Informazione

http://www.tesseramento.it/immigrazione/pagine52298/newsattach615_Dal%
20Corriere%20della%20Sera%20del%2003.pdf

Dal Corriere della Sera del 03-12-06, pag. 19

autore: Rinaldo Frignani categoria: REDAZIONALE

L'incidente all'alba in una casa container a Roma, nel campo dove
vivono 48 famiglie. Giallo sulle attrezzature anti incendio

Rogo tra i nomadi, morti gli sposini
Il sacrificio di Sasha salva i familiari

Strappa alle fiamme i genitori, due sorelle, la nipotina. Non riesce
ad aiutare la moglie, 16 anni, incinta

ROMA — Giocava a pallone in una squadra di periferia. Voleva essere
un campione, magari della Roma, la sua squadra del cuore, ma prima di
questo, sognava di diventare papà. Invece Sasha Traikovic, 17 anni,
nomade serbo, sarà ricordato come un eroe: all'alba di ieri ha
salvato tutta la sua famiglia dal rogo del container dove abitava in
un accampamento a Centocelle, ma poi è morto tra le fiamme nel
tentativo di trascinare fuori sua moglie Ljuba Mikic, incinta al
secondo mese, prigioniera del fuoco scatenato dal corto circuito di
una stufa elettrica. Anche la ragazza, di appena 16 anni, non ce l'ha
fatta. I pompieri, chiamati inspiegabilmente quando ormai il rogo
aveva distrutto tutto, li hanno trovati carbonizzati, abbracciati
nella loro piccola stanza. A Sasha devono la vita il padre Pete, la
madre Gordana, due sorelle e una nipotina di 9 mesi.
Il dramma si è consumato alle 5.20 nell'accampamento in via dei
Gordiani, periferia est della Capitale. Un'area riqualificata dal
Campidoglio tre anni fa, quando il Comune donò a 48 nuclei familiari
di nomadi serbi e bosniaci (separati da vecchie ruggini e da una
recinzione metallica) altrettanti containers «ignifughi» prodotti da
una ditta di Parma. Strutture decisamente migliori delle baracche
fatiscenti dove, fino all'anno prima, i rom avevano abitato
dall'altra parte della strada in un campo non attrezzato distrutto da
un devastante incendio. Ma l'acqua corrente, i servizi igienici,
l'energia elettrica e le fognature non sono bastati per strappare due
giovanissimi sposi a una fine terribile. Il campo in via dei Gordiani
è anche lo stesso visitato a Ferragosto dal ministro dell'Interno
Giuliano Amato, che agli auguri nelle sale operative delle forze
dell'ordine preferì il contatto con le pattuglie su strada. E fra
quei containers grigi il ministro fu avvicinato da un giovane
apolide, Zwonko Djorgevic, nato in Italia ma condotto al cpt di Ponte
Galeria non appena maggiorenne perché non aveva mai fatto la
richiesta del permesso di soggiorno. Un episodio-simbolo, e non solo
per il ministro, della situazione esistente nell'accampamento, da
mesi in balìa anche di spacciatori di eroina e cocaina. Ma Sasha e
Ljuba, chiamati dagli amici «Sale» e «Lilli», erano lontani da tutto
questo. Lui, dopo aver lasciato gli studi, lavorava in un centro
sportivo del quartiere. La moglie, invece, voleva fare l'esame di
terza media e frequentava una scuola serale. Due giovani perbene in
un posto difficile, ben conosciuti fin da bambini anche dai volontari
della Comunità di Sant'Egidio, invitati al loro matrimonio in stile
gitano lo scorso 30 settembre. Sul rogo di ieri mattina la procura ha
aperto un'inchiesta per morte come conseguenza di altro reato.
Nella ricostruzione della tragedia c'è qualcosa che non convince i
carabinieri e i vigili del fuoco, intervenuti in forze dopo la prima
chiamata arrivata al «115» solo alle 6.10. Le prime squadre sono
giunte in via dei Gordiani otto minuti dopo. Le fiamme avevano già
avvolto tutto, compresa una veranda in legno costruita dagli amici di
Sasha per ingrandire il container della famiglia Traikovic. Ci sono
dubbi sulla presenza nel campo di attrezzature anti-incendio: i
bocchettoni esistono (uno si trova proprio sotto alla veranda
bruciata), ma gli investigatori hanno trovato solo una lancia usata
per spegnere il rogo dagli altri nomadi. Le altre, in dotazione ai
containers, sono scomparse. Così, per salvare i Traikovic, i vicini
di casa non hanno potuto fare altro che utilizzare un piccolo
estintore e un minuscolo tubo di gomma per innaffiare le piante.
Troppo poco contro un inferno che non ha lasciato scampo ai due sposi.

DISINFORMARE CON METODO E CON COSTANZA


From: RP
Subject: Re: [JUGOINFO] Uno stupido articolo su Tito
Date: December 1, 2006 4:51:32 PM GMT+01:00

rispetto al "giornalista" Battistini... citato nella lettera al
Corriere da Ivan P. riportata qua sotto.

Il nome mi ricordava qualcosa e sono andato a cercare delle note di
qualche mese fa: dovrebbe essere lo stesso, quel Battistini, il
giornalista espulso - poveretto - da quel cattivone di Castro...
Ricordate anche il suo articolo sul Corriere della Sera del 23 maggio
in cui dava voce "al più autorevole oppositore del regime" Oswaldo Payà?
Bene, quell'articolo è pieno di menzogne e a rivelarlo e nientedimeno
che lo stesso Payà dalle pagine del sito del suo movimento.

Scrive Battistini citando Payà:
"La mia vita inquesti tre anni è diventata ancora più dura.
Da quando gli americani sono distratti dall'Iraq, e hanno bisogno di
Guantánamo, Castro fa quel che vuole."
Precisa Payà: << Non dissi mai "la mia vita in questi tre anni è
diventata ancora più dura. Da quando gli americani sono distratti
dall'Iraq, e hanno bisogno di Guantánamo, Castro fa quel che vuole".
Non ho nemmeno mai sfiorato il tema. >>

Continua Battistini: "Hanno incarcerato me e la mia famiglia. La
sicurezza dello Stato m'è entrata perfino in camera da letto, mentre
dormivo con mia moglie"
Precisa ancora Payà: << Non ho mai detto "hanno imprigionato me e la
mia famiglia..." non dissi mai "la sicurezza dello Stato m'è entrata
perfino in camera da letto, mentre dormivo con mia moglie". >>

Insomma è tutto un "non dissi mai".

Potete leggere l'articolo del Corriere:
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/05_Maggio/23/paya.shtml

e l'articolo del "dissidente cubano":
http://www.mclpaya.org/pag.cgi?page=viewnot&id=not.8549988.1552

RP


--- In JUGOINFO, "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia"
<jugocoord@...> ha scritto:


From: Ivan
Subject: articolo su Tito
Date: November 22, 2006 10:29:16 AM GMT+01:00
To: lettere@...

Spett. Redazione

Ho comperato "Il Corriere" del 18 novembre scorso per ingannare un pò
il tempo viaggiando in treno.
Sfogliando l'inserto "Io donna" trovo l'articolo "Giù le mani da nonno
Tito" di Francesco Battistini.
Un articolo veramente stupido, oso dire "monnezza"! Le uniche parole
sensate riportate in questo articolo sono quelle di Francesco Cossiga,
che certo non è un "pacifista", "provocatorie" o meno: "Tito lo
conoscevo bene, era un grand'uomo e grazie a lui l'Adriatico è sempre
stato un mare amico. Ci ha fatto risparmiare centinaia di miliardi in
difese militari, su quel versante. E anche Trieste dovrebbe fargli un
monumento; quale esercito vittorioso fu il primo a entrare in città
alla fine della guerra, se non quello jugoslavo?"
Ma, il fotografo Zivan Gallic ha visto l'articolo per il quale ha
fatto il suo servizio?
Spett. Redazione e "Signor" giornalista Battistini, "la deposizione
del marchio" (il nome di Tito), effettuata sia in Serbia che in
Croazia dai familiari di Tito, dovrebbe salvaguardare il suo nome
anche da queste stupidità!

Ivan P.

--- Fine messaggio inoltrato ---

AL SERVIZIO DEL PAPA E DELL'IMPERATORE


<< "Noi musulmani abbiamo bisogno di un papa forte", dice il gran
mufti di Sarajevo Mustafa Ceric al settimanale tedesco Zeit in una
lunga intervista. Secondo il gran mufti, Benedetto XVI, che ieri è
rientrato dal viaggio in Turchia, a Ratisbona ha fatto benissimo a
difendere la fede contro la sete di dominio del fanatismo religioso.
(...) "L'imam di Sarajevo il venerdi usava pregare per il Kaiser",
ricorda. >>

(fonte: Il Foglio quotidiano, 2/12/2006)


Incontro internazionale dei Partiti comunisti e operai a Lisbona


Il 10-12 novembre scorso si è svolto a Lisbona il tradizionale Meeting Internazionale dei Partiti Comunisti e operai, a cui hanno preso parte delegazioni di 63 partiti da ogni parte del mondo, mentre 17 partiti, impossibilitati per varie ragioni a partecipare, hanno inviato messaggi o contributi scritti.

Questo "evento" è stato costruito negli anni sopratutto per iniziativa del KKE greco, e infatti le prime otto edizioni si sono svolte ad Atene. Quest'anno il partito organizzatore è stato il Partito Comunista Portoghese (PCP), a conferma di uno sforzo per una maggiore circolarità e socializzazione nella preparazione di questo tipo di Conferenze,  divenute la principale occasione di incontro/confronto per la quasi totalità dei Partiti comunisti del mondo.

Questo, già in sé, è un fatto di rilievo: dopo il crollo dell'Urss e la fase di isolamento/smarrimento delle forze comuniste, riprende un dialogo ed un confronto multilaterale che si era per molti anni interrotto, ed emergono anche i primi segni di una volontà di cooperazione e azione comune o convergente. Il tema all’ordine del giorno non è certo quello di una nuova "Internazionale dei comunisti", di cui non esistono certamente oggi le condizioni; lo spirito di questi appuntamenti è viceversa quello di offrire a tutte le forze comuniste e  rivoluzionarie un "luogo" ed una occasione di confronto e di coordinamento.
Chi volesse leggere i vari interventi (per ora disponibili solo in inglese, francese, spagnolo, portoghese) potrà rendersi conto di quanto la ricerca sia aperta e non ingessata o precostituita.

Tutti i materiali della Conferenza sono disponibili sul sito del PCP all'indirizzo:

 

 

oppure  su  www.solidnet.org

La conferenza è stata ignorata dalla grande stampa italiana. Dall’Italia erano presenti PRC e PdCI, entrambi con delegazioni non particolarmente rappresentative. Gli organi di stampa dei due partiti italiani non hanno neppure dato la notizia dell’incontro e della loro presenza. L’unico giornale italiano che ne ha parlato, alla vigilia, è il quotidiano della Margherita, “Europa”, in un articolo che viene qui di seguito riprodotto per conoscenza, assieme ad alcuni materiali di documentazione sulla Conferenza già disponibili in italiano.


