Informazione


ANCORA SUGLI EUROPEI DI FOOTBALL...


Mentre i nazisti facevano il tifo per la Croazia (vedi: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6078 ), i bosgnacchi (bosniaci musulmani) hanno fatto il tifo per... la Turchia.


Dopo la partita Croazia - Turchia agli Europei di pallone, terminata con la vittoria della seconda, scontri tra tifosi croati e bosgnacchi; a Mostar, la polizia con lacrimogeni contro i tifosi.

POLICIJA U MOSTARU SUZAVCEM NA HULIGANE

Titolo a fianco: "A Sarajevo festeggiamenti per la vittoria turca".

SLAVLJE U SARAJEVU

(Fonte: Novi List 21.6.2008)
Vedi anche:
Incidenti a Mostar per la partita Croazia-Turchia agli europei 2008 (OB)



E’ la Serbia il paese con il maggior numero di rifugiati

È tuttora la Serbia il paese europeo che ospita -assimilandoli- il
maggior numero di rifugiati - anche non serbi. A quanto riferiscono
le statistiche fornite dall’UNHCR e il Commissariato della Repubblica
per i Rifugiati in Serbia, ci sono circa 206,000 persone dal Kosovo
che vivono dislocate all’interno della Serbia.

Fonti: http://www.arci.it/news.php?id=9784
http://groups.yahoo.com/group/yugoslaviainfo
http://www.b92.net/eng/news/society-article.php?
yyyy=2008&mm=06&dd=20&nav_id=51247

Beta News Agency
June 20, 2008

Serbia has most refugees in Europe

-According to statistics from the UNHCR and the
Republic Commissariat for Refugees in Serbia, there
are about 206,000 internally displaced persons from
Kosovo living in Serbia.
[That is, the West now recognizes Kosovo as an
independent nation, except when it comes to denying
refugee status and benefits to a quarter of a million
ethnic Serbs and tens if not hundreds of thousands of
other ethnic minorities from Kosovo - who are
categorized as internally displaced persons.
The West thus puts Serbia in the following
predictament: If Serbia recognizes the IDPs as
refugees, it de facto accepts Kosovo's unilateral
declaration of independence; if it doesn't, the IDPs
don't qualify for UN refugee aid. Rick Rozoff]

BELGRADE - International Refugee Day is being marked
today, with Serbia home to some 100,000 refugees from
Bosnia-Herzegovina and Croatia, the highest figure in
Europe.
There are about 75 collective refugee centers in
Serbia sheltering some 6,000 people, while the rest
live in private accommodation or with family members.
The number of people with refugee status was 550,000
in 1996. With many receiving Serbian citizenship in
the meantime, that figure has since fallen to about
100,000.
According to statistics from the UNHCR and the
Republic Commissariat for Refugees in Serbia, there
are about 206,000 internally displaced persons from
Kosovo living in Serbia.
UNHCR offices around the world and in Serbia received
some 75,000 applications for refugee status last year.
There are currently 67 million refugees in the world,
and that number has been on the increase over the last
two years.


Musica e danze rom e serbe

1) Roma 27/6: CONCERTO ROMANO’
danze turchesche e musica balcanica degli ARTISTI di STRADA ROM

2) Gruppo folk della Scuola Superiore di Meccanica e Trasporti di Kragujevac: “L’anima della Serbia”
9 luglio a San Dorligo della Valle (TS)
11 luglio a Muzzana del Torgnano (UD) 
12 luglio Sgonico (TS)
INOLTRE la sera di Giovedi’ 10  luglio cena di solidarieta’ alla Casa del Popolo di Sottolongera (Trieste)


=== 1 ===

U.N.I.R.S.I.

OPERA NOMADI Ente Morale D.P.R. 347 del 26.3.1970


Comune di Roma 

ASSESSORATO alle POLITICHE CULTURALI

 

-       per la legalizzazione degli artisti di strada

-       per l’applicazione della Legge 337/1968

sullo spettacolo viaggiante

 

venerdì 27 GIUGNO 2008 ore 21.30

Teatro Globe Largo Aqua Felix VILLA BORGHESE

CONCERTO ROMANO’

danze turchesche e musica balcanica

degli ARTISTI di STRADA ROM

 

ROM KALO’ BAL diretto da Kasim Cizmic

danze turchesche delle romnià e rom originari di Sarajevo

e residenti nelle Comunità di Castel Romano e San Paolo

 

Ensemblu Musicale MARIA TANASE  diretto da Decebal Tanasie

complesso multistrumentale dei Musicisti Rom Rumeni originari di Craiova 

e residenti al Casale Quintiliani al Tiburtino


                 

partecipano

> Rudko Kawczynski Presidente Forum dei Rom e Viaggianti al Consiglio d’Europa

(i Rom/Sinti si riuniscono con il loro Presidente alle ore 20 all’interno dello stesso teatro)

> Henry Scicluna 

(Coordinatore del Consiglio d’Europa per le attività sui Diritti dei Rom e dei Viaggianti)

> UMBERTO CROPPI

Assessore alle Politiche Culturali del Comune di Roma



=== 2 ===

From:   gilberto.vlaic @...
Subject: Gruppo folk studenti di Kragujevac a Trieste e FVG
Date: June 27, 2008 11:02:20 AM GMT+02:00

Care amiche, cari amici,
Sono lieto di informarvi che il gruppo folk della Scuola Superiore di Meccanica e Trasporti di Kragujevac sara’ presente a Trieste e in Friuli nel perido 9-12 luglio prossimi per una serie di tre spettacoli di musica e danze serbe.

Si tratta della Scuola dove gia’ abbiamo realizzato due importanti progetti
la sala mensa per gli studenti nel 2005
l’ambulatorio di odontoiatria nel 2007.
Attualmente come sapete stiamo realizzando in questa scuola (insieme alle altre associazioni che collaborano con noi) un laboratorio polivalente di musica, pittura, teatro di circa 500 metri quadrati. Proprio oggi sono arrivati i primi finanziamenti per questo progetto da parte della regione Friuli Venezia Giulia, per complessivi 10800 euro.

E'  un gruppo di 16 studenti (tra 15 e 18 anni) che hanno preparato per noi con molta cura e amore uno spettacolo di danze, musica e canti tradizionali serbi della durata di circa un’ora, e che hanno voluto intitolare “L’anima della Serbia”.
Spero che avremo occasione di vederci!

Ecco di seguito le date delle loro esibizioni. Sono state realizzate in collaborazione con le amministrazioni dei comuni interessati.

Mercoledi’ 9 luglio  ore 21 al parco di Mocco’ (Comune di San Dorligo della Valle, Trieste)

Venedi’ 11 luglio ore 21e 30 a Muzzana del Torgnano (Udine) in collaborazione con il Comune di San Giorgio di Nogaro e il circolo culturale Artetica

Sabato 12 luglio ore 21 a Sgonico (con la collaborazione della locale amministrazione)

INOLTRE la sera di Giovedi’ 10  luglio alle 20 e 30 ci sara’ una cena di solidarieta’ (costo 15 euro bevande escluse ) organizzata dalla Casa del Popolo di Sottolongera e dal Circolo Primo Maggio in Via Masaccio 24, Trieste.
Per prenotazioni telefonare a
3396587490
oppure
040572114
oppure rispondere a questa e-mail: gilberto.vlaic @...

Arrivederci a presto, in una di queste occasioni.

Saluti a tutte/i
Gilberto Vlaic
Non bombe ma solo Caramelle – ONLUS
e Gruppo Zastava Trieste



A MINISTRY FOR RACIAL "SIMPLIFICATION"


Roberto Calderoli: «Maybe this will be a racist argument, but it is clear that some ethnic groups have a greater tendency to work, others to commit crime. It does not depend on DNA but still it is a bent». While - during his intervention in the TV program "Matrix" - bringing to the attention "committed crimes" data from the Interior Ministry, the Minister for Simplification pointed his finger against Roma people and Rumenia, and about the latter said: «Clearly some ethnic groups would have needed more time before accessing UE». 

Roberto Calderoli: «Farò un discorso razzista ma è evidente che ci sono delle etnie che hanno più propensione a lavorare ed altre a deliquere. Non dipende dal Dna ma è una predisposizione». Citando - nel suo intervento a Matrix - i dati del Viminale "sui reati commessi" il ministro per la semplificazione ha puntato il dito contro i Rom e la Romania, nel merito di quest'ultima ha sottolineato: «Evidentemente ci sono etnie che avrebbero avuto bisogno di più tempo prima di entrare nell'Unione europea». 

(fonte/source: Liberazione 05-06-08 / Davide Varì / www.liberazione.it)


(english / deutsch)

Kosovo: Pure Chaos 

1) Pure Chaos 
www.german-foreign-policy.com - 2008/06/19

auf deutsch: Blankes Chaos (EU-Einsatz im Kosovo)

2) Erdrückende Beweise für Verschleppungen
junge Welt - 10/6/2008

3) «Polykrimineller Multifunktionsraum»
Von Andreas Kunz - Weltwoche, 28.2.08


=== 1 ===

auf deutsch: Newsletter vom 19.06.2008 - Blankes Chaos

PRISTINA/BELGRAD/BERLIN (Eigener Bericht) - Nach massivem Druck aus Berlin verhandelt der UNO-Sicherheitsrat am morgigen Freitag über den Umbau der UNO-Verwaltung im Kosovo. Vor wenigen Tagen hat UNO-Generalsekretär Ban Ki-moon den westlichen Pressionen nachgegeben und den Einsatz der EU-"Polizei- und Justizmission im Kosovo", EULEX, erlaubt - ein illegaler Schritt: EULEX soll es der in Pristina installierten Sezessionsregierung ermöglichen, auf serbischem Territorium Behörden eines eigenen Staates aufzubauen. Mit ihrer Entscheidung zugunsten von EULEX übernimmt die UNO-Führung weitere Positionen des Westens, die dem internationalen Völkerrecht konträr sind. Leitende UN-Beamte hoffen, durch immer neue Kompromisse der völligen Marginalisierung zu entgehen. Trotz der fortschreitenden Unterwerfung werden in Berlin und Washington Konzepte diskutiert, deren Realisierung den Vereinten Nationen eine ähnliche Zukunft brächte wie dem Völkerbund in den 1930er Jahren - den totalen Bedeutungsverlust...


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Pure Chaos 

2008/06/19

PRISTINA/BELGRADE/BERLIN (Own report) - After massive pressure from Berlin the UN Security Council will discuss the reconstruction of the UN administration in Kosovo on Friday 20 June. Some days ago the UN General Secretary Ban Ki-Moon gave way to Western pressure and agreed to the illegal step of the deployment of EULEX, the EU "Police and Justice Mission in Kosovo". EULEX will enable the secessionist regime in Pristina to build up the authorities of an independent state on Serbian territory. With its decision in favour of EULEX the United Nations leadership has adopted further Western positions which are contrary to international law. Leading UN officials hope to avoid their total marginalization by ever-new compromises. In spite of the UN's increasing subjection, Berlin and Washington continue to discuss concepts which, if realized, will reduce the UN to a fate similar to that of the League of Nations in the Nineteen Thirties - total loss of significance. The results of the controversy will bear hardest on the population of southern Serbia. Commentators describe the confusion over the remaining competences of lawful authorities in the face of illegally installed institutions, enforced by the occupiers, as chaos itself.

Without Foundation

On Friday the UN Security Council will discuss the reconstruction of the UNO administration (UNMIK) in Kosovo.[1] The background to this is the insistence from Berlin and Brussels that UNMIK should be replaced by EULEX (the EU Police and Justice Mission in Kosovo). EULEX is designed to support the illegal regime in Kosovo and to build up the structures of the police, court system and administration of an independent state on Serbian territory. This will give Brussels de facto control over the area in total contravention of any lawful basis.

Wavering

UN Resolution 1244 is still formally in force. It authorizes the presence of UNMIK in Kosovo and acknowledges that Kosovo is part of Serbian territory. In spite of massive pressure by the Western powers, only 43 countries have so far recognized the independence of Kosovo. Until now, UN Secretary-General Ban had refused to withdraw UNMIK without a resolution by the Security Council and to replace it with EULEX. However, Ban's position appears to be increasingly shaky.

Sabotage

Behind this lie serious derelictions of duty by the German head of UNMIK, Joachim Ruecker, as well as unilateral measures by the EU. Ruecker, whose duty as UN Administrator is to carry out UN decisions in accordance with Resolution 1244, has not only approved the declaration of independence by Kosovo although it is contrary to UN Resolution 1244. This German politician from the Socialist Party did not oppose the adoption of the constitution of an independent Kosovo on 9th April although that constitution denied the legitimacy of UNMIK and, of its own claimed competence, handed over important functions to EULEX. Since the supposed entry into force of that constitution last Sunday, the Kosovo "President" Fatmir Sejdiu said that UNMIK could only remain in Kosovo "for a limited time".[2] Ruecker caved in without complaint to this public attack on his official employers, which was in accordance with German policy. His conduct has led to serious dissension in the UN Security Council which will be aired on Friday. It is said in Pristina that Ruecker's resignation may be called for.[3]

Boycott

As UN Secretary-General Ban has made known, his attempt to give force to international law in Kosovo has not only been sabotaged in fact by his deputy in Pristina but by a boycott from the EU. According to him, Brussels has informed the United Nations that it will withhold its contribution for the UNMIK Department "Reconstruction and Economic Development" from 1st July. This is the so-called "fourth pillar" of UNMIK. According to Ban, this decision was taken without consultation with UN Headquarters. It leaves UNMIK without the technical capabilities and budget allocation to replace the experts financed by the EU Commission.[4] As the Kosovo regime has demanded, with the coming into force of the fictitious constitution, that it should take over the economic development of the area for itself, the Secretary General sees no further possibility of continuing the former "fourth pillar" of UNMIK. "Legislation (by the announced adoption of the Kosovo "constitution") with this decision removes the fourth pillar of UNMIK and the capability of controlling these areas of decision".[5]

A Legitimising Precedent

In order to preserve some shred of credibility for the UN institutions in Kosovo, in spite of the sabotage from Berlin and Brussels, the Secretary General will tolerate EULEX but only "under the umbrella" of UNMIK. He insists that he is seeking a solution which is "acceptable" to all sides.[6] If the developments of previous years are anything to go by, its failure seems likely. Since the UN Security Council retrospectively legitimized the unlawful attack on Yugoslavia with Resolution 1244, the Western powers have undermined the UN step by step. In the meantime the UN in Kosovo has been restricted in practice to giving way to demands from Berlin and Washington with such sufficient seemly delay as to give the appearance of international approval.

