Informazione
il manifesto
12 Agosto 2008
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/12-Agosto-2008/art22.html
Armadio della vergogna 2, arrivano le prime prove
La documentazione nel palazzo dove fu occultato per 60 anni il primo
Un vecchio faldone scuro, alto una decina di centimetri. Roso dal tempo, sbrecciato, polveroso. Ha un'età ragguardevole, poco meno di 60 anni. A fatica si legge l'intestazione: «Criminali di guerra - Proced. (sta per procedimenti, ndr) contro Roatta ed altri» (seguono i nomi di altri 32 imputati, ndr). Altra documentazione che si scova nel cinquecentesco palazzo di via degli Acquasparta, in Roma, dove hanno sede i vertici della giustizia militare e dove fu trovato, nel giugno del 1994, l'armadio della vergogna, che nascondeva i fascicoli delle stragi commesse dai nazifascisti, nel nostro paese, dall'8 settembre del 1943 al 25 aprile del '45. Decine e decine di migliaia di morti, all'enorme maggioranza dei quali si deve ancora giustizia, che la memoria tende a dimenticare e che la storia fatica ancora ad inserire nel suo tabellino di marcia.
Ora di questo secondo armadio della vergogna di cui ho già parlato sul manifesto di circa un mese fa, e che è figlio o padre del primo, come cercherò di spiegare più avanti, si individuano le prime tracce per via di questo faldone. Contiene riferimenti alla Commissione d'inchiesta presieduta dal senatore, antifascista di lunga data, Luigi Gasparotto. Fu nominata il 6 maggio del 1946 da un governo che oggi chiameremo di centrosinistra e che più di un anno dopo un governo di formazione opposta, un berlusconiano di destra diremmo oggi, si incaricò di annullare in ogni modo, nascondendo i risultati agghiaccianti. Riguardavano le imprese compiute dai generali fascisti nei territori aggrediti dal fascismo: Jugoslavia, Albania, Grecia, Unione Sovietica, Etiopia. Fu una gara, tra loro e i nazisti, SS comprese, a chi si distinguesse in bieca crudeltà.
I due armadi
Italiani brava gente? No: italiani brutta gente. Ho alluso ad una stretta parentela tra i due armadi perché in quegli anni il primo governo che si richiamava alla Resistenza e alla lotta partigiana, quello presieduto da Ferruccio Parri, voleva rendere giustizia alle vittime dei nazifascisti. Ma anche jugoslavi, greci, albanesi, sovietici esigevano giustizia per i massacri compiuti dalle truppe inviate da Mussolini per «conquistare terre al sole». Allora un governo che non aveva fascisti in senso organico nel suo seno, ma che fascista era d'animo, e che io ho individuato nel mio libro «L'armadio della vergogna», nel primo o nel secondo governo De Gasperi di centrodestra, si distinse per uno sporco lavaggio di mani: si vogliono perseguire gli aguzzini nazifascisti responsabili degli eccidi in Italia, non si possono non perseguire coloro che hanno commesso crimini della stessa natura all'estero. La decisione finale: tutto fu annullato, tutto fu occultato, tutto fu fatto dimenticare. Ma alla fine i nodi, come si usa dire, vengono al pettine. E' vero, c'è voluto più di mezzo secolo, ma che vogliamo farci, questa è l'Italia. Nell'immediato dopoguerra faceva sparire brutalmente quel che serviva a bloccare la giustizia, oggi uomini che vengono dal niente si inventano il lodo, che è un dolo, per arrivare agli stessi risultati. Bisogna dare atto ai «nuovi» della loro maggiore eleganza rispetto ai «vecchi»: ci mettono persino l'avallo del Parlamento.
Dove sono le carte?
Torniamo all'armadio della vergogna numero due, la cui esistenza fu prospettata al Consiglio della magistratura militare dall'ex procuratore militare di Padova Sergio Dini, ora passato, come circa la metà dei suoi colleghi, alla magistratura ordinaria. Dini poneva il problema: dove sono finite le carte della Commissione Gasparotto? S'è voluto eludere la giustizia? Misteri, ancora misteri, sempre misteri. «La prego, perlomeno per quel che riguarda l'oggi, non mi riferisco evidentemente ad un lontano passato, che lei ha illustrato nel suo libro, non usi il termine misteri - dice Alfio Massimo Nicolosi, procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione, in breve la massima autorità della giustizia in stellette - lei dice misteri, ma per quel che ci riguarda non ce ne sono. Non appena ho ricevuto l'esposto del procuratore Dini ho immediatamente incaricato il qui presente capo della segreteria, dottor Alessandro Bianchi, di cercare per ogni dove quello che lei ha definito l'armadio della vergogna numero 2. Ma la montagna, e lo dico senza facile ironia, ha scoperto solo un topolino, cioè il faldone di cui stiamo parlando. Conteneva soltanto o prevalentemente corrispondenza sul tema crimini di guerra asseritamente compiuti dall'esercito italiano in terre straniere. Da una prima sommaria e superficiale visione ho accertato che si tratta di documentazione che potrebbe avere solo un valore storico. C'erano timbri di riservatezza, di segretezza, eccetera. Ne ho chiesto l'eliminazione ai ministeri competenti, la Difesa ha già acconsentito, debbono ancora rispondere gli Esteri e gli Interni: Ed io sto provvedendo ad inviare tutto questo materiale al Consiglio della magistratura militare che deciderà cosa farne e se, eventualmente, aprire un'altra inchiesta come fece tra il 1996 e il 1999 per l'armadio della vergogna numero uno». Ma dove sono finite le conclusioni dell'inchiesta condotta da Gasparotto? «Ah, questo proprio non lo so, può fare tutte le ipotesi che vuole... Un momento, dimenticavo una cosa: in quel faldone c'è anche una sentenza, mi sembra che risalga al 1951. E trattandosi di una sentenza che non può essere soggetta ad alcun segreto, ne può fare richiesta ed ottenerla». Dottor Bianchi, lei che è il ritrovatore degli armadi, individuò quello che conteneva i fascicoli delle stragi commesse dai nazifascisti con già annotati i nomi dei criminali che le avevano compiute, ha faticato più questa volta o la precedente? «Senz'altro la prima volta, chi poteva pensare, così, di prima intenzione, che quell'armadio seminascosto potesse contenere carte così interessanti: girai, girai, sinchè alla fine mi decisi a vedere anche lì... Questa volta è stato molto più semplice. Ho pensato che poteva trovarsi, quel materiale, soltanto nell'archivio dell'ex procura generale presso il tribunale supremo militare, che ormai non c'è più. E alla fine, ho trovato quel faldone inserito tra tanti altri in una delle incastellature metalliche...». Ma non è possibile che le risultanze della Commissione Gasparotto siano occultate da qualche altra parte in questo enorme palazzo? «Tenderei ad escluderlo perché tutti i locali sono stati rinnovati e, poi, dopo la ricerca dell'armadio che lei ha definito della vergogna, ogni angolo era stato ispezionato. Se c'è, è da qualche altra parte, non da noi». Dove, per esempio? «Presumo al ministero della Difesa, il cui ministro a suo tempo nominò la Commissione ed è logico pensare che i risultati siano stati consegnati allo stesso ministero...».
«Condanniamoli tutti, poi...»
Ma non è da escludere, e questa è una mia supposizione, che sia finito al ministero degli Esteri, dato che dalla documentazione del passato emerge la sua presenza più di una volta nello scambio di informazioni con la procura generale militare in tema di stragi nazifasciste e il suo interesse d'ufficio nelle richieste degli stati invasi dal fascismo di ottenere l'estradizione dei criminali di guerra italiani. Ricordo una lettera, scovata dagli storici Filippo Focardi e Lutz Klinkammer, in cui l'allora ambasciatore a Mosca Pietro Quaroni suggeriva al presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, con il massimo possibile del cinismo, questa via d'uscita: «Condanniamoli tutti, a morte, all'ergastolo, poi li faremo uscire alla chetichella...». «Non mi sembra - spiega Bianchi - che ci sia corrispondenza di questo tipo. In quel faldone ci sono soprattutto lettere inviate e ricevute dal procuratore generale del tempo, credo Umberto Borsari, ai ministeri della Difesa, degli Esteri, degli Interni e viceversa. Fanno riferimento al problema dei crimini di guerra di cui furono accusati molti generali e altri ufficiali italiani».
In attesa che il «malloppo» sbuchi fuori da qualche parte passiamo alla sentenza di cui ho detto e che mi è stato relativamente facile ottenere al prezzo di cancelleria di euro 4,65, compreso il diritto d'urgenza. Una sentenza curiosa per vari motivi. Anzitutto perché, con mia relativa sorpresa, viene vistata dal vice procuratore generale militare Tringali, lo stesso, se ben ricordo, che aveva inviato una sorta di circolare sulla strage delle Ardeatine, per quel che riguardava gli altri colpevoli, oltre a Kappler, questa la conclusione: «...non sembrando conveniente turbare ancora una volta l'opinione pubblica riportando alla ribalta il triste episodio...». Nella sostanza: lasciamo perdere, non facciamo piangere ancora chi ha già pianto. E la giustizia? Non aveva ingresso. Come capita oggi, del resto, per altri versi. Fu quella circolare che mi arrivò in forma anonima nei primi mesi del '96 al giornale dove allora lavoravo, fogli ingialliti dal tempo, sbrecciati, in parte illeggibili, a convincermi ad iniziare l'inchiesta sull'armadio della vergogna.
Ma la sorpresa maggiore mi è venuta perché nella sentenza non ci sono i fatti cui conseguirono le imputazioni, solo alcune date che non si comprende a cosa si riferiscano. Non credo che si tratti di motivi di sintesi: la burocrazia se si è distinta in questo campo, lo ha fatto sempre per il motivo opposto. Quindi tacere, nascondere, far finta di niente. Vengono riportati soltanto i motivi di carattere generale delle imputazioni: «Concorso in uso di mezzi di guerra vietati, concorso in rappresaglie ordinate fuori dai casi consentiti dalla legge (mi sfuggiva che alcune rappresaglie erano legislativamente consentite, ndr). La premessa si riferisce alle «relazioni del nuovo governo jugoslavo contenenti un lungo elenco di persone ritenute criminali di guerra. Queste relazioni inviate in Italia, vennero esaminate da una Commissione d'inchiesta per i presunti crimini di guerra (leggi Commissione Gasparotto, che aveva ritenuto queste relazioni, quanto meno, fondate, ndr) istituita presso il ministero della Guerra. Accogliendo le proposte di tale Commissione d'inchiesta, il ministero presentava le seguenti richieste di procedimento...». Segue un elenco di 33 nomi, tanti evidentemente, ma assai inferiore agli oltre ottocento denunciati dalle nazioni aggredite dal fascismo. In questa sentenza, come si vedrà, quasi tutti gli imputati avrebbero dovuto rispondere dei loro crimini commessi in Jugoslavia. Mancano però, i nomi di tutti gli altri, non si sa se per loro sono state emesse sentenze di altri tribunali militari dopo le inchieste della Commissione Gasparotto. «Roatta Mario, Comandante della II. Armata; Robotti Mario, comandante dell'XI. Corpo d'Armata e, successivamente della II. Armata; Bastianini Giuseppe, governatore della Dalmazia; Magaldi Gherardo, presidente di un Tribunale Straordinario in Dalmazia; Serrentino Vincenzo, membro di detto Tribunale; Giunta Francesco, governatore della Dalmazia, Alacevich Giuseppe, segretario del Fascio di Sebenico; Rocchi Armando, comandante della sezione di Sabbioncello; Pirzio Biroli Alessandro e Zani Francesco, il primo Governatore del Montenegro ed il secondo comandante di una grande unità in Montenegro; Gambara Gastone, comandante dell'XI Corpo d'Armata; Coturri Renato, comandante del V. Corpo d'Armata; Grazioli Emilio, Alto commissario per la provincia di Lubiana; Dal Negro Pier Luigi, Sestili Gualtiero, Fais Giovanni, Sartori Giuseppe, Viscardi Giuseppe, Delogu Giuseppe, già in sevizio in Jugoslavia; Barbara Gaspero, prefetto di Zara, Brunelli Roberto e Spitalieri Salvatore, già in servizio in Montenegro; Testa Temistocle, prefetto di Fiume; Fabbri Umberto, comandante del V. Raggruppamento g.a.f.; Roncoroni Alfredo e Gaetano Giuseppe, in servizio alle dipendenze del Comando dei Carabinieri della Dalmazia; Viale Carlo, comandante la Divisione "Zara"; Manutello Fabio, ufficiale della Divisione "Bergamo", David Tommaso, comandante della 28. Compagnia M.v.a.c.; Scalchi Ivan, comandante della 107. Legione M.v.s.n. in Zara; Mauta Eugenio, Commissario civile di Cabar; Cassanego Emilio, Commissario civile del Distretto di Ornomeli; Giorleo Armando, comandante del I. battaglione del XXVI. G.a.f; Magaldi Gherardo, quale presidente di un tribunale militare in Atene».
Ma di questa sentenza quel che più colpisce è la chicca finale: «Tutti non punibili per mancanza di parità di tutela penale da parte dello stato nemico (dimenticando persino un ex davanti a quel nemico, ndr)». Il tutto sulla base di una «comunicazione del ministero degli Esteri», espressamente citata: «Gli stati ex nemici di cui trattasi non garantiscono la parità di tutela penale allo Stato italiano ed in pratica ciò ha portato ad assicurare l'impunità a molti stranieri responsabili di gravi delitti contro combattenti e prigionieri italiani», che non va dimenticato, erano gli invasori. Il tutto firmato da: «Giudice istruttore militare, ten. gen. B. Olivieri». Sembrano affermazioni di leghisti e fascisti che dicono: nei paesi islamici non vogliono far costruire chiese e noi non faremo costruire moschee. Quella comunicazione del ministero è datata 2 luglio 1951, la sentenza è del 30 luglio dello stesso anno, esattamente 29 giorni dopo. Nessuno mi toglierà dalla testa che i giudici militari prima di esprimersi hanno atteso il «la» politico del governo attraverso il ministero degli Esteri. E appena sette giorni dopo, precisamente il 6 agosto, una grande scritta, a margine della sentenza, con tanto di firme e timbri, annuncia: «La presente sentenza è definitiva». Una specie di lodo Alfano, insomma, che io preferisco chiamare dolo.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/12-Agosto-2008/art21.html
I DOCUMENTI SCOMPARSI
Armadio o «cassonetto», è sempre una vergogna
f. g.
Dino Messina sul Corriere della sera del 7 agosto, riprendendo il mio articolo apparso sul manifesto del 27 giugno intitolato «L'armadio della vergogna 2», dà la parola al procuratore militare di Roma il quale dice: «Si tratta di una invenzione giornalistica che non corrisponde alla realtà delle cose». Lo vuol chiamare comodino, etagere, cassapanca, comò, armadietto, si accomodi ma sempre della vergogna è. Comunque, come avrà potuto leggere in questo articolo, altri suoi colleghi non sono d'accordo con i suoi concetti. In più il «carrello con alcuni faldoni che portano il segno degli anni», come scrive Messina, non contiene i risultati della commissione Gasparotto bensì alcune carte di processi, da cui ho ricavato quello che pubblico. Il procuratore cerca, su quel carrello, le carte della strage di Domenikon in Tessaglia, dopo l'esposto inviatogli dal suo ex collega Sergio Dini che gli ha fornito anche i nomi degli storici che diligentemente lui cita. Un tempo la magistratura militare era al servizio del potere, poi, dal 1980, non più. Come mai tanta cautela? Riemerge il fetido odore del passato?
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/12-Agosto-2008/art20.html
STRAGI NAZIFASCISTE E MISTERI
Un faldone scuro e polveroso intestato «Criminali di guerra» riguarda 33 imputati, ma è pieno di omissis e timbri di segretezza. Fa riferimento alla commissione d'inchiesta Gasparotto del '46, i cui atti furono fatti sparire per nascondere le «imprese» compiute
dai generali fascisti in Jugoslavia, Albania, Grecia, Unione Sovietica ed Etiopia. E intanto oggi si ricorda l'anniversario dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzema
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/12-Agosto-2008/art23.html
GLI IMPUTATI
Da Roatta a Biroli, le gesta dei comandanti fascisti
Mario Roatta, grande amico di Galeazzo Ciano, direttore del Sim, il servizio segreto militare che ideò e attuò l'assassinio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli. Comandante della II Armata in Croazia, ordina ai suoi uomini di «applicare le mie disposizioni senza falsa pietà». E' rimasta famosa la sua invettiva contro le popolazioni aggredite da Mussolini: «Non dente per dente, ma testa per dente». Arrestato nel dopoguerra per l'omicidio dei fratelli Rosselli, evase con l'aiuto del Sim e dei carabinieri. Mario Robotti, successore di Roatta nel comando della seconda Armata in Croazia. Spronava i suoi ufficiali con questa frase: «Qui ne ammazziamo troppo pochi». Di croati, s'intende. Gastone Gambara, comandante dell'XI Corpo d'Armata. Invitava i suoi sottoposti a distinguere: «Questi sono campi di concentramento non di ingrassamento». Alessandro Pirzio Biroli, governatore del Montenegro. Durante l'invasione dell'Etiopia si distinse per il «giochino» che ordinava ai suoi: faceva legare una pietra al collo dei capitribù ribelli per poi farli gettare nel lago Tana.