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(dal quotidiano Europa, 10 novembre 2006)
 
Incontro internazionale dei partiti Comunisti e Operai

Il compagno Giordano snobba Lisbona

 

di DANIELE CASTELLANI PERELLI

L’iracheno che stringe la mano all’americano, il palestinese all'israeliano, il francese che siede accanto all’italiano. Non è ne l'aldilà nè un’assemblea dell'Onu particolarmente felice. E’ l’incontro inter­nazionale dei Partiti Comunisti e Operai che si terrà a Lisbona da oggi a domenica, e in cui si riuniran­no più di 70 falci e martello di tutto il mondo. Come sempre sarà presente, per l'Italia, anche il partito di Rifondazione co­munista. Quest’anno, però, c'e una novità. Il Prc, infatti, parteci­perà con una delegazione decisa­mente di basso profilo. E il fatto non è casuale. L’incontro si è tenuto ogni anno, ad Atene, fin dal 1998, e per il partito di Fausto Bertinotti hanno sempre preso parte personalità di primo piano, da Rina Gagliardi a Ramon Mantovani a Graziella Mascia. Stavolta no. Non ci andrà il segretario nazionale Franco Giordano, non ci andrà il suo braccio destro Gennaro Migliore, e nemmeno il meno noto responsabile degli esteri Fabio Amato. Ci andrà un dirigente di secondo piano, Federica Miralto. Provate a vedere sul sito del Prc, e non troverete minima traccia dell’incontro organizzato dai compagni portoghesi, che attenderanno invano i massimi leader di Refundaçao. Sul sito del Prc troverete invece la ragione vera dell’assenza dalla conferenza di Lisbona: oggi e domani è previsto a Roma il secondo incontro internazionale dei rappresentanti del partito della Sinistra Europea. E’ qui che il Prc sarà pienamente rappresentato: il segretario nazionale, il ministro Paolo Ferrero, la vice ministra degli esteri Patrizia Sentinelli, i capigruppo alla camera e al senato.

Rifondazione comunista sta puntando tutto sulla Sinistra europea, associazione che è nata nel gennaio 2004 e di cui fanno parte in tutto un­dici partiti della sinistra radicale continentale. Al punto da trascurare i vecchi compagni dell'Internazionale comunista. E’ un’osservazione non da poco, perchè questo attivismo, questo movimento a livello internazionale dà lo specchio di un movimento interno del Prc. “Se vuole sa­pere se per noi sono sullo stesso piano la Sini­stra europea e l'Internazionale dei partiti co­munisti e operai glielo dico subito - dice espli­cito Ramon Mantovani, deputato, ex responsa­bile degli affari internazionali del Prc e membro della commissione esteri – è assolutamente più importante la prima”.

Ovvero, è più importante un movi­mento che nel nome non ha nemme­no la parola comunista, che include tanti partiti non comunisti e persino un ex socialdemocratico come il tedesco Oskar Lafontaine, ex ministro delle fi­nanze di Gerhard Schroder. “Non deve sorprendere, d'altronde noi ci chiamia­mo "Rifondazione" proprio perchè ab­biamo sempre mirato a rifondare il co­munismo - aggiunge Mantovani - La parola "comunista” non appare neanche nel Gue/Ngl, il nostro gruppo al parla­mento europeo la cui sigla sta per "Si­nistra unitaria europea/Sinistra verde nordica". E questo perchè all'interno dei due gruppi ci sono anche movi­menti non comunisti, sarebbe stata una violenza usare quella parola”.

La Sinistra europea si inquadra dun­que nel progetto di rinnovamento che il Prc ha intrapreso da anni? “Assolutamente sì - conferma Mantovani – E’ un luogo di innovazione politico-cultu­rale in cui fare contaminazione, un luo­go in cui incontrarsi con tutte le sinistre antagoniste, radicali, pacifiste e non neoliberiste d'Europa». Incontrarsi, ma non solo, e questa è una novità: “Per troppo tempo i vari partiti della sinistra radicale continentale si sono mossi solo all’interno dello stato nazionale. La Si­nistra europea non è solo un luogo di riunioni, ma vuole essere un soggetto politico attivo, che si impegni in inizia­tive concrete”.
Ecco spiegata l'accelerazione che Rifondazione, promotrice e fondatrice della Sinistra europea (di cui Bertinotti è presidente), ha impresso al progetto. Ecco spiegati i tappeti rossi (in tutti i sen­si) con cui Giordano ha accolto la settimana scorsa i tedeschi Gysi e Lafontaine, e la decisione di preferire l’incontro romano a quello lisbonense.
In Portogallo saranno presenti, come sempre, i Comunisti italiani di Oliviero Diliberto, che manderanno anch’essi
una figura non di spicco, Andrea Genovali. Sono solo osservatori della Sinistra europea, e stanno invano tentando di entrare nell’associazione: il Prc lascia le porte chiuse, e si tiene Lafontaine tutto per sè. ”E’ un progetto escludente”, si lamenta Genovali, ed e una conferma the il Prc ci tiene. L'accelerazione va di pari passo a importanti affermazioni della sinistra radicale in mezzo mondo, dall'India alla Grecia, dal Sudafrica all’Italia, come non è sfuggito all’Economist (che per  Ber­lusconi era comunista, ma rimane pur sempre la voce della City). Per il settimanale londinese, i Refounded Com­munists italiani mostrano i muscoli: “La Finanziaria tassa-e-spendi dimostra la lo­ro influenza, come lo stop alle privatiz­zazioni”.
“Il comunismo prospera, dopo tutto forse la storia è dalla loro parte. Le memorie dei crimini sovietici stanno svanendo, le azioni dell'America precipita­no e le ingiustizie del capitalismo glo­bale sono un obiettivo facile – conclude l'Economist ‑ I comunisti hanno sempre avuto buone canzoni. I loro slogan politici sulla giustizia e sulla solidarietà potrebbero an­cora suonare vuoti per qualcuno, ma ora risuonano più estesamente”.


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www.resistenze.org - 18-11-2006

Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai

 

Lisbona, 10-12 novembre 2006

 

Comunicato stampa conclusivo

 

La versione in inglese del comunicato emesso al termine dell’Incontro di Lisbona è stata tradotta dal Centro di Cultura e Documentazione Popolare per www.resistenze.org  (dove si trovano tradotti in italiano diversi materiali relativi all’Incontro) ed è reperibile anche nella Rassegna stampa di www.lernesto.it  

 

 

1. Un incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai si è tenuto a Lisbona, il 10, 11 e 12 novembre 2006, sul tema : “Pericoli e potenzialità dell’attuale situazione. La strategia dell’imperialismo e la questione dell’energia. La lotta dei popoli e l’esperienza dell’America Latina. La prospettiva del socialismo”.

 

L’Incontro, che ha visto la partecipazione di 63 partiti e a cui 17 partiti che, per varie ragioni, non hanno potuto essere presenti, hanno inviato messaggi di saluto, ha messo in rilievo gli aspetti più rilevanti della situazione internazionale. Oltre ad avere espresso un forte allarme per le grandi minacce che caratterizzano il nostro tempo, ha manifestato la propria fiducia nella capacità dei popoli di costringere l’imperialismo a desistere dai suoi disegni egemonici e a realizzare nuove avanzate, sulla strada del progresso sociale, della pace e del socialismo.

 

2. L’Incontro ha rilevato la crescente acutezza della lotta di classe e sottolineato la necessità di intensificare la lotta contro il neoliberalismo e il neocolonialismo e contro l’offensiva dello sfruttamento da parte del grande capitale, che – attaccando i valori umani più elementari – è responsabile della regressione sociale, culturale e democratica.

 

3. E’ stato messo in evidenza che il neoliberalismo, il militarismo, la guerra e l’attacco ai diritti fondamentali, alle libertà e alle garanzie sono componenti inseparabili dell’offensiva del grande capitale e dell’imperialismo.

 

La lotta per il dominio sulle risorse energetiche del pianeta è un fattore importante nella geopolitica dell’imperialismo, sia in termini di collaborazione che in termini di rivalità, come si può constatare in Europa, Medio Oriente, Asia Centrale, Africa e in altre regioni.

 

Allo stesso tempo, i partecipanti hanno denunciato lo spreco di risorse energetiche dovuto ai consumi senza limiti che caratterizzano le società capitalistiche.

 

4. E’ stata presa in considerazione la necessità di intensificare la lotta contro il militarismo e la guerra; per il ritiro delle forze di occupazione dall’Afghanistan e dall’Iraq; per lo scioglimento della NATO e degli altri patti militari aggressivi; per la drastica riduzione delle spese militari che devono essere dirottate verso la promozione dello sviluppo; per l’eliminazione delle basi militari straniere. L’urgenza della questione del disarmo, e in particolare del disarmo nucleare, è stata ancora una volta evidenziata.

 

5. La generalizzazione degli attacchi contro i diritti fondamentali, le libertà e le garanzie dei cittadini appare una linea di tendenza particolarmente inquietante nella situazione internazionale. E’ stata condannata l’adozione da parte del Congresso USA delle pratiche della tortura e del terrorismo di Stato.

 

I presenti all’incontro hanno lanciato un vibrante appello alla lotta in difesa delle libertà democratiche, contro l’avanzata dell’estrema destra, contro la xenofobia, il razzismo, il fanatismo religioso e l’oscurantismo, contro l’anticomunismo. Essi hanno espresso la loro solidarietà con i giovani comunisti Cechi, chiedendo il ripristino dei diritti della Gioventù Comunista Ceca. Hanno respinto i tentativi di criminalizzare le forze e i popoli che resistono allo sfruttamento capitalistico e all’oppressione imperialista.

 

6. I partecipanti hanno inteso valorizzare la crescente resistenza contro l’ingerenza e l’aggressione imperialista e hanno sottolineato l’importanza del rafforzamento della solidarietà con tutti i popoli che si trovano in prima linea in quella lotta.

 

Essi hanno sottolineato il significato della forte resistenza che le forze di occupazione USA e NATO devono fronteggiare in Afghanistan e in Iraq. Sono state condannate le minacce contro la Siria e l’Iran, diventate particolarmente serie negli ultimi giorni. E’ stato richiesto il pieno rispetto della sovranità del Libano. I partecipanti hanno denunciato i crimini perpetrati da Israele in Libano e in Palestina, e la complicità dell’Unione Europea con gli USA, che porta la responsabilità per la situazione di repressione e catastrofe umanitaria a Gaza e nel West Bank. Essi hanno espresso il loro sostegno alla lotta per il completo ritiro di Israele da tutti i territori Arabi occupati nel 1967, nel rispetto delle relative risoluzioni dell’ONU, e la loro attiva solidarietà con l’OLP e il Popolo Palestinese nella lotta per l’instaurazione di un proprio Stato indipendente e sovrano sul territorio della Palestina.

 

7. Le concrete esperienze di lotta in paesi e regioni diversi hanno generalmente trovato spazio negli interventi, a conferma che i lavoratori e i popoli non intendono rassegnarsi e che, persino nelle attuali condizioni, conquiste di libertà nella direzione della sovranità e del progresso sociale sono possibili.

 

Sono stati salutati i progressi delle lotte popolari e antimperialiste che stanno dilagando in America Latina e i processi di sovranità e cooperazione nella solidarietà che là hanno luogo. Solidarietà è stata espressa con Cuba socialista – rinnovando la richiesta di cessazione del blocco criminale imposto dagli USA -, con il popolo del Venezuela e la sua Rivoluzione Bolivariana, con il popolo della Bolivia e con altri popoli dell’America Latina e dei Caraibi.

 

8. L’importanza e l’urgenza del socialismo sono state in generale sottolineate. Dallo scambio di opinioni è emersa l’incapacità del capitalismo di fornire soluzioni ai problemi urgenti con cui si confrontano i lavoratori e i popoli, e sono state rilevate le minacce a cui il capitalismo espone il futuro del pianeta. Sempre di più il socialismo emerge come alternativa al capitalismo e come condizione per la sopravvivenza dell’Umanità stessa.

 

9. E’ stato messo in rilievo come l’attuale situazione internazionale renda particolarmente indispensabile rafforzare la cooperazione di tutte le forze progressiste e antimperialiste e, in particolare, quelle dei Partiti Comunisti e Operai di tutto il mondo. In tal senso, lo svolgimento di questo tipo di Incontri, è stato valutato come un’arena per lo scambio di informazioni, di esperienze, di punti di vista e per la possibile definizione di posizioni e iniziative comuni. E’ stata presa in considerazione l’importanza del fatto che ne venga garantita la continuità.