The End of the United Nations

Behind the rearguard action of the UN leadership are other considerations of the Western powers, which are, in fact, aiming to end compromise and negotiation on their global interests within the UN framework and to replace them with totally unregulated power politics. Influential forces in Berlin and Washington have the intention of establishing a world-wide right of intervention in foreign states, which could be used to take action against the ill-defined concept of "crimes against humanity" and possibly in cases of natural catastrophe too. This is called "Responsibility to Protect" or "R2P".[7] Such a right could also be invoked without the need for a resolution by the UN Security Council. A debate has flared up in the United States over the establishments of international alliances for the use of force to which are attributed similar powers and rights as to the UN itself (see "League of Democracies" as reported by www.german-foreign-policy.com [8]). Only a few days ago the UN Secretary General tried yet again to persuade the West of the usefulness of the United Nations. If there was no cooperation to meet the "international challenges" of terrorism and nuclear proliferation, "matters would escalate to world-wide threats of irreversible dimensions", said Ban in London. He was there for discussions over developments in Kosovo.[9]

Unmanageable

The international power struggle on which the future world order turns will take place in the south Serbian province on the backs of the people of Kosovo. Informed observers describe the confusion about the remaining competences of legal authorities, arising from unlawfully established institutions and occupiers of the most varied provenance, as pure chaos. People with travel documents from the secessionist regime in Kosovo will not be permitted to travel over Serbian territory to the EU. It is unclear what will happen to a Kosovar who succeeds in getting to Germany and travels on to Spain. Spain does not recognize the secession of Kosovo or papers issued by the secessionist government. In previous years refugees from Kosovo in Germany have experienced difficulty in obtaining passports and identity documents, for which UNMIK was responsible but did not have any representatives abroad. For example, it is not apparent how the holder of a passport issued by the authorities in Pristina could obtain a Russian visa, as Russia does not recognize the independence of Kosovo. An inhabitant of Kosovo with Serbian papers could well obtain a Russian visa but EULEX officials in Pristina - with no standing in international law - would restrain him from crossing the frontier of Kosovo.

A Breach of International Law

The Western powers could achieve the resolution of these difficulties by returning to the agreements in UN Resolution 1244 - or through the global enforcement of illegality. The overwhelming majority of member countries of the UN are opposed to the latter course.


[1] Kosovo: UN-Sicherheitsrat berät am Freitag über UNMIK-Umgestaltung; RIA Novosti 18.06.2008
[2] Sejdiu will UNMIK aus dem Land haben; Der Standard 17.06.2008
[3] UNMIK-Chef Rücker wird sein Amt in vier Tagen niederlegen; RIA Novosti 16.06.2008
[4], [5] Report of the Secretary-General on the United Nations Interim Administration Mission in Kosovo; United Nations Security Council S/2008/354, 12.06.2008
[6] Plan to reconfigure UN presence in Kosovo 'least objectionable' option - Ban; UN News Centre 13.06.2008
[7] see also The Right of Might
[8] see also Kein Kurswechsel
[9] Plan to reconfigure UN presence in Kosovo 'least objectionable' option - Ban; UN News Centre 13.06.2008


===  2 ===

»Erdrückende Beweise für Verschleppungen«

Human Rights Watch fordert Aufklärung darüber, was mit 400 Verschwundenen aus dem Kosovo geschah. Ein Gespräch mit Fred Abrahams

Interview: Cathrin Schütz
junge Welt, 10.6.08
Fred Abrahams ist Leiter der Forschungsgruppe für Krisengebiete bei Human Rights Watch (HRW). Er war von 1995 bis 2000 zuständig für die Balkan-Arbeit der Organisation
In ihrem Buch »Die Jagd« schreibt die Ex-Chefanklägerin des Jugoslawien-Tribunals Carla del Ponte, nach dem Einzug der NATO-Truppe KFOR 1999 ins Kosovo seien zahlreiche Serben nach Albanien entführt worden. Dort seien sie vermutlich Opfer von Organraub geworden. Human Rights Watch konnte die dem Tribunal und der KFOR vorliegende Akte einsehen. Welchen Schluß legt die Lektüre nahe?

Den, daß eine Untersuchung dringend nötig ist. Noch als ich Del Pontes Kapitel zum Kosovo erstmals las, war ich skeptisch. Da ich sie jedoch als Juristin schätze, habe ich mich mit den Behauptungen näher befaßt und Beweise gefunden, die ihre Beschreibungen stützen. Es ist nicht klar, ob es den Organhandel tatsächlich gab – dafür sind die Beweise unvollständig. Aber wir wissen, daß 400 Menschen nach dem Krieg verschwunden sind, meist Serben. Und die Beweise sind erdrückend, daß Menschen über die Grenze nach Albanien gebracht wurden.

HRW hat die Regierungen des Kosovo und Albaniens erneut öffentlich aufgefordert, Untersuchungen einzuleiten. Gibt es Reaktionen?

HRW hatte zunächst in persönlichen Briefen die Premierminister des Kosovo und Albaniens um die Einleitung von Ermittlungen gebeten. Eine Antwort haben wir nicht erhalten. Statt dessen haben beide Regierungen Del Ponte in den Medien scharf angegriffen und sie der Lüge bezichtigt. Diese Reaktion hat mich bewogen, mehr denn je an die Notwendigkeit einer Untersuchung zu glauben.

Del Pontes Bericht über den Organraub hat weltweite Aufmerksamkeit erlangt. Ist nicht seit Jahren bekannt, daß Albanien in den Frauen- und Kinderhandel und vermutlich den internationalen Organhandel verwickelt ist?

Die von Del Ponte erhobenen Vorwürfe sind die ersten mir bekannten ernstzunehmenden Hinweise auf Organhandel in Albanien. Vorher gab es nur Gerüchte. Das hat sich geändert, jetzt gibt es Beweise für kriminelle Handlungen. Wir haben genug Fakten, um eine Untersuchung zu rechtfertigen.

Laut Del Ponte war die nationalistische Terrortruppe UCK in Verschleppungen und Organraub verwickelt. Auch Geheimdienste attestieren die heute führende Rolle ehemaliger UCK-Kommandanten wie Agim Ceku, Hashim Thaci und Ramush Haradinaj in der organisierten Kriminalität. Ist der Appell von HRW daher nicht naiv, Kosovo solle eine Untersuchung einleiten und damit »zeigen, daß es ein Ort mit intaktem Rechtswesen ist«?

Ich erliege nicht der Illusion, daß man im Kosovo unverzüglich eine Untersuchung einleiten wird. Das ist auch nicht einfach, es gibt keinen funktionierenden Zeugenschutz. Trotzdem, es gibt gute Menschen, die nicht in einem Kosovo leben wollen, in dem Verbrechen vertuscht werden. Wenn die Verantwortlichen dort nicht bald handeln, können internationale Institutionen den nächsten Schritt gehen. Die UNO oder die EU wird im Kosovo die Macht haben, schwere Verbrechen zu untersuchen. Auch der Europarat hat mit Nachdruck Aufklärung gefordert.

Kann man von diesen Seiten Aufklärung erwarten, wenn etwa der Spiegel (17/2008) einschlägige Lageberichte zum Kosovo so charakterisiert: »Sie zeichnen das Bild einer Clan-Gesellschaft, in der ein Häuflein krimineller Anführer das eigene Volk in Geiselhaft nimmt – mit Duldung der unter dem Aufklärungsbanner angetretenen Bürokraten aus Europa und der Restwelt«?

Die Macht und Ausbreitung der kriminellen Netzwerke im Kosovo sind ein ernstzunehmendes Problem und sollten auch in den EU-Ländern als solches wahrgenommen werden.

Hat nicht vor allem die UCK den Rechtsstaat ausgehebelt, das Volk schon seit 1998 in Geiselhaft genommen und Kritiker mundtot gemacht? Was können also die »guten Menschen« im Kosovo gegen die Herrschaft der Kriminellen tun, ohne ihr Leben zu riskieren?

Die Demokratie im Kosovo erlaubt schon kritische Stimmen. Bis vor kurzem war die Partei von Ibrahim Rugova an der Macht, nicht die UCK. Aber natürlich ist es eine andere Sache, wenn von ernsten Verbrechen die Rede ist. Auch die »guten Menschen« können ohne effektiven Zeugenschutz schwerlich Informationen liefern. EU und UNO müssen helfen, ein funktionierendes Gerichtswesen aufzubauen. Ohne das kann Kosovo kein stabiler Teil Europas sein.


=== 3 ===

Weltwoche, 28.2.08
 
«Polykrimineller Multifunktionsraum»
 
Von Andreas Kunz
 
In einem vertraulichen Bericht analysieren Geheimdienste, Diplomaten und Militärs düster die Lage im Kosovo. Das Gebiet wird regiert von der Mafia. Alle Aufbauversuche sind gescheitert. Eine verfrühte Unabhängigkeit ist kontraproduktiv und gefährlich.
 
Gestützt auf mehr als 70 Experteninterviews, Fachliteratur und interne Berichte zieht das Berliner Institut für Europäische Politik im Auftrag der deutschen Bundeswehr Bilanz über die Aufbauarbeit im Kosovo. Die detaillierte Situationsanalyse, erschienen 2007, ist «nur für den Dienstgebrauch» bestimmt und vermittelt ein schonungsloses Bild der Lage.
 
Als «clear and present danger» bezeichnen die Autoren die organisierte Kriminalität und die «grassierende» Korruption. Trotz sieben Jahren Aufbauarbeit seien Drogen-, Menschen- und Waffenhandel, Diebstahl, Raub und Autoschieberei die einzigen wachsenden und profitablen Wirtschaftssektoren des Landes. Der Umfang der Mafia-Aktivitäten am kosovarischen Wirtschaftskreislauf gelte als «astronomisch»: Nach konservativen Schätzungen beläuft sich der Tagesumsatz der Mafia auf rund 1,5 Millionen Euro oder 550 Millionen Euro im Jahr. Dies entspricht einem Viertel des gegenwärtigen Bruttosozialprodukts, das durch enorme internationale Gebertransfers künstlich hochgehalten wird. Das Kosovo diene ausserdem als Rückzugsort für kriminelle Akteure und habe sich zu einem «polykriminellen Multifunktionsraum» entwickelt, in dem im grossen Stil internationales Schwarzgeld gewaschen werde. Als Beispiel erwähnt wird das kosovarische Tankstellensystem. Obwohl für das Verkehrsaufkommen weniger als 150 Tankstellen genügten, existieren gegenwärtig mehr als 400 davon.
 
40000 offene Strafverfahren
 
Verschärft hat sich in den vergangenen zwei bis drei Jahren auch die Korruption. Sie reicht von den «üblichen» Schmiergeldzahlungen bis hin zu systematischen Bestechungs- und Einschüchterungsversuchen gegenüber Richtern und Staatsanwälten. Die meist jungen, schlecht ausgebildeten und unerfahrenen Richter verdienen schlecht, wissen um die Folgenlosigkeit des eigenen korrupten Verhaltens und sind angesichts der vielen Gewalttaten komplett überfordert. Mittlerweile stapeln sich mehr als 40’000 offene Strafverfahren – Korruptionsfälle kommen jährlich nur zwischen 10 und 15 vor Gericht. Selbst die mögliche Einbeziehung internationaler Richter und Staatsanwälte hat bisher nicht zur juristischen Aufarbeitung «allseits bekannter Verbrechen» von prominenten Mafiagrössen geführt, da Aussagewillige «automatisch ein hochattraktives Attentatsziel bilden».
 
Die Etablierung rechtsstaatlicher und demokratischer Strukturen wird durch den «Kanun», ein mündlich überliefertes Gewohnheitsrecht aus dem 15. ? Jahrhundert, im «Keim erstickt». Im Mittelpunkt dieses «pseudojuristischen Ordnungssystems», das auf dem Prinzip der Grossfamilie und Altersautorität aufbaut, stehen die Begriffe «Besa» (Ehre) und «Gjakmarria» (Blutrache). Dieses «gewaltlegitimierende Ehrkonzept» ist in der Bevölkerung tief verankert und werde als «Gesetz über den Gesetzen» zur Anwendung gebracht.
 
Statt bei Richtern und Behörden liegt die Machtausübung bei den albanischen Grossfamilien («Fis»), die zwischen 60 und 100 Personen umfassen und zusammen mit anderen «Fis» jeweils einen Clan bilden. Momentan sollen zwischen 15 und 20 solcher Clans um Einfluss im Land ringen. Sie besetzen «nahezu alle wesentlichen gesellschaftlichen Schlüsselpositionen» und zählen auf «engste Verbindungen zu führenden politischen Entscheidungsträgern». Namentlich belastet wird im Bericht der aktuelle Ministerpräsident Hashim Thaci. «Keyplayer» wie Thaci seien verantwortlich für «engste Verflechtungen zwischen Politik, Wirtschaft und international operierenden Mafia-Strukturen». Mit der politischen Anerkennung von Thaci und anderen Vertretern der Befreiungsarmee UCK hätten ehemalige Terroristen eine bislang unübertroffene Machtfülle erlangt. Die einstigen Verbrecher hätten als Politiker im Ausland an Reputation gewonnen, nach innen geniessen sie parlamentarische Immunität und nach aussen den Schutz des Völkerrechts. Sie könnten dadurch weitgehend unbehelligt im Kosovo operieren und mit Hilfe der – offiziell verbotenen – Parteigeheimdienste Druck auf politische Gegner ausüben.
 
Die unter Armut leidende Bevölkerung schwankt zwischen Verehrung der alten Kriegshelden wie Thaci und «tiefer Angst» vor der politisch-mafiösen Führungskaste, die inzwischen ein umfassendes Omertà-Regime etabliert hat. Im Mittelpunkt steht neben Thaci der ehemalige Ministerpräsident Ramush Haradinaj, ohne den im Kosovo nichts laufe (und dem mittlerweile in Den Haag der Prozess gemacht wird). Im ganzen Land finde man kaum jemanden, der öffentlich ein Wort gegen Haradinaj sage. Eine der wenigen Ausnahmen ist sein Hauptrivale Thaci, der über noch weiter reichende kriminelle Netzwerke verfüge und in Sicherheitskreisen als «noch wesentlich gefährlicher als Haradinaj» gilt.
 
Das Klima der Angst und die Korruption reichen bis in die höchsten Ämter der internationalen Gemeinschaft und verursachen eine tiefgreifende Ohnmacht. Die internationale Eingreiftruppe Kfor und die Uno-Verwaltung Unmik agierten mittlerweile «völlig konzeptlos», sagen Offiziere. Innerhalb der Uno-Administration sei es zu «beträchtlichen» Korruptionsfällen gekommen und Mafiabanden seien über Kontrollpunkte im Voraus informiert, da wesentliche Teile des Kfor-Stabes «als infiltriert zu betrachten sind». 2006 musste Unmik-Polizeichef Kai Vittrup das Land nach Morddrohungen verlassen. Deutsche Rückkehrer aus dem Kosovo resümieren: «Einige Aktivitäten internationaler Organisationen zur Bekämpfung der organisierten Kriminalität mussten zurückgenommen werden, um das Leben der Mitarbeiter nicht zu gefährden.»
 
