était prête à aucun
compromis et ne souhaitait que la fin des négociations.
En Géorgie, des cadres de négociations ont été mis en place après les
conflits du début des années ’90. Pour l’Abkhazie, le processus est
organisé par le « Groupe des amis du Secrétaire général », un groupe
se référant donc explicitement au Secrétaire général de l’ONU. Il est
vrai que, depuis une offensive géorgienne en 2006, les négociations
étaient dans l’impasse, Tbilissi refusant de s’engager à renoncer à
l’usage de la force dans ses relations avec l’Abkhazie. Concernant
l’Ossétie du Sud, une « Commission de contrôle conjoint » est chargée
de trouver une solution au conflit. Supervisée par l’OSCE, son format
est quadripartite (Russie, Ossétie du Nord et du Sud, Géorgie) et elle
est boycottée depuis plusieurs mois par Tbilissi qui s’y estime
minorisée. Jusqu’à la récente offensive géorgienne, du moins, un
processus de négociations, supervisé par l’ONU ou l’OSCE, existait
donc également dans les cas ossète et abkhaze, bien que bloqué,
essentiellement à cause des actions bellicistes et du boycott initiés
par le pouvoir central. Notons que, à l’inverse, depuis juin 1999, la
Serbie a renoncé à toute tentative de récupération du Kosovo par la
voie militaire et qu’elle continue de réclamer la reprise des
négociations sur le statut final de ce territoire.
Résolutions et démocratie ?
Un autre argument « juridique » parfois avancé par les promoteurs du «
Kosovo sui generis » serait que, tous les six mois, le Conseil de
sécurité de l’ONU réaffirme dans une résolution son attachement à
l’intégrité territoriale de la Géorgie, alors qu’il ne l’a plus fait
dans le cas de la Serbie depuis la fameuse résolution 1244 de juin
1999. Mais ils omettent de mentionner que cela se fait dans le cadre
du renouvellement bisannuel du mandat de la mission d’observation de
l’ONU en Abkhazie, alors que le mandat de la mission déployée au
Kosovo (actuellement en forte réduction) est illimité dans le temps.
Enfin, selon ces derniers, la légitimité de l’indépendance du Kosovo
et l’illégitimité de celle des deux entités caucasiennes tiendraient
au fait que les États « démocratiques » ont reconnu l’indépendance de
Pristina, tandis que la Fédération de Russie, un État « autoritaire »,
est pratiquement seule à avoir reconnu l’Abkhazie et l’Ossétie du Sud
indépendantes. Outre qu’il range des pays comme l’Afghanistan et la
Colombie (ayant reconnu le Kosovo) dans le camp « démocratique », cet
argument est surtout révélateur du fait que le poids diplomatique de
Washington et de ses alliés, notamment au sein de l’OTAN, reste bien
supérieur à celui de Moscou. De toute façon, le nombre d’États ayant
reconnu ces sécessions non autorisées par le Conseil de sécurité reste
bien loin d’atteindre la majorité des membres de l’ONU : sept mois
après sa proclamation, l’indépendance du Kosovo n’était pas reconnue
par les trois-quarts des États de la planète.
La thèse des « bonnes et des mauvaises indépendances » est donc
visiblement basée sur des raisonnements spécieux et des arguments non
fondés. L’indépendance du Kosovo est aussi peu légale, selon le droit
international, que celle de l’Abkhazie et de l’Ossétie du Sud. Envers
ces dernières, la Russie n’a fait que reproduire les justifications
occidentales répétées en soutien à Pristina. Comme on le redoutait, la
reconnaissance du Kosovo sert de précédent et rien n’indique que l’on
s’arrêtera là. De la Bolivie au Cachemire, de la Roumanie à la
Belgique, les idées séparatistes ont le vent en poupe et, dans
certains cas, des conflits armés seront impossibles à éviter. La boîte
de Pandore a bel et bien été ouverte. Les effets déstabilisateurs de
la reconnaissance de l’indépendance du Kosovo par les puissances
occidentales ne se limiteront, hélas, ni aux Balkans ni au Caucase.