 

Varie questioni, linee d’azione e iniziative per lo sviluppo della solidarietà e dell’azione comune dei Partiti Comunisti e Operai, come pure delle altre forze progressiste e rivoluzionarie, sono state proposte, in particolare:

 

- Contro il militarismo e la guerra e in particolare per il ritiro delle forze di occupazione dall’Iraq;
- Per lo scioglimento della NATO e l’eliminazione delle basi militari straniere;
- Contro la strategia imperialista nel Medio Oriente e per azioni di immediata solidarietà con il Popolo Palestinese e per l’invio di missioni di solidarietà in Palestina e Libano;
- Di solidarietà con il Venezuela Bolivariano, con la Bolivia e con Cuba Socialista, attraverso la promozione di una settimana di azioni comuni di solidarietà con questo paese;
- Contro il revisionismo storico, la copertura del fascismo, e l’anticomunismo, mettendo in risalto date significative, come l’11 settembre in Cile;
- Contro l’offensiva neoliberale scatenata per smantellare i diritti e le conquiste dei lavoratori, operando per rafforzare l’azione di massa e il movimento sindacale di classe e per difendere i lavoratori migranti;
- Utilizzare la partecipazione ad eventi internazionali per tenere incontri e coordinare l’attività dei comunisti;
- Stimolare la cooperazione tra i Partiti su base regionale e su questioni specifiche.

 

E’ stato dato risalto all’importanza della battaglia delle idee nel nostro tempo. I partecipanti hanno messo in rilievo quanto sia necessario celebrare il 90° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre con varie iniziative ed hanno espresso il loro appoggio al progetto di iniziativa internazionale da realizzarsi nella Federazione Russa.

 

Il PCP ha informato della sua intenzione di promuovere un’iniziativa internazionale, a livello europeo, in coincidenza con la presidenza portoghese dell’Unione Europea, nel secondo semestre del 2007.

 

10. La data, il luogo e il tema per l’Incontro Internazionale del 2007 saranno decisi dalla riunione del Gruppo di Lavoro dei Partiti Comunisti e Operai, che avrà luogo in tempi adeguati, e saranno annunciati in una Conferenza Stampa.

 

11. L’Incontro ha approvato un “Appello contro il militarismo e la guerra, per la libertà, la democrazia, la pace e il progresso sociale” e una “Mozione di solidarietà con l’America Latina e Cuba”.

 

12. Questo incontro ha visto la partecipazione dei Partiti inclusi nella lista annessa a questo Comunicato Stampa.

 

Lisbona, 12 novembre 2006

 

 

Incontro di Lisbona 10-12 novembre 2006: Partiti partecipanti
 
Algerian Party for Democracy & Socialism, PADS
Communist Party of Argentina
Communist Party of Australia
Democratic Progressive Tribune, Bahrain
Workers Party of Belgium


IL COORDINAMENTO NAZIONALE PER LA JUGOSLAVIA ADERISCE CONVINTAMENTE ED INVITA TUTTI I CITTADINI AMANTI DELLA PACE A PARTECIPARE ALLA MANIFESTAZIONE DI MASSA CHE SI TERRÀ IL 2 DICEMBRE 2006 A VICENZA, CONTRO LA COSTRUZIONE DI UNA NUOVA BASE MILITARE PER L'AEREONAUTICA DEGLI STATI UNITI D'AMERICA PRESSO L'AEREOPORTO "DAL MOLIN".

BASTA CON LA MILITARIZZAZIONE DEI TERRITORI!
NO ALLE SPESE MILITARI CHE SOTTRAGGONO RISORSE A SERVIZI, LAVORO, SVILUPPO!
FUORI L'ITALIA DALLA NATO, FUORI LA NATO DALL'ITALIA - YANKEE GO HOME!

Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia

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INFORM AZIONI LOGISTICHE

PER PULLMAN E AUTO USCITA OBBLIGATORIA AUTOSTRADA VICENZA EST

Ritrovo corteo ore 13.00 a Villa Tacchi in Viale della Pace; ora partenza corteo entro le 14.00 dalla Caserma EDERLE.  

COMUNICATO TECNICO PER LA MANIFESTAZIONE DEL 2 DICEMBRE A VICENZA.
 
Per favore prendete nota che l'assemblea permanente (riunita a Montecchio M. mercoledì 22 sera), su proposta del gruppo di lavoro incaricato ha deciso che il corteo del 2 dicembre partirà in viale della Pace TASSATIVAMENTE NON OLTRE LE 14, per evitare di giungere col buio al punto finale: il parco giochi di Lobbia, in comune di Caldogno, poco oltre l'aeroporto Dal Molin, dove è previsto uno spettacolo conclusivo della manifestazione. Siete pregati perciò di precisare a tutti che il concentramento è DALLE ORE 13 nel tratto fra la caserma Ederle e villa Tacchi: lì si formeranno i vari settori del corteo come deciso nelle riunioni tecniche (se siete in tempo, correggete gli avvisi scritti). Si prega anche di avvertire tutti coloro che arriveranno a Vicenza per l'autostrada che il casello di uscita è VICENZA EST.
N.B.: Stiamo trattando per attivare un servizio di trasporto da e per la stazione ferroviaria. La giunta cittadina è furiosa, ma speriamo di farla ragionare: se vogliono evitare i pericoli di vandalismo che tanto paventano il miglior modo è di evitare il più possibile il passaggio "disorganizzato" per la città, prima e (soprattutto) dopo del corteo (per quest'ultimo lo stesso assessore di AN ammette che non ci sono problemi). Il principio (per loro) dovrebbe essere lo stesso che usano per le tifoserie del calcio. A meno che qualcuno non abbia voglia che "qualche cosa succeda" per accendere la miccia della criminalizzazione e del killeraggio mediatico: in questo caso sapremmo con certezza a chi attribuirne la responsabilità politica. Siete caldamente invitati a fare pressione con tutti i mezzi a vostra disposizione per sostenere questa posizione presso gli uffici competenti e sulla stampa... e a portare pignatte e fischietti. Grazie. (Paolo C.)

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A Vicenza, per la difesa della terra, per un futuro senza basi di guerra.

Vicenza è salita prepotentemente alla ribalta delle cronache, negli ultimi tempi. Purtroppo non per le bellezze architettoniche o paesaggistiche che la contraddistinguono, ma perché questa città è stata scelta, all’insaputa dei suoi abitanti, per diventare lo snodo principale delle politiche militari statunitensi. L’aereoporto Dal Molin di Vicenza dovrebbe diventare, secondo gli strateghi del Pentagono, la base logistica più importante dell’esercito americano, proiettando la propria potenza di fuoco nel già martoriato Medioriente. La 173^ Airborne Brigade, attualmente dislocata tra Vicenza e la Germania, si trasformerebbe in una Unità d’Azione, pronta in poche ore a trasferirsi, armi e bagagli, nei vari scenari di guerra.
Questa è la volontà dell’amministrazione Bush.
Qualcosa di nuovo si è invece manifestato nella nostra troppo spesso sonnacchiosa città. Un movimento che, dal basso e in maniera del tutto autonoma, si è sollevato, ha organizzato una resistenza potente a questo progetto, aprendo una contraddizione enorme alla politica “ufficiale”, quella dei partiti, di centrodestra e centrosinistra. Se il governo precedente ha lavorato sottobanco per favorire questo insediamento militare, l’attuale governo ha dimostrato ben poca voglia di contrastarlo. Anzi, il ministro della difesa del governo Prodi ha testualmente definito “coerente e compatibile con le politiche militari del governo” questa nuova base di guerra.
Il movimento vicentino ha posto al centro della propria battaglia due aspetti fondamentali, tra loro concatenati: la tutela del territorio e dei beni comuni, lo spazio cittadino come identità collettiva, da difendere anche e soprattutto in nome delle generazioni future; in maniera altrettanto forte il no alla guerra e il rifiuto di diventare complici, più o meno consapevoli, di un meccanismo che produce lutti, tragedie e sofferenze, che rende la nostra vita quotidiana sempre più incerta e pericolosa. Questo movimento si è allargato proprio perché ha prodotto, nell’immaginario collettivo, l’idea che resistere a questo scempio fosse possibile, nonostante le enormi difficoltà e le pressioni messe in atto da chi vorrebbe speculare e far colare centinaia di migliaia di metri quadri di cemento, o da chi pensa che la guerra e le sue basi siano un modo come un altro per guadagnare soldi, e vede nelle caserme l’unico sistema per esportare democrazia e pace.
Questo intreccio forte ha permesso al movimento vicentino di espandere il proprio consenso anche oltre i confini locali, di far diventare questa lotta come propria da chiunque lo volesse.

Il movimento vicentino contro la nuova base Usa lancia quindi una manifestazione nazionale, da tenersi il 2 dicembre a Vicenza.

Quello che noi vogliamo costruire è un appuntamento che riproduca le dinamiche e le caratteristiche fin qui emerse, nel rispetto della battaglia che i cittadini di Vicenza in primis hanno fin qui condotto, capace di riprodurre in piazza la ricchezza di un movimento moltitudinario, che dia l’idea della sua ricchezza e della sua molteplicità di pensiero, linguaggio e pratica. Una piazza capace idealmente di mantenere assieme tutti coloro che si oppongono alla distruzione del territorio con quelli si oppongono alla guerra e lottano per la pace.
La piattaforma che scaturisce dal dibattito vicentino, marca alcuni punti fondamentali:

- No alla sottrazione e distruzione del territorio e dei beni comuni per la costruzione di presidi militari

- No alla guerra, alla sua mistificazione che la vorrebbe “buona” o “cattiva”, santa o umanitaria. No all’aumento delle spese militari.

- Desecretazione degli accordi riguardanti le basi militari e accesso pubblico alle informazioni

L’Assemblea Permanente di Vicenza, che riunisce comitati, associazioni, movimenti e singoli cittadini, lancia inoltre a tutte/i una campagna verso il 2 dicembre. Proponiamo quindi di costruire, per i giorni 24 e 25 novembre, delle iniziative territoriali davanti alle prefetture, ai municipi, alle basi militari, per lanciare la manifestazione nazionale del 2 dicembre, in solidarietà ai comitati e ai cittadini di Vicenza.

