Informazione


Voce jugoslava - Jugoslavenski glas


Svakog drugog utorka, od 14,00 do 14,30 sati, na Radio Città Aperta, i valu FM 88.9 za regiju Lazio, emisija:
                        JUGOSLAVENSKI GLAS
Emisija je u direktnom prijenosu. Moze se pratiti  i preko  Interneta: 
                  http://www.radiocit taperta.it
Kratke intervencije na telefon +39-06-4393512.
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Ogni secondo  martedì dalle ore 14,00 alle 14,30:
                            VOCE JUGOSLAVA
su Radio Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio. Si può seguire, come del resto anche le altre trasmissioni della Radio,  via Internet:
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La trasmissione è bilingue (a seconda del tempo disponibile e della necessità) ed in diretta. Brevi interventi telefonico allo 06-4393512.
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             Od Triglava do Vardara...        Dal monte Triglav, al fiume Vardar...
                             Program   23. IX. 2008   Programma
 
Osvrt na dokumentarac "La guerra infinita" (Beskrajni rat), I epizoda, Kosovo 9 godina kasnije, na RAI 3 TV.
Kratka recenzija najnovije knjige o fojbama.
 
Commento sul documentario "La guerra infinita", I episodio "Kosovo 9 anni dopo", trasmesso su RAI 3 TV, venerdi 19 settembre.
Recensione del libro "Foibe- Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica", Edizioni Kappa Vu 



Dal nuovo numero di Contropiano

1) ANTIREVISIONISMO: UN LAVORO PROFICUO.
Recensione pubblicata sull'ultimo numero di CONTROPIANO

2) E’ in uscita il nuovo numero di Contropiano, giornale della Rete dei Comunisti. 
In questo numero...


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ANTIREVISIONISMO: UN LAVORO PROFICUO

Dopo alcuni mesi di accurata preparazione, è finalmente uscito il volume "Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica", che contiene gli Atti del Convegno nazionale tenuto a Sesto S. Giovanni il 9 febbraio 2008. Il volume - che è dedicato a Pierluigi Visintin, storico "militante" di grande rigore ed acume scomparso proprio questa estate - corona una stagione decisamente feconda per le produzioni (ovvero contro-produzioni) degli storici anti-revisionisti. Chi sono questi storici? Si può trattare di esperti esterni al sistema della ricerca storiografica accademica, oppure di professionisti, quindi "interni", che però grazie a queste collaborazioni sviluppate al di fuori di tale sistema riescono ad approfondire al meglio, in vera libertà e onestà, tematiche cruciali quali quelle delle guerre combattute dall'Italia nel Novecento e del trattamento riservato dall'Italia ai popoli occupati fuori e... dentro le sue frontiere. Deve far riflettere questo ottimo lavoro svolto del tutto esternamente ad un contesto universitario e della ricerca che, oggi come oggi, è ricattatato da tagli e dismissioni e preso al laccio delle esigenze del potere - e non vale solo per la ricerca storica, che comunque è tra le più strategiche nella battaglia politica. 
Torniamo al volume: dopo i saluti di Angelo Del Boca e Giacomo Scotti, esso contiene alcuni preziosi saggi. Matteo Dominioni affronta la occupazione italiana del Corno d'Africa per contestualizzare l'atteggiamento razzista e schiavista dell'Italia verso le nazioni aggredite. Alessandra Kersevan inquadra lo specifico dell'aggressione alla Jugoslavia, e fa particolare riferimento al sistema dei campi di concentramento fascisti - una tematica ulteriormente sviscerata nell'altro, suo recentissimo volume "Lager italiani". E' poi la volta del filosofo della politica Luka Bogdanic, che si interroga sulla questione nazionale e delle nazionalità nel movimento partigiano jugoslavo smontando agevolmente la concezione assurda, ma purtroppo oggi in voga in Italia, che la lotta dei partigiani avesse essenzialmente finalità "nazionali" o addirittura di "oppressione etnica". Un'altra concezione sbagliata è quella di un presunto binomio tra "foibe" ed "esodo" degli istrodalmati (1943-1953), tema investigato da Sandi Volk qui come anche in altre passate pubblicazioni di grande spessore. Claudia Cernigoi ci parla di nuovo di foibe, come nelle sue ricerche oramai ben note, soffermandosi sulla difficoltà a districarsi tra storia e propaganda, soprattutto in un contesto in cui chi cerca di fare "storia" al di fuori dalla vulgata di regime è sottoposto a pesanti accuse ("negazionismo") ed ostracismi - fino all'intervento di certe Prefetture, che lo scorso anno sono arrivate ad impedire le iniziative pubbliche più "scomode". Ma a fare davvero propaganda, usando falsi storici pacchiani, sono proprio i costruttori della "vulgata", come dimostra Paolo Consolaro (Pol Vice) nella presentazione della sua ricerca "La foiba dei miracoli" dove spiega come certe vicende di "sopravvissuti all'infoibamento" siano inventate. In appendice al volume troviamo una preziosa sintesi sul tema dell'"eccidio di Porzûs" ("il più grande processo antipartigiano del dopoguerra") curata da Alessandra Kersevan, che anni fa fu autrice dell'unico studio serio esistente sull'argomento. Infine, a cura di Sandi Volk è pubblicato un "Elenco parziale dei caduti ai cui parenti sono stati concessi medaglia commemorativa e diploma della Repubblica Italiana" in base alla legge istitutiva del 10 Febbraio: nell'elenco troviamo esempi clamorosi di onoreficenze concesse a fascisti e collaborazionisti dei nazisti, o a persone la cui scomparsa non è in alcun modo ascrivibile ad "infoibamento". 
Un altro libro che merita di essere citato in questa sede è uscito prima dell'estate: si tratta di "L'occupazione italiana dei Balcani", di Davide Conti , giovane dottore di ricerca che ha passato in rassegna una enorme mole di documentazione, in buona parte inedita o dimenticata, proveniente dall'Archivio di Stato e dal Ministero degli Esteri. La tematica affrontata è la stessa toccata lo scorso 12 agosto da Franco Giustolisi in un ottimo articolo apparso su Il Manifesto ("Armadio della vergogna 2, arrivano le prime prove"). Tra la documentazione presentata nel volume di Conti segnaliamo il lungo Elenco dei criminali di guerra italiani ricercati dalle autorità alleate e lo stralcio della Relazione della commissione di Stato jugoslava per la constatazione dei crimini degli occupatori italiani e dei loro coadiuvatori (Grgic - Nedeljkovic, 6 aprile 1945). Il libro getta luce su aspetti ancora poco noti delle politiche di occupazione italiana nei Balcani (un esempio: l'alleanza tra italiani e ustascia) nonché sulle ragioni storico-politiche per cui troppi assassini hanno potuto non solo farla franca, ma persino continuare a svolgere un ruolo nell'orientare la geo-politica italiana fino ad oggi.
Con questi testi, è diventato finalmente fruibile in forma sintetica tanto materiale interessantissimo e persino "scottante". Viste anche le prime produzioni multimediali - come l'efficace breve video del collettivo Militant sulla fiction fascista RAI "Il cuore nel pozzo" (http://it.youtube.com/watch?v=zn9nbAQa_vg) - possiamo dire che già esistono strumenti validi per combattere le battaglie antifasciste e di verità che dobbiamo affrontare in questa fase. Sono strumenti indispensabili non solo per destrutturare l'offensiva ideologica dell'avversario, ma anche per passare dalla fase "difensiva" ad un  atteggiamento, per l'appunto, offensivo: per puntare cioè il dito contro chi da qualche anno sfacciatamente offende e cancella la memoria storica allo scopo, concretissimo, di invertire gli esiti della Seconda Guerra Mondiale. 

AA.VV.: Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica
Atti del Convegno: Foibe: La verità. Contro il revisionismo storico
Sesto S. Giovanni (MI), 9 febbraio 2008
10 euro - KappaVu - Udine 2008 - info @ kappavu.it - telfax 0432-530540 
Davide Conti: L'occupazione italiana dei Balcani
Crimini di guerra e mito della "brava gente" (1940-1943)
18 euro - Odradek, Roma 2008
Alessandra Kersevan: Lager italiani
Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943 - Casa editrice Nutrimenti, 2008
Pol Vice: La foiba dei miracoli. Indagine sul mito dei "sopravvissuti"
KappaVu - Udine 2008 (vedi sopra per i contatti della casa editrice)


=== 2 ===

E’ in uscita il nuovo numero di

Contropiano, giornale della Rete dei Comunisti
 
In questo numero

Editoriale:

Rompere con la coazione a ripetere della sinistra

E’ arrivato l’Autunno, ma se sarà caldo o no sul piano della temperatura politica e del conflitto sociale dipenderà da diversi fattori.(...) Se sul piano sociale e sindacale assistiamo a segnali interessanti di tenuta e iniziativa (dalle agitazioni nelle scuole, alla lotta dell’Alitalia, al patto e allo sciopero generale del 17 ottobre convocato dai sindacati di base), è proprio sulla politica che assistiamo a processi che necessitano di rotture culturali e strategiche profonde.


Clash! Si accentua drammaticamente la competizione globale
“Stati disgregati con la forza, corridoi strategici, investimenti massicci nelle nuove frontiere petrolifere, interventi militari della NATO : abbiamo davanti uno scenario neocoloniale del tutto simile al "Grande Gioco" che oppose il Regno Unito e la Russia zarista del secolo scorso. Obiettivo : il controllo strategico delle risorse dell'Eurasia. Per questo il Caucaso è di nuovo in fiamme e i Balcani vanno rigidamente controllati Anche a costo della guerra tra Stati Uniti, Europa e Russia”. Era questa la chiave di lettura con cui la redazione di Contropiano analizzava nel 1999 la guerra scatenata dalla NATO nei Balcani cercando di leggerne le cause e le conseguenze più generali. La guerra in Georgia di questa estate e la pesantissima crisi finanziaria in USA rivelano la gravità raggiunta dal “piano inclinato del capitale”.... e della storia

Ancora l’imperialismo di ieri: 3. da Prebish a Gunder Frank.
L’avviso ai naviganti di Giorgio Gattei
Se l’esportazione dei capitali dal centro favorisce l’industrializzazione della periferia, per quest’ultima l’imperialismo è la fase iniziale del capitalismo (cfr. Avviso precedente). E’ stata questa la visione dello sviluppo, elaborata negli anni ’40 del Novecento soprattutto in America Latina, sostenuta dopo la seconda guerra mondiale da istituzioni apposite dentro l’Organizzazione delle Nazioni Unite, come la CEPAL (Commissione Economica per l'America Latina) e l’UNCTAD (Union Nations Conference on Trade and Development). Entrambe erano animate da Raul Prebish per il quale sarebbe bastato approfittare della ricaduta d'occupazione e di reddito provocata dagli investimenti stranieri rivolti alla produzione di manufatti in periferia per realizzare la progressiva sostituzione delle importazioni dal centro con questi manufatti riversati sul mercato interno periferico a soddisfare la domanda di ceti medi e classe operaia in formazione.
 
Un percorso e una alleanza per l’opposizione politica e sociale
Opzioni in campo per i comunisti e la sinistra anticapitalista
Pubblichiamo l’intervento introduttivo all’incontro nazionale che c’è stato il 9 settembre in cui alcune delle soggettività politiche e sociali che costruirono la manifestazione del 9 giugno,  hanno inteso non disperdere il segnale e la rottura politica prodotti da quell’iniziativa, mantenendo e rilanciando un percorso di alleanza e mobilitazione che risponda all’esigenza di unità dei movimenti e delle soggettività del conflitto sociale nel nostro paese. E’ un percorso che riteniamo coerente con la proposta politica ai comunisti e alla sinistra anticapitalista che la Rete dei Comunisti ha avanzato nella sua assemblea nazionale del 31 maggio e che oggi può rappresentare un concreto e importante punto di tenuta e rilancio dell’opposizione politica e sociale stessa a fronte dell’offensiva di un governo antipopolare (ma non impopolare) come quello di Berlusconi, alla omologazione a destra del PD e alla perdurante e  autistica subalternità del ceto politico che ha prodotto la fallimentare esperienza della sinistra arcobaleno.
 
La metropoli e i suoi rifiuti
Riflessioni e analisi per la ricomposizione di un blocco sociale antagonista
La vicenda rifiuti ha segnato in profondità – nell’area metropolitana napoletana e nell’intera regione Campania – l’agenda politica dei movimenti di lotta degli ultimi tempi. Un’esperienza ricca di spunti di ricerca teorica, di pratiche conflittuali e, naturalmente, di scontro con il complesso delle istituzioni e delle loro varie politiche di governance (...)Sempre più nello spazio metropolitano si addensano saperi e competenze sedimentati nel tempo assieme a reti e risorse materiali e immateriali. Sotto i nostri occhi è in atto una gigantesca accumulazione di “capitali” culturale e sociale oltre che di natura economico. Si approssimano – dunque – almeno potenzialmente scenari in cui i movimenti sociali dovranno faticare, non poco, per mantenere la radicalità dei loro obiettivi, l’autonomia dai poteri forti e una chiara prospettiva di alternativa.
 