U.S.-NATO’s war in Georgia: Who wins,who loses?
The Georgian army’s assault on the small nation of South Ossetia this August, backed and armed by the U.S., will have widespread repercussions, including here in the U.S. The attack immediately caused great suffering to tens of thousands of people in South Ossetia and Georgia. It was the topic of a top-level meeting at NATO headquarters in Brussels and will impact on the struggle against placing U.S. missile bases in Poland and the Czech Republic.
While there were many losers, the war has boosted the expected profits of the giant U.S. military corporations. The long-term cost for the war and for the expansion of NATO—if it is allowed to happen—will contribute to the further deterioration of cities across the U.S. and will diminish the lives of working people here.
The war in the Caucasus was “a bell-ringer for defense stocks.” (Wall Street Journal, Aug. 16) Big U.S weapons programs costing billions of dollars, like the F-22 Raptor fighter jet and high-tech destroyers, will have an easier time getting ensured long-term funding if the news media focus on alleged threats from Russia or China.
The Georgian war comes at a time of record profits and sales in the military industries, wrote the Journal. “Now the Russia situation makes the debate over the equipping of the U.S. military a front-burner issue. ‘The threat always drives procurement,’ said a defense industry official. ‘It doesn’t matter what party is in office.’”
The U.S. stake in Georgia
Georgia’s attack was a devastating blow to the Ossetian people, who maintained their national identity and culture as a distinct autonomous region for 70 years when they were part of the Soviet Union and have resisted Georgia’s attempt to grab the autonomous enclave since 1991.
Georgia’s Aug. 7 attack destroyed Tskhinvali, the capital of South Ossetia, with bombs hitting the university, parliament, hospital and many other buildings. More than 1,400 people died and thousands were wounded and traumatized. Tens of thousands were left homeless.
Russian troops responded to the devastating attack that destroyed much of South Ossetia, driving back the attackers. Under this counterattack, the Georgian army, trained and equipped by U.S. and Israeli advisers, totally collapsed and abandoned its new high-tech weapons, tanks and missiles on the roads.
“Israelis were stationed at bases throughout [Georgia] to carry out battalion-level infantry and reconnaissance training,” reported the Israeli daily Ha’aretz on Aug. 10.
“The United States, Britain, France, Israel, the Czech Republic, Poland and a number of other countries have been supplying Georgia with the latest in offensive weapons, including tanks, planes, strike helicopters and armored personnel carriers.”
The collapse humiliated the Georgian military, whose U.S.-supplied defense budget has grown by 60 percent annually since 2004 and is currently at $1 billion. (Stockholm International Peace Research Report) U.S. Marines had just finished three weeks of military exercises with the Georgian military before the attack.
The U.S. government’s National Endowment for Democracy and multibillionaire George Soros had funded the 2003 project, called the Rose Revolution, that installed Georgia’s current regime. The U.S. also instigated a similar regime change called the Orange Revolution in Ukraine in 2004-2005, installing a government compliant with U.S. wishes.
Escalation and setback to U.S. plans
Following Georgia’s frantic retreat and appeals for NATO intervention, Washington escalated tensions by pushing the Polish government to agree to station U.S. missiles in Poland. Earlier, the pro-U.S. Polish government had hesitated to agree to this base. Poland’s population had expressed, in polls, overwhelming opposition to this aggressive and dangerous military escalation.
NATO members Germany, France and Italy had also publicly opposed this U.S. anti-missile base, which could make a U.S. nuclear first strike against Russia feasible. The base could escalate tension between NATO and Russia and begin a new Cold War-type arms race.
Washington had called the Aug. 19 emergency NATO meeting to press for united anti-Russian action. The Bush administration used the week’s heavy anti-Russian propaganda to try to push through Georgia and Ukraine’s NATO membership. Instead, European NATO members said, as they had at the Bucharest meeting in April, that the two countries’ memberships would be discussed in December.
Following the Georgian army collapse, the Bush administration claimed it had told the Georgians that they must not use force in Ossetia or in Abkhazia, another autonomous region bordering Georgia. But Secretary of State Condoleezza Rice had visited Georgia less than a month before the attack, at which time she made clear that the Bush administration fully supported Georgian claims to the two regions.
Georgia would hardly have dared to move hundreds of millions of dollars of U.S.-supplied equipment without Washington’s backing. Nor could they move such equipment secretly.
South Ossetian officials publicly warned, two days before the Georgian offensive, that such a Georgian attack would occur before September. (RIA Novosti News, Aug. 6)
Problems for NATO expansion
NATO has expanded from a U.S.-commanded military alliance of Western imperialist powers active in Europe. It has more than doubled its original 12-country membership and has intervened from Afghanistan to the countries surrounding China as part of the drive to ensure U.S. corporate domination of the globe.
Each new member of NATO must go into debt and dependency to equip its military with U.S.-supplied weapons. Like the anti-Russia drive, this is great for a handful of U.S. corporations and bad for everyone else.
From Iraq to Afghanistan and now in Georgia, the Pentagon’s plans are creating problems and meeting resistance.
Major demonstrations in Ukraine last spring opposed NATO membership, while polls show 70 percent in Poland and the Czech Republic oppose the U.S. bases, which the parliaments in both countries must pass. Putting any of the agreements to a popular vote could set back these right-wing, pro-U.S. regimes.
In Georgia, President Mikheil Saakashvili’s humiliating defeat following his adventurous aggression may lead to his downfall. This New York-trained lawyer, who had worked at the well-connected top law firm of Patterson, Belknap, Webb, and Tyler, is Washington’s best friend in the region.
Economic crisis and militarism
While the Pentagon is the largest military machine on the planet, paying to maintain this global war machine is worsening the economic meltdown in the U.S.
The U.S military budget is now larger than all other national states’ military budgets combined. Just the supplementary budget to pay for the current wars in Iraq and Afghanistan, not part of the official defense budget, is itself larger than the combined military budgets of Russia and China. According to the Friends Committee on National Legislation, U.S. military spending has doubled in the last decade, with the Pentagon budget alone set for over $600 billion in 2009.
This budget is a giant subsidy to the largest and most powerful corporations in the U.S. today, which pay top dollar to their executives and multibillion-dollar profits to their shareholders. Meanwhile more than 2 million people are losing their homes in foreclosures.
It is the responsibility of the anti-war, progressive and working-class movements in the U.S. to expose and mobilize against these dangerous and aggressive war plans that threaten life on the entire planet. And it is equally essential to connect the exorbitant costs of militarism and the fantastic profits for a handful of the super-rich to the cuts in social programs, health care and education for the rest of the population.
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TELL BUSH, CHENEY, RICE AND CONGRESS: U.S. HANDS OFF GEORGIA AND RUSSIA - NO NEW WAR - END NATO NOW!
It is with growing concern that we observe that the U.S. government is threatening new military moves that carry the danger of another war-this time against Russia.
The Bush regime and the corporate U.S. news media have launched an anti-Russia hate campaign. Yet just as with the occupations of Iraq and Afghanistan and the threats on Iran, the threatened military confrontation with Russia is also based on a lie.
The truth, hidden by most of the corporate news media, is that Georgia's President Mikheil Saakashvili, unleashed his U.S.- and Israeli-armed and-trained forces on the tiny autonomous region of South Ossetia, murdering civilians and attacking Russian peacekeeping troops stationed there. Only then did Russian troops respond.
Saakashvili is the president who sent 2,000 Georgian youth to join the U.S.-led occupation of Iraq. The U.S. supplies the weapons to his army. U.S. Special Forces and Israeli advisers and mercenary contractors direct the Georgian military, which just held three weeks of joint exercises with the U.S. Army and Marine Corps in July. We must take note that like Iraq and Iran, Georgia itself is a prize for U.S. oil companies, as it is a major transit point for Central Asian oil.
There is little doubt that U.S. arming of Georgia and its push to get Georgia into NATO set the scene for the Georgian invasion of South Ossetia and created the threat of a new major war. Now Washington also threatens Russia by placing missile bases in Poland and the Czech Republic against the wishes of the overwhelming majority of the people there. Surrounding Russia with this military alliance of new NATO members is the greatest danger to peace and stability on a global scale.
It is time to remember that NATO was established as an anti-USSR military alliance aimed at reinforcing capitalist control and preventing socialist revolutions in the colonialist powers of Europe weakened by World War II. Since the end of the Soviet Union and the dissolution of the Warsaw Pact, the U.S. has attempted to vastly expand NATO and turn it into a military instrument to consolidate U.S. corporate power, surround Russia and China and re-conquer the former colonial world.
Consider these examples:
Yugoslavia. Based on the lie that NATO was defending small nations, U.S.-NATO intervention and bombing destroyed multinational Yugoslavia and turned the Balkans into a collection of dependent ministates ruled by the U.S. and Western Europe powers.
Afghanistan. Based on the lie that this was a police action against terrorists, U.S.-NATO have carried out a seven-year occupation leaving the country in ruins and enslaved.
Iraq. Here the lie about weapons of mass destruction was so blatant, and the U.S. position so weak, that most NATO countries refused to join the occupation and utter destruction of Iraq.
No one can believe Bush is promoting peace in Georgia. It is time not only to stop this expansion but to end the NATO war machine completely by dissolving NATO.
It is encouraging to anti-war people worldwide that Georgians themselves have issued a statement condemning the Saakashvili machine. "The entire responsibility for this fratricidal war," the Georgian Peace Committee says, "for thousands of children, women and elderly dead people, for the inhabitants of South Ossetia and of Georgia falls exclusively on the current president, on the Parliament and on the government of Georgia." (Aug. 11)
We cannot do less than the people of Georgia who oppose the current president and want no part of NATO. We demand from Washington:
(1) Stop interfering in Georgia and the Caucasus
(2) Stop attempting to expand the NATO military organization into the countries of Eastern Europe and those that border on Russia.
(3) End the aggressive NATO military alliance
(4) No new wars!
Zur Unabhängigkeit des Kosovo
Von Kaspar Trümpy
Argumente, August 2008
Während der Westen Sezessionsbewegungen auf dem eigenen Territorium mit allen Mitteln bekämpft - man denke nur an den mörderischen Sezessionskrieg des 19. Jahrhunderts in den USA - wird dies anderswo bei Bedarf tatkräftig befördert. So verweigerte das kolumbianische Parlament 1903 den USA die Konzession für den Bau des Panamakanals, worauf sich auf Betreiben und mit tatkräftiger Unterstützung der USA die kolumbianische Nord-Provinz Panama abspaltete und der Kanal wie gewünscht gebaut wurde. Seit 1949 wird die Volksrepublik China vom Westen mit der möglichen Sezession Taiwans und auch Tibets bedrängt. Im Irak, Sudan und Bolivien geschieht aktuell ähnliches. In Tschetschenien wurden Separatisten protegiert.
Unterstützung des Sezessionismus
Mit dem Prinzip «Teile und herrsche» verfolgen die USA und die EU auch im Kosovo ihre geostrategischen Interessen, indem sie durch wirtschaftliche Erpressung und einseitige Parteinahme UCK-Sezessionisten beförderten, welche nach dem Zerfall der Sowjetunion mehr oder weniger offen unterstützt wurden. Dadurch wurde Milosevic geschwächt, der in Restjugoslawien eine Politik des multiethnisch geprägten Sozialismus verfolgte. Nach dem völkerrechtswidrigen NATO-Aggressionskrieg von 1999 gegen Restjugoslawien (Serbien-Montenegro) wurde der direkte Einfluss auf dem Balkan gefestigt (gigantische US-Militärbasis Bondsteel im Kosovo). Ausserdem konnte - entgegen dem weltweiten Trend - eine Politik zum Wohl (?) einer muslimischen Ethnie, resp. der vom Westen auserkorenen mafiösen Elite, gefördert werden.
Geschichte und Demografie des Kosovo
Zum Kosovo: Nach 1455 steht der um 1200 von Serben gegründete mittelalterliche Staat Kosovo ganz unter osmanischer Herrschaft. Zu einem ersten grossen Exodus der Serben kam es um 1690 nach einem missglückten Eroberungsversuch durch die Habsburger. Die nach dem Ende des Ersten Weltkriegs betriebene Serbisierung des nun unter serbischer Hoheit stehenden Kosovo war wenig erfolgreich. Der Bevölkerungsanteil der Serben lag vor dem Zweiten Weltkrieg noch bei ca. 40%, wobei die Serben im Kriege enorme Verluste erlitten. Im sozialistischen Jugoslawien wurde das Kosovo 1974 eine autonome serbische Provinz. Seither fiel der Anteil der Serben von nun ca. 25% kontinuierlich und betrug 1989 zum Zeitpunkt des Machtantritts von Milosevic noch 10%. Nach der NATO-Intervention liegt derAnteil noch bei 5%. Die Serben wurden nach dem Zweiten-Weltkrieg von der albanischen Mehrheit sukzessive aus dem Kosovo herausgedrängt und können als erste Opfer einer ethnischen Säuberung im Nachkriegs-Jugoslawien bezeichnet werden!
Gegensätzliche Interessen des Westens und Russlands
Die schon in den 90er Jahren erfolgte Stigmatisierung Serbiens zum Schurkenstaat hatte zum Ziel, für den Westen ungünstige Resultate des Zweiten Weltkriegs rückgängig zu machen. So wurde auch Milosevics legitimes Vorgehen gegen gewalttätige UCK-Separatisten zum humanitären Verbrechen erklärt. Nachdem Russland in den Neunziger-Jahren unter Jelzin alle gegen Serbien - Auslöser war das berühmte irreführender Bild eines abgemagerten Bosniers «hinter» Stacheldrahtzaun (in Wirklichkeit befand sich das englische Kamerateam hinter dem Zaun) - verhängten schweren UNO-Sanktionen mittrug, versuchte Putin, die auch für Russland negativen Folgen der Politik seines Vorgängers auszubügeln und die beabsichtigte völkerrechtswidrige Unabhängigkeit des Kosovo abzuwenden.
Kosovo und die Schweiz
Die Verbindungen der Schweiz zum Kosovo sind vielfältig, etwa bezüglich der Berichte, wonach Jelzin von der kosovarischen Mafia bestochenen wurde: Über den in Lugano ansässigen kosovoalbanischen Bauunternehmer und Milliardär Pacolli tauchten, schon zur Zeit als Caria del Ponte noch schweizerische Bundesanwältin war, glaubwürdige Zeitungsmeldungen auf, in welchen über die Angelegenheit mafiöser Verbindungen zwischen Pacolli und Boris Jelzin (Bauauftrag im Kreml, Überweisungen auf Konto der Präsidentenfamilie) berichtet wurde. Den wichtigsten Belastungszeugen in dieser Angelegenheit, F. Turover, brachte Del Ponte in Lebensgefahr, als sie seine persönlichen Daten an die Presse weitergab. Dadurch wurden weitere Untersuchungen in diesem Fall vereitelt.
Problematische Rolle der Schweizer Aussenpolitik unter Calmy-Rey
In der Kosovofrage verfolgt die Schweiz durch die Anbiederung als Juniorpartner an die Menschenrechtsimperialisten der USA und EU eine einseitig anti-serbische Politik. Die UNO Resolution 1244, welche die territoriale Integrität Serbiens garantiert, wird im Einklang mit der NATO sehr grosszügig ausgelegt. Zur, im Vergleich zu ihrem Vorgänger J. Deiss (Sommer 1999, Empfang von Hasim Thaci im Bundeshaus), noch aggressiveren Haltung von Calmy-Rey (aktive Neutralität...) kann bemerkt werden, dass in ihrem Heimatkanton Genf eine umtriebige Kosovo-Lobby besteht (Ueli Leuenberger, Nationalrat Grüne). Die hohe Wertschätzung, welche die Aussenministerin der neutralen Schweiz diesem in völkerrechtlichem
Ausschaltung der UNO
Oberste Priorität geniesst im Westen die Bestrebung, das in letzter Zeit doch unerwartet kompliziert gewordene Kosovo-Dossier im Sinne des «ehrlichen Maklers» Ahtisaari abschliessen zu können. Im UNO-Sicherheitsrat wurde nie über die Kosovo-Unabhängigkeit, resp. eine Anpassung der Resolution 1244, abgestimmt, angeblich um das angekündigte russische Veto nicht zum Tragen kommen zu lassen. Die «Unabhängigkeit» des Kosovo wurde jedoch bislang nur von 41 der total 193 Staaten anerkannt, weshalb davon auszugehen ist, dass die Ab stimmung im UNO-Sicherheitsrat auch ohne russisches Veto gescheitert wäre.
