Informazione

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il manifesto
09 Agosto 2008
 
KYRGYZSTAN
 
Usa, diplomatici e militari con un'arsenale in salotto
 
Armi Nato in casa di americani: che succede a Biskek?
 
FABRIZIO VIELMINI
BISKEK (KYRGYZSTAN)

Un fatto più che insolito si è prodotto lunedì scorso (4 agosto) nella capitale kyrgyza. Su segnalazione degli abitanti di uno dei quartieri più disagiati della città, la milizia (come la polizia è qui chiamata) ha fatto irruzione in una casa isolata e qui ha scoperto un intero arsenale di provenienza Nato - composto da 26 fucili d'assalto M-16, quattro mitragliatori pesanti, quattro fucili da cecchino, due fucili Winchestern, sei pistole Beretta cal. 9 e circa quindicimila munizioni (inclusi proiettili traccianti) e accessori vari. Ancora più sorprendente il fatto che l'arsenale era custodito da dieci militari statunitensi e due diplomatici della locale ambasciata di Washington. Dopo l'irruzione e la coperta dell'arsenale, quest'ultima si è affrettata ad emettere un comunicato stampa in cui si precisava come la presenza della armi fosse stata concordata con la parte kyrgyza, nel quadro di esercitazioni «anti-terrorismo» (il concetto pass-partout di Washington per la sua infiltrazione delle strutture di sicurezza locali), esercitazioni da condurre insieme ai servizi d'intelligence di Biskek.

«Solo esercitazioni»

Per tutte le ventiquattr'ore successive le autorità kyrgyze non sono state in grado di confermare tale dichiarazione - segno del fatto che buona parte dei palazzi del potere di Biskek non era al corrente dell'operazione, ed era in seria difficoltà a trovare una posizione comune plausibile. Finalmente è stato affermato che in effetti la presenza delle armi era stata concordata e che la polizia ha agito a causa di non meglio precisate «infrazioni alle procedure». La locale procura ha comunque aperto un fascicolo per violazione del codice penale.
L'incidente solleva una serie d'interrogativi. Perché la milizia ha agito in modo così plateale? Screzi con i servizi segreti interni alle strutture di sicurezza?

Le domande dei media

Disponendo gli Stati uniti di un'intera base militare nel paese (e con la stessa ambasciata locale più simile a una caserma che a una struttura diplomatica), perché tenere quelle armi in un'abitazione privata, presa in affitto da un locale uomo d'affari?
I media locali si pongono queste e altre domande. Quanti arsenali segreti del genere vi possono ancora essere nel paese? Gli americani preparano qualche settore degli apparati di sicurezza in modo da attivarli in caso l'attuale dirigenza - ritrovatasi al potere in seguito ad una delle «rivoluzioni colorate» post-sovietiche degli scorsi anni - dovesse porre un ultimatum alla loro presenza militare nel paese, magari su pressione di Russia e Cina?
Le armi erano destinate a gruppi clandestini islamisti? Magari agli uiguri del vicino Xinjiang cinese, attivatisi proprio in questi giorni con un attacco alle guardie della frontiera sino-kyrgyza che ha causato sedidi morti? E' un'ipotesi, questa, dai fondamenti particolarmente fragili, dato che la Cia per simili operazioni ha sempre usato armi di origine sovietica al fine d'evitare connessioni dirette.
Secondo il corrispondente locale della Nezavisimaja Gazeta, G. Mihajlov, l'incidente indica in primo luogo le contraddizioni interne al regime di Kurmanbek Bakiev e le sue difficoltà nel controllo delle forze di sicurezza. L'affaire va inoltre inquadrato nell'ambito di una manovra volta ad avvelenare le relazioni del Kyrgyzstan - il quale si sta già preparando ad affrontare il secondo inverno in condizioni di crisi energetica - con Washington. La posizione di quest'ultima all'interno del paese è già abbastanza discreditata. La scorsa settimana alcune fonti locali riportavano del ritrovamento di 27 cadaveri privi degli organi interni nelle vicinanze della base.

L'ombra del «modello Kosovo»

Questo probabile atto di disinformazione - la notizia non è stata confermata dalle principali agenzie locali - ha offerto la sponda per speculazioni e confronti con la notizia degli espianti forzati operati dai kosovari sui prigionieri serbi dopo il 1999, all'ombra della bandiera della Nato. Di apparizione sempre più regolare, rapporti sul probabile utilizzo della base di Manas - il cui personale gode dell'immunità diplomatica - per il movimento di narcotici fra l'Afghanistan e Camp Bondsteel, l'enorme base militare americana in Kosovo.
Il tutto alla vigilia del prossimo vertice dell'Organizzazione di Cooperazione di Shanghai, fissato per il 28 agosto, un vertice in cui Mosca e Pechino potrebbero decidere di riprendere la pressione sui regimi centrasiatici al fine di porre dei limiti ben precisi all'azione degli Stati uniti nella regione.

La base delle polemiche

Dall'autunno del 2001, gli Usa utilizzano sotto copertura Nato e col pretesto delle operazioni in Afghanistan una parte dell'aeroporto della capitale kyrgyza, Manas appunto, quale base militare. E' la principale base americana in territorio ex-sovietico.
Al di là del fatto di per sé singolare dell'associazione di strutture civili con mezzi militari, che rende il principale aeroporto del paese un possibile oggetto di ritorsioni belliche, la base si sta rivelando sempre più un fattore di irritazione pubblica. Gli aerei che vi fanno scalo hanno in più occasioni riversato carichi di kerosene sulle campagne circostanti, e in almeno due occasioni sono stati sul punto di causare seri incidenti con gli apparecchi civili, evitati per miracolo.
Sullo sfondo dell'indigenza circostante (il Kyrgyzstan è uno dei paesi più poveri dell'ex-Urss), i militari statunitensi si muovono inoltre come cowboy e infiammano le autorità tradizionali di una società in via di re-islamizzazione. A fine 2006 un G.I. ha freddato, senza apparenti motivi, un civile del personale locale. Un fatto che, non essendo la situazione a tutt'oggi risolta sul piano legale, ha accentuato il risentimento di massa verso i militari di Washington. Questo si è ulteriormente inasprito negli ultimi mesi in seguito ad alcuni incidenti stradali e risse provocate dal personale militare statunitense.
La presenza della base costituisce infine un serio fattore di disturbo delle relazioni fra la fragile repubblica kyrgyza e i vicini cinesi e uzbeki, oltre che con la Russia (dalle rimesse provenienti dai kyrgyzi ivi immigrati dipende la sussistenza di buona parte della popolazione). Gli impegni militari con la Russia proibirebbero, in teoria, la presenza di militari stranieri - da cui l'escamotage dell'immunità diplomatica loro concessa.
 
 
 
Il Grande gioco in Asia centrale

Sito ai confini occidentali della Cina, il Kyrgyzstan è uno degli angoli più disastrati dell'ex-Urss. Priva di risorse naturali, divisa da profonde fratture geofisiche (il 94 per cento del territorio è a oltre mille metri di altitudine), etniche (i kyrgyzi costituiscono il 60% di una popolazione multietnica di cinque milioni, fra cui abbondano russi e altre popolazioni «europee» dell'ex-Urss, che pure hanno abbandonato in massa il paese, oltre che rappresentanti delle repubbliche vicine, in primo luogo uzbeki, pari a oltre il 15 per cento) e tribali, la repubblica costituisce in virtù della propria debolezza intrinseca la principale piattaforma geopolitica delle potenze esterne interessate al controllo dell'Asia centrale, in primo luogo Russia, Cina e Usa, la cui interazione viene riassunta come «nuovo Grande gioco». Nel marzo 2005, la manipolazione delle elezioni da parte dell'allora presidente Askar Akaev ha innescato una serie di proteste di massa le quali, con profonde manipolazioni da parte delle molte ong finanziate dagli Usa, sull'onda delle «rivoluzioni di velluto» ucraina e georgiana, si sono risolte con la fuga di Akaev e la sua sostituzione da parte dell'ex-primo ministro Kurmanbek Bakiev. Quest'ultimo si è limitato a sostituire i quadri di Akaev con uomini del proprio clan, lasciando irrisolti i numerosi problemi che attanagliano il paese, buona parte della popolazione del quale è costretta ad emigrare per sopravvivere.
 
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(srpskohrvatski / italiano / english)


Operation Storm anniversary marked 


Non c'è alcun altro paese al mondo al quale sia stato concesso di sbarazzarsi di centinaia di migliaia di propri abitanti, e nel quale ancora oggi il tasso degli abbandoni da parte degli abitanti di "etnia minoritaria" (serbi) è tre volte maggiore del tasso di ingresso. 
Per mesi interi, le truppe croate avevano atteso sulle vette vicino a Knin e Bosansko Grahovo... Sotto la guida di Mladic, i combattenti locali furono brevemente impegnati a Bihac, e poi spostati nella zona di Srebrenica: così la Krajina di Knin e le parti serbe della Bosanska Krajina furono abbandonate a se stesse. L'avanzata croata si spinse fino alle porte di Banja Luka e si sarebbe estesa ancora di più, se non fosse stata interrotta per accordi politici.
Sulla Operazione Tempesta, sui crimini commessi contro i civili inermi in fuga con le masserizie, in tante decine di migliaia nella estate 1995, uscì un libro di Giacomo Scotti ("Operazione tempesta"). Nient'altro: in Europa occidentale oggi non se ne parla più. La campagna di stampa bugiarda su Srebrenica è servita anche ad occultare la pulizia etnica dell'intera popolazione serba della Croazia. 
E in Croazia, perciò, si festeggia.


1) PROTEST in Washington DC against Croatia's disgusting genocide celebration!

2) Rassegna stampa:
Parastos žrtvama "Oluje" u Beogradu i Banjaluci / Commemorazione delle vittime della "Operazione Tempesta"
Sanader: Prvo ´cemo proslaviti Oluju
Tadic: la Croazia deve esaminare i crimini che sono stati commessi durante la Tempesta
Akcija 'Oluja' bila je oslobodilačka ?! / "L'operazione 'Oluja' fu un intervento liberatorio, corretto e legittimo, una operazione difensiva delle forze armate croate..."

3) Nationalists mark anniversary of Croat offensive / Op Storm anniversary marked 

4) Situation ever harder for Serb returnees

5) FLASHBACKS 2007
Giugno-Agosto: Esumate vittime dell’Operazione Tempesta
August: CROATIA CELEBRATES VICTORY OVER SERBIA...
September: Medak Pocket victims remembered 


=== 1 ===

Annoucement:

PROTEST AGAINST CROATIA’s DISGUSTING GENOCIDE CELEBRATION!

OPERATION STORM was the largest European land offensive since World War II. International officials called it "the most efficient ethnic cleansing in the Balkans."

WHEN:  Tuesday, August 5, 2008. 12 Noon-2pm (and by e-mail)

WHERE: Embassy of Croatia, 2343 Massachusetts Ave NW, Washington, DC 20008

WHAT WE WANT: A public apology and the end to Croatia's celebration of  “Victory and Homeland Thanksgiving Day".  Croatia cannot be allowed into the “international community” until it helps its refugee citizens to return home in safety.

HOW YOU CAN PARTICIPATE:

1. Attend the protest - or - FORWARD this PROTEST CALL to at least three friends.

2. e-mail a protest message to Croatia’s Embassy  public@... and copy it to the White Housecomments@...

3. Send a copy to us so we can post it on the Web (Indicate whether you want your letter to appear with your name or anonymously).

CONTACTS:  RAS.jovana@... ,  theSTOPcoalition@... 

WE MUST ALL SPEAK OUT TO PRESERVE OUR HUMAN RIGHTS!


=== 2 ===

Notizie - vesti - da fonte varia
Selezione e adattamento a cura di Ivan, Dragomir e Andrea

www.glassrbije.org

Parastos žrtvama "Oluje" u Beogradu i Banjaluci

U Srbiji i Republici Srpskoj obeležena je 13. godišnjica vojne operacije "Oluja" u kojoj su hrvatske snage ubile blizu 2.000 i proterale oko 250.000 Srba s podrucja bivše RSK, što je najve´ce etnicko ciš´cenje posle Drugog svetskog rata.

Commemorazione delle vittime della Operazione Tempesta 

In Serbia e nella Repubblica Serba di Bosnia si e' commemorato il 13 anniversario della operazione "Tempesta" durante la quale le forze croate hanno ucciso circa 2.000 civili e cacciato circa 250.000 serbi dal territorio dell' ex Repubblica Serba di Krajina, il che rappresenta la pulizia etnica piu' grande dopo la II Guerra Mondiale.

Sanader: Prvo ´cemo proslaviti Oluju
04. avgust 2008. 14:39                (Izvor Beta)

Hrvatski premijer Ivo Sanader, izjavio je, komentarišu´ci izjavu predsednika Srbije Borisa Tadi´ca o operaciji Oluja, da Srbija ne´ce rešiti svoje probleme usmeravaju´ci pažnju s tih problema na Hrvatsku, prenosi Hina. Srbija ima puno problema i želim im da ih reše, ali definitivno ih ne´ce rešiti tako da usmeravaju pažnju s internih problema na Hrvatsku, rekao je Sanader na obeležavanju Dana pobede i domovinske zahvalnosti i Dana hrvatskih branitelja. Tadi´c je juce, povodom godišnjice Oluje, izjavio da je on licno uputio izvinjenje svim narodima za zlocine koji su pripadali srpskom narodu, ali da nije cuo rec izvinjenja predstavnika drugih država za zlocine koji su ucinjeni nad pripadnicima srpskog naroda. On govori o tome da se neko treba izviniti za zlocine i necasna dela nakon Oluje. Prvo ´cemo proslaviti Oluju i ne možemo na Dan pobede i domovinske zahvalnosti i velike hrvatske pobede govoriti o tome, ve´c nakon Oluje, naveo je Sanader.

Tadic: la Croazia deve esaminare i crimini che sono stati commessi durante la Tempesta
03. agosto 2008.

Il presidente della Serbia Boris Tadic ha detto che la Croazia deve esaminare i crimini che sono stati commessi dall’esercito croato durante l’operazione militare Tempesta e cercare più intensamente le persone scomparse. „Chiedo che sia eseguita l’esumazione e che i miei connazionali conoscano il destino dei loro familiari“; ha detto Tadic in occasione della 13esima ricorrenza dell’azione militare Tempesta, nella quale sono stati uccisi e sono spariti all’incirca 1.600, e sono stati cacciati via dal territorio croato più di 250.000 serbi. Il presidente serbo ha detto che la Croazia deve scusarsi di questi crimini, ricordando che egli aveva chiesto perdono per i crimini che sono stati commessi dai serbi.
Il premier croato Sanader ribadisce, non possiamo non celebrare prima la piu' grande vittoria croata (!) "La tempesta" (si celebra domani, 5 agosto), come Festa della vittoria, della vittoria croata e del ringraziamento patriottico.

Akcija 'Oluja' bila je oslobodilačka ?!

ZAGREB. 4. avgusta (Tanjug) - Akcija 'Oluja' bila je oslobodilačka, pravedna i legitimna odbrambena operacija hrvatskih oružanih snaga, izjavio je danas u Zagrebu premijer Ivo Sanader, dodavši da nikom, bez obzira da li se radi o unutrašnjim srpskim razlozima, neće dozvoliti da baci ljagu na tu akciju... 