Tutti i venerdì, dalle ore 21.00 alle 22.30
Primo appuntamento: venerdì 17 ottobre 2008
TRIESTE, Palestra Liceo “Dante Alighieri”, via Giustiniano 7
ZORAN TATALOVIC è nato a Sombor (città situata nel distretto di Backa occidentale, nel nord-ovest della provincia autonoma della Vojvodina, al confine con l'Ungheria e la Croazia) dove ha vissuto fino all’età di 26 anni. Nella sua città d’origine -già dall’età di 10 anni- ha fatto parte del “Centro di Cultura”, dove ha imparato le danze tradizionali popolari della sua Regione e dell’intera Penisola Balcanica. Zoran ora vive a Trieste e, anche qui, ha continuato a danzare presso il Centro Culturale della Comunità Serbo Ortodossa, sia come amatore che come esperto del patrimonio delle danze tradizionali, della musica e dei costumi della sua terra.
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MEDITERRANEO FOLK CLUB
Laboratorio di studio e di ricerca sulle culture popolari- Via Udine 30 -34135 TRIESTE
Sito WEB: http://www.medfolk.it
Contatti: medfolkclub@...; rorire@...
Per informazioni: Rosalia: 339/6991301 -Sara: 329/7760473
-Roberta: 347/8360648
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NEL NOVANTESIMO DELLA ‘REDENZIONE’.
In attesa di sorbirci le nauseanti manifestazioni di nazionalismo imperialista e guerrafondaio che spesso si verificano in taluni anniversari (cade quest’anno il “novantesimo” della “redenzione”, cioè della fine della Prima guerra mondiale), ed in relazione alla conferenza recentemente indetta dalla Federazione di Forza Nuova di Lucca “alla luce delle dichiarazioni di Fini e dei nuovi scenari politici che si sono aperti nella destra radicale” sul tema: “Fascismo: l’incarnazione del bene assoluto, la soluzione che salvò l’Italia”, abbiamo pensato di proporvi una chiave di lettura diversa dei prodromi e degli effetti della cosiddetta “Grande guerra”, con citazioni e stralci da un testo di Peter Tompkins (“Dalle carte segrete del duce”, Marco Tropea Editore 2001).
Quanto segue è tratto dal Capitolo 2, da pag. 23 a pag. 31.
< Dapprima anche Mussolini si era opposto decisamente all’entrata in guerra dell’Italia. Nel luglio del 1914, come direttore del quotidiano socialista Avanti!, scrisse in modo inequivocabilmente preciso “Se non vuole cadere in rovina, l’Italia può adottare solamente un atteggiamento di assoluta neutralità”.
Cinque giorni prima dell’apertura delle ostilità firmò un manifesto contro la guerra nel quale i socialisti minacciavano di boicottare il conflitto se l’Italia vi fosse rimasta coinvolta. Quando le ostilità iniziarono, dichiarò che la guerra serviva solamente ad aumentare il potere dell’esercito, dello stato e delle dinastie regnanti: istituzioni alle quali si opponeva.
Poche settimane più tardi “Se l’Italia dovesse rompere la neutralità appoggiando gli imperi centrali, tutti i proletari italiani avrebbero il dovere di sollevarsi in rivolta” >
A quel punto, narra Tompkins, Mussolini ed il socialista Pietro Nenni entrarono in azione svellendo tratti di rotaia per impedire il transito delle tradotte. Condotto in tribunale e condannato con l’accusa di istigazione a delinquere, Mussolini dichiarò durante il processo: “se mi assolverete mi farete un piacere. Se mi condannerete mi farete un onore”.
