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QUELLA BANDIERA EUROPEA DIETRO LE SPALLE DEL BANDITO - 08/08/08
Postato il Friday, 08 August @ 22:56:34 CEST di jormi
di Giulietto Chiesa
Piero Gobetti scrisse che “quando la verità sta tutta da una parte
ogni atteggiamento salomonico è altamente tendenzioso”. Osservando la
tragedia dell'Ossetia del Sud trovo che questo aforisma vi si adatti
alla perfezione. Si cercherà, domani, di trovare spiegazioni
“salomoniche” per giustificare il massacro della popolazione civile di
una piccola comunità schiacciata dal peso della storia, come un vaso di
coccio in mezzo a vasi di ferro.
Vi sarà sicuramente qualche sepolcro imbiancato che cercherà di
distribuire uniformemente le colpe tra chi ha aggredito e chi è stato
aggredito, tra chi ha usato gli aerei e gli elicottericontro una città
di 70 mila abitanti, e chi aveva in mano solo fucili e mitragliatrici
per difendersi.
Ci sarà domani chi spiegherà che gli osseti del sud hanno provocato e
sono stati respinti. E poi, sull'onda della contr'offensiva, quasi per
forza di cose, igeorgiani sono andati a occupare ciò che, in fondo, era
loro di diritto, avendoosato gli ossetini dichiarare e applicare l'idea
del rifiuto di tornare sotto ilcontrollo di chi li massacrò la prima
volta nel 1992.
Ci sarà, posso prevedere con assoluta certezza ogni parola di questi
mascalzoni bugiardi, chi affermerà che tutta la colpa è di Mosca, che –
non contenta dell'amicizia tra Tbilisi e Washington- voleva punire il
povero presidente Saakashvili impedendogli di entrare in possesso dei
territori di Abkhazia (il prossimo obiettivo) e di Ossetia del Sud. E
così via mescolando le carte e contando sul fatto che il grande
pubblico sa a malapena, sempre che lo sappia, dove stia la Georgia, e,
meno che mai l'Ossetia del Sud.
Ma le cose non stanno affatto così, anche se il pericolo che questo
conflitto siallarghi è grande, tremendo, e chi scherza col fuoco sa che
sta facendo rischiare ai suoi cittadini molto di più di quanto essi
stessi pensino.
Giocatorid'azzardo, irresponsabili, che puntano tutte le carte sul
disastro e il sangue. Chiunque dovrebbe essere in grado di capire che
una piccola comunità, con meno di 100 mila persone, disperse in
duecento villaggi e una capitale, Tzkhinvali, che è più piccola di
Pavia, non possono avere alcun interesse ad attaccare un nemico –
questa è l'unica parola possibile alla luce di quanto staaccadendo –
che è 50 volte superiore in uomini e armi, che ha l'aviazione (e l'ha
usata ieri e oggi, mentre scrivo, con assoluta ferocia, bombardando
anchel'unica strada che collega l'Ossetia del Sud con l'Ossetia del
Nord, in territorio russo, per impedire che i civili possano rifugiarsi
dall'altra parte dellafrontiera), che non ha ostacoli di fronte a sé.
Chiunque potrebbe capire che l'Ossetia del Sud non ha rivendicazioni
territoriali e non ha quindi in mente alcuna espansione al di fuori del
suo microscopico territorio.
Chiunque potrebbe capire – qui ci vuole un minimo di sforzo
intellettuale, quanto basta per liberarsi di qualche schema mentale
inveterato – che nemmeno la Russia può avere alcun interesse a
inasprire la situazione. Certo Mosca è interessata allo status quo, con
l'Ossetia del Sud indipendente di fatto, ma senza essere costretta a
riconoscerne lo status, per evitare difficoltàinternazionali. Ma chi ha
la testa sul collo dovrebbe riconoscere che è megliouna tregua
difficile che una guerra aperta; che è meglio negoziare, anche per
anni, che uccidere a sangue freddo civili, bambini, donne.
Io sono stato a Tzkhinvali, la primavera scorsa, e adesso mi piange il
cuore a pensare a quelle vie dall'asfalto sgangherato, buie la sera, a
quelle case senza intonaco, dal riscaldamento saltuario, a quelle
scuole ancora diroccate,ma piene di gente normale, di giovani
orgogliosi che non vogliono diventare georgiani perché sono cresciuti
in guerra con la Georgia e della Georgia hanno conosciuto solo la
violenza dei tiri sporadici sui terri delle loro case. Mi chiedo: e
poi? Che ne sarà di quei giovani? Come si può pensare di tenerli a
forza in un paese che non ameranno mai, di cui non potranno mai
sentirsi cittadini? Se ne andranno, ovviamente, dopo avere contato i
loro morti, a migliaia, in Ossetia del Nord, in Russia, di cui quasi
tutti sono cittadini a tuttigli effetti, con il passaporto in tasca.
E' questo il modo di sciogliere il nodo georgiano? Lo chiederei, se
potessi, al signor Solana, che dovrebbe svolgere il ruolo di
rappresentanza dell'Europa inquesta vicenda. Che l'Europa, invece di
aiutare a risolvere, non ha fatto altroche incancrenire, ripetendo a
Tbilisi la giaculatoria che la Georgia ha diritto alla propria
integrità territoriale, e dunque ha diritto a riprendersi Ossetia del
Sud e Abkhazia. Certo – gli si è detto con untuosa ipocrisia – che non
doveva farlo con la forza. Ma, sotto sotto, gli si è fatto capire che,
se l'avesse fatto, alla fin dei conti, si sarebbe chiuso un occhio. E'
accaduto. Saakashvili non ha nemmeno cercato di nascondere la mano
armata con cui colpiva. Non ha nemmeno fatto finta. Ha detto alla
televisione che voleva “ristabilire l'ordine” nella repubblica ribelle.
Un “ordine” che non esistevadal 1992, cioè da 16 anni. Perché adesso?
Qual era l'urgenza? Forse che Tbilisi era minacciata di invasione da
parte degli ossetini?
La risposta è una sola. Saakashvili ha agito perché si è sentito
coperto da Washington, in prima istanza, essendo quella capitale la
capitale coloniale della attuale Georgia “indipendente”. E, in seconda
istanza si è sentito coperto da Bruxelles. Queste cose non si
improvvisano, come dovrebbe capire il prossimo commentatore di uno dei
qualunque telegiornali e giornali italiani.Col che si è messo al
servizio della strategia che tende a tenere la Russia sotto pressione:
in Georgia, in Ucraina, in Bielorussia, in Moldova, in Armenia, in
Azerbajgian, nei paesi baltici. Insomma lungo tutti i suoi confini
europei. Saakashvili ha un suo tornaconto: alzare la tensione per
costringere l'Europa a venire in suo sostegno, contro la Russia;
ottenere il lasciapassare per un ingresso immediato nella Nato e,
subito dopo, secondo lo schema dell'allargamento europeo e
dell'estensione dell'influenza americana sull'Europa, l'ingresso in
Europa.
Secondo piccione: chi muove Saakashvili conta anche sul fatto che
questo atteggiamento dell'Europa finirà per metterla in rotta di
collisione con la Russia. Perfetto! Con l'ingresso della Georgia nella
Nato e in Europa gli StatiUniti avranno un altro voto a loro favore in
tutti i successivi sviluppi economici, energetici e militari che
potrebbero vedere gli interessi europei collidere conquelli americani.
Javier Solana ha la capacità di sviluppare questo elementare
ragionamento? Ovviamente ce l'ha. Solo che non vuole e non può perchè
ha dietro di sé, alle sue spalle, governi che non osano mettere in
discussione la strategia statunitense, o che la condividono.
Cosa farà ora la Russia è difficile dirlo. Certo è che, con la presa
di Tzkhinvali, le forze russe d'interposizione, che sono su quei
confini interni alla Georgia,dovranno ritirarsi. Il colpo all'Ossetia
del Sud diventa cos' un colpo diretto allaRussia. Che, questo è certo,
non è più quella del 2000, al calare di Boris Eltsin e delle sue
braghe.
L'emblema di questa tragedia, che è una nuova vergogna per l'Europa, è
stato il fatto che Saakashvili ha annunciato l'attacco, dalla sua
televisione, avendo dietro le spalle, ben visibile, la bandiera
goergiana e quella blu a stelle gialle europea. Peggiore sfregio non
poteva concepire, perchè la Georgia non è l'Europa, non ancora. E meno
che mai dovrebbe esserlo dopo questo attacco che offende - o dovrebbe
offendere - tutti coloro che credono nel diritto all'autodeterminazione
dei popoli. Che è sacrosanto per chi se lo guadagna, molto meno con chi
usa quella bandiera per vendere subito dopo l'indipendenza a chi l'ha
sostenuta dietro le quinte.