Vicenza, 5 novembre 2006


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Appello per una manifestazione nazionale a Vicenza del 2/12 contro le servitù militari e contro la guerra
 
Vicenza, 2006. O un qualunque anno della guerra globale permanente.
Una tranquilla cittadina di provincia, del nordest produttivo. Che ospita già la caserma USA Ederle, la Gendarmeria Europea, Il Coespu, scuola di addestramento per militari dei “paesi in via di sviluppo”. E ora, forse, anche il Dal Molin aeroporto di guerra, con un investimento del governo americano di 800 milioni di dollari. La nostra città, quindi, destinata a diventare un nodo importantissimo per i nuovi assetti militari mondiali. Ma facciamo un passo indietro: ci sono alcune storie che vanno raccontate. Due anni fa, governo Berlusconi: il sindaco Hullweck inizia una serie di viaggi a Roma, si comincia a parlare di un nuovo progetto per Vicenza, firmato Usa, ma nessuna notizia certa trapela.
2006, governo Prodi: ormai a ridosso della scadenza con gli Stati Uniti, scoppia il caso Dal Molin; il progetto è devastante, sia come impatto sul territorio, sia dal punto di vista che una città Unesco, come Vicenza, non può fondare la sua esistenza su un'economia di guerra.
I cittadini, i movimenti, le associazioni si organizzano e dicono NO al Dal Molin base militare.
Lo dicono in maniera determinata, con rumorose presenze in consiglio comunale, raccolta firme (più di diecimila in un mese!), convegni informativi, blocchi del traffico, fiaccolate, scioperi studenteschi e, non ultima, l'invasione delle piste dell'aeroporto.
Nel frattempo, inizia il rimpallo di responsabilità tra sindaco, di centro-destra, e governo, di centro-sinistra, dove nessuno vuole prendere in mano la patata bollente della decisione finale, ma tutti sono concordi nel definire gli Stati Uniti e la loro politica di difesa “amica” e coerente con le politiche militari italiane.
Tutto questo sulla pelle dei cittadini, il cui parere non viene neanche considerato. Ma queste sono cose già viste: inutile raccontare come i giornali stiano manipolando l'opinione pubblica; come gli Americani stiano già mettendo in piedi delle strategie di apertura alla città, in modo da non creare ulteriori malumori...
Chi si trova a fare i conti con una servitù militare in casa, sa benissimo di cosa si sta parlando.
E si finisce, volenti o nolenti, per esserne complici. Perchè la guerra non è solo quella eclatante delle prime bombe in Iraq. E' anche il piccolo gesto quotidiano, le azioni minime a cui finiamo per abituarci. E' il defender dell'esercito che ti passa ogni due minuti sotto casa, perchè di fianco hai una base militare, sono i soldati in assetto di guerra che corrono alle 7 del mattino di fronte alle scuole elementari, sono l'abitudine a vedere muri di cemento armato e fili spinato.
Le basi della guerra sono il paradigma della guerra globale permanente nei nostri territori, la guerra che plasma menti e coscienze. La guerra irrompe costantemente nelle nostre vite, non è una cosa astratta, quanto invece tremendamente reale. La guerra ha bisogno di nascondersi, di imbellettarsi, di truccarsi, per cercare di trovare consenso. Così le guerre diventano addirittura umanitarie, i soldati diventano missionari di pace. La politica abdica al proprio compito e demanda a fucili e diavolerie militari la risoluzione dei conflitti. Von Clausewitz finisce nel cestino, la guerra diventa l'elemento costituente del “nuovo ordine mondiale”. Iraq, Palestina, Libano, così come il Messico o il Darfur, la risposta delle diplomazie e delle elites politiche sono sempre le stesse: armi e guerra. Però guerre buone, che diamine! Guerre che portano pace. Peccato che per migliaia di uomini, donne e bambini questa pace sia eterna. Come spiegare loro che le pallottole umanitarie sono per il loro bene? Ingrati.
Dire NO al Dal Molin in maniera forte e determinata vuol dire dire no alla guerra e a chi ne è complice. Basta basi di guerra e non solo nel nostro territorio, ma in tutta Italia, in tutta Europa, ovunque. Perchè è una questione che riguarda tutti, pur partendo da una piccola città di provincia. Lo diciamo lanciando, come gli Zapatisti, un'altra campagna: una campagna verso il 2 dicembre, giornata nazionale di manifestazione contro la guerra e le basi che nel nostro territorio ne rappresentano la logistica e gli interessi. Ovviamente a Vicenza. Per fare la guerra ci rubano la terra, ed è il tempo di difenderla.

Il 2 dicembre 2006 tutti a Vicenza: basta basi, basta guerra.
Osservatorio contro le servitù militari- Vicenza.

Per info e adesioni: nodalmolin@... 

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SABATO 2 DICEMBRE TUTTI/E A VICENZA CONTRO LA COSTRUZIONE DELLA BASE USA NELL’AEROPORTO DAL MOLIN E CONTRO LA GUERRA.
 
Comunicato del Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani
 
L’opposizione al progetto statunitense di costruzione della base militare sta crescendo giorno dopo giorno nella città di Vicenza, nonostante i tentativi di criminalizzazione in atto contro gli organismi attraverso cui i vicentini hanno deciso di rappresentare  la loro lotta e nonostante una campagna stampa intenta ad evocare scenari “genovesi” il 2 dicembre.
 
La manifestazione nazionale del 2 dicembre a Vicenza è un appuntamento molto importante per tutto il movimento contro la guerra e le basi militari. La riuscita della manifestazione  può rafforzare l’opposizione ai progetti di militarizzazione del territorio, al crescente militarismo e interventismo bipartisan e all’aumento delle spese militari del nostro paese. La mobilitazione popolare è il soggetto incomodo che può frenare e stoppare i progetti speculativi/finanziari (Tav in Val Susa), impedire la trasformazione ad uso militare dell’aeroporto Federico Fellini di Rimini per il transito di truppe USA, costruire le condizioni politiche per una riduzione delle servitù militari in Sardegna e la restituzione alla comunità sarda delle proprie terre.
E’ pur vero che il movimento pacifista nel nostro paese è rifluito dopo la protesta degli anni scorsi, ma evidentemente ha sedimentato nei territori capacità e volontà di resistenza alle scelte belliciste dei governi e delle istituzioni nazionali e internazionali.
Il Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani ritiene urgente e necessario dare stabilità e continuità alle iniziative, rafforzare il radicamento sociale e popolare, costruire una rete dei comitati, degli organismi e comunità locali per progettare e coordinare le iniziative nazionali contro il militarismo e la militarizzazione della nostra società.
 
COMITATO NAZIONALE PER IL RITIRO DEI MILITARI ITALIANI
www.disarmiamoli.org  
info: disarmiamoli@libero .it

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STRUTTURA DEL CORTEO IN ORDINE DI POSIZIONE

FAMIGLIE CON BAMBINI, STATUNITENSI PER LA PACE, E ASSEMBLEA PERMANENTE (TESTA DEL CORTEO) QUI SOLO BANDIERE "NO DAL MOLIN" E LO STRISCIONE "DIFENDERE LA TERRA, PER UN UN FUTURO SENZA BASI DI GUERRA"

CAMION con la postazione di Radio Sherwood

COMITATI CITTADINI, ASSOCIAZIONI LOCALI ADERENTI: cooperative, beati, ...

CENTRI SOCIALI

CUB, SINDACATI DI BASE,

CENTRI SOCIALI

PARTITI POLITICI

COMITATO VICENZA EST E RIFONDAZIONE COMUNISTA (CODA CORTEO)


MUSICA E SPETTACOLI ALLA FINE DELLA MANIFESTAZIONE

I Nerovivo, Luca Bassanese, L'Impossibile Banda degli Ottoni, Seven Gnoms e Skart Crew suoneranno alla manifestazione nazionale di sabato 2 dicembre contro l'insediamento di una nuova base militare americana all'aeroporto Dal Molin di Vicenza. I concerti si terranno al parco giochi di via Aeroporti a Rettorgole  Le cittadine e i cittadini dell'Assemblea Permanente di Vicenza


PER ADERIRE INVIA UNA MAIL ALL'INDIRIZZO nodalmolin@...

oppure scrivi la tua adesione sul Blog di www.AltraVicenza.it

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ALTRI LINK:


VICENZA. LA GUERRA PREVENTIVA DENTRO CASA

La storia, i pericoli, i documenti e le mobilitazioni contro la nuova base militare USA all'aereoporto Dal Molin

http://www.contropiano.org/Documenti/2006/Ottobre06/DossierDalMolin/Dal-Molin_dossier.asp


Vicenza, 2 dicembre: manifestazione nazionale contro le servitù militari e contro la guerra

http://www.informationguerrilla.org/vicenza-2-dicembre-appello-per-una-manifestazione-nazionale-contro-le-servitu-militari-e-contro-la-guerra/


Video/Appello per la manifestazione nazionale del 2 dicembre a Vicenza contro la costruzione di una nuova base militare al Dal Molin


VIDEO: "No Usa al Dal Molin". L'intervento del capogruppo PRC al consiglio comunale di Vicenza

http://www.youtube.com/watch?v=gl-0ItBWQYw


Aggiornamenti, approfondimenti e rassegna stampa 

http://www.globalproject.info/art-10058.html


Base di Vicenza: Rimodulazione delle forze Usa

http://www.resistenze.org/sito/os/ip/osip6f11.htm

Ancora un’altra base militare U.S.A. a Vicenza, Italia
Coordinamento Comitati Cittadini



Scarica i manifestini da attaccare in tutti gli angoli di strada, nei bar, alle fermate dei bus, ecc. (da elaborare graficamente!):





(I partiti comunisti e dei lavoratori riunitisi a Praga gli scorsi 25 e 26 novembre - nell'ambito della Conferenza internazionale su diritti umani e democrazia, contro l'anticomunismo - hanno formulato la seguente Risoluzione "contro i cambiamenti forzati dei confini statali nei Balcani, in Europa e nel mondo".
In essa si legge tra l'altro: "I partecipanti alla conferenza si oppongono alla secessione forzata della parte meridionale della Serbia - il Kosovo - e contro la dichiarazione di questo come 'Stato indipendente' (...) si schierano per l'adempimento ed il rispetto della Carta dell'ONU e del diritto internazionale in relazione alla protezione della integrità e sovranità di uno Stato membro delle Nazioni Unite."
In base alle informazioni pervenuteci, questa Risoluzione è stata sottoscritta, tra gli altri, anche dagli italiani PRC e PdCI, dallo jugoslavo NKPJ, dai bosniaci della RKP-BiH, dai croati della SRP, dal PC della Macedonia ex-jugoslava...)


Resolution 

of the International Conference: 
"The Communists and Other Democratic Forces for Human Rights and Democracy in Europe and the World - Actively Against Anti-Communism" 

against forced changes of state borders in Balkans, Europe and in the world

November 25-26, 2006, Prague

Communist and other democratic parties declared at the International Conference on November 25-26, 2006 in Prague against forced changes of state borders in Balkans, in Europe and in the world and insist on abiding by Helsinki Declaration from 1975.

In the spirit of this the participants of the conference stand against forced secession of southern part of Serbia - Kosovo and against its declaration as "independent state".

The participants at the conference stand for abiding by and respect to UN Charter and international law in relation to the protection of the integrity and sovereignty of a member states of United Nations.

Communist Party of Austria
Party of Communists of Belarus
Workers Party of Belgium
Workers Communist Party of Bosnia and Herzegovina
Communist Party of Britain
Communist Party of Bohemia and Moravia
Party of Democratic Socialism in the Czech Republic
Communist Party of Great Britain (Marxist-Leninist)
Communist Party of China
Socialist Labour Party of Croatia
Communist Party of Cuba
Progressive Party of The Working People of Cyprus (AKEL)
Danish Communist Party
Communist Party in Denmark
French Communist Party
Left Party.PDS
German Communist Party - DKP
Communist Party of Greece
Communist Party of India (Marxist)
Tudeh
Communist Party of Israel
Party of Italian Communists
Party of the Communist Refoundation
Japanese Communist Party
Socialist Party of Latvia
Communist Party of Macedonia
New Communist Party of the Netherlands
Portuguese Communist Party
Socialist Alliance Party
Communist Party of Russian Federation
New Communist Party of Yugoslavia
Communist Party of Slovakia
Communist Party of Peoples of Spain
Party of Communists of Catalonia
Sudanese Communist Party
Communist Party Marxist-Leninist (R)
Baath Arab Socialist Party
Communist Party of Syria
Syrian Communist Party
Communist Party of Turkey
Communist Party of Ukraine
Communist Party of Vietnam


From: Communist Party of Bohemia & Moravia, November 29, 2006
http://www.kscm.cz , mailto:leftnews  @... )


INTERPOSIZIONE SUPER PARTES


Libano: Soldati Unifil, corsi in Israele

I genieri italiani diretti nel Libano del Sud partecipano a dei corsi
«di formazione professionale» organizzati per i reparti dell'Unifil
dall'esercito israeliano. Cinque membri del contingente italiano sono
stati di recente in Israele per un corso d'addestramento. La prossima
settimana toccherà ai soldati del contingente spagnolo.

Fonte: Il Manifesto, 24 novembre 2006

La fabbrica del falso

di Vladimiro Giacché*

1. Retorica antica e menzogne moderne

Questa rivista ha denunciato più volte la sistematica opera di
deformazione della realtà posta in essere – in modo sempre più
smaccato – dall’informazione “ufficiale”.