LA LEGGE DI INIZIATIVA POPOLARE SUI TRATTATI INTERNAZIONALI, SULLE BASI E SERVITÙ MILITARI HA FATTO CENTRO:
Il Movimento contro la guerra ha adesso uno strumento di battaglia politica in più,che  rende tutti un pò più forti per affrontare le mobilitazioni dei prossimi mesi. Leggi, petizioni poplari, campagne di massa, sono strumenti utili a mantenere viva la mobilitazione contro un mezzo oramai centrale nell’attuale conflitto tra Stati per il predominio dei mercati: la guerra!.
 
Pagine centrali

La Grande Crisi dei Mutui-spazzatura (di Giorgio Gattei)
Il Big Bang c’è stato e non è quello che doveva avvenire nei laboratori del Cern di Ginevra ma quello della struttura finanziaria degli USA. A esplodere infatti non è un bolla ma un sistema. Giorgio Gattei ricostruisce gli antefatti e il crack di queste settimane della finanza statunitense, ossia nel cuore e non alla periferia del sistema (....) Mentre si attende un’altra vittima (Goldman Sachs o Morgan Stanley?) il 20 settembre 2008 Bush «il piccolo» annuncia a sorpresa «una svolta nella storia dell’economia americana» che di fatto sancisce la fine della pratica (e dell’’ideologia) liberista. (...). E’ roba da crisi del ’29 con lui lo Stato si propone come aspirapolvere di spazzatura, liberando la finanza dei suoi guai semplicemente perché se li accolla lui.....
 
Una inquietante estate italiana
Il dogma della legalità uccide le libertà. L’escalation dei divieti e del razzismo istituzionale porta alla luce quello che in molti definiscono ormai come il “paese di merda”.
L'estate 2008 sarà ricordata come "quella dei divieti": tanti e anche bizzarri, ma sicuramente da rispettare per evitare multe salate o provvedimenti di espulsione. Qualche esempio? A Forte dei Marmi, cuore della Versilia chic, è vietato tagliare l'erba nel weekend o nelle ore pomeridiane. Forse per non disturbare i villeggianti che fanno il sonnellino. Ed ancora in alcuni comuni del profondo/Nord immigrati o cosiddetti sfaccendati non possono sostare nelle panchine dei giardinetti.
 
ANTIREVISIONISMO: UN LAVORO PROFICUO
Una battaglia politica e culturale a tutto campo
Dopo alcuni mesi di accurata preparazione, è finalmente uscito il volume "Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica", che contiene gli Atti del Convegno nazionale tenuto a Sesto S. Giovanni il 9 febbraio 2008. Il volume - che è dedicato a Pierluigi Visintin, storico "militante" di grande rigore ed acume scomparso proprio questa estate - corona una stagione decisamente feconda per le produzioni (ovvero contro-produzioni) degli storici anti-revisionisti. Chi sono questi storici?

“La maratona vinta da Pechino”
Si rafforza il peso della Cina nell’ambito della competizione globale.
Le recenti Olimpiadi svoltesi in Cina sono state una nuova occasione per le potenze occidentali per rinfocolare la pluridecennale campagna d’odio anticinese. Un odio, non nuovo, verso un paese ed un popolo che da secoli è nel mirino politico, economico e militare dell’imperialismo. Un paese che le potenze coloniali, anche nei momenti più favorevoli della loro storia, non sono riuscite ad occuparlo e piegarlo completamente. Quale migliore occasione, quindi, per screditare e la Cina tentando di replicare, in varie forme, il boicottaggio del 1980, quando gli Stati Uniti imposero agli altri paesi leader la non partecipazione dei propri atleti alle Olimpiadi di Mosca. Stavolta, però, questo marchingegno, covato e programmato da molto tempo, non ha funzionato.
 
Il silenzio assordante della “democratica Europa”
Messi al bando due partiti della sinistra basca. 
Nel più completo silenzio delle forze politiche ‘progressiste’ iberiche ed europee, la magistratura spagnola e il governo di Madrid sono tornati a violare nella maniera più netta ogni regola democratica.  Il 16 settembre scorso il tribunale speciale ereditato direttamente dal franchismo ha deciso la messa al bando di Azione Nazionalista Basca (ANV) perché rappresenterebbe una copertura, una mascheratura di Batasuna, forza politica già illegalizzata anni fa col consenso unanime di PP e PSOE. La stessa sorte è toccata ieri anche al Partito Comunista delle Terre Basche, la cui attività è già stata sospesa e le sedi chiuse oltre un anno fa.
 
Il ruolo dell’Italia negli scenari della guerra globale
Il governo Berlusconi gioca a tutto campo in politica estera
Pubblichiamo una sintesi del contributo della Rete dei Comunisti al dibattito del Patto contro la guerra in occasione di un convegno del movimento No War tenutosi a maggio scorso a Roma.
 
INSERTO SPECIALE.
Non è un paese per vecchi!!
Salario, lavoro e identità sociale in crisi. Tutte le inchieste più recenti condotte tra i lavoratori dipendenti confermano una forte e crescente sofferenza su tutti i fattori che compongono la dignità e la sicurezza di un lavoratore.
Il 51% rivela che il suo salario non è sufficiente (26%) o addirittura gli consente di vivere a stento (25%); solo il 14% afferma che il suo salario è pienamente sufficiente mentre il 35% lo ritiene abbastanza sufficiente (ma non era ancora entrato in vigore il decreto Brunetta).
Il 34% dei lavoratori teme soprattutto di non avere una pensione adeguata, il 20% di non avere più continuità di lavoro e reddito, altrettanti di non potere mantenere l’attuale tenore di vita e il 14% esplicita il timore di perdere il lavoro. (.....)E’ indicativo il titolo di un giornale come il Corriere della Sera il quale, presentando e commentando l’8 agosto scorso l’ultimo rapporto di Mediobanca sulle imprese italiane ammette: “Il paradosso italiano: l’industria cresce, il paese no”. (...) Quando c’è l’appropriazione privata della ricchezza prodotta, i salari dei lavoratori e le condizioni di vita delle famiglie e dei settori popolari peggiorano. A meno che la “politica”,  il conflitto sociale  e l’organizzazione dei lavoratori non costringano i padroni a cedere quello che non vogliono assolutamente concedere...

I comunisti, il sindacato, la ricomposizione del blocco sociale antagonista
Un dibattito da aprireLa scelta da parte di alcuni compagni ed esperienze del movimento comunista di sostenere e costruire i sindacati di base e alternativi a quelli ufficiali, in Italia è una scelta maturata - sulla base di una analisi concreta della realtà concreta - già negli anni Ottanta. Prima con il giornale Contropiano e poi con la costituzione della Rete dei Comunisti, in questi anni abbiamo cercato di portare dentro un dibattito, troppo spesso liturgico, alcuni necessari  elementi di rottura culturale e di sperimentazione concreta nell’iniziativa politica e sindacale. Un contributo, tanto più necessario, all’indomani della catastrofe politica ed elettorale della “sinistra”mentre è in corso una potente offensiva contro i lavoratori e i ceti sociali subalterni ad opera dei poteri forti del capitale.
 
Contropiano lo trovi nelle librerie alternative, nelle manifestazioni e nelle iniziative politiche.
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Contropiano è il giornale della Rete dei Comunisti




DEDICATO A NOI "NEGAZIONISTI"



Leggendo un vecchio "giallo", dove i protagonisti cercano di smascherare una "bufala" storica, ho trovato queste frasi che mi sembrano attinenti alle nostre attività di ricerca. (Claudia Cernigoi)

 

COSÌ NASCE LA STORIA…

(dialogo tra due personaggi dal libro di Josephine Tey, “La figlia del tempo”, 1951, varie edizioni Giallo Mondadori).

 

- … qualcuno che per fini politici gonfia un incidente banalissimo fino a fargli assumere proporzioni enormi.

- l’essenziale (…) è che dal primo all’ultimo di quelli che si trovavano là, sanno benissimo che la storia è tutta una frottola, e tuttavia la versione non è mai stata contraddetta. E ormai la smentita non verrà più. una storia completamente falsa è cresciuta fino a diventare leggenda, mentre quelli che sapevano quanto era falsa sono rimasti a guardare, senza aprire bocca.

- (…) è molto interessante (…) Così nasce la storia, eh?

- Proprio così. La storia!

 

E un terzo personaggio conclude:

 

- è strano, ma se dici a qualcuno quali sono i fatti veri di una mitica frottola, non si indigna con chi l’ha raccontata, ma con te. Gli altri non vogliono che si buttino all’aria le loro idee. Provano un vago senso di disagio, forse, e te ne serbano rancore. Così respingono la verità e rifiutano di pensarci.

 


Sulla beatificazione di Don Francesco Giovanni Bonifacio vedi anche:


Isto procitajte komentare na:

Autor:
Armando Černjul

BEATIFIKACIJA

Istražili smo: don Bonifacije nije bačen u fojbu!

Zašto Vatikan ne reagira na laži medija i političara da je 1946. godine don Bonifacije bačen u fojbu?


Gotovo svi dnevni mediji u Italiji i mnogi inozemni, među kojima i hrvatski, prethodnih su dana objavili da je papa Benedikt XVI. prihvatio molbu tršćanskog biskupa mons. Eugenija Ravignanija da se beatifikacija don Francesca Giovannija Bonifacija održi u katedrali San Giusto u Trstu 4. listopada.

Papa Benedikt XVI. priznao je mučeništvo don Francesca Giovannija Bonifacija, rođenog 7. rujna 1912. godine u Piranu, svećenika tršćanske biskupije kojeg je OZN ubio 1946. godine u okolici Grožnjana (neki su mediji spomenuli Krasicu), a zatim je bačen u jamu. To je u susjednoj državi ponovno pokrenulo lavinu razgovora i pisanja o "mnogim zločinima" u fojbama, koje su nad Talijanima počinili partizani, a za koje po ustaljenoj tezi najviše okrivljuju Tita.

Tog se dana od političara prvi oglasio postfašistički gradonačelnik Rima, Gianni Alemanno, bivši ministar u prijašnjoj Berlusconijevoj vladi, istaknuvši kako je proglašenje jedne žrtve fojbi blaženom značajan i povijestan akt. Spomenuo je i tragediju u kojoj su Titove komunističke snage izvršile strašan pokolj nad Talijanima, Julijancima-Dalmatincima i Istranima.

Postfašisti i tzv. esuli likuju

Tako je beatifikacija don Bonifacija nanovo iskorištena u dnevnom politikanstvu, a samo koji mjesec prije o toe su govorili postfašist Roberto Menia i bivši senator Lucio Toth, predsjednik Nacionalnog saveza Julijske krajine i Dalmacije (Anvgd), te drugi. Sada se objavljuju povijesne krivotvorine, primjerice kako su don Bonifacija dvojica Titovih milicajaca bacila u jamu, što su iskoristile mnoge tiskovine, radijske i televizijske postaje, te portali koji objavljuju da je će to biti prvi čovjek bačen u jamu koji je proglašen blaženim.

Budući da je Hrvatski katolički radio jedini od hrvatskih medija objavio vijest o beatifikaciji i ubojstvu don Bonifacija, bez podatka bacanja u jamu, a kako, baveći se godinama temom žrtava fojbi ovaj autor nije naišao ni na jedan podatak da je taj svećenik bio među tim žrtvama, proveli smo višednevno istraživanje.


No, najprije pogledajmo što su o ubojstvu don Bonifacija objavili neki talijanski mediji. Portal Il Mascelliro.it prenio je opširan tekst iz "Avvenirre" od 5. kolovoza 2008. godine u kojem piše da je don Bonifacio služio kao svećenik u Piranu i Novigradu, a od 1939. godine u župi Krasica, te da mu je najteže bilo kad su "nakon 8. rujna 1943. na njegovu zemlju izvršene dvostruke presije: od strane Njemačke i Tita". On je radio dobro za svoje župljane, a i oni su ga voljeli i zato je smetao Titovoj miliciji. Kad se 11. rujna vraćao iz Grožnjana, piše Francersco Dal Mas u "Avvenire", neke narodne straže (jugoslavenska milicija) zaustavile su ga, odvele u središte šume i ubile. Truplo su bacili u jednu fojbu. Don Bonifacijev brat Giovanni sjeća se nekih detalja: "Jedan član Komunističke partije, prijatelj, rekao mu je da pobjegne jer je znao da je policija iz Buja krenula da ga uhiti".


Talijanski portal zenit.org objavio je mnoge detalje, kao i drugi mediji, ali svakako je zanimljiv podatak da je svećenikov brat koji je tražio njegovo truplo optuživan da govori neistinu, što je ostala nepoznanica sve dok poslije dugo vremena jedan kazališni redatelj nije došao u kontakt s jednom od narodnih straža koje su uhitile don Bonifacija. "Ta posljednja pripovijest jest da je svećenik strpan u automobil, pretučen, svučen, udaran kamenom u čelo i da su mu zadana dva uboda prije nego je bačen u fojbu. Otada njegovi ostaci nisu  pronađeni".

Top secret: o imenima svjedoka ubojstva ni jedne riječi

S obzirom da je prijedlog beatifikacije još 1957. godine pokrenuo tršćanski biskup Antonio Santin, rođen u Rovinju, koji je imao dobrih i loših stavova glede crkvenih vjerodostojnika u Istri prije i za vrijeme Drugogog svjetskog rata, a kojemu je najveći minus u biografiji bio što ga je hvalio fašistički poglavar Mussolini s kojim je bio u službenoj pratnji kada je "duce" 1938. godine posjetio Trst, svakako je zanimljivo navesti izjavu koju je dao talijanskim novinarima svećenik Luigi Rocco, koji je te 1946. godine, kad je nestao don Bonifacije, otišao biskupu Santinu u Trst i obavijestio ga što se dogodilo.

