Informazione
Di Riccardo Iacona. Con la collaborazione di Francesca Barzini. Fotografia: Mauro Ricci. Suono in presa diretta : Peppe Vitale. Musiche originali: Daniel Bacalov.
Produttore esecutivo : Miriam Poddi. Montaggio: Paolo Carpineta e Cristina Barbier
“KOSOVO NOVE ANNI DOPO”. Un anno di lavoro tra preparazione, sopralluoghi, riprese e montaggio, cinque paesi attraversati – Kosovo, Macedonia, Serbia, Turchia e Afghanistan - e 3 ore di reportage che andranno in onda il 19 e il 26 settembre in prima serata su Raitre.
Raitre presenta in anteprima al Prix Italia 2008 la prima puntata dal titolo: “KOSOVO NOVE ANNI DOPO”.
Iacona ricostruisce minuziosamente la terribile pulizia etnica di cui sono stati vittime i kosovari di etnia serba. Dal 1999, da quando la NATO ha vinto la guerra contro la Serbia e insieme alle Nazioni Unite ha preso il controllo del Kosovo, 250.000 serbi sono stati cacciati dal Kosovo solo per ragioni di odio etnico, solo perchè serbi. Le loro case sono state bruciate, le loro terre sono state devastate, le loro chiese sono state distrutte, anche le più antiche e preziose, quelle del 1300, i loro cimiteri sono stati profanati a colpi di pala e di piccone, interi quartieri sono stati messi a fuoco solo per impedire ai serbi che vivevano lì da centinaia di anni di poterci ritornare. Nonostante la presenza della Nato gruppi armati di kosovari di etnia albanese hanno messo in atto una delle più sistematiche e feroci pulizie etniche che l’Europa ha vissuto dopo la seconda guerra mondiale, distruggendo così l’idea stessa di un paese multietnico che pure era stata all’origine della campagna militare della NATO contro la Serbia. Ma c’e’ di più: in questi nove anni il Kosovo e’ diventato la porta principale di ingresso della droga nel nostro Paese e in tutta Europa; e, sempre nonostante la presenza della Nato e delle Nazioni Unite il Kosovo si e’ trasformato in una piccola Colombia, un Narcostato nel cuore dell’Europa. I numeri sono impressionanti: l’80 per cento di tutta la droga prodotta in Afghanistan per entrare in Europa passa dalle valli e dalle montagne del Kosovo “liberato”. Le enormi ricchezze accumulate con il traffico della droga hanno reso potenti all’estero e in patria i clan mafiosi kosovaro albanesi, capaci di inquinare in profondità i partiti che oggi guidano il Kosovo, gettando così un enorme punto interrogativo sulla natura democratica del nuovo Stato nato il 17 febbraio di quest’anno con un atto unilaterale. Ma le strade aperte della droga e delle armi che la Nato non e’ riuscita in questi nove anni di protettorato a chiudere, sono anche quelle da cui passa il terrorismo internazionale di matrice islamica.
LA GUERRA INFINITA andrà in onda il 19 e 26 settembre 2008, ore 21.05 su RAITRE
Palazzo Libera
Sede Via Garibaldi 10, Villa Lagarina 38060
Altre informazioni Tel +39 0464 414966
Data di apertura sabato 13 settembre 2008
Data di chiusura domenica 19 ottobre 2008
Orari:
mar-mer-gio- ven h. 14.00/18.00; sab-dom h. 10.00/12.30 - 14.00/18.00;
lun chiuso
Comunicato della mostra:
Jelena Vasiljev - ESSENDO COSI’ I LUPI …
Secondo la famosa favola / dell’estremo nord / cacciatori di lupi /
il pugnale bilame / intingono nel sangue fresco / l’impugnatura
infiggono nel giaccio / e lo lasciano nel deserto di neve.
Il lupo affamato / fiuta il sangue da lontano / specialmente nella
pulita aria tagliente / sotto le alte algide stelle / e veloce trova l’
amo
insanguinato.
Leccando il gelido umore / si taglia la linguaccia / e il proprio
sangue caldo / lappa dalla lama fredda.
E non sa fermarsi / finché non crolla / gonfio del proprio sangue.
Essendo così i lupi / i più difficili da cacciare / come saranno gli
uomini / e i popoli interi / e soprattutto il nostro / che di sangue
proprio / non si sazia mai / e perirà / piuttosto di ricordarsi / che
il pugnale insanguinato / resterà / l’unico / monumento / e la croce /
sopra di noi.
Matija Bećković (Senta, Serbia - 1939), poeta
…………
Questa poesia ha toccato profondamente il cuore di Jelena Vasiljev
(Zrenjanin, Serbia, 1976). E’ stata la croce che sopra di lei l’ha
indotta, a fine anni ’90, a uscire con dolore dal suo paese e a porsi,
urgente e permanente, la martellante domanda del perché un popolo debba
alimentarsi continuamente e irrimediabilmente del proprio stesso
sangue. Sono passati quasi dieci anni, da allora, e ad una routine
apparentemente stabile oggi in Serbia si sovrappone un recrudescente
problema del Kosòvo.
PROMART ha ritenuto di dare voce a chi urla, attraverso i linguaggi
dell’arte contemporanea, la propria sete di pace, la propria caparbia
voglia di non cedere alla tentazione di farsi prendere dal vortice del
fatalismo e subire un destino che sembrerebbe scontato, la propria
necessità interiore di rendere partecipi del proprio dramma e di quello
del proprio popolo gli animi più sensibili.
L’opportunità della programmazione affidata a PROMART per gli eventi
dell’articolato progetto pluriennale (2007/2009) “ARTELibera. Palazzo
Libera per l’arte contemporanea” rende possibile l’attivazione in
Trentino di questa seppur piccola cassa di risonanza. L’occasione di
Manifesta7 è propizia perché il messaggio di Jelena Vasiljev raggiunga
orizzonti infinitamente più ampi.
L’iniziativa che vedrà protagonista Jelena Vasiljev, curata dall’
Associazione culturale trentina e dal Comune di Villa Lagarina (
HYPERLINK "http://www.comune. villalagarina. tn.it" www.comune.
villalagarina. tn.it), gode del patrocinio istituzionale della
Ambasciata della Repubblica di Serbia in Italia, che si somma a quelli
della Regione Trentino/Alto Adige e della Provincia Autonoma di Trento.
L’iniziativa è sostenuta dalla Target sas ( HYPERLINK "http://www.
target-tn.it" www.target-tn. it), azienda main sponsor della mostra e
dell’intero progetto pluriennale di PROMART, che negli anni ha
consolidato la propria leadership nel campo della comunicazione
aziendale attraverso la PTO “pubblicità tramite l’oggetto”. Il FORMAT -
Centro Audiovisivi della Provincia Autonoma di Trento garantisce al
programma di PROMART la propria partnership operativa; analoga
collaborazione è stata richiesta all’Osservatorio sui Balcani di
Rovereto.
Jelena Vasiljev nasce in Serbia e, dopo il percorso accademico presso
la Facoltà di Filosofia, Dipartimento di Lettere Antiche, dell’
Università di Belgrado, nel 1999 raggiunge in Italia dove, nel 2005, si
diploma in scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera; presso la
stessa Accademia frequenta con successo il corso biennale specialistico
di scultura, seguita dal prof. Paolo Gallerani. Il suo curriculum è
ormai di tutto rilievo; le sue opere sono state ospitate in prestigiosi
spazi, tra i quali il MACRO di Roma, e apprezzate da pubblico e critica
in occasione delle rassegne internazionali di maggior rilievo (da
ultimo SCOPEBasel 2008, con la galleria GAS Gallery di Torino).
L’esposizione “ESSENDO COSI’ I LUPI …”, ospitata nelle sale del
monumentale Palazzo Libera, a Villa Lagarina (TN), propone al pubblico
trentino una inquietante video-installazione del 2006 (oggi acquisita
alla collezione permanente della GAM di Torino), una installazione in
progress che invade con armonica delicatezza gli spazi del palazzo e
una fusione in bronzo che accoglierà i visitatori nel piccolo parco all’
interno del quale il palazzo stesso si colloca. Il progetto sarà
corredato da un catalogo (Ed. Publistampa, collana ARTE, con un testo
di Francesca Fiorella) che gli organizzatori realizzeranno nel periodo
di svolgimento della mostra, con immagini delle opere che Jelena
Vasiljev avrà allestito a Palazzo Libera; il volume sarà presentato in
un apposito incontro con l’artista serba in calendario per la prima
decade del prossimo ottobre.