Tra tutti i metodi utilizzati per distorcere e “addomesticare” la
verità, ce n’è uno oggi particolarmente in voga. Possiamo definirlo
il “metodo della sineddoche indebita”. La “sineddoche” è una figura
retorica ben nota già ai maestri di eloquenza dell’antichità. Nella
sua variante più usata, essa consiste nell’adoperare la parte di una
cosa per designare la cosa nella sua interezza (pars pro toto). Così,
nell’espressione “accolse sotto il suo tetto”, il termine “tetto”
indica la casa nel suo insieme. Si tratta di un modo di esprimersi
che può essere letterariamente efficace, e che comunque nel caso
specifico non è improprio: infatti il tetto è una parte essenziale
della casa.

Spostiamoci adesso dal mondo delle belle lettere e passiamo a quello
della cattiva informazione. È qui che ci imbattiamo nella sineddoche
indebita. Che consiste nel trascegliere, all’interno di un fenomeno
complesso, un elemento irrilevante (e comunque non caratterizzante)
ed utilizzarlo quale elemento qualificante per descrivere e definire
quel fenomeno. Sembra una cosa un po’ astrusa, invece è
concretissima. È il metodo che la stampa italiana, nella sua quasi
totalità, ha adoperato a proposito di almeno tre diverse recenti
manifestazioni di protesta.

2. La realtà inventata: 3 episodi significativi

Primo episodio. Manifestazione del 20 marzo 2004: 1 milione di
persone in piazza a Roma contro la guerra in una grande
manifestazione pacifica. Al termine della manifestazione, un piccolo
gruppo di manifestanti (10 persone? 20 persone?) inveisce contro il
segretario dei DS Fassino, colpevole ai loro occhi (e a dire il vero
anche ai nostri) di aver aderito due giorni prima ad una pagliaccesca
manifestazione “unitaria contro il terrorismo” assieme agli Schifani
e ai Cicchitto – manifestazione non a caso andata completamente
deserta. La Quercia, dopo qualche esitazione iniziale, decide di
cavalcare la vicenda. Il risultato è visibile sui quotidiani di
domenica 21, e soprattutto (a causa appunto dell’esitazione) su
quelli di lunedì 22 marzo. Emblematica la Repubblica del 22 marzo:
tutti, ma proprio tutti, gli articoli dedicati alla manifestazione si
limitano a chiosare-commentare-condannare la contestazione a Fassino.

Secondo episodio. Venerdì 4 giugno 2004, in una Roma spettralmente
blindata, si svolge la visita di Bush jr. Altra manifestazione contro
la guerra, questa volta esplicitamente sabotata da gran parte del
centro sinistra (eccetto Rifondazione, PdCI e Verdi). In questo caso
il casus belli è rappresentato dallo slogan “dieci, cento, mille
Nassiriya” che – a quanto afferma Mario Reggio sulla Repubblica –
viene “scandito un paio di volte nei pressi della Piramide Cestia”,
proprio all’inizio del corteo, da un gruppetto di imbecilli (o
peggio), stranamente non più rintracciabili durante il corteo.
Ovviamente tutti i quotidiani – inclusa la Repubblica – dedicano
all’episodio la maggior parte dello spazio dedicato alla
manifestazione, con relativi titoli scandalizzati.

Terzo episodio. Sabato 18 febbraio 2006. Manifestazione per la
creazione di uno Stato palestinese. La manifestazione, organizzata
dal Forum Palestina, viene sostenuta da molte associazioni e dai
sindacati di base, ma boicottata da quasi tutto il centrosinistra:
soltanto il PdCI aderisce come partito; vi sono poi alcuni
parlamentari dei Verdi, e una rappresentanza delle minoranze di
Rifondazione. La segreteria di quest’ultimo partito boicotta
attivamente la manifestazione, facendo ritirare l’adesione anche a
gruppi e singoli che in un primo momento avevano aderito: così – ad
esempio – Alì Rashid e Luisa Morgantini “scoprono” all’improvviso di
non aver sulle prime letto bene il manifesto di convocazione della
manifestazione, e di trovarsi in disaccordo con esso. Disaccordo ben
strano, se si pensa che la manifestazione propone nientemeno che… il
rispetto delle risoluzioni dell’ONU sullo Stato di Palestina con
capitale a Gerusalemme Est e sulla necessità che gli israeliani si
ritirino dai Territori occupati nel 1967. Comunque sia, la
manifestazione si svolge normalmente, e si conclude con diversi
interventi interessanti. In essi viene tra l’altro rivendicata
l’importanza della resistenza nei confronti degli aggressori e degli
occupanti, in Palestina come in Irak. Uno degli organizzatori ricorda
dal palco come il termine di “resistenza” non dovrebbe destare
scandalo in un Paese come il nostro, che sino a prova contraria è una
Repubblica sia “fondata sulla Resistenza”. Niente di tutto questo
finisce sui TG e sui giornali del giorno dopo (uniche eccezioni: TG3
e “Liberazione”). Ci finiscono invece 4 o 5 idioti che, sul finire
della manifestazione, danno fuoco a una bandiera Usa e a una banidera
israeliana e inneggiano a Nassiriya (evidentemente, repetita
iuvant…). Tra i titoli più garbati quello di Repubblica: “Al rogo le
bandiere di Israele e USA”; sottotitolo: “Un gruppuscolo, che
inneggia a Nassiriya, irrompe al corteo pro Palestina”. Ecco fatto:
episodi assolutamente marginali, talmente marginali che la gran parte
dei manifestanti ne ha appreso l’esistenza soltanto dai mezzi di (dis)
informazione, diventano la notizia. Che oltretutto viene riportata
incompletamente: ossia evitando accuratamente di aggiungere che gli
autori delle bravate di cui sopra (un tempo si definivano
“provocazioni”) sono stati allontanati in malo modo dalla
manifestazione. Da questa non-notizia che diventa titolo sono
ovviamente sorte le solite polemiche mediatico-politiche (ormai è
impossibile separare i due termini: la società dello spettacolo ha
letteralmente inghiottito la “politica politicante”). Con fiumi di
inchiostro indignato versato da politologi, opinionisti e politici.
Tutta gente che quindi – come Max Stirner – ha “fondato la sua causa
sul nulla” (ma, a differenza di Stirner, senza esserne consapevole).

3. Qualche motivo di riflessione

Gli esempi citati sopra ci offrono diversi motivi di riflessione.
Proviamo a metterli in fila.

1) Sempre più spesso accade che la realtà non sia nient’altro che la
rifrazione della sua immagine sui media. Detto in altri termini: la
costruzione della realtà operata dalla “informazione” ormai
sostituisce la realtà stessa. In concreto, per i lettori dei giornali
del 19 febbraio, ad eccezione di coloro che vi avevano partecipato,
la manifestazione del 18 febbraio è stata una manifestazione in cui
roghi rituali di bandiere si alternavano a slogan pro-Nassiriya.
Punto e basta. La realtà è la sua rappresentazione. E nei casi di cui
ci siamo occupati, questo meccanismo ha determinato un completo
capovolgimento della realtà e della verità dei fatti.

2) Chi prenda in esame le tre manifestazioni citate può facilmente
accorgersi di un fatto incontrovertibile: la portata del sostegno
“partitico-istituzionale” alle manifestazioni sulle guerre del Medio
Oriente nel corso del tempo si è drasticamente ridotta. Prima hanno
cominciato a sfilarsi Ds e Margherita, poi i Verdi e la maggioranza
di Rifondazione. Ovviamente, questo ridursi della “solidarietà”
istituzionale non è estraneo all’ampiezza dei “cori” giornalistici
(non è un caso che uno dei peggiori articoli sulla manifestazione del
18 febbraio si sia potuto leggere sul manifesto, a firma di Sara
Menafra). Ma perché il sostegno “politico-istituzionale” si riduce?
La risposta prevalente nei commenti politici e giornalistici è: la
colpa è di chi manifesta. Le parole d’ordine devono essere
“ragionevoli”, non bisogna parlare di “resistenza” ma di
“terrorismo” (Fassino e Rutelli), alla guerra bisogna rispondere con
la non-violenza (Bertinotti e Pecoraro Scanio), bisogna “valutare il
rapporto delle forze” (Rossanda), ecc. ecc. ecc. Ma le cose stanno
veramente così?

3) No. Il discorso va in qualche modo rovesciato. Il problema non è
che le manifestazioni siano “irragionevoli”. Il problema è che il
concetto di “ragionevolezza” fatto proprio dall’establishment si è
progressivamente ampliato – a spese della ragione (e del buon senso).
Oggi è “estremismo” dire che le risoluzioni ONU sulla Palestina vanno
rispettate; è “estremismo” dire che Bush e Blair sono criminali di
guerra (lo sono in senso letterale: secondo il Tribunale di
Norimberga il massimo crimine è rappresentato dalla “guerra di
aggressione”); è “estremismo” dire che in Irak non è stata esportata
alcuna “democrazia”, ma disgregazione statuale e guerra civile
permanente; è “estremismo” dire che le armi di distruzione di massa
gli Usa in Irak non soltanto non ce le hanno trovate, ma le hanno
portate e le hanno usate (Falluja docet). Perché accade questo?

4) Rispondere a questa domanda non è semplice. Una cosa però è certa:
non è la prima volta che il concetto di “ragione” vede drasticamente
limitati i suoi diritti e il suo stesso significato. Pensiamo
soltanto, per restare a quanto accaduto nel Novecento, alle ondate
ricorrenti di nazionalismo, sciovinismo e razzismo, che hanno
preceduto e accompagnato i massacri coloniali prima, la grande
carneficina della prima guerra mondiale poi, e infine fascismo e
nazismo. È il capitale che, per avere più libertà di movimento, ha
bisogno di mettere la ragione agli arresti domiciliari. Tornando ai
nostri anni, è evidente il piano inclinato su cui sta scivolando da
almeno un quindicennio la tanto mitizzata “civiltà
occidentale” (concetto ideologico per eccellenza, che ha tra l’altro
il vantaggio di cancellare la realtà dei conflitti
interimperialistici). Guarda caso, è proprio con la sconfitta del
Nemico per antonomasia, il “comunismo sovietico”, che hanno ripreso a
correre scatenati i “cani della guerra”: prima Irak 1, poi Bosnia,
poi Kosovo, poi Irak 2; e presto sarà il turno dell’Iran. Questo sul
piano internazionale. Contemporaneamente si sono colpiti e si
colpiscono in ogni Paese i diritti dei lavoratori e il salario nelle
sue diverse forme (diretto, indiretto, differito). All’estero come
all’interno, trionfa insomma la “ragione del più forte”. È a questa
“ragione” che si piega la “ragionevolezza” degli imperialisti rosé di
casa nostra, dei gandhiani dell’ultimora, dei fautori di una
Realpolitik che significa - sempre più spesso e sempre più
chiaramente – piegarsi semplicemente e senza batter ciglio al diritto
delle armi, alla logica della violenza, della sopraffazione e della
morte. In una parola: alla logica della guerra.

4. Restituire le parole alle cose

È essenziale avere la consapevolezza della posta in gioco. È
essenziale capire che a questa deriva, costi quello che costi, non
bisogna piegarsi. La “ragione dimezzata”, la “ragionevolezza” dei
“però” e dei “tuttosommato” è da sempre la migliore alleata del
dominio e della sua barbarie. E allora bisogna resistere. Si può
farlo in diversi modi.