Evo što je o svećenikovu ubojstvu u svom priopćenju od 3. srpnja ove godine objavio tršćanski biskup mons. Eugenio Ravignani, rođen u Puli. Napisao je da je svećenik ubijen 11. rujna 1946. godine navečer u 34. godini života  i kako se godinama nije ništa znalo, sve dok neka svjedočanstva nisu potvrdila i osvijetlila što se zbilo te noći. U svim svjedočanstvima navedeno je da su ga tukli i bacili u jamu, piše biskup, dok su se neka odnosila na kamenovanje, ozljeđivanje nožem i strijeljanje. Zatim je opisao kako je skončan svećenikov život u fojbi, kao što je pisao "Avvenire" i još neki mediji.

O imenima svjedoka koji su progovorili poslije četrdeset, pedeset ili šezdeset godina nigdje ni slova -  čini se da su to "top secret" podaci i to baca svojevrsnu sumnju kada se govori i piše o žrtvama fojbi. A to je upravo najvažnije i zato daje bezbroj drugih mogućih elemenata koje koriste talijanski mediji u spominjanju Istre i Hrvatske, jer se ubojstvo navodno dogodilo u Krasici u blizini Buja, a tek usput i Sloveniji, jer je grad rođenja don Bonifacija u toj republici, a sve to prenose mnogi inozemni mediji.

Komunisti ubili 120 talijanskih svećenika

Najdalje su otišli desničarski mediji, poput portala ragionpolitica.it, koji "pumpaju" javnost izjavama da su partizani komunisti ubili 120 talijanskih svećenika, među kojima kao Titovu žrtvu navode don Francesca Bonifacija. Portal, iz pera Vincenza Merla 11. srpnja 2006. godine, objavljuje da je don Bonifacio u svojem zapisu 1946. godine napisao: "Kako prolaze dani? Između razočaranja i straha".


Svećenikovu smrt opisuje gotovo na isti način kao ostali mediji, no dodaje da je bačen u fojbu Martinezi (duboku 180 metara), odnosno Dupci, kako je prema istoimenom zaseoku zovu Hrvati iz Bujštine. I taj autor, dakako, optužuje slavenske komuniste maršala Tita, koji su u jame bacili na tisuće "Istrana i Tršćana, Talijana i također Slavena, fašista i antifašista...".


Međutim, "Avvenire" je još 7. veljače 2006. godine objavio da je don Luigi Rocco, kojega je te 1946. u Grožnjanu posjetio don Bonifacio, izjavio da je svećenik bačen u jamu Martinezi u Grožnjanu, a to je objavilo više tiskovina i portala. I na internetskom blogu Papa Ratzinger prenijeti su članci iz više listova i agencija u kojima se spominje fojba Martinezi kod Buja.

Mogli bismo na pretek nabrajati medije i autore koji se naprosto natječu u objavljivanju laži,  krivotvorina i optužbi koji najmanje služe crkvi.

Da je tomu tako potvtrđuju i brojni dokazi. Prije svega, fojbu Martinezi i žrtve u svojim knjigama i publikacijama o fojbama ne spominju mnogi historičari i publicisti u Italiji, pa čak ni jedan od najvećih krivotvoritelja povijesnih događaja u Istri Luigi Papo, ratni zapovjednik Fašističkog garnizona u istarskom gradiću Motovunu. O pogibiji don Bonifacija u knjizi "Albo d'oro" (Trieste 1995.), koju je potpisao Luigi Papo de Montona, napisao je da su ga Titovi partizani uhitili i sutradan 11. rujna 1946. godine strijeljali.

Poznati istarski svećenik mons. Božo Milanović, autor mnogih knjiga o istarskoj povijesti u kojima je pisao i o počinjenim zločinima nad svećenicima, u knjizi "Istra u dvadesetom stoljeću" (Pazin 1996.), pišući o radu "Zbora svećenika sv. Pavla za Istru", 1946. godine. objavio je da je raspravljeno "o potajno nestalom talijanskom župniku Bonifaciju na Bujštini (...)" dok Ivan Grah, župnik u istarskim mjestima Šišanu i Ližnjanu, u knjizi «Istarska crkva u ratnom vrihoru" (1943.-1945.), koja je izdana u Pazinu 1992., i u kojoj je opisao zločine nad istarskim svećenicima, nigdje ne spominje don Bonifacija.

Međutim, u feljtonu ''Istarski svećenici - ratne i poratne žrtve'' koji je objavio u mjesečniku "Ladonja" u broju od kolovoza 2005. godine, o Francescu Bonifaciju (Piran 1912.-?, 9.1946.) napisao je: "(...) Od 1939. do mučeničke smrti vodio je župu Krasica na Bujštini. Nakon svršetka rata, jugokomunističke vlasti nisu ga podnosile jer je previše ometao njihov ideološki rad. Dana 10. rujna 1946. procurla je vijest da su doznaši na Bujštini sastavili popis mlađih svećenika koje narodna straža mora "likvidirati". Don Bonifacio bio je prvi na popisu, ali je odlučio nastaviti obavljatii svoje svećeničke dužnosti u župi. Već sutradan, 11. rujna, dočekali su ga pred večer kad se pješke vraćao kući iz Grožnjana narodni stražari i, nakon žučljiva razgovora, na silu su ga odveli u nepoznato. Otada mu se zameo svaki trag te se nikad nije saznalo mjesto njegova skončanja (...)".

Ubojstvo i bacanje u fojbu don Bonifacija u svojoj knjizi "Krik iz fojbe" (Rijeka 2008.) ne
spominje književnik, publicist i novinar Giacomo Scotti, jedan od najboljih poznavatelja
te tematike u Hrvatskoj i Italiji. O ubojstvu, odnosno o tomu da su partizani ubili i bacili u jamu don Bonifacija, pitali smo u Savezu antifašističkih boraca Istarske županije u Puli.


- Čim se počelo pisati o tomu da će se beatifikacija don Bonifacija održati u Trstu, kao i o ubojstvu, ustvrdili smo da na popisu žrtava fojbi nema tog svećenika. Nama su iz Saveza antifašističkih boraca Bujštine javili da je svećenik Bonifacije nestao u rujnu 1946. godine, a o ubojstvu i bacanju u jamu nema nikakvih spoznaja, pa su time i počinitelji nepoznati – izjavio je za Javno.com Tomo Ravnić, predsjednik SAB-a Istarske županije, istaknuvši da se nepotrebno baca ljaga na antifašističke borce.

Nakon svega, postavlja se pitanje zašto Vatikan šuti o lažima talijanskih medija i političara da su Titovi partizani 1946. godine bacili u jamu don Francesca Bonifacija? Isto tako, postavlja se pitanje zašto je nadbiskup Angelo Amato, šef Kongregacije za kauze svetih, prihvatio prijedlog beatifikacije u kojoj se navodi da je svećenik Bonifacio bačen u fojbu, kad to nikad nije utvrđeno.


Objavljeno: 26.08.2008. u 09:59h






http://www.gennarocarotenuto.it/3558-il-vaticano-concede-asilo-politico-all’antichavista-venezuelano-nixon-moreno-accusato-di-stupro-e-tentato-omicidio/


Il Venezuela orientato a non concedere il salvacondotto.

Nixon Moreno il 25 Maggio 2006, all’epoca studente dell’Universitá delle Ande (ULA) di Merida, in Venezuela, fu uno dei protagonisti delle violente manifestazioni antigovernative organizzate dall’opposizione antigovernativa.Nel corso degli scontri due agenti, un uomo ed una donna, si ritrovano accerchiati dai dimostranti, uno dei quali ferisce a revolverate l’agente, che cadde a terra.
I dimostranti quindi aggrediscono la donna poliziotto, che nel frattempo aveva cercato di fuggire , ma viene raggiunta da tre rivoltosi che minacciandola con una pistola, la denudano e tentano di violentarla. La donna vittima di questo tentativo di stupro, Sofia Aguilar, descrive con estrema luciditá l’accaduto nel video annesso (in spagnolo), di fonte VTV, Venezolana de Television, ossia la televisone dello Stato Venezuelano.
La poliziotta dichiara, sia nel video che agli investigatori, di aver riconosciuto solo uno dei suoi assalitori, tale Nixon Moreno, leader studentesco di opposizione, identificato anche come il feritore del collega.
La violenza sessuale contro la poliziotta non venne portata a termine soltanto per l’intervento di altri agenti, richiamati dalle grida di una donna, la stessa che ha dato poi una tuta da ginnastica alla poliziotta lasciata nuda a terra.

Sulla base della testimonianza della poliziotta, Nixon Moreno è stato accusato per tentato omicidio e stupro. E’ però riuscito ad evitare l’arresto avendo ottenuto rifugio nella Nunziatura Apostolica di Caracas chiedendo asilo politico al Papa Benedetto XVI.
Si è appreso oggi, che il Vaticano ha concesso asilo politico a Nixon Moreno per ragioni umanitarie.
Va sottolineata l’irritualità per uno Stato sovrano, in questo caso il Vaticano, della concessione di asilo politico ad una persona accusata di gravissimi reati comuni, quali sono appunto il tentato omicido e lo stupro.

Una decisione però abbastanza in linea con il comportamento delle “sacre” gerarchie, da sempre simpatizzanti (in Venezuela, come in Argentina e non solo) per le destre più o meno estreme.

In linea anche con l’esempio del primate del Messico, card. Rivera Carrera, strenuo e coerente patrono di sacerdoti stupratori e pedofili.

(ripreso dal sito www.patriagrande.net)




Quelle sera demain 
la politique internationale des USA ?

MICHEL COLLON

Après Bush, chacun espère un changement ou craint le pire. McCain ou Obama ? Qu'est-ce que cela changera pour l'Irak, l'Afghanistan, la Palestine, l'Afrique, le Caucase, Cuba ou le Venezuela ? Et dans les relations avec les grandes puissances : Europe, Japon, Russie, Chine ?

Nous ne pensons pas que la politique internationale des Etats-Unis se décide à la Maison-Blanche. En fait, l'élite US est actuellement hésitante sur la stratégie à suivre dans les prochaines années. Ce texte analyse les deux options qui s'offrent à elle. La crise économique rend la question encore plus brûlante: comment les Etats-Unis s'y prendront-ils pour rester la superpuissance qui domine le monde ?

Ce texte est extrait de notre livre Les 7 péchés d'Hugo Chavez (chapitre 11 : Les Etats-Unis, l'or noir et les guerres de demain) à paraître prochainement. Dans les pages qui précèdent, ont été expliquées les raisons de l'ascension, puis du déclin des Etats-Unis. Investig'Action a jugé urgent de publier déjà cet extrait pour éclairer les débats en cours sur les élections aux USA...

L'échec de Bush

Quel bilan peut-on tirer de cette guerre globale menée par l'administration Bush à partir du 11 septembre ? Négatif. Pratiquement partout...

En Afghanistan et en Irak, les Etats-Unis ont déclenché deux guerres qu'ils ont été incapables de gagner et qu'ils ne gagneront jamais. Bush aurait bien voulu en déclencher une troisième contre l'Iran, mais trop affaibli, il a dû y renoncer. Le but de cette guerre était d'assurer à Washington le contrôle du pétrole. En cinq ans, il a grimpé de 25 dollars à plus de 100 dollars, avec des conséquences très négatives pour l'économie US et mondiale.
En Amérique du Sud, les Etats-Unis ont perdu, entièrement ou partiellement, le contrôle de presque toutes leurs colonies : Venezuela, Bolivie, Equateur, Uruguay, Paraguay, Argentine et Brésil. Ne leur restent, à l'heure où nous écrivons ces lignes, que le Pérou, le Chili et la Colombie. 
En Afrique aussi, la résistance a marqué des points. Le Congo de Kabila a refusé de se mettre à genoux. Et quand Washington a cherché un endroit pour installer le centre de son nouveau commandement militaire Africom, tous les pays ont poliment refusé. Il a finalement fallu se rabattre sur le Maroc, au prix de certaines concessions financières.

De même, en Asie du Sud, un groupe de stratèges US s'inquiétait récemment de la montée des résistances dans toute la région et proposait de renforcer la 'capacité de projection' des Etats-Unis en Asie du Sud. Dans leur jargon, ça veut dire les moyens d'organiser des débarquements militaires, des bombardements ou des coups d'Etat soutenus. Mais il s'empressait de signaler qu'en raison de l'impopularité des Etats-Unis dans cette région, il serait impossible de trouver un pays pouvant accueillir le siège de cette force US. (1)

Même chez les alliés européens, la politique de Bush a provoqué des résistances. Ainsi, au sommet de l'Otan à Bucarest, en avril, George Bush a réclamé une nouvelle expansion pour intégrer cette fois l'Ukraine et la Géorgie, deux pistolets braqués sur la Russie. Mais il a essuyé un refus, ferme et public, de l'Allemagne, de la France, de l'Espagne, de l'Italie, de la Belgique, de la Hollande et du Luxembourg, peu désireux de se fâcher avec Moscou qui fournit leur gazSteve Erlanger et Steven Lee Myers, deux analystes proches du Pentagone, y ont vu « un échec notable de la politique des Etats-Unis dans une alliance normalement dominée par Washington » (2). 