In occasione della vernice inaugurale è previsto un concerto di
musiche balcaniche per voce e pianoforte.
Inaugurazione sabato 13 settembre 2008 ore 19.00
Intervento di Francesca Fiorella (critico d’arte)
Fino al 19 ottobre 2008
Catalogo
PUBLISTAMPA, collana Arte – saggio critico di Francesca FIORELLA
Patrocini
Ambasciata della Repubblica di Serbia in Italia
Regione Trentino Alto Adige
Provincia Autonoma di Trento
Partner
Target sas
Osservatorio sui Balcani – Rovereto (richiesto)
FORMAT - Centro Audiovisivi della Provincia Autonoma di Trento
Evento collaterale
sabato 13 settembre 2008 ore 19.00
Concerto per voce e pianoforte
Ingresso libero
Info
0464 414966 - 0464 494200
tonico52@yahoo. it
PALAZZO LIBERA
VILLA LAGARINA (Tn)
Tanjug Bews Agency
September 9, 2008
Anniversary of Medak Pocket crimes
BELGRADE - Today marks the 15th anniversary of the
Croatian army operation to the south of Gospic in the
Medak Pocket.
88 Serbs — 46 soldiers, six policemen and 36
civilians, 26 over the age of 60 - were killed or went
missing during the operation. According to the Veritas
Center, they included 17 women.
On September 9, 1993, the Croatian army launched a
sudden attack on villages near Gospic that had been
under UN peacekeeping protection for the previous 18
months.
In May 2000, investigative teams found 11 bodies in
what was once the Serb part of Gospic, six of which
have been identified using DNA tests, the Veritas NGO
says.
Back in 1993, the Croatian army surrendered 52 bodies
to the Serbs, while UN peacekeepers later discovered
18 more bodies.
12 people are still listed as missing.
The Hague Tribunal indicted three Croatian Army
generals — Janko Bobetko, Rahim Ademi and Mirko Norac
— who were charged with crimes against humanity and
breaches of the customs of war.
The indictment stated that the Croatian Army, under
their control during the Medak Pocket offensive,
“completely destroyed the village, depriving the Serb
civilian population of its houses and homes.”
The trial was referred by the Hague Tribunal to the
Croatian courts in September 2005, and Ademi and Norac
were indicted by the Croatian authorities on November
22, 2006. Bobetko, meanwhile, died at the age of 84
before the Croatian government could decide whether to
extradite him to the Hague.
According to the indictment, Ademi, “as a high ranking
official of the Croatian Army (HV)” and Norac “as an
HV colonel” in a unit specially formed for the
purposes of the 1993 Medak Pocket operation, were
accused of crimes against humanity and international
law.
They were charged with two specific criminal acts: war
crimes against the civilian population and
prisoners-of- war.
In June 2007, the Zagreb District Court launched
proceedings against the two which ended on May 31,
2008, with the delivery of the first-instance
verdicts.
During the one-year trial, around a hundred witnesses
were questioned and a great deal of material evidence
was brought before the court.
The court ruled that war crimes against Serb civilians
had occurred in the Medak Pocket.
Ademi was cleared of all charges, while Norac was
sentenced to 7 years in prison.
The verdict provoked considerable controversy, with
some organizations claiming that Croatia was still not
prepared to face up to the darker side of its recent
history.
The Veritas Documentation Center stated that these
verdicts would deter persecuted Serbs from returning
to the still deserted villages of Divoselo, Citluk and
Pocitelj in the Medak Pocket region.
Il 6 settembre cade l’anniversario della fucilazione dei quattro antifascisti sloveni (Bidovec, Marussich, Valencich e Miloš) condannati a morte dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato nel 1930 nel corso di quello che è passato alla storia come il “primo processo di Trieste”.
Una delle affermazioni che spesso si sentono fare a proposito di questi martiri, attivisti del TIGR (acronimo di Trst, Istra, Gorica, Rijeka) è che in fin dei conti erano “terroristi” e quindi non avrebbero diritto ad onoranze ufficiali. Senza entrare nel merito delle accuse loro formulate (ne abbiamo già parlato su queste pagine e vi rinviamo alla lettura dell’articolo “Martiri di Basovizza” su questo sito - http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-martiri_di_basovizza.php ) vorremmo invece qui evidenziare come il Tribunale Speciale che li condannò a morte non era un tribunale imparziale ed al di sopra delle parti, ma uno dei tanti tentacoli di oppressione del regime fascista. Prova ne sia che tutte le sentenze da esso emanate sono state dichiarate illegittime dal decreto legislativo luogotenenziale n. 159, emesso il 27/7/44 ed operativo dal 29/7/44 (data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale). Recita infatti l’art. 1: “sono abrogate tutte le disposizioni penali emanate a tutela delle istituzioni e degli organi politici creati dal fascismo; le sentenze già pronunciate in base a tali disposizioni sono annullate”.
Per conoscere la storia del Tribunale speciale vi consigliamo la lettura del testo “Aula IV” (edito da La Pietra nel 1976) di A. Da Pont ed altri, nel quale si trovano anche i dispositivi di tutte le sentenze da esso emanate e gli elenchi degli imputati e le condanne ad essi comminate.
Presso l’Archivio di Stato di Trieste (fondo Prefettura, busta 270/Gab) si trova il seguente carteggio a proposito del magistrato Massimo Dessy. La lettura di questi documenti (dei quali riportiamo la trascrizione) è significativa per la comprensione della qualità della “giustizia” amministrata dal Tribunale speciale. Ringraziamo Primož Sancin che li ha rintracciati e ce ne ha cortesemente dato copia.
Telegramma di Mussolini al prefetto di Trieste Fornaciari (12/4/28).
N.R. 11231 Personale decifri da se stop mi dia precisa notizia sul magistrato Dessy sostituto procuratore et precisamente sulla sua fede fascista et dedizione al regime perché suo nome stato avanzato per tribunale speciale.
Firmato: Mussolini.
Risposta del prefetto Fornaciari (17/4/28).
Radio tel. 123 al N.R. 11231 pers. Dessi (sic) com. uff. Massimo sostituto procuratore applicato Procura generale questa Corte appello risulta ottimo magistrato sotto ogni punto di vista di sicura fede fascista in piena sintonia regime (illeggibile) completo affidamento per funzioni presso Tribunale speciale.
Firmato: Prefetto Fornaciari
Settembre 2008
Oggetto: Elsässer auf ARD und live
Jürgen Elsässer in der ARD und live - Termine siehe unten - bitte weiterleiten
9/11 und die bosnische Spur
Diese Geschichte habe ich für mein Buch "Wie der Dschihad nach Europa kam" recherchiert, das 2005 erschien und schnell vergriffen war. Ab sofort liegt das Buch wieder vor, und zwar als preiswerte Taschenbuchausgabe und komplett aktualisiert (250 Seiten, 14.80 Euro). Daneben gibt es auch eine serbische Ausgabe "Kako je Dzihad stigao na Balkan", daneben auch Übersetzungen ins Französische (22 Euro) und ins Polnische (17,50 Euro).
In meinem brandaktuellen Buch „Terrorziel Europa. Das gefährliche Doppelspiel der Geheimdienste" (344 Seiten, 21.90 Euro; genaue Inhaltsangabe unten) bin ich der "bosnischen Spur" weiter nachgegangen und habe herausgefunden, daß das auf dem Balkan geknüpfte Netz praktisch in alle großen Terroranschläge seit den 90er Jahren verwickelt war.
Alle Bücher sind im Buchhandel, aber auch direkt beim Autor erhältlich, auf Wunsch signiert. Bitte bestellen Sie über
info@...
++++++++
Jürgen Elsässer stellt sein Buch "Terrorziel Europa. Das gefährliche Doppelspiel der Geheimdienste" am Donnerstag in der TV-Sendung "Polylux" vor: 11. September, 23.45 Uhr, ARD.