< A quel punto accadde qualcosa che fece cambiare idea a Mussolini (… ) un massone di nome Filippo Naldi direttore del quotidiano Il Resto del Carlino sostanzialmente finanziato dai ricchi proprietari terrieri della Romagna >, il quale, secondo un giornalista dell’Avanti, Eugenio Guarino < “chiese di parlare in privato con Mussolini. Poco dopo Mussolini abbandonò il suo classico abbigliamento da persona di sinistra con cappello floscio nero, cravatta lisa e abito sporco e cominciò a presentarsi con abiti di lusso all’ultima moda”.
Peggio ancora, lo stile polemico degli editoriali di Mussolini cambiò altrettanto radicalmente. In un sorprendente articolo di fondo che pubblicò senza consultare il comitato centrale del Partito socialista, Mussolini si rivelò favorevole all’intervento dell’Italia in guerra a fianco degli alleati dell’Intesa.
I socialisti si infuriarono e chiesero l’espulsione di Mussolini (…) davanti a un congresso dei suoi compagni Mussolini fu accolto da fischi e urla di “traditore! Lacchè! Chi ti paga ora?” >
Mussolini lasciò il partito e si stabilì in una piccola soffitta a Milano, dove iniziò a dirigere con grosso successo un proprio quotidiano, Il Popolo d’Italia.
< Riceveva i finanziamenti grazie agli sforzi del massone Pippo Naldi (…) Per alcuni mesi Naldi aveva ricevuto denaro dal governo francese per fare propaganda sul suo giornale in favore dell’ingresso in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa. A quel punto fece in modo che Mussolini bussasse alla stessa porta, anticipandogli una somma di denaro sufficiente a renderlo presentabile ai nuovi padroni. Chi fossero questi padroni lo rivelò alla fine R. F. Esposito, un massone del gruppo di palazzo Giustiniani, che dimostrò come Naldi non fosse spinto solo dalla massoneria francese, ma anche da un massone italiano in incognito, l’allora ministro degli Esteri marchese Antonio di San Giuliano. Esposito spiegò di essere stato presente a una riunione nel corso della quale Mussolini ebbe del denaro da un rappresentante dell’ambasciata francese a Roma, un certo dottor Boudin, alla presenza dei rappresentanti della massoneria italiana, gli ispettori generali Renzo Carbagni e Francesco Timpanato e il vice gran maestro Alberto Lapegna.
Nel novembre del 1914 Mussolini si recò segretamente in Svizzera riportandone altre centomila lire per il suo giornale più la promessa di diecimila lire mensili per tenerlo in vita. La grossa somma gli fu consegnata dal signor C. Dumas, segretario del ministro francese per la Propaganda di guerra, Jules Guesde; le somme successive da un intermediario, Ugo Clerici.
(…) L’accordo del 1914 permise a Mussolini di vomitare un editoriale dopo l’altro, denunciando le atrocità commesse dagli imperi centrali e attaccando i socialisti per la loro insistenza sulla neutralità italiana.
Si scoprì allora che Naldi non rappresentava solo gli interessi francesi, ma anche gli industriali e i fabbricanti italiani di armi, munizioni ed equipaggiamenti militari. Questi ultimi erano pronti a guadagnare milioni dall’entrata in guerra dell’Italia contro la Germania e l’Austria-Ungheria. Il coinvolgimento della massoneria nel traffico d’armi sarebbe diventato un fatto normale, durato fino ai nostri giorni.
Nel gennaio 1915 Mussolini (…) diede voce con il suo giornale a un’organizzazione di nazionalisti italiani bellicosi noti come Fasci di azione rivoluzionaria, spingendo i suoi lettori a rivoltarsi contro il governo e persino a sparare letteralmente alla schiena ai parlamentari pacifisti per obbligare l’Italia a entrare in guerra contro la Germania (…) “Noi vogliamo la guerra. E se voi, Sire, che in base all’art. 5 della Costituzione potete chiamare i soldati al fronte, non lo farete, perderete la vostra corona” >.