En Russie justement, le ton monte. Moscou refuse l'installation sur le continent européen des armes que les Etats-Unis appellent un bouclier antimissile : « Si une partie du potentiel nucléaire des Etats-Unis est en Europe (...), nous devrons avoir des cibles en Europe » (3). D'ailleurs, en mai 2008, la Russie a testé un nouveau missile intercontinental à têtes multiples, « en réponse aux actes unilatéraux et infondés de nos partenaires », a déclaré Poutine. Washington certifie pourtant que le bouclier antimissile n'est pas dirigé contre la Russie, mais seulement contre des Etats comme l'Iran. Mais Poutine rétorque : « Aucun missile iranien n'a de portée suffisante. Il devient alors évident que cette nouveauté nous concerne aussi nous, Russes. » (4).

Tout comme la Russie, la Chine n'a pas reculé non plus devant les multiples campagnes et pressions organisées par Washington.

L'élite US se divise

Il y a dix ans, Zbigniew Brzezinski, ancien conseiller du président Carter et stratège le plus important des Etats-Unis, publiait Le Grand Echiquier, sorte de mode d'emploi du « Comment rester la seule superpuissance dominant le monde » (5) . Il y expliquait, avec la brutalité de quelqu'un qui n'est plus aux affaires, que Washington devait absolument affaiblir ses rivaux : Russie, Chine, mais aussi Europe et Japon, et les empêcher de s'allier entre eux. Diviser pour régner.

Aujourd'hui, quel est le bulletin de George Bush, sur base des critères définis par Brzezinski ? A-t-il réussi à affaiblir les grandes puissances rivales ? Disons : mention assez bien en ce qui concerne le Japon, assez bien (pour l'instant) en ce qui concerne l'U.E., mais mauvais en ce qui concerne la Russie, et très mauvais en ce qui concerne la Chine.

Globalement, Bush a provoqué tant de résistances que la domination des Etats-Unis s'est affaiblie. Les secteurs qui l'avaient porté au pouvoir - armement, pétrole, automobile, défense, compagnies pharmaceutiques - constatent que les guerres de Bush n'ont apporté ni de grands profits, ni de nouvelles zones d'exploitation. En fait, elles ont coûté davantage qu'elles n'ont rapporté. Et l'administration Bush s'est révélée être un petit cercle restreint, pensant beaucoup à s'en mettre personnellement plein les poches, mais incapables de finesse tactique et de réelle vision à long terme.

Une fois l'échec devenu évident, les divisions se sont exacerbées au sein de l'élite US, et même de l'administration Bush. A partir de 2006, les néocons ont dû céder du terrain. Ils ont dû accepter le remplacement du ministre de la Guerre, Donald Rumsfeld, par Robert Gates, un homme de la Trilatérale et de la tendance Brzezinski. Le nouveau ministre a en quelque sorte admis la faiblesse du militarisme US dans un discours prononcé devant les élèves de l'Académie militaire de West Point : « Ne combattez pas à moins d'y être obligés. Ne combattez jamais seuls. Et ne combattez jamais longtemps. » (6). Puis, la commission bipartisane Baker - Hamilton a condamné la tentative de Bush de remodeler le 'Grand Moyen-Orient' comme étant irréaliste et elle a prôné au contraire une approche plus tactique envers la Syrie et l'Iran.

Même au sein des services secrets et de l'Armée, plusieurs frondes se sont déclenchées. En décembre 2007, lorsque Bush a voulu préparer une attaque contre l'Iran sous le classique prétexte des armes de destruction massive, seize services de renseignement US ont surpris tout le monde en publiant un rapport qui constatait que l'Iran avait suspendu son programme nucléaire militaire depuis au moins 2003.

« Le déclin des Etats-Unis est inévitable »
(Zbigniew Brzezinski)


Dans son livre, Brzezinski proposait une stratégie agressive et machiavélique pour sauver l'Empire US. Mais lui-même, croit-il que ça marchera ? Aussi surprenant que ça paraisse, la réponse est : Non.

« A long terme, la politique globale est vouée à devenir de moins en moins propice à la concentration d'un pouvoir hégémonique dans les mains d'un seul Etat. L'Amérique n'est donc pas seulement la première superpuissance globale, ce sera très probablement la dernière. » (p. 267)
La raison tient dans l'évolution de l'économie : « Le pouvoir économique risque aussi de se disperser. Dans les prochaines années, aucun pays ne sera susceptible d'atteindre 30% environ du PIB mondial, chiffre que les Etats-Unis ont maintenu pendant la plus grande partie du 20ème siècle, sans parler de la barre des 50% qu'ils ont atteinte en 1945. Selon certaines estimations, l'Amérique pourrait encore détenir 20% du PIB mondial à la fin de cette décennie pour retomber à 10-15% d'ici l'an 2020, tandis que les chiffres d'autres puissances - l'Europe, la Chine, le Japon - augmenteraient pour égaler approximativement le niveau des Etats-Unis. (...) Une fois que le déclin du leadership américain sera amorcé, la suprématie dont jouit aujourd'hui l'Amérique ne pourra être assurée par aucun Etat isolé. » (p. 267-8)

« Une fois que le déclin du leadership américain sera amorcé ». Brzezinski ne parle donc pas d'une possibilité, mais d'une certitude. Il écrit cela en 1997. Aujourd'hui, il est devenu clair que le déclin est bel et bien amorcé. Le monde devient multipolaire.

Mais peut-être Brzezinski est-il un pessimiste isolé ? Peut-être que les néocons qui ont inspiré Bush sont plus 'optimistes', si l'on ose employer ce mot ? Eh bien, en fait, pas beaucoup plus. Dans le texte fondateur de toute la politique de l'administration, le Project for a New American Century (PNAC), rédigé en 1992 par Paul Wolfowitz et ses amis, on trouve évidemment toute l'idéologie de la nouvelle croisade militariste, mais aussi une remarque qui attire l'attention : « Actuellement, les Etats-Unis ne rencontrent aucun rival mondial. La grande stratégie de l'Amérique doit viser à préserver et étendre cette position avantageuse aussi longtemps que possible (...) Préserver cette situation stratégique désirable dans laquelle les Etats-Unis se trouvent maintenant exige des capacités militaires prédominantes au niveau mondial. » (7).

« Aussi longtemps que possible ». Ici aussi, donc, on ne croit pas qu'il sera possible pour les Etats-Unis de rester éternellement les maîtres du monde. Voilà bien un grand paradoxe. Le moment entier craint les Etats-Unis. Mais les dirigeants US, eux, savent qu'ils sont aux commandes du Titanic. Et pour sauver l'Empire autant que possible, ils sont partagés entre deux options...

Deux options pour sauver l'Empire

Quelle sera la politique internationale des Etats-Unis dans les années qui viennent ? Le choix de tel ou tel président est certes une indication. Mais pas décisive. 
Rappelons que, durant la campagne présidentielle de 2000, George Bush avait promis une politique internationale beaucoup plus humble et moins interventionniste que son prédécesseur ! Tandis que l'autre candidat, Al Gore, avait proposé un budget militaire plus élevé que celui de Bush. Nous pensons que les grandes orientations de politique internationale ne sont pas décidées par les présidents, mais par les multinationales. En fonction de leurs besoins du moment et de leur évaluation du rapport de forces mondial.

Et justement, après le bilan d'échec des années Bush que nous venons de décrire, l'élite US apparaît assez divisée sur la marche à suivre. Comment se sortir de cette situation délicate ?

La première option possible, c'est l'option militariste. Les néocons de Bush l'ont incarné ces dernières années avec la stratégie Wolfowitz. L'agression et l'intimidation comme stratégie générale. Multiplier les guerres, gonfler au maximum les commandes au complexe militaro-industriel pour tirer la croissance et la domination des multinationales US, pour intimider aussi les alliés et les rivaux. 

L'autre option, c'est celle défendue par Brzezinski et qu'il aime à appeler 'soft power' (le pouvoir en douceur). D'autres parlent d'un 'impérialisme intelligent'. En fait, il s'agit de réaliser les mêmes objectifs des Etats-Unis, mais par des formes de violence moins directes, moins visibles. En comptant moins sur les interventions militaires US, très coûteuses, et davantage sur les services secrets, les manoeuvres de déstabilisation, les guerres par pays interposés, et sur la corruption aussi...

Cinq généraux de l'Otan préparent un gouvernement mondial...

La première option consiste à militariser encore davantage la vie politique et à multiplier les guerres. Bush au carré.

En janvier 2008, cinq ex-généraux de l'Otan ont présenté un document préparatoire à une rencontre au sommet de l'OTAN à Bucarest (8). Leurs propositions révèlent une tendance absolument effrayante. Et ce qui donne beaucoup de poids à leur document, c'est que tous exerçaient, jusqu'il y a peu, des fonctions au plus haut niveau. Le général John Shalikashvili était chef de l'état-major US et commandant en chef de l'Otan en Europe, le général Klaus Naumann dirigeait l'armée allemande et présidait le comité militaire de l'Otan en Europe, le général Henk van den Breemen était chef de l'état-major hollandais, les mêmes fonctions étant occupées en France par l'amiral Jacques Lanxade tandis que Lord Inge dirigeait l'état-major et le service de la Défense en Grande-Bretagne. Rien que des grosses pointures. Et très agressives, comme nous allons le voir...

Page 6 : « [Les auteurs] proposent des pistes sur la façon de surmonter une rivalité possible avec l'UE et de permettre à l'OTAN d'accéder à des instruments non militaires. » Deux remarques. 1. En fait, cette rivalité n'est pas seulement possible, elle est tout à fait réelle. Dans quel sens voudront-ils la surmonter ? 2. Que signifie pour l'Otan « accéder à des instruments non militaires » ? S'agit-il d'obtenir une emprise plus forte sur la vie civile des sociétés occidentales ?

Page 7 : « Afin d'initier le processus, ils proposent d'établir un directorat réunissant les Etats Unis, l'UE et l'OTAN. Il aurait pour mission de coordonner toutes les opérations dans la sphère atlantique. » Un super - gouvernement mondial, donc. Pour réaliser quels objectifs ?

Les Cinq nous l'expliquent page 42 : « Ce qui attend les alliés occidentaux, c'est la défense proactive, soutenue sur le long terme de leurs sociétés et de leur mode de vie. » 'Défendre notre mode de vie' fut déjà un argument employé par le père Bush pour déclencher la première guerre contre l'Irak. En fait, 'mode de vie' est une façon hypocrite de désigner la domination des multinationales sur la vie économique. Domination qui a pour effet de maintenir la moitié de l'humanité dans la pauvreté. Le but des Cinq, est bien d'employer les moyens militaires pour maintenir le fossé riches - pauvres. Pour qui en douterait, on précise page 92 : « Les objectifs de notre stratégie sont de préserver la paix, nos valeurs, le libéralisme économique et la stabilité. »

Préserver la stabilité des multinationales, donc. Et contre quel ennemi ? Les auteurs fournissent quelques exemples de ce qu'il ne faut pas tolérer dans le tiers monde. Page 52 : « Nous avons des exemples moins importants d'aide non souhaitable : du Venezuela au régime cubain ». Le gendarme mondial s'arroge le droit d'intervenir partout contre tout pays posant des actes qui déplaisent aux multinationales.

Mais parmi tous les indésirables, quel est l'ennemi principal ? La réponse vient page 44 : « La Chine est en mesure de faire grand tort aux économies US et mondiale en s'appuyant sur ses énormes réserves en dollars. » Et page 52 : « La Chine est en mesure d'utiliser l'arme de la finance pour s'imposer en Afrique et acquiert la capacité de l'utiliser à beaucoup plus grande échelle - si tel est son choix. » 

Voici donc les bons et les méchants bien définis. Le libéralisme a besoin de l'Otan pour s'imposer au monde entier. Et pour mener cette guerre économique, de quels moyens l'Otan devrait-elle disposer ?

Le droit international et l'ONU jetés par-dessus bord

En fait, les cinq généraux se sentent frustrés. Page 76 : « L'un des principaux problèmes dans la conception stratégique actuelle de l'alliance atlantique est que ses actions restent essentiellement réactives plutôt que préventives, et sont limitées à des moyens militaires. » Page 91 : « Or une stratégie ambitieuse doit comprendre l'utilisation bien intégrée de tous les leviers disponibles, qu'ils soient politiques, économiques, militaires, culturels, sociaux, moraux, spirituels ou psychologiques. »

Nous y voilà ! La Bande des Cinq entend déborder de ses tâches militaires et exercer une emprise sur le fonctionnement de la société civile. Au moins, le droit sera-t-il respecté par ce nouveau gouvernement mondial ? On en doute fortement... Pages 94-95 : « Un autre principe à respecter est la légalité. Toute action doit être légitime, autorisée et respecter le droit international. Voilà qui peut représenter un handicap considérable lorsque l'adversaire n'a aucun respect pour quelque loi que ce soit, mais agir différemment signifierait en fin de compte appliquer la loi de la jungle et miner notre propre crédibilité. Pourtant ce principe n'empêche pas qu'il faille adapter le droit international existant à un contexte international en constante évolution... » 

Dans cette citation, les premières phrases servent de pommade, le véritable contenu vient à la fin : 'adapter' le droit signifie en réalité le violer, nier les principes proclamés jusqu'à présent. Après Abou Ghraib, Guantanamo, la torture, les assassinats de chefs d'Etat, les vols clandestins et les prisons secrètes de la CIA, nous propose-t-on de combattre ces violations du droit ? Non, on propose de les légaliser en 'adaptant' le droit.