"L'operazione 'Oluja' fu un intervento liberatorio, corretto e legittimo, una operazione difensiva delle forze armate croate", ha dichiarato a Zagabria il premier Ivo Sanader, aggiungendo che non permetterà' "a nessuno, fossero anche questioni interne serbe, di buttare fango su questa azione"
Questa è la risposta alle parole del presidente serbo, che il giorno prima aveva chiesto alla Croazia di riflettere sul tema dei propri crimini durante l'operazione Oluja: 



=== 3 ===


Associated Press - August 4, 2008

Nationalists mark anniversary of Croat offensive

BELGRADE, Serbia - Several hundred [Serbs] marched to
the U.S. and Croatian embassies in Belgrade on Monday
to mark the anniversary of a Croatian offensive that
drove tens [hundreds] of thousands of Serbs from their
homes in 1995.

Holding a banner reading "Unpunished Crime"...the
protesters briefly blocked traffic in one of the main
streets in the Serbian capital.

Dozens of riot police had deployed in the city center
and around the two embassy buildings. No violence was
reported.

Nationalists in Serbia view the United States as
anti-Serb.

The U.S. embassy in Belgrade was set on fire and
damaged during the protests in February against the
U.S.-backed independence of Kosovo.

....
Also Monday, government minister Rasim Ljajic said
tens of thousands of refugees who still remain
displaced after the Yugoslav wars should return to
their homes in other Balkan nations.

Ljajic said there can be no reconciliation in the
region "before the closing of the refugee files." He
added that Belgrade will initiate a meeting with
Croatia and Bosnia on the issue.

Thirteen years ago Monday, the Croatian army launched
a blitz offensive to retake territories occupied by
the rebel Serbs. The offensive triggered a massive
exodus of more then 200,000 Serbs.

While thousands of Serbs have returned to Croatia
since the war, many more remain in Serbia. Ljajic said
Serbia is among the top five nations in Europe in the
number of refugees it has.

---


B92 (Serbia) - August 3, 2008

Op Storm anniversary marked 

BANJA LUKA - Ceremonies are ongoing to mark 13 years
since a Croatian army campaign exiled more than
250,000 ethnic Serbs from that country.

The events to mark the anniversary are starting in
Banja Luka, organized by the Republic of Srpska (RS)
government.

The Croatian army, police, and Bosnian Croat army,
HVO, campaign started on August 4, 1995, and ended
four days later. 

In addition to those exiled, which constitute for the
victims of one of the most ruthless ethnic cleansings
in the former Yugoslavia, 1,960 Serbs were killed,
1,200 of those civilians. 

20,000 Serb-owned houses in Croatia were burned, while
others were looted and destroyed. 

In Croatia, the anniversary is celebrated as a state
holiday, dubbed the Victory and Homeland Gratitude Day
and Croatian Army Day. 

Official Zagreb celebrates the onslaught, named
Operation Storm, as an event that returned parts of
this country's territory held by ethnic Serb rebels
under its control. 

According to Croatian sources, some 31,000 Serb
soldiers were pitted against 138,500 members of the
Croatian army, police, and HVO. 

Almost the entire Serb population was driven out of
their homes in the areas of military operations in the
four days in August in 1995. 

They were forced to flee in refugee convoys that moved
through the Serb-controlled areas in northwestern
Bosnia, toward Serbia. 

Three former Croatian generals are currently standing
trial at the Hague Tribunal, charged with Operation
Storm crimes: Ante Gotovina, Ivan Cermak and Mladen
Markac. 

The UN war crimes indictment against them says that
the ethnic cleansing of Serbs was accomplished through
murder, imprisonment, deportation, looting and
destruction of property. 


=== 4 ===


B92 - August 4, 2008

“Situation ever harder for Serb returnees” 


BELGRADE - 72,000 of the 200,000 Serbs driven out of
Croatia 13 years ago during Operation Storm have since
returned.

Director of the Veritas Center for Information and
Documentation Savo Strbac says that two major problems
are preventing Serbs from returning to Croatia: secret
war crimes indictments, and the loss of their
residential rights.

Serbs who return to Croatia face harsh living
conditions, a lack of electricity, and drinking water.
Strbac says that returnees have virtually no chance of
finding employment. 

The Croatian authorities have submitted around 4,000
secret war crimes indictments, of which only 62 refer
to members of the Croatian armed forces. So far, 3,660
indictments have been processed. 

Strbac says that Serbs feared returning, because of
the possibility that their names might be on the
indictment lists. 

"Time and again, new criminal charges are being
pressed, returnees are being arrested, Serbs are being
arrested who are only passing through Croatia. This
year we have had six or seven arrests. Each arrest has
a negative impact on potential returnees,” he
explains. 

Serbs who once owned flats in Croatia cannot return to
them, because they have lost their residential rights.
Most of the flats were either sold or privatized in
1992, or returned to state ownership as a final
resort. 

The Croatian authorities have solved this problem by
according so-called temporary accommodation to those
who used to have residential rights. 

Strbac says that returnees who register for this
scheme never get their old flats back, but something
completely different. 

“The flats cannot be left as inheritance, and cannot
be bought. So, these 4,000 Serbs, who earlier
submitted applications for accommodation for
themselves and their families, are giving up,” he
says. 

According to statistics, 1,400 Serbs returned to
Croatia last year, with 3,800 Serbs going the other
way. 

Strbac says that at that rate, there would be no Serbs
left in Croatia soon. 

The Veritas director says that by 2011, when the next
census is due to take place, Tuðman’s projections that
“the Serb issue, as a destabilizing factor, would be
solved only when they constituted less than three
percent of the population,” could be achieved. 

He says that the return of residential rights and
revisions of indictments would boost the number of
returnees, adding however, that the Croatian
authorities are reluctant to assist Serbs in
facilitating their returns. 


=== 5: FLASHBACKS ===


www.resistenze.org - popoli resistenti - croazia - 28-08-07 

Da B92.net - 18/06/2007
 
Croazia: esumate vittime dell’Operazione Storm

 

Zagabria, Belgrado. Le esumazioni hanno scoperto 160 vittime serbe dell’Operazione Storm dell’Esercito Croato in una fossa comune a Petrinja.

 

Il Presidente della Commissione Persone Scomparse Veljko Odalovic ha confermato che vi erano sia vittime militari sia vittime civili di cui 30 donne, l’identificazione delle vittime comincerà tra breve.

 

Questa fossa comune è il più grande ritrovamento di questo tipo in questa regione della Croazia. Contiene i corpi dei Serbi uccisi nell’Agosto del 1995.

 

“Molto dipenderà dalla qualità dei campioni che possiamo avere. Essi vengono confrontati in laboratorio con il sangue delle famiglie delle persone scomparse per vedere se corrisponde, così possiamo affermare con una probabilità del 99,9 per cento di probabilità se la persona è quella in questione “ ha detto Odalovic parlando del procedimento di identificazione.

 

Il presidente del Centro di documentazione e informazione “Veritas”, Savo Štrbac ha dichiarato che la Croazia espressamente ha reso difficoltose le operazioni di esumazione.

 

La fossa comune situata a Petrinja risale al periodo del 1995, quando le forze croate “ sanarono il territorio” dopo la fine del conflitto, spostando i resti in tombe secondarie per aspettare un “ clima politico adatto” per autorizzare il ritorno dei resti alle famiglie delle vittime, ha poi dichiarato.


CROAZIA:ESTREMA DESTRA ACCOGLIE DA EROE DIROTTATORE GRAZIATO

(ANSA) - ZAGABRIA, 24 LUG - Zvonko Busic, esule anticomunista croato
condannato nel 1977 all'ergastolo negli Stati uniti per terrorismo e
per avere dirottato un aereo di linea, e' ritornato stasera in
Croazia, accolto da un folla di circa 500 persone, perlopiu' legate
all'estrema destra politica. Lo riferiscono i media croati. Busic,
che ha trascorso 32 anni nelle carceri americane, e' stato graziato
alcune settimane fa a condizione che non rientrasse negli Usa. Il 10
settembre 1976 Busic fu a capo di un gruppo di esuli croati che
sequestrarono un Boeing 727 TWA in volo tra New York e Chicago con a
bordo 76 passeggeri. I quattro uomini e la moglie di Busic, tutti
legati ad ambienti nazionalistici croati in opposizione al regime
comunista del maresciallo Tito e all'idea della Jugoslavia federale,
dirottarono l'aereo per lanciare su Londra e Parigi volantini in cui
si chiedeva l'indipendenza della Croazia. Dopo l'operazione fecero
decollare il Boeing a Parigi dove si consegnarono alla polizia. Prima
di salire sull'aereo il gruppo mise una bomba nella metropolitana di
New York e ne avverti' le autorita', ma durante il disinnesco
l'ordigno esplose uccidendo un agente, Brian J. Murray. Alla notizia
del suo rilascio la vedova dell'agente, Kathleen Murray, si e' detta
''scioccata''. Questa sera, all'aeroporto di Zagabria ad aspettare
Busic, accanto alla moglie Julienne e i tre compagni terroristi,
anche loro graziati prima della fine della pena di 30 anni, c'erano
circa 500 persone, tra cui vari personaggi politici legati alla
destra nazionalista, che lo hanno accolto quasi fosse un eroe, con
bandiere nazionali e canzoni patriottiche. (ANSA). COR-TF
24/07/2008 22:50


On Jul 30, 2008, at 11:47 AM, Coord. Naz. per la Jugoslavia wrote:

>
> CEREMONIAL RETURN
>
> Friends Await Zvonko Busic
> Around 500 citizens carried Croatian flags, sang patriotic songs,
> and chanted Busic’s name.
>
> Javno.com (Croatia) - July 29, 2008
>
> Around 500 friends, acquaintances and supporters greeted Zvonko
> Busic at Zagreb’s airport. Unfortunately, a few people managed to
> start chanting “Za dom spremni” ("ready for the homeland" (*)), but
> were soon hushed quiet, and Busic himself, upon arriving, asked
> those present to not shout Ustasha greetings.
> "Do not let me be ashamed of you, but make me proud of you," said
> Busic clearly.
> Amongst the many visitors were Frane Pesut, Slobodan Vlasic and
> Petar Matanic, participants of the hijacking of the American
> aircrafton a flight from New York to Chicago.
> "What should I say to you, I am overjoyed, I hardly awaited this
> moment," said Frane Pesut with tears of joy in his eyes.
> During a conversation, he stated that he knows nothing about the
> organization of the hijacking, because he believed Zvonko Busic and
> his associates that he was bringing a real bomb into the plane.
> Marijan Bosnjak, somebody that knows and respects what he calls a
> selfless sacrifice by a Croatian hero, said that Busic decided to
> sacrifice himself for what he believes in.
> "Zvonko wanted to attract the attention of the world to the
> suffering of one small people. Actions like those of Busic, raised
> the spirits of Croatians in the Diaspora. That event gained the
> attention of the whole world, and the punishment was absolutely too
> strict. They did not want anyone to get hurt, that action was the
> answer to the repression in Yugoslavia," considers Bosnjak.
> "I am beside myself from happiness. The big thing is that he
> (Busic) can return to a independent country, and if it will remain
> independent is its own choice," said Benjamin Tolic.
> The event was also attended by Father Vjekoslav Lasic, who before
> coming to the airport, paid respects to the remains of Dinko Sakic
> (**) at the crematorium.
> "I came to greet the Croatian legend Zvonko Busic, who I visited a
> number of times in prison. The sentence was too strong, and he lay
> innocent in the USA," said Vjekoslav Lasic.
> Marijan Buconjic, Busic’s roommate in New York, considers that
> Zvonko’s act was justified, and that he managed to show that
> Yugoslavia was repressive towards Croatians.
> Drazen Budisa, the representative of the Busic family, held a
> welcoming speech in which he said that Zvonko and his associated
> deeply regretted the innocent victim, the police officer Brian
> Murray, but that they did not want anyone to get hurt. An
> unfortunate turn of events was in question. He wished Busic and his
> wife peace and freedom in their life in Croatia.
> "I also fought for the independence of Croatia. I came as a
> Croatian convict, to greet a Croatian convict," said Anto Kovacevic
> who was also there.
> Busic was protected by strong police security and bodyguards that
> were hired by the veterans’ associations. That security managed to,
> with great difficulty, restrain the many people gathered there to
> greet Busic.
>
> (* Hystorical slogan of the fascist ustascia movement. "Pronti per
> la Patria", Slogan del movimento nazifascista degli ustascia. NdCNJ)
> (** A notorious, high-rank ustasha criminal in the 40ies.
> Tristemente noto criminale ustascia di alto livello negli anni '40.
> NdCNJ)
>
>
> ---
> ALTRA DOCUMENTAZIONE SUL TERRORISMO USTASCIA NEL CORSO DELLA GUERRA
> FREDDA / MORE DOCUMENTS ON USTASHI TERRORISM DURING THE COLD WAR
> PERIOD:
> https://www.cnj.it/documentazione/ustascia.htm
> ---
>
>
> On Jul 29, 2008, at 9:48 AM, Coord. Naz. per la Jugoslavia wrote:
>
>>
>> RITORNA VINCITOR
>>
>>
>> Dopo 30 anni di detenzione negli USA, il terrorista ustascia
>> Zvonko Busic è rientrato nella sua Croazia.
>> Nel 1976 si era reso responsabile di un tentativo di dirottamento
>> aereo, causando la morte di un agente di polizia e l'accecamento
>> di un altro all'aereoporto di New York.
>> L'azione - come tantissime altre commesse dagli ustascia esuli
>> all'estero in quegli anni - aveva come obiettivo quello di
>> attirare l'attenzione pubblica sulla causa croata.
>> Oggi Busic torna in Croazia da trionfatore, essendo stato
>> conseguito l'obiettivo per cui lui ed i suoi camerati all'estero
>> avevano commesso crimini nel corso della guerra fredda: la
>> distruzione della Jugoslavia e la instaurazione di uno Stato
>> etnico croato.
>> Come nel caso del Kosovo, anche nel caso della Croazia l'Occidente
>> ha premiato il terrorismo fascista.
>> (a cura di Italo Slavo per JUGOINFO)
>>
>> ---
>>
>> https://www.cnj.it/documentazione/ustascia.htm
>>
>> Croat terrorist back to Croatia after serving 30 years in US
>>
>> Associated Press - July 24, 2008
>>
>> ZAGREB, Croatia - A Croatian news agency says a
>> convicted plane hijacker is returning to Croatia after
>> serving 30 years in jail in the United States.
>>
>> The state-run agency HINA quoted the wife of Zvonko
>> Busic as saying he would return Thursday after being
>> granted parole for hijacking a TWA flight in 1976.
>>
>> Busic led the group of hijackers to draw attention to
>> Croatia's struggle for independence from communist
>> Yugoslavia and later surrendered.
>>
>> But a bomb they stashed in a locker at New York's
>> Grand Central Terminal exploded when police tried to
>> defuse it, killing one officer and blinding a second.
>>
>> Busic, revered by some in Croatia as a hero, was
>> convicted in 1977 of air piracy and granted parole
>> earlier this month.


Sovranità limitata

1) Smantellare le basi della guerra
Saranno consegnate giovedi le 60mila firme raccolte per la Legge di Iniziativa Popolare contro i trattati, le basi e le servitù militari

2) "Base Usa di Vicenza può ripartire"
Il testo della sentenza della Quarta Sezione del Consiglio di Stato che, in nome degli accordi segreti del 1954, annulla la sospensiva sui lavori decretata dal Tar del Veneto


=== 1 ===

Smantellare le basi della guerra

Comunicato stampa

Il Comitato Promotore ha scelto una data significativa - giovedì 7 agosto – per consegnare al Parlamento le sessantamila firme per la Legge di Iniziativa Popolare contro i trattati, le basi e le servitù militari. In un giorno situato a cavallo tra le due prime e uniche stragi atomiche nella storia dell’umanità – Hiroshima e Nagasaki - i movimenti No War ritengono che sia tempo di prendere di petto i trattati militari (come quello del 1954) dietro cui si nascondono i governi italiani – come nel caso del Dal Molin a Vicenza - per giustificare la costruzione e la presenza di basi militari e armi nucleari USA e NATO sul nostro territorio.