Kritisiert wird im deutschen Bericht insbesondere die Rolle der USA, die europäische Ermittlungsbemühungen behindert hätten und durch geheime CIA-Gefangenenlager auf dem Gelände des Camp Bondsteel im Kosovo politisch erpressbar geworden seien. Zweifel an den amerikanischen Methoden wachsen auch durch die «ernst gemeinte» Beschreibung eines hochrangigen deutschen Uno-Polizisten, dass es die Hauptaufgabe des stellvertretenden amerikanischen Unmik-Chefs Steve Schook sei, «sich einmal die Woche mit Ramush Haradinaj zu betrinken».
 
Die Unmik ist zudem mitverantwortlich, dass sich das Kosovo in den letzten Jahren zu einem «Zentrum des internationalen Frauenhandels» für junge, teilweise minderjährige Prostituierte entwickelt hat. In den geschätzten 104 Bordellen, die meistens am Stadtrand bei einer Tankstelle liegen, sollen die «Internationalen» zu den besten Kunden gehören. Die hohe Nachfrage habe einen «signifikanten Beitrag zum Aufwachsen der lokalen Schleuserstrukturen geleistet». In der Vergangenheit seien bereits mehrere geheime Internierungslager mit Frauen ausgehoben worden.
 
Mit Steinen beworfen, tätlich angegriffen
 
Für die Autoren zeigt sich das «offene Versagen der Unmik» am deutlichsten bei der Energieversorgung. Trotz massiver Präsenz ist es auch nach sieben Jahren nicht gelungen, wenigstens die Grundversorgung mit Strom sicherzustellen. Noch heute kommt es täglich zu flächendeckenden Stromausfällen von mehr als zehn Stunden, die in jedem Winter Erfrierungstote zur Folge haben.
 
«Jenseits aller politischen Rhetorik» gelte es zu konstatieren, dass der «Versuch des Aufbaus einer multiethnischen Gesellschaft im Kosovo gescheitert ist». Die Serben hätten sich in Enklaven verschanzt und verfügten entgegen anderslautenden Aussagen von Politikern über keine Bewegungsfreiheit. Kfor-Soldaten begleiten sie beim Einkauf oder erledigen die Einkäufe gleich selbst. Regelmässig würden Serben mit Steinen beworfen, tätlich angegriffen, belästigt oder eingeschüchtert. Ihre Friedhöfe werden geschändet und ihre Hauswände mit Hassparolen verschmiert. Der «multiethnische Irrglaube» werde allein von jenen Funktionsträgern am Leben erhalten, «deren Arbeitserfolg unmittelbar an der Erfüllung dieses auf politischem Wunschdenken fussenden Missionsziels gemessen wird oder die über ein direktes finanzielles Interesse an der Fortführung entsprechender Förderprogramme verfügen».
 
Praxis des «Okay-Reporting»
 
Man fragt sich beim Lesen der Studie, warum die internationale Gemeinschaft ein solches Chaos als Staat anerkennen will. Auch hierfür haben die Autoren eine Antwort. Sie heisst «Okay-Reporting», eine systematische Unterdrückung kritischer Informationen, «um fehlgeleitete politische Zielvorgaben zu erfüllen». Die Praxis des «Okay-Reporting» grenzt für die Autoren mittlerweile an «Verantwortungslosigkeit». Sie führe zwar zu «guter Presse» und «individueller Profilierung», aber auch zu einer wachsenden Kluft zwischen deklarierten Zielen und tatsächlichen Entwicklungen. Diese «politische Korrektheit» verursache eine Gefährdung der Missionsziele im Kosovo, einen Glaubwürdigkeitsverlust in der Bevölkerung und eine «teils drastische Reduzierung weiterer Handlungsoptionen».
 
Der einzige Ausweg aus der Krise ist für die Experten «ein klarer Bruch mit der bisherigen Appeasement-Politik, ein Ende des politischen Wunschdenkens und eine Konzentration auf das tatsächlich Machbare». Keine Lösung sei die einseitig ausgerufene Unabhängigkeit des Kosovo. Im Gegenteil: Kriminelle Akteure wie Thaci oder Haradinaj kämen dadurch «näher denn je zu ihrem Ziel der totalen Kontrolle des Kosovo». Wirtschaftlich sei zwar mit einem «Strohfeuer» zu rechnen, die strukturellen Defizite würden aber fortbestehen. Wenn die Unmik schliesslich wie geplant aus dem Kosovo abziehe, überlasse sie der EU einen «Feuerwerksladen voller Pyromanen». 

Wichtiger für die gesellschaftliche Entwicklung des Gebietes wäre für die Autoren ein Ende der weitverbreiteten Verklärung der Kriegszeit 1998/99 mit einer religionsähnlichen Helden- und Veteranenverehrung. Bis heute würden nicht nur Fehler und begangene Verbrechen geleugnet, sondern die Ursachen für das eigene Elend in einem verschwörungstheoretisch anmutenden Kontext betrachtet. Beispielhaft sei die «generationenübergreifende Lebenslüge», dass das Kosovo nur deshalb arm sei, weil es bisher immer von anderen jugoslawischen Völkern ausgebeutet worden sei. Mit der Unabhängigkeit treibe dieser «Irrglaube» die Hoffnung auf einen kosovarischen Wohlstandsschub in unrealistische Höhen, «was den unvermeidlichen Kontakt mit der Wirklichkeit (schätzungsweise nach ein oder zwei Jahren der Selbständigkeit) zu einem kritischen Moment in der kosovarischen Geschichte werden lässt und zu schweren Unruhen, wenn nicht gar revolutionsähnlichen Erhebungen führen könnte». 



(srpskohrvatski / italiano / français)

Musicisti e poeti jugoslavi

1) Umro je Šaban Bajramović / È morto il Re della musica rom: una metafora del destino tragico dell'uomo di oggi

2) segnalazione intervista a "Lepa Brena" (Fahreta Jahić): Poslednja Jugoslovenka
Branko Ćopić: Da Bosanska Krupa, mia ragazzina (Mala moja iz Bosanske Krupe)


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È morto Šaban Bajramović, il più grande cantante e compositore rom

È morto domenica (8 giugno), a 72 anni, nella sua casa di Niš, dopo una lunga e sofferta malattia. Incise il primo disco nel 1964, e poi una ventina di album e una cinquantina di singoli. Scrisse e compose circa 700 canzoni d'autore. Era entrato nella leggenda della musica come il Nat King Cole di Niš, è considerato tra i migliori dieci cantanti jazz del mondo.

Per più venti anni fu a capo di una band “Crna mamba” con cui fece il giro del mondo. Fu nella delegazione di Tito in India, e tenne concerti spettacolari in tutto il mondo. Ovunque fu invitato più volte... “Penso che il successo non mi abbia cambiato affatto, ma non ho realizzato i miei sogni. Nessuno, nella mia natale Niš, si è mai ricordato, dopo che mi sono occupato per 40 anni di musica, di dire: ‘Šaban, ti sei meritato la pensione’. Come posso essere soddisfatto”, diceva il cantante da tempo malato. “Vivo tristemente dopo 40 anni di mie canzoni, nessuno che apra il mio cancello o che telefoni per chiedere come vivo e se riesco a vivere in queste condizioni. Patisco...”, aveva detto Bajramović alcune giorni prima di chiudere per sempre gli occhi. Era stato d’ispirazione per innumerevoli artisti di tutto il mondo. Gli ultimi giorni li ha trascorsi con la moglie Milica. Ha lasciato quattro figlie e 12 nipotini, sparpagliati per il mondo, cosa che, come diceva lui stesso, gli provocava una triste ispirazione...

È morto nella povertà, senza un soldo, solo come un cane, come un gitano del Romancero di Garcia Lorca, avendogli l'attuale regime negato il diritto alla pensione! Senza copertura medica! Un ladro gli aveva rubato quei miseri 700€ di risparmi messi da parte! Quale miserabile Europa è questa. Šaban Bajramović è metafora del destino tragico dell' uomo di oggi.

(a cura di OJ e AM)

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Fonte: www.glassrbije.org (Radio Srbija)

Preminuo Šaban Bajramović, kralj romske muzike
08. jun 2008. 16:23 (Izvor: RTS)

Romski pevač, kompozitor i pesnik Šaban Bajramović preminuo je danas na kardiološkoj klinici Kliničkog centra Niša. Kralj romske muzike je tokom četiri decenije duge karijere pevao širom sveta, a mediji su isticali da Bajramovićev pečat ostaje zauvek utisnut i u džez i bluz muziku. Šaban Bajramović je rođen je u Nišu 1936. godine. Prvu ploču snimio je 1964. godine. Snimio je oko 20 albuma i pedesetak singlova, a napisao je i komponovao oko 700 pesama.  Više od 20 godina predvodio je sastav Crna mamba. Kao glumac pojavljivao se u filmovima 'Nedeljni ručak' i 'Anđeo čuvar' Gorana Paskaljevića, 'Gypsy Magic' Stoleta Popova i 'Crna mačka - beli mačor' Emira Kusturice.

Brajović: smrt Bajramovića gubitak za našu kulturu
08. jun 2008. 18:36 (Izvor: Tanjug)

Ministar kulture Srbije Vojislav Brajović izjavio je Tanjugu da je sa ogromnim žaljenjem primio vest o smrti popularnog i cenjenog pevača Šabana Bajramovića. "To je trajni gubitak za našu kulturu", ocenio je ministar, upućujući iskreno saučešće, pre svega Bajramovićevoj porodici. Brajović je naglasio da mu je "strahovito žao što Bajramović nije uspeo ni da čuje informaciju da je u petak, 6. juna, nađeno rešenje za prevazilaženje problema oko njegovog statusa penzionera i da ga je komisija za dodelu posebnih priznanja uvrstila među dobitnike". "Otišao je jedan od najvećih džez pevača koji je ostvario vrhunske umetničke domete", zaključio je Brajović.

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Još prije nekoliko dana mediji na Balkanu su ukazali na tešku zdrastvenu i materijalnu situaciju legende romske glazbe. Situacija u kojoj se nalazio glazbenik koji je za života prodao preko milijun ploča i nastupao na nebrojenim koncertima, je bila toliko teška da mu je srbijanski ministar rada i socijalne politike Rasim Ljajić uručio jednokratnu novčanu pomoć od 100 000 dinara (cca 1200€) te najavio pomoć u zdrastvenoj skrbi jer bolesni pjevač nije bio niti zdrastveno osiguran. Bajramović je tada gorko zaključio kako mu nakon 40 godina pjevanja i uspješne karijere "nitko ne dolazi i ne pita kako mu je". Da stvar bude gora 700 eura, koje je Šaban uštedio za "teške dane", mu je ukradeno prilikom nedavne provale u njegovu kuću. (Izvor: WDR)

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vedi anche:

Addio al re della musica rom (Blic/OdB 9.06.2008)

à lire aussi:

Disparition de Šaban Bajramović : « Le roi est mort ! » (CdB 10 juin 2008)

L’adieu au musicien Šaban Bajramović : « Djelem, Djelem » jusqu’à la tombe (Danas/CdB 12 juin 2008)
=== 2 ===

(a cura di Dragomir Kovačević)


VREME 911, 19. jun 2008.

Povratak Lepe Brene: Poslednja Jugoslovenka

Lepa Brena je prva, a možda i jedina osoba na prostorima bivše Jugoslavije koja je do kraja shvatila sva pravila šou-biznisa. Muškarci su je voleli jer je prototip balkanske lepotice. Žene su se identifikovale sa "nežnom ženom". Deca su volela Brenu zbog veselih i pevljivih, "brzohvatajućih" hitova. Danas, posle svega, svi vole Brenu jer je simbol jednog vremena – kada smo svi bili srećni, bezbrižni, visoki i plavi. Baš kao i ona...




Si tratta di un onesto articolo nella rivista belgradese "Vreme" sulla cantante neo-folk "Lepa Brena" (Fahreta Jahić), molto attiva nel periodo 1981-1991. 

Non era per niente antipatica come certi cantanti "leggeri", e non lo erano neanche la musica e i contenuti, rivolti ai bambini, ai giovani e ai nostri gastarbeiter all'estero. Dall'intervista si capisce tanto. 
Mi ha colpito la foto in fondo all'articolo: il nostro scrittore e poeta, il dolce Branko Ćopić, in una delle tante visite alle scuole, questa volta nella cittadina di Brčko, paese nativo di Fahreta Jahić.

Di sicuro Lepa Brena ha concesso la foto alla rivista, nel ricordo e nel rispetto che in tanti nutriamo per Branko Ćopić. 
Diceva Miroslav Krleža a Branko Ćopić: Eh, caro Branko, se io avessi avuto il suo canto! Branko Ćopić era davvero un grande intellettuale, travestito da contadinotto della Bosnia, un "David Strbac"...

Ho giocato con la memoria e con una poesia di Branko: Lepa Brena-Fahreta come la ragazzina di Branko a Bosanska Krupa. Ho giocato con la mia memoria...

Branko Ćopić:
Da Bosanska Krupa, mia ragazzina (Mala moja iz Bosanske Krupe)


Un dodicenne ero,

che per la prima volta scese nella città dal paese

quieto e remoto, quando ti vidi all'improvviso.

Ehh, di ricordi stupidi ce n'è più di una dozzina!

Da Bosanska Krupa, mia ragazzina!


Chi lo sa se tu avessi visto

un confuso allievo biondo dagli occhi azzurri,

nelle calzature nuove, incastrato, che smusava nella vetrina?

Da Bosanska Krupa, mia ragazzina!


Tu giungesti com'una nuvoletta,

il tuo sguardo mi fece perdere coscienza,

dimenticai chi ero e da dove provenivo,

dimenticai i nomi di attinenza.

Mancai di proferire qualche parola carina,

Da Bosanska Krupa, mia ragazzina!


Passarono i giorni liceali,

ma il ricordo di te non cessò,

La Una smeraldo, nelle notti di primavera, il tuo nome mi sussurrò.

Libravi dinanzi la mia panchina,

Da Bosanska Krupa, mia ragazzina!


Passarono presto i giorni di scuola,

com'una farfalla di alette d'oro,

ma ti portai nel cuore lo stesso,

per tutte le burrasche dei giorni di termidoro.

Sono i ricordi di te che curo in sordina,

Da Bosanska Krupa, mia ragazzina!