Argumente ist die halbjährlich erscheinende Zeitung der PdA-Basel (pda-basel@...)
Mit der Verhaftung von Radovan Karadzic ist der Internationale Strafgerichtshof für das ehemalige Jugoslawien (ICTY) wieder in die internationalen Schlagzeilen gekommen. Diese Woche soll Karadzic an den ICTY ausgeliefert werden. Sein Prozess wird weltweites Aufsehen erregen. Nicht zuletzt wegen der politischen Verantwortung, die Karadzic für das Geschehen in Srebrenica im Juli 1995 trägt, wo bosnisch-serbische Truppen ein Massaker an bosnisch-muslimischen Männern anrichteten.
So groß die Aufmerksamkeit für dieses Massaker ist, so bescheiden war die mediale Resonanz, als Anfang Juli der ehemalige Kommandant der 28. Division der bosnisch-muslimischen Armee, Naser Oric, von einem Berufungsgericht des ICTY freigesprochen wurde, nachdem er im Sommer 2006 für die Folterung und Tötung von sieben Serben durch seine Untergebenen in der Stadt Srebrenica zu zwei Jahren Gefängnis verurteilt worden war. Durch die Anrechnung der Untersuchungshaft hatte er bereits nach dem Urteilsspruch den ICTY als freier Mann verlassen und war in Bosnien von der muslimischen Bevölkerung als Kriegsheld euphorisch empfangen worden. Nach dem Spruch des Berufungsgerichts ist Oric nicht nur ein freier, sondern auch ein redlicher Mann.
So weit, so skandalös. Und es wirft ein Schlaglicht auf die politisch tendenziöse Seite des ICTY, die nicht nur von serbenfreundlicher Seite kritisiert wird. Denn um dieses Urteil als skandalös zu bezeichnen, braucht es nicht den Protest der russischen Regierung. Hier reicht es, sich das mörderische Treiben von Oric und seiner Division in der Region Srebrenica zwischen 1992 und 1995 anzusehen. Doch so moralisch empört sich die Medien dem Massaker der bosnisch-serbischen Truppen unter der politischen Verantwortung von Karadzic und General Mladic seit Jahren widmen, so uninteressiert zeigen sie sich an der Vorgeschichte, die eng mit der Präsenz von Orics Division im Raum Srebrenica verbunden ist.
Srebrenica war ursprünglich ethnisch gemischt. Doch bereits unmittelbar nach dem Eintreffen von Orics 28. bosnisch-muslimischen Division in Srebrenica waren die serbischen Einwohner im Mai 1992 aus der Stadt geflohen. An ihre Stelle kamen Muslime aus der umliegenden Gegend, und Srebrenica wurde zu einer muslimischen Enklave mit 35.000 Menschen. Von Beginn an attackierte die 28. Division die umliegenden serbisch bewohnten Dörfer mit größter Brutalität. Eine der erbarmungslosesten Aktionen fand am 7. Jänner 1993, dem Tag des serbisch-orthodoxen Weihnachtsfestes, statt, als Oric einen Überraschungsangriff gegen das Dorf Kravice anführte, bei dem über hundert serbische Soldaten und Zivilisten getötet wurden.
Ein großer Teil der Feindseligkeit der bosnischen Serben aus der Region gegenüber den Einwohnern Srebrenicas resultierte aus dieser Phase des Krieges. Im Frühjahr 1993 übergab die jugoslawische Staatskommission für Kriegsverbrechen dem UN-Sicherheitsrat ein Memorandum. Es beinhaltete eine Liste von etwa 1300 Serben, die von Orics Truppen von April 1992 bis April 1993 getötet und von 192 Dörfern, die niedergebrannt worden waren. Der UN-Sicherheitsrat akzeptierte das Memorandum als offizielles Dokument.
Blutige Trophäen
Im April 1993 erhielt Srebrenica den Status einer Schutzzone und UNO-Truppen wurden darin stationiert. Doch wurde die Stadt niemals erfolgreich demilitarisiert. Der UN-Report zu Srebrenica hielt fest, dass die muslimischen Truppen nicht mehr als 300 Waffen abgegeben hatten, die meisten davon waren unbrauchbar. Die etwa 5800 Mann starke 28. Division machte weiterhin Ausfälle in serbisches Territorium und tötete Soldaten und Zivilisten. Sowohl 1994 als auch 1995 lud Oric ausländische Reporter ein und zeigte ihnen seine "Kriegstrophäen" : Videos, auf denen abgeschnittene Köpfe, verbrannte und erschossene Serben, abgebrannte Häuser und Leichenberge zu sehen waren.
Die Gräueltaten der muslimischen Division unter dem Kommando von Oric sind gut dokumentiert. Doch als er im März 2003 vom ICTY angeklagt wurde, wurde er nur wegen der Ermordung von sieben Serben durch seine Untergebenen zur Verantwortung gezogen. Obwohl sich Oric öffentlich gegenüber westlichen Reportern mit dem Erschlagen von serbischen Zivilisten gebrüstet hatte, sah der ICTY die Beweislage für eine entsprechende Anklage nicht gegeben.
Neben dem milden Urteil von zwei Jahren Haft sticht die Dekontextualisierung der von Oric und seinen Truppen begangenen Verbrechen mit den blutigen Ereignissen in Srebrenica vom Juli 1995 ins Auge. Mit einer Anklage, die die offensichtlich schweren Verbrechen von Oric vor dem Juli 1995 ausklammerte, vermied das ICTY, einen Zusammenhang mit dem Massaker in Srebrenica herzustellen.
Dass das systematische Abschlachten der serbischen Zivilbevölkerung in der Umgebung von Srebrenica durch Orics Truppen vom ICTY nicht als "Verbrechen gegen die Menschlichkeit" qualifiziert wurde, sagt einiges über die politische Agenda dieses Gerichtshofes aus. Damit war es möglich, das Massaker der bosnisch-serbischen Armee in Srebrenica vom Juli 1995 als eine zusammenhanglose Tat darzustellen und Srebrenica als Symbol des serbischen Bösen und für die muslimische Opferrolle zu instrumentalisieren.
Die Rehabilitierung von Naser Oric durch den ICTY ist ein weiterer Höhepunkt in diesem zynischen Spiel mit der traurigen, blutigen und komplexen Geschichte des Zerfalls Ex-Jugoslawiens. Es ist zu befürchten, dass sich auch der Prozess gegen Karadzic in diese politisch tendenziöse Liste einfügen wird.
(DER STANDARD, Printausgabe, 30.7.2008)
Walter Manoschek ist Professor für Politikwissenschaft an der Universität Wien
Kaum war die Dienstzeit vorueber, nutzte Frau Del Ponte ihre freien Stunden in der schweizer Botschaft in Argentinien, um Hintergruende aufzudecken. Leider hat die deutsche Presse die Berichterstattung voellig abgeblockt, vielleicht, weil deren Enthuellungen zum Loblied dieser Presse fuer DenHaag nicht besonders passten.Nur die Neue Zuercher Zeitung berichtete zweimal ausfuehrlich. Denn Frau Del Ponte rechnete herb ab -mit den Serben, den Kosovo-Albanern, der internationalen Gemeinschaft und dem Vatikan.
Leider scheint das im Original italienisch geschriebene Buch weder in Franzoesisch noch Deutsch inzwischen erschienen. Da die Schweizer Regierung anlaesslich einer Pressekonferenz brutal einen Maulkorb verpasste, ist es nicht unwahrscheinlich, dass das spaete oder gar Nicht-Erscheinen des Buches auf politische Drohungen zurueckgeht.
Immerhin scheint der Europa-Rat einer der am meisten Zweifel erregenden Aussagen Del Pontes Beachtung zu schenken.
Was eher an die peinlichen Halluzinationen eines Scharping erinnert. Demnach haetten UCK-Rebellen nach dem Krieg 1999 zwischen einhundert und dreihundert Personen nicht nur als Geisel entfuehrt, sondern einigen der dann getoeteten Serben Organe entnommen und im Ausland an zahlende transplantationsbeduerftige Patienten verkauft haben. Da die UCK vor der Zeit, da Kinkel sie reinwusch, als mehr oder weniger ordinaere Banditen gegolten hatten, dann aber unter Rot-Gruen mit einem schwarz-rot-goldenen Heiligenschein versehen wurden und jetzt die respektable Regierung eines Staates ohne Regierungsmacht darstellen, ist anzunehmen, dass von deutschen Stellen wenig Unterstuetzung bei der Untersuchung der Vorfaelle zu erwarten sein wird.
Von vielen Seiten wurde die medizinische Moeglichkeit solcher Organentnahmen auf Vorrat bezweifelt. Muesste nicht vor der Organ-Entnahme zwischen Spender und Empfaenger eine Vertraeglichkeitspruefung nach Blutgruppe stattfinden?
Um nichts zu versaeumen hat jetzt der Europarat Marty mit der Untersuchung der Vorfaelle beauftragt. Marty hatte immerhin einiges ueber die menschenrechtswidrigen Kidnapper-Aktionen der CIA in Deutschland und Italien herausbekommen.
Marty wird im September auf den Balkan fahren, Zeugen vernehmen und vor allem das Haus im nordalbanischen Burell untersuchen, in dem die Operationen zur Organentnahme vorgenommen worden sein sollen.
Quelle: Spiegel-print, 30.6.08, Artikel "Handel mit Organen" S.85
AutorIn: fg
Fighting Dirty: Pictures to Provoke Hatred and More Suffering
Remember the image of an emaciated Bosnian Muslim allegedlycaged behind"Serb barbed wire", in a "Serb concentration camp" Trnopolje? The fake photo filmed by a British news team became a worldwide symbol of the war in Bosnia. Even after it was proven that the "prisoner" wasn't a prisoner to begin with, and was filmed outsidethe gate, part of which had barbed wire, this picture had still continued to be proudly exhibited all over the world to this day as the "evidence" that Serbs ran the "concentration camps" in Bosnia and Herzegovina. Even the Hague tribunal's web site carries this fake image on its home page, offering another demonstration of its patent bias and voluntary blindness, a willful disregard for the facts and truth in all forms.
# This photo was first published by the Reuters as an image of a "dead woman being carried by the Georgian soldiers from the town of Gori". But this "dead woman", incredibly, is clutching the nurse's arm. #
Deception through imagery is as old as man's ability to produce images. But photo-manipulation and staging the atrocitiesagainst one's own people to have them immediately filmed, disseminated throughout the world and used to provoke violent reaction -- retaliation -- against the designated culprit, was never used with so much success in propaganda war as during the 1990s, against the Serbs in all stages of Yugoslav civil wars.
# This man exhibiting rage and grief happens to sit in the exact same place where the earlier picture was taken: the same pile of garbage is behind his back and scraps of metal from the picture of a "dead" woman being 'rescued' are lying around like in the earlier photo -- plus some, additional, unidentified scraps of metal. What are these supposed to represent? #
Someone Keeps Moving "Their Son"
Shameful role Western mainstream media has played in demonizing the Serbs and spreading the filthiest, basest propaganda against the Serbian nation and its leaders during the civil wars in the territory of former Yugoslavia, had dealt a fatal blow to Western news agencies' claims of neutrality, objectivity and impartiality. It turned out that Western mainstream media is a willing cobelligerent in the aggressive imperial wars West is constantly engaged in, being no more than a tool used by Western political powers to advance their own agendas.
# The caption Reuters gave to this photo is "Georgians stand next to the body of their son in the town of Gori". The woman is looking up towards the sky from where, presumably, death had stricken "her son"...
...But for the purposes of this photo the body of the "son" has been obviously moved quite a bit away from the curb. This was clearly not done in order to cover up the naked parts of the dead man's body, nor to allow some measure of dignity to the dead. Was it done for the light? (One should challenge Reuters to find a mother -- any mother -- who would allow the body of her child to be dragged through dirt half naked like this, while she is taking instructions from a photographer where to stand, where to look and what to do next) #
One will often hear Reuters, AP, AFP, DPA and others refer to, say, Serbian RTS as "Belgrade's official TV", as if BBC, CNN, CBC, ABC and others are "independent", far removed from the offices of their respective states' governments and administrations. Rubbish! If they are all independent and each on their own, then how come they're all always tooting the same horn and always rooting for the same side in every conflict, every war, every confrontation -- how can that be?! How was such a wide consensus achieved on every single international issue, when was this perfectly unison choir formed, spanning millions of newspapers, magazines, web sites, TV studios and news agencies? Are they all copying from each other because they are all border-line retarded, a world wide club of semi-retards who can't come up with a single original thought, or because they follow political instructions, an unwritten, unquestionable set of rules, a codex saying you either fall in line and follow the script, or you're out in the cold, and out for good? You decide.
But, when you see the rigged photo stories like these latest ones from British Reuters, be kind and remember -- they might be out to destroy entire nations, but someone's paycheck depends on it, so ...they had to do it.
Recommended: Russian analysis of two photos from Reuters set, photographed men switching roles and clothes in different takes; Did mercenaries help Georgia?, Russia Today
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EXCERPTS FROM THE BLOG COMMENTS:
http://www.byzantinesacredart.com/blog/2008/08/deceiving_the_world_with_pictu.html
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These are typical US infowar or psyop war techniques. It is important to remember that US Army Psyops Specialists worked for CNN during the Kosovo conflict. CNN is nothing but Government-controlled media. Invariably, CNN parrots the Pentagon, CIA, and US State Department. CNN is actually just an arm of the US government and military. If you notice on the web, AFP has photos of destroyed Georgian T-72 tanks in the capital city of South Ossetia. CNN and Reuters do not show any of those photos. Those photos show that the CIA installed Georgian Government, a puppet government of the US, has heavy weapons that it used against its own citizens in what amounted to genocide and war crimes. There were thousands of Ossetian refugees which CNN also did not show. Moreover, 2,000 Ossetian civilians were killed by US trained Georgian troops. Again, CNN did not show this. CNN and Reuters focused on "collateral damage". These photos are particularly inane. What is that, Butt Crack Genocide? Butt Crack "aggression" against the Butt Crack "victims". CNN and Butt Crack go together. What CNN is covering up is how the Ossetians and Russians wiped out that neocon Likudnik army in Ossetia. Ossetians report that the city is full of rotting corpses of dead US trained Georgian soldiers. There are piles and piles of dead CIA trained Likudnik necon corpses in the city. There are also rows and rows of destroyed Georgian tanks. Bill Kristol should check out those photos. His Likudnik CIA neoconservative troops got slaughtered. They are stincking up the place in Ossetia. I guess the Ossetians and the Russians "cracked some Likudnik CIA puppet skulls" in Ossetia! Bill Kristol gets to watch his puppets get slaughtered. Ultimately, CNN is covering up the US role as the puppet master to this genocide. The US planned this aggression for the Georgian puppets and is bankrolling the Georgian army. This genocide is Made in the USA. So it is gratifying to see these US puppets get their skulls crushed. The US military training really helped them. Helped them right into body bags. The Ossetians and Russians crushed the skulls of these neocon puppets and stooges. CNN and Reuters cannot do anything about that. All they can do is show Butt Cracks. Inside Butt Cracks is where CNN belongs as does Reuters. What a big joke CNN is.
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Kosovo, Georgia e cattiva coscienza europea
Più trascorrono i giorni, più la crisi apertasi tra Stati Uniti e Russia pare approfondirsi, con conseguenze sul medio e lungo periodo oggi difficilmente calcolabili o anche solo immaginabili. Da diversi mesi Mosca aveva manifestato una crescente insofferenza di fronte alle mire egemoniche di Washington, con particolare riferimento ad un ulteriore allargamento ad est della NATO, al coinvolgimento di Polonia e Repubblica Ceca nel progetto di scudo antimissile, all’indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia e alle minacce di intervento militare contro l’Iran. Su tutti questi terreni l’Unione Europea si è rivelata non tanto succube, quanto complice – persino al di là dei propri interessi economici e geopolitici - degli USA. Elemento, questo, che conferma la debolezza politica di Bruxelles, con buona pace di quello che è stato l’asse franco-tedesco della primavera 2003, in occasione dell’aggressione USA all’Iraq. Più l’Europa si allarga, più la subalternità a Washington si rafforza. Tragico destino davvero, quello dell’UE, che da una politica di coinvolgimento e di buon vicinato con la Russia avrebbe davvero tutto da guadagnarci.