Il comitato promotore incontrerà i giornalisti giovedì 7 agosto alle ore 12.00 davanti agli uffici del Parlamento in via della Missione 6-8 dove sarà effettuata la consegna delle firme.

Decina di migliaia di firme in questi mesi sono state raccolte su questo obiettivo a Novara, Vicenza, Milano, Torino, Pisa, Livorno, Firenze, Bologna, Roma, Napoli, Lecce, Catania, Bari, Genova, Cagliari, Grosseto, Bergamo, Colleferro, Messina, Varese, Trieste, Viterbo, L’Aquila, Volterra, Salerno, Udine, Ancona, Caserta, Forlì, Cosenza, Ravenna, Lucca
In un Parlamento blindato dai sostenitori della guerra preventiva e della militarizzazione del territorio, tocca nuovamente ai movimenti rilanciare l’iniziativa per bloccare o smantellare le basi della guerra.

Rete nazionale Disarmiamoli
www.disarmiamoli.com; info @...


=== 2 ===

"Base Usa di Vicenza può ripartire"; Consiglio di Stato dice sì al governo

Accolto il ricorso del Ministero. Bocciato il Tar Veneto che aveva dato ragione alla richiesta di sospensione del progetto Dal Molin.
Il presidio No Dal Molin: "I cittadini di Vicenza continueranno nella loro opposizione"




29/07/2008 fonte: Presidio Permanente

 


La sentenza del Consiglio di Stato

 

Il testo della sentenza della Quarta Sezione del Consiglio di Stato; da notare che, nelle premesse, i giudici ammettono l'oggettività delle preoccupazioni dei cittadini vicentini, ma poi, in nome degli accordi segreti del 1954, annullano la sospensiva sui lavori decretata dal Tar del Veneto

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

Registro Ordinanze: 3992/2008
Registro Generale: 5344/2008 

Sezione Quarta 

composto dai Signori: Pres. Gaetano Trotta 
Cons. Pier Luigi Lodi 
Cons. Anna Leoni Est. 
Cons. Bruno Mollica 
Cons. Raffaele Greco 
ha pronunciato la presente 
ORDINANZA

nella Camera di Consiglio del 29 Luglio 2008 .

Visto l'art.21, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;

Visto l'appello proposto da:
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
MINISTERO DELLA DIFESA
rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GEN. STATO
con domicilio in Roma VIA DEI PORTOGHESI, n. 12
contro
CODACONS 
rappresentato e difeso da: Avv. CARLO RIENZI
con domicilio eletto in Roma VIALE GIUSEPPE MAZZINI, n . 73

ECOISTITUTO DEL VENETO “ALEX LANGER” non costituitosi; 
CODACONS VENETO non costituitosi; 
CASELLA ANTONIO non costituitosi; 
VERLATO DINO non costituitosi; 
RIZZOLI VITTORIO non costituitosi; 
ZACCARIA BENEDETTO non costituitosi; 
XAUSA ANNA non costituitosi; 
STUPIGGIA ANTONIO non costituitosi; 
SOCCIO MATTEO non costituitosi; 
BONATO BRUNO non costituitosi; 
SCALZOTTO FRANCESCO non costituitosi; 
MAGNAGUAGNO FILIPPO non costituitosi; 
ALBERA GIANCARLO non costituitosi; 
CAZZARO PIETRO non costituitosi; 

e nei confronti di
REGIONE VENETO
rappresentata e difesa dagli Avv.ti EZIO ZANON e LUIGI MANZI
con domicilio eletto in Roma VIA FEDERICO CONFALONIERI, n. 5
COMUNE DI VICENZA
rappresentato e difeso dagli Avv.ti LORETTA CHECCHINATO e MAURIZIO TIRAPELLE
con domicilio eletto in Roma VIA P. LUIGI DA PALESTRINA, n. 19
presso FABIO FRANCESCO FRANCO.

PROVINCIA DI VICENZA non costituitasi; 
CMR COOPERATIVA MURATORI RIUNITI non costituitasi; 
CMC COOPERATIVA MURATORI CEMENTISTI non costituitasi; 
CONSORZIO COOPERATIVE COSTRUZIONI non costituitosi; 
STATI UNITI D'AMERICA non costituitisi; 

AEROPORTI VICENTINI S.P.A.
rappresentati e difesi dagli Avv.ti DARIO MENEGUZZO e ORLANDO SIVIERI
con domicilio eletto in Roma VIA COSSERIA, n. 5

Interveniente ad Opponendum
COMUNE DI PADOVA 
rappresentato e difeso dagli Avv.ti ALESSANDRA MONTOBBIO, FABIO LORENZONI e VINCENZO MIZZONI con domicilio eletto in Roma VIA DEL VIMINALE, n.43 
per l'annullamento dell'ordinanza del TAR VENETO - VENEZIA : Sezione I n. 435/2008, resa tra le parti, concernente NULLA OSTA PER REALIZZAZIONE PROGETTO AMPLIAMENTO BASE U.S.A. DAL MOLIN ;
Visti gli atti e documenti depositati con l'appello; 
Vista l'ordinanza di accoglimento della domanda cautelare proposta in primo grado;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di:
AEROPORTI VICENTINI S.P.A. 
CODACONS 
COMUNE DI PADOVA 
COMUNE DI VICENZA 
REGIONE VENETO 
Udito il relatore Cons. Anna Leoni e uditi, altresì, per le parti gli avvocati Carlo Rienzi, Loretta Checchinato, Luigi Manzi, Fabio Lorenzoni, Orlando Sivieri e l’avvocato dello Stato Cesaroni; 

Premesso in punto di fatto
che la vicenda relativa alla realizzazione del progetto Dal Molin volto all’ampliamento della base U.S.A. sita nel territorio di Vicenza risale, secondo la ricostruzione contenuta nell’atto di appello della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della difesa, all’ottobre del 2004, allorché il Ministro della difesa p.t. espresse il proprio assenso di massima all’ipotizzato ampliamento dell’aeroporto Dal Molin;
che nel corso degli anni 2005, 2006 e buona metà del 2007 la vicenda, anche per la carenza di adeguate informazioni, ha assunto caratteristiche e dimensioni tali da ingenerare nella comunità locale preoccupazioni e proteste non prive di oggettive giustificazioni;
che la carenza di una adeguata informazione e di una corrispondente documentazione si è manifestata non solo nella fase procedimentale, ma anche nella fase processuale dinanzi al TAR del Veneto, che ha dovuto richiedere ripetutamente la documentazione necessaria per la decisione della istanza cautelare;
che il parziale adempimento dell’Amministrazione della difesa e le risposte non sempre adeguate e puntuali della stessa hanno, con ogni probabilità, contribuito a determinare il contenuto del provvedimento cautelare adottato dal giudice di I grado ed impugnato in questa sede;
che, nel giudizio cautelare di appello, tanto il Codacons quanto il Comune di Vicenza hanno avanzato riserve circa la produzione documentale depositata presso la Segreteria della Sezione dal Ministero della difesa, eccependone la inammissibilità;
che tale integrazione documentale, nel giudizio cautelare di secondo grado, non incontra, ad avviso del Collegio, le prospettate preclusioni processuali, ma non si sottrae ad una valutazione critica in termini di lealtà processuale, a norma dell’art.88 c.p.c.;
Considerato in diritto
che con determinazione del 17 luglio 2007 del Direttore generale del Ministero della difesa – Direzione generale dei lavori del demanio: 1) è stato autorizzato lo sviluppo dell’area dell’aeroporto “Dal Molin” per l’insediamento delle strutture dell’Esercito americano secondo le linee descritte nelle schede presentate per i singoli fabbricati di cui alla lista di progetti allegata; 2) è stata riservata la approvazione finale del progetto base presentato dall’Esercito americano al positivo compimento di una serie di condizioni; 3) è stata autorizzata la pubblicazione del bando di gara per l’affidamento della progettazione e della realizzazione dei lavori pur in pendenza di approvazione del progetto base, previo il rispetto di una serie di condizioni; 4) è stata riservata l’approvazione del progetto finale elaborato dal contraente aggiudicatario al positivo riscontro circa il rispetto delle previste prescrizioni ed indicazioni;
che le opere oggetto di autorizzazione, non riconducibili alle attività a diretto finanziamento Nato (per le quali è previsto un diverso iter programmatorio ed autorizzatorio), si inquadrano nelle attività a finanziamento diretto statunitense, regolamentate dall’Accordo bilaterale Italia-Stati Uniti d’America del 20 ottobre 1954, stipulato nell’ambito della mutua collaborazione tra gli Stati aderenti alla Nato, che prevede che la realizzazione dei programmi sia eseguita a cura di apposita Commissione mista costruzioni, attualmente collocata nell’ambito della Direzione generale dei lavori e del demanio del Ministero della difesa;
che il Pro-memoria d’intesa fra Italia e Stati Uniti d’America del 20 ottobre 1954 sulle procedure delle costruzioni da eseguirsi nel quadro delle infrastrutture bilaterali prevede, fra l’altro, che le costruzioni non saranno eseguite con fondi italiani e che ad esse saranno applicabili soltanto le leggi italiane di carattere generale che governano le costruzioni e non quelle che disciplinano e controllano le spese pubbliche;
che, inoltre, il Memorandum d’intesa tra il Ministero della difesa ed il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti del 2 febbraio 1995 ribadisce le competenze della Commissione mista costruzioni in merito alle costruzioni finanziate esclusivamente con fondi statunitensi;
che una apposita direttiva tecnica dello Stato Maggiore della difesa (SMD-PL 11/78), sottoscritta dalle due parti, regolamenta le procedure da seguire per la realizzazione delle infrastrutture di interesse degli Stati Uniti nel quadro dell’accordo bilaterale del 1954;
che l’art.5 del DPR n. 170 del 19/4/2005 (“Regolamento concernente disciplina delle attività del genio militare a norma dell’art.3, comma 7-bis, della L. 11 febbraio 1994, n. 109”) prevede che la realizzazione di infrastrutture sul territorio nazionale, finanziate da paesi alleati, è disciplinata da appositi memorandum d’intesa; che le attività connesse alla realizzazione della infrastrutture sono espletate da Geniodife sulla base di progetti redatti dal paese alleato, fatti salvi i particolari casi nei quali, su proposta di Geniodife, lo Stato maggiore della difesa autorizzi il paese alleato all’espletamento di tutte le attività connesse alla realizzazione; che in entrambi i casi appositi accordi regolano le modalità di controllo da parte delle autorità nazionali;
che la determinazione autorizzatoria del 17 luglio 2007, come indicato nelle premesse della stessa, trae la propria ragione dal consenso prestato dal Governo italiano al Governo degli Stati Uniti per l’esecuzione del programma, nell’ambito di intervenuti rapporti internazionali fra Stati, confermato in più occasioni dai diversi Governi succedutisi nel tempo e da ultimo formalizzato nella lettera del Presidente Prodi al Presidente Bush del 18/5/2007 e ribadito nella nomina dell’ on. Paolo Costa quale Commissario straordinario di Governo per lo svolgimento delle attività necessarie a favorire la realizzazione dell’ampliamento dell’insediamento militare americano all’interno dell’aeroporto “Dal Molin” di Vicenza;
che la natura del consenso prestato, quale atto promanante dal Governo nell’esercizio del potere politico e la sua riconducibilità alle attività di carattere internazionale fra Stati giustificano il regime delle forme proprio dell’ordinamento nel quale l’atto si è formato;
che, pertanto, in ragione della sua natura il consenso appare sottratto al sindacato giurisdizionale di legittimità, secondo quanto disposto dall’art. 31 del R.D. 26 giugno 1924 n. 1054, recante il Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato;
che il nulla osta prestato dal Ministero della difesa si inquadra correttamente nella procedura fissata dal Memorandum del 1995, per ciò che attiene agli obblighi assunti dal Ministero stesso tramite gli organi competenti(nella specie Geniodife, nel cui ambito opera la Commissione mista costruzioni);
che gli atti di natura internazionale che disciplinano le attività in questione prevalgono sulla ordinaria disciplina interna in materia di procedure ad evidenza pubblica per l’assegnazione di commesse pubbliche, come del resto previsto dall’art. 5 del DPR n. 170 del 2005;
che la determinazione autorizzatoria, contrariamente a quanto affermato nella ordinanza impugnata, reca esplicita menzione, fra le condizioni apposte per l’approvazione finale del progetto, sia della collocazione degli accessi sia della elaborazione di una ipotesi alternativa di localizzazione dell’insediamento;
che appaiono privi di riscontri concreti i profili di danno ambientale segnalati nella ordinanza impugnata e che non appare, altresì, comprovata la necessità, nella procedura risultante dal Memorandum del 1995, della consultazione della popolazione interessata, dovendosi tale ipotesi ricondurre a dichiarazioni del Ministro della difesa, come risulta dai resoconti parlamentari del 30.1.2007 (CAMERA DEI DEPUTATI) e del 1°.2.2007 (SENATO DELLA REPUBBLICA), depositati agli atti del presente procedimento;
che, infine, in data 4 dicembre 2007, a seguito di successivi approfondimenti effettuati in coerenza alle raccomandazioni del Commissario di Governo di verificare ipotesi alternative di sviluppo, è stata emessa da Geniodife una nuova autorizzazione per la progettazione dell’intervento sul lato ovest (subordinata all’approvazione del progetto finale, su cui la Regione Veneto ha espresso in data 9/1/2008 la valutazione favorevole di incidenza ambientale) la quale consente di sostituire in tutto o in parte un insediamento militare già esistente e permette il riuso di aree aventi prevalentemente la medesima destinazione e la conservazione a verde dell’area ad est della pista aeroportuale prevista dal precedente progetto;
che l’efficacia di detta successiva autorizzazione, viene tuttavia paralizzata dalla ordinanza di cui si chiede l’annullamento, che inibisce nei confronti di chicchessia l’inizio di ogni attività diretta a realizzare l’intervento; 
Ritenuto, conclusivamente, sulla base di quanto esposto, che: 1) le attività di cui si discute sono regolamentate da accordo bilaterale internazionale fra Italia e Stati Uniti d’America; 2) le procedure fissate in tale accordo prevedono il totale finanziamento a carico degli Stati Uniti e l’assegnazione delle commesse sulla base della procedura speciale pattizia e non delle norme interne, salvo che per le norme italiane di carattere generale regolanti le costruzioni; 3) l’atto di assenso del Governo italiano alla richiesta del Governo statunitense costituisce espressione di potere politico, insindacabile a livello giurisdizionale; 4) la determinazione autorizzatoria impugnata è rispettosa delle condizioni previste per l’approvazione del progetto; 5) non è prevista negli accordi intervenuti fra i due Governi la consultazione popolare; 6) non appaiono comprovate ragioni di danno ambientale capaci di costituire ostacolo alla realizzazione delle opere in questione;
Ritenuto, pertanto, che non sussistevano i requisiti per la concessione del provvedimento cautelare chiesto in primo grado e che, di conseguenza, va riformata l’ordinanza impugnata;
P.Q.M.
accoglie l’appello indicato in epigrafe e, per l’effetto, previo annullamento della ordinanza impugnata, respinge l’istanza cautelare proposta dai ricorrenti in primo grado.
Spese al definitivo.
La presente ordinanza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Roma, 29 Luglio 2008 

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Anna Leoni Gaetano Trotta


IL SEGRETARIO
Giacomo Manzo



Fonte originale: 
J. Laughland on the Arrest of Radovan Karadzic
Russian Information Agency Novosti - July 22, 2008


L'ARRESTO DI RADOVAN KARADZIC

DI JOHN LAUGHLAND

L’arresto di Radovan Karadzic giunge quasi esattamente sette anni dopo la prima comparizione di Slobodan Milosevic davanti al Tribunale Penale Internazionale per i crimini nell’ex-Jugoslavia, all’Aja, il 3 luglio 2001. L’incarcerazione di Milosevic fu, come oggi quella di Karadzic, il diretto risultato di un cambio di governo a Belgrado: così come l’arresto di Karadzic è avvenuto subito dopo la formazione, l’8 luglio scorso, di un governo filo-europeo e filo-occidentale, anche quello di Milosevic, nell’aprile 2001, fu la conseguenza diretta della vittoria del Partito Democratico (il cui leader è ora Presidente della Serbia) alle elezioni parlamentari del dicembre 2000. 