Ora è tardi, i capelli mi son bianchi,

scruto l'Una silenzioso come se fosse muto,

invano giro per le strade note,

tutto è deserto, il tuo passo ormai è perduto.

Ohh, la vita preziosa e divina,

Addio a te, da Bosanska Krupa, mia ragazzina...


(Traduzione di Dragomir Kovačević, con gratitudine per il poeta e con stima per la cantante jugoslava)




Italia: la Legge è diversa per ciascuno

1) Il Decreto legge sulla sicurezza un salvagente per i responsabili delle violenze al G8 di Genova
SALTANO ANCHE I PROCESSI DEL G8? INTERVENGA NAPOLITANO (Com. Stampa www.veritagiustizia.it)
Il Decreto legge sulla sicurezza un salvagente per i responsabili delle violenze al G8 di Genova (ARCIreport)
Il Comitato Carlo Giuliani invita a spedire una lettera al Presidente della Repubblica

2) Continua la discriminazione su base razziale e la persecuzione dei rom
Spedizione punitiva della polizia contro un rom e la sua bambina (Liberazione)
Gravissima aggressione ai danni di un cittadino rumeno (NOTA STAMPA del NAGA)
«I vigili hanno fatto scendere dal bus i bambini romeni. Mi son venuti i brividi...» (Liberazione)


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COMITATO VERITA' E GIUSTIZIA PER GENOVA
www.veritagiustizia.it - info@...

comunicato stampa

SALTANO ANCHE I PROCESSI DEL G8? INTERVENGA NAPOLITANO

Sembra che il cosiddetto decreto salva Berlusconi, fra i suoi vari
effetti collaterali, abbia la sospensione dei processi in corso contro
agenti, funzionari e dirigenti delle forze dell'ordine per i fatti del
G8 di Genova del 2001. Sarebbe una beffa, dopo sette anni di indagini
e udienze, e un atroce atto di ingiustizia per le centinaia di vittime
degli abusi compiuti nella caserma di Bolzaneto e nella scuola Diaz e
per tutti i cittadini democratici. Sarebbe un atto così grave, che
stentiamo a credere che possa davvero compiersi.

Com'è noto, i procedimenti giudiziari sono alla vigilia della sentenza
di primo grado: quella per i maltrattamenti inflitti ai detenuti nella
caserma di Bolzaneto, riguardante 45 agenti, è stata messa in
calendario per il prossimo mese di luglio; quella per i pestaggi, le
falsificazioni, gli arresti arbitrari alla scuola Diaz, riguardante 29
funzionari e dirigenti di polizia, è attesa per novembre.

Se davvero il parlamento decidesse di bloccare questi delicati
processi, saremmo di fronte a un atto sostanzialmente eversivo: si
impedirebbe alla magistratura di fare la sua parte (almeno in primo
grado) in merito ad eventi che hanno segnato una gravissima caduta
dello stato di diritto, gettando discredito sulle nostre forze
dell'ordine e sull'intero ordinamento democratico italiano.

Si impedirebbe a centinaia di persone, vittime degli abusi nella
caserma di Bolzaneto e nella scuola Diaz, di aspirare a un
risarcimento morale attraverso la giustizia; si impedirebbe a tutti i
cittadini di recuperare fiducia nella legalità costituzionale, che a
Genova fu sospesa e che il parlamento si appresta ad accantonare.

Ci appelliamo al presidente della Repubblica, garante della
Costituzione, affinché ci risparmi questo scempio.

Genova, 17 giugno 2008
Comitato Verità e Giustizia per Genova

info: Lorenzo Guadagnucci 3803906573
Enrica Bartesaghi 3316778150

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Fonte: arcireport n. 24 - 24 giugno 2008 - www.arci.it/report

Il Decreto legge sulla sicurezza un salvagente
per i responsabili delle violenze al G8 di Genova

«G8, l'ultima manganellata»,
questo l'efficace titolo delle pagine genovesi de La
Repubblica a commento delle conseguenze
della ‘legge blocca-processi’ - detta
anche ‘salva-Berlusconi’ - sui processi
Diaz e Bolzaneto.
Non meno esplicito il maggior quotidiano
cittadino, Il Secolo XIX: «G8 di Genova,
nessun responsabile tra le forze dell'ordine ». 
Più distaccato Il Corriere Mercantile:
«Processi a rischio stop per Diaz e
Bolzaneto, esplode la polemica».
Tanta sintonia tra quotidiani non certo
schierati a sinistra testimonia di come a
Genova si viva come un ennesima violenza
la possibilità che i responsabili di massacri
e torture possano uscire di scena
senza neppure una sentenza di condanna.
Amnesty international in un comunicato
parla di «Una sfortunata coincidenza, che
va purtroppo ad aggiungersi a una serie di
circostanze che non da coincidenze derivano,
bensì da precise responsabilità, le
quali rendono particolarmente negletti i
processi per i fatti di Genova e ancora più
ardua la ricerca della giustizia per le vittime ». 
Ma è proprio così? Dopo le vergogne
a cui abbiamo assistito - archiviazioni del
dell'omicidio Giuliani, ‘molotov’ portate dalle
forze dell'ordine, bugie e ‘non ricordo’ nelle
testimonianze - non stupirebbe che tra gli
obiettivi ci fosse anche questo.
Un autorevole giurista come l'ex Presidente
della Corte Costituzionale Valerio
Onida alla domanda «Il 30 giugno 2002
come data da cui partire per fermare i processi
è comprensibile?» Risponde: «E
quale sarebbe la giustificazione? Io non
l´ho letta da nessuna parte. Per me resta
uno spartiacque incomprensibile».
Più esplicito l'articolista de La Repubblica,
Marco Preve, che scrive: «Nel dibattito
politico i critici lo chiamano l´emendamento
‘salva Berlusconi’. Ma il decreto legge
sulla sicurezza potrebbe rappresentare il
salvagente anche per alcuni imputati genovesi
che, guarda caso, rappresentano il fior
fiore della polizia italiana, e che si trovano
ai vertici degli organismi che gestiscono la
lotta al crimine organizzato piuttosto che i
servizi segreti.
Tutta gente che, se condannata, creerebbe
sicuramente qualche imbarazzo al riconfermato
capo della polizia Antonio
Manganelli, che a quel punto sarebbe,
forse, costretto a prendere qualche decisione
di tipo disciplinare. Questo per quanto
riguarda il dibattimento Diaz. Per il
processo di Bolzaneto invece, il colpo
di spugna garantirebbe all´Italia di
schivare una figuraccia internazionale
legata a quel carcere speciale in
cui i diritti ebbero lo stesso rispetto
che nelle prigioni sudamericane».
Per poi chiarire ulteriormente il concetto:
«In queste ore di attesa per
conoscere la sorte dell´emendamento,
negli ambienti giudiziari il timore
che sia la Diaz che Bolzaneto possano
saltare è forte.
Addirittura per il processo sul carcere
speciale (45 persone imputate tra
poliziotti, medici e agenti di polizia
penitenziaria), sarebbe una beffa
visto che il tribunale dovrebbe entrare
in camera di consiglio il 21 luglio».
Riccardo Passeggi, uno degli avvocati
del Genoa Legal Forum, dice: «È
ancora presto per le contromosse ma
ci stiamo preparando. In ballo c´è il
principio generale di eguaglianza del
cittadino davanti alla legge. Stabilire
la cancellazione per certi reati commessi
ad una certa data arbitraria
potrebbe configurare un vizio di illegittimità,
perché andrebbe a ledere il
principio costituzionale dell´obbligatorietà
dell´azione penale e dell´indipendenza
della magistratura».
Un'ultima riflessione. Le norme non si
applicherebbero ai processi per reati con
pene sopra i dieci anni. Se il codice penale
italiano prevedesse il reato di tortura
forse gli imputati di Bolzaneto non sfuggirebbero
comunque alla legge. Ma secondo
alcuni in Italia la tortura non esiste.


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Il Comitato Carlo Giuliani invita a spedire questa
lettera al Presidente della Repubblica

Gentile Presidente,

il Parlamento sta per approvare una norma
che bloccherebbe una serie di processi
riguardanti fatti avvenuti prima del 30 giugno
2002. Fra questi vi sono i processi relativi ai
fatti di Genova del luglio 2001, quando le
garanzie costituzionali furono ripetutamente
calpestate, come ormai accertato sul piano
storico. La norma in questione bloccherebbe
due procedimenti arrivati ormai alla vigilia
della sentenza di primo grado. Nel primo,
riguardante i maltrattamenti inflitti a decine di
detenuti italiani e stranieri nella caserma di
polizia di Bolzaneto, sono imputati 45 appartenenti
alle forze dell'ordine: secondo il calendario
fissato dal Tribunale di Genova, la sentenza
è prevista entro la fine di luglio.
Nel secondo processo sono imputati 29 funzionari
e dirigenti di polizia per i pestaggi, le
falsificazioni, gli arresti arbitrari di 93 persone
(fra le quali 75 di nazionalità straniera) all'interno
della scuola Diaz: la sentenza è attesa
per il mese di novembre.
Centinaia di vittime dirette dei soprusi e tutti i
cittadini democratici - io fra questi - guardano
al tribunale di Genova con una sincera aspirazione
alla giustizia. Bloccando i processi
alla vigilia della sentenza, la fiducia mia e di
tutti i cittadini nella legalità costituzionale
sarebbe irrimediabilmente compromessa. A
Genova lo stato di diritto fu sospeso e furono
compiuti abusi inconcepibili per un paese
democratico: è inaccettabile - e pericoloso -
che si impedisca alla giustizia di fare il suo
corso.
Per questo Le chiedo di intervenire, con tutti
gli strumenti a sua disposizione, affinché nel
nostro paese non si compia un simile arbitrio.
Cordialmente, un cittadino democratico.


=== 2 ===

Liberazione 22-06-08 (fonte: http://www.arci.it/news.php?id=9739)

Picchiato a sangue da quattro agenti, davanti alla baracca dove viveva
Due giorni prima era stata picchiata sua figlia dodicenne, e lui aveva osato protestare

Spedizione punitiva della polizia contro un rom e la sua bambina

Laura Eduati

Un rumeno di etnia rom, Stelian Covaciu, è stato picchiato a sangue
da quattro agenti della polizia. E' accaduto nella tarda serata di
giovedì, accanto alla baracca dove vivono Stelian e la sua famiglia,
a pochi passi da piazza Tirana, Milano. Soltanto martedì scorso la
figlia di Stelian, Rebecca Covaciu, 12 anni, era stata aggredita da
due agenti in borghese che poi avevano spintonato il padre e dato
sberle al fratellino quattordicenne Jon urlando: «Zingari di merda,
se non ve ne andate vi ammazziamo e distruggiamo tutto». Dopo il
pestaggio di venerdì Stelian, 40 anni, missionario evangelico
pentecostale, è stato ricoverato all'ospedale San Paolo dove gli
hanno riscontrato un trauma cranico e segni di forti percosse. E'
stato dimesso ieri con una prognosi di sei giorni. La polizia lo ha
interrogato ma Stelian non ha voluto sporgere denuncia: teme di
venire espulso in quanto non ha ancora trovato una occupazione. Gli
agenti che l'hanno accompagnato in ospedale a bordo dell'ambulanza
gli hanno detto: «A noi puoi raccontare la verità». La verità esce
dalla bocca di Rebecca, la figlia dodicenne di Stelian. Rebecca è una
bimba prodigio. Dipinge su tela e illustra la sua vita nelle
baracche, tra topi e immondizia. I suoi disegni sono stati esposti e
poi acquisiti in permanenza dall'Archivio storico di Napoli per la
Giornata della Memoria del 2008. Per le sue doti artistiche, Rebecca
ha ricevuto il premio Unicef 2008. E venerdì sera da quelle due
volanti ha visto scendere anche uno dei due uomini che l'avevano
aggredita martedì.

Milano, pochi giorni prima avevano malmenato anche la figlia.
La Questura nega l'aggressione
«La polizia mi ha picchiato a sangue»
Un rom accusa quattro agenti

Un uomo sui 35 anni, con gli occhiali, che avrebbe chiesto alla madre
Gina: «Mi riconosci?». E lei, per paura, ha negato. Poi l'uomo si è
rivolto al capofamiglia Stelian: «Hai fatto un errore a parlare con i
giornalisti, un errore che non devi ripetere», poiché dopo
l'aggressione alla figlia, Stelian aveva immediatamente contattato
l'associazione di cui fa parte, la Everyone, che ha diramato un
comunicato urgente a tutti i mezzi di informazione. A quel punto i
quattro agenti si sarebbero infilati i guanti, e Rebecca quei guanti
li ha riconosciuti: erano gli stessi che i suoi aggressori avevano
indossato prima di perquisirla e picchiarla. Gina, 37 anni, ha visto
che il marito Stelian veniva trascinato dietro la baracca mentre
Rebecca e il fratellino Jon si erano rintanati dentro le mura di
cartone, terrorizzati. A quel punto gli agenti lo avrebbero picchiato
selvaggiamente. «Non raccontarlo a nessuno o per te saranno guai
ancora peggiori», hanno detto i poliziotti prima di andarsene. Quando
è arrivata l'ambulanza Stelian non riusciva a parlare, in evidente
stato di choc.
Gina è riuscita a prendere il numero di targa di una delle due
volanti. Eccolo: E5228. Poiché la baracca dei Covaciu sorge isolata
nei pressi della stazione San Cristoforo, nessuno al di fuori della
famiglia ha potuto assistere al pestaggio. Ma una ventina di rom che
si trovavano in piazza Tirana quella sera ricordano perfettamente di
aver visto due volanti della polizia dirigersi verso la dimora dei
Covaciu. La Questura di Milano nega che Stelian sia stato picchiato e
ricostruisce l'episodio dicendo che effettivamente nella serata di
venerdì degli agenti della Polizia Ferroviaria si sono diretti dai
Covaciu per allontanarli dalla baracca «vincendo le iniziali
resistenze dell'uomo» con metodi che però hanno evitato «conflitto e
tensioni». Non finisce qui: la Questura promette di accertare
eventuali ipotesi di reato. La Procura di Milano ha avviato una
indagine. La famiglia Covaciu ha lasciato la Romania due anni orsono.
La città di origine si chiama Arad. Si sono trasferiti a Milano,
andando ad occupare baracche abusive che via via le forze dell'ordine
facevano sgomberare. Pochi mesi fa avevano deciso di cambiare aria,
si sono stabiliti a Napoli, ma dopo il rogo del campo rom di
Ponticelli hanno avuto paura delle e sono tornati a Milano. Da poche
settimane il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, ha dato il
via alla schedatura dei rom e dei sinti presenti sul territorio
milanese nei campi regolari e abusivi. La schedatura avrà come
risultato la distinzione tra persone con i documenti in regola per il
soggiorno, e persone che non potranno rimanere in Italia e che per
questo verranno allontanate o espulse. Ciò sta accadendo anche a Roma
e Napoli, dove a bambini e adulti le forze dell'ordine stanno
prendendo le impronte digitali. Allo stesso tempo continuano gli
sgomberi delle baracche abusive. Non si contano, ormai, le
associazioni e gli organismi internazionali che denunciano il clima
di razzismo e xenofobia nei confronti degli stranieri e specialmente
nei confronti dei rom. Se dei poliziotti picchiano a sangue un rom
durante una operazione di sgombero, significa che si sta diffondendo
una sorta di impunità. Se un deputato leghista come Matteo Salvini
paragona gli zingari ai topi senza che nessuno muova un ciglio, non
sorprende che qualche poliziotto razzista si senta nel diritto di
agire in modo violento e crudele, anche nei confronti di una bambina
di appena dodici anni, perquisita in malomodo alla stazione San
Cristoforo di Milano e poi presa a schiaffi in una sala d'aspetto
mentre un capostazione, attirato dalla urla, cerca di interrompere la
perquisizione brutale. Non possiamo scaricare sull'intera Polizia la
responsabilità dell'episodio. Ecco perché chiediamo al capo della
polizia Giorgio Manganelli, al ministro dell'Interno Roberto Maroni e
al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di fare luce su
quello che è accaduto a Stelian e Rebecca. Non si tratta soltanto di
fare giustizia e di condannare gli agenti implicati, ma anche di
scrollarci di dosso l'etichetta di Paese razzista. Un'etichetta che
ci fa orrore.