Il faut rappeler que déjà les deux guerres contre l'Irak et celle contre la Yougoslavie ont violé le droit international, la charte de l'ONU et même la propre Charte de l'Otan. Mais, précisément, c'est de la légalité internationale que les Cinq veulent se débarrasser. Page 104-105 : « L'approbation des Nations - Unies peut ne pas être nécessaire selon l'article 51 de la Charte des Nations - Unies (légitime défense) et il est peut-être possible d'y renoncer au terme de la Convention sur le génocide. »

« Vive la guerre préventive » ! Même nucléaire.

On sera d'autant plus inquiet en lisant page 96 : « Ce qu'il nous faut, c'est une forme de dissuasion par refus proactif, où la préemption est une forme de réaction en cas de menace imminente et la prévention une tentative pour reprendre l'initiative et mettre fin au conflit. »

'Défense proactive', dans le jargon des militaires, désigne la guerre préventive bien que celle-ci soit interdite par le droit international. Ce terme revient sans cesse dans le document des Cinq. George W. Bush avait déjà invoqué une 'guerre préventive' contre le terrorisme. Comme Hitler en son temps. Car les agresseurs se réfugient souvent le prétexte de prévenir un danger. En réalité, le droit international a toujours interdit explicitement les guerres prétendument préventives. Mais les craintes ne s'arrêtent pas là...

Page 94 : « A première vue, l'arme nucléaire peut sembler disproportionnée; mais si l'on tient compte des dommages qu'elle prévient, il est possible qu'elle soit raisonnable. » Ici, éclate toute l'immoralité des cinq bandits. La guerre nucléaire est une atrocité et l'humanité n'a cessé de réclamer le démantèlement de ces armes de destruction massive. Voici qu'on prétend les justifier. Avec une hypocrisie qui ne peut tromper personne : 'prévenir des dommages'. Totalement flou et sans doute raciste : la vie des peuples adversaires ne vaut rien.


La vérité est que ces généraux criminels, constatant que les bombardements classiques ne suffisent pas à briser les résistances, et que les guerres terrestres sont coûteuses et périlleuses pour les envahisseurs, ces généraux criminels avancent l'arme nucléaire comme solution au problème d'hégémonie mondiale des multinationales.

« Préparer les esprits »

On le voit, la marchandise que la Bande des Cinq prétend nous vendre est totalement pourrie et avariée. C'est pourquoi, prévoyants, ils comptent travailler l'opinion par des campagnes de propagande à long terme. Page 104 : « Ces mesures doivent s'accompagner d'efforts proactifs et coordonnés de communication dans les médias (...) Par ailleurs, cette campagne médiatique pourrait préparer les esprits à une intervention armée. » 

'Préparer les esprits' ! Bien sûr, ce n'est pas nouveau... Tirant le bilan de la guerre contre la Yougoslavie (en 1999), qui fut le festival le plus réussi de la désinformation organisée, un général de l'Otan avouait, après la guerre, que de fausses informations avaient été systématiquement balancées, tandis que les informations gênantes étaient écartées ou marginalisées pour « anesthésier les opinions ». Il résumait ainsi la philosophie de l'Otan : « L'opinion, ça se travaille, comme le reste. » (9). A chaque guerre, d'ailleurs, les généraux occidentaux engagent des spin doctors, c'est-à-dire des agents publicitaires pour vendre leur guerre et manipuler l'opinion. Mais cette fois, on va beaucoup plus loin, il s'agit de toute une campagne à long terme pour conditionner l'opinion...

Page 129 : « Il faut par conséquent que l'OTAN développe une stratégie d'information qui doit servir trois objectifs simultanément. Elle doit persuader le monde que l'OTAN est une force du bien. Elle doit se déployer avant que les adversaires commencent à répandre leurs informations, c'est-à-dire que l'OTAN doit imposer sa domination en matière de relations publiques. Elle doit gagner le coeur et l'esprit des habitants des pays de l'OTAN (à la justesse de l'attitude de l'alliance atlantique) mais aussi des populations dans les pays où se passe l'intervention armée. »

« Imposer sa domination en matière de relations publiques ». L'information est conçue comme une guerre qui se gagne en éliminant les forces de l'adversaire. Il ne s'agit pas ici d'accusations gratuites : l'armée US a bombardé et emprisonné des journalistes d'Al-Jazeera, l'Otan a bombardé la télévision de Belgrade (17 tués), le Pentagone a préparé des plans pour éliminer les informations gênantes sur Internet dont le caractère démocratique dérange considérablement.

Un plan de dictature mondiale

Au début de leur document, les cinq généraux annonçaient « des pistes pour surmonter une rivalité avec l'U.E. » Comment vont-ils s'y prendre ? En fait, ils utilisent le cadre de l'Otan pour organiser la soumission de l'U.E. aux volontés de Washington...

Page 137 : « Nous considérons que les forces multinationales sont la clé d'une modernisation rapide et peu onéreuse des forces de l'OTAN, mais nous soulignons que cette option n'est possible que si les Etats membres acceptent sans restriction que ces forces seront à la disposition de l'OTAN pour toute opération autorisée par le Conseil de l'OTAN. » Traduction : on obligera les armées européennes à obéir aux décisions de l'Otan (actuellement, l'unanimité est requise). 

Le plan des Cinq procure trois avantages aux Etats-Unis : 1. Intégrer des forces européennes dans leurs guerres. 2. Reporter les coûts sur les alliés. 3. Partager aussi l'impopularité.

Le caractère antidémocratique des Cinq se manifeste clairement page 139 : « Nous choisissons de ne pas formuler nos propositions pour la réforme de l'UE de façon aussi détaillée que pour l'OTAN, et ceci pour deux raisons : tout d'abord un nouveau traité qui vient remplacer la 'constitution' désormais condamnée est actuellement adopté en douce, de façon à éviter de consulter les populations. »

Leur plan vise bien à rendre impossible toute opposition. Page 144 : « Afin d'éliminer toute source d'irritation, il pourrait être décidé que c'est toujours d'abord au sein de l'OTAN qu'un point sera traité et que les membres de l'OTAN qui sont aussi membres de l'UE s'engagent à ne pas s'écarter du vote posé à l'OTAN quand le point est abordé dans des instances européennes. » Donc, une fois que l'Otan aura décidé, un pays européen n'aura plus le droit de s'opposer.

En conclusion, ce plan de la Bande des Cinq, préparé par des gens qui ont été au sommet du pouvoir militaire mondial, indique une tendance significative dans cette élite. Leur plan de super - gouvernement mondial à trois (dominé en réalité par les Etats-Unis) jetterait à la poubelle tout vestige du droit international, légitimerait la guerre préventive et les armes nucléaires, organiserait la manipulation systématique des opinions. C'est un plan de nature fasciste.
Voilà une des deux options auxquelles l'élite des Etats-Unis pense actuellement pour résoudre ses problèmes. L'autre est incarnée notamment par Zbigniew Brzezinski dont nous avons parlé plus haut...

« L'impérialisme intelligent » ?

Les stratèges militaires US distinguent trois types de guerres qu'ils peuvent déclencher : 1. Les guerres de haute intensité. Il s'agit des affrontements entre grandes puissances du type des deux guerres mondiales. 2. Les guerres de moyenne intensité. Elles comportent aussi un engagement militaire US direct mais contre des puissances beaucoup plus faibles. Comme l'Irak ou la Yougoslavie. 3. Les guerres de basse intensité. Elles ne comportent pas d'engagement militaire direct des Etats-Unis. Ceux-ci s'arrangent pour se faire battre les autres. Ils provoquent des conflits entre pays voisins, ou à travers des mouvements paramilitaires ou terroristes.

Trompeur, le terme 'basse intensité' peut donner l'impression que les dégâts sont moindres. En réalité, ils ne sont moindres que pour les Etats-Unis. Ainsi, la guerre dite de 'basse intensité' que Washington a déclenchée contre le Congo (à travers les armées du Rwanda et de l'Ouganda voisins, et diverses milices) a fait cinq millions de morts et elle a paralysé le développement du Congo.

La stratégie Brzezinski, à la différence de Bush, privilégie ces guerres de basse intensité. Elle n'est donc nullement plus morale, mais se veut juste plus intelligente.

Mais Brzezinski propose aussi de recourir à d'autres formes d'intervention. Souvent, on ne pense qu'à la forme la le plus visible de l'agression : l'intervention militaire des Etats-Unis. En réalité, ils disposent de toute une panoplie. Si on veut établir une typologie complète, dans l'ordre d'intensité, on doit compter les formes suivantes : 1. Corruptions des dirigeants locaux. 2. Chantages sur ces dirigeants locaux. 3. Campagnes médiatiques de diabolisation. 4. Déstabilisations diverses. 5. Embargos et blocus commerciaux. 6. Coups d'Etat. 7. Provocations de séparatismes. 8. Guerres par intermédiaires. 9. Bombardements. 10. Occupations terrestres. Toute une gamme de méthodes, on le voit, et qui peuvent évidemment se combiner, mais qui constituent toutes des agressions.
Bien sûr, tous les gouvernements US recourent à l'ensemble de ces méthodes, et pas seulement à certaines. Mais le dosage et les financements diffèrent.

Après les crimes commis par Bush, on pourrait être tenté de se réjouir de voir un changement de méthodes. En réalité, si Washington décide de changer ses tactiques, il ne s'agira pas de pacifisme, mais seulement de rendre la brutalité moins visible. Il faut rappeler que Brzezinski, c'est l'homme qui a financé ben Laden en Afghanistan pour piéger l'Union soviétique dans une guerre de longue durée, coûteuse et briser son alliance avec le monde musulman. Brzezinski est très fier de son succès et ne manque pas une occasion de le rappeler.

Si les Etats-Unis décident d'appliquer la stratégie Brzezinski, il y aura sans doute moins de guerres directes. Et elles se feront le plus possible en concertation avec les alliés. Ce qui permettra également de mieux soigner l'image médiatique et la manipulation de l'opinion. 
Et surtout, en faisant travailler davantage la CIA, on s'efforcera de remplacer les guerres menées directement par les Etats-Unis par des guerres 'indirectes'. Faire se battre des pays voisins en soutenant 'le bon' sous toutes sortes de bons prétextes. Ce fut la méthode employée avec succès par Clinton contre la Yougoslavie. 

La méthode Brzezinski présente deux avantages pour les Etats-Unis : 1. Elle leur redonne un aspect plus présentable, pour rétablir leur autorité morale. 2. En versant moins d'argent au complexe militaro-industriel, elle permet d'aider davantage l'économie US pour renforcer sa position concurrentielle face à l'Europe, la Chine, l'Inde, etc... 

Pour économiser sur les guerres, la stratégie Brzezinski recourt davantage aux chantages et aussi à l'action clandestine. Les chantages peuvent passer, notamment, par l'utilisation des instruments du contrôle économique global comme la Banque Mondiale, le FMI et l'OMC. Institutions multilatérales mais dominées par les Etats-Unis et permettant de dicter leurs volontés au tiers monde d'une manière apparemment plus objective. Mais ce ne sera pas facile car la Banque Mondiale et le FMI ont accumulé tant de haines là où ils sont passés que les pays ont cherché des alternatives. L'idée d'une Banque du Sud, lancée par Chavez, fait son chemin...

L'action clandestine, c'est-à-dire la CIA, devrait aussi être utilisée davantage. Elle permet de se débarrasser des gouvernements gênants avec des investissements bien moindres.

Voilà pourquoi les tenants de la stratégie de Brzezinski se définissent comme partisans d'un 'soft power' ou 'impérialisme intelligent'. Le danger, avec ce soft power, serait que la gauche se réjouisse d'être débarrassé de Bush et diminue sa vigilance parce qu'il y aurait - pendant un certain temps - moins de guerres directes. De sorte que le mouvement anti-guerre international, qui connaît une crise évidente, riposterait encore moins face aux stratégies plus discrètes de l'Empire. 

De toute façon, cet Empire ne deviendra pas pacifique. Tôt ou tard, il relancera des guerres à la Bush. Parce qu'en fait, l'élite US pratique un cycle d'alternance entre les deux options...

Les présidents passent,
les multinationales restent


Elles ne sont pas nouvelles, ces deux options, militariste ou 'intelligente'. Et il ne s'agit pas d'une opposition entre républicains et démocrates. Parce que ces deux partis ne représentent pas 'la guerre' et 'la paix', mais seulement des électorats différents, et des tactiques différentes, et toujours au services des multinationales. Ainsi, ce n'est pas un républicain, mais bien un démocrate, Harry Truman, qui a déclenché la guerre en 1950 contre la Corée et la Chine. Ce n'est pas un républicain, mais bien un démocrate, John Kennedy, qui a commencé la guerre contre le Vietnam en 1961.

Et ce n'est pas non plus un vote populaire contre un vote bourgeois. Les multinationales US financent toujours les deux candidats, plaçant leurs oeufs dans les deux paniers. Mais on peut juger leurs préférences aux montants versés. Au début des années 90, les multinationales investissent des deux côtés, mais privilégient Clinton et les démocrates à 58 %. A partir de 1996, au contraire, elles misent sur les républicains à 67 %. Aux présidentielles de 2000, c'est Bush qui est financé massivement. Et déclaré élu bien que le scrutin ait désigné son rival Gore. Par contre, à la présidentielle de 2008, les multinationales changent à nouveau de côté et financent davantage Obama que son rival McCain.