L’arresto dimostra che il potere politico è profondamente sensibile ai procedimenti penali: come avvenne con Milosevic, tale arresto è evidentemente la conseguenza del fatto che gli appoggi di Karadzic hanno perso potere a Belgrado. Ma tale verità si applica anche al TPIJ, che alla fine di giugno ha liberato Naser Oric, il comandante bosniaco musulmano di Srebrenica, il cui esercito usò la copertura della zona di sicurezza ONU per condurre incursioni notturne contro i villaggi serbi dei dintorni, nei quali commise numerose atrocità contro i civili. La liberazione di Oric è giunta, anch’essa, dopo l’assoluzione, nell’aprile scorso, dell’ex-primo ministro kosovaro e capo dell’UÇK [Esercito di Liberazione del Kosovo, NdT], Ramush Haradinaj, nonostante il tribunale, nel suo decreto, abbia sottolineato che diversi testimoni dell’accusa sono stati misteriosamente assassinati prima di potersi recare a testimoniare all’Aja. 

Molti Serbi, dunque, saranno convinti che il TPIJ abbia fondamentalmente un orientamento anti-serbo. Ma la maggior parte di loro ha anche subito quindici anni di ostilità da parte dell’Occidente in generale, tanto da aver probabilmente deciso che «se non li puoi battere, allora meglio stare dalla loro parte»: ecco il motivo per cui i Serbi hanno votato per un presidente filo-europeo in febbraio e per un governo filo-europeo in maggio. Essi, o per lo meno i loro leader, sono giunti alla conclusione che Karadzic dovesse essere sacrificato per un interesse superiore, quello nazionale, che dal loro punto di vista significa adesione all’Unione Europea e alla NATO. L’annessione della Serbia in queste due strutture, ora inevitabile, porterà semplicemente a compimento il progetto geopolitico occidentale nei Balcani.

Quindi, anche ammesso che il TPIJ sia anti-serbo, ciò che importa è individuare il punto chiave dell’agenda politica dello stesso tribunale, vale a dire la giustificazione della nuova dottrina occidentale di ingerenza militare e giudiziaria. Secondo questa dottrina, la forza militare può essere impiegata contro uno Stato qualora il suo governo violi i diritti dell’uomo. I Serbi sono appunto il popolo nei confronti del quale è stata testata questa politica. 

Per quanto tale politica possa esercitare un grande richiamo superficiale, dal momento che nelle guerre dei Balcani sono state indubbiamente commesse delle atrocità, la sua ipocrisia risiede nel fatto che né la NATO né una qualsiasi altra potenza occidentale abbiano tentato di raccogliere un vero sostegno internazionale, per esempio attraverso l’elaborazione di un trattato internazionale o con la riforma della Carta dell’ONU che, attualmente, impedisce una tale ingerenza. Questa politica è stata semplicemente annunciata unilateralmente.

Storicamente nessun processo penale nei confronti di un capo politico è mai sfociato in un’assoluzione, sebbene la tradizione abbia preso il via nel lontano 1649, con il re d’Inghilterra Carlo I. Questo perché l’incriminazione di un ex-sovrano è un mezzo per dimostrare che un nuovo regime è al potere, e, ancor più, per togliere legittimità a quello precedente. Nel caso di Karadzic non andrà diversamente. Per formare il proprio convincimento, il TPIJ commette numerose violazioni dei maggiori principi di procedura legale e, in particolare, ha elaborato una teoria della responsabilità talmente ampia che, di fatto, si chiede agli accusati di provare la propria innocenza di fronte alla presunzione di colpa. Anche se non esiste nessuna prova che Karadzic abbia ordinato di commettere dei crimini di guerra, egli sarà perseguito sulla base del fatto che avrebbe potuto e dovuto sapere. Il TPIJ si comporterà in questo modo perché l’orientamento politico a monte del processo contro Karadzic stabilisce che costui, in quanto presidente serbo-bosniaco, non era altro che un criminale; dunque l’intervento della NATO contro i Serbi di Bosnia nel 1995 rappresenta non un atto di aggressione alla luce del diritto internazionale, ma piuttosto un’azione giustificabile. 

La logica testata nei Balcani nel 1995 e nel 1999 (quando la NATO attaccò la Jugoslavia per la questione del Kosovo) è stata applicata in modo molto più drammatico quando gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dichiararono di avere, essi soli, il diritto d’imporre delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU all’Iraq. Questa guerra – legittimata in seguito anche da un processo politico – ha fino ad oggi consumato quasi un milione di vite umane e gettato un’intera regione in un caos apparentemente senza fine.

È giunto il momento, per il mondo intero, di riflettere seriamente sul pericolo rappresentato dall’introduzione del diritto penale nelle relazioni internazionali. 

John Laughland

John Laughland, studioso britannico di Scienze politiche, è stato amministratore fiduciario del British Helsinki Human Rights Group e membro di Sanders Research Associates. Attualmente è direttore delle ricerche presso l’Institut pour la Démocratie et la Coopération. Il suo libro sul processo a Milosevic, "Travesty" ("Farsa"), è stato pubblicato dalla londinese Pluto Press nel 2007.





junge Welt (Berlin)

02.08.2008 / Wochenendbeilage / Seite 1 (Beilage)

»In Bosnien hat kein Völkermord stattgefunden«


Gespräch mit Edward S. Herman. Über den Krieg in Jugoslawien, die Rolle des Westens, die Verteufelung der Serben und das Schweigen der Mainstreammedien

Cathrin Schütz


Edward S. Herman ist emeritierter Professor für Finanzwirtschaft an der Universität von Pennsylvania/USA. Zu seinen Arbeiten zählen u. a. »The Myth of the Liberal Media: An Edward Herman Reader« (Peter Lang, 1999).


Zur Frage der Medienberichterstattung über den Kosovo-Konflikt erschien 2000 bei Pluto Press das von ihm und Philip Hammond herausgegebene Buch »Degraded Capability: Media Coverage of the Kosovo War«. Das Standardwerk kritischer Medienanalyse »Manufacturing Consent: The Political Economy of the Mass Media« (Pantheon,1988; überarbeitete Neuauflage: Pantheon, 2002) verfaßten er und Noam Chomsky gemeinsam. Herman ist regelmäßiger Kolumnist des Z Magazine.

Seit Gründung der Srebrenica Research Group fungiert Professor Herman als deren Vorsitzender. Die bisher unveröffentlichten, 200 Seiten starken Ergebnisse ihrer Studie »Srebrenica and the Politics of War Crimes« sind in Auszügen auf der Webseite der Gruppe abzurufen. Weitere Mitglieder sind der US-amerikanische Dokumentarfilmer George Bogdanich, der New Yorker Autor George Szamuely, Michael Mandel, Professor für Internationales Recht an der Universität von Toronto , der ehemalige BBC-Reporter in Jugoslawien Jonathan Rooper sowie die Briten Tim Fenton und Philip Hammond.


Der Name des ehemaligen Präsidenten der bosnischen Serben, Radovan Karadzic, ist untrennbar mit dem verbunden, was als »von den aus Belgrad kontrollierten bosnischen Serben begangenes Massaker von Srebrenica an 8000 bosnisch-muslimischen Jungen und Männern« dargestellt wird. Was sagen Sie als Vorsitzender einer Gruppe, die sich um eine objektive Betrachtung der Ereignisse im bosnischen Srebrenica bemüht, zu seiner eben erfolgten Auslieferung an das Sondertribunal für Jugoslawien (ICTY)?

Ich kann ihr nichts Positives abgewinnen. Sie spiegelt die andauernde Demütigung und den Verlust der staatlichen Souveränität Serbiens wider, das seit 1990 den Angriffen der EU ausgesetzt ist. Die EU bestimmt, was Serbien zu tun hat, um von der Liste der Bösen gestrichen zu werden. Das Land verliert dabei seine Autonomie, seinen Stolz und seine Besonderheiten. Der westliche Druck machte es zum scharf gespaltenen, gebrochenen Land, zum failed state.

Was sagen Sie zur Äußerung des US-Diplomaten Richard Holbrooke im aktuellen Spiegel, Karadzic hätte einen »guten Nazi« abgegeben?

Bosnien war Schauplatz eines vom Westen geschürten, häßlichen Krieges. Ein Völkermord dagegen hat nicht stattgefunden. Vielleicht haben die bosnischen Serben mehr Menschen getötet als die Kroaten und Muslime, aber letztlich standen sie sich in nichts nach. Doch nur die Serben galten als Täter. Karadzic unterschied sich durch nichts von Dutzenden anderen Kriegsbeteiligten, die taten, was in einem solchen Bürgerkrieg normal ist. Ich halte ihn für weit weniger schuldig an Massentötungen als George Bush senior, William Clinton, Madeleine Albright und Anthony Blair. Sein Prozeß ist ein klassischer Fall selektiver Strafverfolgung, hat also nichts mit Gerechtigkeit zu tun.

Holbrooke ist ein Lügner und Heuchler. Er verbreitet nach wie vor die völlig übertriebene Zahl von 300000 Toten im Balkan-Krieg. Übrigens weiß keiner, daß er Ende der 1970er US-Botschafter in Indonesien war, als das Land einen echten Völkermord in Ost-Timor beging. Er war einer der größten Leugner dieser Verbrechen und zuverlässiger Verteidiger des Völkermörders Suharto.

Im Jugoslawien-Krieg sind viele grausame Taten begangen worden. Warum wird gerade den bosnischen Serben ein Völkermord vorgeworfen?

Als das Srebrenica-»Massaker« im Juli 1995 stattfand, tobte der Krieg in Bos­nien schon seit drei Jahren. Der Westen hatte sich früh auf die Seite der bosnischen Muslime gestellt und die Serben zu den Schurken erklärt. Besonders Deutschland, Österreich, der Vatikan und dann auch die USA folgten eigenen Interessen. Die Existenz eines blockfreien, sozialistischen Jugoslawien, das im Kalten Krieg eine nützliche Rolle spielte, lehnten sie nach dem Zusammenbruch der Sowjetunion ab. Die Dämonisierung der Serben war sehr effektiv – nicht, weil ihr Fehlverhalten einzigartig gewesen wäre. Sie taten schreckliche Dinge, genau wie ihre ethnischen Rivalen in diesem Krieg. Man denke nur an den Kopf der bosnisch-muslimischen Streitkräfte in Srebrenica, Naser Oric. Er brüstete sich damals vor Bill Schiller vom Toronto Star damit, serbische Zivilisten ermordet zu haben. Er spielte Videos geköpfter Serben ab und behauptete, 114 in einer einzigen Aktion getötet zu haben. 

Doch der Blick wurde nur auf serbische Verbrechen gerichtet. Die Medien verloren bei der Berichterstattung über die Kämpfe in Bosnien jede Objektivität und spielten der Propaganda von NATO und bosnischen Muslimen in die Hände. Der damals in Bosnien stationierte US-Militär John Sray bezeichnete die laufenden Medienberichte als »unerschöpfliche Quelle der Mißinformation«.

Warum kam es zu dieser Verteufelung der Serben?

Weil Belgrad, das sowohl Hauptstadt der Sozialistischen Bundesrepublik Jugoslawien als auch der serbischen Teilrepublik, Sitz der Opposition gegen die Zerschlagung der Bundesrepublik war, wurden Belgrad und Serbien seit der ersten Hälfte des Jahres 1991 zum Bösen erklärt.

Es heißt gemeinhin, die Welt habe dem Krieg tatenlos zugesehen. 

Sie hat das Töten gefördert, indem sie parteiisch war, die Abspaltung Slowe­niens, Kroatiens und Bosniens von Jugoslawien antrieb, der isolierten serbischen Bevölkerung in diesen neuen politischen Gebilden aber nicht erlaubte, in Jugoslawien zu verbleiben oder sich mit Serbien zu vereinigen. Deutschland und die USA spielten die aggressivste Rolle. Sie bewaffneten auch die Muslime und erlaubten Dschihad-Kämpfern, nach Bosnien zu ziehen, um an deren Seite zu kämpfen. Der Westen verhinderte eine Verhandlungslösung und förderte einen Krieg der ethnischen Säuberung. Er belohnte die Sezessionisten, in dem er ihre völlige Kontrolle über den Staatsapparat in den alten Teilrepubliken zur Bedingung für die Anerkennung der Unabhängigkeit machte. So hatten die ethnischen Mehr- und Minderheiten keine andere Wahl, als den Konflikt in diesen Kategorien zu verstehen. Den bosnischen Muslimen wurde signalisiert, daß die ­NATO sie unterstützen und gar militärisch eingreifen würde, wenn sie ein Übereinkommen mit den bosnischen Serben ablehnten und den Kampf fortsetzten. Also kündigte ihr Führer Alija Izetbegovic, ermuntert von den USA, das Friedensabkommen von Lissabon auf, das sie mit den bosnischen Serben und Kroaten im März 1992 unterzeichnet hatten. Die Folge waren viele unnötige Tote und Flüchtlinge.

Trotzdem heißt es, die Serben hätten den Krieg entfacht. Der in der monarchistischen Tschetnik-Tradition stehende, dem orthodoxen Glauben tief verhaftete Karadzic und der bekennende Sozialist und Anhänger Tito-Jugoslawiens Milosevic hätten auf dem Weg ethnischer Säuberungen den gemeinsamen Plan der Errichtung eines Groß-Serbiens verfolgt, sagt das ICTY. 

Die bosnischen Serben waren 1992 sehr um eine Übereinkunft mit den Muslimen bemüht. Izetbegovic lehnte ab. Nach diesem Rückschlag kämpften die bosnischen Serben dann um die Verteidigung ihrer Gebiete, die sie im Lauf des Krieges vergrößern konnten, um eine abschließende Lösung vorzubereiten. Die wurde nach Jahren sinnloser Kämpfe im Oktober 1995 in Dayton erreicht. Das Ergebnis ähnelte dem Plan von Lissabon. 

Die Serben in Belgrad halfen den bosnischen Serben mal mehr, mal weniger. Man stritt den ganzen Krieg hindurch über die politische Linie. Belgrad hat die bosnischen Serben nicht kontrolliert. Milosevic kämpfte jahrelang für ein Ende des Bosnien-Krieges, um die Sanktionen gegen Serbien loszuwerden. Er unterstützte ausnahmslos jede Friedensinitiative westlicher Diplomaten. Die meisten wurden von den bosnischen Muslimen mit Rückendeckung der USA sabotiert, wenn auch die bosnischen Serben zu Milosevics Verdruß nicht immer kooperativ waren.

Stehen Sie mit Ihrem Bemühen, aufzudecken, was in Srebrenica im Juli 1995 wirklich passierte, im Westen nicht sehr allein dar?

Neben zwei Büchern von George Pumph­rey von 1998 und unserem noch unveröffentlichten Buch kenne ich keines, das die Mainstream-Geschichte über Srebrenica in Frage stellt. Der UNO-Bericht »The Fall of Srebrenica« weist fundamentale Mängel auf und stellt im Kern ein politisches Dokument dar, das der etablierten Linie folgt. Die holländische Regierung gab 2002 eine Studie heraus, die entscheidende Punkte nicht berührt. Die Ausnahme bildet der von Cees Wiebes verfaßte Anhang, ein seriöses wissenschaftliches Werk, das den bosnischen Konflikt verständlich macht, wichtige Zweifel an der Mainstream-Geschichte anmeldet, Schlußfolgerungen aber scheut.