In primo luogo, chiamando le cose con il loro nome. Qui il motto
potrebbe essere: la tautologia è rivoluzionaria. Qualche esempio. Un
muro è un muro, soprattutto se è alto 8 metri e lungo 730 km: non è
un “recinto di protezione”. Non è un “recinto” perché è un muro; e
non è “di protezione” perché – anziché essere costruito sui confini
(già illegali) del 1967 – confisca il 43% dei residui territori
palestinesi. Un criminale di guerra è un criminale di guerra: non è
uno statista e tantomeno un “uomo di pace”. Chi resiste a
un’occupazione militare straniera è un resistente – e non un
terrorista. Una bugia è una bugia – e non un “errore”. Le torture
sono torture – e non “abusi”. E così via.

In secondo luogo, denunciando e combattendo i cliché dominanti. Che
non sono semplici parole, ma schemi di pensiero. E che, in quanto
tali, sono più insidiosi e pervasivi delle singole menzogne e dello
stravolgimento di singoli fatti. Questi cliché hanno contribuito alla
scarsa incisività del cosiddetto “movimento no-war” dopo lo scoppio
della guerra, anche nei confronti di eventi di estrema gravità quali
le torture di Abu Ghraib e l’uso del fosforo bianco a Falluja. I
cliché pesso esistono in due versioni: quella hard (quella urlata dai
Pera e dai Ferrara, tanto per capirsi) e quella soft (quella dei pen
[s]osi “leader” del “centro-sinistra”: Rutelli e Fassino, tanto per
non far nomi). Le due versioni vanno combattute con la medesima
energia. Anche qui, qualche esempio:

Cliché n. 1: L’Occidente è portatore di una civiltà superiore

- Versione hard: È quella contenuta nei testi della Fallaci e nei
discorsi di Calderoli.

- Versione soft: L’Occidente è superiore in quanto non è integralista
ed è “tollerante”. Ovviamente, rispetto a tale dato di fondo è del
tutto irrilevante il fatto che negli ultimi anni eserciti e armi
dell’Occidente abbiano ammazzato decine di migliaia di civili in
Afghanistan e in Irak.

Cliché n. 2: L’Occidente è portatore di un sistema politico superiore
(“democrazia”).

Si tratta di una variante del cliché precedente. È di importanza
fondamentale nel dispositivo del discorso ideologico contemporaneo.
L’Occidente è portatore della “democrazia” e nemico delle “dittature”
e dei “totalitarismi”.

Questo cliché ha consentito a Blair addirittura di fare un uso
apologetico della scoperta delle torture praticate in Irak dai
soldati inglesi: “La differenza tra democrazia e tirannia non è che
in una democrazia non accadono cose brutte, ma che quando accadono se
ne chiede conto ai responsabili”. In sintesi: se le porcherie che
facciamo non vengono scoperte, il nostro è un sistema politico
superiore perché non c’è nulla che dimostri il contrario; se vengono
scoperte, il fatto stesso che vengano scoperte dimostra che il nostro
è un sistema politico superiore. Lo schema può essere variato
all’infinito: così, si può argomentare che la scoperta delle menzogne
di guerra dimostra la buona fede degli Usa e la trasparenza del
sistema ecc.

Da questo luogo comune discende poi il

Cliché n. 3: è legittimo (ed anzi opportuno e necessario) esportare
la democrazia.

Se si accetta questo presupposto si è indotti ad accettarne molti
altri. Qualche esempio, applicato alla guerra irachena:

Cliché n. 4. La resistenza irachena è terrorismo (o comunque un
fenomeno tribale pre-moderno).

Cliché n. 5. In Irak il problema è il “terrorismo” e non l’invasione
angloamericana (e italiana).

Per avere un’idea di come quest’ultimo cliché possa orientare
l’informazione, si può prendere un articolo uscito su la Repubblica
del 27 gennaio 2005, alla vigilia delle elezioni in Irak. È di
Bernardo Valli, ed è abbastanza equilibrato. Nel testo l’articolista
si chiede tra l’altro: è possibile esprimersi in un paese “in stato
d’assedio, occupato da truppe di una superpotenza straniera… e di
trenta potenze minori, da ausiliari armati come in un Far West
mediorientale? In un paese minacciato da una guerriglia disperata e
spietata?”. Questo ragionamento nell’occhiello diventa: “resta la
questione: è possibile esprimersi liberamente in un paese
assediato?”. L’informazione viene selezionata sulla base del cliché
secondo cui il problema è il “terrorismo”, ed il gioco è fatto: gli
invasori sono spariti, e i resistenti sono diventati “assedianti”.

Va notato che sul presupposto della “legittimità di esportare la
democrazia” è stata costruita – una volta venute meno quelle
originarie – una giustificazione posticcia dell’invasione dell’Irak:
che sarebbe avvenuta, appunto, allo scopo di “esportare la
democrazia”. È assai singolare che buona parte del centrosinistra
italiano si sia bevuta questa ennesima menzogna, perdipiù a scoppio
ritardato: il tema dell’“export della democrazia” infatti non era
neppure tra le (false) motivazioni a suo tempo addotte per aggredire
l’Irak. In ogni caso, chiunque conosca la storia del colonialismo non
avrà difficoltà a rinvenire i precedenti di questa “giustificazione”.

Ma in terzo luogo, oltre a combattere i cliché dominanti, bisognerà
offrire un’interpretazione alternativa degli eventi. Rifiutando i
cliché sia nella versione hard che in quella soft e contrapponendo ad
essi un’altra interpretazione generale di ciò che è avvenuto. Così,
l’invasione dell’Irak non è né una tappa della guerra contro il
terrorismo, né un errore. Cos’è, allora? Harold Pinter l’ha definita
così: “un atto di banditismo, di puro terrorismo di stato, che
dimostra un disprezzo assoluto per il concetto stesso di legge
internazionale. L’invasione è stata un’azione militare arbitraria che
si è nutrita di bugie su bugie e di una volgare manipolazione dei
media e quindi dell’opinione pubblica; un atto che aveva l’obiettivo
di consolidare il controllo militare ed economico degli Usa sul Medio
Oriente, camuffandolo – una volta manifestatesi infondate tutte le
altre giustificazioni – da liberazione. Un formidabile dispiegamento
di forza militare che ha la responsabilità della morte e della
mutilazione di migliaia e migliaia di persone innocenti. Abbiamo
portato tortura, cluster bombs, uranio impoverito, innumerevoli atti
di assassinio indiscriminato, miseria, degradazione e morte al popolo
iracheno e l’abbiamo chiamato ‘portare libertà e democrazia al Medio
Oriente’”.

Sono parole tratte dal discorso pronunciato dal drammaturgo
britannico per il conferimento del Nobel, il 7 dicembre dello scorso
anno. Sfortunatamente, nessun giornale italiano ha ritenuto opportuno
riproporle ai suoi lettori.

* l'articolo pubblicato è uscito sul nr.113 della rivista La
Contraddizione

(francais / english / italiano / srpskohrvatski)

Nuovi testi da icdsm-italia

1) Patrick Barriot et Eve Crépin : La perte d'un ami
2A) M. P. Ferri: Lettera a Kofi Annan
2B) Miriam Pellegrini Ferri pise Generalnom Sekretaru OUN-a
2C) M. P. Ferri: To the attention of Mr. Kofi Annan


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IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA
Il j'accuse di Slobodan Milosevic 
di fronte al "Tribunale ad hoc" dell'Aia" 
(Ed. Zambon 2005, 10 euro)

Tutte le informazioni sul libro, appena uscito, alle pagine:

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La perte d'un ami

Par Patrick Barriot et Eve Crépin
 

Le Président Slobodan Milosevic est mort. Il a travaillé jusqu'à l'épuisement de ses forces physiques afin que les greffiers serviles du TPI n'écrivent pas l'Histoire de l'ex-Yougoslavie. Nous avons eu le privilège et l'honneur de le rencontrer longuement dans sa cellule au cours de l'année 2005. En arrivant pour la première fois au centre de détention de Scheveningen, nous n'avions pas de sentiment particulier à l'égard de cet homme que nous n'avions jamais rencontré auparavant, mais à la fin de notre témoignage nous éprouvions pour lui de l'amitié et même, disons le clairement, de l'affection.
A l'heure où les hypothèses sur sa mort vont bon train, nous voudrions souligner des faits, évidents et objectifs, qui ont incontestablement aggravé sont état de santé. Slobodan Milosevic ne demandait pour lui-même que deux choses. D'abord, le droit de voir sa famille. Ensuite, le droit de bénéficier d'un traitement médical conforme aux données actuelles de la science. Ces deux droits fondamentaux lui ont été refusés par des individus dont l'hypocrisie n'a d'égale que la bassesse d'âme. Il y a quelques mois, Slobodan Milosevic nous avait demandé de relire une lettre qu'il venait de rédiger en français à l'intention de Javier Solana. Il nous priait de corriger d'éventuelles erreurs de style dans une langue "diplomatique" qu'il ne maîtrisait pas. Nous ne pensons pas trahir un secret en publiant cette lettre dans B. I.

La voici : "Monsieur Solana. Vous savez bien que je dirigeais mon pays et ses forces armées au moment où vous avez déclenché les frappes contre la Yougoslavie et vous n'ignorez pas qu'à présent je me trouve dans votre prison de Scheveningen. La différence fondamentale entre ma personne et les autres détenus qui m'entourent ne réside pas seulement dans le fait que je suis le seul chef d'Etat emprisonné ici mais également dans le fait que je suis la seule personne qui se voit privée de la possibilité de voir sa famille. Je vous décris ma situation car je ne suis pas sûr que vous soyez informé des conditions de ma détention et je ne peux imaginer qu'un homme digne de respect puisse se rendre responsable d'une telle vilénie. Les mesures de rétorsion à l'encontre de l'épouse et des enfants d'un adversaire sont indignes d'un homme d'honneur. Au regard des hautes fonctions qui furent les vôtres et qui sont également les vôtres aujourd'hui, je ne peux douter que vous prendrez les mesures nécessaires afin que les membres de ma famille puissent se rendre et séjourner librement aux Pays-Bas pour me rendre visite. Slobodan Milosevic."

Force est de constater que Javier Solana a cautionné cette vilenie et a révélé, une fois de plus à cette occasion, sa grande carence d'âme. Il est certain que le stress provoqué par la privation de tout contact familial depuis plus de quatre ans a joué un rôle délétère dans l'évolution de son affection cardiovasculaire.
Vers la fin de l'année 2005, alors que son état de santé se dégradait, Slobodan Milosevic nous avait demandé de rechercher un spécialiste français de cardiologie qui accepterait de l'examiner dans sa prison car il n'avait aucune confiance dans les médecins assignés d'office par l'autorité pénitentiaire.
Madame le professeur Florence Leclercq, chef de service de cardiologie au CHU de Montpellier, accepta généreusement de se rendre à La Haye en compagnie d'un cardiologue serbe et d'une cardiologue russe. Leur rapport d'expertise concluait à la nécessité d'un repos, d'une adaptation du traitement et d'un certain nombre d'examens complémentaires. Ils n'ont pas été entendus. Peu après l'annonce du décès de Slobodan Milosevic, le professeur Florence Leclercq nous a adressé un message précisant : "Je suis triste que les examens que nous avions demandés n'aient pas été réalisés".
Concernant la "théorie de la Rifampicine", il convient de souligner que la pathologie cardiovasculaire dont souffrait Slobodan Milosevic ne constituait ni une contre-indication absolue ni même une contre-indication relative à la prise de cet antibiotique. La Rifampicine, en cas de prise répétée, est seulement capable de diminuer l'efficacité de certains traitements par un mécanisme d'induction enzymatique, en modifiant en particulier le métabolisme hépatique. Il est donc stupide de prétendre qu'une prise de Rifampicine puisse être responsable d'une mort subite assimilable à une forme de suicide. La thèse du suicide peut être écartée sans l'ombre d'un doute. Il est clair que le décès brutal de Slobodan Milosevic n'aurait jamais pu être mis sur le compte de l'évolution normale et prévisible de sa pathologie cardiovasculaire si cette dernière avait été correctement prise en charge. Il s'agit donc d'un "assassinat judiciaire" provoqué par des conditions de détention inhumaines et des soins médicaux approximatifs et inadaptés, "consentis" par des médecins aux ordres de l'autorité pénitentiaire.
Slobodan Milosevic a porté sur ses épaules, jusqu'à l'épuisement, les charges de tout son peuple, accumulées sadiquement par Madame Carla Del Ponte. Jamais un chef d'Etat ne s'est montré aussi digne de sa fonction que le Président Milosevic dans les geôles du TPI. Ceux-là même qui lui refusent aujourd'hui des "funérailles nationales" ont depuis bien longtemps oublié le sens du mot "nation", pour le plus grand malheur de la Serbie. Mais ses amis, et Dieu sait qu'ils sont nombreux, viendront se recueillir sur sa tombe dans son village natal de Pozarevac, avec le profond respect et toute l'affection qu'il mérite. Et nous sommes fiers d'en faire partie à jamais.