In ersten Buchbesprechungen von "Terrorziel Europa" heißt es:
"Es ist ein über weite Strecken rasantes Buch, ein Politkrimi par excellence." (Junge Welt)
http://www.jungewelt.de/2008/09-08/001.php
"Zweifellos ist Elsässer ein mutiges Buch gelungen, beinahe ein Standardwerk für denjenigen, der wirklich mehr über die Hintergründe des Terrors wissen will." (Islamische Zeitung)
http://www.islamische-zeitung.de/indexneu.cgi?id=10761
Lesetermine von Jürgen Elsässer:
15. September, Wien: Buchpremiere von „Terrorziel Europa",
Buchhandlung Kuppitsch, Schottengasse 4, 19.30 Uhr
17. September, Berlin. Buchpremiere „Terrorziel Europa",
21. September, Berlin. Buchpremiere für die Neuausgabe von "Wie der Dschihad nach Europa kam". Zusammen mit Christoph Hörstel ("Brandherd Pakistan").
(direkt am U-Bhf. Schlesisches Tor), 14 Uhr
9. Oktober, Eisenach. Buchlesung „Terrorziel Europa",
10. Oktober, Konstanz, Buchlesung „Terrorziel Europa", Treffpunkt
Petershausen, Georg-Elser-Platz 1, 19.30 Uhr
11. Oktober, Stockach, Buchlesung „Terrorziel Europa",
(voraussichtlich) Hotelgaststätte "Fortuna" (beim Bahnhof), 20 Uhr
16. Oktober, Wien, Buchlesung "Terrorziel Europa",
.
PRISTINA - L'Italia ha riconosciuto oggi il passaporto della Repubblica del
Kosovo e nel frattempo l'Ambasciata d'Italia a Pristina sta per concludere le
procedure per il rilascio dei visti per i cittadini del Kosovo che intendono
viaggiare in Italia. Lo ha annunciato oggi l'ambasciatore italiano in Kosovo,
Michael Luis Giffoni, dopo una riunione con il Presidente del Kosovo, Fatmir
Sejdiu.
L'ambasciatore Giffoni ha detto che a partire da oggi l'Italia riconosce i
passaporti della Repubblica del Kosovo e che gli esperti dell'Ambasciata
d'Italia in Kosovo stanno cercando di concludere le procedure per il rilascio
dei visti per i cittadini kosovari nel piu' breve tempo possibile.
D'altro canto, il presidente della Repubblica del Kosovo, Fatmir Sejdiu, ha
detto che l'obiettivo e' lo sviluppo delle relazioni tra Kosovo e Italia.
''Vogliamo che la cooperazione con l'Italia avanzi in tutti i settori, in
politica, economia, istruzione, cultura e cosi' via'', ha detto Sejdiu.
04/09/2008 15:38
ansa balcani
Regnum (Russia) - September 5, 2008
“We are greatful to those who support us and those who
will find courage to do it” — Kosachev
The number of states who recognize the sovereignty of
Abkhazia and South Ossetia may eventually exceed the
number of those who recognized Kosovo, Chairman of the
State Duma International Affairs Committee Konstantin
Kosachev.
He commented Sep 4 that Russia was not trying to go
out of its way to gain support of its position
regarding Abkhazia and South Ossetia.
“Nothing of the kind is going on,” Kosachev says.
However, he adds, undoubtedly, understanding and
support of the Russia's position on the issue on the
part of other countries is a very important factor.
“But this is not an end in itself that has to be
achieved by all means,” he explains. “We are grateful
to the countries who already support us morally and
those who will find courage to do it, politically and
diplomatically,” Kosachev said.
“I am positive that Nicaragua will not be alone,” the
MP said, adding that he understands how difficult the
decision is, “taking into account the pressure that,
for certain, is applied against these countries by the
USA.”
Sep 3, government of Nicaragua announced of its
recognition of independence of the already recognized
by Russia republics of Abkhazia and South Ossetia.
08/09/2008 14:36 MOSCOW, September 8 (RIA Novosti) - Belarusian
President Alexander Lukashenko said on Monday that his country would
consider the issue of the recognition of Abkhazia and South Ossetia
as independent states in the near future.
Russia recognized South Ossetia and Abkhazia on August 26. Nicaragua
followed suit last week.
"The time will most likely come when we, like Russia, will consider
the question of the recognition of [the independence of] South
Ossetia," Lukashenko said.
He also said that Belarus would "soon hold parliamentary polls," and
that the new parliament would discuss the issue of both South
Ossetia and Abkhazia after the elections.
Belarusian voters are due to cast their votes in parliamentary
elections on September 28.
Lukashenko denied that Minsk's decision on whether or not to
recognize the republics would be influenced by Moscow, but said
that "Belarus has always been Russia's reliable friend."
Speaking a month after Georgia's August 8 attack on South Ossetia,
Lukashenko said Minsk was offering "solidarity" with Moscow, its
strategic ally, in the "information war being waged against Russia
by the West."
Lukashenko added that he had long maintained "warm" relations with
Abkhaz President Sergei Bagapsh. "We blocked a resolution in the
early days of the CIS on an embargo against Abkhazia," he said.
The CIS, or Commonwealth of Independent States, is a loose alliance
of a number of former Soviet republics.
(di Alessandro Logroscino) (ANSA) - BELGRADO, 12 AGO - ''Un caso a parte'' che a dispetto di tutto - anche dell'evidenza delle cannonate - non puo' essere evocato come un precedente. Si aggrappa al mantra recitato caparbiamente per mesi dalle cancellerie occidentali il presidente Fatmir Sejdiu per allontanare dal Kosovo ogni paragone con le ambizioni secessioniste dell'Ossezia del Sud, focolaio di un conflitto che rimbomba in questi giorni dal Caucaso con connotati fin troppo familiari per i Balcani. Tirata in ballo da commentatori di mezzo mondo, l'ex provincia albanese proclamatasi unilateralmente indipendente dalla Serbia il 17 febbraio scorso - con l'avallo degli Usa e di molti di quei Paesi europei che oggi invece difendono l'integrita' territoriale della Georgia dal separatismo osseto (e abkhazo) - prova a far finta di niente. E se a Belgrado non si perde occasione per sottolineare le analogie fra le due vicende, a Pristina la parola d'ordine e' basso profilo. Il primo commento di un leader kosovaro si e' fatto attendere fino a stamane. A rompere il silenzio e' stato alla fine Sejdiu, che in un discorso pubblico ha rigettato tutte le similitudini con ''altre realta''', evitando persino di citare l'Ossezia del Sud. ''Il Kosovo - ha tagliato corto il presidente - rappresenta un caso a parte sotto tutti i punti di vista''. Solo ''chi si oppone alla nostra indipendenza - ha concluso - ha interesse a indicarci come un precedente''. Parole che stridono quant'altre mai con i toni e i commenti di marca serba, pronti a evidenziare le acrobatiche inversioni di ruoli e di giudizi fra i due dossier. ''Il conflitto in Ossezia se da un lato appare conseguenza diretta dell'indipendenza unilaterale del Kosovo, dall'altro rivela un paradossale scambio di posizioni fra Russi e Americani'', ironizza sul giornale Politika un analista liberale come Bosko Jaksic. Contraddizioni che smascherano ''l'arbitrarieta' dell'approccio ai problemli globali da parte delle grandi potenze e celano, naturalmente, il trionfo della realpolitik''. ''Altro che caso a se' - gli fa eco Oliver Ivanovic, leader moderato dei serbi kosovari e viceministro per il Kosovo nel nuovo governo europeista di Belgrado - se gli Usa e altri Paesi occidentali non avessero riconosciuto lo strappo di Pristina, e giustificato la violazione dell'integrita' della Serbia, oggi forse non ci sarebbe la guerra nel Caucaso''. Opinioni nette, e certo di parte, cui tuttavia i media serbi possono offrire il conforto di osservatori terzi. Come