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From: "tommaso vitale"


NOTA PER LA STAMPA
Gravissima aggressione ai danni di un cittadino rumeno:
il Naga chiede venga fatta chiarezza
  
Milano, 23  giugno 2008. Sei giorni di prognosi per trauma
cranico dopo una notte in osservazione al  pronto soccorso
dell'Ospedale San Paolo: Stelian Covaciu (rom rumeno), con
la sua famiglia, sarebbe stato “allontanato” con
questi esiti dalla polizia lo scorso venerdì 19 giugno
dalla baracca lungo la massicciata della stazione di San
Cristoforo dove viveva con la moglie, i tre figli
minorenni e la nuora incinta.
  
Secondo quanto raccontato dallo stesso Covaciu,
l’aggressione segue un episodio analogo avvenuto martedì
17 giugno, quando alle 8.00 del mattino si sono presentate
due persone, presentatesi come poliziotti, che, in assenza
del padre, hanno minacciato i componenti della famiglia
Covaciu, tra l'altro intimandoli di lasciare la baracca se
non volevano venisse distrutta. Poco dopo, i due hanno
costretto i Covaciu a entrare nella sala di attesa della
stazione per un controllo, li hanno strattonati,
perquisiti e lì trattenuti, fino a quando il capostazione,
richiamato dalle urla dei bambini, della madre e del padre
nel frattempo intervenuto, ha chiesto spiegazioni.
I due, nel rispondere di essere poliziotti, hanno comunque
lasciato andare la famiglia.
  
La notte di venerdì Stelian Covaciu è stato minacciato
dalla polizia, percosso e questa volta è finito al pronto
soccorso, dove ha passato una notte in osservazione; è
stato infine dimesso alle 15.30 di sabato pomeriggio, alla
presenza di giornalisti e associazioni di volontariato.
  
Si aggiunga, infine, che fino ad ora alla famiglia Covaciu
sarebbe stato fisicamente impedito di ritirare i loro
averi, tuttora giacenti nella baracca, sorvegliata a vista
dalla polizia.
  
Il Naga, che con i gruppi Medicina di strada e SOS
Espulsioni offre assistenza sanitaria e legale a chi vive
nelle aree dimesse ed i campi rom della città di Milano,
chiede con forza che venga fatta chiarezza su tali
gravissimi avvenimenti, ennesimi episodi di sopruso e
discriminazione a danno di rom rumeni,  persone che,
benché cittadini europei, troppo spesso non sono nelle
condizioni di sporgere denuncia, per timore delle
possibili ripercussioni.
  
Per maggiori informazioni
Segreteria di direzione - NAGA
02 58 10 25 99
389 51 55 818

naga@...
www.naga.it


---

Liberazione 05-06-08 (fonte: http://www.arci.it/news.php?id=9631)


Un testimone ci racconta un episodio di razzismo di Stato. «Quanto manca al disastro?» 
«I vigili hanno fatto scendere dal bus i bambini romeni. Mi son venuti i brividi...» 
Marcello Cantoni 

Cara Liberazione, oggi a Roma ho assistito con i miei occhi ad un esempio del nuovo corso legalitario nazionale e capitolino. Ero alla fermata Atac di piazza delle cinque lune, davanti a Piazza Navona. Passa l'autobus numero trenta, si ferma e apre le porte, due vigili si avvicinano e guardano all'interno del veicolo. Poi intimano all'autista di non ripartire e salgono sul mezzo, si dirigono verso una famiglia rumena e la fanno scendere. Una volta a terra scatta la prassi. Documenti, chi è questa ragazza, di chi è il bambino e via dicendo. La storia finisce bene, la famiglia è in regola. Io guardavo la scena e con me una ragazza poco lontana. Eravamo abbastanza schifati. I due vigili devono aver sentito il nostro sguardo. Non hanno usato toni pesanti con la famiglia, e sembrava quasi si sentissero in imbarazzo e si chiedessero il senso di quella loro azione. Resta il fatto che, gentili o meno, il nuovo corso è sbarcato nella Capitale. I vigili devono obbedire ad Alemanno e ai suoi furori, e allora via sugli autobus a cercare i "pericolosi". Non so come finirà, so che assistere a quella scena mi ha fatto venire un brivido alla schiena. Io ho trent'anni e per mia fortuna non ho vissuto il periodo delle deportazioni, ma qualcosa del genere - differente nella follia e nel numero, ma simile nell'idea di fondo - deve essere accaduto. Quando si arriva a far scendere una famiglia con bambini piccoli da un mezzo pubblico, solo perchè appartiene ad un etnia, mi chiedo: quanto manca al disastro? 





I giornalisti scendono in piazza

11.06.2008    Da Osijek, scrive Drago Hedl

Manifestazione a Zagabria dei giornalisti croati dopo la brutale aggressione contro il collega Dušan Miljuš, di Jutarnji List, noto per le sue inchieste su mafia e politica. Sconcertanti dichiarazioni del ministro dell'Interno. La cronaca del nostro corrispondente


Più di trecento giornalisti croati hanno protestato venerdì scorso davanti al palazzo del Governo, irritati dall'inattività dalle forze di polizia, incapaci di trovare i colpevoli dei sempre più frequenti attentati contro di loro. La brutale aggressione al noto giornalista del quotidiano Jutarnji List, Dušan Miljuš, colpito con spranghe di metallo nell'atrio del palazzo in cui si trova il suo appartamento e finito in ospedale con una mano fratturata, commozione cerebrale e contusioni al volto, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e i suoi colleghi hanno perso la pazienza. Generalmente divisi e finora impreparati a simili azioni, i giornalisti si sono decisi a scendere in piazza e a dimostrare, ritenendo che comunicazioni e appelli, alla luce dei recenti attentati, non siano più sufficienti. 

Dušan Miljuš è un noto giornalista di Zagabria e uno dei più informati sul crimine organizzato e sul connubio tra mafia e politica. Alcuni mesi fa, sul famoso quotidiano zagabrese Večernji List, esponenti della malavita della capitale hanno pubblicato la sua epigrafe, nella rubrica in cui i giornali inseriscono gli annunci mortuari a pagamento. Si è trattato di un chiaro avvertimento a Miljuš su ciò che gli potrebbe accadere nel caso in cui si mettesse a scrivere sugli affari loschi e illegali della malavita, spesso intrecciati con l'alta politica. Miljuš non ci ha fatto caso, così come non si è curato delle minacce telefoniche che gli sono state indirizzate. 

Domenica primo giugno due persone dall'identità sconosciuta, in moto e con i caschi in testa, l'hanno seguito nel suo percorso usuale, dalla palestra fino al suo appartamento, dove hanno cercato di ucciderlo prendendolo a sprangate. Se non fosse riuscito ad alzare il braccio e a pararsi dal colpo alla testa, e se i vicini non fossero intervenuti, probabilmente non sarebbe rimasto in vita. 

“Ora non gli resta che uccidermi. Non c'è una terza possibilità. Sono contento di essere ancora vivo, ma non mollerò”, ha fatto sapere Miljuš dal letto d'ospedale. 

I giornalisti si sono particolarmente indignati per il fatto che il ministro dell'Interno Berislav Rončević, quando gli è stato chiesto quali provvedimenti prenderà dopo l'attentato a Dušan Miljuš, ha risposto con un'altra domanda: “Chi è Miljuš?”. 

Il giornalista di Jutarnji List Hrvoje Appelt, sdegnato dall'ignoranza del ministro, si è chiesto: ”Se il ministro della polizia non è a conoscenza del fatto che in Croazia c'è un giornalista che da 20 anni scrive sulla realtà del crimine organizzato nel paese, la domanda è quanto il ministro conosca questa realtà e soprattutto in che modo stia lottando contro i criminali.” 

In rivolta contro tale disinformazione da parte del ministro Rončević, che non conosce il nome di uno dei principali giornalisti che si occupa del crimine organizzato, degli scandali di corruzione e della mafia – quindi proprio di ciò che è di sua competenza – alla protesta i giornalisti indossavano una maglia con scritto “Chi è Rončević?”, una chiara allusione alla sua incompetenza. 

Quanto sia stata inopportuna per il governo Sanader l'infelice dichiarazione del ministro dell'Interno, dopo l'attentato al giornalista Miljuš, è testimoniato anche dal tacito consenso della polizia a permettere ai giornalisti ciò che agli altri cittadini è vietato. Trecento giornalisti, cioè, hanno letto la propria lettera di protesta al premier e al presidente del parlamento di fronte al palazzo del Governo, sulla piazza di S. Marco a Zagabria, dove gli incontri pubblici e le dimostrazioni dei cittadini sono vietati per legge. 

“Andiamo davanti alla loro porta!” ha detto Ivan Zvonimir Čičak, noto difensore dei diritti umani, per molto tempo presidente del Comitato di Helsinki per i diritti umani, che scrive editoriali sulle pagine di Jutarnji List. La polizia ha evidentemente ricevuto l'ordine di non intervenire, consapevole che il tentativo di fermare con la forza la protesta pacifica dei trecento giornalisti di fronte alla sede del Governo avrebbe provocato il malcontento dell'opinione pubblica. Dopo che i giornalisti hanno letto indisturbati le loro richieste davanti alla porta della sede del Governo, i poliziotti hanno ripreso a mettere in pratica la legge. Hanno impedito a due pirotecnici ventenni, che lavorano come sminatori in quelle che un tempo erano zone di guerra, di dimostrare di fronte al Governo perché insoddisfatti delle condizioni di lavoro e dei plurimi mesi di ritardo della paga. 

I giornalisti vogliono che la polizia trovi i responsabili dell'attentato a Miljuš, convinti che il mandante sia qualcuno della malavita. Negli ultimi tempi ci sono stati alcuni episodi di violenza nei confronti dei giornalisti croati, ma la polizia non ha trovato nessun responsabile. Lo stesso per quanto riguarda le minacce ai giornalisti, che la polizia non prende in serio conto, così che quando queste si traducono in violenza, non trova gli attentatori. 

Il giorno successivo all'attentato a Miljuš, il premier Ivo Sanader ha subito ricevuto i rappresentanti delle organizzazioni dei giornalisti e ha promesso loro che il Governo, nella persona del ministro dell'Interno, farà di tutto per trovare i responsabili. Il premier ha dato disposizioni a Rončević – lo stesso che ha affermato di non sapere chi è Miljuš – di fare il possibile per risolvere il caso. Per dare prova della sua attività, la polizia ha subito messo sotto protezione alcuni giornalisti che negli ultimi mesi sono stati esposti a serie minacce, ma gli attentatori di Miljuš, una decina di giorni dopo l'aggressione, non sono stati trovati. 

Tra i principali giornalisti croati in questi giorni si parla anche di un possibile sciopero generale, così da boicottare l'uscita dei quotidiani per un giorno e ridurre al minimo le trasmissioni televisive e radiofoniche. Questo per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sulle condizioni in cui lavorano i giornalisti croati e, inoltre, per fare pressione sul governo affinché si trovino coloro che li aggrediscono. 



Il 22 giugno 1941 i nazifascisti aggredivano l'Unione Sovietica.
Il 3 luglio successivo Giuseppe Stalin si rivolgeva al popolo con un discorso che riportiamo
di seguito, nella traduzione in lingua inglese.
Proprio oggi soprattutto in Russia e Bielorussia l'evento viene commemorato con iniziative
ufficiali, tra cui la visita del presidente russo Medvedev a quello bielorusso Lukashenko.
La ricorrenza non viene invece ricordata nei paesi occidentali, nei quali  ad uno stato
avanzato la riscrittura della storia del Novecento in termini filofascisti e filonazisti oltrech
antisovietici.
(a cura di AM per il CNJ)

STALIN'S ADDRESS TO THE SOVIET PEOPLE RE JUNE 22 NAZI INVASION

--- In SovietBelarus @yahoogroups.com, "cccp_3a_cccp" wrote:

RADIO ADDRESS OF 3 JULY 1941, BY JOSEPH STALIN, CHAIRMAN OF THE
COUNCIL OF PEOPLE'S COMMISSARS OF THE U.S.S.R.

As Transcribed and Translated by Soviet Russia Today, August, 1941


Comrades! Citizens! Brothers and sisters! Men of our army and navy!
I am addressing you, my friends!

The perfidious military attack on our Fatherland, begun on June 22nd
by Hitler Germany, is continuing.

In spite of the heroic resistance of the Red Army, and although the
enemy's finest divisions and finest airforce units have already been
smashed and have met their doom on the field of battle, the enemy
continues to push forward, hurling fresh forces into the attack.

Hitler's troops have succeeded in capturing Lithuania, a
considerable part of Latvia, the western part of Byelo-Russia, part
of Western Ukraine. The fascist airforce is extending the range of
operations of its bombers, and is bombing Murmansk, Orsha, Mogilev,
Smolensk, Kiev, Odessa and Sebastopol.

A grave danger hangs over our country.

How could it have happened that our glorious Red Army surrendered a
number of our cities and districts to fascist armies? Is it really
true that German fascist troops are invincible, as is ceaselessly
trumpeted by the boastful fascist propagandists? Of course not!