La miccia della crisi tra USA e Russia è stata innescata dal presidente georgiano Saakashvili, fido alleato di Washington, che ha aggredito militarmente l’Ossezia del Sud – territorio formalmente georgiano, ma a maggioranza russa - con l’obiettivo di schiacciare le forze indipendentiste, intervento che è costato la vita a 1.500 persone, in maggioranza civili. La reazione di Mosca non si è fatta attendere e l’esercito georgiano ha subito una dura lezione, con il temerario Saakashvili in fuga precipitosa allo scoppio del primo petardo. Reazione, quella russa, giudicata da Mosca e Washington “sproporzionata”. Vale la pena ricordare che, per molto, molto meno, nel marzo 1999 le forze USA, UE e NATO hanno aggredito militarmente la Repubblica Federale Jugoslava, distruggendo un intero paese, hanno favorito un colpo di stato e sostenuto poi l’occupazione militare e la secessione unilaterale di una parte del territorio serbo, il Kosovo a maggioranza albanese, oggi formalmente indipendente. Se Milosevic è stato paragonato addirittura ad Hitler dalla sempre più patetica propaganda occidentale, che cosa si dovrebbe dire oggi di questo Saakashvili, al potere grazie ad un colpo di mano sostenuto dagli USA? Se Milosevic ha subito un processo iniquo e illegale all’Aia, cosa dovrebbe subire il presidente georgiano? Se il governo di centro-sinistra allora in carica in Italia, tra i protagonisti dell’aggressione, ha parlato di “guerra umanitaria”, quale prezzo dovrebbero pagare allora Saakashvili e il popolo georgiano per l’aggressione ad osseti e abkhazi? La reazione russa è stata assai “proporzionata” rispetto a quella di Clinton, D’Alema e soci della primavera del 1999.
Al contrario, gli stessi che allora sostenevano l’intervento militare contro Milosevic e appoggiavano le forze paramilitari fasciste e secessioniste in Kosovo, oggi con un cinismo degno di miglior causa si fanno paladini dell’”integrità territoriale” della Georgia. Gli stessi che hanno favorito con ogni mezzo la disintegrazione violenta dei territori della ex-Jugoslavia per tutti gli anni ’90 dello scorso secolo, gli stessi che hanno sostenuto e sostengono le forze reazionarie in Tibet contro l’integrità territoriale della Cina, gli stessi che hanno aggredito e balcanizzato l’Iraq, gli stessi che hanno utilizzato come una clava la Cecenia contro la Russia, gli stessi che fino all’ultimo hanno giocato la carta della strategia della tensione in Libano, gli stessi, ancora, che hanno orchestrato le “rivoluzioni di velluto” (colpi di stato filo-occidentali) in Bulgaria e Jugoslavia, in Ucraina e Georgia e, pur se con esiti fallimentari, in Uzbekistan, Kyrghyzstan e Libano. USA e UE hanno parlato con lingua biforcuta. Con quale credibilità lo ha chiarito il ministro degli esteri russo, Lavrov, definendo “chiacchiere” i riferimenti di questi ultimi all’integrità territoriale georgiana. Effettivamente, alla luce delle dinamiche sopra ricordate, quelle statunitensi ed euopree sono chiacchiere, chiacchiere interessate. Il principio dell’integrità territoriale o vale per tutti, o per nessuno. Pochi mesi addietro, l’allora presidente russo Putin aveva messo in guardia Washington e Bruxelles sul pericoloso precedente costituito dal riconoscimento del Kosovo secessionista, “etnicamente pulito” sotto gli occhi di USA, UE e NATO con la forza non dai serbi contro la maggioranza albanese, ma dagli albanesi irredentisti a danno di tutte le altre etnie e dei loro compatrioti “collaborazionisti”, ma, evidentemente, non era stato preso sul serio. Sulla base di quale ragionamento il Kosovo a maggioranza albanese può essere indipendente e due regioni contese tra Russia e Georgia ma con la popolazione che si sente assai più vicina a Mosca che a Tbilisi no? I kosovari hanno diritto all’indipendenza perché docile strumento dell’Occidente, mentre ad osseti ed abkhazi, evidentemente, dovrebbero essere riservati la schiavitù e l’apartheid.
Sull’onda forse dell’emozione provocata dall’intervento russo, il fronte interno georgiano parrebbe essersi unito, ma il fallimento di Saakashvili è evidente e non tarderà ad emergere. Anche questo aspetto, forse, preoccupa e irrita non poco Washington. Il parlamento georgiano ha votato per l’uscita del proprio paese dalla Comunità degli Stati Indipendenti, facendo un accorato appello anche al governo ucraino, con il senso di responsabilità di chi lavora forse ad aggravare ulteriormente la crisi. Kiev, al contrario, avrebbe tutto l’interesse a non peggiorare ulteriormente le relazioni già difficili ma comunque costruttive con Mosca, anche per salvaguardare l’unità del paese, profondamente diviso tra la parte occidentale e le regioni orientali e la Crimea, tradizionalmente ostili alla NATO e vicine alla Russia. Su questo terreno, ovviamente, la scelta finale spetta in prima battuta al presidente Yushenko.
Se la risposta di Washington all’intervento russo è stato l’accordo bilaterale – alla faccia delle istituzioni UE, completamente tagliate fuori dalla trattativa, a dimostrazione della debolezza politica di Bruxelles – con la Polonia per l’istallazione dello scudo antimissile, chiarendo così definitivamente le finalità dello stesso e togliendo di mezzo ogni riferimento chiaramente pretestuoso all’Iran, nubi nere si addensano all’orizzonte, e a farne le spese potrebbe essere la stessa Europa, con la sua falsa coscienza. Una nemesi rispetto alle scelte guerrafondaie degli ultimi anni con la sola, e peraltro parziale, parentesi dell’Iraq.
Articolo terminato il 15 agosto 2008.
=== 2 ===
« La Georgie est aujourd’hui un phare de liberté pour cette région et pour le monde », disait le président Georges Bush lors de sa visite à Tbilissi en mai 2005. A quoi tient une telle reconnaissance de la part de la Maison Blanche ? Au fait que ce petit pays de 4 millions d’habitants est devenu un avant-poste de la pénétration étasunienne en Asie centrale ex-soviétique : zone d’immense importance à cause de ses réserves de pétrole et de sa position géostratégique entre la Russie, la Chine et l’Inde. C’est le pétrole de la Caspienne qui alimente le « phare de liberté» de la Georgie. C’est là que passe l’oléoduc qui relie le port azéri de Baku, sur la mer caspienne, au port turc de Ceyhan, en Méditerranée : un « couloir énergétique » décidé en 1999 par l’administration Clinton et ouvert en 2005, qui contourne la Russie par le sud, sur une distance de 1800 kilomètres. Pour protéger l’oléoduc, réalisé par un consortium international dirigé par la société britannique BP, le Pentagone a entraîné des forces de sécurité géorgiennes de « riposte immédiate ». Depuis 1997 en effet, le « phare de liberté » de la Georgie est aussi alimenté par Washington d’un flux croissant d’aides militaires. Avec le « Georgian Train and Equip Program », lancé en 2002, le Pentagone a transformé les forces armées géorgiennes en une armée à ses ordres. Pour mieux l’entraîner, un contingent de 2000 hommes des forces spéciales géorgiennes a été envoyé, pour combattre, en Irak, et un autre en Afghanistan. Selon des sources du Pentagone, citées par le New York Times (9 août), il y a actuellement en Géorgie plus de 2.000 citoyens étasuniens, dont environ 130 instructeurs militaires. C’est en Georgie qu’a commencé en juillet dernier l’opération « Immediate Response », une manœuvre militaire à laquelle participent des troupes étasuniennes, géorgiennes, ukrainiennes, azéries et arméniennes. Pour cette opération, dirigée par le Pentagone, sont arrivés en Georgie environ 1000 soldats étasuniens appartenant aux bataillons aéroportés Setaf, aux marines et à la Garde nationale de l’Etat de Géorgie (USA). Ces troupes ont été basées à Vaziani, à moins de 100 kilomètres de la frontière russe. On imagine ce qui arriverait si la Russie déployait ses troupes au Mexique, à la même distance de la frontière étasunienne.
Par ailleurs, le « phare de liberté » a été alimenté par la « révolution des roses » qui, planifiée et coordonnée par Washington, avait provoqué la chute du président Edouard Chevardnadze. Selon le Wall Street Journal (24 novembre 2003) l’opération avait été conduite par des fondations étasuniennes officiellement non gouvernementales, en réalité financées et dirigées par le gouvernement étasunien, qui « éduquèrent une classe de jeunes intellectuels capables de parler anglais, assoiffés de réformes pro-occidentales ». Sur le plan militaire, économique et politique, la Géorgie est contrôlée par le gouvernement étasunien, ce qui signifie que l’attaque contre l’Ossétie du Sud a été programmée non pas à Tbilissi mais à Washington. Avec quels objectifs ? Mettre en difficulté la Russie, vue depuis Washington avec une hostilité croissante du fait, aussi, de son rapprochement avec la Chine. Renforcer la présence des USA en Asie Centrale. Créer en Europe un autre foyer de tension qui puisse justifier une expansion ultérieure de la présence militaire étasunienne, dont le bouclier anti-missiles est un élément clé, et l’élargissement de l’OTAN vers l’est (sous peu la Georgie devrait justement entrer dans l’Alliance qui est sous commandement US). Ce que Washington craint, et essaie d’éviter, c’est une Europe qui, en réalisant son unité et en acquérant, ensuite, une force économique plus grande, puisse un jour se rendre indépendante de la politique étasunienne. D’où sa politique de diviser pour régner, qui est en train de conduire l’Europe à un climat de guerre froide. D’où aussi sa politique des deux poids deux mesures : tandis q u’elle revendique, reconnaît et défend l’indépendance du Kosovo, contre la souveraineté serbe, au détriment du respect des frontières internationales – qu’on imagine ce qui se serait passé si la Serbie avait attaqué Pristina en février juste après la proclamation unilatérale d’indépendance par le Kosovo- Washington refuse celle de l’ Ossétie du sud, en affirmant « le soutien de la communauté internationale à la souveraineté et à l’intégrité territoriale de la Géorgie ».
Traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizio
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http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/10-Agosto-2008/art11.html
COMMENTO
Georgia, la libertà made in Usa
T. Di Francesco
M. Dinucci
«La Georgia è oggi un faro di libertà per questa regione e il mondo», diceva il presidente George Bush in visita a Tbilisi nel maggio 2005. A cosa si deve un tale riconoscimento della Casa bianca? Al fatto che questo piccolo paese di 4 milioni di abitanti è divenuto un avamposto della penetrazione Usa nell'Asia centrale ex sovietica: area di enorme importanza sia per le riserve di petrolio e gas naturale del Caspio, sia per la posizione geostrategica tra Russia, Cina e India.
E' il petrolio del Caspio che alimenta il «faro di libertà» della Georgia. Da qui passa l'oleodotto che collega il porto azero di Baku, sul Caspio, al porto turco di Ceyhan sul Mediterraneo: un «corridoio energetico» promosso nel 1999 dall'amministrazione Clinton e aperto nel 2005, lungo un tracciato di 1.800 km che aggira la Russia a sud. Per proteggere l'oleodotto, realizzato da un consorzio internazionale guidato dalla britannica Bp, il Pentagono addestra forze georgiane di «risposta rapida». Dal 1997 infatti il «faro di libertà» della Georgia è alimentato da Washington anche con un flusso crescente di aiuti militari. Con il «Georgia Train and Equip Program», iniziato nel 2002, il Pentagono ha trasformato le forze armate georgiane in un esercito al proprio comando. Per meglio addestrarlo, un contingente di 2mila uomini delle forze speciali georgiane è stato inviato a combattere in Iraq e un altro in Afghanistan. Secondo fonti del Pentagono citate dal New York Times (9 agosto), vi sono in Georgia oltre 2.000 cittadini Usa, tra cui circa 130 istruttori militari. Il mese scorso è iniziata in Georgia la «Immediate Response» 2008, esercitazione militare cui partecipano truppe di Stati uniti, Georgia, Ucraina, Azerbaijan e Armenia. Per l'esercitazione, diretta dal Pentagono, sono arrivati in Georgia circa 1.000 soldati Usa appartenenti alle truppe aviotrasportate Setaf, ai marines e alla guardia nazionale dello stato Usa della Georgia. Sono stati dislocati nella base di Vaziani, a meno di 100 km dal confine con la Russia. Immaginiamo cosa accadrebbe se la Russia dislocasse proprie truppe in Messico a ridosso del territorio statunitense.
Allo stesso tempo il «faro di libertà» della Georgia è stato alimentato con la «rivoluzione delle rose» che, pianificata e coordinata da Washington, ha portato nel 2003 alla caduta del presidente Eduard Shevardnadze. Secondo il Wall Street Journal (24 novembre 2003), l'operazione fu condotta da fondazioni statunitensi formalmente non-governative, in realtà finanziate e dirette dal governo Usa, che «allevarono una classe di giovani intellettuali, capaci di parlare inglese, affamati di riforme filo-occidentali». Sul piano militare, economico e politico, la Georgia è controllata dal governo statunitense. Ciò significa che l'attacco contro l'Ossezia del sud è stato programmato non a Tbilisi ma a Washington. Gli scopi? Mettere in difficoltà la Russia, vista a Washington con crescente ostilità anche per il suo riavvicinamento alla Cina. Rafforzare la presenza Usa nell'Asia centrale. Creare in Europa un altro focolaio di tensione che giustifichi l'ulteriore espansione della presenza militare statunitense, di cui lo Scudo antimissile è un elemento chiave, e l'allargamento della Nato verso est (tra poco dovrebbe entrare nell'Alleanza, sotto comando Usa, proprio la Georgia). Ciò Washington teme, e cerca di evitare, è un'Europa che, unendosi e acquistando ulteriore forza economica, possa un giorno rendersi indipendente dalla politica statunitense. Da qui la politica del divide et impera, che sta riportando l'Europa in un clima da guerra fredda. Da qui anche i i due pesi e due misure: mentre rivendica, riconosce e difende l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia in spregio al rispetto dei confini internazionali - pensate se Belgrado avesse attaccato in armi Pristina a febbraio subito dopo la sua proclamazione unilaterale d'indipendenza -, Washington nega quella dell'Ossezia del sud, ribadendo «il sostegno della comunità internazionale alla sovranità e integrità territoriale della Georgia».
=== 3 ===
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=7616
Saakashvili ha commesso un grave errore politico - 13/08/08
Intervista di Antonella Marrone con Giulietto Chiesa - da Liberazione La Russia ha aggredito la Georgia. Così dice il presidente Mikhail Saakashvili, così le notizie che arrivano. Ma Giulietto Chiesa, che conosce benissimo la Russia, la sua storia, la storia di un impero che si chiamava Urss, nega decisamente. È stato in Ossenzia, quest'anno, ha tanti amici da quelle parti, ascolta quotidianamente i tg russi. Siamo di fronte all'ennesima bufala mediatica? Qualcosa che ricorda le tristi armi di distruzione di massa “scoperte” in Iraq? Questa è una notizia falsa a cui non bisogna credere. I Russi non hanno occupato un bel niente, si sono sono attestati sulla linea del accordo del 1992 di Dagomys e non hanno nessuna intenzione di uscire da quei contorni Che cosa sta succedendo allora? Provocatoria con quale obiettivo? E perché proprio adesso? Resta il fatto che questa guerra ci ha colto alla sprovvista, a parte gli osservatori attenti alla geopolitica dell’ex impero... Non ci sono anche questioni economiche importati. Per esempio il petrolio?
Siccome i georgiani continuano a bombardare con l’artiglieria i centri dell’Ossezia del Sud, evidentemente i Russi devono impedire questi bombardamenti e andranno con l’aviazione sui punti di concentramento delle truppe georgiane al di fuori della frontiera dell’Ossezia del Sud. Non possiamo nasconderci dietro un dito. Qui c’è una guerra dichiarata contro una popolazione di meno di 100 mila abitanti colpita a freddo. Fatto assolutamente inspiegabile se non con un’operazione politica provocatoria.
Il presidente Saakashvili ha dichiarato:«Noi interveniamo per ristabilire l’ordine costituzionale». Questa frase è una confessione, perché l’ordine costituzionale che il presidente georgiano vorrebbe ristabilire in Georgia non esiste dal 1991 quando l’Ossezia del sud si è dichiarata indipendente contemporaneamte alla dichiarazione di indipendenza della Georgia dall’Unione Sovietica. Quale ordine costituzionale vuole ricostruire? Chiunque capisce che questa cosa non sta in piedi. Sono stati massacrati migliaia di civili, ci sono 70 mila profughi su una popolazione di 100 mila. Che cosa doveva fare la Russia, ritirare le sue truppe? La Russia sta lì sulla base di un accordo politico firmato anche dalla Georgia, tanto è vero che c’erano le forze di interposizione. Ritirarsi quando gran parte di questi 100 mila individui, tutti cittadini russi (perché in questi anni hanno chiesto e ottenuto la cittadinanza russa) non vogliono rimanere sotto la giurisdizione georgiana ... Ma lasciamo stare. Questa è un’operazione politica interamente costruita dagli Stati Uniti
Perché proprio adesso?
Per creare uno stato di guerra in Europa. Questa è l’unica risposta politica a questa situazione. Il contesto è semplicissimo: la Georgia vuole entrare nella Nato domani e nell’Unione Europea dopodomani. Siccome ritiene di avere questa chance a portata di mano, sta forzando gli eventi. Io ritengo che il calcolo sia stato sbagliato, forse potrà entrare nella Nato, ma certo in Europa... tirarsi dentro un paese che è in con la Russia....