l'americano Ted Carpenter, vicepresidente dell'Istituto Cato di Washington, che in un'intervista all'agenzia Tanjug riconosce apertamente la legittimita' del parallelo. ''Quando certi diplomatici occidentali parlavano del Kosovo come di un caso unico, non utilizzabile come precedente, dicevano evidentemente un'assurdita''', nota Carpenter, secondo il quale il legame fra Kosovo e Ossezia non solo c'e', ma e' bilaterale. Visto che i contraccolpi della crisi osseta minacciano adesso di tornare indietro come un boomerang su Pristina, lasciando l'ex provincia albanofona ''in un limbo politico da semi-Stato''. Dalla Germania a far rimbalzare concetti non dissimili sono Alexander Rahr, uno dei massimi esperti di politica russa, e il moumentale ex ministro degli esteri Hans-Dietrich Genscher. Entrambi persuasi che 'l'affaire Kosovo' abbia indotto Mosca alla prova di forza in Ossezia per dimostrare di ''essere padrona a casa sua''. E che ora all'Ue convenga smarcarsi dagli Usa almeno nel Caucaso, ''tentando una mediazione autonoma''. Magari per promuovere la creazione di ''una confederazione a tre in Georgia'', rigorosamente ''fuori dalla Nato''. (ANSA). LR
12/08/2008 17:30
(ANSA) - BELGRADO, 26 AGO - Il ministero degli Esteri serbo, nella prima reazione ufficiale di Belgrado al riconoscimento russo della secessione di Ossezia del Sud e Abkhazia, manifesta stasera ''preoccupazione'' per lo svilupparsi degli eventi nel Caucaso, ma senza esprimere condanne di sorta. Nella nota, la Serbia ribadisce la propria fedelta' al principio del ''rispetto dalla sovranita' e integrita' territoriale'' del Paesi membri dell'Onu, ricordando tuttavia in prima battuta il Kosovo quale esempio recente di violazione (da parte dell'Occidente) di tale principio ed evitando invece qualsiasi critica diretta nei confronti di Mosca. Il governo serbo (pure considerato filo-europeo) sottolinea di aver ammonito fin dai mesi scorsi sul fatto che ''la secessione illegale del Kosovo'' - proclamata unilateralmente da Pristina il 17 febbraio 2008 e avallata dagli Usa e da gran parte dei Paesi dell'Ue - avrebbe rappresentato ''un precedente pericoloso'' per la stabilita' dei Balcani e di altre regioni. Dopo gli avvenimenti caucasici di queste ore, Belgrado conferma adesso piena adesione al principio del ''rispetto della sovranita' e integrita' territoriali degli Stati riconosciuti dall'Onu'', ma ''a cominciare dalla Serbia'' e senza citare esplicitamente la Georgia. (ANSA). LR
26/08/2008 20:08
(ANSA) - BELGRADO, 27 AGO - La Russia non intende modificare il proprio no alla secessione del Kosovo albanese dalla Serbia a dispetto del fresco riconoscimento concesso alle istanze separatiste di Ossezia del Sud e Abkhazia dalla Georgia. Al contrario, nessuno dei Paesi occidentali favorevoli a suo tempo allo strappo di Pristina pensa di rimettere in discussione quella scelta nonostante i richiami attuali alla intangibilita' dell'integrita' territoriale di Tbilisi. Sono questi i messaggi riecheggiati oggi a Belgrado, da est e da ovest, all'indomani del via libera formale del Cremlino all' indipendenza sudosseta e abkhaza. A nome di Mosca ha parlato l'ambasciatore russo in Serbia, Aleksandr Konuzin, assicurando che le scelte compiute nel Caucaso ''non comporteranno indebolimenti della posizione russa nella difesa dei diritti di sovranita' serbi sul Kosovo''. Diritti che secondo il Cremlino la Serbia democratica di questi anni ha difeso pacificamente, dopo le violenze degli anni '90, e che nel caso di Ossezia e Abkhazia - pure teatro di conflitti nel decennio passato - la Georgia di Mikhail Saakashvili ha invece appena cercato di restaurare con la forza. Konuzin ha peraltro riconosciuto l'esistenza di analogie fra i due dossier, ricordando che la Russia aveva a suo tempo messo in guardia Usa e Ue sul fatto che ''il riconoscimento della indipendenza unilaterale del Kosovo avrebbe potuto rappresentare un precedente valido per altri''. Ma che ''purtroppo nessuno ci ha voluto ascoltare''. Dal fronte opposto, ha replicato indirettamente l'emissario del Parlamento europeo per i rapporti con la Serbia, Jelko Kacin. Il quale, in visita da ieri a Belgrado, ha dichiarato che l'atteggiamento anti-secessionista assunto dall'Occidente nel Caucaso non produrra' ''alcun ripensamento da parte dei Paesi che in questi mesi hanno riconosciuto il Kosovo''. Alla domanda se non vedesse contraddizioni in un tale approccio, Kacin ha poi glissato con queste parole: ''Sono incaricato di occuparmi di Serbia e non di Kosovo''. (ANSA). LR
27/08/2008 17:43
Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica
Atti del Convegno: Foibe: La verità. Contro il revisionismo storico
Sesto S. Giovanni (MI), 9 febbraio 2008
Collana di Resistenza Storica / Editrice KappaVu
Via Zugliano 42, 33100 Udine - info @ kappavu.it - telfax 0432-530540
dedicato a Pierluigi Visintin
Sigle e Abbreviazioni
APPENDICI:
ALESSANDRA KERSEVAN Porzûs: il più grande processo antipartigiano del dopoguerra
mercoledì 20 agosto 2008
(ANSA) - ROMA, 19 AGO - "L'annuncio dato dal Santo Padre della beatificazione di don Francesco Giovanni Bonifacio è un atto importante non solo da un punto di vista religioso ma anche storico. Beatificare un Martire delle Foibe, infatti, sottolinea l'enorme tragedia e il gravissimo eccidio che fu perpetrato contro gli italiani giuliano-dalmati e istriani da parte delle forze comuniste di Tito". Lo ha affermato, in una nota, il sindaco di Roma Gianni Alemanno. "E' una tragedia - ha proseguito Alemanno - che per lungo tempo è stata misconosciuta dalla storiografia ufficiale e che solo da pochi anni è entrata nella coscienza non solo degli Italiani ma di tutta l'umanità. Oggi il Pontefice ha annunciato una altro passaggio importante per la memoria di questo terribile fatto". (ANSA).
Vaticano ufficializza beatificazione Don Bonifacio (Ansa 19 ago)
mercoledì 20 agosto 2008
(ANSA) - CITTA' DEL VATICANO, 19 AGO - Saranno beatificati nel prossimo ottobre Francesco Giovanni Bonifacio, sacerdote martire delle foibe, e i coniugi Louis Martin e Zelie Marie Guerin, genitori di Santa Teresa del Bambino Gesù, patrona di Francia insieme a Giovanna d'Arco. L'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Papa ha diffuso, tramite la sala stampa della Santa Sede, il calendario dei prossimi riti di beatificazione. Quella di Bonifacio sarà celebrata il 4 ottobre a Trieste, mentre quella dei coniugi Guerin avverra il giorno 19 a Lisieux, città dove santa Teresina visse e morì nel settembre del 1897. Il primo rito, in ordine di tempo, sarà quello di Vincenza Maria Poloni, fondatrice dell'Istituto delle Sorelle della Misericordia, che avrà luogo domenica 21 settembre a Verona. Avverrà invece in Polonia, a Biaystok, il giorno 28, la beatificazione di Michele Sopocko, confessore di Santa Faustina. In contemporanea con la beatificazione di Bonifacio a Trieste, il 4 ottobre, sarà celebrato a Vigevano (Pavia) il rito anche per Francesco Pianzola, detto "l'apostolo della Lomellina". Fondatore delle Suore Missionarie dell' Immacolata Regina della Pace, portò conforto nella povertà alle mondine, ai braccianti e agli operai della zona. (ANSA)
Il prossimo 4 ottobre 2008 si svolgerà a Trieste la beatificazione di don Francesco Bonifacio, sacerdote istriano scomparso in circostanze misteriose nel 1946. Diciamo “scomparso” e non “morto”, perché dato che il suo corpo non è mai stato trovato non è a tutt’oggi possibile determinare la data della morte.