Patrick BARRIOT, médecin colonel, chargé de cours dans plusieurs facultés dont celle de Montpellier, et Eve CREPIN, qui prépare un doctorat d'histoire sur les Serbes de Krajina, tous deux anciens casques bleus en Yougoslavie. Et auteurs de trois livres publiés aux éd. de l'Age d'homme.


=== 2 ===

Italia – Roma, 27 agosto 2006

 

All’ attenzione dell’ Illustre Segretario Generale dell’ ONU,

Signor Kofi Annan


Onorato Segretario Generale,

pur consapevoli ch’ Ella è chiamata a dare la sua attenzione e la Sua opera ai gravissimi problemi che coinvolgono popoli e paesi di questo nostro pianeta, ci rivolgiamo a Lei, certi che l’ appello di noi Partigiani nella lotta di Resistenza contro il nazifascismo, non le sarà indifferente.

Come Ella ben conosce, abbiamo lottato contro le ingiustizie, contro il razzismo, nel nome della Pace e della collaborazione tra i singoli dei divrsi continenti e nel rispetto delle diverse realtà statali.


Sono le ingiustizie, Signor Presidente,che ancora oggi sollevano la nostra militante indignazione!

Vogliamo parlare del Presidente jugoslavo Slobodan Milosevic Non vogliamo commentare qui, il suo arresto in quanto, in quel tribunale definito ICTY, se questa prassi si doveva seguire, ben altri capi di Stato avrebbero dovuto e dovrebbero rispondere di massacri, di genocidi di aggressioni a popoli inermi, di inquinamenti, di rovina dei mari ed altro.

Noi chiediamo il Suo autorevole intervento affinché chi di dovere sia chiamato a rispondere di OMISSIONE DI SOCCORSO per la quale si è causata la morte prematura ed evitabile di Slobodan Milosevic.


Questo è un omicidio, Signor Segretario Generale e noi ci riserviamo di costituirci parte civile contro gi assassini in oggetto. Non ci si può e non ci si deve sottrarre a far luce su questa grave pratica, relativa all’ omissione di soccorso, sancita come reato in tutti i codici civili, penali e morali del mondo. Pensiamo che la famiglia Milosevic e i milioni di cittadini in Jugoslavia, in Serbia e nel resto del mondo che lo hanno stimato e compianto, debbano fruire almeno di un atto di onesta chiarificazione e di appropriata condanna.

Nel ringraziare, restiamo fiduciosi di un Suo giusto e necessario intervento. Cordialmente salutiamo

per ICDSM-Italia il Presidente

Miriam Pellegrini Ferri


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Internacionalni Komitet za Oslobodjenje Slobodana Milosevica
ICSDM-Italia
Rim, 27. avgusta 2006.

MOLBA

Veoma Postovanom Generalnom Sekretaru Organizacije Ujedinjenih Nacija
Gospodinu Kofi Ananu


Veoma Postovani Gospodine,

Vrlo dobro znamo kakva Vas golema i jezovita stradanja naroda i drzava
ove nase planete zaokupljaju po prirodi Vaseg uzvisenog polozaja.
Obracamo Vam se verujuci da cete se odazvati molbi starih partizana
Narodno-Oslobodilacke Borbe protiv naci-fasizma.

Kao sto znate, izgarali smo u borbi protiv nepravdi i nacisticke zveri,
za Mir i miroljubivu koegzistenciju medju svim narodima, za uvazavanje
specificnih odlika i prilika svake drzave i naroda ponaosob.

Veoma Cenjeni Generalni Sekretare, nepravda nam se opet ruga!

Ogorceni, zelimo da Vam skrenemo paznju na sudbinu Predsednika
Jugoslavije, Slobodana Milosevica. Nezadiruci u pojedinosti okolnosti
pod kojima je bio uhapsen i sproveden u takozvani TPI, napominjemo da
ako vec takav sud postoji, onda je za zlocine, za genocid, za razaranja,
za stradanja neduznog zivlja i trajna ekoloska zagadjenja trebalo i
treba da sudi drzavnicima nekih drugih drzava, a ne Predsedniku Jugoslavije.

Molimo Vas da svojim autoritetom ucinite da budu prozvani oni koji su
uskratili Slobodana Milosevica za potrebnu zdravstvenu zastitu.
Kako je takva bahatost ravna umorstvu, Gospodine Generalni Sektretare,
nastupamo eto u ulozi tuzioca u postupku krivicnog gonjenja vinovnika.
Nedopustivo je da nekaznjeno promicu jedan za drugim primeri jezovite
prakse uskracivanja duzne pomoci, prakse koja je zigosana u svim pisanim
i nepisanim zakonima sveta. Verujemo da kako porodica Predsednika
Slobodana Milosevica, tako i milioni postovalaca sa prostora Jugoslavije
i sirom sveta, koje je duboko potreslo njegovo umorstvo, zasluzuju makar
toliko pravde.

Sa zahvalnoscu i verom u izvesnost pravde zbog koje smo Vam se obratili.


Srdacno vas pozdravljamo

Miriam Pellegrini Ferri, u svojstvu Predsednika ICDSM


=== 3 ===

To the attention of Mr. Kofi Annan, UN Secretary General, Esq.



Respectable Secretary General


Although we are perfectly aware that the serious problems afflicting
peoples and countries on this planet require all your attention and
efforts, we turn to you knowing that our appeal, as Partisans in the
Resistance against Nazi-fascism, will not leave you unmoved.


As you very well know, we have fought against injustice and racism in
the name of Peace and cooperation among countries of all continents,
always respecting the different national realities.

It’s injustice, Mister General Secretary, that still raises our militant
indignation!

We would like to talk about Mr. Slobodan Milosevic, the Yugoslav
President. Let’s avoid any comment on his arrest: if the so called ICTY
had followed the same procedure, many other Heads of State should have
been – and should be – held responsible for massacres, genocides,
assaults on defenceless peoples, pollution, sea destruction and much more.

We now demand your authoritative intervention so that all those
responsible for FAILURE TO ASSIST will answer in court for their
behaviour which caused the untimely and avoidable death of Mr. Slobodan
Milosevic.

It was murder, Mr. Secretary General, and we reserve the right to
institute a civil action against the above mentioned killers. We cannot
– and do not want to – shirk our duty to cast light upon the deplorable
practise of “failure to assist”, which is considered a crime by all
civil, penal and moral codes in the world.

We believe that the Milosevic family, together with millions of citizens
who esteemed and mourned him in Yugoslavia, in Serbia and all over the
world, deserve al least an honest clarification and an appropriate
sentence passed on to all those responsible.


Thanking you for your kind attention, we hopefully await your just and
necessary intervention.

Our best regards


ICDSM President

Mrs. Miriam Pellegrini Ferri



From: Ivan
Subject: articolo su Tito
Date: November 22, 2006 10:29:16 AM GMT+01:00
To: lettere@...

Spett. Redazione

Ho comperato "Il Corriere" del 18 novembre scorso per ingannare un pò
il tempo viaggiando in treno.
Sfogliando l'inserto "Io donna" trovo l'articolo "Giù le mani da nonno
Tito" di Francesco Battistini.
Un articolo veramente stupido, oso dire "monnezza"! Le uniche parole
sensate riportate in questo articolo sono quelle di Francesco Cossiga,
che certo non è un "pacifista", "provocatorie" o meno: "Tito lo
conoscevo bene, era un grand'uomo e grazie a lui l'Adriatico è sempre
stato un mare amico. Ci ha fatto risparmiare centinaia di miliardi in
difese militari, su quel versante. E anche Trieste dovrebbe fargli un
monumento; quale esercito vittorioso fu il primo a entrare in città
alla fine della guerra, se non quello jugoslavo?"
Ma, il fotografo Zivan Gallic ha visto l'articolo per il quale ha
fatto il suo servizio?
Spett. Redazione e "Signor" giornalista Battistini, "la deposizione
del marchio" (il nome di Tito), effettuata sia in Serbia che in
Croazia dai familiari di Tito, dovrebbe salvaguardare il suo nome
anche da queste stupidità!

Ivan P.

COMUNICATO STAMPA/INVITO

L'associazione Zastava Trieste e la redazione de La Nuova Alabarda, in
occasione del Dan Republike (29 novembre) presentano la ristampa
integrale del testo "Trieste nella lotta per la democrazia", edito
originariamente dall'Unione antifascista italo-slovena nel novembre 1945.

Il testo parte dall'inizio del Novecento per parlare dei rapporti tra
le varie popolazioni del territorio detto della Venezia Giulia e
comprende la storia del fascismo e della repressione da esso compiuta,
la storia della Resistenza locale ed infine documenti ed analisi
relativi al periodo del potere popolare a Trieste fino all'arrivo
degli angloamericani ed i rapporti che l'UAIS ebbe con il Governo
Militare Alleato.

Si tratta di un testo praticamente introvabile nella sua edizione
originale e che ricopre un'importanza particolare per un'analisi della
storia del periodo al di là dei troppo facili e diffusi luoghi comuni.

La presentazione si terrà

sabato 2 dicembre alle ore 18
presso la Casa del Popolo di Sottolongera
(via Masaccio 24. Capolinea bus 35/)


LA NUOVA ALABARDA
PERIODICO DI INFORMAZIONE INDIPENDENTE
Reg. Tribunale di Trieste
n. 798 d.d. 16/10/1990
http://www.nuovaalabarda.org/

Gruppo Zastava-Trieste
Internazionalismo e Solidarieta'

Un vergognoso e vile attacco bipartizan
alla manifestazione per la Palestina di Roma
 