De toute façon, le même président peut changer de politique. Après la chute de l'URSS et la fin de la guerre froide, Bill Clinton a d'abord baissé les budgets militaires et les commandes au complexe militaro-industriel dans l'espoir de relancer la machine économique US en général. Mais, bien que la décision soit passée quasiment inaperçue, le même Clinton, en fin de mandat, a effectué un virage : « Le budget militaire des Etats-Unis doit augmenter de 70 % » (10) Ce qui confirme ce qui a été dit plus haut : les grandes décisions politiques ne dépendent pas du caractère de tel ou tel président, mais bien de stratégies décidées plus haut. Les présidents passent, les multinationales restent.

La politique US alterne les méthodes

Donc, on parlera plutôt d'une alternance dans la politique des Etats-Unis. Après chaque grand revers, on constate un retour, temporaire, au 'soft power'. 
Après la défaite du Vietnam et la réprobation morale envers les dictatures installées par Washington en Amérique latine, les multinationales US ont porté à la présidence le gentil pasteur Jimmy Carter avec de merveilleux discours sur les droits de l'homme. Après la guerre froide et la première guerre contre l'Irak, le président Clinton s'est efforcé d'embarquer les Européens dans ses guerres et il a soigné la présentation médiatique.
En fait, pour essayer de résoudre ses problèmes, la bourgeoisie US a constamment hésité entre les deux options. Ou plutôt, elle les a alternées : un peu plus de bâton, un peu plus de carotte. Mais ses choix deviennent de plus en plus difficiles. Car aucune méthode ne résout vraiment les problèmes. 

A présent, après le désastreux bilan de Bush, cette bourgeoisie US hésite entre les deux options. Ou bien la fuite en avant, c'est-à-dire la guerre tous azimuts. Ou bien un repli tactique, reculer pour mieux sauter et réorganiser les méthodes d'action. La question n'est pas tant de savoir quel président elle choisit, mais bien quelle stratégie. 

De toute façon, on n'est pas certain que la stratégie Brzezinski soit, au final, moins brutale que celle de Bush. Il est vrai qu'en 2008, il a critiqué publiquement le président en disant qu'il était stupide de vouloir attaquer l'Iran, parce qu'il ne pouvait pas gagner et qu'une guerre serait nuisible à la situation d'Israël, au prix du pétrole, et donc à l'économie US. Mais certains analystes pensent que Brzezinski veut ménager l'Iran parce qu'il espère retourner ce pays et le faire participer un jour à un encerclement de la Russie. Voilà la puissance qui reste la bête noire, l'obsession de l'auteur du Grand Echiquier. Certains pensent que Brzezinski vise toujours à encercler et affaiblir complètement la Russie, quitte à en découdre avec elle. Sans oublier la Chine, devenue manifestement une cible majeure. Dans cette hypothèse, le soft power se transformerait en une apocalypse now

Leurs solutions aggravent le problème

Que la bourgeoisie US soit divisée sur la ligne à suivre, découle du fait que les Etats-Unis ne sont finalement pas si puissants qu'on le croit. Ni sur le plan économique, ni sur le plan militaire. A chaque fois que les dirigeants des Etats-Unis ont cru avoir trouvé une solution, il s'est avéré après un certain temps que cette solution aggravait le mal. 

Par exemple, dans les années 80, pour échapper à la récession, les multinationales US ont foncé sur l'Amérique latine et d'autres régions du tiers monde, faisant main basse sur leurs matières premières, leurs entreprises, leurs marchés. Mais comme cette offensive néolibérale a tellement appauvri ces pays, elle a provoqué des catastrophes économiques, donc des résistances de plus en plus fortes et l'Amérique latine a viré à gauche. A partir de 1989, Washington a déclenché une guerre globale pour s'assurer le contrôle absolu du pétrole. Mais le pétrole lui a échappé de plus en plus. A partir de 2001, Bush a déclenché sa guerre contre le prétendu Axe du Mal, mais il n'a réussi qu'à renforcer les résistances dans toutes les régions.

Les Etats-Unis paraissent très forts, mais le sont-ils vraiment ? Avec tous leurs dollars, toutes leurs technologies et tous leurs crimes, ils ont perdu la guerre de Corée (1950) et celle du Vietnam (1961-1975), ils ont dû se replier du Liban (1982) et de la Somalie (1993), ils n'auraient sans doute pas gagné en Yougoslavie (1999) si le président Milosevic avait accepté les combats terrestres, et ils ont d'ores et déjà perdu en Irak et en Afghanistan, même s'ils ne le reconnaissent pas encore. Ne sont-ils pas, effectivement, comme on dit, un 'tigre en papier' ? Sur le long terme, les peuples qui défendent leurs richesses et leur avenir, ne sont-ils pas plus forts que les dollars et les missiles ?

Les Etats-Unis ont beau dépenser à eux seuls plus que toutes les autres nations du monde ensemble pour les budgets militaires, cela ne réussit plus à leur assurer la suprématie mondiale. Ils sont eux-mêmes victimes, si l'on peut dire, de leur contradiction fondamentale : tout ce qu'ils font s'oppose aux intérêts de l'immense majorité des habitants de cette planète, ils créent donc eux-mêmes la force qui les abattra. 

Une armée ne peut pas être plus forte que l'économie qui la finance. Et la faiblesse fondamentale qui empêchera les dirigeants US d'atteindre leur but, c'est que l'économie US scie la branche sur laquelle est assise. En sous-payant ses travailleurs, en délocalisant une partie de sa production, en ruinant les pays du tiers monde qui devraient être ses partenaires, elle ne cesse d'appauvrir ceux à qui elle est censée vendre.
Ce problème, aucune des deux options, ni la militariste, ni l' 'intelligente' ne pourra le résoudre. Les militaristes augmentent les dépenses et les résistances. Les 'intelligents', s'ils diminuent la terreur diffusée par la guerre directe, encouragent aussi la résistance. 

Quelle que soit la tactique choisie, les Etats-Unis continueront à porter la guerre partout dans le monde. Pour imposer leur système économique et leurs intérêts. Il est urgent de recréer un puissant mouvement pour la paix et la souveraineté des peuples.

MICHEL COLLON
1er septembre 2008



SOURCES :
(1) John E. Peters, etc, War and escalation in South Asia, www.rand.org/pubs/monographs/2006/RAND_MG367-1.sum.pdf
(2) New York Times, 3 avril 2008.
(3) Le Monde, AFP, Reuters, Le Figaro, 21 avril 2008 
(4) Corriere della sera, 21 avril 2008.
(5) Michel Collon, Monopoly, EPO, Bruxelles, 2000. Epuisé, voir copie gratuite à :
Brzezinski
(6) Le Soir (Belgique), 23 avril 2008.
(7) Project for a New American Century (PNAC), Rebuilding America's Defenses, septembre 2000.
(8) Towards a grand strategy for an uncertain world, German Marshall Fund of the United States, www.gmfus.org/event/detail.cfm?parent_type=E&id=451
(9) Nouvel Observateur (France), 1er juillet 1999.
(10) Clinton Remarks on US Foreign Policy, 26 février 1999.



Les liens entre l'économie et la guerre sont analysés dans le livre "Bush le cyclone" :
Bush le cyclone
Ce livre répond notamment à la question "Qui commande à Bush ?" Et donc au prochain président.

Ces questions seront aussi abordées dans le prochain séminaire organisé par Investig'Action les 8 et 9 novembre. 
Infos : 
magali.investigaction@...

D'autres articles sur la politique internationale des Etats-Unis, 
la Russie, la Chine, l'UE, l'Irak, l'Afghanistan, Brzezinski, Obama... 


(srpskohrvatski / english / italiano)

Solidarietà con la sinistra basca

1) Madrid mette al bando due partiti della sinistra basca.  Cosa hanno da dire i progressisti e le sinistre europee?
Comunicato della Rete dei Comunisti
2) U POSETI SKOJ-u BORAVILA DELEGACIJA MLADIH BASKIJSKIH KOMUNISTA / Delegation from Basque visit SKOJ / DELEGAZIONE DAI PAESI BASCHI IN VISITA ALLA SKOJ


=== 1 ===

Madrid mette al bando due partiti della sinistra basca.  Cosa hanno da dire i progressisti e le sinistre europee?
 
comunicato della Rete dei Comunisti
 
Nel più completo silenzio delle forze politiche ‘progressiste’ iberiche ed europee, la magistratura spagnola e il governo di Madrid sono tornati a violare nella maniera più netta ogni regola democratica.
Il 16 settembre scorso il tribunale speciale ereditato direttamente dal franchismo ha deciso la messa al bando di Azione Nazionalista Basca (ANV) perché rappresenterebbe una copertura, una mascheratura di Batasuna, forza politica già illegalizzata anni fa col consenso unanime di PP e PSOE. Non perché eserciterebbe qualche forma di violenza quindi, ma semplicemente perché avrebbe rappresentato i valori e gli obiettivi politici di un partito che, messo fuori dalla legalità, non poteva più farlo. Prosegue così la catena di messe al bando di formazioni politiche rappresentative di centinaia di migliaia di voti democraticamente espressi. ANV, tra l’altro, era uno dei partiti più antichi della scena politica basca: fondato nel  1930 a  seguito di una scissione socialista e indipendentista del Partito Nazionalista Basco, aveva partecipato attivamente alla mobilitazione a fianco della Spagna repubblicana, condividendo responsabilità di governo con quel Partito Socialista che oggi decide la sua chiusura così come fece il generalissimo Francisco Franco nel 1937. Un partito che ha ottenuto decine di sindaci e centinaia di consiglieri comunali e provinciali alle ultime amministrative viene chiuso d’imperio, perché difende una visione sociale ed economica alternativa a quella imposta con la forza al popolo basco attraverso la repressione, la tortura, gli arresti di massa e la militarizzazione.
La stessa sorte è toccata ieri anche al Partito Comunista delle Terre Basche, la cui attività è già stata sospesa e le sedi chiuse oltre un anno fa.
Come se non bastasse, il 17 settembre la stessa magistratura di Madrid ha condannato a pene pesantissime, 200 anni di carcere complessivamente, 21 militanti delle organizzazioni che si battono per la difesa dei prigionieri politici baschi: avvocati e giuristi per lo più, attivisti sociali, giornalisti. Anche qui, nessun reato di sangue o di violenza contestato, basta perseguire alcuni obiettivi politici e credere in certi ideali per finire in galera.
La Rete  dei Comunisti, così come ha fatto ogni qual volta il sistema di potere oligarchico che muove i fili della cosiddetta ‘democrazia’ spagnola ha abbattuto la propria scure sul movimento popolare e sulla sinistra basca, denuncia il silenzio e la complicità delle istituzioni internazionali e, ancora più grave, quello del mondo politico europeo che si fregia del titolo di progressista.
Le misure liberticide e repressive di Madrid continuano a tenere il popolo basco in una condizione di apartheid politica, condannando una fetta importante di popolazione alla negazione dei diritti democratici, politici, sociali e nazionali. Una punizione collettiva inaccettabile.
Cosa hanno da dire rispetto a questo le forze politiche progressiste e di sinistra? Il silenzio assomiglia sempre più alla complicità.

 

19 settembre 2008
 
 La Rete dei Comunisti



=== 2 ===


--- srpskohrvatski ---

U POSETI SKOJ-u BORAVILA DELEGACIJA MLADIH BASKIJSKIH KOMUNISTA

U sedmodnevnoj poseti SKOJ-u boravila je dvočlana delegacija organizacije Baskijskih mladih komunista.
Oni su tokom posete razgovarali u Beogradu sa rukovodstvom SKOJ-a, a u Novom Sadu sa pokrajnskim rukovodstvom našeg omladinskog Saveza.
Drugovi iz Baskije preneli su pozdrave i želje svoje matične rganizacije za dalji prosperitet i uspeh u radu SKOJ-a. Oni su osudili zapadni imperijalizam zbog razbijanja SFRJ i stvaranja NATO para-drzave na Kosovu i Metohiji. Baskijska delegacija iznela je i aktuelnu političku situaciju u Španiji posebno se osvrnuvši na obespravljenost baskijskog naroda kao ugnjetane nacije u toj državi.

Sekretarijat SKOJ-a
23. avgust 2008. god.

--- english ---

Delegation from Basque visit SKOJ

Two members of delegation Basque youth communist organization visited SKOJ (League of Yugoslav Communist Youth) they were in Belgrade 7 day. They were having talk with SKOJ direction and they had talk in Novi Sad (capital of north Serbian autonomy province of Vojvodina) with provincial direction of our organization. Comrades from Basque land gave best wishes and regards from their organization for prosperity and success of SKOJ. They condemned west imperialism and destroy of SFRJ (Socialistic Federal Republic of Yugoslavia and created NATO state onto Kosovo and Metohia (Serbian south autonomy province). Basque delegation exposed current politics situation in kingdom of Spain especially they talked about deprive of national right of Basque people and oppress that nation in Spain.