Qual è la differenza con il Kosovo? Una sola: la Serbia era un
prossimo suddito riottoso e doveva essere punita. La Georgia è invece
un vassallo fedele e doveva essere premiata.
L'Ossetia del Sud questo diritto se lo è guadagnato. E non c'è spazio
per alcun atteggiamento salomonico, perchè la ragione sta tutta da una
sola parte, e io sto da quella stessa parte.
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«Solo esercitazioni»
L'incidente solleva una serie d'interrogativi. Perché la milizia ha agito in modo così plateale? Screzi con i servizi segreti interni alle strutture di sicurezza?
Le domande dei media
I media locali si pongono queste e altre domande. Quanti arsenali segreti del genere vi possono ancora essere nel paese? Gli americani preparano qualche settore degli apparati di sicurezza in modo da attivarli in caso l'attuale dirigenza - ritrovatasi al potere in seguito ad una delle «rivoluzioni colorate» post-sovietiche degli scorsi anni - dovesse porre un ultimatum alla loro presenza militare nel paese, magari su pressione di Russia e Cina?
Le armi erano destinate a gruppi clandestini islamisti? Magari agli uiguri del vicino Xinjiang cinese, attivatisi proprio in questi giorni con un attacco alle guardie della frontiera sino-kyrgyza che ha causato sedidi morti? E' un'ipotesi, questa, dai fondamenti particolarmente fragili, dato che la Cia per simili operazioni ha sempre usato armi di origine sovietica al fine d'evitare connessioni dirette.
Secondo il corrispondente locale della Nezavisimaja Gazeta, G. Mihajlov, l'incidente indica in primo luogo le contraddizioni interne al regime di Kurmanbek Bakiev e le sue difficoltà nel controllo delle forze di sicurezza. L'affaire va inoltre inquadrato nell'ambito di una manovra volta ad avvelenare le relazioni del Kyrgyzstan - il quale si sta già preparando ad affrontare il secondo inverno in condizioni di crisi energetica - con Washington. La posizione di quest'ultima all'interno del paese è già abbastanza discreditata. La scorsa settimana alcune fonti locali riportavano del ritrovamento di 27 cadaveri privi degli organi interni nelle vicinanze della base.
L'ombra del «modello Kosovo»
Il tutto alla vigilia del prossimo vertice dell'Organizzazione di Cooperazione di Shanghai, fissato per il 28 agosto, un vertice in cui Mosca e Pechino potrebbero decidere di riprendere la pressione sui regimi centrasiatici al fine di porre dei limiti ben precisi all'azione degli Stati uniti nella regione.
La base delle polemiche
Dall'autunno del 2001, gli Usa utilizzano sotto copertura Nato e col pretesto delle operazioni in Afghanistan una parte dell'aeroporto della capitale kyrgyza, Manas appunto, quale base militare. E' la principale base americana in territorio ex-sovietico.
Al di là del fatto di per sé singolare dell'associazione di strutture civili con mezzi militari, che rende il principale aeroporto del paese un possibile oggetto di ritorsioni belliche, la base si sta rivelando sempre più un fattore di irritazione pubblica. Gli aerei che vi fanno scalo hanno in più occasioni riversato carichi di kerosene sulle campagne circostanti, e in almeno due occasioni sono stati sul punto di causare seri incidenti con gli apparecchi civili, evitati per miracolo.
Sullo sfondo dell'indigenza circostante (il Kyrgyzstan è uno dei paesi più poveri dell'ex-Urss), i militari statunitensi si muovono inoltre come cowboy e infiammano le autorità tradizionali di una società in via di re-islamizzazione. A fine 2006 un G.I. ha freddato, senza apparenti motivi, un civile del personale locale. Un fatto che, non essendo la situazione a tutt'oggi risolta sul piano legale, ha accentuato il risentimento di massa verso i militari di Washington. Questo si è ulteriormente inasprito negli ultimi mesi in seguito ad alcuni incidenti stradali e risse provocate dal personale militare statunitense.
La presenza della base costituisce infine un serio fattore di disturbo delle relazioni fra la fragile repubblica kyrgyza e i vicini cinesi e uzbeki, oltre che con la Russia (dalle rimesse provenienti dai kyrgyzi ivi immigrati dipende la sussistenza di buona parte della popolazione). Gli impegni militari con la Russia proibirebbero, in teoria, la presenza di militari stranieri - da cui l'escamotage dell'immunità diplomatica loro concessa.
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PROTEST AGAINST CROATIA’s DISGUSTING GENOCIDE CELEBRATION!
OPERATION STORM was the largest European land offensive since World War II. International officials called it "the most efficient ethnic cleansing in the Balkans."
WHERE: Embassy of Croatia, 2343 Massachusetts Ave NW, Washington, DC 20008
WHAT WE WANT: A public apology and the end to Croatia's celebration of “Victory and Homeland Thanksgiving Day". Croatia cannot be allowed into the “international community” until it helps its refugee citizens to return home in safety.
HOW YOU CAN PARTICIPATE:
1. Attend the protest - or - FORWARD this PROTEST CALL to at least three friends.
2. e-mail a protest message to Croatia’s Embassy public@... and copy it to the White Housecomments@...
3. Send a copy to us so we can post it on the Web (Indicate whether you want your letter to appear with your name or anonymously).
CONTACTS: RAS.jovana@... , theSTOPcoalition@...
WE MUST ALL SPEAK OUT TO PRESERVE OUR HUMAN RIGHTS!
(ANSA) - ZAGABRIA, 24 LUG - Zvonko Busic, esule anticomunista croato
condannato nel 1977 all'ergastolo negli Stati uniti per terrorismo e
per avere dirottato un aereo di linea, e' ritornato stasera in
Croazia, accolto da un folla di circa 500 persone, perlopiu' legate
all'estrema destra politica. Lo riferiscono i media croati. Busic,
che ha trascorso 32 anni nelle carceri americane, e' stato graziato
alcune settimane fa a condizione che non rientrasse negli Usa. Il 10
settembre 1976 Busic fu a capo di un gruppo di esuli croati che
sequestrarono un Boeing 727 TWA in volo tra New York e Chicago con a
bordo 76 passeggeri. I quattro uomini e la moglie di Busic, tutti
legati ad ambienti nazionalistici croati in opposizione al regime
comunista del maresciallo Tito e all'idea della Jugoslavia federale,
dirottarono l'aereo per lanciare su Londra e Parigi volantini in cui
si chiedeva l'indipendenza della Croazia. Dopo l'operazione fecero
decollare il Boeing a Parigi dove si consegnarono alla polizia. Prima
di salire sull'aereo il gruppo mise una bomba nella metropolitana di
New York e ne avverti' le autorita', ma durante il disinnesco
l'ordigno esplose uccidendo un agente, Brian J. Murray. Alla notizia
del suo rilascio la vedova dell'agente, Kathleen Murray, si e' detta
''scioccata''. Questa sera, all'aeroporto di Zagabria ad aspettare
Busic, accanto alla moglie Julienne e i tre compagni terroristi,
anche loro graziati prima della fine della pena di 30 anni, c'erano
circa 500 persone, tra cui vari personaggi politici legati alla
destra nazionalista, che lo hanno accolto quasi fosse un eroe, con
bandiere nazionali e canzoni patriottiche. (ANSA). COR-TF
24/07/2008 22:50
On Jul 30, 2008, at 11:47 AM, Coord. Naz. per la Jugoslavia wrote:
>
> CEREMONIAL RETURN
>
> Friends Await Zvonko Busic
> Around 500 citizens carried Croatian flags, sang patriotic songs,
> and chanted Busic’s name.
>
> Javno.com (Croatia) - July 29, 2008
>
> Around 500 friends, acquaintances and supporters greeted Zvonko
> Busic at Zagreb’s airport. Unfortunately, a few people managed to
> start chanting “Za dom spremni” ("ready for the homeland" (*)), but
> were soon hushed quiet, and Busic himself, upon arriving, asked
> those present to not shout Ustasha greetings.
> "Do not let me be ashamed of you, but make me proud of you," said
> Busic clearly.
> Amongst the many visitors were Frane Pesut, Slobodan Vlasic and
> Petar Matanic, participants of the hijacking of the American
> aircrafton a flight from New York to Chicago.