Ma perché è stata decisa la beatificazione di don Bonifacio? Le fonti “ufficiali” (nella fattispecie una nota Ansa del 4/8/08, che si basa, supponiamo, su comunicazioni degli organi ecclesiastici) affermano che don Bonifacio, fu ucciso “in odio alla fede”, che fu “catturato dai titini a Villa Gardossi” e “finì in una delle cavità del Carso”; che “secondo tardive testimonianze” prima di essere ucciso “sarebbe stato spogliato, deriso, lapidato e forse anche accoltellato e fucilato”.
Riprendiamo ora un articolo di Sergio Paroni dal “Piccolo” del 12/9/96. Il giornalista spiega che la causa di beatificazione di don Bonifacio fu avviata dal vescovo Antonio Santin nel 1957 presso la curia triestina. Santin considerava don Bonifacio “l’onore del nostro clero”. Ma, scrive Paroni, il procedimento si arenò “per la diffusa omertà di coloro che avrebbero potuto testimoniare”. Venne ripreso nel 1971 “grazie all’impulso dato da don Eugenio Ravignani, istriano come don Bonifacio” (Ravignani è l’attuale vescovo di Trieste).
Il vescovo monsignor Bellomi avrebbe deciso di riprendere in mano la causa e raccomandò, prima di morire (Bellomi è deceduto nel 1996) a monsignor Giuseppe Rocco di portare a termine l’istruttoria. Rocco è (o almeno lo era quando Paroni scrisse l’articolo) vicepresidente del tribunale diocesano competente per le cause di beatificazione, di cui il presidente è don Ettore Malnati (già segretario particolare di Santin e suo biografo), e del quale fanno parte due “notai”: un diacono ed una laica.
Il compito di questo tribunale è di valutare le testimonianze, che devono essere: “attendibili ed autorevoli per essere efficacemente accolte”. Alla fine dell’istruttoria il tribunale diocesano deve inviare il materiale raccolto alla Congregazione vaticana per la causa dei santi, “cui spetta l’esame finale”. Paroni aggiunge che dal materiale fino allora raccolto emerge che “don Bonifacio fu eliminato in odio alla fede, ovvero che è un martire, che quasi certamente venne infoibato poiché non se n’è più rinvenuta traccia” (conclusione quanto meno opinabile, come se tutti coloro che scompaiono senza lasciare traccia finissero in una foiba). E conclude osservando che la causa di beatificazione di don Bonifacio poteva avere da quel momento probabilità di giungere a buon fine, dato che pochi giorni prima papa Giovanni Paolo II aveva definito “martiri del nostro secolo” i cristiani “vittime dei regimi comunisti”: questo perché “per i martiri non c’è nemmeno l’onere di reperire la prova di un miracolo per la loro elevazione agli altari”.
Alcuni anni or sono il giornalista triestino Ranieri Ponis ha redatto uno studio dal titolo “In odium fidei” (ed. Zenit Trieste 1999), nel quale tratta dei sacerdoti uccisi dai “comunisti slavi”. Ecco cosa scrive in merito alla vicenda di don Bonifacio.
“Sono le 16 dell’11 settembre 1946 quando don Francesco Bonifacio lascia Villa Gardossi ed a piedi si avvia verso Peroi (…) prosegue per Grisignana (…) deve incontrarsi con il parroco Giuseppe Rocco (che era anche il suo confessore: è forse lo stesso “monsignor Giuseppe Rocco” del tribunale diocesano? n.d.r.) (…) don Rocco lo accompagna fino al cimitero (…) In lontananza si notano due guardie popolari (…). Don Francesco arriva sulla strada di Radani, qui è ferma un’automobile, nascosta dietro un cespuglio (…) vi sono testimoni oculari. Che vedono due avvicinarsi a don Bonifacio e costringerlo a salire sull’automobile: viene fatto sedere vicino all’autista. Questi indossa un paio di calzoni della divisa, ed è il komandir (…) si chiama Rak, è di origine dalmata (…) e abita a quel tempo a Umago (…) dietro siede Pietro A., tuttora vivente e abitante nel Pordenonese. Percorrono qualche chilometro, poi prendono a bordo altri due: Giordano N. e Antonio G.. A questo punto le ipotesi sono tante, le convinzioni forse nessuna”.
Frase interessante, questa: le ipotesi sono tante, le convinzioni forse nessuna. Eppure è proprio su queste tante ipotesi e forse nessuna convinzione che don Bonifacio verrà beatificato tra poche settimane.
È anche degno di nota che Ponis indica solo il nome e l’iniziale del cognome di due degli “ipotetici” rapitori. Perché? Proseguiamo con la lettura: Ponis racconta varie “ipotesi”, tra le quali la descrizione dello sgozzamento di don Bonifacio che sarebbe stato ucciso perché si era messo a pregare. Ma sono solo “ipotesi”, appunto.
Anche relativamente alla sepoltura vi sono varie “ipotesi”: alcune indicano don Bonifacio sepolto presso Montona, altre nella Valle del Quieto, oppure in zona Peroi (vi consigliamo di procurarvi una cartina della zona per valutare le distanze).
Ponis aggiunge che il fratello del sacerdote, Giovanni Bonifacio, avrebbe fatto confessare a Giordano N. i fatti, ma che questo non voleva parlare per paura.
Poi riferisce l’ipotesi che un “processo farsa” si sarebbe svolto nella casa della famiglia Muscovich a Bollara (tra Castagna e Grisignana) e che alla fine, come racconterebbe una signora (che all’epoca era bambina e della quale Ponis non fa il nome), don Bonifacio sarebbe stato costretto a camminare scalzo fino alla foiba di Martines nel villaggio di Dubzi.
Altra “ipotesi”: dopo il “processo farsa” don Bonifacio sarebbe stato colpito al punto da perdere i sensi, caricato su un carretto e poi portato alla foiba di Martines, dove Ponis dice di essersi recato. Lì una donna di nome Veneranda, che nel 1946 avrebbe avuto vent’anni, avrebbe trovato il fazzoletto di lino con le iniziali di don Bonifacio sull’erba, una mattina dopo avere sentito delle urla durante la notte.
Interessante però che il testo di Ponis non tenga conto delle testimonianze citate nel volumetto di Sergio Galimberti, pubblicato l’anno prima, nel 1998, in occasione della “solenne sessione conclusiva del processo diocesano per la canonizzazione di don Bonifacio”.
In esso sono riportati i nomi di sette testimoni, che hanno tutti più o meno dichiarato la stessa cosa, e cioè che l’11 settembre 1946, mentre usciva dal cimitero di Grisignana, don Bonifacio fu “avvicinato” da alcune “guardie popolari”, o “soldati della polizia jugoslava”, con i quali si sarebbe allontanato. È il fratello, Giovanni a dire che “poco dopo l’arresto” (ma anche l’arresto è una “ipotesi”, dato che le testimonianze non accennano ad atti di coercizione nei confronti del sacerdote: “due soldati precedono don Francesco che li segue libero”, ha dichiarato un teste) il gruppetto e il prete “spariscono nel bosco”. E teniamo presente che Giovanni Bonifacio non era presente ai fatti, si trovava in casa ad attendere il ritorno del fratello.
Vi è dunque una versione che vuole don Bonifacio avvicinato da non meglio identificati “titini” e condotto via a piedi; un’altra che parla di un sequestro in piena regola, per il quale sarebbe stata usata un’automobile. Quale è quella accolta dalla Congregazione vaticana?
Nei giorni successivi alla scomparsa del prete i suoi familiari chiedono notizie al comando di polizia di Grisignana, alla Difesa popolare di Buie, al comando dell’OZNA ma tutte le autorità interpellate risposero che non vi era alcun ordine di arresto per don Bonifacio e che egli non si trovava incarcerato. Queste risposte, del tutto logiche se don Bonifacio non era stato arrestato dalle autorità, vengono definite nel testo: “vaghe, reticenti, contraddittorie” ed anche “evasive”.