La Russia non ha accettato la proposta di tregua europea
La Russia si fermerà quando i georgiani se ne andranno dal territorio che hanno occupato. Lo ha ripetuto oggi (ieri ndr) Medvedev: porteremo l’operazione alle sue logiche conclusioni. La tesi secondo cui la Georgia è occupata dalla Russia è una menzogna clamorosa. Non c’è stato un solo attacco, una sola bomba su città georgiane.
Però arrivano immagini di guerra...
Le immagini che arrivano si riferiscono a Tskhinvali e alla zona dell’Ossezia. Guarate la cartina, anche se è complicata...
Beh, insomma... diciamo che siamo tutti un po’ distratti. Io sapevo che la guerra stava per cominciare, ho scritto anche un lungo articolo per La Stampa. Non c’è la minima ombra di dubbio: c’è stata una valutazione sbagliata da parte della Georgia e degli Stati Uniti. Hanno fatto l’attacco pensando che Putin e Mendevev avrebbero abbozzato come hanno fatto tante volte nel decennio scorso. Ma la Russia non è più quella di 10 anni fa, né quella del 1999. La Russia è un grande, potente paese che ha in mano tutte le risorse cruciali del futuro. Che non ha più debito con l’estero, un paese che ha riconquistato il senso della sua dignità nazionale. Poi si può discutere che non c’è democrazia... ma questo non c’entra. Secondo me Saakavili ha commesso un errore politico tremendo. Ora la Russia non si muoverà più di lì, restaranno sulla frontiera stabilita dagli accordi di Dagomys, proteggeranno l’Ossezia del Sud, Putin ha già dichiarato che spenderà 10 miliardi di euro per ricostruire Tshinvali e questo farà.
Torniamo all’Europa. Che cosa fare, come trovare una via d’uscita?
L’Europa deve decidere semplicemente se sta dalla parte degli americani o se vuole evitare una nuova guerra fredda con la Russia. Mi spiego: avere dentro paesi come l’Ucraina e la Georgia, ostanzialmente moltiplicatori con cui gli Usa introducono in Europa i loro vassalli, come con Polonia, Bulgaria Romania, Slovenia... tutti paesi che lavorano in Europa contro l’Europa a favore degli americani, vuol dire creare una situazione di guerra con la Russia. L’ Europa deve decidere se vuole cambiare politica. Da questo momento la Russia non si ritirerà più da nessuno dei fronti di tensione che gli sono creati intorno: non dall’Ucraina - e se cercheranno di portare l’Ucraina nella Nato spaccherà l’Ucraina - non dall’Ossezia e se cercheranno di portare via l’Ossezia con la forza la Russia interverrà per difenderla. La diplomazia può fare solo una cosa realistica: dire ai georgiani di tornare sulle linee precedenti.
No. Ho letto delle sciocchezze clamorose tipo che i russi non hanno bombardato l’oleodotto. Certo, l’oleodottoè assolutamente fuori dall’area di interesse ed è la prova provata che si stanno mantenendo nei limiti del ritorno alla linea precedente. Se avessero voluto bombardare avrebbero bombardato Tiblisi. Non c’è una sola prova di un intervento militare russo al di fuori dei confini dell’Ossezia del Sud.
I media sembrano decisamente schierati per la Georgia. O no?
Io considero il comportamento dei media internazionali una vergogna mondiale. Anzi dovrebbe essere questo il segnale di guardia che dimostra come tutti possiamo essere trascinati nella guerra con una falsificazione generalizzata delle cose.
CAMORRA
Napoli: mentre con l'avvento del nuovo governo sono "miracolosamente"
spariti la spazzatura dalle strade e i rom dai campi, la casa editrice
La Città del Sole subisce la devastazione del suo magazzino ad opera di
ignoti.
Nel frattempo, testimoni oculari ci segnalano che l'ex presidente
montenegrino Milo Djukanovic è in vacanza a Capri anzichè essere in
galera per contrabbando di sigarette.
Naples: while after the national government's change thrash
"miracolously" disappeared from the streets as well as Roma people
"miracolously" disappeared from their camps, unknown people brought
destruction to the warehouse of the left-wing publisher "La Città del
Sole". In the meanwhile, eyewitnesses report that the former Montenegro
president Milo Djukanovic is spending his holidays at Capri island
instead of being imprisoned for smuggling cigarettes.
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L'ULTIMO FERAL
Il 16 giugno scorso usciva l'ultimo numero dello storico settimanale
spalatino "Feral Tribune". I motivi della chiusura in questa
intervista del settimanale sarajevese "Dani" al redattore
responsabile del Feral, Viktor Ivančić. Nostra traduzione
Di Vildana Selimbegović, DANI, (http://www.bhdani.com/ - titolo
orig. «Nismo svi ista govna»)
Traduzione per Osservatorio Balcani: Maria Elena Franco
Veramente "La strada sotto ai piedi" è stato l'ultimo numero del
Feral?
Sì, è stato l'ultimo.
Perfino i colleghi benintenzionati hanno rimproverato al Feral di
non essersi impegnato a vendere pagine di pubblicità. Vorrei che
riuscissimo a spiegare le modalità con cui il Feral è «morto di
eutanasia»
Queste critiche dei benintenzionati in realtà non hanno fondamento.
Ci può essere imputata la colpa di aver avuto poca agilità e
incapacità in qualsiasi altra cosa, ma non nella ricerca degli
annunci: per molti anni abbiamo pagato diverse agenzie di marketing
affinché lo facessero per noi, abbiamo aumentato le provvigioni fino
al 50% per ogni annuncio procacciato, ma il risultato è stato
nullo... Il boicottaggio del Feral da parte dell'industria
pubblicitaria è un fatto oggettivo, e il Feral di questo non ha
colpa. Sì, il Feral è colpevole, ma per la sua politica di
redazione, non per incapacità professionale.
È legittimo affermare che il Feral non ha adeguato la sua politica
redazionale di «mercato», e per questo è fallito. Questo è evidente.
Ma allo stesso modo è legittimo - se sappiamo qual è stata la
politica gestionale del Feral parlare delle caratteristiche di
questo «mercato». Perché non ci si dovrebbe interrogare sul fatto
che il «mercato» croato stabilisce criteri inviolabili? Io credo che
questi criteri siano perversi e dannosi, in quanto generano un
giornalismo castrato e servile, e le corporazioni dei media lo
sostengono, per via del profitto e per danneggiare la concorrenza
indipendente, costringendo i loro giornalisti a sottostare a tali
regole di gioco senza opporre resistenza. Se il "mercato" del
marketing fissa un cordone sanitario per un giornale che vende 13-14
mila copie alla settimana, perché affronta temi che sono
politicamente scomodi e non c'è rispetto nei confronti delle lobby
dei nuovi ricchi allora io qui vedo un modo di agire da
Commissariato, non di standard liberali. Capiamoci, a me non importa
nulla degli annunci. Preferisco i giornali che non ne hanno.
Solamente pongo l'attenzione invano, lo so sulla tendenza
generale che è già giunta ad un punto tale per cui il giornalismo
diventa un volgare imballaggio di annunci. Non riuscirete a leggere
in un giornale croato qualcosa che non sia un elogio, ad esempio,
dei proprietari di «Agrokor» o «T-com», o di tutta una serie di
altri «soggetti», perché senza le loro pubblicità i giornali non
possono sopravvivere. Così il «mercato», dietro la maschera di un
falso liberalismo, restringe continuamente lo spazio alla libertà.
La censura diventa capillare, e si capisce che è semplicemente
necessario accettarla, perché se non lo fai ti scaverai la fossa da
solo e sarai sconfitto di fronte al «mercato». In realtà si tratta
del più semplice dei racket trasposto nel sistema.
Forse anche a causa della sua lunga agonia sembra che quest'estate
il Feral si sia spento sotto voce sono mancate le reazioni, sia
dei media che delle diverse associazioni e difensori dei diritti
umani, per i quali proprio il Feral rappresentava un rifugio, dal
momento che per anni ha dato loro la possibilità di far sentire la
propria voce. Perché ?
È vero, questa volta noi non ci siamo sforzati di fare chiasso,
anzi, abbiamo deciso di chiudere l'ultima pagina e andarcene,
mettendo a tacere tutti, come si dice. Tutto ciò che dovevamo dire
l'abbiamo scritto nel nostro testo di accomiato sul Feral. Perfino
questa intervista è un «di più» che faccio un po' contro voglia. Per
quanto riguarda i media, non sono più così ingenuo da non
riconoscere i «programmi» e le «strategie». Le pubblicazioni EPH
[Europapress holding], ad esempio, guidata dallo "Jutarnji List" -
che comprende il 60% della stampa del paese non solo hanno
boicottato qualsiasi racconto sul Feral, ma non hanno nemmeno dato
la notizia che il Feral non sarebbe più uscito, così come la mancata
reazione dell'Associazione dei giornalisti croati sulla chiusura del
Feral. Non dare la notizia sulla fine della pubblicazione del Feral
è infine poco professionale dal punto di vista del nostro mestiere
perfino imperdonabile ma è evidente che esistono delle ragioni che
sono più importanti della professione, e che la professione serve
solo per soddisfare queste ragioni più alte, e così in sostanza ha
lavorato alla sua autodistruzione.
Con questo piccolo esempio, per me assolutamente poco importante, si
vede bene il sistematico utilizzo della censura. È sempre più
frequente che i giornali non si redigano nelle redazioni, a cui è
stata tolta qualsiasi autonomia, ma nei centri corporativi del
potere, a loro volta collegati con i loro partner politici ed
economici. I mezzi di comunicazione non sono qui per informare
veramente o, Dio ci guardi, per essere criticamente almeno un po'
scomodi, ma per produrre l'«opinione pubblica», o
l'appetibile «umore della società», combinando metodi di riduzione
radicale e pura propaganda. È sempre meno necessaria la forza
politica, per raggiungere ciò è sufficiente l'abuso del «mercato» e
della proprietà privata, e i risultati sono molto più evidenti.
iek lo definirebbe "violenza invisibile".
Temo che la maggior parte delle organizzazioni non governative sia
in una situazione del tutto simile a quella del Feral, e in base a
ciò, la loro presenza in "pubblico" dipende sempre meno da loro. Qui
si è anche arrivati a significative ridistribuzioni. Il Comitato di
Helsinki croato, per esempio, funziona già da molto tempo come
singolare succursale del governo, organo parastatale per l'attività
dell'abbellimento sociale, mentre il Comitato cittadino per i
diritti umani che ha sempre agito in modo più concreto e di
successo rispetto al Comitato di Helsinki d'ufficio è messo ai
margini.
Se non sbaglio, sembra che la fine del Feral fosse attesa con un
certo sollievo, e questo da parte dell'intero spettro politico da
destra a sinistra...
Credo che abbia ragione. Questo cavallo alla fine è morto, e in
qualche modo si respira più facilmente. Se fosse morto dieci anni fa
sarebbe stato ancora meglio, e ugualmente si sarebbe sentito uno
certo sollievo. La verità è che il Feral e la Croazia non sono mai
andati d'amore e d'accordo. Siamo esistiti solo perché creiamo
problemi e parliamo di cose che la maggior parte vuole mettere a
tacere. Per fortuna non abbiamo fatto questo giornale per interessi
nazionali, ma per il nostro interesse e dei nostri lettori. Così chi
a perderci sarà solo un limitato gruppo di persone. In generale, non
dubito che la vita in Croazia sarà più confortevole e piacevole
senza Feral: si vive sempre meglio quando si sa meno.
Nell'introduzione in cui voi del Feral vi siete accomiatati dai
lettori è stata fatta una chiara analisi dei rapporti tra i
pubblicitari, le oligarchie di governo e le politiche di redazione:
tutto sottostà al diktat della politica. Si tratta solo di un
problema dei paesi in transizione o di un trend generale?
Il trend è generale, ovvio, non c'è alcun dubbio che al mondo
almeno nella sua parte occidentale governi l'ideologia dello
status quo e che i media siano i principali produttori di questi
prodotti ideologici. Ciò significa conservare e promuovere il valore
del capitalismo liberale come "il migliore di tutti i mondi", e
seguire la messa in scena dei presunti "cambiamenti" che di fatto
simulano la fede collettiva nel "progresso" e la "riparazione della
situazione"; e infine è brutto porre domande radicali e mettere in
discussione il sistema. Tutto ciò che è fuori dall'assoluta lealtà
al vigente sistema neoliberale è ritenuto politicamente scorretto e
odioso. I media si rivolgono sempre di più ai consumatori e sempre
meno ai cittadini, in quanto l'intenzione è che i cittadini si
trasformino il più possibile in consumatori, ovvero nella classe che
sarà corrotta con false possibilità di scelta e di fiducia in una
vita più confortevole.
La transizione, invece, ha le sue irresistibili particolarità, e
queste si notano soprattutto nella mancanza di scrupoli. Lì dove in
Occidente interviene la chirurgia, qui si lavora con l'accetta. Le
democrazie occidentali stabiliscono enormi infrastrutture per
attuare e "scagionare" nella maniera più scrupolosa il dominio di
gruppi politici ed economici, e al contempo è possibile che tali
infrastrutture vengano loro in mente, perché è necessario almeno
rispettare le regole del gioco. Qui non ci sono tali riferimenti.
Qui l'associazione di potere politico, economico e dell'informazione
si realizza in organizzazioni criminali nel senso più classico di
queste parole. Con le stesse manovre e lealtà reciproche vincono le
elezioni parlamentari, ricomprano terreni edificabili e vendono
patate geneticamente modificate.
Oltre a questo, nei piccoli paesi in transizione si superano i
limiti. I "mercati" funzionano sulla base del principio o tutto o
niente, non è riservato nemmeno un ghetto per un'alternativa, e al
contempo questi "mercati" sono talmente piccoli che si possono
completamente distruggere davvero in poco tempo. Nei grandi mercati
si mantiene ancora la tradizione della buona scrittura e dei
cosiddetti giornali seri che non hanno una finalità solamente
commerciale e di divertimento, se non in alcune enclave limitate.
Qui, invece, si mette in pratica lo sfratto generale della ragione
dal giornalismo, alla radice e urgentemente. La voracità è il
carburante combustibile della transizione e a nessuno importa cosa
resterà quando nella generale devastazione si consumerà la sostanza
della materia, ciò che noi chiamiamo autenticità. Forse questo è
pretenzioso e patetico, ma davvero penso che la fine del Feral sia
più triste come sintomo piuttosto che come fatto stesso della
scomparsa di un giornale.
Lo scorso anno per salvare il Feral si adoperò anche il capo del
governo croato Ivo Sanader. Quest'estate sulle pagine del Nacional
glielo si è seriamente rinfacciato insieme all'intera lista di
accuse sul suo conto, sulla caporedattore Heni Erceg e sul direttore
del giornale per "appropriazione indebita" , come ha insinuato il
redattore di Slobodna Bosna, l'equivalente del Nacional a Sarajevo.
Quali appartamenti possedete?
Io e mia moglie abbiamo un appartamento di 60mq a Spalato e uno di
53mq a Zagabria. Quello di Spalato è un appartamento sociale,
ottenuto ancora durante il socialismo, poi lo abbiamo riscattato.
Rispetto a 20 anni fa, quindi, siamo più "ricchi" di questi 53 mq di
Zagabria.
Ho superato cose decisamente peggiori nella mia vita, e l'attacco
del Nacional personalmente non mi ha sorpreso, e conosco bene la
mentalità da avvoltoi di cui in Croazia si ha pedante cura. Per
molti il Feral è stato una spina nell'occhio, sia a destra che a
sinistra, e in particolare per i giornalisti perché in un periodo
significativo è servito come specchio delle loro puttanate. Il
tentativo di screditarci moralmente e questo con sporchi inganni,
nel momento in cui abbiamo chiuso il giornale ha quel noto
significato patriottico: "Ecco, vedete che eravamo tutti la stessa
merda!" Ma non lo siamo, maledizione, eravamo una merda
completamente differente. Come se fosse semplice essere un
escremento come Pukanić o Avdić. Al Nacional, comunque, ho mandato
la risposta, ma loro tipicamente vigliacchi non l'hanno voluta
pubblicare, e propongo a "Dani"che lo faccia.
Ci sono possibilità per il giornalismo indipendente dalle nostre
parti? Dove? Da anni la stampa è stata portatrice di sconquassati
temi tabù: potrà essere così anche più avanti?