Wiebes hatte weitreichenden Zugang zu Berichten westlicher Nachrichtendienste bekommen.

Ja. Deren Analyse zeigt, daß ihnen keinerlei Informationen über die Vorbereitung und Planung eines gezielten Massakers vorlagen und es keine Satellitenaufnahmen oder andere Zeugnisse von Massakern, Exekutionen oder Aushebung von Gräbern gibt.

2002 hat die Serbische Republik in Bosnien einen Bericht zu Srebrenica veröffentlicht. Der Brite Paddy Ashdown hat diesen in seiner Funktion als Hoher Repräsentant Bosniens abgewiesen. War er so brisant?

Die Massakerversion wird auf Basis einer offenbar sorgfältigen Untersuchung gänzlich in Frage gestellt. Der Bericht behandelt die komplexe Situation in Srebrenica in den Kriegsjahren, auch Details über die Vertreibung der Serben aus Srebrenica durch die bosnischen Muslime lange vor den Ereignissen im Juli 1995. Der Westen stellte im Rahmen der UNO ein kleines Militärkontingent, das die Bevölkerung in den »Schutzzonen« schützen sollte, die als »demilitarisiert« erklärt wurden, tatsächlich aber nicht entwaffnet waren. Srebrenica war eine solche. Es gab zwar einen holländischen Truppenverband, doch Srebrenica blieb ein Stützpunkt bewaffneter bosnischer Muslime, die nach Angriffen auf serbische Dörfer und Zivilisten unter den Schirm der Schutzzone zurückkehren konnten. Unter Oric töteten sie zwischen 1992 und Juli 1995 weit über tausend Serben und zerstörten Dutzende serbische Dörfer. Auch dies behandelt der Bericht, den Ashdown abwies. Er berief eine neue Arbeitsgruppe, deren Bericht wohlwollend ist und nicht dem wissenschaftlichen Anspruch des ursprünglichen Berichts entspricht. Die westlichen Medien benutzen den neuen Bericht nun als Beweis für die Anerkennung der herrschenden Srebrenica-Version durch die bosnischen Serben.

Zu welchen Ergebnissen kam Ihre Forschungsgruppe?

Es gibt keine glaubwürdigen Beweise für die Behauptung, 7000 bis 8000 Muslime seien durch Serben in Srebrenica hingerichtet worden. 

Die Politik der USA gefährdete die Menschen in den »Schutzzonen«, weil sie die Enklaven nicht demilitarisierte und die Bewaffnung der muslimischen Seite ermöglichte. Die bosnisch-muslimischen Truppen hatten den Befehl zu provokativen Handlungen. Statt Srebrenica zu verteidigen, wurde die 5500 Mann starke muslimische Truppe angewiesen, die Stadt zu verlassen. Das ICTY hat aus politischem Kalkül am 27. Juli 1995 die bosnisch-serbische Führung wegen »Völkermord« angeklagt, nur drei Tage nachdem ihr Chefermittler für Bosnien, Herbert Wieland, mitteilte, daß er bei Vor-Ort-Ermittlungen keine einzige Person gefunden hat, die Exekutionen bezeugen konnte. Der unerbittliche Fokus auf Srebrenica drängte schließlich die von den USA unterstützte gewaltige ethnische Säuberung, die sich gegen die Serben in Kroatien richtete, die sich im Folgemonat abspielte, in den Hintergrund.

Obwohl von einer großangelegten Offensive gesprochen wird, sagen Sie, daß die Stadt nicht verteidigt wurde? 

Am Tag, an dem Srebrenica an die bosnischen Serben fiel, war der bewaffnete Widerstand gegen sie schon lange versiegt. Eine »großangelegte Offensive« war nicht notwendig. Offensichtlich beschlossen die Serben erst am Abend des 9. Juli, nachdem ihr Vormarsch am südlichen Ende der Enklave nahezu widerstandslos blieb, einzumarschieren und die gesamte »Schutzzone« zu besetzen, was sie schließlich am 11. Juli taten. Das ist der kritische Punkt. Man kann nicht vom »Fall Srebrenicas« sprechen. Die bosnischen Serben zogen ungehindert ein.

Milosevics Tod verhinderte die Aussagen der Entlastungszeugen zu Srebrenica und der Völkermordanklage. 

Milosevic war in keiner Weise in die Ereignisse in Srebrenica involviert. Das geht vor allem aus Wiebes’ Report hervor. Doch was hätten seine Zeugen ausgerichtet? Für den Westen war Milosevic der Schuldige am jugoslawischen Krieg. Der Prozeß hatte die Funktion, diese Vorgabe zu bestätigen. Die Anklage erlitt in zentralen Punkten vernichtende Schläge, doch im Westen nahm das keiner zur Kenntnis. Der Versuch, Milosevic zum Völkermörder zu stempeln, scheiterte kläglich. Die damalige Chefanklägerin Carla del Ponte verzweifelte, weil im Kosovo trotz hysterischen Unterstellungen von Massenmorden und einer der größten forensischen Untersuchungen in der Geschichte nur etwa 4000 Leichen gefunden wurden. Also wollte sie Milosevic auch für Tote in Bosnien verantwortlich machen. Die Beweislage zeigte aber, daß er die bosnischen Serben nicht kontrollierte. Dann platzte die Theorie der Ankläger, er habe für Groß-Serbien gekämpft. Dann die Blamage, daß zwei Forschungsarbeiten eines vom ICTY und von NATO-Regierungen finanzierten Instituts die Zahl der toten Zivilisten in Bosnien auf allen Seiten auf unter 70000 bemaß. Die herrschende Version lautet, daß es allein bis 1993 über 250000 tote Muslime gab. Es ist absurd, daß in Srebrenica ein Völkermord stattgefunden habe. Alle Frauen und Kinder wurden mit Bussen in Sicherheit gebracht, und das ICTY räumte selber ein, daß eine unbekannte Zahl von »Vermißten« im Kampf gefallen sein können. Kann es einen »Völkermord« in einer einzigen Kleinstadt geben? Die Anschuldigung ist eine Beleidigung der Opfer echter Völkermorde, wie das Hinschlachten der europäischen Juden durch die Nazis oder die Massaker kroatischer Ustascha-Faschisten an Serben im Vernichtungslager Jasenovac.

Als »Völkermörder« werden die im Visier der Mächtigen stehenden angegriffen, jetzt der Präsident des Sudan, vor ihm Charles Taylor und Milosevic. Weder führende westliche Politiker noch deren Verbündete werden so tituliert.

Das ICTY hat Oric zu zwei Jahren Haft verurteilt. Am 3. Juli hat er in der Berufung einen Freispruch erzielt. Was sagt das Urteil über das ICTY aus? 

Oric wurde nur angeklagt, um dem ICTY den Anschein der Gleichbehandlung zu geben, was teilweise durch Orics Bekanntheit und dessen eigene Zurschaustellung seiner Verbrechen erzwungen wurde. Schon das erstinstanzliche Urteil war ein schlechter Scherz. Oric wurde von seiner Schuld als Mörder freigesprochen und sein Versagen darauf beschränkt, Bluttaten seiner Untergebenen nicht verhindert zu haben. Das allein bestätigte zum tausendsten Mal, daß das ICTY ein Instrument der NATO ist. Dann jedoch wurde dieses aberwitzige Urteil in der Berufung ganz gekippt. Die Handvoll Morde, die sein Untergebener begangen habe, seien nicht ausreichend bewiesen.

Anders als bei der Auslieferung Karadzics hüllten sich die Medien nach diesem Urteil in Schweigen.

Und anders als Karadzic hat Oric selbst getötet. Oric war ohne Zweifel direkt oder als Befehlshaber verantwortlich für den Mord an über tausend Serben. Aber danach hat keiner je gefragt, auch nicht, als General Philippe Morillon, der Kommandeur der UNO-Streitkräfte in Bosnien war, Orics vorangegangene Greueltaten klar für die Reaktion der Serben im Juli 1995 verantwortlich machte. Getötete Serben zählen eben nicht. Das sieht man auch am Umgang mit den serbischen Opfern aus der Zeit der mit den Nazis verbündeten kroatischen Ustascha-Faschisten. Wann wird im Westen den Opfern von Jasenovac gedacht? Aber der Westen zelebriert alljährlich das Gedenken an den »Völkermord« an den bosnischen Muslimen aus Srebrenica.

Kürzlich erschien in Bosnien ein Buch von Ibran Mustafic. Er war nicht nur Mitglied der Izetbegovic-Partei, sondern Bürgermeister von Srebrenica. Welche Fakten bringt er ans Licht?

Als Insider auf der bosnisch-muslimischen Seite liefert er massenhaftes Beweismaterial für die dem »Massaker« vorangegangenen Verbrechen an den Serben. Oric ist für ihn ein Kriegsverbrecher erster Klasse. Bezeichnend ist, daß das ICTY Mustafic als Belastungszeugen gegen Oric geladen hatte, ihn aber dann sehr kurzfristig wieder auslud.

Haben die Medien auf Ihre Ergebnisse reagiert?

Die Mainstream-Presse ignoriert uns. Wir haben es mit einem geschlossenen Denksystem zu tun, das einem totalitären System alle Ehre macht.


Literatur:

– Srebrenica Research Group:


– Cees Wiebes: Intelligence and the War in Bosnia 1992-1995 (London: Lit Verlag, 2003)

– Bill Schiller: Muslims’ hero vows he’ll fight to the last man, Toronto Star, 31. Januar 1994:


– George Pumphrey: The Srebrenica Massacre: A Hoax


– George Pumphrey (Hg.): The Srebrenica Massacre: A Reader (Aufsatzsammlung):




http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/
grubrica.asp?ID_blog=90&ID_articolo=285&ID_sezione=&sezione

LASTAMPA.it

Danni collaterali
29/7/2008 - UNA LETTERA DALLA SERBIA

Monty Python Balcan circus
Ovvero il caso Karadzic visto dall'altra parte dell'Adriatico

Barbatovac, Serbia, 27.07.2008

Quando i diplomatici britannici vi fanno i complimenti per
l'eccentricità e i Monty Python vi invidiano il Dr 3D Karadzic
(Dragan David Dabic, la nuova identità dell' ”eroe”), significa che
il vostro paese è un luogo decisamente non noioso. L'esatto contrario
della promessa dell'oramai ex primo ministro Kostunica, che la sera
che prese il potere dopo aver buttato giù Milosevic, nel lontano 5
ottobre del 2000 disse davanti alla folla: “Vi prometto una Serbia
normale. Una Serbia noiosa”.
Intendeva dire, un paese dove i problemi maggiori saranno legati al
lavoro, alle ferie, ai flirt sotto l'ombrellone. Non ha mantenuto la
promessa Kostunica. Ancora i giornali di mezzo mondo hanno parlato di
Belgrado, stavolta in chiave turistica: i lovely and iresisteble
Balcans rappresentano un luogo ideale per il tihovanje (la via
trascendentale per il raggiungimento del nirvana, della pace
assoluta, tramite le pratiche di raccoglimento esercitate dai preti
ortodossi nei monasteri di Hilandar e Ravanica), per l'energia
quantica umana e per i genocidi fuggiaschi.

La notizia dell'estate è decisamente questa: Radovan Karadzic è stato
arrestato. Non potrebbe che essere una svolta per la giustizia. Tutto
il mondo politico si è congratulato con la Serbia per il suo
coraggio. I serbi hanno reagito bene (tranne qualche cameraman del
b92 contuso, e, vedremo domani la manifestazione indetta dal partito
radicale contro il “regime di Tadic”, in realtà in sostegno di
Karadzic), il momento politico per voltare pagina è maturo, se pur
con un equilibrio estremamente fragile. Il presidente Tadic ha
compiuto il lavoro del suo predecessore Djindjic e ha mostrato una
maturità politica eccezionale. Anche i macchiavellici italiani lo
invidierebbero! Quello che stona è la poca chiarezza dei fatti. Se
David Dabic è stato aiutato a nascondere Radovan Karadzic e lo è
stato in maniera organizzata, per anni, cosa è cambiato nel frattempo
nei rapporti serbo-americani che possa aver cancellato l'accordo
scritto Karadzic – Holbrooke?

A portare all'attenzione della stampa l'esistenza di un accordo
segreto sulla scomparsa di Karadzic è l'ex ministro degli Interni
serbo Vlado Nadazdin, secondo il quale si tratta di un accordo
firmato nel 1995, prima della Conferenza di Dayton. Nadazdin conferma
di aver visto con i propri occhi quel documento, che fu firmato a
Sarajevo o a Pale da Richard Holdbrooke, vicesegretario di Stato e
plenipotenziario dell'amministrazione Clinton nei Balcani, ma
stranamente l'accordo originale è scomparso poco dopo dagli archivi
del Ministero degli Interni.
L'accordo precisa che Karadzic avrebbe dovuto dare le dimissioni
dalle sue funzioni all''interno del governo e del partito, e che non
ha avuto alcun ruolo determinante nella guerra di Bosnia Erzegovina
per quanto riguarda la dislocazione dei civili e le decisioni
militari. Era stato stabilito che avrebbe lasciato la politica e non
avrebbe rilasciato interviste, né scritto su questioni politiche, o
preso parte a movimenti politici. Secondo l`accordo doveva lasciare
la Repubblica Srpska, come territorio della Ex Federazione della
Jugoslavia, senza che venisse perseguito come sospetto di crimini di
guerra. Esplicitamente venne scritto che il Tribunale dell'Aja non
era competente per ciò che riguardava Radovan Karadzic, e che il
governo americano si sarebbe impegnato a non influire sulla gestione
del partito SDS, nè sul suo scioglimento, né sulla sua autonomia.
Allo stesso tempo Karadzic avrebbe ottenuto 600 mila dollari per la
sua sicurezza, e sei agenti che avrebbero dovuto provvedere alla sua
sicurezza per conoscere sempre ogni suo movimento. Nadazdin ha
tuttavia ripetuto che bisogna chiedere a Holdbrooke dove si trovi ora
questo accordo. L'attuale ministro degli Interni, nonché il
segretario del partito di Milosevic, lo SPS, Ivica Dacic, balbettava
la presenza degli servizi segreti stranieri nella localizzazione di
Karadzic e nel suo arresto e non gli passava per la testa di dare le
dimissioni nè di vergognarsi per tale atto. Con fierezza però ha
affermato che il ministero degli Interni non ha partecipato al suo
arresto.

Mentiva sulla data dell'arresto che secondo lui e tutti gli altri
rappresentanti delle istituzioni serbe è avvenuto il giorno
21.07.2008 mentre secondo il legale di Karadzic è avvenuto il
giorno18.07.2008. Restano quindi 3 giorni di vuoto. Chi lo ha
arrestato e dove è stato tenuto in questi 3 giorni? Si susseguono le
notizie di ogni genere su tutti i media nazionali e internazionali:
l'accusa pesante del Tribunale penale internazionale (genocidio,
crimini contro l'umanità), la si dà per una condanna scontata e
certa. Si bara ancora con le cifre inesatte (viene accusato per 200
mila morti in Bosnia quando il Centro per la documentazione di
Sarajevo riporta la cifra di 98 mila morti di tutte le nazionalità),
si ritorna alla retorica antiserba nello stile perfetto degli Anni
'90, si spettacolarizza l'evento trasformandolo, come giustamente
dice l''accusato, in farsa.
Si tirano fuori le testimonianze da ogni dove, sulla presunta amante,
si scopre che la nuova identità è appartenuta al soldato morto, si
costruisce e ricostruisce la nuova vita del ex presidente della
Republika Srpska e non si capisce più dove finisce la menzogna e dove
inizi la verità e il contrario. Esercitava persino in Austria ed in
Italia, dicevano i giornali, per poi scoprire che non era Karadzic ma
un sosia, un tale Petar Glumac con il doppio passaporto, croato e
serbo, di incredibile somiglianza con il Dr Dabic-Karadzic, fiero
dell'opportunità offertagli per aumentare i suoi introiti. Karadzic
come la matriosca: una, cento, mille identità in un uomo solo.