History shows that there are no invincible armies and never have
been. Napoleon's army was considered invincible but it was beaten
successively by Russian, English and German armies. Kaiser Wilhelm's
German Army in the period of the first imperialist war was also
considered invincible, but it was beaten several times by the
Russian and Anglo-French forces and was finally smashed by the Anglo-
French forces.

The same must be said of Hitler's German fascist army today. This
army had not yet met with serious resistance on the continent of
Europe. Only on our territory has it met serious resistance. And if,
as a result of this resistance, the finest divisions of Hitler's
German fascist army have been defeated by our Red Army, it means
that this army too can be smashed and will be smashed as were the
armies of Napoleon and Wilhelm.

As to part of our territory having nevertheless been seized by
Germany fascist troops, this is chiefly due to the fact that the war
of fascist Germany on the USSR began under conditions favorable for
the German forces and unfavorable for Soviet forces. The fact of the
matter is that the troops of Germany, as a country at war, were
already fully mobilized, and the 170 divisions hurled by Germany
against the USSR and brought up to the Soviet frontiers, were in a
state of complete readiness, only awaiting the signal to move into
action, whereas Soviet troops had still to effect mobilization and
move up to the frontier.

Of no little importance in this respect is the fact that fascist
Germany suddenly and treacherously violated the Non-Aggression Pact
she concluded in 1939 with the USSR, disregarding the fact that she
would be regarded as the aggressor by the whole world.

Naturally, our peace-loving country, not wishing to take the
initiative of breaking the pact, could not resort to perfidy.

It may be asked how could the Soviet Government have consented to
conclude a Non-Aggression Pact with such treacherous fiends as
Hitler and Ribbentrop? Was this not an error on the part of the
Soviet Government? Of course not. Non-Aggression Pacts are pacts of
peace between states. It was such a pact that Germany proposed to us
in 1939.

Could the Soviet Government have declined such a proposal? I think
that not a single peace-loving state could decline a peace treaty
with a neighboring state, even though the latter was headed by such
fiends and cannibals as Hitler and Ribbentrop. Of course only on one
indispensable condition, namely, that this peace treaty does not
infringe either directly or indirectly on the territorial integrity,
independence and honor of the peace-loving state. As is well known,
the Non-Aggression Pact between Germany and the USSR is precisely
such a pact.

What did we gain by concluding the Non-Aggression Pact with Germany?
We secured our country peace for a year and a half, and the
opportunity of preparing its forces to repulse fascist Germany
should she risk an attack on our country despite the Pact This was a
definite advantage for us and a disadvantage for fascist Germany.

What has fascist Germany gained and what has she lost by
treacherously tearing up the pact and attacking the USSR?

She has gained a certain advantageous position for her troops for a
short period, but she has lost politically by exposing herself in
the eyes of the entire world as a blood-thirsty aggressor.

There can be no doubt that this short-lived military gain for
Germany is only an episode, while the tremendous political gain of
the USSR is a serious lasting factor that is bound to form the basis
for development of decisive military successes of the Red Army in
the war with fascist Germany.

That is why our whole valiant Red Army, our whole valiant Navy, all
our falcons of the air, all the peoples of our country, all the
finest men and women of Europe, America and Asia, finally all the
finest men and women of Germany--condemn the treacherous acts of
German fascists and sympathize with the Soviet Government, approve
the conduct of the Soviet Government, and see that ours is a just
cause, that the enemy will be defeated, that we are bound to win.

By virtue of this war which has been forced upon us, our country has
come to death-grips with its most malicious and most perfidious
enemy--German fascism. Our troops are fighting heroically against an
enemy armed to the teeth with tanks and aircraft.

Overcoming innumerable difficulties, the Red Army and Red Navy are
self-sacrificingly disputing every inch of Soviet soil. The main
forces of the Red Army are coming into action armed with thousands
of tanks and airplanes. The men of the Red Army are displaying
unexampled valor. Our resistance to the enemy is growing in strength
and power.

Side by side with the Red Army, the entire Soviet people are rising
in defense of our native land.

What is required to put an end to the danger hovering over our
country, and what measures must be taken to smash the enemy?

Above all, it is essential that our people, the Soviet people,
should understand the full immensity of the danger that threatens
our country and should abandon all complacency, all heedlessness,
all those moods of peaceful constructive work which were so natural
before the war, but which are fatal today when war has fundamentally
changed everything.

The enemy is cruel and implacable. He is out to seize our lands,
watered with our sweat, to seize our grain and oil secured by our
labor. He is out to restore the rule of landlords, to restore
Tsarism, to destroy national culture and the national state
existence of the Russians, Ukrainians, Byelo-Russians, Lithuanians,
Letts, Esthonians, Uzbeks, Tatars, Moldavians, Georgians, Armenians,
Azerbaidzhanians and the other free people of the Soviet Union, to
Germanize them, to convert them into the slaves of German princes
and barons.

Thus the issue is one of life or death for the Soviet State, for the
peoples of the USSR; the issue is whether the peoples of the Soviet
Union shall remain free or fall into slavery.

The Soviet people must realize this and abandon all heedlessness,
they must mobilize themselves and reorganize all their work on new,
wartime bases, when there can be no mercy to the enemy.

Further, there must be no room in our ranks for whimperers and
cowards, for panic-mongers and deserters. Our people must know no
fear in fight and must selflessly join our patriotic war of
liberation, our war against the fascist enslavers.

Lenin, the great founder of our State, used to say that the chief
virtue of the Bolshevik must be courage, valor, fearlessness in
struggle, readiness to fight, together with the people, against the
enemies of our country.

This splendid virtue of the Bolshevik must become the virtue of the
millions of the Red Army, of the Red Navy, of all peoples of the
Soviet Union.

All our work must be immediately reconstructed on a war footing,
everything must be subordinated to the interests of the front and
the task of organizing the demolition of the enemy.

The people of the Soviet Union now see that there is no taming of
German fascism in its savage fury and hatred of our country which
has ensured all working people labor in freedom and prosperity.

The peoples of the Soviet Union must rise against the enemy and
defend their rights and their land. The Red Army, Red Navy and all
citizens of the Soviet Union must defend every inch of Soviet soil,
must fight to the last drop of blood for our towns and villages,
must display the daring initiative and intelligence that are
inherent in our people.

We must organize all-round assistance for the Red Army, ensure
powerful reinforcements for its ranks and the supply of everything
it requires, we must organize the rapid transport of troops and
military freight and extensive aid to the wounded.

We must strengthen the Red Army's rear, subordinating all our work
to this cause. All our industries must be got to work with greater
intensity to produce more rifles, machine-guns, artillery, bullets,
shells, airplanes; we must organize the guarding of factories, power-
stations, telephonic and telegraphic communications and arrange
effective air raid precautions in all localities.

We must wage a ruthless fight against all disorganizers of the rear,
deserters, panic-mongers, rumor-mongers; we must exterminate spies,
diversionists and enemy parachutists, rendering rapid aid in all
this to our destroyer battalions.

We must bear in mind that the enemy is crafty, unscrupulous,
experienced in deception and the dissemination of false rumors We
must reckon with all this and not fall victim to provocation.

All who by their panic-mongering and cowardice hinder the work of
defence, no matter who they are, must be immediately haled before
the military tribunal. In case of forced retreat of Red Army units,
all rolling stock must be evacuated, the enemy must not be left a
single engine, a single railway car, not a single pound of grain or
a gallon of fuel.

The collective farmers must drive off all their cattle, and turn
over their grain to the safe-keeping of State authorities for
transportation to the rear. All valuable property, including non-
ferrous metals, grain and fuel which cannot be withdrawn, must
without fail be destroyed.

In areas occupied by the enemy, guerrilla units, mounted and on
foot, must be formed, diversionist groups must be organized to
combat the enemy troops, to foment guerrilla warfare everywhere, to
blow up bridges and roads, damage telephone and telegraph lines, set
fire to forests, stores, transports.

In the occupied regions conditions must be made unbearable for the
enemy and all his accomplices. They must be hounded and annihilated
at every step, and all their measures frustrated.

This war with fascist Germany cannot be considered an ordinary war.
It is not only a war between two armies, it is also a great war of
the entire Soviet people against the German fascist forces.

The aim of this national war in defense of our country against the
fascist oppressors is not only elimination of the danger hanging
over our country, but also aid to all European peoples groaning
under the yoke of German fascism.

In this war of liberation we shall not be alone. In this great war
we shall have loyal allies in the peoples of Europe and America,
including the German people who are enslaved by the Hitlerite
despots.

Our war for the freedom of our country will merge with the struggle
of the peoples of Europe and America for their independence, for
democratic liberties.

It will be a united front of peoples standing for freedom and
against enslavement and threats of enslavement by Hitler's fascist
armies.

In this connection the historic utterance of the British Prime
Minister Churchill regarding aid to the Soviet Union and the
declaration of the United States Government signifying its readiness
to render aid to our country, which can only evoke a feeling of
gratitude in the hearts of the peoples of the Soviet Union, are
fully comprehensible and symptomatic.

Comrades, our forces are numberless. The overweening enemy will soon
learn this to his cost. Side by side with the Red Army many
thousands of workers, collective farmers, intellectuals are rising
to fight the enemy aggressor. The masses of our people will rise up
in their millions.

The working people of Moscow and Leningrad have already commenced to
form vast popular levies in support of the Red Army. Such popular
levies must be raised in every city which is in danger of enemy
invasion, all working people must be roused to defend our freedom,
our honor, our country--in our patriotic war against German Fascism.

In order to ensure the rapid mobilization of all forces of the
peoples of the U.S.S.R. and to repulse the enemy who treacherously
attacked our country, a State Committee of Defense has been formed
in whose hands the entire power of the State has been vested.

The State Committee of Defense has entered upon its functions and
calls upon all people to rally around the Party of Lenin-Stalin and
around the Soviet Government, so as to self-denyingly support the
Red Army and Navy, demolish the enemy and secure victory.

All our forces for support of our heroic Red Army and our glorious
Red Navy! All forces of the people--for the demolition of the enemy!

Forward, to our victory!

--- End forwarded message ---


Proseguiamo la rassegna di contributi sul tema dei secessionismi anticinesi. Molti altri articoli sul tema sono raccolti alla pagina: https://www.cnj.it/documentazione/cina.htm 



www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 08-04-08 - n. 222

 

Tibet: lanceranno gli USA una nuova guerra segreta sotto il «tetto del mondo»?
 
17.03.2008
di Andrej Аreshev

 

Continuano ormai da una settimana i disordini scoppiati (a prima vista inaspettatamente) nella Repubblica popolare cinese all'interno della regione autonoma del Tibet. Le manifestazioni iniziate dai monaci buddisti in occasione dell'anniversario dell'unione del Tibet con la Cina sono sfociate in scontri di massa con la polizia e pogrom. I tragici avvenimenti, coincisi con la sessione ordinaria dell'Assemblea Nazionale dei rappresentanti del Popolo[1], hanno assunto dimensioni serie, causando diversi morti e costringendo Pechino a mobilitare per placare i disordini anche parte dell'esercito regolare.

 

Fonti occidentali informano di un'estensione dei moti alle province vicine al Tibet (in particolare lo Sichuan[2]) e di repressioni di massa da parte delle autorità cinesi, raffigurando queste ultime con un taglio estremamente negativo. La mente corre subito a un fatto analogo, ovvero la rappresentazione da parte dei media occidentali dell'intervento della polizia ed esercito jugoslavi in Kosovo nel 1998, immediatamente prima dell'aggressione da parte della Nato. Le informazioni di prima mano, di cui è difficile attestare veridicità e completezza, provengono principalmente dai circoli tibetani che hanno sede nei Paesi vicini e dalle ONG occidentali che difendono i diritti umani.

 

Così, secondo il portavoce del «governo tibetano in esilio» Thubten Samphel, ci sono già 80 morti e 72 feriti durante le azioni di protesta. Queste cifre sarebbero confermate da molti testimoni oculari in Tibet che avrebbero contato i cadaveri. Fonti ufficiali cinesi parlano di 10 morti. Alcune informazioni provenienti da fonti pro-tibetane rappresentano apertamente scenari tragici: parlano di massacri di tibetani da parte di soldati cinesi e riportano che “i tibetani che vivono nella storica provincia di Amdo[3], non sono intenzionati ad arrendersi e continueranno strenuamente le azioni di protesta persino fino all'inizio delle Olimpiadi di Pechino”[4].

 

Gli sviluppi di questa vicenda, di fatto, possono arrecare un danno non da poco alla Cina alla vigilia delle Olimpiadi estive di quest'anno. L'agenzia Associated Press scrive: “Le manifestazioni a Lhasa hanno rappresentato per il governo di Pechino la sfida più seria degli ultimi vent'anni in Tibet, scatenando un'ondata di proteste in tutto il mondo e mettendo la Cina in cattiva luce alla vigilia dei Giochi olimpici”[5]. Tuttavia, quanto sta accadendo sul tetto del mondo, assume un significato geopolitico ben più ampio

 

Gli esperti, di fronte ad avvenimenti che ormai accadono in più continenti – in Africa[6] piuttosto che in America Latina, in Birmania[7], in Asia Centrale, nel Medio Oriente o in Pakistan – sottolineano una presenza ormai ricorrente di elementi riconducibili alla contrapposizione fra USA e Cina, non sempre evidente, ma non per questo meno forte. In particolare, una della cause dell'intervento contro l'Iraq e delle minacce rivolte incessantemente all'Iran, è il tentativo di rinchiudere la Cina nella gabbia della sua fame energetica[8].

 

Di sicuro anche le difficoltà di questi giorni, in cui versa il suo avversario geopolitico fondamentale, saranno oggetto da parte di Washington di tentativi di totale strumentalizzazione e di direzione del corso degli eventi verso scenari a esso favorevoli. Il Segretario generale USA Condoleeza Rice ha già richiamato Pechino alla «moderazione» per superare l'attuale crisi politica nella regione autonoma del Tibet. Esprimendo cordoglio per le vittime civili a causa dei disordini occorsi a Lhasa, capoluogo del Tibet, successivamente alle proteste pacifiche, la Rice si è detta preoccupata per le informazioni di un crescente concentramento di polizia ed esercito nei luoghi degli scontri e ha chiamato entrambe le parti a rinunciare alla violenza. Su come incendi e devastazioni su vasta scala male si attaglino all'etichetta di “proteste pacifiche”, la signora Segretario di Stato ha preferito non fare menzione. Non ha perso occasione però per ricordare che il presidente Bush “richiama di continuo il governo cinese a un dialogo costruttivo” con l'autorità spirituale dei buddisti tibetani, il Dalai Lama, sia direttamente, sia tramite suoi rappresentanti. In nome dell'amministrazione USA la Rice ha fatto appello a Pechino perché corregga quegli aspetti della sua politica verso il Tibet, “che hanno condotto a tensioni nelle sfere della religione, della cultura e dei mezzi di sostentamento locali”.