Così nell’aprile 1915 Vittorio Emanuele convocò il primo ministro Antonio Salandra per dirgli che l’Italia voleva la guerra contro gli imperi centrali, ed alle proteste di Salandra
< si produsse il primo dei colpi di stato illegali del re. Incapace di ottenere l’appoggio del Parlamento, i cui membri erano quasi unanimemente contrari all’entrata in guerra dell’Italia, il massone Vittorio Emanuele obbligò il massone Salandra a restare in carica e nel maggio del 1915, di fronte all’aperto rifiuto del Parlamento, trascinò illegalmente il paese in guerra contro l’impero austroungarico.
Una volta compiuto il passo, gli italiani furono costretti, indipendentemente dalle classi di appartenenza e dalle convinzioni politiche, a compiere il proprio dovere in silenzio, in nome del patriottismo. L’alternativa era la prigione o il plotone di esecuzione >
Anche Mussolini fu richiamato alle armi, restò al fronte parecchi mesi ma non partecipò a combattimenti; fu congedato dopo essere stato investito dall’esplosione di una granata che gli provocò diverse ferite, soprattutto ai glutei.
Nel suo testo Tompkins inserisce a questo punto alcune prese di posizione del socialista Giacomo Matteotti (poi massacrato dagli scherani del Fascio nel 1924).
(Matteotti) < dichiarò che la guerra degradava gli uomini e la vita, distruggeva il sistema democratico e portava alla dittatura. Anche la prospettiva di una vittoria (…) non significava altro per i socialisti che la conquista di territori altrui da parte di un governo reazionario. (…) predisse che la guerra avrebbe corrotto i giovani con la violenza, la noia, l’imboscamento, le razzie, le requisizioni, la demagogia, il disprezzo per il lavoro e un atteggiamento di svilimento della vita >.
Matteotti aveva già espresso le proprie valutazioni contrarie alla guerra nel 1911, quando l’Italia aveva iniziato la propria avventura coloniale.
< L’inizio di una piccola guerra, opportunamente lontana dalla patria, avrebbe determinato buoni profitti garantendo un mercato per il continuo spreco di prodotti bellici. (…) un tale sistema portava invariabilmente a un’espansione dell’establishment militare, che a sua volta chiedeva maggiori stanziamenti (…) il risultato era un circolo vizioso nel quale i ricchi diventavano sempre più ricchi e i poveri più poveri. I poveri non erano solo costretti a combattere in guerra, ma anche a finanziare la propria stessa carneficina. La Grande Guerra (…) sarebbe stata peggiore. Con la scusa dell’emergenza bellica non c’erano limiti all’orario di lavoro, le ferie erano abolite, donne e bambini erano obbligati a lavorare come schiavi per ore interminabili e con paghe inferiori a quelle degli uomini; gli scioperi erano proibiti. Il cambiamento o l’abbandono di un lavoro, anche nel caso dei bambini, era considerato diserzione (…) punibile con due anni di carcere. L’insubordinazione era punibile con 24 anni di confino. Nel frattempo i profitti dei grandi industriali e degli imprenditori medi salivano alle stelle.
La Grande Guerra avrebbe portato all’industria italiana profitti del 200-400 %. La Fiat, che produceva automobili, carri armati, ambulanze e motori d’aereo avrebbe aumentato il capitale da 25 a 100 milioni di lire, la Edison, che produceva energia idroelettrica in sostituzione del carbone di difficile reperibilità avrebbe aumentato il capitale da 24 a 180 milioni; la Montecatini (prodotti chimici ed esplosivi) da 30 a 200 milioni, le officine Ansaldo, che costruirono diecimila cannoni in trenta fabbriche con settantamila operai accrebbero il capitale da 100 a 500 milioni di lire. Anche alle banche andò bene: tanto che lo stato fu costretto a pagare un inusitato interesse del 6% in luogo del solito 2-3%.
Per nulla turbati dalla contraddizione in termini di patriottismo, gli industriali continuavano ad esigere i massimi prezzi possibili per i loro prodotti mentre il governo, obbligato a condurre una guerra, non aveva alternativa e doveva accettarli, trasferendo i costi sulla popolazione. Per aumentare i profitti gli industriali giunsero perfino a vendere materiale bellico al nemico, tramite paesi neutrali (…).