Ora ci aspettiamo quella che sfoggerà al Tribunale dell''Aia, dove
anche lui ha detto che vuole difendersi da solo. Il nostro “eroe”,
che immaginavamo sulle montagne rocciose del Montenegro che sfuggiva
ai potenti mezzi della NATO saltando da roccia in roccia, con il
petto villosso ed il kalashnikov a tracolla, mangiando radici e
bevendo rugiada, lo abbiamo ritrovato nella soap-opera come il
paramedico che cura l'impotenza!

Cosa realmente sappiamo di Karadzic? Certamente gli abitanti di
Sarajevo non hanno mangiato i fiori dal balcone per bizzaria nei
lunghi anni d'assedio, ne i musulmani bosniaci si sono ammazzati da
soli a Srebrenica. Queste cose sono accadute e ora abbiamo
l'eccezionale opportunità di sapere come sono realmente andate.
Abbiamo l'opportunità di stabilire la giustizia per quelle vittime e
per i loro famigliari. Di stabilire le responsabilità di ciascuno
nella catena di comando. Di fare i conti collettivamente sulle vite
rubate agli altri e sugli anni rubati a noi. Almeno ufficialmente. Il
Tribunale Penale Internazionale per l''ex Jugoslavia ha finalmente
l''opportunità di esercitare un processo vero, di ripristinare la
fiducia degli abitanti dell''area ex YU in questa istituzione, così
necessaria, perché forse possibile strumento per la riconciliazione
fra i martoriati popoli.

Fin ora così non è stato. I criminali come il bosniaco musulmano
Naser Oric ed l''ex primo ministro albano-kosovaro Ramush Haradinaj
sono stati assolti, accolti a casa come degli eroi. I serbi dopo
queste sentenze hanno completamente perduto ogni fiducia, anche se in
tanti, soprattutto filoeuropei, l'hanno avuta. L'intero governo serbo
si è dichiarato contrario a queste due sentenze, persino il sempre
proocidentale e proatlantico partito liberal-democratico. Continuano
a credere che il Tribunale sia un'istituzione creata per processare
il popolo serbo come l''unico colpevole della sanguinosissima guerra
civile degli anni 90. Abbiamo le importantissime reazioni dalla parte
dei politici bosniachi: il presidente Haris Silajdzic ha già
dichiarato “che gli accordi di Dayton andrebbero rivisti” nel
tentativo, sempre più insistente da parte muslulmana, di annulare
l''entità serba di Bosnia, la Repubblica Srpska. Il primo ministro
serbo di questa entità, Dodik ha già denunciato che è un bene che
Karadzic sia stato arrestato e che sia processato all''Aia perché
“finalmente possa finire l''accanimento contro la Republika Srpska ed
i suoi abitanti e si possano stabilire le responsabilità individuali
e non collettive per i crimini commessi”. Così, invece di placare gli
animi, i fantasmi con l'arresto di Karadzic sono usciti fuori tutti.
Gli anni di progetti ed i milioni di euro sulla riconciliazione fra
le popolazioni di Bosnia sembrano essersi volatilizzati.

La ciliegina sulla torta è la dichiarazione di Paddy Ashdown, l'ex
Alto rappresentante delle Nazioni Unite per la Bosnia, che butta la
benzina sul fuoco: “L'UE deve impedire la disgregazione della Bosnia
e Herzegovina che non è mai stata più vicina alla spartizione di
ora!” In altre parole ordina all''UE di anulare l''entità serba. Non
si rende conto Ashdown, che con questi toni accende l''ennesima
miccia nei Balcani. Perché ora la questione cruciale è un altra: la
sentenza a Karadzic, di sicuro già scritta, potrà finalmente essere
la prova della colpa collettiva dei serbi per poter ergere la
definitiva sentenza che finora il Tribunale non è mai riuscito ne con
Milosevic ne con Seselj. Per potersi finalmente scrollare di dosso le
proprie responsabilità che pesano come un macigno sull''Occidente
atlantico. Per poter dichiarare: “La Serbia è colpevole tutta e
l''annullamento della Republika Srpska, lo scippo del Kosovo e
l''intervento umanitario del 99 sono le giuste conseguenze”.

Una cosa però, vorrei sottolineare: è giusto che siano presi tutti i
criminali di guerra. Ma non è giusto che quelli che ci hanno sempre
rifornito di armi e di acciaio dall''Europa, siano gli stessi che
possano accusare il mio popolo tutto, ora e per sempre. Per ogni
goccia del sangue sparso sulle montagne della Bosnia, l''Europa
segnalava un più o un meno e se poco, poco ci fermavamo prontamente
stavano lì ad aizzarci, ad affilarci i coltelli ed a indirizzarci
quando e contro chi utilizzarli. Scrivevano i loro piani di pace dopo
aver provocato la guerra, mandavano i loro ambasciatori sui carri
armati per misurare se i cadaveri sono morti umanamente e
regolarmente –ecco, loro non hanno il diritto di giudicarci. Perché
gli altri cadaveri, quelli sulle strade di Nis, di Grdelicka klisura,
della bambina Milica di Belgrado morta sul vasino mentre faceva la
pipi'' dalla scheggia di bomba umanitaria, ci hanno mostrato che
l''Occidente non possiede tali bravure linguistiche, salti
tecnologici ed i conti bancari che la sua civiltà della forza possa
far diventare più giusta e diversa dalla banda degli assassini di
massa come Karadzic e Mladic, Oric, Gotovina e Haradinaj. Il
tentativo quindi, di far passare il mio popolo colpevole per ogni
sorta del male, portando sulla propria coscienza decine di migliaia
di morti dei Balcani e del mondo, è profondamente ingiusto.

I giudici che questa coscienza dovrebbero avere, non hanno il diritto
di trovare nel nome del mio popolo il soggetto dell''odio impunito,
liberati dalla maschera ipocrita del politically correct, trovando in
serbi e solo in serbi la giustificazione per la propria violenza. Gli
assassini nel nome della misericordia (“Angelo misericordioso” fu il
nome della campagna contro la Serbia) e nel nome di solo a loro
conosciuti valori, non hanno il diritto di giudicarci, anche se con
la loro forza se lo possono permettere. Noi però, abbiamo il diritto
di accettare questa loro sentenza, qualunque sia la nostra debolezza?
Credo che la società serba sia profondamente divisa su questo. La
maggior parte delle persone che conosco consegnerebbe Karadzic se il
Tribunale fosse uno strumento di giustizia e non degli USA e dei
paesi dell''UE per punire la Serbia. Al contempo, stufi di essere in
ostaggio, stufi dell''isolamento eterno e perdutamente innamorati
dell''Occidente (amore non ricambiato, ma si sa, sono quelli gli
amori che contano!), accettano malvolentieri, ma accettano, questo
baratto uno per tutti! Siamo consapevoli di averlo venduto. La cosa
più triste è che in pochi pensano sia giusto farlo per le vittime.
Perchè, al di là della retorica opportunistica, i serbi, come anche i
croati ed i bosgnacchi, (gli albanokosovari mancano totalmente di
autocritica), sono per la maggior parte convinti che “anche gli altri
lo hanno fatto”. Forse ci vorrà ancora del tempo perchè ciascuno
davvero, fino in fondo si assuma le proprie responsabilità. Senza
forzatura alcuna, senza le imposizioni. Perché ciascuno arrivi da
solo, attraverso un processo lungo ed intimo, a casa sua, fra i suoi
familiari, la dolorosa presa di coscienza. In questo senso, se il
passo per arrivare a questo sia l''arresto di Karadzic e speriamo
anche di Mladic, ed il loro giusto processo, individuale e non
collettivo, io credo che abbiamo il dovere di accettare la sentenza.
Sperando che prima o poi la giustizia arrivi anche ai vari Blair,
Clinton, D''Alema, Albright. Monty Python Balcan Circus potrebbe
anche risultare eccitante ed eccentrico. Non nella vita reale o
almeno, non per tutta la vita. Desideriamo vivere in un paese noioso.

Jasmina Radivojevic


Copyright ©2008 La Stampa

LEGGI I COMMENTI:
http://www.lastampa.it/cmstp/rubriche/commentiRub.asp?
ID_blog=90&ID_articolo=285&ID_sezione=&sezione=Danni%20collaterali


In seguito alla conferenza del Movimento dei Paesi Nonallineati, tenutasi a Teheran, il ministro degli esteri serbo Vuk Jeremić ha dichiarato che la Serbia potrebbe presto sottoporre un'istanza al Tribunale internazionale di giustizia riguardo all'indipendenza unilaterale del Kosovo, con l'appoggio della maggioranza dei paesi aderenti al Movimento. 
La conferenza di Teheran ha trattato numerose questioni internazionali di grande attualità. Tra queste segnaliamo anche, ad esempio, le minacce di aggressione israeliana e statunitense contro l'Iran, ed il disumano blocco imposto dagli USA contro Cuba. Su quest'ultimo, si veda il dispaccio di agenzia in fondo.  (a cura di DK e AM)


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http://www.politika.co.yu/rubrike/Svet/Ovacije-nesvrstanih-Jeremicu.lt.html

Ovacije nesvrstanih Jeremiću

Ministar spoljnih poslova dobio veliki aplauz pošto je pozvao članice Pokreta nesvrstanih da podrže stav Srbije o Kosovu

Prema izveštajima agencija

Teheran – Ministar spoljnih poslova Srbije Vuk Jeremić dobio je juče veliki aplauz posle govora na ministarskoj konferenciji Pokreta nesvrstanih u kojem je pozvao njegove zemlje članice da podrže rezoluciju Srbije na osnovu koje bi Generalna skupština UN od Međunarodnog suda pravde zatražila mišljenje da li je nezavisnost Kosova u skladu sa međunarodnim pravom.
Posle govora ministri i članovi delegacija zemalja koje učestvuju na 15. Ministarskoj konferenciji Pokreta nesvrstanih zemalja u Teheranu prilazili su Jeremiću i čestitali mu na porukama koje je uputio, prenosi atmosferu agencija Fonet.
Jeremić je istakao da će mnogo zemalja imati koristi od pravnog tumačenja koje će dati Međunarodni sud pravde, jer će se tako izbeći dalji negativan razvoj situacije u regionu i izvan njega, smanjiće se tenzije i omogućiti pomirenje svih zainteresovanih strana.
Prema rečima srpskog ministra, na taj način će Generalna skupština UN osigurati da pitanje Kosova postane simbol obnavljanja poštovanja međunarodnog prava u međunarodnoj zajednici.„Moji prijatelji, moram da priznam da je ova konferencija, koja nas okuplja, veoma emotivna za mene i moju zemlju. Osećamo solidarnost sa nacijama koje su ovde danas prisutne”, rekao je Jeremić, obraćajući se učesnicima konferencije u Teheranu.„Imajući u vidu ulogu koju je moja država odigrala u Pokretu nestvrstanih”, istakao je Jeremić, „osećam se kao da sam ponovo kod kuće”.
Jeremić je u govoru pomenuo i ulogu koju je Josip Broz Tito imao u očuvanju svetskog mira i promociji multikulturalnosti.
On je zahvalio zemljama članicama Pokreta nesvrstanih koje nisu priznale jednostrano proglašenu nezavisnost Kosova.
„Nadam se da će članice (Pokreta nesvrstanih) priznati punu konzistentnost stava Srbije o pitanju Kosova, u skladu s principima Pokreta i da ćete se zalagati za našu stvar, kao da smo i dalje vaša punopravna članica”, rekao je on, objasnivši da je inicijativa Srbije da zatraži pravno mišljenje u punoj saglasnosti sa 16. paragrafom nacrta završnog dokumenta konferencije u Teheranu u kojem se navodi da Pokret „poziva, takođe, Generalnu skupštinu UN da zatraži savetodavna mišljenja Međunarodnog suda pravde o pravnim pitanjima koja proizlaze iz okvira njegovih aktivnosti”.
Jeremić je ocenio da će mišljenje tog suda doprineti „smirivanju napetosti, izbegavanju negativnog razvoja (događaja) u regionu i šire, kao i da će ojačati napore za pomirenje svih strana”.
Šef srpske diplomatije ponovio je da odluka kosovskih secesionista da jednostrano proglase nezavisnost Kosova predstavlja „eklatantno kršenje Povelje UN i u suprotnosti je s Rezolucijom 1244 Saveta bezbednosti UN koja obavezuje sve zemlje članice da poštuju suverenitet i teritorijalni integritet Srbije”. „Velika većina zemalja članica UN i Pokreta nesvrstanih nastavlja da poštuje te principe i nije priznala pokušaj otcepljenja. U ime Republike Srbije, želim da izrazim duboko poštovanje prema tim zemljama jer se strogo drže principa međunarodnog prava”, istakao je Jeremić.
„Podržavanjem Srbije vi jačate našu zajedničku posvećenost pravednom miru i saradnji i podržavate univerzalno pravo na međunarodnu pravdu za sve”, zaključio je Jeremić.
Ministar spoljnih poslova Srbije upozorio je da je dovođenje u pitanje samog principa suvereniteta bilo gde u svetu „opasna igra puna presedana i političkih posledica” i da tada „postoji opasnost da međunarodni pravni poredak i globalno demokratsko upravljanje budu podriveni”.
Jeremić je takođe rekao da je Srbija odlučna da postane članica Evropske unije, ali da isto tako nastavlja da poštuje vrednosti Pokreta nesvrstanih, u kojem ima status posmatrača.
„Unapred vam zahvaljujem za podršku, istovremeno izražavajući duboku nadu da, uz vašu pomoć, maloj zemlji, kakva je moja, neće biti uskraćeno pravo da postavi jednostavno i osnovno pitanje. Pomislite kakav bi strašan presedan bio stvoren kada bi bilo kojoj zemlji bilo uskraćeno to osnovno pravo”, zaključio je šef srpske diplomatije.
S. R.

[objavljeno: 31/07/2008]

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Vesti :: Politika

Jeremić na konferenciji nesvrstanih u Teheranu

29. Jul 2008 | 20: 36, Izvor : Beta

Jeremić će se tokom dvodnevnog boravka Iranu imati odvojene susrete sa više šefova diplomatija koji prisustvuju ministarskoj konferenciji Pokreta nesvrstanih zemalja u Teheran.


Ministar spoljnih poslova Srbije Vuk Jeremić izjavio je da očekuje da će se u zaključcima ministarske konferencije Pokreta nesvrstanih zemalja naći podrška Generalnoj skupštini Saveta bezbednosti da traži mišljenje Međunarodnog suda pravde za sva pitanja koja se tiču odbrane međunarodnog prava. 


Kako su večeras preneli elektronski mediji, Jeremić je to izjavio na ministarskoj konferenciji u Teheranu.

On će se tokom dvodnevnog boravka Iranu imati odvojene susrete sa više šefova diplomatija koji prisustvuju ministarskoj konferenciji Pokreta nesvrstanih zemalja u Teheranu.

Jeremić je najavio da će tom prilikom sagovornike upoznati sa gledanjem Srbije na jednostrano proglašenu nezavisnost Kosova.