> "What should I say to you, I am overjoyed, I hardly awaited this
> moment," said Frane Pesut with tears of joy in his eyes.
> During a conversation, he stated that he knows nothing about the
> organization of the hijacking, because he believed Zvonko Busic and
> his associates that he was bringing a real bomb into the plane.
> Marijan Bosnjak, somebody that knows and respects what he calls a
> selfless sacrifice by a Croatian hero, said that Busic decided to
> sacrifice himself for what he believes in.
> "Zvonko wanted to attract the attention of the world to the
> suffering of one small people. Actions like those of Busic, raised
> the spirits of Croatians in the Diaspora. That event gained the
> attention of the whole world, and the punishment was absolutely too
> strict. They did not want anyone to get hurt, that action was the
> answer to the repression in Yugoslavia," considers Bosnjak.
> "I am beside myself from happiness. The big thing is that he
> (Busic) can return to a independent country, and if it will remain
> independent is its own choice," said Benjamin Tolic.
> The event was also attended by Father Vjekoslav Lasic, who before
> coming to the airport, paid respects to the remains of Dinko Sakic
> (**) at the crematorium.
> "I came to greet the Croatian legend Zvonko Busic, who I visited a
> number of times in prison. The sentence was too strong, and he lay
> innocent in the USA," said Vjekoslav Lasic.
> Marijan Buconjic, Busic’s roommate in New York, considers that
> Zvonko’s act was justified, and that he managed to show that
> Yugoslavia was repressive towards Croatians.
> Drazen Budisa, the representative of the Busic family, held a
> welcoming speech in which he said that Zvonko and his associated
> deeply regretted the innocent victim, the police officer Brian
> Murray, but that they did not want anyone to get hurt. An
> unfortunate turn of events was in question. He wished Busic and his
> wife peace and freedom in their life in Croatia.
> "I also fought for the independence of Croatia. I came as a
> Croatian convict, to greet a Croatian convict," said Anto Kovacevic
> who was also there.
> Busic was protected by strong police security and bodyguards that
> were hired by the veterans’ associations. That security managed to,
> with great difficulty, restrain the many people gathered there to
> greet Busic.
>
> (* Hystorical slogan of the fascist ustascia movement. "Pronti per
> la Patria", Slogan del movimento nazifascista degli ustascia. NdCNJ)
> (** A notorious, high-rank ustasha criminal in the 40ies.
> Tristemente noto criminale ustascia di alto livello negli anni '40.
> NdCNJ)
>
>
> ---
> ALTRA DOCUMENTAZIONE SUL TERRORISMO USTASCIA NEL CORSO DELLA GUERRA
> FREDDA / MORE DOCUMENTS ON USTASHI TERRORISM DURING THE COLD WAR
> PERIOD:
> https://www.cnj.it/documentazione/ustascia.htm
> ---
>
>
> On Jul 29, 2008, at 9:48 AM, Coord. Naz. per la Jugoslavia wrote:
>
>>
>> RITORNA VINCITOR
>>
>>
>> Dopo 30 anni di detenzione negli USA, il terrorista ustascia
>> Zvonko Busic è rientrato nella sua Croazia.
>> Nel 1976 si era reso responsabile di un tentativo di dirottamento
>> aereo, causando la morte di un agente di polizia e l'accecamento
>> di un altro all'aereoporto di New York.
>> L'azione - come tantissime altre commesse dagli ustascia esuli
>> all'estero in quegli anni - aveva come obiettivo quello di
>> attirare l'attenzione pubblica sulla causa croata.
>> Oggi Busic torna in Croazia da trionfatore, essendo stato
>> conseguito l'obiettivo per cui lui ed i suoi camerati all'estero
>> avevano commesso crimini nel corso della guerra fredda: la
>> distruzione della Jugoslavia e la instaurazione di uno Stato
>> etnico croato.
>> Come nel caso del Kosovo, anche nel caso della Croazia l'Occidente
>> ha premiato il terrorismo fascista.
>> (a cura di Italo Slavo per JUGOINFO)
>>
>> ---
>>
>> https://www.cnj.it/documentazione/ustascia.htm
>>
>> Croat terrorist back to Croatia after serving 30 years in US
>>
>> Associated Press - July 24, 2008
>>
>> ZAGREB, Croatia - A Croatian news agency says a
>> convicted plane hijacker is returning to Croatia after
>> serving 30 years in jail in the United States.
>>
>> The state-run agency HINA quoted the wife of Zvonko
>> Busic as saying he would return Thursday after being
>> granted parole for hijacking a TWA flight in 1976.
>>
>> Busic led the group of hijackers to draw attention to
>> Croatia's struggle for independence from communist
>> Yugoslavia and later surrendered.
>>
>> But a bomb they stashed in a locker at New York's
>> Grand Central Terminal exploded when police tried to
>> defuse it, killing one officer and blinding a second.
>>
>> Busic, revered by some in Croatia as a hero, was
>> convicted in 1977 of air piracy and granted parole
>> earlier this month.
29/07/2008 fonte: Presidio Permanente |
|
junge Welt (Berlin)
»In Bosnien hat kein Völkermord stattgefunden«
Edward S. Herman ist emeritierter Professor für Finanzwirtschaft an der Universität von Pennsylvania/USA. Zu seinen Arbeiten zählen u. a. »The Myth of the Liberal Media: An Edward Herman Reader« (Peter Lang, 1999).
Der Name des ehemaligen Präsidenten der bosnischen Serben, Radovan Karadzic, ist untrennbar mit dem verbunden, was als »von den aus Belgrad kontrollierten bosnischen Serben begangenes Massaker von Srebrenica an 8000 bosnisch-muslimischen Jungen und Männern« dargestellt wird. Was sagen Sie als Vorsitzender einer Gruppe, die sich um eine objektive Betrachtung der Ereignisse im bosnischen Srebrenica bemüht, zu seiner eben erfolgten Auslieferung an das Sondertribunal für Jugoslawien (ICTY)?
Was sagen Sie zur Äußerung des US-Diplomaten Richard Holbrooke im aktuellen Spiegel, Karadzic hätte einen »guten Nazi« abgegeben?
Im Jugoslawien-Krieg sind viele grausame Taten begangen worden. Warum wird gerade den bosnischen Serben ein Völkermord vorgeworfen?
Warum kam es zu dieser Verteufelung der Serben?
Es heißt gemeinhin, die Welt habe dem Krieg tatenlos zugesehen.
Trotzdem heißt es, die Serben hätten den Krieg entfacht. Der in der monarchistischen Tschetnik-Tradition stehende, dem orthodoxen Glauben tief verhaftete Karadzic und der bekennende Sozialist und Anhänger Tito-Jugoslawiens Milosevic hätten auf dem Weg ethnischer Säuberungen den gemeinsamen Plan der Errichtung eines Groß-Serbiens verfolgt, sagt das ICTY.
Stehen Sie mit Ihrem Bemühen, aufzudecken, was in Srebrenica im Juli 1995 wirklich passierte, im Westen nicht sehr allein dar?
Wiebes hatte weitreichenden Zugang zu Berichten westlicher Nachrichtendienste bekommen.
2002 hat die Serbische Republik in Bosnien einen Bericht zu Srebrenica veröffentlicht. Der Brite Paddy Ashdown hat diesen in seiner Funktion als Hoher Repräsentant Bosniens abgewiesen. War er so brisant?
Zu welchen Ergebnissen kam Ihre Forschungsgruppe?
Obwohl von einer großangelegten Offensive gesprochen wird, sagen Sie, daß die Stadt nicht verteidigt wurde?
Milosevics Tod verhinderte die Aussagen der Entlastungszeugen zu Srebrenica und der Völkermordanklage.
Das ICTY hat Oric zu zwei Jahren Haft verurteilt. Am 3. Juli hat er in der Berufung einen Freispruch erzielt. Was sagt das Urteil über das ICTY aus?
Anders als bei der Auslieferung Karadzics hüllten sich die Medien nach diesem Urteil in Schweigen.
Kürzlich erschien in Bosnien ein Buch von Ibran Mustafic. Er war nicht nur Mitglied der Izetbegovic-Partei, sondern Bürgermeister von Srebrenica. Welche Fakten bringt er ans Licht?