Il giornalismo sta diventando sempre più un'attività di produzione
di divertimento, cambiano anche i suoi scopi e le sue regole: tutto
è più superficiale, più ottimistico, sempre più privo di criticità,
e nell'attività c'è un rapporto abbastanza irrispettoso nei
confronti dei fatti, che un tempo erano considerati "cose sacre". Il
solo fatto di "informare" presuppone una presentazione quotidiana ai
lettori sotto il fuoco di sbarramento delle sensazioni, di cui
nessuna ha la priorità, e la maggior parte sono mera costruzione
degli stessi media. I maghi delle compagnie dei media predicano "un
prodotto di contenuti" in cui prima di tutto bisogna riconoscere la
negazione della paternità, e il "contenuto" risulta come un chicco
di granturco o una crema di cioccolato alle nocciole: facilmente
digeribile, gustoso per il palato, ma del tutto facoltativo. Visto
che si cerca la quantità, si impegna una forza lavoro economica, con
un alfabetismo che ora è già spaventosamente basso. L'intera storia
diventa molto, molto economica. Ciò che nel vecchio stile si
chiamava "impegno" ora è diventato sgradito, ma ben celato, e
l'odierno ruolo del giornalismo si potrebbe meglio definire usando
la stessa lingua vetusta reazionario.
Non sono proprio sicuro che il giornalismo cambierà non in meglio -
in base al carattere dei soli media. Mi sembra che sia fondamentale
l'intenzione, non la tecnologia che la mette in pratica. Invece, ci
saranno sempre coloro che sanno scrivere e coloro che sanno leggere.
Questi troveranno canali di comunicazione tra di loro, solo che sarà
probabilmente fuori dalle correnti principali. E questo è forse un
bene.
La Croazia è ad un numero infinito di passi davanti alla Bosnia
Erzegovina: come si vede dalla Croazia la disperazione politica
bosniaca?
Non vedo la Croazia di oggi tanto migliore rispetto alla Bosnia
Erzegovina. Semplicemente la Croazia usa un trucco di qualità, i
suoi cittadini hanno in percentuale una paga un po' più alta. La
Croazia coltiva l'illusione della sua importanza e qualità, e questo
è proprio l'essenza della politica imperante. Tutto ciò che abbiamo
è il marketing al potere, è quindi logico che i media, quelli
obbedienti, siano straordinariamente importanti per la politica. Ma
quando un dichiarato neofascista tiene un concerto nella piazza
principale di Zagabria, e persino con l'organizzazione del governo,
allora la Bosnia Erzegovina mi sembra un paese in cui vale la pena
immigrare.
Cosa farà ora, di cosa si occuperà e di cosa vivrà Viktor Ivančić e
i suoi colleghi del Feral?
Davvero non lo so. Visto che non ho un'età per riqualificarmi,
probabilmente sarò condannato a scrivere.
Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia viene a conoscenza con
preoccupazione e indignazione dei gravi danneggiamenti subiti dalla
Casa Editrice La Città del Sole.
Vittima di questa azione è una tra le rare case editrici che nello
squallido panorama politico-culturale europeo di questi anni hanno
avuto la costanza ed il coraggio di proporre o riproporre testi di
fondamentale importanza per comprendere la natura profonda del sistema
dello sfruttamento e della guerra imperialista. In Italia La Città del
Sole ha pubblicato alcuni tra i pochissimi libri utili a comprendere la
tragedia jugoslava e le responsabilità dei "sepolcri imbiancati"
occidentali nell'instaurazione del regime di guerra in cui i popoli
sono attualmente costretti a vivere.
Nonostante i gravi danni subiti, ad opera di una criminalità che non
fatichiamo ad immaginare politicamente motivata, siamo certi che
potremo contare anche in futuro sul prezioso ruolo de La Città del Sole
nelle battaglie per la conoscenza, la giustizia e la pace.
Alla Casa Editrice, al suo responsabile Sergio Manes ed a tutti i
compagni che ci lavorano da anni con grande e generoso impegno va tutta
la nostra solidarietà.
CNJ ONLUS
16 agosto 2008
---------- Initial Header -----------
From : "La Città del Sole" info@...
Date : Fri, 15 Aug 2008 20:10:52 +0200
Subject : Un grave atto di vandalismo
Nelle prime ore del mattino del 13 agosto il magazzino delle Edizioni
La Città del Sole è stato oggetto di una grave azione di effrazione,
furto e devastazione.
Ad una prima sommaria ricognizione nell´indescrivibile caos in cui è
stato lasciato il luogo, è apparso evidente che l´intento
delinquenziale degli autori era finalizzato al danneggiamento della
casa editrice piuttosto che alla sottrazione di beni. Infatti, insieme
con la documentazione amministrativa - relativa alle spedizioni e alla
movimentazione del magazzino - l´azione vandalica si è concentrata sui
titoli di più recente pubblicazione e, tra questi, soprattutto su
quelli di contenuto politico-culturale più qualificato. Centinaia e
centinaia di volumi sono stati distrutti o irrimediabilmente
danneggiati, mentre soltanto poche copie, apparentemente di un solo
titolo - "stranamente" il Volume XXII delle Opere complete di Marx ed
Engels - sono state asportate. Altra circostanza singolare per un furto
con scasso è che anche le attrezzature tecniche di un qualche valore
non sono state rubate ma distrutte.
Non abbiamo, al momento, alcun elemento concreto per precisare e
indirizzare i legittimi sospetti che si sia trattato di un´iniziativa
volta a danneggiare e intimidire pesantemente la nostra iniziativa
editoriale in un momento particolare della sua crescita in cui, con la
pubblicazione di alcuni titoli - e, in particolare, con la
continuazione delle Opere complete di Marx ed Engels -, è stato
precisato con chiarezza il ruolo che la casa editrice può e vuole
assumere nel dibattito politico-culturale e nelle dinamiche della
società contemporanea.
Una circostanza, tuttavia, merita di essere verificata: giovani
abitanti del quartiere hanno riferito di aver tempestivamente avvertito
le forze di polizia di quanto stava accadendo senza che la segnalazione
avesse alcun seguito. Sarebbe grave e significativo che, mentre - in
nome di una fantomatica "sicurezza" - vengono distratte risorse
preziose alla ricerca, alla formazione e alle politiche sociali, con la
militarizzazione del territorio e l´istituzione di ronde con l´impiego
anche dell´esercito, le "forze dell´ordine" ritengano di non procedere
neppure ad una verifica della segnalazione di un possibile reato.
In ogni caso questa azione delinquenziale, se ci ha molto pesantemente
danneggiato, non ci farà certamente deviare dalla nostra linea di
politica editoriale.
15 agosto 2008
Le Edizioni La Città del Sole
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(srpskohrvatski/italiano)
--- srpskohrvatski ---
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/9943
Hrvatske muke s prošlošću
07.08.2008 Da Osijek, scrive Drago Hedl
Hrvatska na udaru međunarodne kritike zbog načina na koji je pokopan nekadašnji zapovjednik ustaškog logora u Jasenovcu, Dinko Šakić, te zbog euforičnog dočeka Zvonka Bušića, Hrvata koji je u SAD-u zbog terorističkog čina, u zatvoru odležao 32 godine
Hrvatska se u tjedan dana ponovno našla na udaru međunarodne kritike – zbog načina na koji je pokopan nekadašnji zapovjednik ustaškog logora u Jasenovcu, Dinko Šakić, te zbog euforičnog dočeka Zvonka Bušića, Hrvata koji je u SAD-u zbog terorističkog čina, u zatvoru odležao 32 godine.
Efraim Zuroff, direktor Centra Simon Wiesenthal iz Jeruzalema, izrazio je hrvatskom predsjedniku Stjepanu Mesiću ogorčenost načinom na koji je organiziran pokop Dinka Šakića, nekadašnjeg zapovjednika Jasenovca.
"Ideja da bivši zapovjednik Jasenovca, nedvojbeno jednoga od najstrašnijih koncentracijskih logora u Europi u vrijeme Drugoga svjetskog rata, u kojemu su sustavno pobijeni mnogi nevini Srbi, Židovi, Hrvati-antifašisti i Romi, može biti pokopan u svojoj ustaškoj uniformi, te da ga pri tome svećenik hvali kao uzor svim Hrvatima, teška je uvreda za sve one koji su bili žrtve ustaša, kao i za ljude koji imaju savjest širom svijeta", kaže Zuroff u pismu Mesiću.
Zuroff je reagirao na skandalozni govor patera Vjekoslav Lasić, koji je tokom Šakićevog pogreba o njemu govorio kao o nacionalnom heroju. Lasić je tako ustvrdio da je sud koji je osudio Dinka Šakića osudio Hrvatsku i hrvatski narod i dodao kako bi se "svaki pošteni Hrvat trebao ponositi Šakićevim imenom".
Udruga mladih antifašista iz Zagreba uputila je i otvoreno pismo kardinalu Josipu Bozaniću u kojem prosvjeduje zbog govora patera Lasića na Šakićvu grobu i traži da mu onemogući daljnje djelovanje. "Pokažite da se Katolička Crkva odrekla svog tereta iz prošlosti i da ne tolerira svećenike koji veličaju ustaške zločince i tzv. NDH", stoji u pismu na koje nije stigao odgovor.
No, iz Ureda hrvatskog predsjednika Mesića rečeno je kako je on "do sada nebrojeno puta krajnje jasno osudio ustaške zločine, označavajući ustaški režim kao zločinački". "Kako svećenici pri obavljanju vjerskih obreda ne nastupaju kao privatne osobe, nemoguće je tumačiti riječi izgovorene na Šakićevom pokopu kao osobno stajalište svećenika koji su ga vodili", kaže se u priopćenju iz Ureda predsjednika Mesića.
Šakić (87) umro je 20. srpnja u jednoj zagrebačkoj bolnici kamo je s izdržavanja zatvorske kazne u trajanju od 20 godina bio prebačen zbog pogoršanog zdravstvenog stanja. Do 1998. skrivao se u Argentini, a kada je izručen Hrvatskoj suđeno mu je za ratne zločine i na Županijskom sudu u Zagrebu u listopadu 1999. proglašen je krivim i osuđen na tada maksimalnu moguću zatvorsku kaznu. Sud je utvrdio da je kao zapovjednik jasenovačkog logora provodio zlostavljanja, mučenja i ubijanja, propustio spriječiti i kazniti počinitelje, te da je osobno, hicima iz pištolja, ubio četvoricu i naredio vješanje 22 logoraša.
Drugi skandal izazvao je povratak u Hrvatsku Zvonka Bušića, osobe koja je s grupom hrvatskih emigranata u Sjedinjenim Američkim Državama u rujnu 1976. oteo putnički zrakoplov sa 76 putnika na liniji New York - Chicago. Prije otmice podmetnuo je bombu u podzemnoj željeznicu u New Yorku, koja je prilikom deaktiviranja ubila jednog američkog policajca i ranila drugog. Bušić je zbog toga 1977. bio osuđen na doživotnu robiju, ali je u srpnju ove godine pomilovan i pušten iz američkog zatvora.
U Hrvatskoj, međutim, Bušić je među dijelom stanovništva doživljen kao heroj. Tome su podlegli i neki mediji predstavivši ga kao "borca za hrvatsku nezavisnost i slobodu" i "hrvatskog Mandelu". Naime, u javnosti Bušić je predstavljan kao osoba koja je svojim činom željela upozoriti svijet na težak položaj Hrvatske i Hrvata u bivšoj Jugoslaviji, tako što je iz aviona kojeg je oteo namjeravao nad Londonom i Parizom izbaciti letke u kojima je želio zahtijevati neovisnost Hrvatske.
Iako je to objašnjenje jednako smiješno koliko i neprihvatljivo, dio ljudi i danas ga tako doživljava. Na zagrebačkom aerodromu euforično ga je dočekao petstotinjak ljudi, među kojima i nekadašnji potpredsjednik Vlade i predsjednik Hrvatsko socijalno liberalne stranke (HSLS), Dražen Budiša. Na dočeku je bio i kontroverzni pjevač Marko Perković Thomspon, protiv koga su ovog tjedna nevladine udruge podigle kaznenu prijavu jer na svojim koncertima potiče mlade na veličanje nacizma i ustaškog pokreta u Hrvatskoj. Viđen je i nekadašnji savjetnik za nacionalnu sigurnost predsjednika Tuđmana, Ivić Pašalić.
No, najdalje su otišli čelnici zagrebačkih ratnih veterane zahtijevajući da se Bušiću prizna status hrvatskog branitelja, kakav imaju i sudionici Domovinskog rata u Hrvatskoj (1991- 1995). "Jaser Arafat dobio je Nobelovu nagradu za mir, članovi grupe Bader Meinhof pušteni su na slobodu, Che Gueara se i danas slavi. Po čemu su oni drukčiji i veći borci za svoja uvjerenja i ideologije od borbe za Hrvatsku", pita se predsjednik te udruge, Ivan Pandža.
Smatrajući da bi označavanje Bušićevog čina kao terorističkog akta moglo naškoditi njihovom rejtingu kod tijela birača, vodeći ljudi vladajuće Hrvatske demokratske zajednice (HDZ) Ive Sanadera, ili se uopće nisu izjašnjavali o tome, ili su strogo vagali riječi. "Najoštriji" je bio glavni tajnik HDZ-a, Iva Jarnjak rekavši kako se Bušić jest borio za Hrvatsku, no, parafrazirajući Machiavellija, dodao: "Sako sredstvo ne opravdava cilj".
--- italiano ---
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/9942/1/44/
Criminali di guerra
07.08.2008 Da Osijek, scrive Drago Hedl
Critiche alla Croazia per i funerali di Dinko Šakić, responsabile del campo di concentramento ustaša di Jasenovac. Scandalosa omelìa del sacerdote durante il rito funebre. Silenzio della Chiesa, condanna di Mesić
Nel giro di una settimana la Croazia è stata di nuovo investita da critiche internazionali per le modalità con cui si sono svolti i funerali di Dinko Šakić, ex responsabile del campo di detenzione degli ustaša a Jasenovac, e per il benvenuto euforico tributato a Zvonko Bušić, dopo 32 anni passati in carcere negli Stati Uniti a causa di atti terroristici.
Efraim Zuroff, direttore del Centro Simon Wiesenthal di Gerusalemme, ha espresso la propria amarezza al presidente croato Stjepan Mesić per il modo in cui sono stati organizzati i funerali di Dinko Šakić, il responsabile del campo di Jasenovac.
“L’idea che l’ex capo di Jasenovac, indubbiamente uno dei peggiori campi di concentramento attivi in Europa durante la Seconda guerra mondiale, dove sistematicamente venivano uccisi molti innocenti (serbi, ebrei, croati antifascisti e rom) possa essere sepolto in divisa ustaša, nonché lodato da un prete come modello per tutti i croati, è un’offesa a tutte le vittime degli ustaša e alle persone di coscienza in tutto il mondo”, ha affermato Zuroff nella sua lettera a Mesić.
La reazione di Zuroff si è concentrata sullo scandaloso discorso del sacerdote Vjekoslav Lasić, che ha parlato di Šakić come di un eroe nazionale. Lasić ha dichiarato che la corte che ha condannato Dinko Šakić ha condannato anche la Croazia e il suo popolo, e inoltre ha aggiunto che “ogni croato onesto dovrebbe onorare il nome di Šakić”.
L’associazione dei giovani antifascisti di Zagabria ha inviato una lettera aperta al cardinale Josip Bozanić, protestando contro il discorso del padre Lasić sulla tomba di Šakić, e chiedendo inoltre il ritiro del suo permesso a svolgere le funzioni pastorali. “La Chiesa cattolica dovrebbe dimostrare che si è davvero liberata degli oneri del passato, e che non tollera più sacerdoti che celebrano i crimini commessi dagli ustaša, né la cosiddetta NDH (Nezavisna Država Hrvatska, Stato Indipendente della Croazia) di Ante Pavelić”, riporta la lettera, che non ha ricevuto alcuna risposta.
L'ufficio del presidente Mesić ha diramato un messaggio che ricorda “la netta condanna [da parte del presidente] dei crimini degli ustaša, espressa già innumerevoli volte, e la sua condanna del regime ustaša come criminale”. Il messaggio del presidente ricorda poi che “poiché i preti durante i servizi religiosi non si presentano come semplici privati cittadini, è impossibile interpretare le parole enunciate ai funerali di Šakić come un’opinione personale del sacerdote che ha svolto il servizio“.
Šakić (87 anni) è morto il 20 luglio scorso in un ospedale di Zagabria, nel quale è stato trasportato, a causa della sua salute precaria, dal carcere dove scontava una condanna a 20 anni. Fino al 1998 Šakić si nascondeva in Argentina. E' stato poi estradato in Croazia e processato per crimini di guerra e in seguito, nell’ottobre del 1999, il Tribunale circoscrizionale di Zagabria l’ha giudicato colpevole e l’ha condannato al massimo della pena prevista.
Il Tribunale ha accertato che Šakić ha commesso violazioni, torture e omicidi nel periodo in cui era a capo del campo di Jasenovac, e che inoltre non aveva fatto nulla per impedire tali violazioni e punirne i responsabili, ma aveva ucciso di persona, a colpi di pistola, quattro detenuti del campo oltre ad aver ordinato l’impiccagione di altre 22 persone.