 

Si deve tener conto che negli ultimi anni il movimento nazionalista tibetano si è radicalizzato notevolmente: non sarà facile per Pechino scendere con esso a patti. Ne danno testimonianza indiretta le dimensioni e la buona organizzazione delle proteste, compresa l'ondata di dimostrazioni anticinesi occorse contemporaneamente in molti Paesi, dagli USA alla Francia, dal Nepal all'Australia. Le vicende legate all'indipendenza del Kosovo non potevano non ispirare i fautori della piena indipendenza tibetana dalla Cina. A Washington lo sanno e stanno continuando a puntare sul Dalai Lama come fautore di «forme di protesta non violenta», un novello «Ibrahim Rugova tibetano». Il capo spirituale tibetano gode in Occidente di ampio sostegno; a questo proposito basti ricordare il suo incontro con George Bush senior in occasione della cerimonia di premiazione in cui il Dalai Lama fu conferito della medaglia d'oro del Congresso USA nell'Ottobre del 2007.

 

Il Dalai Lama ha già chiesto un'inchiesta internazionale per la repressione degli atti di protesta in Tibet. “Le organizzazioni internazionali competenti devono investigare sulla situazione in Tibet sempre più complicata e chiarirne le cause”, così si è pronunciato in una sua dichiarazione a Dharamsala[9], definendo le azioni delle autorità cinesi come «genocidio culturale»[10].

 

Di fatto, il Dalai Lama volente o nolente sta preparando il terreno per forze ben più radicali, che son già ora pronte a colpire, avendo dalla loro il sostegno politico, propagandistico e di altro genere, anzi tutto da oltreoceano.

 

Il coinvolgimento USA negli affari interni del popolo tibetano e nei suoi rapporti con Pechino risale a diversi decenni fa. In pratica, subito dopo l'unificazione del Tibet alla Cina nel 1949 e l'annessione delle province di Kham e Amdo[11] nel 1956 la CIA, su iniziativa del governo USA, iniziò fra quelle montagne una «guerra segreta». Nell'ottobre 1957 da un aeroporto vicino a Dacca si alzò in volo un aeroplano senza segni di riconoscimento, con a bordo i primi due tibetani, addestrati per un mese dalla CIA. Atterrarono nell'area loro assegnata non lontano da Lhasa e presero subito contatto con il capo dei rivoltosi locali. Iniziò l'insurrezione a Lhasa e il Dalai Lama lasciò il Paese. Nel 1958 oltre 30 tibetani nella massima segretezza iniziarono l'addestramento nella base USA di Camp Hale in Colorado. A oggi per quel campo di addestramento ne sono passati oltre 300. Nel luglio del 1959 la CIA iniziò il rifornimento aereo di armi, munizioni e soldati addestrati che arrivavano in Tibet grazie a C-130 che partivano da una base segreta in Thailandia. Così, dal 1957 al 1960 furono trasportate circa 400 tonnellate di merce. In una di queste operazioni diversive condotte dai guerriglieri tibetani rimase ucciso il comandante del distretto militare del Tibet occidentale, il quale recava con sé documenti importantissimi del PCC. Fu così che a Langley[12] finirono informazioni preziose sulla situazione interna in Cina, sulla consistenza del suo esercito, sul suo programma nucleare e sui primi attriti nei rapporti fra Mosca e Pechino. All'inizio degli anni '60 le spese dell'intelligence a stelle e strisce in Tibet ammontavano a 1,7 milioni di dollari all'anno, di cui $ 500.000 erano per il mantenimento di 2100 ribelli (fra cui 800 guerriglieri armati), con base principalmente in Nepal, e $ 180.000 «per le necessità personali del Dalai Lama». Successivamente, quando i rapporti fra Washington e Pechino migliorarono, l'attività dei servizi segreti in Tibet fu temporaneamente sospesa. Alla popolazione tibetana questa avventura della CIA costò complessivamente 87.000 morti fra moti di piazza repressi e scontri armati…[13]

 

Si presti attenzione al fatto che in quegli anni il ruolo della Cina e dell'economia cinese[14] negli affari mondiali non era ancora così chiaramente espresso come oggi. Ciò nondimeno Washington non ha mai smesso di esercitare un'interferenza attiva negli affari interni della RPC e, nella fattispecie, in uno fra i suoi più «difficili» territori di confine. Ciò è ancor più emblematico al giorno d'oggi, quando la lotta per l'influenza nel mondo e per le sue risorse è divenuta ancor più aspra. Al posto del Dalai Lama, quando avrà compiuto la sua missione, verranno altre persone le quali, appoggiandosi all'aiuto esterno, cercheranno di minacciare l'unità statuale e territoriale della Cina. Oltre al Tibet si troveranno altri punti di «applicazione della forza»: lo Xinjiang, o Regione autonoma uighura, piuttosto che la Mongolia interna... Complicazioni con l'estero inoltre non si faranno attendere molto. Si può concludere che l'attuale situazione si ripercuoterà sui rapporti fra Cina e India[15], quest'ultima oggetto da parte di Washington di un forte tentativo di attrazione nella propria orbita[16], e non solo.

 

I disordini in Tibet possono aver un'imprevedibile eco in Russia, particolarmente in regioni con una presenza significativa di fedeli buddisti. Manifestazioni di solidarietà per i dimostranti tibetani[17] potrebbero aver luogo in regioni russe come la Kalmykia, Burjatija e Tyva. Choj-Dorzhi Budaev[18], presidente della comunità buddista «Lamrim» (Burjatija) e dell'Autorità spirituale centrale buddista, ha già espresso il proprio auspicio che i fatti in Tibet portino a mutamenti democratici nella società cinese. A suo dire, la democrazia prese piede in Russia soltanto in seguito ai famosi fatti degli anni '90 che tanta eco internazionale suscitarono. Ha detto Budaev: “Voglio credere che anche i fatti allarmanti in Tibet a cui noi oggi siamo testimoni, in ultima analisi portino alla democratizzazione della società cinese”[19].

 

Tali tentativi di forze esterne di proporre in Cina scenari di «democratizzazione» alla maniera di Gorbachev e El'cyn, portano direttamente quanto accade in Tibet nella sfera della politica interna ed estera russa.

 

Per la scrittura di questo lavoro sono stati impiegati frammenti dell'articolo di Melinda Liu “CIA: una guerra segreta sul tetto del mondo” (CIA: a secret war on the roof of the world” (Newsweek, 16 agosto 1999 [20]).

 

Traduzione dal russo per www.resistenze.org di Paolo Selmi
 

 

[1]    L'Autore rimanda a un lungo articolo apparso sullo stesso sito in due puntate: “La Cina nel 2007-2008: bilanci,problemi, prospettive” (Китай в 2007-2008 годах: итоги, проблемы, перспективы (I-II) http://fondsk.ru/article.php?id=1287 e http://www.fondsk.ru/article.php?id=1290), sfortunatamente non ancora disponibile né in inglese né in italiano, che riprende e commenta i lavori dell'ultima sessione dell'ANP. L'ANP, in cinese Quánguó Rénmín Dàibiǎo Dàhuì (全国人民代表大会), corrisponde al nostro Parlamento. Per un approfondimento sul suo funzionamento, cfr. “Le istituzioni "parlamentari" della Repubblica Popolare Cinese” di Alessandra Lavagnino, in http://www.tuttocina.it/mondo_cinese/106/106_lava.htm ; il sito ufficiale dell'ANP è http://www.npc.gov.cn/npc/xinwen/index.htm con un ampia sezione in inglese comprendente fra l'altro la traduzione dei lavori svolti durante l'ultima sessione (marzo 2008).
[2]    La Repubblica Popolare Cinese, in cinese Zhōnghuá Rénmín Gònghéguó (中华人民共和国), ha una suddivisione amministrativa che utilizza termini presenti anche nella nostra classificazione, assegnando loro tuttavia significati diversi: in pratica il territorio è ripartito a un primo livello (che noi definiremmo “regionale”) in 33 suddivisioni di diversa denominazione secondo lo status politico e il grado di capacità amministrativa riconosciuto loro dal governo centrale. Per questo 22 suddivisioni si chiamano “province” (省 shěng), 5 “regioni autonome” (自治区 zìzhìqū), 4 “municipalità” (直辖市 zhíxiáshì) e 2 “regioni amministrative speciali” (特别行政区 tèbié xíngzhèngqū). Per un ulteriore approfondimento cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Suddivisione_amministrativa_della_Cina , che comprende anche una buona carta regionale della Cina.
[3]    Amdo (in cinese Ānduō, 安多) è una “provincia culturale” (wénhuà dìqū文化地区), ovvero storicamente mai stata un'entità amministrativa a sé stante, che si colloca fra la regione autonoma del Tibet e le provincie di Qinghai e Sichuan. Per una breve scheda cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Amdo
[4]    Nota dell'Autore che riporta una frase dal sito http://savetibet.ru/2008/03/16/people_killed_in_tibet.html, in cui si scrive di otto cadaveri di tibetani portati entro le mura del monastero di Ngaba Kirti. 
[5]    La fonte è ripresa da un articolo di savetibet.ru (http://savetibet.ru/2008/03/16/dalai_lama_about_protests.html) che rimanda però a un collegamento dell'originale in inglese ormai scaduto.
[6]    Cfr. dello stesso Autore, “USA e RPC nel continente africano: due strategie a confronto” (США и КНР на Африканском континенте: две стратегии) in http://www.fondsk.ru/article.php?id=173
[7]    Cfr. di Andrej Volodin, “Myanmar: il contesto geopolitico della «rivoluzione zafferano»” (Мьянма: геополитический контекст «шафрановой революции») in http://www.fondsk.ru/article.php?id=1157
[8]    L'Autore in nota cita di К. Simonov, “La guerra energetica globale (Глобальная энергетическая война), Mosca, Algoritm, 2007. pp. 130 e segg.
[9]    L'Autore nota come “fra l'altro, non molto tempo fa, anche Levon Ter-Petrosian promosse un appello per una commissione d'inchiesta internazionale sui tragici fatti in Armenia del 1 e 2 marzo, fra l'altro provocati dai suoi stessi sostenitori. La stessa tipologia di questi eventi, come la tattica adottata in entrambi i casi di affidare le azioni a “dimostranti pacifici”, permette di individuare una similarità di mezzi con l'aiuto dei quali si cerca di creare un “caos controllato” in regioni così diverse come il Caucaso meridionale (ovvero l'area occupata da Georgia, Armenia e Azerbaijan, N.d.T.) e l'Asia orientale”. Quindi cita articoli correlati a questo tema apparsi sullo stesso sito, fra cui il già tradotto in italiano da Resistenze “L'Armenia dopo i moti di piazza” (Армения после мятежа), in http://www.resistenze.org/sito/te/po/am/poam8c18-002824.htm. Per gli altri articoli al momento esiste solo la versione in inglese (“An orange revolution scenario in Armenia: final countdown” in http://en.fondsk.ru/article.php?id=1254 e “Ter-Petrosyan’s Objective: International Inquiry into the March 1 Events in Armenia” in http://en.fondsk.ru/article.php?id=1266 )
[10] Cfr. la campagna di propaganda di seguito alla distruzione delle sculture buddiste da parte dei talebani in Afghanistan nel 2001, propedeutica all'azione NATO in quel Paese.
[11] In pratica la provincia culturale di Kham (in cinese 康, Kāng, una delle tre province culturali tibetane) rientrava nella sua parte occidentale nel territorio della Regione Autonoma del Tibet (che si componeva quindi del suo territorio e di quello della provincia culturale dello Ü-Tsang, in cinese 衛藏 Wèizàng), mentre nella parte orientale si collocava nelle diverse province cinesi a esso confinanti. Per questo l'Autore differenzia sullo stato amministrativo del Tibet, Regione Autonoma e parte contraente l' “Accordo in 17 punti” (十七条协议, Shíqìtiào Xiéyì) siglato a Pechino del 1951 e che prevedeva una gradualità nell'applicazione delle politiche rivoluzionarie, e delle due province culturali di Kham e Amdo, a tutti gli effetti parte di province cinesi e sottoposte quindi all'amministrazione ordinaria, a partire dall'immediata socializzazione dei mezzi di produzione. Per un approfondimento sulle tre province culturali cinesi, oltre alla pagina sull'Amdo già citata, cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Kham e http://en.wikipedia.org/wiki/Amdo , (N.d.T.)
[12] Città in Virginia, sede della CIA (N.d.T.)
[13] Per una cronaca dettagliata di quanto avvenne in quei tragici anni cfr. il paragrafo “Putting Down the Armed Rebellion” in “The Historical Status of China's Tibet”, ed. China Intercontinental Press, testo molto accurato e storicamente valido, gratuitamente consultabile e scaricabile all'indirizzo http://www.tibetinfor.com/english/services/library/serialise/h_status/menu.htm (N.d.T.)
[14] L'Autore cita l'articolo pubblicato sullo stesso sito “Dal “Washington consensus” al “Beijing consensus”: cambiamento di rotta nell'economia mondiale” (Пекинский консенсус – смена вех в мировой экономике, http://www.fondsk.ru/article.php?id=721) purtroppo non disponibile né in italiano né in inglese.
[15] L'Autore rimanda a un articolo pubblicato sullo stesso sito e di cui esiste la versione in inglese: “China - India - Russia: “forgotten tune” of world politics” (http://www.fondsk.ru/article.php?id=1273)
[16] L'Autore cita un interessante articolo sullo stesso sito, purtroppo non ancora tradotto né in italiano né in inglese, dal titolo “Il fattore India nella geopolitica USA” (Индийский фактор в геополитике США)
[17] Sempre l'Autore rimanda all'interessante articolo pubblicato sullo stesso sito e dal titolo “Lo spettro del pan-mongolismo a Est degli Urali” (Призрак панмонголизма к востоку от Урала, http://www.fondsk.ru/article.php?id=1286 ), purtroppo ancora solo accessibile nell'originale russo.
[18] Per un'intervista a Choj-Dorzhi Budaev (Чой-Доржи Будаев), ma soprattutto per la foto che lo ritrae insieme al Dalai Lama e per la riflessione che suggerisce sull'immensa ricchezza di etnie che popolano lo sterminato territorio russo, cfr. http://baikal-media.com/2006/09/04/choi-dorzhi-budaev-buryatskii-narod-nedoumevaet
[19] Frase pronunciata in un'intervista concessa al sito savetibet.ru http://savetibet.ru/2008/03/16/buryatia_and_tibet.html
[20] L'originale si trova in http://www.newsweek.com/id/89265 e nelle 4 pp. successive (N.d.T.)