Haben die Medien auf Ihre Ergebnisse reagiert?
grubrica.asp?ID_blog=90&ID_articolo=285&ID_sezione=&sezione
LASTAMPA.it
Danni collaterali
29/7/2008 - UNA LETTERA DALLA SERBIA
Monty Python Balcan circus
Ovvero il caso Karadzic visto dall'altra parte dell'Adriatico
Barbatovac, Serbia, 27.07.2008
Quando i diplomatici britannici vi fanno i complimenti per
l'eccentricità e i Monty Python vi invidiano il Dr 3D Karadzic
(Dragan David Dabic, la nuova identità dell' ”eroe”), significa che
il vostro paese è un luogo decisamente non noioso. L'esatto contrario
della promessa dell'oramai ex primo ministro Kostunica, che la sera
che prese il potere dopo aver buttato giù Milosevic, nel lontano 5
ottobre del 2000 disse davanti alla folla: “Vi prometto una Serbia
normale. Una Serbia noiosa”.
Intendeva dire, un paese dove i problemi maggiori saranno legati al
lavoro, alle ferie, ai flirt sotto l'ombrellone. Non ha mantenuto la
promessa Kostunica. Ancora i giornali di mezzo mondo hanno parlato di
Belgrado, stavolta in chiave turistica: i lovely and iresisteble
Balcans rappresentano un luogo ideale per il tihovanje (la via
trascendentale per il raggiungimento del nirvana, della pace
assoluta, tramite le pratiche di raccoglimento esercitate dai preti
ortodossi nei monasteri di Hilandar e Ravanica), per l'energia
quantica umana e per i genocidi fuggiaschi.
La notizia dell'estate è decisamente questa: Radovan Karadzic è stato
arrestato. Non potrebbe che essere una svolta per la giustizia. Tutto
il mondo politico si è congratulato con la Serbia per il suo
coraggio. I serbi hanno reagito bene (tranne qualche cameraman del
b92 contuso, e, vedremo domani la manifestazione indetta dal partito
radicale contro il “regime di Tadic”, in realtà in sostegno di
Karadzic), il momento politico per voltare pagina è maturo, se pur
con un equilibrio estremamente fragile. Il presidente Tadic ha
compiuto il lavoro del suo predecessore Djindjic e ha mostrato una
maturità politica eccezionale. Anche i macchiavellici italiani lo
invidierebbero! Quello che stona è la poca chiarezza dei fatti. Se
David Dabic è stato aiutato a nascondere Radovan Karadzic e lo è
stato in maniera organizzata, per anni, cosa è cambiato nel frattempo
nei rapporti serbo-americani che possa aver cancellato l'accordo
scritto Karadzic – Holbrooke?
A portare all'attenzione della stampa l'esistenza di un accordo
segreto sulla scomparsa di Karadzic è l'ex ministro degli Interni
serbo Vlado Nadazdin, secondo il quale si tratta di un accordo
firmato nel 1995, prima della Conferenza di Dayton. Nadazdin conferma
di aver visto con i propri occhi quel documento, che fu firmato a
Sarajevo o a Pale da Richard Holdbrooke, vicesegretario di Stato e
plenipotenziario dell'amministrazione Clinton nei Balcani, ma
stranamente l'accordo originale è scomparso poco dopo dagli archivi
del Ministero degli Interni.
L'accordo precisa che Karadzic avrebbe dovuto dare le dimissioni
dalle sue funzioni all''interno del governo e del partito, e che non
ha avuto alcun ruolo determinante nella guerra di Bosnia Erzegovina
per quanto riguarda la dislocazione dei civili e le decisioni
militari. Era stato stabilito che avrebbe lasciato la politica e non
avrebbe rilasciato interviste, né scritto su questioni politiche, o
preso parte a movimenti politici. Secondo l`accordo doveva lasciare
la Repubblica Srpska, come territorio della Ex Federazione della
Jugoslavia, senza che venisse perseguito come sospetto di crimini di
guerra. Esplicitamente venne scritto che il Tribunale dell'Aja non
era competente per ciò che riguardava Radovan Karadzic, e che il
governo americano si sarebbe impegnato a non influire sulla gestione
del partito SDS, nè sul suo scioglimento, né sulla sua autonomia.
Allo stesso tempo Karadzic avrebbe ottenuto 600 mila dollari per la
sua sicurezza, e sei agenti che avrebbero dovuto provvedere alla sua
sicurezza per conoscere sempre ogni suo movimento. Nadazdin ha
tuttavia ripetuto che bisogna chiedere a Holdbrooke dove si trovi ora
questo accordo. L'attuale ministro degli Interni, nonché il
segretario del partito di Milosevic, lo SPS, Ivica Dacic, balbettava
la presenza degli servizi segreti stranieri nella localizzazione di
Karadzic e nel suo arresto e non gli passava per la testa di dare le
dimissioni nè di vergognarsi per tale atto. Con fierezza però ha
affermato che il ministero degli Interni non ha partecipato al suo
arresto.
Mentiva sulla data dell'arresto che secondo lui e tutti gli altri
rappresentanti delle istituzioni serbe è avvenuto il giorno
21.07.2008 mentre secondo il legale di Karadzic è avvenuto il
giorno18.07.2008. Restano quindi 3 giorni di vuoto. Chi lo ha
arrestato e dove è stato tenuto in questi 3 giorni? Si susseguono le
notizie di ogni genere su tutti i media nazionali e internazionali:
l'accusa pesante del Tribunale penale internazionale (genocidio,
crimini contro l'umanità), la si dà per una condanna scontata e
certa. Si bara ancora con le cifre inesatte (viene accusato per 200
mila morti in Bosnia quando il Centro per la documentazione di
Sarajevo riporta la cifra di 98 mila morti di tutte le nazionalità),
si ritorna alla retorica antiserba nello stile perfetto degli Anni
'90, si spettacolarizza l'evento trasformandolo, come giustamente
dice l''accusato, in farsa.
Si tirano fuori le testimonianze da ogni dove, sulla presunta amante,
si scopre che la nuova identità è appartenuta al soldato morto, si
costruisce e ricostruisce la nuova vita del ex presidente della
Republika Srpska e non si capisce più dove finisce la menzogna e dove
inizi la verità e il contrario. Esercitava persino in Austria ed in
Italia, dicevano i giornali, per poi scoprire che non era Karadzic ma
un sosia, un tale Petar Glumac con il doppio passaporto, croato e
serbo, di incredibile somiglianza con il Dr Dabic-Karadzic, fiero
dell'opportunità offertagli per aumentare i suoi introiti. Karadzic
come la matriosca: una, cento, mille identità in un uomo solo.
Ora ci aspettiamo quella che sfoggerà al Tribunale dell''Aia, dove
anche lui ha detto che vuole difendersi da solo. Il nostro “eroe”,
che immaginavamo sulle montagne rocciose del Montenegro che sfuggiva
ai potenti mezzi della NATO saltando da roccia in roccia, con il
petto villosso ed il kalashnikov a tracolla, mangiando radici e
bevendo rugiada, lo abbiamo ritrovato nella soap-opera come il
paramedico che cura l'impotenza!
Cosa realmente sappiamo di Karadzic? Certamente gli abitanti di
Sarajevo non hanno mangiato i fiori dal balcone per bizzaria nei
lunghi anni d'assedio, ne i musulmani bosniaci si sono ammazzati da
soli a Srebrenica. Queste cose sono accadute e ora abbiamo
l'eccezionale opportunità di sapere come sono realmente andate.
Abbiamo l'opportunità di stabilire la giustizia per quelle vittime e
per i loro famigliari. Di stabilire le responsabilità di ciascuno
nella catena di comando. Di fare i conti collettivamente sulle vite
rubate agli altri e sugli anni rubati a noi. Almeno ufficialmente. Il
Tribunale Penale Internazionale per l''ex Jugoslavia ha finalmente
l''opportunità di esercitare un processo vero, di ripristinare la
fiducia degli abitanti dell''area ex YU in questa istituzione, così
necessaria, perché forse possibile strumento per la riconciliazione
fra i martoriati popoli.
Fin ora così non è stato. I criminali come il bosniaco musulmano
Naser Oric ed l''ex primo ministro albano-kosovaro Ramush Haradinaj
sono stati assolti, accolti a casa come degli eroi. I serbi dopo
queste sentenze hanno completamente perduto ogni fiducia, anche se in
tanti, soprattutto filoeuropei, l'hanno avuta. L'intero governo serbo
si è dichiarato contrario a queste due sentenze, persino il sempre
proocidentale e proatlantico partito liberal-democratico. Continuano
a credere che il Tribunale sia un'istituzione creata per processare
il popolo serbo come l''unico colpevole della sanguinosissima guerra
civile degli anni 90. Abbiamo le importantissime reazioni dalla parte
dei politici bosniachi: il presidente Haris Silajdzic ha già
dichiarato “che gli accordi di Dayton andrebbero rivisti” nel
tentativo, sempre più insistente da parte muslulmana, di annulare
l''entità serba di Bosnia, la Repubblica Srpska. Il primo ministro
serbo di questa entità, Dodik ha già denunciato che è un bene che
Karadzic sia stato arrestato e che sia processato all''Aia perché
“finalmente possa finire l''accanimento contro la Republika Srpska ed
i suoi abitanti e si possano stabilire le responsabilità individuali
e non collettive per i crimini commessi”. Così, invece di placare gli
animi, i fantasmi con l'arresto di Karadzic sono usciti fuori tutti.