Un altro scandalo è stato provocato dal ritorno in Croazia di Zvonko Bušić, l’uomo che, insieme ad un gruppo di immigrati croati negli Stati Uniti, nel settembre del 1976 aveva dirottato un aereo sulla linea New York – Chicago che trasportava 76 passeggeri. In precedenza, Bušić aveva collocato una bomba nella metropolitana di New York che aveva ucciso un poliziotto e ne aveva ferito un altro. Per questi reati nel 1977 Bušić è stato condannato all’ergastolo, ma nel luglio di quest’anno è stato graziato e rilasciato dalle carceri americane.
In Croazia una parte della popolazione lo considera un eroe. Di conseguenza, alcuni media si sono lasciati andare definendolo come “una persona che ha lottato per l’indipendenza e la libertà della Croazia” oppure chiamandolo il “Mandela croato”. Al pubblico Bušić è stato presentato come uomo che con i sui atti voleva attirare l'attenzione del mondo sulla difficile posizione della Croazia e dei croati all’interno dell’ex Jugoslavia, perché intendeva, sorvolando Londra e Parigi, lanciare dall’aereo dirottato manifesti che rivendicavano l’indipendenza della Croazia.
Anche se questa spiegazione è tanto ridicola quanto inaccettabile, ancor oggi una parte della popolazione ne rimane convinta. All’aeroporto di Zagabria Bušić è stato accolto da circa cinquecento persone, tra le quali Dražen Budiša, ex vicepresidente del governo e segretario del Partito social-liberale croato (Hrvatsko socijalno liberalna stranka, HSLS). All'aeroporto si è presentato anche il controverso cantante Marko Petrović Thompson, contro il quale nelle passate settimane alcune ONG hanno sollevato una denuncia, con l'accusa di incitare i giovani a glorificare il nazismo e il movimento ustaša in Croazia durante i suoi concerti. Era presente anche Ivić Pašalić, ex consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Tuđman.
A spingersi ancora più in là sono stati i rappresentanti delle associazioni dei veterani di guerra di Zagabria, che hanno chiesto per Bušić lo status di difensore della Croazia, titolo assegnato a chi ha combattuto nella guerra croata dell’indipendenza (1991-1995). “Yasser Arafat ha ottenuto il premio Nobel per la pace, i membri del gruppo Bader Meinhof sono stati rilasciati, Che Guevara viene tutt’oggi glorificato. Perché sarebbero diversi o migliori, grazie alle loro convinzioni e ideologie, rispetto a chi ha lottato per la Croazia?”, ha chiesto il presidente della suddetta associazione, Ivan Pandža.
Il vertice dell’HDZ di Sanader (Hrvatska demokratska zajednica, Unione democratica croata), partito attualmente al potere, non si è espresso sulla vicenda e, quando l’ha fatto, ha usato parole molto caute, visto che condannare gli atti di Bušić come terroristici avrebbe potuto danneggiare il proprio consenso tra gli elettori. La reazione più dura è stata quella del segretario generale dell’HDZ, Iva Jarnjak, che ha dichiarato che Bušić lottava sì per la Croazia, ma, parafrasando Machiavelli, ha aggiunto: “Il fine non giustifica ogni mezzo”.
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"Mladi veličaju nacističke simbole"
Kazna koju je zbog isticanja nacističkih simbola dobio jedan mladić
dogodila se samo desetak dana iza skandala u jednoj srednjoj koli u
Makarskoj, gradiću na jadranskoj obali, gdje se 12 maturanata za
kolski godinjak slikalo ispod kukastog kria...
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/9843/1/218/ ]
(In passato abbiamo avuto numerose occasioni di segnalare l'uso
della simbologia nazista in Croazia, anche ma non solo da parte del
cantante rock Marko Perkovic. Finalmente oltre a noi qualcun altro
in Italia si è accorto del problema, anche se preferisce usare toni
cauti e fiduciosi verso il sistema croato, di cui evidentemente non
ha ben compreso il carattere intrinsecamente nazista, come si vede
nell'articolo riportato più sotto.
Tra i materiali diffusi negli scorsi anni segnaliamo:
Zagreb : le concert de Thompson se transforme en parade oustachie
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6072
Vjisnjica broj 358
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3186
Visnjica broj 648
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5461
Manifestazione nazista di massa in Croazia
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5532
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5635
Fascist Rock Star's US Tour (Part 1)
http://emperors-clothes.com/croatia/tour.htm#part1
or: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5731
Neo-Nazi Band Set To Play Amid Protests
http://www.nysun.com/article/65117
Croat Nazi Rocker to Tour North America
http://www.serbianna.com/news/2007/02770.shtml
or: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5711
Simon Wiesenthal asks Croats to cancel Nazi rocker
http://www.serbianna.com/news/2007/02784.shtml
`Slightly Fascist'? The New York Times Prods Croatia. Gently.
http://emperors-clothes.com/croatia/times1.htm
Fascist Overtones From Blithely Oblivious Rock Fans
http://groups.yahoo.com/group/Roma_ex_Yugoslavia/message/1943
A Croatian rock star flirts with the Nazi past
http://www.iht.com/articles/2007/07/01/europe/croatia.php
Debate on Croatian Fascist Rock Star's Upcoming Australia Tour
http://tenc.net/croatia/ajn.htm
Fascist Rock Star's Australian Tour
Croatian Ustashe (clerical-fascists) in Australia?
http://emperors-clothes.com/milte.htm
Urgent Request to Rescind Marko Perkovic Thompson's Visa to Enter
Australia (3 January 2008)
http://tenc.net/sen.htm
Croatian Ustashe (clerical-fascists) in Australia? So what else
is new? (1 January 2008)
http://tenc.net/sonew.htm
Oppose Fascist Rock Star's US Tour with the Truth - Part 2
http://emperors-clothes.com/croatia/tour2.htm
or: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6002
Thompson singing antisemitic song in Cleveland
http://www.clevelandleader.com/node/3386#comment-5115
video: http://youtube.com/watch?v=nXC2vlJtPsM or
http://www.tenc.net/a/yt.htm
A cura di Italo Slavo per JUGOINFO)
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/9842/1/44/
Esaltazione del nazismo tra i giovani croati
10.07.2008 Da Osijek, scrive Drago Hedl
Sempre più diffusa tra i giovani croati l'esaltazione dei simboli
nazisti e del movimento ustascia della Seconda guerra mondiale.
Secondo molti, complici del fenomeno sono le performance del
cantante Marko Perkovic Thompson, appoggiato da politici e da
circoli della Chiesa
La scorsa settimana presso il Tribunale di Zagabria, uno studente di
ventun'anni è stato condannato con la condizionale ad una pena di 25
giorni di carcere e al pagamento di 1.600 kune (circa 220 euro),
perché durante il concerto del controverso cantante Marko Perkovic
Thompson, tenutosi a Zagabria il 30 maggio scorso, aveva indossato
un cappello con lo stemma di una grande "U", simbolo del movimento
filonazista ustascia della Croazia, al tempo della Seconda guerra
mondiale.
Dal momento che la Croazia non dispone di una legge con cui si possa
condannare l'esaltazione dei contrassegni e dei simboli nazisti, il
giovane è stato condannato in base alla Legge sul disturbo
dell'ordine e della quiete pubblica e in base alla Legge sui raduni
in pubblico. Finirà in carcere solo se compirà un gesto simile
nell'arco del prossimo anno. Si tratta comunque della prima volta
che in Croazia viene comminata una pena per un gesto del genere, e
nell'ultimo periodo di atti simili ce ne sono stati parecchi.
La pena inflitta al giovane, motivata dall'istigazione di simboli
nazisti, è ritenuta da alcuni analisti croati, tra cui l'ex
presidente del Comitato di Helsinki per i diritti umani in Croazia,
Zarko Puhovski, come un segnale positivo della risolutezza del
potere nel prendere di petto la situazione.
Altri, però, come l'ex ministro degli Esteri al tempo di Franjo
Tudjman, Zvonimir Separovic, dicono che la stessa pena andrebbe
inflitta anche per chi inneggia alla stella a cinque punte, simbolo
comunista, sotto il quale in Croazia - afferma Separovic - sono
state uccise alcune centinaia di migliaia di persone.
La sentenza dello studente ventunenne è giunta solo una decina di
giorni dopo lo scandalo in una scuola di Makarska, cittadina sulla
costa adriatica, dove 12 maturandi per la festa dell'ultimo anno si
sono fatti fotografare sotto la svastica. I loro volti sorridenti,
dietro i quali si vede bene la svastica, sono diventati uno scandalo
di prim'ordine, mentre le foto sono finite anche sulle prime pagine
dei giornali.
Il direttore del ginnasio di Makarska, Slavko Gudelj, ritiene però
che tutta la faccenda abbia ricevuto una pubblicità inutile e che
all'incidente sia stata data un'importanza immeritata.
"Si tratta di un colpo di testa e della mancanza di informazione di
giovani generazioni non appesantite dalle vecchie ideologie", ha
detto il direttore della scuola. Ma il giorno successivo, quando la
polizia ha iniziato ad indagare sul caso, il direttore ha in qualche
modo cambiato il tono della risposta: "Nessuna persona con un po' di
senno potrebbe appoggiare l'ideologia che sta dietro a quei
simboli", ha affermato Gudelj.
"Questi ragazzi sono il prodotto di una società che dagli anni
novanta in avanti è diventata parzialmente ustascia, solo che questo
non viene dichiarato pubblicamente e ad alta voce", ha detto al
quotidiano "Slobodna Dalmacija" il professor Tvrtko Jakovina,
esperto della Seconda guerra mondiale.
Dopo le reazioni negative dell'opinione pubblica, anche gli studenti
si sono scusati, affermando che si è trattato solo di "un brutto
scherzo", mentre altri di loro hanno cercato di relativizzare la
questione dicendo che sulla foto non c'era la svastica, ma bensì "il
simbolo indiano della pace e dell'amore".
Tuttavia, l'indagine condotta dimostra che la vicenda non è andata
in modo così ingenuo. Prima di farsi fotografare davanti alla
svastica, gli studenti della stessa classe del ginnasio avevano
indossato delle magliette con scritto "Über alles", e alcuni di loro
avevano proposto come "inno della loro generazione" la canzone
ustascia "Jasenovac e Gradiska Stara", che inneggia all'uccisione di
serbi, ebrei e rom nei due campi di concentramento ustascia durante
la Seconda guerra mondiale.
Solo alcuni giorni dopo quanto accaduto, la Lega calcistica della
Croazia è stata multata con 12.500 euro per il comportamento tenuto
dai tifosi croati durante la partita Croazia Turchia del 20 giugno
a Vienna, che la Commissione disciplinare della UEFA ha valutato
come xenofobo e razzista.
Reagendo alla sempre più diffusa esaltazione del nazismo tra i
giovani croati, il presidente della comunità ebraica di Zagabria
Ognjen Kraus ha inviato una lettera al ministro dell'Educazione
Dragan Primorac nella quale, con amarezza, dice: "Mi congratulo con
lei per la riforma della scuola, che ha conseguito nel suo mandato,
ma che ha dato come esito lo spiacevole episodio dei maturandi di
Makarska, cui non è stato da meno l'episodio dei giovani sulla
piazza Ban Jelacic".
Sulla piazza principale di Zagabria, un mese fa, si era tenuto il
concerto del cantante Marko Perkovic Thompson, le cui canzoni,
secondo molti, tanto per le parole usate che per l'iconografia
scenica, invitano i giovani ad esaltare il movimento ustascia. Tra
il pubblico dei suoi concerti si possono vedere regolarmente dei
giovani con indosso i simboli ustascia, e il noto cantante non li ha
mai invitati una sola volta a non farlo.
Thompson è appoggiato da molti politici in Croazia, i quali
ritengono che la sua vicinanza possa portar loro i voti
dell'elettorato. È interessante che il suo concerto di Zagabria, al
quale erano presenti circa 60.000 persone, perlopiù giovani, sia
stato organizzato dalla città di Zagabria, a capo della quale c'è
Milan Bandic, membro del Partito socialdemocratico.
Anche nei circoli della Chiesa cattolica Thompson gode di un certo
appoggio. L'ordinario militare, il vescovo di Zagabria Juraj
Jezerinac, ha letto alcune righe delle sue canzoni durante la
liturgia a Vukovar, e quando i giornali hanno pubblicato la notizia,
ha detto di non sapere che fosse Thompson l'autore di quegli
scritti.
Dal momento che le cose evidentemente sono iniziate a sfuggire di
mano, e dal momento che al premier Ivo Sanader di certo non serve
questa immagine della Croazia alla vigilia dei negoziati per
l'ingresso in Unione europea, ecco che per l'esaltazione dei simboli
nazisti iniziano ad arrivare anche le prime sanzioni.
1) Georgia and the West: Goebbels Would Have Been Happy
Elena Ponomareva
"...Operation Storm and Operation Flash launched by the
Croatian army in May-August, 1995 against the
unrecognized Republic of Serpska Krajina were
particularly similar to the Georgian offensive in
South Ossetia... On August 9, the Georgian Fuhrer gave
a 10-minute interview to CNN, which opened an obviously
synchronized anti-Russian campaign in the Western
media..."
2) Russia's ambassador to NATO: Georgian President is a war criminal
3) South Ossetia: The War Began!
Andrei Areshev
"...It is symbolic that Tbilisi launched the aggression
on the anniversary of the fall of the Republic of
Serbian Krajina..."
All following articles were posted by Rick Rozoff on the lists:
http://groups.yahoo.com/group/stopnato
http://lists.topica.com/lists/ANTINATO/read
http://groups.yahoo.com/group/yugoslaviainfo
--- 1 ---
http://en.fondsk.ru/article.php?id=1539
Strategic Culture Foundation
August 12, 2008
Georgia and the West: Goebbels Would Have Been Happy
Elena Ponomareva
The war in South Ossetia is a war of medieval atrocity
unleashed by a country whose culture is based on
Orthodox Christianity, a country claiming to be "a
young democracy" and seeing itself as part of "humane"
Europe.
The aggression launched by the current Georgian regime
and its puppeteers is marked by extraordinary cruelty
and cynical lies. Tbilisi would have never dared to do
what it did without the support of the US.
Even in Ancient Greece, there was an understanding
that wars can be fair or unfair. The civilized West,
part of which Georgia is trying to be, is obsessed by
human rights and believes itself to be superior to the
Greeks, but this does not prevent some (Georgia) from
perpetrating genocide and others (Europe and the US)
from encouraging the aggressor.
The analysis of the way the aggression began - without
a formal declaration of war and of the overall
conduct of the Georgian leadership makes one ask a
number of questions.
One of them is: can a crazy fanatic be regarded as a
human being? The answer is definitely not! The
crimes committed in South Ossetia the killings of
women, children, and senior citizens, the deliberate
extermination of civilians are instances of inhuman
conduct.
Specialists in ethical anthropology (Boris Didenko)
either explain this type of behavior by brain disease
or attribute it to the specifics of the conduct of
super-aggressive human species. In the latter case,
their intentions simply cannot be changed. In the
Russian language, such individuals are called non-men.
These are monstrous creatures more dangerous than any
wild beasts.
The protracted standoff in South Ossetia is something
much greater than just a regional conflict.
Nor has it ever been exclusively a conflict between
Georgia and South Ossetia.
It also has axiological, moral, and geopolitical
dimensions.
The unexpectedness and unjustifiable atrocity of the
current war, the careful planning of its military and
informational offensives show clearly that one of the
objectives was to provoke Russia's inadequate
response.
Moscow was expected to act inadequately, and those who
planned the aggression calculated the options open to
Russia.
Option 1: Russia's nonintervention and a withdrawal of
the peacekeepers (or the limitation of their activity
to the defense of their checkpoints).
By the way, this mode of behavior was typical for
peacekeeping forces of various levels throughout the
conflict in Yugoslavia.
Operation Storm and Operation Flash launched by the
Croatian army in May-August, 1995 against the
unrecognized Republic of Serpska Krajina were
particularly similar to the Georgian offensive in
South Ossetia.
One of the results of the above operations was the
total (and, as I firmly believe, deliberate) demise of
the entire UN system of peacekeeping and region
security measures. The world literally watched the
flight of 250,000 Serb civilians and the bombardment
of refugee convoys by Croatian warplanes.
The Serb population in the region decreased by 90.7%
following the Croatian offensive which was silently
OKed by the international community. (1)
Confident of the US support, Saakashvili's regime
hoped to achieve a similar result in South Ossetia.
Croatia practically turned into a mono-ethnic state.
No matter what had been promised, at that time Serbs
saw no help from either the Serbian Republic or
Belgrade. It is well-known what happened to the Pale
and Belgrade leaders later betrayal is never
rewarded by happiness.
Russia chose to act otherwise.
In the horrible days of the tragedy, Russians not only
truly fulfilled their peacekeeping obligations, but
above all they also did not betray their countrymen
in South Ossetia. This means a lot.