Secretariat of the SKOJ
August 25, 2008

--- italiano ---

DELEGAZIONE DAI PAESI BASCHI IN VISITA ALLA SKOJ

Due membri della delegazione della Gioventù comunista basca hanno reso visita alla SKOJ (Lega della Gioventù Comunista di Jugoslavia), trattenendosi a Belgrado per 7 giorni. La delegazione ha avuto colloqui con la direzione centrale della SKOJ e a Novi Sad con la direzione provinciale (della Vojvodina) della stessa SKOJ. I compagni baschi hanno trasmesso i migliori auguri di successo e saluti da parte della loro organizzazione. Hanno condannato l'imperialismo occidentale, la distruzione della RFS di Jugoslavia e la creazione di uno Stato della NATO nella provincia autonoma serba del Kosovo-Metohija. La delegazione basca ha riferito sulla situazione politica attuale nel regno di Spagna, e soprattutto sulla privazione dei diritti nazionali del popolo basco e l'oppressione della nazione basca in Spagna.

La Segreteria della SKOJ
23 agosto 2008


(srpskohrvatski / italiano)

Sul furto del Kosovo la Serbia interpella l'Assemblea Generale dell'ONU e la Corte Internazionale di Giustizia

1) La Serbia chiede il sostegno dell'Onu 

2) Inizia la 63esima sessione dell’assemblea generale dell’Onu / Proteste russe e serbe davanti alla sede dell’Ue a Bruxelles

3) Srbija dobila podršku u UN, SAD i Britanija bile protiv / Risoluzione all'Assemblea generale ONU perchè venga accettata l'iniziativa di Belgrado che il Tribunale internazionale di giustizia si dichiari sul tema del Kosovo indipendente - USA e GB si oppongono


=== 1 ===

L’OSSERVATORE ROMANO
12 settembre 2008

La Serbia chiede il sostegno dell'Onu

contro l'indipendenza del Kosovo Belgrado, 12 sett. Il presidente della Serbia, Boris Tadic, ha inviato ieri una lettera agli Stati membri delle Nazioni Unite con la quale chiede sostegno al ricorso di Belgrado alla Corte internazionale di giustizia contro l'indipendenza del Kosovo, autoproclamata nel febbraio scorso. Nella lettera, Tadic informa che il suo Paese proporrà una risoluzione affinché l'Assemblea generale delle Nazioni Unite - che comincerà i lavori la settimana prossima - includa la questione all'ordine del giorno. La richiesta serba deve ottenere l'avallo della maggioranza dei membri dell'Assemblea perché la Corte internazionale di giustizia prenda in considerazione la proposta.
La Serbia considera che "l'indipendenza del Kosovo proclamata unilateralmente rappresenta una violazione della carta dell'Onu e altri documenti del sistema giuridico internazionale", scrive nella missiva Tadic. Il presidente serbo sottolinea infine la determinazione del suo Paese a risolvere la questione del Kosovo senza ricorrere a "l'utilizzo della forza o a sanzioni economiche". Il Kosovo, già provincia a maggioranza albanese della Serbia, è stato finora riconosciuto come Stato indipendente da quarantasei Paesi degli oltre centonovanta rappresentanti alle Nazioni Unite, tra i quali gli Stati Uniti e la maggioranza dei Paesi dell'Unione europea.
Durante una riunione alla Commissione esteri del Parlamento europeo, L'alto rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell'Ue, Javier Solana, ha auspicato che lunedì prossimo i ministri degli Esteri dei Ventisette possano sbloccare la prima parte dell'Accordo di associazione e stabilizzazione (Asa) con Belgrado, che rappresenta l'avvio del processo di adesione. L'Asa è stato congelato in attesa che la Serbia soddisfi pienamente la condizione della "piena cooperazione" con il Tribunale penale internazionale (Tpi) dell'Aja. Il procuratore del Tpi, Serge Brammertz, è stato di recente a Belgrado per valutare il livello della cooperazione, dopo la cattura dell'ex leader serbo-bosniaco, Radovan Karadzic.

 
=== 2 ===

Radio Srbija - www.glassrbije.org - 15. settembre 2008.

Domani inizia la 63esima sessione dell’assemblea generale dell’Onu

Nella sede dell’Onu a New York domani inizia la 63esima sessione dell’assemblea generale dell’Onu, alla quale sarà discussa probabilmente anche l’iniziativa serba che la Corte internazionale dell’Aia esprima il giudizio sulla legalità della separazione unilaterale del Kosovo. La decisione se questa iniziativa sarà inserita nell’ordine del giorno sarà presa dal comitato generale alla riunione del 17 settembre. Dopo alcuni giorni l’assemblea generale esaminerà alla seduta plenaria la proposta dell’ordine del giorno. L’assemblea generale di solito accetta le proposte del comitato generale. Nella proposta serba è stato precisato che la proclamazione unilaterale dell’indipendenza del Kosovo ha suscitato una serie di controversie e divisioni nella comunità internazionale e che il giudizio della Corte internazionale contribuirà alla diminuzione delle tensioni.

Le proteste russe e serbe davanti alla sede dell’Ue a Bruxelles

Alcune decine di serbi e russi hanno protestato oggi davanti alla sede dell’Unione europea a Bruxelles contro le misure doppie degli standard dell’Unione sull’integrità territoriale dei Paesi e contro l’influenza della NATO sulle sue decisioni. Alla manifestazione che è stata organizzata dall’associazione russa Giovane Russia, si potevano vedere le bandiere della Russia, Serbia, Belgio, Germania e l’Ossezia meridionale. Maksim Miscenko, il deputato del partito la Russia unitaria, ha dichiarato che l’Unione europea deve avere la propria opinione sulla situazione nel Caucaso e che non deve ciecamente seguire l’esempio degli Stati Uniti. Il rappresentante della Giovane Russia Eugen Masonov ha sottolineato che i manifestanti protestavano contro la politica degli Stati Uniti, la quale distrugge i valori dell’Europa, la sua indipendenza e il diritto internazionale. Egli ha accusato gli Stati Uniti di aver reso la posizione del popolo serbo in Kosovo insopportabile. Le manifestazioni si tenevano in concomitanza con la riunione dei capi delle diplomazie dei Paesi membri dell’Unione europea, alla quale si discuteva la situazione in Georgia e lo scongelamento dell’accordo sulla stabilizzazione e l’associazione con la Serbia. L’altra manifestazione di protesta è stata tenuta davanti alla sede della NATO.

=== 3 ===

http://www.politika.rs/rubrike/Svet/Srbija-dobila-podrssku-u-UN-SAD-i-Britanija-bile-protiv.lt.html

Srbija dobila podršku u UN, SAD i Britanija bile protiv

Generalni komitet preporučio da se u dnevni red Generalne skupštine uvrsti inicijativa Beograda da se Međunarodni sud pravde izjasni o Kosovu. (...)
Postignuti rezultat ohrabruje da će srpski predlog sutra biti prihvaćen i na plenumu Generalne skupštine. U tom slučaju, usledila bi rasprava koja bi trebalo da dovede do rezolucije kojom bi se zatražilo savetodavno mišljenje Međunarodnog suda pravde o jednostrano proglašenoj nezavisnosti Kosova. Takvo mišljenje nije obavezujuće, ali je vrlo uticajno.

Momčilo Pantelić
[objavljeno: 18/09/2008.]

---

Il Comitato Generale ha raccomandato che nell'ordine del giorno dell'Assemblea generale ONU, venga accettata l'iniziativa di Belgrado che il Tribunale internazionale di giustizia si dichiari sul tema del Kosovo indipendente.
...
Il risultato odierno è incoraggiante per l'accettazione della proposta serba nella Seduta plenaria dell'Assemblea generale. Se così sarà, seguirà un dibattito che, come risultato, dovrà emanare una risoluzione con cui si chiede l'opinione della Corte Internazionale di Giustizia sull'unilaterale proclamazione dell'indipendenza del Kosovo. Tale opinione non avrà forza esecutiva, ma comunque, avrà un peso rilevante.

http://www.politika.rs/rubrike/Svet/Srbija-dobila-podrssku-u-UN-SAD-i-Britanija-bile-protiv.lt.html

(segnalato e tradotto da DK)



(english / italiano)

OPS - NON LA TROVO PIU'


Veniamo ora a conoscenza di un episodio che meriterebbe la disamina psicanalitica di Freud. La presidenza bosniaca lo scorso febbraio ha smarrito (sic) la copia originale degli accordi di Dayton. Non sappiamo se nel frattempo essa sia stata ritrovata; sicuramente però nella presidenza bosniaca non tutti sono stati dispiaciuti per lo smarrimento: è noto infatti che, sebbene nessuno sia stato particolarmente entusiasta di quegli accordi, è in particolare la parte croato-musulmana e certi suoi "sponsor" occidentali a gettare discredito e dubbi sulla "applicabilità". Essi usano soprattutto la propaganda su "Srebrenica" per spazzare via la entità costituente serba. (a cura di Italo Slavo)

http://www.earthtimes.org/articles/show/185711,bosnian-presidency-loses-original-copy-of-dayton-peace-agreement.html

Bosnian presidency loses original copy of Dayton Peace Agreement

Posted : Thu, 14 Feb 2008 08:17:03 GMT
Author : DPA - Category : Europe (World)

Europe World News | Home

Sarajevo - The original copy of the Dayton Peace Agreement that ended the 1992-1995 war in Bosnia-Herzegovina is missing from the country's presidency, media reported Thursday in Sarajevo quoting the presidency's chairman Zeljko Komsic. "We found out that the original copy of the Dayton Peace Agreement is missing from the archives of the presidency," President Komsic told reporters in Sarajevo. He said investigators would enter the presidential building to try to find out what happened to the document of great political and historic importance for Bosnia-Herzegovina.
The then presidents Alija Izetbegovic of Bosnia-Herzegovina, Franjo Tudjman of Croatia and Slobodan Milosevic of the Federal Republic of Yugoslavia (FRY) signed in 1995 the Dayton Peace Agreement to officially end the 43-month-long bloodshed in Bosnia- Herzegovina.
Some annexes of the document have served since then as the country's constitution.

Copyright, respective author or news agency



Precisazioni in merito a due iniziative annunciate su questa lista:

1) in merito al dibattito che si terrà a Vicenza la sera del 18 settembre

Preghiamo di prendere nota e divulgare urgentemente il più possibile che, PER L'IMPROVVISO ANNULLAMENTO DELLA CONCESSIONE GIA' DATA (SEGUIRA' COMUNICATO) L'INCONTRO - DIBATTITO SU "BASI ED ECONOMIA DELLA GUERRA GLOBALE" DI GIOVEDì 18 SETTEMBRE A VICENZA NON SI TERRA' NELL'AULA MAGNA DELL'I.T.I.S. "ROSSI", ma nella centrale SALA DEI CHIOSTRI DI SANTA CORONA (a 100 m. da corso Palladio), con lo stesso orario (inizio 20.30, termine previsto non oltre le 23). Saranno affisse indicazioni. (precisazione pervenuta da Aderenti di Vicenza al PATTO PERMANENTE CONTRO LA GUERRA)

2) in merito alla trasmissione in onda su RAITRE "La guerra infinita: Kosovo, nove anni dopo" 

Si precisa che la puntata incentrata sulla problematica del Kosovo è quella di VENERDI 19 SETTEMBRE 2008. Per la presentazione dei contenuti si veda anche: https://www.cnj.it/documentazione/bibliografia2.htm#iacona08



MONTENEGRITUDINE


Davvero "geniali" le ultime trovate della classe dirigente
montenegrina. A Cetinje il nome della Via Vuk Karadzic è stato
cambiato in "Islandska" - islandese... La "mossa" è motivata dalla
vergogna o dal senso di colpa: infatti Vuk Karadzic - equivalente per
gli jugoslavi a ciò che furono Dante Alighieri e Alessandro Manzoni
messi insieme per gli italiani - da molti anni si sta rivoltando nella
tomba: non solo ha dovuto assistere, dal suo scomodo sepolcro, alla
secessione del suo Montenegro dalla Jugoslavia e dalla Serbia (come se
la Toscana si separasse dall'Italia!), ma addirittura vede
continuamente messa in discussione la sua lingua letteraria, che i
montenegrini non possono più chiamare con il suo nome, dovendo usare
eufemismi "politically correct" quali: lingua "materna", lingua
"nostra", lingua "montenegrina"...
La gente si rifiuta di chiamare "Islandska" quella strada e
preferisce, per lapsus o per saggia ironia, l'appelativo di
"Islamska", islamica. E è giusto così, perchè il Montenegro
secessionista è diventato chiave di volta dello sfascio della unità
degli Slavi del Sud e utile stampella nella creazione della
"trasversale verde" islamica nei Balcani, come dimostra ad esempio il
fatto che esso è uno dei pochi Stati al mondo che promettono di
riconoscere la "Repubblica del Kosovo" ("Crna Gora će uskoro priznati
Kosovo" - http://www.vecernji.hr/newsroom/news/international/3167913/index.do
). (a cura di IS su segnalazioni di IK e IP)


Da: Giuseppe Aragno
Oggetto: Ricordo di Arfè
Data: 13 settembre 2008 20:05:09 GMT+02:00

Cari compagni,
un anno fa scompariva Gaetano Arfè. Fu partigiano, politico di grande onestà intellettuale, insigne storico del socialismo e strenuo avversario del revisonismo. Potete ospitare questo intervento per ricordarlo?
Giuseppe Aragno
 
---


Gaetano Arfè: una lezione che il tempo non cancella
Giuseppe Aragno - 10-09-2008


Dallo Speciale Il tempo e la storia



Gaetano Arfè se n'è andato un anno fa. Il tempo ha le sue leggi, ogni ciclo si chiude e, d'altra parte, anche la morte ha talvolta una sua umanità e può capitare di doverla ringraziare. Come avrebbe vissuto, infatti, Arfè quest'anno oltraggioso cui Atropo ha voluto sottrarlo? In versi di una brevità secca e spigolosa e di un'amarezza profonda e struggente, Catullo, uno dei più grandi poeti d'ogni tempo, fissò, al tramonto della repubblica, lo sgomento dell'uomo - ogni uomo, l'uomo di ogni tempo - di fronte allo spettacolo nauseabondo di una situazione politica che degenera al punto che la miseria morale e l'interesse personale e di parte prendono il sopravvento sull'onestà intellettuale e l'interesse collettivo:

Che c'è, Catullo? A che tardi a morire?
Nonio Scrofola ha la sella curule,
pel consolato spergiura Vatinio.
Che c'è, Catullo? A che tardi a morire?