Gli anni di progetti ed i milioni di euro sulla riconciliazione fra
le popolazioni di Bosnia sembrano essersi volatilizzati.
La ciliegina sulla torta è la dichiarazione di Paddy Ashdown, l'ex
Alto rappresentante delle Nazioni Unite per la Bosnia, che butta la
benzina sul fuoco: “L'UE deve impedire la disgregazione della Bosnia
e Herzegovina che non è mai stata più vicina alla spartizione di
ora!” In altre parole ordina all''UE di anulare l''entità serba. Non
si rende conto Ashdown, che con questi toni accende l''ennesima
miccia nei Balcani. Perché ora la questione cruciale è un altra: la
sentenza a Karadzic, di sicuro già scritta, potrà finalmente essere
la prova della colpa collettiva dei serbi per poter ergere la
definitiva sentenza che finora il Tribunale non è mai riuscito ne con
Milosevic ne con Seselj. Per potersi finalmente scrollare di dosso le
proprie responsabilità che pesano come un macigno sull''Occidente
atlantico. Per poter dichiarare: “La Serbia è colpevole tutta e
l''annullamento della Republika Srpska, lo scippo del Kosovo e
l''intervento umanitario del 99 sono le giuste conseguenze”.
Una cosa però, vorrei sottolineare: è giusto che siano presi tutti i
criminali di guerra. Ma non è giusto che quelli che ci hanno sempre
rifornito di armi e di acciaio dall''Europa, siano gli stessi che
possano accusare il mio popolo tutto, ora e per sempre. Per ogni
goccia del sangue sparso sulle montagne della Bosnia, l''Europa
segnalava un più o un meno e se poco, poco ci fermavamo prontamente
stavano lì ad aizzarci, ad affilarci i coltelli ed a indirizzarci
quando e contro chi utilizzarli. Scrivevano i loro piani di pace dopo
aver provocato la guerra, mandavano i loro ambasciatori sui carri
armati per misurare se i cadaveri sono morti umanamente e
regolarmente –ecco, loro non hanno il diritto di giudicarci. Perché
gli altri cadaveri, quelli sulle strade di Nis, di Grdelicka klisura,
della bambina Milica di Belgrado morta sul vasino mentre faceva la
pipi'' dalla scheggia di bomba umanitaria, ci hanno mostrato che
l''Occidente non possiede tali bravure linguistiche, salti
tecnologici ed i conti bancari che la sua civiltà della forza possa
far diventare più giusta e diversa dalla banda degli assassini di
massa come Karadzic e Mladic, Oric, Gotovina e Haradinaj. Il
tentativo quindi, di far passare il mio popolo colpevole per ogni
sorta del male, portando sulla propria coscienza decine di migliaia
di morti dei Balcani e del mondo, è profondamente ingiusto.
I giudici che questa coscienza dovrebbero avere, non hanno il diritto
di trovare nel nome del mio popolo il soggetto dell''odio impunito,
liberati dalla maschera ipocrita del politically correct, trovando in
serbi e solo in serbi la giustificazione per la propria violenza. Gli
assassini nel nome della misericordia (“Angelo misericordioso” fu il
nome della campagna contro la Serbia) e nel nome di solo a loro
conosciuti valori, non hanno il diritto di giudicarci, anche se con
la loro forza se lo possono permettere. Noi però, abbiamo il diritto
di accettare questa loro sentenza, qualunque sia la nostra debolezza?
Credo che la società serba sia profondamente divisa su questo. La
maggior parte delle persone che conosco consegnerebbe Karadzic se il
Tribunale fosse uno strumento di giustizia e non degli USA e dei
paesi dell''UE per punire la Serbia. Al contempo, stufi di essere in
ostaggio, stufi dell''isolamento eterno e perdutamente innamorati
dell''Occidente (amore non ricambiato, ma si sa, sono quelli gli
amori che contano!), accettano malvolentieri, ma accettano, questo
baratto uno per tutti! Siamo consapevoli di averlo venduto. La cosa
più triste è che in pochi pensano sia giusto farlo per le vittime.
Perchè, al di là della retorica opportunistica, i serbi, come anche i
croati ed i bosgnacchi, (gli albanokosovari mancano totalmente di
autocritica), sono per la maggior parte convinti che “anche gli altri
lo hanno fatto”. Forse ci vorrà ancora del tempo perchè ciascuno
davvero, fino in fondo si assuma le proprie responsabilità. Senza
forzatura alcuna, senza le imposizioni. Perché ciascuno arrivi da
solo, attraverso un processo lungo ed intimo, a casa sua, fra i suoi
familiari, la dolorosa presa di coscienza. In questo senso, se il
passo per arrivare a questo sia l''arresto di Karadzic e speriamo
anche di Mladic, ed il loro giusto processo, individuale e non
collettivo, io credo che abbiamo il dovere di accettare la sentenza.
Sperando che prima o poi la giustizia arrivi anche ai vari Blair,
Clinton, D''Alema, Albright. Monty Python Balcan Circus potrebbe
anche risultare eccitante ed eccentrico. Non nella vita reale o
almeno, non per tutta la vita. Desideriamo vivere in un paese noioso.
Jasmina Radivojevic
Copyright ©2008 La Stampa
LEGGI I COMMENTI:
http://www.lastampa.it/cmstp/rubriche/commentiRub.asp?
ID_blog=90&ID_articolo=285&ID_sezione=&sezione=Danni%20collaterali
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http://www.politika.co.yu/rubrike/Svet/Ovacije-nesvrstanih-Jeremicu.lt.html
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Jeremić na konferenciji nesvrstanih u Teheranu
29. Jul 2008 | 20: 36, Izvor : Beta
Jeremić će se tokom dvodnevnog boravka Iranu imati odvojene susrete sa više šefova diplomatija koji prisustvuju ministarskoj konferenciji Pokreta nesvrstanih zemalja u Teheran.
Ministar spoljnih poslova Srbije Vuk Jeremić izjavio je da očekuje da će se u zaključcima ministarske konferencije Pokreta nesvrstanih zemalja naći podrška Generalnoj skupštini Saveta bezbednosti da traži mišljenje Međunarodnog suda pravde za sva pitanja koja se tiču odbrane međunarodnog prava.
Kako su večeras preneli elektronski mediji, Jeremić je to izjavio na ministarskoj konferenciji u Teheranu.
On će se tokom dvodnevnog boravka Iranu imati odvojene susrete sa više šefova diplomatija koji prisustvuju ministarskoj konferenciji Pokreta nesvrstanih zemalja u Teheranu.
Jeremić je najavio da će tom prilikom sagovornike upoznati sa gledanjem Srbije na jednostrano proglašenu nezavisnost Kosova.
"Velika većina zemalja koje su članovi Pokreta nezavisnih nije priznala jednostranu, nelegalo proglašenu nezavisnost Kosova. Tražiću od mojih sagovornika da to ostane njihov stav da ne priznaju ovu nelegalnu secesiju", kazao je Jeremić.
Kako je najavljeno Jeremić će se sastati sa šefovima delegacija Mongolije, Šri Lanke, Alžira, Bruneja, Kenije, Kube, Irana, Pakistana, Butana, Laosa, Bangladeša, Singapura, Venecuele, Paname, Čile Jeremich: Mnoge nesvrstane zemlje nisu priznale nezavisnost.