Poi sono elencate le “alternative prospettate sulle modalità dell’uccisione”: “eliminazione generica (sic), torture, impiccagione, strangolamento, percosse, lapidazione, decapitazione, omicidio con arma bianca o da fuoco”. Mancano solo la sedia elettrica e l’iniezione letale, viene da osservare. Il luogo è “incerto”, scrive il testo: “tra Grisignana e Villa Gardossi, Radani, San Vito, bosco di Levade, Gradina di Portole, Carso di Piemonte” (e qui vi rinviamo nuovamente alla cartina); per quanto concerne i “mandanti” si è ancora più vaghi: “Autorità jugoslava di Fiume, Abbazia, Buie; Comitato popolare di Villa Gardossi, Comitato popolare distrettuale di Buie, comunisti italiani di Buie, attivisti e militanti slavo-comunisti, ecc.”. I “presunti esecutori” sarebbero “tre, quattro o forse più”; il “destino del cadavere”, infine, sarebbe “incerto: cremazione (cimitero di San Vito), infoibamento (qualche voragine della zona, foiba di Martines a Grisignana, foiba di Pisino), sepoltura (Santo Stefano, bosco di Levade, San Bortolo di Montona, San Pancrazio di Montona, San Vito di Grisignana, linea di confine tra Zona B e Jugoslavia”).
In sostanza: non si sa come don Bonifacio sia morto (a rigor di logica non si sa neppure se sia morto), né chi l’avrebbe ucciso e per quale motivo, però la conclusione del processo diocesano dà per assodato che sia stato ucciso in odium fidei.
Nello stesso libretto troviamo anche la versione dell’arresto di don Bonifacio riportata da Ponis, che sarebbe stata resa da un “sedicente testimone oculare”, cioè un “attivista comunista” che, “a pagamento”, avrebbe fatto ad un “regista” (del quale non viene fatto il nome) una “narrazione romanzata destinata alla realizzazione di un soggetto teatrale basato sulle ultime ore di don Francesco Bonifacio”. Questo testimone era stato rinchiuso assieme al suo “compagno di lotta” (quello con cui sarebbe andato ad arrestare il prete) in carcere ad Albona nel novembre 1946, ed avrebbe “confermato ad un suo carceriere” che “il prete di Crassizza” (cioè Villa Gardossi) sarebbe stato “finito con delle coltellate alla gola” e non gli sarebbe stata “staccata la testa”, come invece asseriva il suo “compagno”. Ammesso che questo racconto sia attendibile, potrebbe significare che i due erano detenuti proprio perché avevano assassinato il prete (per criminalità comune) e che il “testimone oculare” (stranamente anonimo, mentre il suo “compagno” viene indicato come Enrico Clarich, nome che nel testo di Ponis non compare) abbia poi deciso di infiorettare il racconto con le motivazioni politiche ed i particolari cruenti, per vendere poi con più profitto la sua “storia” al regista.
Leggendo la biografia di don Bonifacio ci hanno colpito alcune cose. Innanzitutto che il sacerdote, che durante la guerra aveva operato sia per salvare partigiani e civili, sia militari nazifascisti, scriveva nel suo diario di non aver paura di essere ucciso od aggredito, nonostante ciò che affermano i suoi biografi. Che aveva fisso il pensiero della morte, ma questo, piuttosto che essere attribuibile alla paura di cadere vittima “degli slavo-comunisti”, può dipendere dal fatto che fin da ragazzo soffriva di crisi di asma piuttosto gravi, che non gli permettevano una vita del tutto normale.
Ma quello che più ci sconcerta è il motivo per cui si è deciso che don Bonifacio è morto in odium fidei: dato che è scomparso ed il suo cadavere non è stato trovato è stato sicuramente infoibato perché esponente del clero cattolico.
Ora, mancando il corpo, vi sono tante altre ipotesi che si possono fare sulla scomparsa di una persona. Per voler prendere in esame tutte le possibilità, si può anche ipotizzare (dato che le ipotesi sono tante, come afferma Ranieri Ponis, ne aggiungiamo qualcuna anche noi) che il sacerdote si sia allontanato volontariamente e sia andato a vivere altrove con un’altra identità: ipotesi che tendiamo ad escludere dopo avere letto parti del suo diario, da cui esce una figura di religioso coerente. Ma potrebbe essere stato colto da amnesia ed essere andato da tutt’altra parte, morto chissà dove e quando; può avere avuto una crisi d’asma più grave delle altre, che gli è stata fatale, ed essere morto in un luogo dove il suo corpo è rimasto celato.
L’ipotesi però che a noi sembra la più probabile è che don Bonifacio sia caduto vittima di criminali comuni che, per derubarlo o per altro sconosciuto motivo, lo hanno ucciso e poi ne hanno occultato il cadavere. Questa ipotesi corrisponderebbe al racconto fatto all’anonimo regista, dove abbiamo due “testimoni oculari” dell’assassinio di don Bonifacio che si trovavano in carcere due mesi dopo la scomparsa del religioso. Perché nessuno ha pensato di fare una ricerca presso l’autorità giudiziaria di Fiume (presumibilmente quella competente per territorio, se i due erano in carcere ad Albona), neanche negli anni recenti?
Noi, da agnostici, riteniamo che gli affari religiosi debbano essere gestiti seriamente. Non si può fare santo (o beatificare, è lo stesso) chiunque o chicchessia senza un minimo di analisi della sua vita e delle modalità della sua morte. Non è una cosa seria, né è rispettosa di chi crede.
Soprattutto siamo dell’opinione che non si possono strumentalizzare la storia e le credenze religiose a scopi politici. Nella fattispecie, con la beatificazione di don Francesco Bonifacio (per il quale non vi è alcuna prova che sia stato ucciso in odium fidei), non si compie un atto religioso, ma si strumentalizza una tragedia (la scomparsa di un giovane sacerdote) per fare propaganda politica in funzione anticomunista.
In conclusione un breve appunto per una prossima ricerca storica: che in Jugoslavia sia stato impedito alla popolazione di professare qualsivoglia religione, a partire da quella cristiana, è una bufala bella e buona. Tanto per fare un esempio, ricordiamo che nel corso dei censimenti etnici era permesso dichiararsi islamici o musulmani, trasformando un credo religioso in una componente etnica (fattore che ha avuto poi il suo non indifferente peso nel corso del conflitto jugoslavo).
Della “persecuzione” dei sacerdoti in Jugoslavia parleremo quindi in un’altra occasione; in questa sede vogliamo solo dire che tra gli attivisti del Fronte di Liberazione jugoslavo vi erano anche molti sacerdoti, diversi dei quali ricoprirono addirittura dei ruoli di dirigenza. Del resto un partigiano giunto a Trieste ai primi di maggio 1945, mostrando un tatuaggio rappresentante Cristo che portava sul petto disse che lui credeva in Gesù perché “è stato il primo comunista” (testimonianza di Fausto Franco, del CLN triestino, pubblicata sul “Piccolo” del 4/11/83).
settembre 2008
1) Комунисти Србије о ХАПШЕЊА РАДОВАНА
КАРАЏИЋА /
I COMUNISTI DI SERBIA SULL'ARRESTO DI RADOVAN KARADžIĆ
2)
SKOJ: HAŠKI TRIBUNAL-INSTRUMENT ZAPADNE HEGEMONIJE /
SKOJ: IL
TRIBUNALE DELL' AJA – STRUMENTO DELL'EGEMONIA OCCIDENTALE
fonte: Web
Magazin Komunisti
http://komunisti.50webs.com/
Trad. a cura di Dk per
JUGOINFO
=== 1 ===
Originalni tekst (kirilica):
ХАПШЕЊЕ РАДОВАНА
КАРАЏИЋА КАО ПОВОД
ЗА ЈАВНО ОГЛАШАВАЊЕ КОМУНИСТА СРБИЈЕ
http:
//komunisti.50webs.com/komunistisrbije10.html
ili http://www.cnj
it/POLITICA/ks_karadzic08.htm
---
Comunisti di Serbia (Komunisti
Srbije)
Narodnih heroja 1/1 - 11070 Novi Beograd
L'ARRESTO DI RADOVAN
KARADžIĆ COME OCCASIONEPER RENDERE NOTA L'OPINIONE DEICOMUNISTI DI
SERBIA
Per i COMUNISTI DI SERBIA, l'arresto di Radovan Karadžić
non è un motivo per introdursi con la propria opinione nel baccano
assordante allo scopo di schierarsi con una delle parti che si
confrontano - quella che definisce quest'arresto una brillante vittoria
delleforze filo-europee e "democratiche", oppure la parte che sfrutta
questo evento per la propria promozione politica, o persino quella che
lo considera una tragedia nazionale. Collocando l'arresto del signor
Karadžić inun contesto più ampio connesso con i recenti eventi tragici
nei territori jugoslavi e con lo stato attuale del nostro paese, i
COMUNISTI DI SERBIA vogliono comunicare al pubblico le loro opinioni
politiche di principio.