Comunicato della Rete dei Comunisti
 
Ancora una volta, e con particolare virulenza, è stato sferrato un vergognoso attacco a geometria variabile contro promotori e partecipanti alla bella e determinata manifestazione di Roma.
Un copione che si ripete fin dalla prima manifestazione del 2002 e che solo apparentemente riguarda alcuni episodi marginali e ai margini dell’iniziativa.
La riprova è che la campagna di demonizzazione, che oramai unisce sia la destra che quasi tutta la cosiddetta sinistra, è stata avviata prima e a prescindere, con il Corriere della Sera in testa, e per motivi oramai fin troppo chiari.
Si vuole contemporaneamente continuare ad oscurare e/o deformare i dati della realtà in campo e i contenuti della piattaforma dell’iniziativa di Roma che ad essi si riferiscono e che chiamano in causa anche la strabica politica “dell’equidistanza” del governo Prodi e della sua maggioranza.
Che così sia ce ne dà autorevole conferma, ed è anche questo il motivo di tanto livore, l’arguto direttore di Liberazione, Piero Sansonetti, che nel suo editoriale di oggi, oltre che insultare Oliviero Diliberto per avere rotto il fronte,  sostiene che la “sinistra-scema” si è messa di traverso alle ultime scelte di D’Alema sul Medioriente e alla “troppo morbida, beneducata e filodalemiana manifestazione di Milano”.
Come dire ci hanno colti con le mani nel sacco!
Una sinistra, dunque, che tanto scema non deve essere proprio perchè ravvisa nel mantenimento del trattato di cooperazione militare con Israele e nell’embargo ai danni del popolo palestinese un rapporto di complicità dell’Italia con l’occupazione militare e la politica coloniale portata avanti da decenni contro le legittime e sacrosante rivendicazioni del popolo palestinese.
Un rapporto privilegiato che deve garantire, nell’ambito di una nuova politica multipolare, maggiore spazio alla vocazione neoimperialista dell’Europa in quell’area, Italia in testa.
Scelte tanto velleitarie quanto criminali destinate ad alimentare la diffidenza e l’ostilità delle masse arabe verso una presenza militare che, pur camuffata da forza di interposizione, viene vissuta per quella che è, come ostile.
Fa bene, quindi, il ministro D’Alema a preoccuparsi per la nostra presenza in Libano anche se farebbe meglio a mettere in discussione i canoni della sua politica per evitare che la responsabilità di eventuali nuovi lutti venga addossata a coloro che si oppongono alle scelte di aggressione e di guerra ad altri popoli invece che a coloro che queste scelte compiono.
I militari morti a Nassirya non sono morti perché stavano svolgendo una missione umanitaria ma perché erano in guerra e pesano sulla coscienza di chi ce li ha mandati!
Solo la più bieca ed interessata retorica militarista può distorcere così tanto un dato di fatto.
Noi riteniamo, però, che la migliore risposta consista nel dare concretezza e continuità all’iniziativa del 18 novembre proseguendo con la raccolta delle adesioni alla petizione che chiede la disdetta del trattato di cooperazione militare, con l’avvio della campagna di boicottaggio e disinvestimento a partire da Telecom, con la mobilitazione per ottenere la disdetta degli accordi di cooperazione economica che alcune regioni ed altri enti locali hanno sottoscritto con Israele.
Anche per rispondere a chi, dall’alto dei massimi scranni istituzionali, minaccia scomuniche ed espulsioni dalla “comunità politica” ma che così facendo non fa che rendere necessaria ed accelerare la costruzione di una nuova comunità politica meno opportunista, corrotta e servile della sua.

 

21/11/2006
La Rete dei Comunisti
                                                                                                               cpiano@...

 


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Il Forum Palestina replica al killeraggio mediatico sulla manifestazione di sabato a Roma

Comunicato stampa

Un esposto alla Procura della Repubblica di Roma ed un altro alla Commissione di Vigilanza sulla RAI del Parlamento. Sono queste le prime iniziative legali intraprese dal Forum Palestina di fronte a quello che definisce “un killeraggio mediatico” sulla manifestazione per la Palestina di sabato 18 novembre a Roma. “Non è possibile né accettabile che di una manifestazione partecipata, tranquilla, riuscita, con una piattaforma chiara, spiegata ripetutamente e a lungo a tutti i giornalisti presenti, l’immagine che i telegiornali hanno restituito all’opinione pubblica sia quella dei roghi e di pochissimi slogans sui morti di Nassirya”. “Siamo di fronte ad una manipolazione della realtà che è sospetta e irricevibile”. Sarebbe come se una splendida partita a cui hanno assistito in diretta migliaia di persone fosse poi rappresentata la sera dalle televisioni solo con l’episodio di un fallo con espulsione. Chiunque penserebbe di aver assistito ad un’altra partita rispetto a quella trasmessa dai telegiornali”.

Per questi motivi verrà presentato un esposto alla Procura di Roma per diffamazione (relativa ad alcune sovrapposizioni tra volti e commenti redazionali che distorcevano il contenuto) e per richiedere l’acquisizione di tutto il materiale girato dalle televisioni dalle 14.00 fino alle 17.30 di sabato pomeriggio. Analogamente verrà presentato un esposto alla Commissione Vigilanza sulla RAI per verificare come e quanto il servizio televisivo pubblico si sia volutamente prestato ad una imboscata mediatica strumentale ad una resa di conti politica dentro la coalizione di governo e nei rapporti tra esecutivo e opposizione.

Roma, 21 novembre ’06
Il Forum Palestina

forumpalestina@...


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Serventi Longhi (FNSI) sul trattamento che i media hanno riservato al corteo pro-palestina di Roma: " siamo di fronte all'impazzimento dell'informazione e deella comunicazione "

Roma - “Ho una tragica certezza, che è quella che ormai l’informazione segue un percorso perverso. Di un evento i media enfatizzano una parte marginale, assolutamente non centrale, quella che però rende l’evento particolare, un cazzotto nello stomaco: credo che così non vada bene.”

Questo è ciò che Paolo Serventi Longhi, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ha affermato ai microfoni di Radio Città Aperta in una lunga intervista andata in onda questa mattina alle 11.00, incentrata sull’analisi del modo in cui i mezzi di informazione hanno trattato una serie di eventi che si sono svolti nella giornata di sabato, in particolar modo il corteo per la Palestina di Roma.

“Sabato vi erano diverse ipotesi di concentrazione di opinioni in dissonanza con quelle dell’attuale governo e di quello precedente. Vi erano tutta una serie di eventi assolutamente rilevanti rispetto ai quali tutto è scomparso, tutto è stato cancellato: la partecipazione, i temi, lo sforzo di mobilitare la gente. Invece è stata enfatizzata una vicenda, quella del rogo dei fantocci con le divise, che da tre giorni monopolizza gli organi di informazione, radio, TV e quotidiani. E’ stata approvata una Finanziaria e scarse tracce vi erano di questo sui giornali di ieri.

Io credo che siamo tutti impazziti. Siamo di fronte ad un impazzimento dell’informazione e della comunicazione nella società italiana. E’ incredibile come ormai l’informazione in Italia - forse per strumentalizzazione, forse per incapacità di trovare il senso delle cose che accadono - enfatizzi un fatto che è stato chiaramente circoscritto. Quello che preoccupa è che il messaggio mediatico viene immediatamente raccolto, enfatizzato e amplificato dal sistema politico. Non vorrei che l’istituzione e la politica fossero un tutt’uno con questa cassa di risonanza mediatica che non riesce più a vedere al di là del proprio naso.”

Aggiunge il leader del sindacato nazionale dei giornalisti Serventi Longhi ai microfoni dell’emittente romana:

“La libertà di informazione va difesa. Stiamo rinnovando un contratto che limiti la precarietà nel settore giornalistico; d’altra parte però gli interessi politici ed economici delle testate, dei proprietari delle testate e degli amici dei proprietari delle testate operano un tale condizionamento da generare un coro unanime che rende impossibile capire quello che succede”


(Fonte:Rca news )


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Gli incidenti a Roma 

Per Diliberto agenti deviati in azione 

ROMA Criticato e isolato anche all'interno del centrosinistra per 
aver partecipato alla manifestazione dei soldati-manichino bruciati 
e del «10-100-1000 Nassirya», Oliviero Diliberto trova un capro 
espiatorio che sembra cadere a fagiolo. «La storia d'Italia è piena 
di apparati deviati che si servono della piazza, si intrufolano 
nella piazza...», Dice infatti il segretario del Pdci in 
un'intervista a «Repubblica». C'è insomma lo zampino dei servizi 
segreti anche nella violenta manifestazione contro i militari 
italiani? «Affermo solo - precisa Diliberto - che la natura 
provocatoria di quei gesti è talmente flagrante e la storia d'Italia 
talmente fitta di deviazioni e sabotaggi che sono autorizzato a 
chiedermi: chi sono costoro, da dove vengono e, soprattutto, c'è 
dietro qualcuno?».
Giustificazioni che non convincono certo gli alleati di maggioranza 
e che alimentano nuove polemiche nell'opposizione. «Non poteva non 
sapere», taglia corto il segretario ds Fassino. «Non fa che 
aggravare la sua posizione», attacca Maurizio Gasparri. «Sparge 
veleni per uscire dall'angolo, ma non ci riesce», accusa anche 
Isabella Bertolini (Forza Italia). «Anzi, offende ancora una volta 
chi lavora al servizio dello Stato, si dovrebbe vergognare».
Ma anche all'interno dell'Unione non si alza una sola voce di 
solidarietà con Diliberto. Anzi, il segretario del Pdci viene 
apertamente attaccato anche da Armando Cossutta, ex presidente del 
partito, dimissionario da qualche mese, e ora in rotta sempre più 
divergente. Cossutta si dice infatti amareggiato per «la deriva» del 
suo partito. E certifica la sua distanza: «Non mi sento di 
condividere più nessuna responsabilità con il Partito dei comunisti 
italiani». Sotto accusa è ovviamente il segretario, colpevole di 
aver recato un danno alla causa della Palestina, «ma anche 
all'immagine del governo e dell'Unione».
E dopo Prodi, una nuova ramanzina al segretario del Pdci arriva 
anche da Francesco Rutelli. «Un politico con la testa sulla spalle - 
sottolinea infatti il vice presidente del Consiglio - sa scegliere 
le manifestazioni di piazza e può prevedere in quale manifestazione 
può venirsi a trovare. Non ho nulla da dire a Diliberto, nel senso 
che tutto quello che doveva essergli detto è stato detto». Ma 
Rutelli aggiunge anche che non dovrebbe essere dato «tutto questo 
spago a dei fanatici estremisti che non lo meritano».
a. p. 


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Mail: forumpalestina@...          


Revoca dell'accordo di cooperazione militare Italia-Israele

 

Petizione popolare

 

Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Al Ministro della Difesa
Al Ministro degli Esteri

 

 

-          viste le ultime operazioni militari del Governo Israeliano nel territorio libanese che hanno portato distruzione e morte soprattutto tra i civili, in gran parte donne e bambini, creato migliaia di profughi, distrutto infrastrutture vitali e provocato danni economici notevoli
-          vista la reazione spropositata del Governo di Israele con bombardamenti e stragi (vedi massacro di Cana) in seguito alla cattura di 2 soldati israeliani
-          viste le continue aggressioni militari subite dalla popolazione palestinese con la morte di numerosi civili, tra cui molti bambini, a Gaza e in Cisgiordania, aggressioni subite anche da parlamentari eletti democraticamente e ministri componenti dell’attuale governo, alcuni ancora in stato di arresto
-          visto il regime di occupazione militare a cui sono sottoposti i cittadini palestinesi di Gaza e Cisgiordania che vedono quotidianamente annientati i loro diritti civili più elementari
-          visto l’utilizzo da parte di Israele di armi vietate dal diritto internazionale come denunciato dall’Human Right Watch
-          visto  che Israele non aderisce al trattato di non proliferazione atomica ed è una potenza nucleare non dichiarata, l’unica del Medio Oriente
-          visto che Israele viola  le convenzioni di Ginevra, come ha dichiarato anche la Croce Rossa Internazionale
-          visto  che Israele non ha rispettato le decisioni della Comunità Internazionale, in particolare le numerose risoluzioni dell’ONU dal 1947 in poi
-          visto che Israele continua impunemente la costruzione del muro nonostante la condanna della Corte di Giustizia dell’AIA

 

Chiediamo al Governo Italiano di:
 
-          Revocare l’accordo di Cooperazione Militare tra Italia e Israele siglato dal precedente Governo Berlusconi nel maggio 2005, accordo che ha già consentito all’aviazione israeliana di partecipare ad esercitazioni militari in ambito NATO nel sud della Sardegna
-          Bloccare la fornitura di armi ad Israele assieme ad ogni forma di collaborazione militare

 

 I moduli firmati e compilati possono essere inviati a : Forum Palestina (via Casalbruciato 27, 00159 Roma) oppure a Associazione Amicizia Sardegna-Palestina via Montesanto 28, 09121 Cagliari

 

le firme via internet possono essere spedite a: forumpalestina@... oppure a sardegnapalestina@...

 

 

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