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http://www.rtv.rs/sr/vesti/politika/politika/2008_07_29/vest_75098.jsp
BEOGRAD - Ministar spoljnih poslova Republike Srbije Vuk Jeremić boravi u dvodnevnoj poseti Iranu, gde će učestvovati u radu ministarske konferencije Pokreta nesvrstanih zemalja i imati odvojene susrete sa više šefova diplomatija koji prisustvuju tom skupu u Teheranu. Nakon obraćanja predstavnicima zemlja članica Pokreta nesvrstanih, ministar Jeremić će imati odvojene sastanke sa šefovima delegacija Mongolije, Šri Lanke, Alžira, Bruneja, Kenije, Kube, Irana, Pakistana, Butana, Laosa, Bangladeša, Singapura, Venecuele, Paname, Čilea, Kolumbije, Maroka, Sirije, Tunisa, kao i Bolivije, saopštilo je Ministarstvo spoljnih poslova Srbije. Kako se očekuje, ministar Jeremić će tom prilikom zatražiti podršku nesvrstanih zemalja u Generalnoj skupštini UN, kada Srbija pokrene inicijativu da Međunarodni sud pravde oceni da li je albansko samoproglašenje države na Kosovu u skladu sa važećim međunarodnim pravom:Poveljom Ujedinjenih nacija,završnim dokumentima iz Helsinkija i rezolucijom 1244 Saveta bezbednosti Ujedinjenih nacija. Na sastanku, koji danas počinje u Teheranu, ministri će razgovarati o pripremi samita koji iduće godine treba da se održi u Šarm al-Šeiku u Egiptu. Pokret nesvrstanih zemalja, koji je osnovanan pre više od pedeset godina, sada okuplja 118 zemalja. --- 30.7 – A Teheran, il Movimento dei Paesi Non Allineati (NOAL) ha chiesto oggi al Governo degli Stati Uniti di porre fine al blocco economico, finanziario e commerciale contro Cuba, e di restituire all'Isola la base navale che usurpa a Guantánamo. La Dichiarazione Finale della XV conferenza ministeriale di questo forum si è pronunciata per l'eliminazione di una misura coercitiva che – è stato sottolineato - è unilaterale e contraria alla Carta delle Nazioni Unite e al diritto internazionale. I Ministri delle Relazioni Estere dei 118 paesi membri dell'ente terzomondista hanno espresso la "loro profonda preoccupazione per il crescente carattere extra-territoriale del blocco contro Cuba". Fonte: Prensa Latina
attilio giordano responsabile della torbida operazione denunciata da
Matteuzzi è l'inventore del cancro etnico.
alcuni anni fa, sponsorizzatissimo dal capo-qualcosa di repubblica
garimberti, noto soprattutto per la partecipazione a maratone su
strada, si reco' alla periferia di sarajevo e ne ricavo' un servizio
sconvolgente.
dalle parti della sarajevo gia'-serba, dove la nato aveva bombardato
con l'uranio impoverito, si ammalavano di cancro i serbo bosniaci
(scappati a a bratunac) ma non i bosgnacchi.
il giordano lasciava al lettore di trarne le conseguenze.
cancro etnico? virtu' del corano? mistificazione dei serbi? dispetto
dei soliti vittimisti serbi che per romperci i coglioni erano pure
capaci di crepare di cancro?
provo a scrivergli, una mail la si puo' concedere a chiunque, e gli
segnalo che, sotto le bombe della nato, nella sarajevo serba,
probabilmente di bosgnacchi non ce n'era nemmeno uno, vista la
divisione etnica della citta' durante la guerra.
quello mi risponde sull'ossequioso... ''mi creda... mi creda ho visto
e ascoltato di persona'' e conferma la prima versione.
chiedo ad amici serbi se cio' sia possibile e mi viene fornita una
interpretazione ragionevole.
è vero durante i bombardamenti ci potevano essere anche dei
bosgnacchi, nella sarajevo serba, ma si trattava di donne, vecchi e
bambini che non erano potuti scappare, ma che risiedevano lontano
dalle fabbriche bombardate, ragion per cui il non essersi ammalati
dipendeva dalla lontananza dai luoghi dei bombardamenti.
mi astengo dal riscrivere al giordano, primo perche lo ritengo
inutile, visto il tipo, secondo perche non voglio eventualmente
aiutare un cialtrone che se voleva le informazioni che avevo io
poteva trovarsele anche senza spendere il biglietto per la bosnia.
particolare edificante.
il garimberti di cui sopra aveva incensato l'articolo del
giovanedibellesperanzegiordano come forma di giornalismo d'assalto
d'altri tempi, intonando, cito a memoria ,''scarpe rotte eppur
bisogna andar''.
vedendo che il giordano adesso è a capo del Venerdi, mi verrebbe da
intonare ''pero' quel ragazzo ne ha fatta di strada''.
dalla bosnia alla colombia (magari per interposta persona). e in
tasca, il nostro Venerdi, porta il solito foglietto di Robinson
Crusoe,con gli ordini da eseguire.
speriamo per lui che trovi sempre qualcuno che glielo legge dalla
parte giusta
alberto tarozzi
On Aug 3, 2008, at 9:27 PM, Coord. Naz. per la Jugoslavia wrote:
>
> False interviste su la Repubblica, la controsmentita non
> controsmentisce
>
>
> Il caso delle interviste impossibili pubblicate dal supplemento Il
> Venerdì, di La Repubblica, a personalità come Gabriel García
> Márquez, Álvaro Uribe, Alfonso Cano, Fidel Castro e Hugo Chávez, e
> denunciate come inventate dal quotidiano il Manifesto, con la firma
> di Maurizio Matteuzzi, non solo non si chiarisce, ma anzi getta una
> luce ancora più vergognosa su La Repubblica, che a questo punto
> sarebbe pienamente complice dell’autore dei presunti scoop a firma
> Jordi Valle.
>
> In questi giorni si era scomodato addirittura il Caporedattore de
> Il Venerdì, Attilio Giordano, per preannunciare un documento
> inoppugnabile sul supplemento Il Venerdì di ieri. Ieri era il gran
> giorno e la delusione è stata cocente.
>
> A p. 128, c’è una letterina firmata dal discusso ambasciatore di
> Colombia a Roma, Sabas Pretelt (nella foto), di recente inquisito
> per lo scandalo di corruzione che portò alla rielezione di Álvaro
> Uribe, noto come Yidispolitica, dal nome della parlamentare Yidis
> Medina, condannata per essere stata corrotta da Pretelt stesso.
>
> Ebbene Sabas Pretelt nella lettera non legittima in nessun modo
> l’articolo di Jordi Valle, che non viene neanche nominato, né
> smentisce in alcun modo la smentita del proprio governo che afferma
> esplicitamente che l’articolo sia falso. Si limita a dire che, in
> riferimento ad alcune affermazioni offensive contro Barak Obama
> attribuite al presidente colombiano, “il Signor Presidente Alvaro
> Uribe Vélez giammai si è riferito in termini squalificanti verso
> nessun candidato alla Casa Bianca.”
>
> Quindi nella lettera, non disponibile online e pubblicata in un
> angolo marginale del supplemento, non c’è nessun documento
> inoppugnabile, nessuna pezza di appoggio, nulla che dimostri che
> l’intervista ad Uribe e tantomeno le altre siano vere. L’unica cosa
> che resta è il comunicato ufficiale del governo colombiano che
> afferma testualmente: “El Mandatario jamás se reunió con el señor
> Valle ni le concedió entrevista alguna”, ovvero, “Il presidente non
> ha mai incontrato il signor Valle né gli ha mai concesso
> un’intervista”. Ovvero Sabas Pretelt fa un magro favore a La
> Repubblica: contribuisce appena a creare una piccola cortina di
> fumo. Non può smentire il suo governo sul fatto che l’intervista
> sia falsa e allora, contestando un dettaglio di questa e senza fare
> riferimento alla smentita generale, fa credere che essendo un
> dettaglio falso, il resto possa essere vero.
>
> La Repubblica, Jordi Valle, Attilio Giordano, dalla controsmentita
> tanto attesa escono ancora peggio di prima.
>
>
>
> http://www.gennarocarotenuto.it/2838-false-interviste-su-la-
> repubblica-la-controsmentita-non-controsmentisce
>
STRAGE DI BOLOGNA: IL DEPISTAGGIO PALESTINESE
di Germano Monti *
Per una Destra che non vuole solo governare, ma procedere ad una profonda ristrutturazione dell’assetto istituzionale del Paese, ripulire l’album di famiglia dalle immagini più imbarazzanti è una necessità. In altre parole, voler riscrivere la Costituzione repubblicana e antifascista richiede ineluttabilmente la riscrittura della propria storia politica… naturalmente, se si è o si è stati fascisti.
Lo stragismo rappresenta sicuramente la pagina più nera della storia italiana contemporanea, con il suo intreccio perverso fra manovalanza fascista, apparati – più o meno occulti - dello Stato e interferenze atlantiche. Fra tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia, quella alla Stazione di Bologna del 2 agosto 1980 è stata la più feroce, ed anche l’unica in cui è stata raggiunta una verità giudiziaria, con la condanna definitiva dei fascisti Ciavardini, Fioravanti e Mambro.