Che avrebbe potuto dire Arfè, partigiano, storico del socialismo e grande maestro di democrazia, ormai vecchio e stanco, oggi che un cerchio si chiude e un nuovo regime si impadronisce del Paese che sta a guardare inerte, mentre un fascista diventato ministro delle Repubblica esalta i suoi camerati di Salò? Avrebbe forse raccontato, pacato e avvincente, come spesso soleva fare, di quella volta in cui, giovanissimo partigiano, era sceso dai monti della Valtellina, rischiando la vita, per accompagnare alla tomba un suo giovane amico repubblichino della divisone "Monterosa", caduto in uno scontro a fuoco coi suoi compagni. La guerra ha regole feroci - avrebbe detto - e i caduti meritano tutti rispetto. A dividere erano e sono le cause dello scontro che vide contrapposte le ragioni della democrazia e quelle disumane del razzismo e del totalitarismo. Qui, nei valori di riferimento, la distanza era incolmabile e la distinzione rimane netta. 
Chi è stato per mare e conosce la violenza inaudita della burrasca sa perfettamente cosa significhi poter contare sull'esperienza e sul coraggio sereno di chi la bufera l'ha affrontata. Viviamo tempi bui e attraversiamo un mare gonfio e minaccioso. Arfè non è più fisicamente con noi e, tuttavia, il patrimonio di idee che ci ha lasciato, il suo esempio di coerenza, onestà intellettuale e amore per la libertà offrono ancora un timone sicuro e una bussola a cui affidarsi. 



IL POPOLO SI SCHIERÒ CON I PARTIGIANI
CONTRO GLI ALLEATI DEI TEDESCHI INVASORI
*


Franco Venturi fu uomo dai molti titoli. Suo padre, grande storico dell' arte, fu tra i pochissimi - in tutto intorno alla dozzina - che rifiutarono di giurare fedeltà al regime fascista e furono espulsi dalla cattedra. Figlio non degenere, seguì il padre esule in Francia, fu amico di Carlo Rosselli, tra i fondatori del movimento di "Giustizia e Libertà" e collaboratore della sua stampa. 
Dopo varie peripezie, ivi compresa una pesante ospitalità in un carcere franchista, rientrò in Italia, fu intrepido e abile comandante partigiano, trovò poi il tempo e il modo di diventare uno dei maggiori storici europei del secolo scorso. Con la raffinata ironia che gli veniva dalla quotidiana frequentazione con i grandi dell'illuminismo, egli sosteneva che le sole guerre degne ii essere combattute fossero le guerre civili, perché in esse ognuno sceglie volontariamente il campo e la bandiera per la quale combattere. 
Nel cinquantesimo anniversario della Resistenza partecipai a un convegno, al centro del quale ci furono tre temi: "guerra civile", "teoria della continuità", "Resistenza ed Europa". Il convegno ebbe il suo culmine in una serrata polemica, presente l'autore, sul libro di Claudio Pavone, Una guerra civile, severamente giudicato in un documento firmato dai capi delle tre associazioni partigiane, Aldo Aniasi, Arrigo Boldrini e Paolo Emilio Taviani.
Sull'opera di Pavone ho delle riserve che non ho espresse pubblicamente, e non ho difficoltà a confessarne la ragione: mi sono mancati il tempo e la lena necessaria per scrivere di un libro che non si può trattare sbrigativamente perché esso è e resta il più documentato, il più meditato e forse anche il più sofferto nella pur ricchissima storiografia sulla Resistenza. Quello che dissi brevemente in quella occasione e che ripeto oggi è che il titolo da lui datogli, o che ha consentito gli si desse, è un titolo altamente infelice perché, del tutto al di là delle intenzioni dell' autore, esso è diventato, come era prevedibile, formula di una interpretazione ideologica della Resistenza che non è quella fin troppo articolata e sottile di Pavone e che è stata banalmente e anche volgarmente strumentalizzata nel quadro della offensiva ideologica revisionistica, ricalcata esemplarmente sul modello di certa pubblicistica storiografica comunista per continuità, coerenza e tendenziosità, che non conosce tregue e che recluta senza difficoltà, consapevoli o meno che ne siano, ingenui o soltanto compiacenti dilettanti e professori di storia, sensibili ai soffi della moda e anche alle opportunità offerte dai tempi. 
La verità è che in Italia la guerra civile non ci fu. 
Guerra civile sarebbe stata quella che fosse stata scatenata il 26 aprile del 1943, quando il capillare apparato del partito fascista era ancora integro e mobilitabile, i membri del Gran Consiglio che avevano votato per Mussolini erano tutti a piede libero, lo erano i più truci e violenti gerarchi e centurioni del regime e le formazioni militari del fascismo, una d'esse, se la memoria non m'inganna, fornita di mezzi corazzati, erano tutte sul piede di guerra e vincolate da un giuramenlo di fedeltà a oltranza al fascismo e al suo capo. Le piazze si riempirono invece di italiani che non chiedevano il ritorno del "Duce", ma ne abbattevano i monumenti e ne distruggevano i simboli. I soli morti furono quelli caduti sotto i colpi dei soldati del re, tra i dimostranti che richiedevano la liberazione dei detenuti e la fine della guerra. I capi del fascismo, riparavano in luoghi ospitali, ambasciate e conventi, riponendo ancora una volta, secondo una barzelletta del tempo, tutte le loro speranze di rivalsa nell' "alleato potente" e nella sua arma segreta. 
La guerra, "incivile", scoppiò dopo, a freddo, e fu voluta, promossa, organizzata e condotta dopo 1'8 settembre del 1943 dal governo fantoccio messo in piedi dai tedeschi allo scopo di organizzare la guerriglia contro gl'italiani che, com'era avvenuto in ogni paese dell'Europa occupata, intendevano contribuire con le armi alla liberazione del proprio Paese e che ebbero contro raggruppamenti di fanatici, armati dai nazisti e al loro servizio, mutuandone la brutale ferocia. Nella storia europea essi hanno avuto un nome, si chiamarono collaborazionisti. Il nazista norvegese Quisling ne divenne il simbolo. 
Tra i "ragazzi di Salò", sui quali anche si è fatta incauta retorica, quelli mossi da distorto amor di patria, furono pochi rispetto ai nugoli di fanatici che avevano eletto a patria la Germania nazista e avevano preso a modello le SS, i guerrieri senza paura e, soprattutto, senza pietà. Le formazioni militari di leva, reclutate sotto la minaccia di fucilazione per i renitenti e di rappresaglie sulle loro famiglie, non partirono tra plausi di folle, vennero considerate infide dai tedeschi, furono afflitte dallo stillicidio delle ricorrenti diserzioni e, tranne qualche episodio isolato e insignificante, esse non vennero impiegate a difesa del "sacro suolo della patria" ma a combattere contro quegli italiani che si erano allineati, non precettati, con i popoli della libera Europa occupata dai nazisti. Intorno alle due malferme divisioni raccolte con la dura minaccia, c'è il pullulare delle "brigate nere" che avevano il teschio a insegna, dei vari reparti delle milizia fasciste e della Guardia Nazionale Repubblicana, meglio nota come la GNIR, delle "bande" criminali autonome, che prendevano nome dai loro capi, fuori di ogni controllo, rapinatori e sadici professionali, tratti anche dalle galere, che suscitarono in più casi il ribrezzo degli stessi tedeschi. Un giovane ladro milanese, che conobbi nel carcere di Sondrio, mi raccontò che gli era stato offerto il condono della breve restante pena, purché si fosse arruolato nella milizia fascista; aveva risposto, male indirizzando il suo motto di spirito, che non intendeva "macchiarsi la condotta" ed era stato caricato di botte. 
Mussolini non fu, e forse non volle neanche essere, il promotore e il capo di una guerra civile, Volle legare il suo nome, nel segno di una nostalgia al tempo stesso tragica e patetica, alla proclamazione della repubblica e alla "socializzazione", lordandolo di viltà e di infamia col dichiarare gli ebrei nemici della nazione, depredandoli degli infimi diritti che anche a un nemico si riconoscono e autorizzandone la consegna ai tedeschi, pur consapevole del destino cui sarebbero andati incontro, 
Rodolfo Graziani, il capo tronfio e imbelle del suo esercito, col suo vuoto di glorie militari e il suo carico di stragi inumane nelle colonie italiane, mai assurse alla pur odiosa dignità di capo di una guerra civile, a interprete, campione e simbolo, di idealità magari ripugnanti, ma sentite e, difatti, scomparve vilmente nel crollo coperto da protezioni sulle quali è meglio non indagare. Rimase al livello di un mediocre e sanguinario caudillo sudamericano Junio Valerio Borghese, il comandante della X MAS, il principe - correva voce lo definisse così Mussolini - "col basco alla baiadera" che condusse una sua sorta di guerriglia privata, torturando, impiccando e fucilando chi cadeva nelle sue mani. E anche lui, al momento della disfatta fuggì e cercò e trovò braccia accoglienti, potenti e non ignote che lo protessero e gli permisero di riemergere fino a consentirgli di ordire trame dilettantesche, velleitarie e impunite contro le istituzioni repubblicane. 
Gli stessi giovani che li seguirono presto intuirono, forse anche in virtù del loro fanatismo, che non una guerra civile era in atto, alimentata da passioni di grandi masse divise nell'interpretare gl'interessi della patria, ma la guerriglia di una minoranza, armata dallo straniero contro la maggioranza del proprio popolo e divennero consapevoli, senza intenderne le ragioni, dell'isolamento in cui erano venuti a trovarsi nelle città dove vivevano asserragliati nelle caserme, nelle campagne, sulle montagne che battevano in armi e segnando il loro passaggio di roghi e di morti come in un Paese straniero e nemico. 
Ho ancora in mente un loro canto disperato che non era percorso dalla pur feroce passione della guerra civile, era solo il lamento di un pugno di ragazzi che si sentivano espunti dalla vita vera, quotidiana, del loro paese, dalle strade dove sciamano le ragazze, dai ritrovi dove si scherza e si discute. "Le donne - cantavano non ci vogliono più bene, perché portiamo la camicia nera" e il canto si chiudeva con un macabro grido d'amore alla "Signora Morte" come l'amante da conquistare sotto la mitraglia. Nel canto più diffuso tra le nostre file c'era una strofa che diceva "ogni contrada è patria del ribelle, ogni donna a lui dona un sospir". Ed era vero. 
Su questa tragica realtà, la formula della guerra civile serve solo a stendere una patina opaca sotto la quale tutte le differenze si annullano: fascisti e antifascisti furono vittime della stessa tragedia, la costituzione nata dalla Resistenza, coi suoi principi e i suoi valori è solo testimonianza, scritta da dottrinari e utopisti, ispirati da faziosi uomini di parte, di un irrevocabile passato non da storicizzare ma da sterilizzare per quel che resta di vivo e da dimenticare. La storia vera dell'Italia dell' era fascista è quella raccontata per oscene barzellette da Berlusconi, di essa va alimentata la coscienza nazionale dell'Italia d'oggi, tutta proiettata nel futuro. 
Non è un caso che una delle più note e tendenziose rubriche televisive che infestano i nostri schermi abbia sentito il bisogno di dedicare al tema della "guerra civile" un suo vaporoso e fumoso dibattito e che il suo non ingenuo regista abbia ritenuto di dover informare ruvidamente l'ignaro Aldo Aniasi, il comandante Iso, aggrappato alla difesa della definizione anacronistica della Resistenza quale lotta di liberazione, che oggi tutti gli storici - io, e so di non essere solo, sono tra quelli che non fanno parte dei presunti "tutti"- concordano nel definirla come "guerra civile". 
Basterebbe, in sede strettamente storica, un argomento solo: a un anno di distanza dalla conclusione della guerriglia incivile di una minoranza fanatica e fratricida la stragrande maggioranza degl'italiani dette il proprio voto ai partiti che avevano ideata, organizzata e promossa la guerra di liberazione, gravandosi della straziante responsabilità di chiedere di pagarne, vecchi e giovani, il necessario prezzo di lacrime e sangue. 

Gaetano Arfè


* in "Lettera ai Compagni", novembre-dicembre 2003, ora in Gaetano Arfè, Scritti di Storia e Politica, a cura di Giuseppe Aragno, La Città del Sole, Napoli, 2005, pp. 377-387