Per pagare le spese di guerra il governo fece ricorso all’inflazione inondando il paese con il quadruplo della cartamoneta in circolazione prima (…) i prezzi balzarono a otto volte il loro livello prebellico. Tutto ciò, come sottolineava Matteotti, faceva ricadere sulle spalle dei poveri il 90% degli oneri di guerra >.
Nel frattempo la corruzione avanzava:
< (…) la dolce vita degli speculatori, le cui colossali fortune accumulate in fretta venivano in parte dissipate in un’allegra vita notturna. I soldati erano indignati per l’incredibile sistema di corruzione con il quale gli speculatori e gli “imboscati” ottenevano vantaggi e si proteggevano l’un l’altro . (…)
Durante l’ultimo anno di guerra perfino i politici avvertirono la tensione tra la popolazione >, quindi iniziarono a fare promesse ai soldati che sarebbero stati smobilitati a breve: riforme agrarie e sociali, ricambio ai vertici politici ed amministrativi, promesse che ben sapevano di non poter mantenere.
Alla fine della guerra la crisi si presentò nella sua pienezza: mentre lo stato di emergenza del periodo bellico aveva permesso di tenere sotto controllo i lavoratori per impedire loro di intaccare i privilegi delle classi industriali, in tempo di pace ciò non era più possibile. Quando sopraggiunse la crisi economica, causata dal fatto che le società industriali arricchitesi con la produzione di materiale bellico si trovavano ora senza mercato, inoltre gli industriali che si erano arricchiti nel corso del conflitto, < invece di fare rientrare i profitti che (…) avevano sottratto e portato all’estero, chiedevano sovvenzioni statali, il che significava altre tasse per i poveri. Tutto ciò nel bel mezzo di una crisi di disoccupazione dovuta non solo ai licenziamenti ma anche alle centinaia di migliaia di reduci che inondavano il mercato del lavoro.
Come aveva previsto Matteotti, la guerra non aveva fatto altro che impoverire la nazione: a parte i 500.000 morti, aveva ridotto il reddito medio e quello complessivo reale degli italiani. (…) i potenti tentarono di salvare la faccia scaricando le accuse sugli Alleati “che avevano derubato l’Italia dei frutti della vittoria” >.
Nel frattempo il Paese doveva anche fare i conti con tutti quei reduci che, dopo anni di guerra non si sentivano più in grado di tornare alla vita civile, vuoi perché convinti di avere conquistato uno status sociale superiore a quello che avevano prima e non volevano tornare indietro, vuoi perché la situazione economica era cambiata e spesso era materialmente impossibile per il reduce riavere il lavoro che faceva prima.
Fu in questa situazione di scontento, di tensione, di difficoltà materiale alla sopravvivenza, che molti decisero di scaricare il loro astio non contro chi li aveva messi in quella situazione (lo stato, gli industriali, gli interventisti che avevano voluto la guerra); ad esempio la teoria della “vittoria mutilata” servì a spingere molti reduci, avvelenati da anni di propaganda nazionalista e di culto della violenza e del sangue, a riunirsi in associazioni di rivendicazione nazionalista: tutti fattori che contribuirono all’avvento del fascismo.
Sono anche questi fatti che andrebbero ricordati nel 90° anniversario dalla fine del primo conflitto mondiale, al di là della retorica militarista e nazionalista.
ottobre 2008
L'ACCUSA DEL VETERANO
LA TERZA BOMBA NUCLEARE
di Maurizio Torrealta
Il Dipartimento della Difesa statunitense chiamato ad esprimersi sulle accuse del veterano ha dichiarato che durante "Desert Storm" sono state utilizzate solo armi convenzionali.
http://www.rainews24.it/ran24/rainews24_2007/inchieste/08102008_bomba/default_ENG.asp