La verità giudiziaria non coincide sempre e comunque con la realtà effettuale, e l’esercizio della critica anche nei confronti delle sentenze della magistratura è assolutamente legittimo, in certi casi persino doveroso, e questo vale anche per le sentenze sulla strage di Bologna. Tuttavia, quello che sta avvenendo non ha molto a che vedere con il garantismo e l’esercizio del diritto di critica, quanto con un tentativo di revisionismo storico particolarmente straccione, dettato dall’opportunità della contingenza politica.
I critici attuali delle sentenze sulla strage di Bologna non si limitano, come avveniva alcuni anni or sono, a rilevare quelle che per loro sono incongruenze degli investigatori e dei giudici, ma si spingono ad affermare che quelle incongruenze servirono – e servono tuttora – a coprire un’altra verità, sulla quale non si è voluto indagare. Questa “verità” consisterebbe nel coinvolgimento della resistenza palestinese, ed in particolare del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, nella strage, coinvolgimento che sarebbe stato tenuto nascosto in virtù dei patti intercorsi fra i governanti e i servizi segreti italiani di allora con i Palestinesi stessi. Il sostenitore più autorevole di questa tesi è l’ex Presidente Cossiga, cui si sono aggiunti i più alti esponenti della Destra ex fascista, fino all’attuale Presidente della Camera, Gianfranco Fini e, ancora più esplicitamente, l’attuale sindaco di Roma, Gianni Alemanno, sui cui trascorsi squadristi esiste una vasta letteratura.
Nel ventottesimo anniversario della strage, è proprio Alemanno, intervistato da la Repubblica, il più esplicito nel sostenere che quella della colpevolezza dei suoi ex camerati sia una “verità comoda”, mentre “c'è un'altra pista, quella del vecchio terrorismo palestinese, che soltanto da poco si è cominciata a esplorare”, pista rispetto alla quale “ci sono una marea di riscontri”. Nell’intervista, poi, Alemanno ripropone un vecchio cavallo di battaglia dell’estrema destra, quello secondo cui “Nei '70 ci fu una guerra civile strisciante che peraltro cominciò dal maledetto slogan "Uccidere un fascista non è reato", urlato da vari gruppi dell'estrema sinistra che, falliti i loro obbiettivi rivoluzionari, decisero di convogliare tutta la loro energia nell'antifascismo militante. Suscitando ovviamente delle reazioni altrettanto dure da parte dell'estrema destra. E ciò fu un incubatore sia delle Br sia dei Nar”. E’ una vecchia tesi, cara agli squadristi fascisti e ai terroristi dei Nar; una smaccata bugia, ma qualcuno che Alemanno certamente conosce bene diceva: «Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità», specialmente se a ribadirla sono alte cariche istituzionali, come un ministro della propaganda ieri o un sindaco oggi.
Dunque, la strage di Bologna non fu opera di terroristi neri, bensì di Palestinesi. A sostegno di questa ipotesi, sia Alemanno che altri (fra i quali anche Andrea Colombo, ex giornalista del Manifesto ed ora di Liberazione) invitano ad indagare a fondo sulle dichiarazioni del guerrigliero venezuelano conosciuto come “Carlos”, detenuto in Francia, e, più in dettaglio, sulla presenza a Bologna, il giorno della strage, di Thomas Kram, cittadino tedesco attualmente detenuto nel suo Paese con l’accusa di appartenenza alle Cellule Rivoluzionarie.
Per quanto riguarda “Carlos”, l’intervista da lui rilasciata all’ANSA lo scorso 30 giugno, per il tramite del suo avvocato italiano, in realtà riguarda in massima parte il sequestro di Aldo Moro e quello che, a suo dire, fu un tentativo di mediazione dell’OLP, insieme ad una parte dei servizi segreti italiani, per ottenere la liberazione del presidente democristiano. Dopo aver fornito il suo punto di vista sulle contraddizioni esistenti fra diverse fazioni dei servizi italiani e su altre vicende di quegli anni, “Carlos” risponde alla domanda esplicita dell’intervistatore, Paolo Cucchiarelli, in merito alla strage di Bologna:
Domanda:
Una sola domanda sulla strage di Bologna visti i molti riferimenti fatti da lei nel tempo e che sembrano alludere ad una ipotesi da lei mai espressa ma che potrebbe essere alla base delle sue osservazioni. Cioè agenti occidentali che fanno saltare in aria - con un piccolo ordigno - un più rilevante carico di materiale esplodente trasportato da palestinesi o uomini legati all’Fplp e alla sua rete con l’intento di far ricadere su questa ben diversa realtà politica tutta la responsabilità della strage alla stazione.
Risposta:
L’attentato contro il popolo italiano alla stazione di Bologna “rossa”, costruita dal Duce, non ha potuto essere opera dei fascisti e ancora meno dei comunisti. Ciò è opera dei servizi yankee, dei sionisti e delle strutture della Gladio. Non abbiamo riscontrato nessun’altra spiegazione. Accusarono anche il Dottor Habbash, nostro caro Akim, che, contrariamente a molti, moriva senza tradire e rimanendo leale alla linea politica del FPLP per la liberazione della Palestina. Vi erano dei sospetti su Thomas C., nipote di un eroe della resistenza comunista in Germania dal febbraio 1933 fino al maggio 1945, per accusarmi di una qualsiasi implicazione riguardo ad un’aggressione così barbarica contro il popolo italiano: tutto ciò è una prova che il nemico imperialista e sionista e le sue “lunghe dita” in Italia sono disperati, e vogliono nascondere una verità che li accusa.
Insomma, “Carlos” non solo smentisce la “pista palestinese”, ma accusa direttamente gli apparati occulti americani, israeliani ed italiani di aver ordito e realizzato la strage. Il fatto che escluda anche la responsabilità dei fascisti, con la bizzarra postilla della stazione “costruita dal Duce”, non significa altro che il rafforzamento della sua convinzione di una pista internazionale, ma nella direzione opposta a quella indicata da Cossiga, Fini e Alemanno, da una parte, e da Andrea Colombo dall’altra. Del resto, in tutta la storia dello stragismo e dell’eversione nera, l’intreccio fra il sottobosco neofascista e apparati interni ed internazionali, particolarmente statunitensi, è sempre emerso con grande puntualità. Non si capisce, quindi, come le parole del detenuto nel carcere di Poissy possano essere utilizzate per dimostrare il contrario di ciò che dicono… ma questo bisognerebbe chiederlo ad Alemanno ed a quelli come lui.
Sempre alle stesse persone, e ad un gran numero di giornalisti, bisognerebbe chiedere anche perché continuino a presentare in termini tanto misteriosi la figura di Thomas Kram, quasi che di lui non si sappia nulla, se non che da qualche tempo si trova nelle carceri tedesche. Ebbene, già nel giugno dello scorso anno, Saverio Ferrari si è occupato della pista palestinese e di Kram, in un suo articolo su “Osservatorio Democratico sulle nuove destre” dedicato al libro scritto da Andrea Colombo sulla strage di Bologna, libro accusato – per inciso – di voler accreditare l’innocenza di Mambro, Fioravanti e Ciavardini “omettendo deliberatamente le carte giudiziarie più scomode”.
A proposito della “pista palestinese” Ferrari scrive: “Colpisce, infine, l’ultimo capitolo in cui, si rilancia la stessa fantomatica pista palestinese sulla quale da qualche anno alcuni deputati di Alleanza nazionale si affannano, millantando la presenza del terrorista venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, detto Carlos, o di suoi uomini, a Bologna, in veste di stragisti al servizio del Fronte popolare per la liberazione della Palestina di George Habbash. È più che noto, infatti, che già all’epoca, non solo recentemente, si appurò che il terrorista Thomas Kram, esperto in falsificazione di documenti e non in esplosivi, fosse presente a Bologna nella notte fra tra l’1 e il 2 agosto, alloggiando nella stanza 21 dell’albergo Centrale di via della Zecca. Presentò nell’occasione la sua patente di guida non contraffatta. Fu precedentemente fermato e identificato al valico di frontiera sulla base di un documento di identità valido a suo nome. Non era al momento inseguito da alcun mandato di cattura. La questura di Bologna segnalò i suoi movimenti all’Ucigos che già in quei giorni conosceva tutti i suoi spostamenti. Un terrorista stragista, dunque, non in incognito che viaggiava e pernottava in albergo con documenti a proprio nome (!). Una pista vecchia, già archiviata data la comprovata mancanza di legami tra Thomas Kram e la strage. Per altro Kram risultò non aver mai fatto parte dell’organizzazione di Carlos. (…)”.