Option 2: desired by the US instigators of the war and
the Georgian aggressor: Russia's direct involvement in
an armed conflict with Georgia. The failure of the
expectation made Saakshvili change his plans on the
first day of the war.
On August 9, the Georgian Fuhrer gave a 10-minute
interview to CNN, which opened an obviously
synchronized anti-Russian campaign in the Western
media.
Currently, the main theme is that Russia used all of
its military might against tiny Georgia.
Having such dedicated followers could make Nazi
propaganda Minister Joseph Goebbels happy.
As for Saakashvili, he has learned by heart not only
Goebbels's notorious commandment "A lie repeated 100
times becomes the truth", but also the ninth
comandment of national socialism which said "Do what
must be done in the name of the New Gemany without
shame! " (2).
In the case of Saakashvili, it could read the same but
with "the New Georgia" instead.
Over the past several days, the independent and
objective Western media have been launching an all-out
mankurtization campaign.
The term mankurt was introduced into modern languages
by well-know Soviet-era novelist Chinghiz Aitmatov in
his The Day Lasts More Than a Hundred Years.
According to an ancient Turkic myth, a fresh raw camel
hide would be put as a cap on the thoroughly shaven
head of a captive meant to be turned into a slave.
The slave with his hands tied and with a large wooden
stock around his neck preventing him from reaching his
head would be left in a desert for several days.
Once the hide would start drying it would shrink and
bind to the head, thus causing intolerable sufferings
further strengthened by thirst. In a while the victim
either died or lost the memory of the past life and
became a perfect slave having no independent will and
totally subdued by its master.
In the modern world, the complex procedure of
suppressing human will and ability to think and to
analyze has become extremely simple and is known as
brainwashing.
Judging by the dirty lies about the war waged by the
Georgian leadership against civilians and Russian
peacekeepers in South Ossetia, the biased Western
media and political leaders of the Euro-Atlantic
civilization regard their own citizens as mankurts.
The global success of brainwashing during the
Croatian, Bosnian, Kosovo, Chechen, Iraqi, Crimean,
Transdnistrian and other crises is renowned. The
aggression of mankurts was invariably directed at the
nations designated by the masters - Serbs, Russians,
Iraqis. What could prevent Georgia from resorting to
the familiar technology?
Here is an example: the interview given to CNN by
Russian envoy to the UN Security Council V. Churkin,
in which he condemned the barbarian conduct of the
Georgian aggressor, was aired with a caption saying
that Russia was bombing Georgian towns, and the title
remained on the screen throughout the broadcast.
German philosopher Arthur Schopenhauer would have
explained the current policies adopted by Western
media as follows: "invariably, the source of lies is
the intention to dominate others by suppressing their
will in order to reaffirm one's own. Consequently,
lies as such stem from injustice, greed, and anger".
Western journalists who never visited South Ossetia
and used the footage from Russian media consistently
avoided mentioning the following appalling figures:
2,000 people over 15% of the population of South
Ossetia had been killed in less than 24 hours. The
international community so preoccupied with human
rights issues does not seem to be concerned about the
people trapped without water, electric power, and food
under the ruins of Tskhinvali.
Why is it that Russia is the only country to supply
humanitarian aid to South Ossetia? What has happened
to your hearts, humane Europeans? Have you forgotten
how to use Internet? Do you no longer have satellite
TV? Are you really so afraid of alternative
information sources?
***
To an extent, my criticism of the Western media and
their audiences applies to Russian news agencies and
TV channels as well. We must be doing a fairly poor
job if it is so easy to portray Russia as the
aggressor and the suppressor of the Caucasus!
It is common knowledge that whoever has information
has power. In the case of Russia, the issue is
extremely serious: its national security and the
protection of its national interests are impossible
without informational security, which must be promoted
by everyone here from the President to a provincial
newspaper journalist. Anyhow, we are people, not
mankurts!
____________________
(1) Z. Lilic. Prospects for Peace and Cooperation.
Serbia, Belgrade, 1996, #29, p. 7.
(2) Thus Spoke Goebbels. Selected Papers of the Reich
Minister of Public Enlightenment and Propaganda.
//Goebbels J. Die ausgewählte Reden und Artikel. -
http://hedrook.vho.org/download/goebbels.rar
--- 2 ---
http://www.ruvr.ru/main.php?lng=eng&q=30745&cid=45&p=09.08.2008
Voice of Russia
August 9, 2008
Georgian President is a war criminal
Georgian President Mikhail Saakashvili is a war
criminal who organized ethnic cleansing and genocide
against civilians in South Ossetia.
Russia's ambassador to NATO Dmitri Rogozin said that
the International Court of Justice in The Hague could
accuse him of committing these crimes.
--- 3 ---
http://en.fondsk.ru/article.php?id=1530
Strategic Culture Foundation (Russia)
August 9, 2008
South Ossetia: The War Began!
Andrei Areshev
On the night of August 7, Georgian forces launched an
attack on Tskhinvali, which Tbilisi cynically
described as an effort to restore the constitutional
order.
Just hours earlier, Saakashvili declared a ceasefire
in the conflict zone, but the move was only a
propaganda maneuver disguising the plan for a
large-scale offensive. The timing is carefully chosen
the attention worldwide is focused on the opening of
the Olympic Games, Russian Prime Minister V. Putin is
in Beijing, and Russian President D. Medvedev is on a
short vacation.
Georgian forces are acting with extreme ferocity.
A total devastation of the Tskhinvali downtown which
came under Grad missile, artillery, mortar, and
machinegun fire has been reported.
Dozens of blasts shatter the city every minute.
Tens of armored vehicles and thousands of soldiers
moved into the conflict zone.
Russian Peacekeeping Force Deputy Commander V. Ivanov
said that the positions of the peacekeepers were not
directly targeted or hit and that they continue to
watch the situation in the region. However, the
Ossetian side and Russian journalists say that the
peacekeepers' headquarters came under fire.
The offensive has already left tens if not hundreds of
people dead.
Nevertheless, it appears that the activity of the
peacekeepers remains limited to monitoring the
situation.
Their inaction helps the aggressor the Georgian side
states that the Russian peacekeepers are not
intervening in the conflict. The army of South Ossetia
returned fire, but it has no potential comparable to
that of the Georgian forces. Several Ossetian villages
have already been seized and there is a possibility
that the Zar highway linking the Republic to Russia
will be blocked.
The statement made by Mathew Bryza in connection with
the events is remarkably cynical cunningly siding
with Georgia and interpreting Moscow's position in the
manner of a downright hooligan, he blamed the
escalation on South Ossetia.
Earlier Condolezza Rice said in Tbilisi that the US
was entirely on Georgia's side in the conflict, thus
leaving no doubts concerning the US position.
US State Department spokesman Gonzalo Gallegos says
the US demands that Moscow exert pressure on the
leadership of South Ossetia in order to achieve a
ceasefire in the conflict zone. At the same time, the
Georgian side is no more than advised to exercise
restraint.
It is symbolic that Tbilisi launched the aggression on
the anniversary of the fall of the Republic of Serbian
Krajina.
Its demise became a prologue to the next phase of the
Balkan war - to the war in Kosovo, the NATO strikes on
Serbia, and the humiliation and partition of the
country. It has been said many times that the West is
reusing the Balkan scenario in the Caucasus, and that
this time Russia is planned to play the role of
Serbia.
Belgrade politicians who said 13 years ago that
selling out their countrymen in Croatia and Bosnia
would preclude Western aggression now pretend they
were unaware that Serbia's turn would come after that
ofthe Serbs in Croatia and Bosnia.
Is Moscow capable to learn at least anything from the
recent past?
In 1995, the UN "peacekeepers" opened the way for the
Croatian army which was killing Serbs, and these days
we see Russian and Ossetian peacekeepers helplessly
watching Georgian artillery hammer residential
quarters in Tskhinvali.
In the Caucasus, the consequences of such helplessness
are going to be catastrophic there will be no
respect for a weak country unable to normalize the
situation at its border and to protect its citizens.
The situation can spin out of control and evolve to
conditions under which the federal authorities will be
unable to control not only the activities of informal
leaders and the mobs of their followers, but even
those of the heads of the Republics of the North
Caucasus who in case the escalation continues - will
start acting independently and attempt to somehow
establish control over the process.
North Ossetian President Taymuraz Mamsurov already
said that hundreds of volunteers are on their way to
South Ossetia. He said: "We cannot stop them."
People from other Republics of the North Caucasus and
from Abkhazia are ready to do the same. As of 4 a.m.
August 8, the border guards in North Ossetia did not
report Russian forces crossing the border.
The Georgian aggression deals a heavy blow to Russia's
positions in the North Caucasus. In case it is
"backed" by several terrorist acts (the blast at a
beach in Sochi was a wakeup call), more than just the
2014 Olympiad will be at stake. The entire system of
administration in Russia can be rendered shaky by
several precisely targeted strikes, the result being a
direct threat to the existence of the Russian state.
Sadly, the warnings about the long-term negative
consequences of the passivity of Russian diplomacy in
dealing with the issue of the unrecognized Republics
have had no effect despite being reiterated for years.
The obvious truth that the Georgian authority so
heavily armed by the West is not going to play games
and some day will go all the way to the end was simply
ignored. As in 1992 and 1993, it is Russia who will
have to address the resulting problems, the difference
being that today's Georgian army is something much
more serious than the gangs led by Kitovani and
Ioseliani.
So far Moscow has reacted to Georgia's aggressive
intentions solely by uncertain calls for peace and
invitations to sign an agreement not to use force,
thus practically making the job easier for Tbilisi.
Hopes that "things will somehow settle down" and that
Moscow's non-recognition of Abkhazia and South Ossetia
will delay Georgia's NATO integration which was a
decided matter - have not materialized.
Tbilisi openly ridiculed such expectations and
remained fully aware of its tasks and of the support
of its allies. Unfortunately, Russia did not provide
equally decisive support to its friends in the
Caucasus.
At the moment, only urgent measures can remedy the
situation. Russia should immediately break diplomatic
relations with Georgia, and, in case the aggression
continues, deliver airstrikes on the Georgian forces
in South Osssetia (including the Liakhv corridor which
is Georgia's main strategic recourse in the de-facto
Republic).
Only a prompt and resolute response can arrest the
aggression and also prevent similar developments in
Abkhazia, which would destabilize the Caucasus
irreversibly.
Statements like "we will not just stand by" and "we
have an adequate response" are no longer enough.
As the informational aspect of the resolute response,
Russia should state that it is opening an
anti-terrorist operation aimed at countering the act
of state terrorism and at protecting the lives of
civilians.
Following the return to the status quo this time
ensured by force Russia should immediately form a
defense alliance with South Ossetia and Abkhazia and
the Russian parliament should establish the status of
the two Republics as associated subjects within the
Russian Federation.
Radovan Karadzic wird vor UN-Tribunal wegen Völkermord angeklagt.
Serbophobie macht fairen Prozeß in Den Haag unmöglich.
Ein Gespräch mit Phillip Corwin
Von Cathrin Schütz
junge Welt (Berlin) - 31.07.2008 - www.jungewelt.de
PDF: https://www.cnj.it/documentazione/jw-2008-07-31.pdf
---
http://www.workers.org/2008/world/karadzic_0814/
U.N. official tells truth behind Bosnian Serb leader's arrest
Published Aug 11, 2008 7:17 PM
At the end of July the Bosnian Serb President Radovan Karadzic was
taken from Belgrade and placed in the Scheveningen detention center
near The Hague, Netherlands, where the International Criminal
Tribunal for the Former Yugoslavia charged him with war crimes,
including "genocide," during the 1991-1995 civil war in Bosnia.
Those who only learn their news from the corporate media might not
realize that the ICTY was created not by the United Nations but by
NATO; that it is not an impartial court but has been directed almost
exclusively against Serbs; and that it was incapable of convicting
its most famous defendant, President Slobodan Milosevic of
Yugoslavia, who died in custody under suspicious circumstances after
demolishing the prosecution's case. They would also not learn that
German and U.S. interference in Yugoslavia, with the intention of
destroying the remaining socialist-leaning state in Eastern Europe,
had provoked and prolonged the civil war in Bosnia, leading to
thousands of additional deaths. For a different view of that
history, see: www.workers.org/2006/world/milosevic/.
Any international court that failed to put the U.S. and German
leaders on trialthose who ordered and carried out not only the 1999
war against Yugoslavia, but 10 years of aggression that finally
dismantled that multinational countrycannot be taken seriously as
an unbiased court. It is an imperialist political tool.
Below we publish excerpts from the telling remarks of U.S. citizen
Phillip Corwin, taken from an interview by Cathrin Schütz in the
German daily newspaper Junge Welt on July 31. (jungewelt.de) In the
spring and summer of 1995 Corwin was the "Civil Affairs Coordinator
and Delegate of the Special Representative for the UN Secretary
General for Bosnia and Herzegovina," and has written a book about
his experience.
Cathrin Schütz: Richard Holbrooke, Paddy Ashdown and many other
Western officials once involved with the Yugoslav crisis unanimously
call the arrest of Radovan Karadzic the capture of one of the most
brutal war criminals in contemporary history. What was your reaction
to his capture and statements like Holbrooke's: "Karadzic would have
been a good Nazi"?
Phillip Corwin: Holbrooke and Ashdown used the wars in former
Yugoslavia to advance their own careers. Phrases like "one of the
most brutal" and "good Nazi" are purely emotional, and only remind
us of the terrible biases those men held, and the crippling damage
they did as so-called diplomats. Even now, they contribute to the
Serbophobia that makes a fair trail in The Hague almost impossible.
In any criminal proceeding, the question of intent is paramount.
From my contacts with Bosnian Serb officials, including Dr.
Karadzic, I was convinced that the general intent of the Bosnian
Serb leadership was to protect Serbs, not to kill Muslims or Croats
or any other ethnic group.
CS: The main allegation is his alleged responsibility for genocide
of Bosnian Muslims in the town of Srebrenica in July 1995. At the
time Srebrenica fell to the Bosnian Serb army, you were the highest
ranking United Nations civilian official in Bosnia-Herzegovina. What
had happened?
PC: First, one has to realize that the tragedy of Srebrenica was
part of a larger tragedy. ... What happened in Srebrenica was not a
single large massacre of Muslims by Serbs, but rather a series of
very bloody attacks and counterattacks over a three-year period,
which reached a crescendo in 1995.
And the number of Muslim dead in the last battle of Srebrenica, as
BBC reporter Jonathan Rooper has pointed out, was most likely in the
hundreds, not in the thousands. Moreover, it is likely that the
number of Muslim dead was probably no more than the number of Serbs
who had been killed in Srebrenica and its environs during the
preceding years by Bosnian Commander Naser Oric and his predatory
gangs.
The exaggeration of the number of missing Bosnian Muslims shows that
the official reporting was political.
In May 1995, two months before the final battle at Srebrenica, 90
percent of the Serbs living in Western Slavonia were ethnically
cleansed by the Croatian army in "Operation Flash." A month after
Srebrenica, 200,000 Serbs were ethnically cleansed from their
ancestral homes in the Krajina area of Croatia. The international
community did nothing in either case.
Srebrenica must be placed in perspective. If, indeed, 700 innocent
Muslims were massacred during the battle of Srebrenica in July 1995,
then that was a war crime and the criminals should be prosecuted.
But the difference between 700 and 8,000 is political not numerical.
CS: One media article stated that "The [Yugoslavia] Tribunal was the
child, in part, of Western governments' guilt over doing so little
to stop the war in the former Yugoslavia and its related
atrocities." Is that what you observed?
PC: I think the main reason for the destruction of Yugoslavia was
the ambition of NATO to move eastward. Although the Cold War had
ended, the Cold Warriors were still in power. Washington still felt
Russia was its biggest threat because it had so many nuclear
weapons, and Washington wanted to move up to the borders of the
former Soviet Union. ICTY was an attempt to provide a legal
framework for NATO's eastward expansion.
ICTY was not formed out of guilt. Imperialism never suffers from
guilt. ICTY was formed to continue the pressure on those in Eastern
Europe who opposed NATO expansion.
CS: Will Karadzic get a fair trial?
PC: I don't believe Dr. Karadzic can get a fair trial in The Hague.
CS: Although most of the commentators/journalists know little or
nothing about Bosnia and the Bosnian war, they all "know" that
Karadzic is a war criminal. How come?
PC: After the Vietnam War, the Pentagon knew it had to learn to
control the press. It has been very successful in doing that. During
the Yugoslav wars, the press bought the idea that NATO was
fulfilling its moral duty by opposing "Serbian racism."
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It looks like many photos signed by REUTERS/David Mdzinarishvili are fake.
The very same man from pictures #1 and #2 is playing his different roles on different pictures, eg.http://www.reuters.com/resources/pictures/galleries/Stories/633538929667500000/Previews/11_08092008guyguyg.JPG and eg. here: http://www.reuters.com/resources/pictures/galleries/Stories/633538929667500000/Previews/090135B.JPG
It looks like made upon request.
There are also registration plates missing from the cars. I would understand one or two, but not so many...