"Velika većina zemalja koje su članovi Pokreta nezavisnih nije priznala jednostranu, nelegalo proglašenu nezavisnost Kosova. Tražiću od mojih sagovornika da to ostane njihov stav da ne priznaju ovu nelegalnu secesiju", kazao je Jeremić.

Kako je najavljeno Jeremić će se sastati sa šefovima delegacija Mongolije, Šri Lanke, Alžira, Bruneja, Kenije, Kube, Irana, Pakistana, Butana, Laosa, Bangladeša, Singapura, Venecuele, Paname, Čile Jeremich: Mnoge nesvrstane zemlje nisu priznale nezavisnost.

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http://www.rtv.rs/sr/vesti/politika/politika/2008_07_29/vest_75098.jsp

29.07.2008.

Jeremić u Iranu na konferenciji Pokreta nesvrstanih zemalja


BEOGRAD - Ministar spoljnih poslova Republike Srbije Vuk Jeremić boravi u dvodnevnoj poseti Iranu, gde će učestvovati u radu ministarske konferencije Pokreta nesvrstanih zemalja i imati odvojene susrete sa više šefova diplomatija koji prisustvuju tom skupu u Teheranu.


Nakon obraćanja predstavnicima zemlja članica Pokreta nesvrstanih, ministar Jeremić će imati odvojene sastanke sa šefovima delegacija Mongolije, Šri Lanke, Alžira, Bruneja, Kenije, Kube, Irana, Pakistana, Butana, Laosa, Bangladeša, Singapura, Venecuele, Paname, Čilea, Kolumbije, Maroka, Sirije, Tunisa, kao i Bolivije, saopštilo je Ministarstvo spoljnih poslova Srbije.

Kako se očekuje, ministar Jeremić će tom prilikom zatražiti podršku nesvrstanih zemalja u Generalnoj skupštini UN, kada Srbija pokrene inicijativu da Međunarodni sud pravde oceni da li je albansko samoproglašenje države na Kosovu u skladu sa važećim međunarodnim pravom:Poveljom Ujedinjenih nacija,završnim dokumentima iz Helsinkija i rezolucijom 1244 Saveta bezbednosti Ujedinjenih nacija.

Na sastanku, koji danas počinje u Teheranu, ministri će razgovarati o pripremi samita koji iduće godine treba da se održi u Šarm al-Šeiku u Egiptu.

Pokret nesvrstanih zemalja, koji je osnovanan pre više od pedeset godina, sada okuplja 118 zemalja.


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I Non Allineati chiedono la fine del blocco statunitense contro Cuba 


30.7 – A Teheran, il Movimento dei Paesi Non Allineati (NOAL) ha chiesto oggi al Governo degli Stati Uniti di porre fine al blocco economico, finanziario e commerciale contro Cuba, e di restituire all'Isola la base navale che usurpa a Guantánamo. La Dichiarazione Finale della XV conferenza ministeriale di questo forum si è pronunciata per l'eliminazione di una misura coercitiva che – è stato sottolineato - è unilaterale e contraria alla Carta delle Nazioni Unite e al diritto internazionale. I Ministri delle Relazioni Estere dei 118 paesi membri dell'ente terzomondista hanno espresso la "loro profonda preoccupazione per il crescente carattere extra-territoriale del blocco contro Cuba". 

Fonte: Prensa Latina



chi è attilio giordano.

attilio giordano responsabile della torbida operazione denunciata da
Matteuzzi è l'inventore del cancro etnico.
alcuni anni fa, sponsorizzatissimo dal capo-qualcosa di repubblica
garimberti, noto soprattutto per la partecipazione a maratone su
strada, si reco' alla periferia di sarajevo e ne ricavo' un servizio
sconvolgente.
dalle parti della sarajevo gia'-serba, dove la nato aveva bombardato
con l'uranio impoverito, si ammalavano di cancro i serbo bosniaci
(scappati a a bratunac) ma non i bosgnacchi.
il giordano lasciava al lettore di trarne le conseguenze.
cancro etnico? virtu' del corano? mistificazione dei serbi? dispetto
dei soliti vittimisti serbi che per romperci i coglioni erano pure
capaci di crepare di cancro?
provo a scrivergli, una mail la si puo' concedere a chiunque, e gli
segnalo che, sotto le bombe della nato, nella sarajevo serba,
probabilmente di bosgnacchi non ce n'era nemmeno uno, vista la
divisione etnica della citta' durante la guerra.
quello mi risponde sull'ossequioso... ''mi creda... mi creda ho visto
e ascoltato di persona'' e conferma la prima versione.
chiedo ad amici serbi se cio' sia possibile e mi viene fornita una
interpretazione ragionevole.
è vero durante i bombardamenti ci potevano essere anche dei
bosgnacchi, nella sarajevo serba, ma si trattava di donne, vecchi e
bambini che non erano potuti scappare, ma che risiedevano lontano
dalle fabbriche bombardate, ragion per cui il non essersi ammalati
dipendeva dalla lontananza dai luoghi dei bombardamenti.
mi astengo dal riscrivere al giordano, primo perche lo ritengo
inutile, visto il tipo, secondo perche non voglio eventualmente
aiutare un cialtrone che se voleva le informazioni che avevo io
poteva trovarsele anche senza spendere il biglietto per la bosnia.
particolare edificante.
il garimberti di cui sopra aveva incensato l'articolo del
giovanedibellesperanzegiordano come forma di giornalismo d'assalto
d'altri tempi, intonando, cito a memoria ,''scarpe rotte eppur
bisogna andar''.
vedendo che il giordano adesso è a capo del Venerdi, mi verrebbe da
intonare ''pero' quel ragazzo ne ha fatta di strada''.
dalla bosnia alla colombia (magari per interposta persona). e in
tasca, il nostro Venerdi, porta il solito foglietto di Robinson
Crusoe,con gli ordini da eseguire.
speriamo per lui che trovi sempre qualcuno che glielo legge dalla
parte giusta

alberto tarozzi


On Aug 3, 2008, at 9:27 PM, Coord. Naz. per la Jugoslavia wrote:

>
> False interviste su la Repubblica, la controsmentita non
> controsmentisce
>
>
> Il caso delle interviste impossibili pubblicate dal supplemento Il
> Venerdì, di La Repubblica, a personalità come Gabriel García
> Márquez, Álvaro Uribe, Alfonso Cano, Fidel Castro e Hugo Chávez, e
> denunciate come inventate dal quotidiano il Manifesto, con la firma
> di Maurizio Matteuzzi, non solo non si chiarisce, ma anzi getta una
> luce ancora più vergognosa su La Repubblica, che a questo punto
> sarebbe pienamente complice dell’autore dei presunti scoop a firma
> Jordi Valle.
>
> In questi giorni si era scomodato addirittura il Caporedattore de
> Il Venerdì, Attilio Giordano, per preannunciare un documento
> inoppugnabile sul supplemento Il Venerdì di ieri. Ieri era il gran
> giorno e la delusione è stata cocente.
>
> A p. 128, c’è una letterina firmata dal discusso ambasciatore di
> Colombia a Roma, Sabas Pretelt (nella foto), di recente inquisito
> per lo scandalo di corruzione che portò alla rielezione di Álvaro
> Uribe, noto come Yidispolitica, dal nome della parlamentare Yidis
> Medina, condannata per essere stata corrotta da Pretelt stesso.
>
> Ebbene Sabas Pretelt nella lettera non legittima in nessun modo
> l’articolo di Jordi Valle, che non viene neanche nominato, né
> smentisce in alcun modo la smentita del proprio governo che afferma
> esplicitamente che l’articolo sia falso. Si limita a dire che, in
> riferimento ad alcune affermazioni offensive contro Barak Obama
> attribuite al presidente colombiano, “il Signor Presidente Alvaro
> Uribe Vélez giammai si è riferito in termini squalificanti verso
> nessun candidato alla Casa Bianca.”
>
> Quindi nella lettera, non disponibile online e pubblicata in un
> angolo marginale del supplemento, non c’è nessun documento
> inoppugnabile, nessuna pezza di appoggio, nulla che dimostri che
> l’intervista ad Uribe e tantomeno le altre siano vere. L’unica cosa
> che resta è il comunicato ufficiale del governo colombiano che
> afferma testualmente: “El Mandatario jamás se reunió con el señor
> Valle ni le concedió entrevista alguna”, ovvero, “Il presidente non
> ha mai incontrato il signor Valle né gli ha mai concesso
> un’intervista”. Ovvero Sabas Pretelt fa un magro favore a La
> Repubblica: contribuisce appena a creare una piccola cortina di
> fumo. Non può smentire il suo governo sul fatto che l’intervista
> sia falsa e allora, contestando un dettaglio di questa e senza fare
> riferimento alla smentita generale, fa credere che essendo un
> dettaglio falso, il resto possa essere vero.
>
> La Repubblica, Jordi Valle, Attilio Giordano, dalla controsmentita
> tanto attesa escono ancora peggio di prima.
>
>
>
> http://www.gennarocarotenuto.it/2838-false-interviste-su-la-
> repubblica-la-controsmentita-non-controsmentisce
>


STRAGE DI BOLOGNA: IL DEPISTAGGIO PALESTINESE


di Germano Monti *


Per una Destra che non vuole solo governare, ma procedere ad una profonda ristrutturazione dell’assetto istituzionale del Paese, ripulire l’album di famiglia dalle immagini più imbarazzanti è una necessità. In altre parole, voler riscrivere la Costituzione repubblicana e antifascista richiede ineluttabilmente la riscrittura della propria storia politica… naturalmente, se si è o si è stati fascisti.
Lo stragismo rappresenta sicuramente la pagina più nera della storia italiana contemporanea, con il suo intreccio perverso fra manovalanza fascista, apparati – più o meno occulti - dello Stato e interferenze atlantiche. Fra tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia, quella alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980 è stata la più feroce, ed anche l’unica in cui è stata raggiunta una verità giudiziaria, con la condanna definitiva dei fascisti Ciavardini, Fioravanti e Mambro.
La verità giudiziaria non coincide sempre e comunque con la realtà effettuale, e l’esercizio della critica anche nei confronti delle sentenze della magistratura è assolutamente legittimo, in certi casi persino doveroso, e questo vale anche per le sentenze sulla strage di Bologna. Tuttavia, quello che sta avvenendo non ha molto a che vedere con il garantismo e l’esercizio del diritto di critica, quanto con un tentativo di revisionismo storico particolarmente straccione, dettato dall’opportunità della contingenza politica.
I critici attuali delle sentenze sulla strage di Bologna non si limitano, come avveniva alcuni anni or sono, a rilevare quelle che per loro sono incongruenze degli investigatori e dei giudici, ma si spingono ad affermare che quelle incongruenze servirono – e servono tuttora – a coprire un’altra verità, sulla quale non si è voluto indagare. Questa “verità” consisterebbe nel coinvolgimento della resistenza palestinese, ed in particolare del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, nella strage, coinvolgimento che sarebbe stato tenuto nascosto in virtù dei patti intercorsi fra i governanti e i servizi segreti italiani di allora con i Palestinesi stessi. Il sostenitore più autorevole di questa tesi è l’ex Presidente Cossiga, cui si sono aggiunti i più alti esponenti della Destra ex fascista, fino all’attuale Presidente della Camera, Gianfranco Fini e, ancora più esplicitamente, l’attuale sindaco di Roma, Gianni Alemanno, sui cui trascorsi squadristi esiste una vasta letteratura.
Nel ventottesimo anniversario della strage, è proprio Alemanno, intervistato da la Repubblica, il più esplicito nel sostenere che quella della colpevolezza dei suoi ex camerati sia una “verità comoda”, mentre “
c'è un'altra pista, quella del vecchio terrorismo palestinese, che soltanto da poco si è cominciata a esplorare”, pista rispetto alla quale “ci sono una marea di riscontri”. Nell’intervista, poi, Alemanno ripropone un vecchio cavallo di battaglia dell’estrema destra, quello secondo cui “Nei '70 ci fu una guerra civile strisciante che peraltro cominciò dal maledetto slogan "Uccidere un fascista non è reato", urlato da vari gruppi dell'estrema sinistra che, falliti i loro obbiettivi rivoluzionari, decisero di convogliare tutta la loro energia nell'antifascismo militante. Suscitando ovviamente delle reazioni altrettanto dure da parte dell'estrema destra. E ciò fu un incubatore sia delle Br sia dei Nar”. E’ una vecchia tesi, cara agli squadristi fascisti e ai terroristi dei Nar; una smaccata bugia, ma qualcuno che Alemanno certamente conosce bene diceva: «Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità», specialmente se a ribadirla sono alte cariche istituzionali, come un ministro della propaganda ieri o un sindaco oggi.
Dunque, la strage di Bologna non fu opera di terroristi neri, bensì di Palestinesi. A sostegno di questa ipotesi, sia Alemanno che altri (fra i quali anche Andrea Colombo, ex giornalista del Manifesto ed ora di Liberazione) invitano ad indagare a fondo sulle dichiarazioni del guerrigliero venezuelano conosciuto come “Carlos”, detenuto in Francia, e, più in dettaglio, sulla presenza a Bologna, il giorno della strage, di Thomas Kram, cittadino tedesco attualmente detenuto nel suo Paese con l’accusa di appartenenza alle Cellule Rivoluzionarie.
Per quanto riguarda “Carlos”, l’intervista da lui rilasciata all’ANSA lo scorso 30 giugno, per il tramite del suo avvocato italiano, in realtà riguarda in massima parte il sequestro di Aldo Moro e quello che, a suo dire, fu un tentativo di mediazione dell’OLP, insieme ad una parte dei servizi segreti italiani, per ottenere la liberazione del presidente democristiano. Dopo aver fornito il suo punto di vista sulle contraddizioni esistenti fra diverse fazioni dei servizi italiani e su altre vicende di quegli anni, “Carlos” risponde alla domanda esplicita dell’intervistatore, Paolo Cucchiarelli, in merito alla strage di Bologna:

Domanda:

Una sola domanda sulla strage di Bologna visti i molti riferimenti fatti da lei nel tempo e che sembrano alludere ad una ipotesi da lei mai espressa ma  che potrebbe essere alla base delle sue osservazioni. Cioè agenti occidentali che fanno saltare in aria - con un piccolo ordigno - un più rilevante carico di materiale esplodente trasportato da palestinesi o uomini legati all’Fplp e alla sua rete con l’intento di far ricadere su questa ben diversa realtà politica tutta la responsabilità della strage alla stazione.

Risposta:

L’attentato contro il popolo italiano alla stazione di Bologna “rossa”, costruita dal Duce, non ha potuto essere opera dei fascisti e ancora meno dei comunisti. Ciò è opera dei servizi yankee, dei sionisti e delle strutture della Gladio. Non abbiamo riscontrato nessun’altra spiegazione. Accusarono anche il Dottor  Habbash, nostro caro Akim, che, contrariamente a molti, moriva senza tradire e rimanendo leale alla linea politica del FPLP per la liberazione della Palestina. Vi erano dei sospetti su Thomas C., nipote di un eroe della resistenza comunista in Germania dal febbraio 1933 fino al maggio 1945, per accusarmi di una qualsiasi implicazione riguardo ad un’aggressione così barbarica contro il popolo italiano: tutto ciò è una prova che il nemico imperialista e sionista e le sue “lunghe dita” in Italia sono disperati, e vogliono nascondere una verità che li accusa.