Dal momento della distruzione della LCJ (Lega
dei Comunisti di Jugoslavia, ndt) e della RFSJ (Repubblica Federativa
Socialista di Jugoslavia, ndt), ovvero, sin dall'estromissione dei
comunisti dal potere, nei territori della Jugoslavia la successione
degli eventi si può tranquillamente definire come una contro-
rivoluzione in cui è stato distrutto uno dei paesi più belli e più
apprezzati del mondo. Questo è stato realizzato attraverso una
sanguinosa guerra civile fratricida, risultata in molte vittime umane,
enormi perdite economiche e la successiva costituzione di statarelli-
nani con governi-fantoccio a servizio delle potenze straniere. Queste
stesse POTENZE STRANIERE, avendo per obiettivo la distruzione della
RFSJ, sono state ispiratrici, istigatrici ed organizzatrici della
succesione sanguinosa degli eventi, per la quale, in qualità di loro
esecutori, hanno ingaggiato anti-comunisti ed anti-jugoslavi di tutti i
colori, e le forze nazionaliste-separatiste in particolare, che,
purtroppo, si annidavano addirittura nell'amministrazione statale e
partitica. Se vogliamo valutare la posizione e il ruolo del signor
Radovan Karadžić nei tragici eventi passati, non si può contestare il
fatto che egli è appartenuto al gruppo dei prominenti attori interni
del dramma jugoslavo. In verità, Karadžić si è impegnato inizialmente
per la conservazione della Jugoslavia, invitando bosgnacchi (musulmani
bosniaci, ndt) e croati a non votare per l'uscita della Bosnia-
Erzegovina dalla RFSJ. Egli, però, ha lasciato presto tale posizione di
difesa della Jugoslavia ed ha iniziato a lavorare alla costituzione di
uno Stato serbo indipendente nella Bosnia-Erzegovina, come reazione al
comportamento anti-jugoslavo della "elite"nazional-separatista croata e
bosgnacca, che aveva fatto passare la decisione referendaria
sull'uscita della Bosnia-Erzegovina dalla RFSJ, una vicenda storica
molto triste. Nelle vesti di anti-comunista e nazionalista serbo, il
signor Karadžić si è così schierato nel novero dei prominenti attori
della sanguinosa guerra in Bosnia-Erzegovina.
Questo fatto rappresenta
comunque un particolare di una storia ben più ampia, in cui devono
essere inclusi gli istigatori esterni e gli ispiratori della
distruzione della RFSJ, i quisling locali, le forze nazional-
separatiste, nonchè tutte le altre tipologie di anti-comunisti e anti-
jugoslavi. In altre parole, per poter valutare le cause e le
conseguenze della Guerra Civile nella RFSJ in modo più completo e
oggettivo, dobbiamo collocarle nel più ampio contesto europeo. Solo in
questo modo diventa possibile produrre valutazioni politiche oggettive
riguardo ai tragici eventi recenti nei territori della Jugoslavia.
Detto in modo figurativo, "lo spirito maligno è stato rilasciato dalla
bottiglia" nel momento in cui il rapporto tra le potenze in Europa si è
modificato a scapito del socialismo. E' stato in quell'occasione che,
allo scopo di distruggere la RFSJ, gli Stati Uniti, paese che è stato
il nostro principale antagonista, assieme con alcuni Stati di spicco
dall'Europa occidentale, hanno disegnato una strategia e tattica basate
sull'ANTI-COMUNISMO. Ingaggiando le forze separatiste-nazionaliste e le
forze della destra borghese, che l'Esercito Popolare di Liberazione
aveva sconfitto nella Seconda Guerra Mondiale in quanto collaboratori
aperti o nascosti degli occupatori fascisti, GLI ISPIRATORI PRINCIPALI
hanno effettuato la mobilitazione generale di tutti i nemici esterni ed
interni, delle forze anti-comuniste e anti-jugoslave, che hanno
distrutto la RFSJ - ed i popoli jugoslavi ne subiranno a lungo le
tragiche conseguenze.
Il Partito "COMUNISTI DI SERBIA" condanna
categoricamente tutti i crimini e i loro esecutori, senza distinzione
rispetto a quale parte li ha commessi, in base a quale ordine ed a nome
di chi, sottointendendo gliispiratori esterni ed interni, gli
istigatori ed organizzatori che hanno fornito il sostegno politico,
economico e militare per la distruzione della RFSJ.
Purtroppo, la
piattaforma politica dei principi dei COMUNISTI DI SERBIA riguardo alla
condanna categorica di tutti i crimini e dei loro esecutori, non può
essere correttamente e pienamente realizzata in nessuno di nuovi
statarelli-fantoccio e nemmeno alTRIBUNALE DI AJA in quanto Tribunale
politico nelle mani delle potenze imperialiste (Stati Uniti, NATO e
paesi leader dell'UE) che, in concomitanza con i quisling locali
separatisti-nazionalisti, hanno organizzato la distruzione della RFSJ
tramite una sanguinosa guerra civile. Queste potenze si sono date
l'obiettivo di creare"confini forgiati nel sangue" a separare i popoli
jugoslavi, e la distruzione della RFSJ, con tutto quanto essa
rappresentava per i suoi popoli e per molti popoli nel mondo, per
l'ulteriore sviluppo creativo delsocialismo auto-gestionale, per la
politica ispirata alla pace nel mondo e a rapporti internazionali
basati sull'eguaglianza.
Perchè le nostre valutazioni siano più
esaurienti, dobbiamo accennare al comportamento dei comunisti agli
inizi e durante la crisi jugoslava. Con la distruzione della LCJ e
della RFSJ, centinaia di migliaia di comunisti e combattenti della
Guerra Popolare di Liberazione, così come milioni di patrioti
jugoslavi, sono"rimasti di stucco" e stupefatti a tal punto da non
potersi più riprendere fino alla fine della loro vita. La loro
esasperazione per il crollo del movimento a cui aderivano e dello Stato
che avevano amato immensamente, deriva dalla dolorosa cognizione che
nel loro movimento si erano annidati tanti separatisti, nazionalisti,
carrieristi ed altri tipi di anti-comunisti nascosti, laddove stupisce
in modo particolare lanegativa selezione dei dirigenti per gli organi
dello Stato, del Partito, dell'Esercito Popolare. Tra gli otto partiti
comunisti e dei lavoratori, ora operativi in Serbia, così come tra gli
altri partiti comunisti e dei lavoratori esistenti nei territori
jugoslavi, non si è ancora giunti ad una risposta concorde alla
questione, da tutti sentita: Per quale motivo ed in quale occasione, I
COMUNISTIsono rimasti in minoranza nel loro partito, mentre le
"KOMUNjARE" (carrieristi, separatisti, nazionalisti ed altri tipi di
anti-jugoslavi ed anti-comunisti) sono diventate preponderanti, nelle
amministrazioni statali e partitiche in particolare? Secondo alcune
opinioni questo è accaduto dagli anni Ottanta del secolo scorso, mentre
secondo altri la degenerazione risale a molto prima, ed ha compromesso
in maniera rilevante le idee comuniste nella prassi quotidiana, con
conseguenze decisive per la distruzione della RFSJ.