Ma c’è di più: il 2 agosto del 2007, proprio sul quotidiano in cui Andrea Colombo ha lavorato per anni, il Manifesto, il suo collega Guido Ambrosino pubblica un lungo articolo dal titolo “Bologna, l’ultimo depistaggio”, in cui il misteriosissimo Thomas Kram – a Berlino in libertà provvisoria, dopo essersi costituito nel dicembre 2006 - si lascia tranquillamente intervistare. Dall’intervista di Guido Ambrosino: “«Ho scoperto su internet che la bomba potrei averla messa io. Un'assurdità, sostenuta addirittura da una commissione d'inchiesta del parlamento italiano, o meglio dalla sua maggioranza di centrodestra, nel dicembre 2004. Deputati di An, e altri critici delle sentenze che hanno condannato per quella strage i neofascisti Fioravanti e Mambro, rimproverano agli inquirenti di non aver indagato sulla mia presenza a Bologna». Per Kram è una polemica pretestuosa: «Non sono io il mistero da svelare. Non lo credono nemmeno i commissari di minoranza della Mitrokhin. Viaggiavo con documenti autentici. La polizia italiana mi controllava, sapeva in che albergo avevo dormito a Bologna, il giorno prima mi aveva fermato a Chiasso. Come corriere per una bomba non ero proprio adatto»”.
L’articolo e l’intervista demoliscono l’impianto del libro di Colombo e, più in generale, la “pista palestinese”, anche con alcuni particolari che, se non si trattasse di fatti tanto drammatici, indurrebbero al sorriso. Secondo Ambrosino, il lavoro di Colombo “si riduce a un paio di forzature”, particolarmente per quanto riguarda la latitanza di Kram, che – secondo Colombo – sarebbe durata ben 27 anni, cioè dal 1979, quando lo stesso Kram è invece sempre stato reperibile almeno fino al 1987, quando contro di lui viene spiccato un mandato di cattura per appartenenza alle Cellule Rivoluzionarie. Nella pista palestinese sarebbe coinvolta anche un’altra militante dell’estrema sinistra tedesca, Christa Frolich, che – secondo la testimonianza di un cameriere di albergo – lavorava come ballerina nei pressi di Bologna e il primo agosto 1980 si sarebbe fatta portare una valigia alla stazione di Bologna, mentre il 2 agosto avrebbe telefonato (parlando italiano con accento tedesco) per accertarsi che i suoi figli non fossero stati coinvolti nell’esplosione. Scrive Ambrosino: “Christa Fröhlich ha ora 64 anni, insegna tedesco a Hannover. Confrontata con questa descrizione, non sa se ridere o piangere: «Non ero a Bologna. Non ho figli. Mai un ingaggio da ballerina. E nel 1980 non sapevo una parola di italiano»”.
Se pensiamo che uno dei cardini principali della “pista palestinese” è costituito dai lavori della “Commissione Mitrokhin”, anche noi non sappiamo se ridere o piangere. Addirittura nel dicembre 2005, sull’Espresso, l’operato di quella Commissione veniva già definito come “L'ennesimo polverone. Per far riaprire l'inchiesta sulla strage di Bologna e riabilitare gli estremisti di destra Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, già condannati per l’attentato”. Dal medesimo articolo si apprende anche, peraltro, che le stesse risultanze della Commissione Mitrokhin escludevano ogni coinvolgimento di Thomas Kram nella strage di Bologna.
La domanda, a questo punto, è: perché, contro ogni evidenza ed ogni riscontro, in questo agosto 2008 c’è chi tenta di riciclare vecchie bufale, magari contando sui riflessi appannati di un’opinione pubblica martellata da campagne sulla “sicurezza” minacciata da zingari ed immigrati, tanto da richiedere paracadutisti, alpini e bersaglieri per le strade delle nostre città? Probabilmente, la risposta è nella premessa: per mettere mano alla Costituzione, la Destra ha bisogno di svecchiare i propri armadi, facendone opportunamente sparire gli scheletri di troppo. Lo scheletro più ingombrante è senza dubbio quello datato 2 agosto 1980, rimosso il quale sarà assai più semplice rimuovere tutti gli altri… si, perché,se si riesce a convincere, contro ogni evidenza storica e giudiziaria, che la strage di Bologna è stata opera dei Palestinesi, domani si potrà legittimamente sostenere che quella di Piazza Fontana fu veramente opera degli anarchici e così via. Senza dimenticare che accollare proprio ai Palestinesi la più orrenda delle stragi consente alla fava revisionista di cogliere un secondo piccione: oltre alla definitiva legittimazione interna, la nuova Destra di governo rimedierebbe anche l’imperitura gratitudine di Israele e delle sue lobby, mentre a protestare per l’ennesima infamia commessa ai danni di un popolo sempre più martoriato rimarrebbero in pochi, come – effettivamente – sono in pochi, almeno ai livelli che contano, quelli che continuano a sostenere le ragioni e il diritto all’esistenza del popolo palestinese. Eppure, a dubitare della riuscita di un’operazione così spregiudicata ci aiuta la frase di un uomo importante, uno di quelli che, piaccia o no, la storia l’hanno fatta, non hanno solo cercato di riscriverla a proprio piacimento. Quell’uomo, che di nome faceva Abramo Lincoln e di mestiere il Presidente degli Stati Uniti, amava ripetere: “Si può ingannare tutti a volte, qualcuno sempre, ma non è possibile ingannare tutti tutte le volte”. Sarà bene che Alemanno e quelli come lui lo tengano presente.
* Forum Palestina
False interviste su la Repubblica, la controsmentita non controsmentisce
Il caso delle interviste impossibili pubblicate dal supplemento Il Venerdì, di La Repubblica, a personalità come Gabriel García Márquez, Álvaro Uribe, Alfonso Cano, Fidel Castro e Hugo Chávez, e denunciate come inventate dal quotidiano il Manifesto, con la firma di Maurizio Matteuzzi, non solo non si chiarisce, ma anzi getta una luce ancora più vergognosa su La Repubblica, che a questo punto sarebbe pienamente complice dell’autore dei presunti scoop a firma Jordi Valle.
In questi giorni si era scomodato addirittura il Caporedattore de Il Venerdì, Attilio Giordano, per preannunciare un documento inoppugnabile sul supplemento Il Venerdì di ieri. Ieri era il gran giorno e la delusione è stata cocente.
A p. 128, c’è una letterina firmata dal discusso ambasciatore di Colombia a Roma, Sabas Pretelt (nella foto), di recente inquisito per lo scandalo di corruzione che portò alla rielezione di Álvaro Uribe, noto come Yidispolitica, dal nome della parlamentare Yidis Medina, condannata per essere stata corrotta da Pretelt stesso.
Ebbene Sabas Pretelt nella lettera non legittima in nessun modo l’articolo di Jordi Valle, che non viene neanche nominato, né smentisce in alcun modo la smentita del proprio governo che afferma esplicitamente che l’articolo sia falso. Si limita a dire che, in riferimento ad alcune affermazioni offensive contro Barak Obama attribuite al presidente colombiano, “il Signor Presidente Alvaro Uribe Vélez giammai si è riferito in termini squalificanti verso nessun candidato alla Casa Bianca.”
Quindi nella lettera, non disponibile online e pubblicata in un angolo marginale del supplemento, non c’è nessun documento inoppugnabile, nessuna pezza di appoggio, nulla che dimostri che l’intervista ad Uribe e tantomeno le altre siano vere. L’unica cosa che resta è il comunicato ufficiale del governo colombiano che afferma testualmente: “El Mandatario jamás se reunió con el señor Valle ni le concedió entrevista alguna”, ovvero, “Il presidente non ha mai incontrato il signor Valle né gli ha mai concesso un’intervista”. Ovvero Sabas Pretelt fa un magro favore a La Repubblica: contribuisce appena a creare una piccola cortina di fumo. Non può smentire il suo governo sul fatto che l’intervista sia falsa e allora, contestando un dettaglio di questa e senza fare riferimento alla smentita generale, fa credere che essendo un dettaglio falso, il resto possa essere vero.
La Repubblica, Jordi Valle, Attilio Giordano, dalla controsmentita tanto attesa escono ancora peggio di prima.