Insomma, “Carlos” non solo smentisce la “pista palestinese”, ma accusa direttamente gli apparati occulti americani, israeliani ed italiani di aver ordito e realizzato la strage. Il fatto che escluda anche la responsabilità dei fascisti, con la bizzarra postilla della stazione “costruita dal Duce”, non significa altro che il rafforzamento della sua convinzione di una pista internazionale, ma nella direzione opposta a quella indicata da Cossiga, Fini e Alemanno, da una parte, e da Andrea Colombo dall’altra. Del resto, in tutta la storia dello stragismo e dell’eversione nera, l’intreccio fra il sottobosco neofascista e apparati interni ed internazionali, particolarmente statunitensi, è sempre emerso con grande puntualità. Non si capisce, quindi, come le parole del detenuto nel carcere di Poissy possano essere utilizzate per dimostrare il contrario di ciò che dicono… ma questo bisognerebbe chiederlo ad Alemanno ed a quelli come lui.  
Sempre alle stesse persone, e ad un gran numero di giornalisti, bisognerebbe chiedere anche perché continuino a presentare in termini tanto misteriosi la figura di Thomas Kram, quasi che di lui non si sappia nulla, se non che da qualche tempo si trova nelle carceri tedesche. Ebbene, già nel giugno dello scorso anno, Saverio Ferrari si è occupato della pista palestinese e di Kram, in un suo articolo su “Osservatorio Democratico sulle nuove destre” dedicato al libro scritto da Andrea Colombo sulla strage di Bologna, libro accusato – per inciso – di voler accreditare l’innocenza di Mambro, Fioravanti e Ciavardini “omettendo deliberatamente le carte giudiziarie più scomode”.
A proposito della “pista palestinese” Ferrari scrive: “Colpisce, infine, l’ultimo capitolo in cui, si rilancia la stessa fantomatica pista palestinese sulla quale da qualche anno alcuni deputati di Alleanza nazionale si affannano, millantando la presenza del terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, o di suoi uomini, a Bologna, in veste di stragisti al servizio del Fronte popolare per la liberazione della Palestina di George Habbash. È più che noto, infatti, che già all’epoca, non solo recentemente, si appurò che il terrorista Thomas Kram, esperto in falsificazione di documenti e non in esplosivi, fosse presente a Bologna nella notte fra tra l’1 e il 2 agosto, alloggiando nella stanza 21 dell’albergo Centrale di via della Zecca. Presentò nell’occasione la sua patente di guida non contraffatta. Fu precedentemente fermato e identificato al valico di frontiera sulla base di un documento di identità valido a suo nome. Non era al momento inseguito da alcun mandato di cattura. La questura di Bologna segnalò i suoi movimenti all’Ucigos che già in quei giorni conosceva tutti i suoi spostamenti. Un terrorista stragista, dunque, non in incognito che viaggiava e pernottava in albergo con documenti a proprio nome (!). Una pista vecchia, già archiviata data la comprovata mancanza di legami tra Thomas Kram e la strage. Per altro Kram risultò non aver mai fatto parte dell’organizzazione di Carlos. (…)”.
Ma c’è di più: il 2 agosto del 2007, proprio sul quotidiano in cui Andrea Colombo ha lavorato per anni, il Manifesto, il suo collega Guido Ambrosino pubblica un lungo articolo dal titolo “Bologna, l’ultimo depistaggio”, in cui il misteriosissimo Thomas Kram – a Berlino in libertà provvisoria, dopo essersi costituito nel dicembre 2006 - si lascia tranquillamente intervistare. Dall’intervista di Guido Ambrosino:
«Ho scoperto su internet che la bomba potrei averla messa io. Un'assurdità, sostenuta addirittura da una commissione d'inchiesta del parlamento italiano, o meglio dalla sua maggioranza di centrodestra, nel dicembre 2004. Deputati di An, e altri critici delle sentenze che hanno condannato per quella strage i neofascisti Fioravanti e Mambro, rimproverano agli inquirenti di non aver indagato sulla mia presenza a Bologna». Per Kram è una polemica pretestuosa: «Non sono io il mistero da svelare. Non lo credono nemmeno i commissari di minoranza della Mitrokhin. Viaggiavo con documenti autentici. La polizia italiana mi controllava, sapeva in che albergo avevo dormito a Bologna, il giorno prima mi aveva fermato a Chiasso. Come corriere per una bomba non ero proprio adatto»”.
L’articolo e l’intervista demoliscono l’impianto del libro di Colombo e, più in generale, la “pista palestinese”, anche con alcuni particolari che, se non si trattasse di fatti tanto drammatici, indurrebbero al sorriso. Secondo Ambrosino, il lavoro di Colombo “si riduce a un paio di forzature”, particolarmente per quanto riguarda la latitanza di Kram, che – secondo Colombo – sarebbe durata ben 27 anni, cioè dal 1979, quando lo stesso Kram è invece sempre stato reperibile almeno fino al 1987, quando contro di lui viene spiccato un mandato di cattura per appartenenza alle Cellule Rivoluzionarie. Nella pista palestinese sarebbe coinvolta anche un’altra militante dell’estrema sinistra tedesca, Christa Frolich, che – secondo la testimonianza di un cameriere di albergo – lavorava come ballerina nei pressi di Bologna e il primo agosto 1980 si sarebbe fatta portare una valigia alla stazione di Bologna, mentre il 2 agosto avrebbe telefonato (parlando italiano con accento tedesco) per accertarsi che i suoi figli non fossero stati coinvolti nell’esplosione. Scrive Ambrosino: “Christa Fröhlich ha ora 64 anni, insegna tedesco a Hannover. Confrontata con questa descrizione, non sa se ridere o piangere: «Non ero a Bologna. Non ho figli. Mai un ingaggio da ballerina. E nel 1980 non sapevo una parola di italiano»”.
Se pensiamo che uno dei cardini principali della “pista palestinese” è costituito dai lavori della “Commissione Mitrokhin”, anche noi non sappiamo se ridere o piangere. Addirittura nel dicembre 2005, sull’Espresso, l’operato di quella Commissione veniva già definito come
L'ennesimo polverone. Per far riaprire l'inchiesta sulla strage di Bologna e riabilitare gli estremisti di destra Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, già condannati per l’attentato”. Dal medesimo articolo si apprende anche, peraltro, che le stesse risultanze della Commissione Mitrokhin escludevano ogni coinvolgimento di Thomas Kram nella strage di Bologna.
La domanda, a questo punto, è: perché, contro ogni evidenza ed ogni riscontro, in questo agosto 2008 c’è chi tenta di riciclare vecchie bufale, magari contando sui riflessi appannati di un’opinione pubblica martellata da campagne sulla “sicurezza” minacciata da zingari ed immigrati, tanto da richiedere paracadutisti, alpini e bersaglieri per le strade delle nostre città? Probabilmente, la risposta è nella premessa: per mettere mano alla Costituzione, la Destra ha bisogno di svecchiare i propri armadi, facendone opportunamente sparire gli scheletri di troppo. Lo scheletro più ingombrante è senza dubbio quello datato 2 agosto 1980, rimosso il quale sarà assai più semplice rimuovere tutti gli altri… si, perché,se si riesce a convincere, contro ogni evidenza storica e giudiziaria, che la strage di Bologna è stata opera dei Palestinesi, domani si potrà legittimamente sostenere che quella di Piazza Fontana fu veramente opera degli anarchici e così via. Senza dimenticare che accollare proprio ai Palestinesi la più orrenda delle stragi consente alla fava revisionista di cogliere un secondo piccione: oltre alla definitiva legittimazione interna, la nuova Destra di governo rimedierebbe anche l’imperitura gratitudine di Israele e delle sue lobby, mentre a protestare per l’ennesima infamia commessa ai danni di un popolo sempre più martoriato rimarrebbero in pochi, come – effettivamente – sono in pochi, almeno ai livelli che contano, quelli che continuano a sostenere le ragioni e il diritto all’esistenza del popolo palestinese. Eppure, a dubitare della riuscita di un’operazione così spregiudicata ci aiuta la frase di un uomo importante, uno di quelli che, piaccia o no, la storia l’hanno fatta, non hanno solo cercato di riscriverla a proprio piacimento. Quell’uomo, che di nome faceva Abramo Lincoln e di mestiere il Presidente degli Stati Uniti, amava ripetere: “
Si può ingannare tutti a volte, qualcuno sempre, ma non è possibile ingannare tutti tutte le volte”. Sarà bene che Alemanno e quelli come lui lo tengano presente.

* Forum Palestina




False interviste su la Repubblica, la controsmentita non controsmentisce


Il caso delle interviste impossibili pubblicate dal supplemento Il Venerdì, di La Repubblica, a personalità come Gabriel García Márquez, Álvaro Uribe, Alfonso Cano, Fidel Castro e Hugo Chávez, e denunciate come inventate dal quotidiano il Manifesto, con la firma di Maurizio Matteuzzi, non solo non si chiarisce, ma anzi getta una luce ancora più vergognosa su La Repubblica, che a questo punto sarebbe pienamente complice dell’autore dei presunti scoop a firma Jordi Valle.

In questi giorni si era scomodato addirittura il Caporedattore de Il Venerdì, Attilio Giordano, per preannunciare un documento inoppugnabile sul supplemento Il Venerdì di ieri. Ieri era il gran giorno e la delusione è stata cocente.

A p. 128, c’è una letterina firmata dal discusso ambasciatore di Colombia a Roma, Sabas Pretelt (nella foto), di recente inquisito per lo scandalo di corruzione che portò alla rielezione di Álvaro Uribe, noto come Yidispolitica, dal nome della parlamentare Yidis Medina, condannata per essere stata corrotta da Pretelt stesso.

Ebbene Sabas Pretelt nella lettera non legittima in nessun modo l’articolo di Jordi Valle, che non viene neanche nominato, né smentisce in alcun modo la smentita del proprio governo che afferma esplicitamente che l’articolo sia falso. Si limita a dire che, in riferimento ad alcune affermazioni offensive contro Barak Obama attribuite al presidente colombiano, “il Signor Presidente Alvaro Uribe Vélez giammai si è riferito in termini squalificanti verso nessun candidato alla Casa Bianca.”

Quindi nella lettera, non disponibile online e pubblicata in un angolo marginale del supplemento, non c’è nessun documento inoppugnabile, nessuna pezza di appoggio, nulla che dimostri che l’intervista ad Uribe e tantomeno le altre siano vere. L’unica cosa che resta è il comunicato ufficiale del governo colombiano che afferma testualmente: “El Mandatario jamás se reunió con el señor Valle ni le concedió entrevista alguna”, ovvero, “Il presidente non ha mai incontrato il signor Valle né gli ha mai concesso un’intervista”. Ovvero Sabas Pretelt fa un magro favore a La Repubblica: contribuisce appena a creare una piccola cortina di fumo. Non può smentire il suo governo sul fatto che l’intervista sia falsa e allora, contestando un dettaglio di questa e senza fare riferimento alla smentita generale, fa credere che essendo un dettaglio falso, il resto possa essere vero.

La Repubblica, Jordi Valle, Attilio Giordano, dalla controsmentita tanto attesa escono ancora peggio di prima.


http://www.gennarocarotenuto.it/2838-false-interviste-su-la-repubblica-la-controsmentita-non-controsmentisce




CEREMONIAL RETURN

Friends Await Zvonko Busic
Around 500 citizens carried Croatian flags, sang patriotic songs, and chanted Busic’s name.


Around 500 friends, acquaintances and supporters greeted Zvonko Busic at Zagreb’s airport. Unfortunately, a few people managed to start chanting “Za dom spremni” ("ready for the homeland" (*)), but were soon hushed quiet, and Busic himself, upon arriving, asked those present to not shout Ustasha greetings.
"Do not let me be ashamed of you, but make me proud of you," said Busic clearly.
Amongst the many visitors were Frane Pesut, Slobodan Vlasic and Petar Matanic, participants of the hijacking of the American aircraft on a flight from New York to Chicago.
"What should I say to you, I am overjoyed, I hardly awaited this moment," said Frane Pesut with tears of joy in his eyes.
During a conversation, he stated that he knows nothing about the organization of the hijacking, because he believed Zvonko Busic and his associates that he was bringing a real bomb into the plane.
Marijan Bosnjak, somebody that knows and respects what he calls a selfless sacrifice by a Croatian hero, said that Busic decided to sacrifice himself for what he believes in.
"Zvonko wanted to attract the attention of the world to the suffering of one small people. Actions like those of Busic, raised the spirits of Croatians in the Diaspora. That event gained the attention of the whole world, and the punishment was absolutely too strict. They did not want anyone to get hurt, that action was the answer to the repression in Yugoslavia," considers Bosnjak.
"I am beside myself from happiness. The big thing is that he (Busic) can return to a independent country, and if it will remain independent is its own choice," said Benjamin Tolic.
The event was also attended by Father Vjekoslav Lasic, who before coming to the airport, paid respects to the remains of Dinko Sakic (**) at the crematorium.
"I came to greet the Croatian legend Zvonko Busic, who I visited a number of times in prison. The sentence was too strong, and he lay innocent in the USA," said Vjekoslav Lasic.
Marijan Buconjic, Busic’s roommate in New York, considers that Zvonko’s act was justified, and that he managed to show that Yugoslavia was repressive towards Croatians.
Drazen Budisa, the representative of the Busic family, held a welcoming speech in which he said that Zvonko and his associated deeply regretted the innocent victim, the police officer Brian Murray, but that they did not want anyone to get hurt. An unfortunate turn of events was in question. He wished Busic and his wife peace and freedom in their life in Croatia.
"I also fought for the independence of Croatia. I came as a Croatian convict, to greet a Croatian convict," said Anto Kovacevic who was also there.
Busic was protected by strong police security and bodyguards that were hired by the veterans’ associations. That security managed to, with great difficulty, restrain the many people gathered there to greet Busic.

(* Hystorical hymn of the fascist ustascia movement. "Pronti per la Patria", Inno del movimento nazifascista degli ustascia. NdCNJ)
(** A notorious, high-rank ustasha criminal in the 40ies. Tristemente noto criminale ustascia di alto livello negli anni '40. NdCNJ)


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ALTRA DOCUMENTAZIONE SUL TERRORISMO USTASCIA NEL CORSO DELLA GUERRA FREDDA / MORE DOCUMENTS ON USTASHI TERRORISM DURING THE COLD WAR PERIOD:
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On Jul 29, 2008, at 9:48 AM, Coord. Naz. per la Jugoslavia wrote:


RITORNA VINCITOR


Dopo 30 anni di detenzione negli USA, il terrorista ustascia Zvonko Busic è rientrato nella sua Croazia.
Nel 1976 si era reso responsabile di un tentativo di dirottamento aereo, causando la morte di un agente di polizia e l'accecamento di un altro all'aereoporto di New York.
L'azione - come tantissime altre commesse dagli ustascia esuli all'estero in quegli anni - aveva come obiettivo quello di attirare l'attenzione pubblica sulla causa croata.
Oggi Busic torna in Croazia da trionfatore, essendo stato conseguito l'obiettivo per cui lui ed i suoi camerati all'estero avevano commesso crimini nel corso della guerra fredda: la distruzione della Jugoslavia e la instaurazione di uno Stato etnico croato.
Come nel caso del Kosovo, anche nel caso della Croazia l'Occidente ha premiato il terrorismo fascista.
(a cura di Italo Slavo per JUGOINFO)

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http://www.cnj.it/documentazione/ustascia.htm

Croat terrorist back to Croatia after serving 30 years in US

Associated Press - July 24, 2008

ZAGREB, Croatia - A Croatian news agency says a
convicted plane hijacker is returning to Croatia after
serving 30 years in jail in the United States.

The state-run agency HINA quoted the wife of Zvonko
Busic as saying he would return Thursday after being
granted parole for hijacking a TWA flight in 1976.

Busic led the group of hijackers to draw attention to
Croatia's struggle for independence from communist
Yugoslavia and later surrendered.

But a bomb they stashed in a locker at New York's
Grand Central Terminal exploded when police tried to
defuse it, killing one officer and blinding a second.

Busic, revered by some in Croatia as a hero, was
convicted in 1977 of air piracy and granted parole
earlier this month.