STUPRO ETICO (O UMANITARIO)



ONU - LO STUPRO È ARMA DI GUERRA

Autore: informa-azione.info

New York, 20 giu. (Adnkronos) - Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha votato all'unanimita' una risoluzione, la 1.820, che definisce lo stupro un'arma di guerra. Il documento descrive il deliberato uso della violenza sessuale come una tattica di guerra e una minaccia alla sicurezza internazionale. Per il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, la violenza contro le donne ha raggiunto "proporzioni indescrivibili".

Lo stupro è un arma e l'Onu ha il suo mostruoso arsenale. Seguono brevi estratti sull'argomento.

Haiti, MINUSTAH: 2005, 3 caschi blu accusati di stupro

Burundi, ONUC : 2004-2005, 5 casi accertati di abusi su minori

Costa d'Avorio, UNOCI: 2001, abusi sessuali a bambini in cambio di aiuti umanitari

Etiopia e Eritrea, UNMEE: 2003, caschi blu girano video pornografici. 2001, due soldati Onu accusati di molestie a minori

Liberia, UNMIL: 2005, 8 caschi blu accusati di molestie sessuali. 2001, abusi sessuali a bambini in cambio di aiuti umanitari

Rep. Dem. Congo, MONUC: 2005, 150 casi di abusi accertati

Sierra Leone, UNAMSIL: 2001, abusi sessuali a bambini in cambio di aiuti umanitari

Kosovo, UNMIK: nel 2000 l'80% dei clienti della prostituzione era personale delle missioni umanitarie; oggi è il 20%, ma il traffico è cresciuto dell'80%

Timor Est, UNMISET: 2003, viene aperta un'inchiesta su un traffico di prostituzione organizzato dai caschi blu

* * *

A settembre, la rivista medica britannica “The Lancet” pubblica un rapporto sconvolgente in cui si dice che durante il colpo di stato ad Haiti, guidato dagli USA dopo la destituzione nel 2004 del presidente democraticamente eletto Jean Bertrand Aristide, 8.000 persone sono state uccise e 35.000 donne e ragazze violentate. Tra i responsabili di queste azioni compaiono la polizia haitiana, bande, e “peacekeeper” ONU.

[...] una ragazza di sedici anni ha riferito di essere stata rapita e violentata, all'interno di una base navale delle Nazioni Unite, da un militare brasiliano, quando aveva quattordici anni. I genitori della giovane hanno denunciato il fatto alle autorità dell'ONU presenti sul territorio, ma, nonostante le evidenti prove mediche, il soldato in questione è stato rimpatriato senza alcun provvedimento. Un'altra bambina ha affermato di essere stata stuprata da un peacekeeper a soli undici anni, e altri militari sono stati accusati di usufruire della prostituzione locale (anche minorile).

Una ragazzina di 13 anni ha raccontanto alla Bbc come un gruppo di 10 peacekeeper dell’Onu l’ha violentata in un campo vicino la sua casa, abbandonandola a terra sanguinante e terrorizzata. Nessuna sanzione è stata comminata ai soldati.

* * *

L'organizzazione umanitaria britannica Save the Children, che ha effettuato alcune ricerche in Costa d'Avorio, Sudan e Haiti, ha rivelato che numerosi bambini, anche di 6 anni, nelle zone di guerra o di crisi hanno subìto violenze sessuali, da parte di operatori umanitari e peacekeeper ONU.

Le vittime sono prevalentemente orfani, o separati dai genitori, o con famiglie che dipendono dagli aiuti umanitari. A prevalere per numero sono le bambine rispetto ai maschi e l'età media delle vittime è di 14-15 anni, anche se il rapporto parla di abusi anche a danni di bambini di 6 anni. Numerose le forme di abuso descritte dagli intervistati: le più frequenti sono commenti, frasi dal pesante e volgare contenuto sessuale, cioè “abusi verbali” (sono testimoniati dal 65% degli intervistati e partecipanti ai 38 focus group di Save the Children); segue il sesso “coatto” (secondo il 55% degli intervistati), a cui i minori sono indotti magari in cambio di cibo, soldi, sapone, in rari casi di beni “di lusso” come il cellulare. Frequenti anche le molestie (attestate dal 55% degli intervistati). Benché meno frequente (denunciata dal 30% degli intervistati), la violenza sessuale di singoli ma anche di gruppi su minori emerge come la più temuta.

Per quanto riguarda il profilo o la provenienza degli abusanti, il rapporto rileva che possono appartenere a qualsiasi organizzazione, sia essa umanitaria, o di peacekeeping o di sicurezza; avere qualsiasi livello o grado, dai più bassi – guardie, autisti – ai più alti, manageriali; fare parte dello staff locale o internazionale.
Un dato confermato anche dalle Nazioni Unite: sul totale delle denunce di sesso con minori a carico di operatori ONU nel 2005, 60 su 67 riguardano le truppe del Dipartimento ONU delle Operazioni di Peacekeeping (DPKO).

fonti: volontariperlosviluppo, ecplanet, lastampa




vedi anche:
Bolivia: il secessionismo... croato ha fallito
Il referendum secessionista in Bolivia è stato un totale fallimento / EVO MORALES: "IL SECESSIONISMO HA FALLITO" / Sulla vera natura del cosiddetto movimento autonomista cruceno in Bolivia / Più di 2.500 intellettuali hanno firmato l’appello in solidarietà con la Bolivia / L'ambasciatore Usa Goldberg: dal Kosovo alla Bolivia

see also:
La Paz - Berlin: Divide and Rule
The Conspiracy to Divide Bolivia Must Be Denounced

siehe auch:
Newsletter vom 17.06.2008 - Spalte und herrsche

voir aussi:
Evo Morales - "Il y a un risque de coup d'Etat" 
Gaston Cornejo Bascopé - Rapport sur le problème politique actuel que rencontre notre Bolivie 
Benito Pérez - Des propriétaires prennent les armes contre la réforme agraire
Romain Migus - Emission spéciale "Bolivie" sur Radio Venezuela en direct
Nous dénonçons la conspiration pour diviser la Bolivie


Bolivia Action Solidarity Network (BASN)

The U.S. Ambassador who left Yugoslavia in a thousand pieces is now in Bolivia

Thu, 05/15/2008 - 20:14 — tupaj
By: Wilson Garcia Merida
www.llactacracia.org

Translation: Roberto Verdecchia
January 19, 2007

He presented his credentials to President Evo Morales on October 13, but three months before his arrival in Bolivia, while still in Pristina serving as head of the U.S. mission in Kosovo, it was already being said that Philip Goldberg, the new American ambassador appointed by George Bush to this Andean country, would come to take part in the separatist process that had begun to form against the Bolivian Government.
On July 13, 2006, Leopoldo Vegas, a journalist with El Deber of Santa Cruz, published an article stating that "according to three political scientists consulted after the White House appointment, the experience acquired by Goldberg in Eastern Europe, where ethnic struggles occurred after the separation of the former Yugoslavia, can be used in Bolivia, given the changes the current government intends to introduce."
One of those interviewed by Vegas was Róger Tuero, an academic and former director of Political Science at the 'Gabriel Rene Moreno Autonomous University' (UAGRM) in Santa Cruz, who stated that the experience of every ambassador is crucial to American diplomacy.
"It is not by chance that this man was transferred from Kosovo to Bolivia," said Tuero.
Ambassador Goldberg is now a major political and logistical pillar of the Prefect of Cochabamba Manfred Reyes Villa, who set up the worst ethnic, social, regional and institutional crisis ever to take place in the history of Bolivia.

Who is Philip Goldberg?

According to the resume officially circulated by the U.S. Embassy in La Paz, Philip Goldberg participated from the beginning of the Yugoslavian civil war that erupted in the nineties, to the fall and prosecution of Serbian President Slobodan Milosevic.
From 1994 to 1996, he served as a "desk officer" of the State Department in Bosnia, where the conflict between Albanian separatists and Serbian and Yugoslavian security forces arose.
In that same period, he served as Special Assistant to Ambassador Richard Holbrooke, the architect of the disintegration of Yugoslavia and the fall of Milosevic.
"In that position," the Embassy stated, "Goldberg was a member of the U.S. negotiating team in the preparation of the Dayton Peace Conference, and head of the U.S. Delegation in Dayton."
Ambassador Goldberg was also a political and economic officer in Pretoria, South Africa, and a consular and political officer in the U.S. Embassy in Bogota, Colombia, where he first became interested in Latin American politics.
After serving as Deputy Chief of the U.S. Embassy in Santiago de Chile from 2001 to 2004, Goldberg returned to the Balkans to head the U.S. mission in Pristina, capital of Kosovo, from where he supported the prosecution of former dictator Milosevic at the Hague Tribunal.

From Kosovo to Bolivia

Before his transfer to Bolivia, Goldberg worked in Kosovo for the separation of Serbia and Montenegro, which occurred last June as the final act of the disappearance of Yugoslavia.
The disintegration of Yugoslavia took place during a decade of bloody civil war led by processes of "decentralization" and "autonomy". These were finally imposed with American military intervention and the presence of troops from NATO and the UN who occupied the Balkans to pacify the region.
The Yugoslavian civil war was characterized by "ethnic cleansing", consisting of the expulsion and annihilation of traditional ethnic groups who formed the territories of Yugoslavia. The most cruel racial extermination took place between Serbs and Croats.

Just three months after the arrival of Ambassador Goldberg, Bolivia, like the Balkans, began to undergo an exacerbated process of racism and separatism, directed from the eastern city of Santa Cruz. Santa Cruz is governed by an elite composed of, among others, businessmen of Croatian origin who created a federalist movement called "Camba Nation."
One of the main Cruceño leaders of the separatist movement is Branco Marinkovic, an agri-businessman and partner of Chilean capitalists, who in February 2007 will become the head of the Civic Committee of Santa Cruz, the organization driving the process against the government of Evo Morales.

Separatist Autonomy

Beside Santa Cruz, Marinkovic's "Camba Nation" encompasses the departments of Beni, Pando and Tarija (home to the biggest natural gas deposits in Bolivia), whose populations voted for departmental autonomy in a referendum held in July 2006. Together, they form the so-called "Crescent" region of the eastern half of the country.

The western departments of La Paz, Chuquisaca, Potosi, Oruro and Cochabamba voted No to this autonomy, maintaining their direct link with the central government of Evo Morales and distancing themselves from the four departments of the autonomy-seeking "Crescent".
This movement of separatist "autonomy" intensified through an impromptu decision by the government of former president Carlos Mesa in 2004, when "Camba Nation" pressured for the direct election of Prefects (departmental governors) through town meetings and strikes. Previously, prefects were appointed directly by the President to maintain the unity of the Executive Branch. Now, new President Evo Morales is not able to exercise this power and is instead forced to govern almost separately from the four autonomic Prefects.
In Cochabamba – a Department located directly between the eastern and western regions of the country – prefect Manfred Reyes Villa, abusing his elected status, tried to ignore the results of the July 2 referendum and force a new one that would unite Cochabamba with the 'Crescent', breaking the fragile balance between those for "autonomy" and those against. An alternative to separatism was in fact beginning to take shape in Cochabamba – an 'integrative megaregional' approach that contrasted with the model of Departmental autonomies.

The Attack in Cochabamba Despite having already been decided by the ballot-box, Reyes Villa tried to force through this new autonomy referendum, mobilizing the most conservative urban sectors of Cochabamba society.
The popular movement and particularly the agricultural and indigenous organizations of the 16 provinces of this Department who had been demandingnpeasant co-management in the prefectural administration instead of then exclusive and corrupt way that Reyes Villa had ruled from the city of Cochabamba (the Department capital), arrived in the city to demand changes to the Prefect's policy.
Ignoring the just demand of the provinces, Reyes Villa promoted the organization of fascist youth groups, aided by the Cruceñista Youth Union which operates in Santa Cruz, in order to "expel the native indians from the city." This is how the fateful day of January 11 erupted, when a violent raid took place that ended with two people dead and 120 seriously wounded, most of them peasants. On this day, when thousands of "Sons of the Fatherland" armed with truncheons, baseball bats, golf clubs, iron pipes and even firearms made their attack, Reyes Villa left the city and went to La Paz to meet with the four autonomic Prefects and representatives of the American Embassy.
After those tragic events, the September 14 Plaza (the seat of the Prefecture and Departmental symbol of power) was occupied by more than 50,000 indigenous people from the 16 provinces demanding the resignation of Reyes Villa.
Although the government opened all possible opportunities for dialogue, Reyes Villa systematically refused to meet with provincial representatives, and instead "exiled himself" in Santa Cruz, from where he now seeks to turn the problem into an explosive national conflict, threatening the stability and democracy of this country governed by an Indian President.

The CIA and Reyes Villa

The influence of the CIA and of Ambassador Goldberg in the political conduct of Reyes Villa (a former Army captain linked to the dictatorship of Banzer and Garcia Meza) is unequivocal.
The separatist Prefect has systematically prevented the peaceful settlement of the conflict and his people have developed a malicious disinformation campaign that seeks to create the conditions for a confrontation at the national level.
The American Embassy is deploying a plan of collective indoctrination against the indigenous uprising, promoting a racial and separatist hatred that was clearly demonstrated on January 11. They are also working in conjunction with business organizations like the Chamber of Industry and Commerce (Cainco) of Santa Cruz, who openly supports Reyes Villa and his "advisers".
But American interference in this conflict occurs not only within the far Right, but also through infiltration into the MAS government itself.
Last weekend, La Razon newspaper in La Paz published a photograph that revealed that food belonging to the state Civil Defense agency, normally used for victims of natural disasters, was being diverted to the peasant masses concentrated in the September 14 Plaza.
It was proven later that Juan Carlos Chavez, a former agent of NASDEA (the logistical and financial body of the U.S. Drug Enforcement Agency) and an adviser to the Ministry of Justice, had interfered in the Civil Defense agency without having any jurisdiction in that area, in order to carry out this diversion of State resources. Curiously enough, the photograph taken of this illegal act was published by a paper in La Paz, more than 650 kilometers away from Cochabamba.
Chavez was removed immediately, but how a former DEA agent exercised such a high influence within the Ministry of Justice must still be clarified. 

The media smear campaign against the indigenous mobilization of Cochabamba is part of a psychological war typical of the CIA, and is a mainstay in the separatist strategy directed from Santa Cruz by Manfred Reyes Villa, who is still the Cochabamba Prefect.
The balkanization of Bolivia appears to be starting.

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