Il risultato dei
recenti eventi tragici nella Jugoslavia, esposto nella parte iniziale
di quest'articolo, è esemplificato dalla situazione attuale visibile in
tutte le ex-repubbliche della RFSJ. Questa situazione è direttamente
correlata con l'odierno rapporto tra le potenze a livello mondiale, che
va a favore degli Stati Uniti e dei loro alleati, che "democratizzano"
l'umanità tramite la globalizzazione, la transizione, la
privatizzazione depredante e l'impiego della forza militare. Dato tale
comportamento delle grandi potenze e dato il rapporto attuale delle
forze nel mondo, una collaborazione internazionale basata
sull'eguaglianza, così come l'applicazione rigorosa del principio
diDIRITTO e GIUSTIZIA in tutti i settori della vita e della
giurisprudenza internazionale, non sono possibili. Nel passato molto
recente e nel presente vediamo innumerevoli esempi nel mondo che
testimoniano dell'ineguaglianza, ingiustizia, violenza, terrorismo ed
"anti-terrorismo" degli Stati. Sembra che, tra tutti i guai a cui oggi
l'umanità è sottoposta, il male globale più grande sia rappresentato
dal cosiddetto terrorismo "anti-terroristico" degli Stati, messo in
atto dagli Stati Uniti e dai loro alleati più stretti. Purtroppo, come
si può notare, nel mondo odierno prevale la dominazione delcapitalismo
liberale selvaggio, con tutte le conseguenze negative per la civiltà
mondiale e gli Stati piccoli e non-sviluppati, a cui appartiene anche
il nostro paese.
Infine, bisogna porsi una domanda: qual è il modo
perconvogliare lo scontento per lo stato attuale della società,
presente nella maggior parte dei cittadini, in una forza politica
organizzata, capace di fermare lo sfacelo del paese, restituendo ai
cittadini la speranza che sia possibile la costruzione di uno Stato dal
volto sociale, corretto e prosperoso, in cui siano coltivati il lavoro
e la creatività?
Nello stato attuale delle circostanze e con la
attuale distribuzione delle forze sulla scena politica pubblica in
Serbia, in cui dominano una destra borghese e nazionalista e una pseudo-
sinistra, data l'assenza diuna vera sinistra comunista e dei
lavoratori, visto che i partiti comunisti e dei lavoratori sono esposti
alla forte demonizzazione e all'embargo mediatico totale, mentre nel
contempo non sono neanche uniti fra loro, alla domanda che è stata
posta non è possibile trovare una risposta incoraggiante. Un incremento
rilevante di influenza dei comunisti nella vita sociale della Serbia è
realizzabile solo con lo sforzo congiunto dei partiti comunisti e dei
lavoratori, in modo che la disunione attuale, prevalentemente fondata
su valutazioni diverse in merito ai cruciali eventi del passato e al
ruolo di personaggi di spicco in tali eventi, sia superata. Invece di
dibattere sul passato, con le forze unite bisogna volgersiai temi
sociali del momento e agli impegni dei comunisti a riguardo. Allo scopo
di raggiungere questo obiettivo, il primo passo dovrà essere la
creazione di unaPIATTAFORMA IDEOLOGICA UNITARIA, in cui si dia la
precedenza all'armonizzazione dei temi politici aperti. Raggiungendo
tale accordo, ai partiti comunisti e dei lavoratori si aprirà la via
all'unificazione in un partito unico. I compiti principali del partito
unito dovrebbero essere: il lavoro di massa, innanzitutto con i
giovani, il potenziamento della capacità d'azione, l'abbattimento del
blocco mediatico a cui i comunisti sono esposti da molti anni,
l'entrata nella scena politica pubblica, e, come minimo, il
raggiungimento del primo obiettivo: la conquista di un ruolo influente
nella società.
Se ancora perdurerà lo stato di disunione dei partiti
comunisti e dei lavoratori, in cui "i ruscellini comunisti" corrono
ciascuno in una propria direzione, i processi sociali negativi in
Serbia proseguiranno e continuerà ad essere promosso un sistema di
valori morali e sociali basato sull'anti-comunismo e sull'ideologia del
capitalismo liberale selvaggio.
Belgrado, 2 Agosto 2008
La Presidenza
del Comitato Centrale Comunisti di Serbia (CK KS)
=== 2 ===
http:
//www.cnj.it/POLITICA/nkpj_skoj.htm#rk08
HAŠKI TRIBUNAL-INSTRUMENT
ZAPADNE HEGEMONIJE
Da bi sa sebe skinule odgovornost zbog razbijanja
Socijalističke Federativne Republike Jugoslavije zapadne
imperijalističke zemlje osnovale su HaŠki tribunal - instrument zapadne
hegemonije. Pored toga što je zadatak tog suda da amnestira od
odgovornosti najveće ratne zločince - zapadne imperijaliste, njegova
namena je i kažnjavanje svih onih pojedinaca sa prostora bivše SFRJ
koji su se aktivno suprotstavljali imperijalizmu i razbijanju
Jugoslavije. Stoga Savez komunističke omladine Jugoslavije (SKOJ)
smatra da imperijalistički Haški tribunal treba ukinuti.
Tribunal u
Hagu postoji na osnovu Rezolucije Saveta bezbednosti OUN broj 827.
Osnovanost te rezolucije i samim tim legitimnost Tribunala mogu se
osporiti. Iako se hvali da je instrument "međunarodnog prava" Tribunal
svoje postojanje ne duguje pravu, već običnom dekretu. Međunarodni
tribunal u Hagu nije osnovan nekim zakonom već odlukom Saveta
bezbednosti UN, organa koji nema nikakvu zakonodavnu vlast. Osnivanjem
Tribunala u Hagu nedvosmisleno je prekršeno i pogaženo međunarodno
pravo.
Tribunal u Hagu treba da pokaže kako će proći svako ko se
suprotstavi NATO ekspanziji i uništi svaku ideju o anti-
imperijalističkom otporu.
SKOJ sa gnušanjem osuđuje sve ratne zločine
počinjene u ratovima na teritoriji bivše SFRJ ali kategorički smatra da
za zločine ne mogu da sude najveći ratni zločinci - zapadni
imperijalisti kojima prvo treba suditi za izazivanje bratoubilačkog
rata i razbijanje SFRJ.
4. avgust 2008. god.
Sekretarijat SKOJ-a
---
IL TRIBUNALE DELL' AJA – STRUMENTO DELL'EGEMONIA OCCIDENTALE
Per
sbarazzarsi dalle responsabilità dopo aver distrutto la Repubblica
Federativa Socialista di Jugoslavia, gli Stati imperialisti occidentali
hanno costituito il Tribunale dell'Aja – strumento dell'egemonia
occidentale. Oltre al compito di assolvere i più grandi criminali – gli
imperialisti occidentali - dalle loro responsabilità, esso trova la sua
applicazione nel condannare tutte quelle persone dei territori della ex-
RFSJ, che hanno svolto un ruolo attivo nella opposizione
all'imperialismo ed allo smantellamento della Jugoslavia. Per questo
motivo, la Lega della Gioventù Comunista di Jugoslavia (SKOJ) è del
parere che il Tribunale imperialista dell'Aja debba essere abolito.
Il
Tribunale dell'Aja basa la propria esistenza sulla Risoluzione numero
827 del Consiglio di Sicurezza ONU. La fondatezza di questa risoluzione
e la leggitimità del Tribunale possono essere contestati. Sebbene si
vanti si essere strumento del "diritto internazionale", il Tribunale
piuttosto che al diritto deve la propria esistenza all'emanazione di un
decreto. Il Tribunale Internazionale dell'Aja non è stato costituito in
base a una legge, ma con una Risoluzione del Consiglio di Sicurezza
dell'ONU, organo che non possiede alcun potere legislativo. Con la
costituzione del Tribunale dell'Aja, il diritto internazionale è stato
indubbiamente violato e calpestato.
Il Tribunale dell'Aja ha il
compito di dimostrare a tutti che se la passeranno male se dovessero
opporsi all'espansione della NATO, e di distruggere qualunque pensiero
sulla organizzazione di una resistenza anti-imperialista.
La SKOJ con
indignazione condanna tutti i crimini di guerra commessi nelle guerre
sui territori della ex-RFSJ, però ritiene con convinzione che i più
grandi criminali di guerra – gli imperialisti occidentali – non possono
prendere parte a processi giuridici, perchè sono loro i primi che
debbano essere processati per aver provocato la guerra fratricida e per
la distruzione della RFSJ.
4 Agosto, 2008
La Segreteria della SKOJ -
Lega della Gioventù Comunista della Jugoslavia